Sentenza 12/1966 (ECLI:IT:COST:1966:12)
Giudizio: GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: AMBROSINI - Redattore:
Udienza Pubblica del 01/12/1965;    Decisione  del 04/02/1966
Deposito del 12/02/1966;   Pubblicazione in G. U.  n. 0
Norme impugnate:
Massime:  2498  2499  2500  2501  2502  2503  2504  2505 
Massime:  2498  2499  2500  2501  2502  2503  2504  2505 
Atti decisi:

Massima n. 2498 Massima successiva
Titolo
SENT. 12/66 A. GIUDIZIO DI LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE - QUESTIONE PROPOSTA DOPO CHE IL PRETORE HA DISPOSTO IL PROCEDIMENTO PER DECRETO - AMMISSIBILITA'.

Testo
Il procedimento per decreto penale, una volta disposto dal Pretore, si puo' ritenere, sia pure in una fase preliminare, gia' iniziato, con la conseguente potesta' per il Pretore stesso di proporre questioni di legittimita' costituzionale: esigenza che deve potersi soddisfare anche in questa particolare forma di giudizio.
Parametri costituzionali
Costituzione  art. 27  co. 3

Riferimenti normativi
legge  04/04/1952  n. 218  art. 23  co. 0
decreto del Presidente della Repubblica  30/05/1955  n. 797  art. 82  co. 0
decreto del Presidente della Repubblica  30/05/1955  n. 797  art. 85  co. 0
decreto-legge  09/11/1945  n. 788  art. 16  co. 0
legge  10/06/1940  n. 653  art. 32  co. 0

Titolo
SENT. 12/66 B. REATI E PENE - PENE PECUNIARIE - LEGGE 4 APRILE 1952, N. 218, ART. 23; T.U. 30 MAGGIO 1955, N. 797, ARTT. 82 E 85; D.L. 9 NOVEMBRE 1945, N. 788, ART. 16; LEGGE 10 GIUGNO 1940, N. 653, ART. 32 - ASSERITO CONTRASTO CON IL PRINCIPIO DELLA RIEDUCAZIONE DEL REO - INSUSSISTENZA - ESCLUSIONE DI ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE.

Testo
E' priva di fondamento la questione se la pena pecuniaria, in quanto ritenuta, a differenza della pena detentiva, non idonea a svolgere la funzione rieducativa, sia da considerarsi non conforme al principio costituzionale di cui al comma terzo, seconda parte, dell'art. 27 della Costituzione: "Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato".
Parametri costituzionali
Costituzione  art. 27  co. 3

Riferimenti normativi
legge  04/04/1952  n. 218  art. 23  co. 0
decreto del Presidente della Repubblica  30/05/1955  n. 797  art. 82  co. 0
decreto del Presidente della Repubblica  30/05/1955  n. 797  art. 85  co. 0
decreto-legge  09/11/1945  n. 788  art. 16  co. 0
legge  10/06/1940  n. 653  art. 32  co. 0

Titolo
SENT. 12/66 C. REATI E PENE - RIEDUCAZIONE DEL REO - COSTITUZIONE, ART. 27, TERZO COMMA - INTERPRETAZIONE UNITARIA DELLA DISPOSIZIONE.

Testo
La norma di cui al comma terzo dell'art. 27 della Costituzione, secondo cui "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanita' e devono tendere alla rieducazione del condannato" costituisce un contesto chiaramente unitario, non dissociabile cioe' in una prima e in una seconda parte separate e distinte tra loro, ne' tanto meno riducibile a una di esse soltanto: le due proposizioni di cui essa si compone sono congiunte, infatti, non soltanto per la loro formulazione letterale, ma anche perche' logicamente in funzione l'una dell'altra.
Parametri costituzionali
Costituzione  art. 27  co. 3

Riferimenti normativi
legge  04/04/1952  n. 218  art. 23  co. 0
decreto del Presidente della Repubblica  30/05/1955  n. 797  art. 82  co. 0
decreto del Presidente della Repubblica  30/05/1955  n. 797  art. 85  co. 0
decreto-legge  09/11/1945  n. 788  art. 16  co. 0

Titolo
SENT. 12/66 D. REATI E PENE - RIEDUCAZIONE DEL REO - COSTITUZIONE, ART. 27, TERZO COMMA - INTERPRETAZIONE - COMPATIBILITA' DELLE PENE PECUNIARIE CON IL PRINCIPIO COSTITUZIONALE.

