Titolo
SENT. 12/66 A. GIUDIZIO DI LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE - QUESTIONE PROPOSTA DOPO CHE IL PRETORE HA DISPOSTO IL PROCEDIMENTO PER DECRETO - AMMISSIBILITA'.
Testo
Il procedimento per decreto penale, una volta disposto dal Pretore, si puo' ritenere, sia pure in una fase preliminare, gia' iniziato, con la conseguente potesta' per il Pretore stesso di proporre questioni di legittimita' costituzionale: esigenza che deve potersi soddisfare anche in questa particolare forma di giudizio.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 27
co. 3
Riferimenti normativi
legge
04/04/1952
n. 218
art. 23
co. 0
decreto del Presidente della Repubblica
30/05/1955
n. 797
art. 82
co. 0
decreto del Presidente della Repubblica
30/05/1955
n. 797
art. 85
co. 0
decreto-legge
09/11/1945
n. 788
art. 16
co. 0
legge
10/06/1940
n. 653
art. 32
co. 0
Titolo
SENT. 12/66 B. REATI E PENE - PENE PECUNIARIE - LEGGE 4 APRILE 1952, N. 218, ART. 23; T.U. 30 MAGGIO 1955, N. 797, ARTT. 82 E 85; D.L. 9 NOVEMBRE 1945, N. 788, ART. 16; LEGGE 10 GIUGNO 1940, N. 653, ART. 32 - ASSERITO CONTRASTO CON IL PRINCIPIO DELLA RIEDUCAZIONE DEL REO - INSUSSISTENZA - ESCLUSIONE DI ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE.
Testo
E' priva di fondamento la questione se la pena pecuniaria, in quanto ritenuta, a differenza della pena detentiva, non idonea a svolgere la funzione rieducativa, sia da considerarsi non conforme al principio costituzionale di cui al comma terzo, seconda parte, dell'art. 27 della Costituzione: "Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato".
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 27
co. 3
Riferimenti normativi
legge
04/04/1952
n. 218
art. 23
co. 0
decreto del Presidente della Repubblica
30/05/1955
n. 797
art. 82
co. 0
decreto del Presidente della Repubblica
30/05/1955
n. 797
art. 85
co. 0
decreto-legge
09/11/1945
n. 788
art. 16
co. 0
legge
10/06/1940
n. 653
art. 32
co. 0
Titolo
SENT. 12/66 C. REATI E PENE - RIEDUCAZIONE DEL REO - COSTITUZIONE, ART. 27, TERZO COMMA - INTERPRETAZIONE UNITARIA DELLA DISPOSIZIONE.
Testo
La norma di cui al comma terzo dell'art. 27 della Costituzione, secondo cui "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanita' e devono tendere alla rieducazione del condannato" costituisce un contesto chiaramente unitario, non dissociabile cioe' in una prima e in una seconda parte separate e distinte tra loro, ne' tanto meno riducibile a una di esse soltanto: le due proposizioni di cui essa si compone sono congiunte, infatti, non soltanto per la loro formulazione letterale, ma anche perche' logicamente in funzione l'una dell'altra.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 27
co. 3
Riferimenti normativi
legge
04/04/1952
n. 218
art. 23
co. 0
decreto del Presidente della Repubblica
30/05/1955
n. 797
art. 82
co. 0
decreto del Presidente della Repubblica
30/05/1955
n. 797
art. 85
co. 0
decreto-legge
09/11/1945
n. 788
art. 16
co. 0
Titolo
SENT. 12/66 D. REATI E PENE - RIEDUCAZIONE DEL REO - COSTITUZIONE, ART. 27, TERZO COMMA - INTERPRETAZIONE - COMPATIBILITA' DELLE PENE PECUNIARIE CON IL PRINCIPIO COSTITUZIONALE.
Testo
La norma di cui al comma terzo dell'art. 27 della Costituzione nella sua integrita' sta a significare che la rieducazione del condannato, pur nella importanza che assume in virtu' del precetto costituzionale, rimane sempre inserita nel trattamento penale vero e proprio, poiche' e' soltanto a questo che il legislatore, con evidente implicito richiamo alle pene detentive, poteva logicamente riferirsi nel disporre che "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanita'": proposizione quest'ultima che altrimenti non avrebbe senso. Alla pena, dunque, con tale proposizione il legislatore ha inteso soltanto segnare dei limiti, mirando essenzialmente ad impedire che l'afflittivita' superi il punto oltre il quale si pone in contrasto con il senso di umanita'.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 27
co. 3
Riferimenti normativi
legge
04/04/1952
n. 218
art. 23
co. 0
decreto del Presidente della Repubblica
30/05/1955
n. 797
art. 82
co. 0
decreto del Presidente della Repubblica
30/05/1955
n. 797
art. 85
co. 0
decreto-legge
30/11/1945
n. 788
art. 16
co. 0
legge
10/06/1940
n. 653
art. 32
co. 0
Titolo
SENT. 12/66 E. REATI E PENE - RIEDUCAZIONE DEL REO - INTERPRETAZIONE.
Testo
Il principio rieducativo, dovendo agire in concorso con le altre funzioni della pena, non puo' essere interpretato in senso esclusivo ed assoluto, ma nell'ambito della pena, umanamente intesa ed applicata.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 27
co. 3
Riferimenti normativi
legge
04/04/1952
n. 218
art. 23
co. 0
decreto del Presidente della Repubblica
30/05/1955
n. 797
art. 82
co. 0
decreto del Presidente della Repubblica
30/05/1955
n. 797
art. 85
co. 0
decreto-legge
09/11/1945
n. 788
art. 16
co. 0
legge
10/06/1940
n. 653
art. 32
co. 0
Titolo
SENT. 12/66 F. REATI E PENE - RIEDUCAZIONE DEL REO - COSTITUZIONE, ART. 27, TERZO COMMA - INTERPRETAZIONE.
Testo
Il precetto secondo cui le pene "devono tendere" alla rieducazione del condannato, nel significato letterale e logico della sua espressione, sta ad indicare unicamente l'obbligo per il legislatore di tenere costantemente di mira, nel sistema penale, la finalita' rieducativa e di disporre di tutti i mezzi idonei a realizzarla, ove naturalmente la pena, per la sua natura ed entita', si presti a tal fine: ne' e' da escludere al riguardo che la pena pecuniaria possa, di per se', per altro verso, adempiere ad una funzione rieducativa.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 27
co. 3
Riferimenti normativi
legge
04/04/1952
n. 218
art. 23
co. 0
decreto del Presidente della Repubblica
30/05/1955
n. 797
art. 82
co. 0
decreto del Presidente della Repubblica
30/05/1955
n. 797
art. 85
co. 0
decreto-legge
09/11/1945
n. 788
art. 16
co. 0
legge
10/06/1940
n. 653
art. 32
co. 0
Titolo
SENT. 12/66 G. REATI E PENE - PENE PECUNIARIE.
Testo
Nei lavori preparatori della Costituzione non c'e' alcun indizio di un ordinamento diretto ad alterare il sistema penale sino al punto da escluderne le pene pecuniarie, ma risulta anzi da essi che il legislatore costituente, pur segnando i limiti e le finalita' di cui l'art. 27, terzo comma, non intese prendere posizione sul problema generale della funzione della pena, ne' tanto meno pronunciarsi per l'uno o per l'altro dei vari orientamenti della dottrina, ma volle proprio evitare che cio' avvenisse, sino al punto che ebbe persino a manifestare la preoccupazione che formule imprecise potessero dare l'apparenza del contrario.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 27
co. 3
Riferimenti normativi
legge
04/04/1952
n. 218
art. 23
co. 0
decreto del Presidente della Repubblica
30/05/1955
n. 797
art. 82
co. 0
decreto del Presidente della Repubblica
30/05/1955
n. 797
art. 85
co. 0
decreto-legge
09/11/1945
n. 788
art. 16
co. 0
legge
10/06/1940
n. 653
art. 32
co. 0
Titolo
SENT. 12/66 H. REATI E PENE - RIEDUCAZIONE DEL REO - COSTITUZIONE, ART. 27, TERZO COMMA - NON ESCLUDE UNA PLURALITA' DI FUNZIONE DELLA PENA.