Testo
La norma di cui al comma terzo dell'art. 27 della Costituzione nella sua integrita' sta a significare che la rieducazione del condannato, pur nella importanza che assume in virtu' del precetto costituzionale, rimane sempre inserita nel trattamento penale vero e proprio, poiche' e' soltanto a questo che il legislatore, con evidente implicito richiamo alle pene detentive, poteva logicamente riferirsi nel disporre che "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanita'": proposizione quest'ultima che altrimenti non avrebbe senso. Alla pena, dunque, con tale proposizione il legislatore ha inteso soltanto segnare dei limiti, mirando essenzialmente ad impedire che l'afflittivita' superi il punto oltre il quale si pone in contrasto con il senso di umanita'.
Parametri costituzionali
Costituzione  art. 27  co. 3

Riferimenti normativi
legge  04/04/1952  n. 218  art. 23  co. 0
decreto del Presidente della Repubblica  30/05/1955  n. 797  art. 82  co. 0
decreto del Presidente della Repubblica  30/05/1955  n. 797  art. 85  co. 0
decreto-legge  30/11/1945  n. 788  art. 16  co. 0
legge  10/06/1940  n. 653  art. 32  co. 0

Titolo
SENT. 12/66 E. REATI E PENE - RIEDUCAZIONE DEL REO - INTERPRETAZIONE.

Testo
Il principio rieducativo, dovendo agire in concorso con le altre funzioni della pena, non puo' essere interpretato in senso esclusivo ed assoluto, ma nell'ambito della pena, umanamente intesa ed applicata.
Parametri costituzionali
Costituzione  art. 27  co. 3

Riferimenti normativi
legge  04/04/1952  n. 218  art. 23  co. 0
decreto del Presidente della Repubblica  30/05/1955  n. 797  art. 82  co. 0
decreto del Presidente della Repubblica  30/05/1955  n. 797  art. 85  co. 0
decreto-legge  09/11/1945  n. 788  art. 16  co. 0
legge  10/06/1940  n. 653  art. 32  co. 0

Titolo
SENT. 12/66 F. REATI E PENE - RIEDUCAZIONE DEL REO - COSTITUZIONE, ART. 27, TERZO COMMA - INTERPRETAZIONE.

Testo
Il precetto secondo cui le pene "devono tendere" alla rieducazione del condannato, nel significato letterale e logico della sua espressione, sta ad indicare unicamente l'obbligo per il legislatore di tenere costantemente di mira, nel sistema penale, la finalita' rieducativa e di disporre di tutti i mezzi idonei a realizzarla, ove naturalmente la pena, per la sua natura ed entita', si presti a tal fine: ne' e' da escludere al riguardo che la pena pecuniaria possa, di per se', per altro verso, adempiere ad una funzione rieducativa.
Parametri costituzionali
Costituzione  art. 27  co. 3

Riferimenti normativi
legge  04/04/1952  n. 218  art. 23  co. 0
decreto del Presidente della Repubblica  30/05/1955  n. 797  art. 82  co. 0
decreto del Presidente della Repubblica  30/05/1955  n. 797  art. 85  co. 0
decreto-legge  09/11/1945  n. 788  art. 16  co. 0
legge  10/06/1940  n. 653  art. 32  co. 0

Titolo
SENT. 12/66 G. REATI E PENE - PENE PECUNIARIE.

Testo
Nei lavori preparatori della Costituzione non c'e' alcun indizio di un ordinamento diretto ad alterare il sistema penale sino al punto da escluderne le pene pecuniarie, ma risulta anzi da essi che il legislatore costituente, pur segnando i limiti e le finalita' di cui l'art. 27, terzo comma, non intese prendere posizione sul problema generale della funzione della pena, ne' tanto meno pronunciarsi per l'uno o per l'altro dei vari orientamenti della dottrina, ma volle proprio evitare che cio' avvenisse, sino al punto che ebbe persino a manifestare la preoccupazione che formule imprecise potessero dare l'apparenza del contrario.
Parametri costituzionali
Costituzione  art. 27  co. 3

Riferimenti normativi
legge  04/04/1952  n. 218  art. 23  co. 0
decreto del Presidente della Repubblica  30/05/1955  n. 797  art. 82  co. 0
decreto del Presidente della Repubblica  30/05/1955  n. 797  art. 85  co. 0
decreto-legge  09/11/1945  n. 788  art. 16  co. 0
legge  10/06/1940  n. 653  art. 32  co. 0

Massima n. 2505 Massima precedente
Titolo
SENT. 12/66 H. REATI E PENE - RIEDUCAZIONE DEL REO - COSTITUZIONE, ART. 27, TERZO COMMA - NON ESCLUDE UNA PLURALITA' DI FUNZIONE DELLA PENA.

Testo
Con la norma di cui all'art. 27 della Costituzione si volle che il principio della rieducazione del condannato, per il suo alto significato sociale e morale, fosse elevato al rango di precetto costituzionale, ma senza con cio' negare l'esistenza e la legittimita' della pena la' dove essa non contenga, o contenga minimamente, le condizioni idonee a realizzare tale finalita': e cio', evidentemente, in considerazione delle altre funzioni della pena che, al di la' della prospettiva del miglioramento del reo, sono essenziali alla tutela dei cittadini e dell'ordine giuridico contro la delinquenza e da cui dipende l'esistenza stessa della vita sociale.
Parametri costituzionali
Costituzione  art. 27  co. 3

Riferimenti normativi
legge  04/04/1952  n. 218  art. 23  co. 0
decreto del Presidente della Repubblica  30/05/1955  n. 797  art. 82  co. 0
decreto del Presidente della Repubblica  30/05/1955  n. 797  art. 85  co. 0
decreto-legge  09/11/1945  n. 788  art. 16  co. 0
legge  10/06/1940  n. 653  art. 32  co. 0


Pronuncia

N. 12

SENTENZA 4 FEBBRAIO 1966

Deposito in cancelleria: 12 febbraio 1966.

Pubblicazione in "Gazzetta Ufficiale" n. 64 del 12 marzo 1966.

Pres. AMBROSINI - Rel. PETROCELLI


LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente - Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO - Prof. ANTONINO PAPALDO - Prof. NICOLA JAEGER - Prof. GIOVANNI CASSANDRO - Prof. BIAGIO PETROCELLI - Dott. ANTONIO MANCA - Prof. ALDO SANDULLI - Prof. GIUSEPPE BRANCA - Prof. MICHELE FRAGALI - Prof. COSTANTINO MORTATI - Prof. GIUSEPPE CHIARELLI - Dott. GIUSEPPE VERZÌ - Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI - Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO, Giudici,


ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 23 della legge 4 aprile 1952, n. 218, 82 e 85 del T.U. 30 maggio 1955, n. 797, 16 del D.L. 9 novembre 1945, n. 788, e 32 della legge 10 giugno 1940, n. 653, promosso con ordinanza emessa il 19 novembre 1964 dal Pretore di Torino nel procedimento penale a carico di Actis Riccardo, iscritta al n. 189 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39 del 13 febbraio 1965.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 1 dicembre 1965 la relazione del Giudice Biagio Patrocelli;

udito il vice avvocato generale dello Stato Dario Foligno, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.


Ritenuto in fatto:

Il 20 agosto 1964 l'Ispettorato del lavoro di Torino ha denunciato a quella Pretura Actis Riccardo per i reati previsti dagli artt. 23 della legge 4 aprile 1952, n. 218, 82 e 85 del T.U. 30 maggio 1955, n. 797, 16 del D.L. 9 novembre 1945, n. 788, 32 della legge 10 giugno 1940, n. 653; reati tutti puniti con pena pecuniaria. Il Pretore di Torino, con ordinanza del 19 novembre 1964, ha sollevato di ufficio questione di legittimità costituzionale delle suddette norme in riferimento all'art. 27, terzo comma, della Costituzione nella parte in cui stabilisce che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato. Ritenute sussistenti le condizioni di cui all'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, ha rimesso gli atti alla Corte costituzionale.

Nella ordinanza si osserva che la pena pecuniaria, per la sua stessa natura, risolvendosi cioè nel pagamento di una somma di denaro commisurata alla gravità del reato commesso, tenderebbe ad una finalità esclusivamente retributiva e non anche rieducativa, funzione quest'ultima che invece - ad avviso del Pretore - la suddetta norma costituzionale indicherebbe come essenziale della sanzione penale.

L'ordinanza è stata regolarmente notificata, comunicata e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39 del 13 febbraio 1965. Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, assistito dall'Avvocatura generale dello Stato, che il 5 marzo 1965 ha depositato atto di intervento e deduzioni.

In via preliminare l'Avvocatura dello Stato propone una eccezione di inammissibilità della questione. Il Pretore di Torino, secondo l'Avvocatura, avrebbe sollevata la questione nella veste di Pubblico Ministero e non in quella di giudice. Inoltre la questione sarebbe stata sollevata ancor prima di deliberare se procedere per decreto o altrimenti.

Nel merito l'Avvocatura osserva che quello del fine rieducativo della pena è un principio sancito dalla norma costituzionale in uno con il principio della umanità della pena stessa. Sarebbe pertanto arbitraria la scissione del contenuto del terzo comma dell'art. 27, che deve essere unitariamente considerato così come appare dalla sua formulazione: "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato".

L'Avvocatura richiama, quindi, la sentenza n. 29 del 1962, con la quale la Corte, nell'occuparsi della conversione della pena pecuniaria, avrebbe implicitamente già ammessa la legittimità costituzionale di un tal genere di sanzione.


Considerato in diritto:

La Corte ritiene non fondata l'eccezione di inammissibilità proposta dall'Avvocatura dello Stato. Poiché la Pretura di Torino aveva già disposto il procedimento per decreto, si può ritenere che questo, sia pure in una fase preliminare, fosse già iniziato, con la conseguente potestà per il Pretore di proporre questioni di legittimità costituzionale: esigenza che deve potersi soddisfare anche in questa particolare forma di giudizio.

Nel merito l'ordinanza pone la questione se la pena pecuniaria, in quanto ritenuta, a differenza della pena detentiva, non idonea a svolgere funzione rieducativa, sia da considerarsi non conforme al principio costituzionale di cui al comma terzo, seconda parte, dell'art. 27 della Costituzione: "Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato".

La questione è priva di fondamento.

È arbitrario, innanzi tutto, il modo con cui viene presentato il comma terzo dell'art. 27, del quale l'ordinanza pone in esclusiva evidenza una parte tacendone del tutto l'altra. Invero la norma non si limita a dichiarare puramente e semplicemente che "le pene devono tendere alla rieducazione del condannato", ma dispone invece che "le pene ' non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità ' e devono tendere alla rieducazione del condannato": un contesto, dunque, chiaramente unitario, non dissociabile, come si vorrebbe, in una prima e in una seconda parte separate e distinte tra loro, né, tanto meno, riducibile a una di esse soltanto. Oltre tutto, le due proposizioni sono congiunte non soltanto per la loro formulazione letterale, ma anche perché logicamente in funzione l'una dell'altra. Da un lato infatti un trattamento penale ispirato a criteri di umanità è necessario presupposto per un'azione rieducativa del condannato; dall'altro è appunto in un'azione rieducativa che deve risolversi un trattamento umano e civile, se non si riduca a una inerte e passiva indulgenza.

Ricostituita la norma nella sua integrità, ne riemerge il suo vero significato. La rieducazione del condannato, pur nella importanza che assume in virtù del precetto costituzionale, rimane sempre inserita nel trattamento penale vero e proprio. È soltanto a questo, infatti, che il legislatore, con evidente implicito richiamo alle pene detentive, poteva logicamente riferirsi nel disporre che "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità"; proposizione che altrimenti non avrebbe senso. Alla pena dunque, con tale proposizione, il legislatore ha inteso soltanto segnare dei limiti, mirando essenzialmente ad impedire che l'afflittività superi il punto oltre il quale si pone in contrasto col senso di umanità.

Rimane in tal modo stabilita anche la vera portata del principio rieducativo, il quale, dovendo agire in concorso delle altre funzioni della pena, non può essere inteso in senso esclusivo ed assoluto. Rieducazione del condannato, dunque, ma nell'ambito della pena, umanamente intesa ed applicata.

Del resto la portata e i limiti della funzione rieducativa voluta dalla Costituzione appaiono manifesti nei termini stessi del precetto. Il quale stabilisce che le pene "devono tendere" alla rieducazione del condannato: espressione che, nel suo significato letterale e logico, sta ad indicare unicamente l'obbligo per il legislatore di tenere costantemente di mira, nel sistema penale, la finalità rieducativa e di disporre tutti i mezzi idonei a realizzarla. Ciò, naturalmente, là dove la pena, per la sua natura ed entità, si presti a tal fine. D'altra parte non è nemmeno da escludere che la pena pecuniaria possa, di per sé, per altro verso, adempiere a una funzione rieducativa.

Di un diverso, e radicalmente diverso, indirizzo del legislatore costituente, tale cioè da dover alterare il sistema penale sino al punto da escluderne le pene pecuniarie, e con esse, in definitiva, quante altre fossero in analogo rapporto con la possibilità della funzione rieducativa, non v'è indizio alcuno nei lavori preparatori della Costituzione. Ché anzi da tali lavori, considerati nel loro insieme e nelle dichiarazioni - non contrastate - di singoli commissari, risulta chiaramente che il legislatore costituente, pur segnando i limiti e le finalità di cui all'art. 27, terzo comma, non intese prendere posizione sul problema generale della funzione della pena, né, tanto meno, pronunciarsi per l'uno o per l'altro dei vari orientamenti della dottrina; ma volle anzi proprio evitare che ciò avvenisse, sino al punto che ebbe perfino a manifestarsi la preoccupazione che formule imprecise potessero dare l'apparenza del contrario.

In conclusione, con la invocata norma della Costituzione si volle che il principio della rieducazione del condannato, per il suo alto significato sociale e morale, fosse elevato al rango di precetto costituzionale, ma senza con ciò negare la esistenza e la legittimità della pena là dove essa non contenga, o contenga minimamente, le condizioni idonee a realizzare tale finalità. E ciò, evidentemente, in considerazione delle altre funzioni della pena che, al di là della prospettiva del miglioramento del reo, sono essenziali alla tutela dei cittadini e dell'ordine giuridico contro la delinquenza, e da cui dipende la esistenza stessa della vita sociale.


per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 23 della legge 4 aprile 1952, n. 218, 82 e 85 del T.U. 30 maggio 1955, n. 797, 16 del D. L. 9 novembre 1945, n. 788, e 32 della legge 10 giugno 1940, n. 653, sollevata dal Pretore di Torino con ordinanza del 19 novembre 1964 in riferimento all'art. 27, terzo comma, della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 febbraio 1966.

GASPARE AMBROSINI - GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO - ANTONINO PAPALDO - NICOLA JAEGER - GIOVANNI CASSANDRO - BIAGIO PETROCELLI - ANTONIO MANCA - ALDO SANDULLI - GIUSEPPE BRANCA - MICHELE FRAGALI - COSTANTINO MORTATI - GIUSEPPE CHIARELLI - GIUSEPPE VERZÌ - GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI - FRANCESCO PAOLO BONIFACIO.