Testo
Con la norma di cui all'art. 27 della Costituzione si volle che il principio della rieducazione del condannato, per il suo alto significato sociale e morale, fosse elevato al rango di precetto costituzionale, ma senza con cio' negare l'esistenza e la legittimita' della pena la' dove essa non contenga, o contenga minimamente, le condizioni idonee a realizzare tale finalita': e cio', evidentemente, in considerazione delle altre funzioni della pena che, al di la' della prospettiva del miglioramento del reo, sono essenziali alla tutela dei cittadini e dell'ordine giuridico contro la delinquenza e da cui dipende l'esistenza stessa della vita sociale.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 27
co. 3
Riferimenti normativi
legge
04/04/1952
n. 218
art. 23
co. 0
decreto del Presidente della Repubblica
30/05/1955
n. 797
art. 82
co. 0
decreto del Presidente della Repubblica
30/05/1955
n. 797
art. 85
co. 0
decreto-legge
09/11/1945
n. 788
art. 16
co. 0
legge
10/06/1940
n. 653
art. 32
co. 0
N. 12
SENTENZA 4 FEBBRAIO 1966
Deposito in cancelleria: 12 febbraio 1966.
Pubblicazione in "Gazzetta Ufficiale" n. 64 del 12 marzo 1966.
Pres. AMBROSINI - Rel. PETROCELLI
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente - Prof.
GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO - Prof. ANTONINO PAPALDO - Prof. NICOLA JAEGER
- Prof. GIOVANNI CASSANDRO - Prof. BIAGIO PETROCELLI - Dott. ANTONIO
MANCA - Prof. ALDO SANDULLI - Prof. GIUSEPPE BRANCA - Prof. MICHELE
FRAGALI - Prof. COSTANTINO MORTATI - Prof. GIUSEPPE CHIARELLI - Dott.
GIUSEPPE VERZÌ - Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI - Prof. FRANCESCO
PAOLO BONIFACIO, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 23 della
legge 4 aprile 1952, n. 218, 82 e 85 del T.U. 30 maggio 1955, n. 797,
16 del D.L. 9 novembre 1945, n. 788, e 32 della legge 10 giugno 1940,
n. 653, promosso con ordinanza emessa il 19 novembre 1964 dal Pretore
di Torino nel procedimento penale a carico di Actis Riccardo, iscritta
al n. 189 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 39 del 13 febbraio 1965.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
udita nell'udienza pubblica del 1 dicembre 1965 la relazione del
Giudice Biagio Patrocelli;
udito il vice avvocato generale dello Stato Dario Foligno, per il
Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto:
Il 20 agosto 1964 l'Ispettorato del lavoro di Torino ha denunciato
a quella Pretura Actis Riccardo per i reati previsti dagli artt. 23
della legge 4 aprile 1952, n. 218, 82 e 85 del T.U. 30 maggio 1955, n.
797, 16 del D.L. 9 novembre 1945, n. 788, 32 della legge 10 giugno
1940, n. 653; reati tutti puniti con pena pecuniaria. Il Pretore di
Torino, con ordinanza del 19 novembre 1964, ha sollevato di ufficio
questione di legittimità costituzionale delle suddette norme in
riferimento all'art. 27, terzo comma, della Costituzione nella parte in
cui stabilisce che le pene devono tendere alla rieducazione del
condannato. Ritenute sussistenti le condizioni di cui all'art. 23 della
legge 11 marzo 1953, n. 87, ha rimesso gli atti alla Corte
costituzionale.
Nella ordinanza si osserva che la pena pecuniaria, per la sua
stessa natura, risolvendosi cioè nel pagamento di una somma di denaro
commisurata alla gravità del reato commesso, tenderebbe ad una
finalità esclusivamente retributiva e non anche rieducativa, funzione
quest'ultima che invece - ad avviso del Pretore - la suddetta norma
costituzionale indicherebbe come essenziale della sanzione penale.
L'ordinanza è stata regolarmente notificata, comunicata e
pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39 del 13
febbraio 1965. Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio
dei Ministri, assistito dall'Avvocatura generale dello Stato, che il 5
marzo 1965 ha depositato atto di intervento e deduzioni.
In via preliminare l'Avvocatura dello Stato propone una eccezione
di inammissibilità della questione. Il Pretore di Torino, secondo
l'Avvocatura, avrebbe sollevata la questione nella veste di Pubblico
Ministero e non in quella di giudice. Inoltre la questione sarebbe
stata sollevata ancor prima di deliberare se procedere per decreto o
altrimenti.
Nel merito l'Avvocatura osserva che quello del fine rieducativo
della pena è un principio sancito dalla norma costituzionale in uno
con il principio della umanità della pena stessa. Sarebbe pertanto
arbitraria la scissione del contenuto del terzo comma dell'art. 27, che
deve essere unitariamente considerato così come appare dalla sua
formulazione: "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari
al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del
condannato".
L'Avvocatura richiama, quindi, la sentenza n. 29 del 1962, con la
quale la Corte, nell'occuparsi della conversione della pena pecuniaria,
avrebbe implicitamente già ammessa la legittimità costituzionale di
un tal genere di sanzione.
Considerato in diritto:
La Corte ritiene non fondata l'eccezione di inammissibilità
proposta dall'Avvocatura dello Stato. Poiché la Pretura di Torino
aveva già disposto il procedimento per decreto, si può ritenere che
questo, sia pure in una fase preliminare, fosse già iniziato, con la
conseguente potestà per il Pretore di proporre questioni di
legittimità costituzionale: esigenza che deve potersi soddisfare anche
in questa particolare forma di giudizio.
Nel merito l'ordinanza pone la questione se la pena pecuniaria, in
quanto ritenuta, a differenza della pena detentiva, non idonea a
svolgere funzione rieducativa, sia da considerarsi non conforme al
principio costituzionale di cui al comma terzo, seconda parte,
dell'art. 27 della Costituzione: "Le pene devono tendere alla
rieducazione del condannato".
La questione è priva di fondamento.
È arbitrario, innanzi tutto, il modo con cui viene presentato il
comma terzo dell'art. 27, del quale l'ordinanza pone in esclusiva
evidenza una parte tacendone del tutto l'altra. Invero la norma non si
limita a dichiarare puramente e semplicemente che "le pene devono
tendere alla rieducazione del condannato", ma dispone invece che "le
pene ' non possono consistere in trattamenti contrari al senso di
umanità ' e devono tendere alla rieducazione del condannato": un
contesto, dunque, chiaramente unitario, non dissociabile, come si
vorrebbe, in una prima e in una seconda parte separate e distinte tra
loro, né, tanto meno, riducibile a una di esse soltanto. Oltre tutto,
le due proposizioni sono congiunte non soltanto per la loro
formulazione letterale, ma anche perché logicamente in funzione l'una
dell'altra. Da un lato infatti un trattamento penale ispirato a criteri
di umanità è necessario presupposto per un'azione rieducativa del
condannato; dall'altro è appunto in un'azione rieducativa che deve
risolversi un trattamento umano e civile, se non si riduca a una inerte
e passiva indulgenza.
Ricostituita la norma nella sua integrità, ne riemerge il suo vero
significato. La rieducazione del condannato, pur nella importanza che
assume in virtù del precetto costituzionale, rimane sempre inserita
nel trattamento penale vero e proprio. È soltanto a questo, infatti,
che il legislatore, con evidente implicito richiamo alle pene
detentive, poteva logicamente riferirsi nel disporre che "le pene non
possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità";
proposizione che altrimenti non avrebbe senso. Alla pena dunque, con
tale proposizione, il legislatore ha inteso soltanto segnare dei
limiti, mirando essenzialmente ad impedire che l'afflittività superi
il punto oltre il quale si pone in contrasto col senso di umanità.
Rimane in tal modo stabilita anche la vera portata del principio
rieducativo, il quale, dovendo agire in concorso delle altre funzioni
della pena, non può essere inteso in senso esclusivo ed assoluto.
Rieducazione del condannato, dunque, ma nell'ambito della pena,
umanamente intesa ed applicata.
Del resto la portata e i limiti della funzione rieducativa voluta
dalla Costituzione appaiono manifesti nei termini stessi del precetto.
Il quale stabilisce che le pene "devono tendere" alla rieducazione del
condannato: espressione che, nel suo significato letterale e logico,
sta ad indicare unicamente l'obbligo per il legislatore di tenere
costantemente di mira, nel sistema penale, la finalità rieducativa e
di disporre tutti i mezzi idonei a realizzarla. Ciò, naturalmente, là
dove la pena, per la sua natura ed entità, si presti a tal fine.
D'altra parte non è nemmeno da escludere che la pena pecuniaria possa,
di per sé, per altro verso, adempiere a una funzione rieducativa.
Di un diverso, e radicalmente diverso, indirizzo del legislatore
costituente, tale cioè da dover alterare il sistema penale sino al
punto da escluderne le pene pecuniarie, e con esse, in definitiva,
quante altre fossero in analogo rapporto con la possibilità della
funzione rieducativa, non v'è indizio alcuno nei lavori preparatori
della Costituzione. Ché anzi da tali lavori, considerati nel loro
insieme e nelle dichiarazioni - non contrastate - di singoli
commissari, risulta chiaramente che il legislatore costituente, pur
segnando i limiti e le finalità di cui all'art. 27, terzo comma, non
intese prendere posizione sul problema generale della funzione della
pena, né, tanto meno, pronunciarsi per l'uno o per l'altro dei vari
orientamenti della dottrina; ma volle anzi proprio evitare che ciò
avvenisse, sino al punto che ebbe perfino a manifestarsi la
preoccupazione che formule imprecise potessero dare l'apparenza del
contrario.
In conclusione, con la invocata norma della Costituzione si volle
che il principio della rieducazione del condannato, per il suo alto
significato sociale e morale, fosse elevato al rango di precetto
costituzionale, ma senza con ciò negare la esistenza e la legittimità
della pena là dove essa non contenga, o contenga minimamente, le
condizioni idonee a realizzare tale finalità. E ciò, evidentemente,
in considerazione delle altre funzioni della pena che, al di là della
prospettiva del miglioramento del reo, sono essenziali alla tutela dei
cittadini e dell'ordine giuridico contro la delinquenza, e da cui
dipende la esistenza stessa della vita sociale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
degli artt. 23 della legge 4 aprile 1952, n. 218, 82 e 85 del T.U. 30
maggio 1955, n. 797, 16 del D. L. 9 novembre 1945, n. 788, e 32 della
legge 10 giugno 1940, n. 653, sollevata dal Pretore di Torino con
ordinanza del 19 novembre 1964 in riferimento all'art. 27, terzo
comma, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 febbraio 1966.
GASPARE AMBROSINI - GIUSEPPE CASTELLI
AVOLIO - ANTONINO PAPALDO - NICOLA
JAEGER - GIOVANNI CASSANDRO - BIAGIO
PETROCELLI - ANTONIO MANCA - ALDO
SANDULLI - GIUSEPPE BRANCA - MICHELE
FRAGALI - COSTANTINO MORTATI -
GIUSEPPE CHIARELLI - GIUSEPPE VERZÌ
- GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI -
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO.