Titolo
SENT. 143/69 A. IMPIEGO PUBBLICO - STIPENDI ED ASSEGNI DEGLI IMPIEGATI DELLO STATO O DI ENTI PUBBLICI MINORI - D.L. 19 GENNAIO 1939, N. 295, ART. 2, PRIMO COMMA - PRESCRIZIONE BIENNALE - PRETESO CONTRASTO CON L'ART. 36 DELLA COSTITUZIONE - ANALOGIA CON LA DISCIPLINA PREVISTA PER IL RAPPORTO DI LAVORO DI DIRITTO PRIVATO - INSUSSISTENZA - PARTICOLARE FORZA DI RESISTENZA DEL RAPPORTO DI PUBBLICO IMPIEGO - ESCLUSIONE DI ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE.
Testo
Non e' fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, primo comma, del decreto legge 19 gennaio 1939, n. 295, sulla prescrizione biennale di stipendi, pensioni ed emolumenti dovuti dallo Stato, convertito in legge 2 giugno 1939, n. 739, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione. Per l'art. 2, primo comma, infatti, non sussistono le ragioni di contrasto con l'art. 36 della Costituzione, che questa Corte, nella sentenza 10 giugno 1966, n. 63, ravviso' negli artt. 2948, n. 4, 2955, n. 2 e 2956, n. 1, del Cod. civile, limitatamente alla parte in cui consentono che la prescrizione del diritto alla retribuzione decorra durante il rapporto di lavoro. La menzionata sentenza rilevo' la particolare forza di resistenza che caratterizza il rapporto di pubblico impiego, forza di resistenza data da una disciplina che normalmente assicura la stabilita' del rapporto, e dalle garanzie di rimedi giurisdizionali contro l'illegittima risoluzione di esso, le quali escludono che il timore del licenziamento possa indurre l'impiegato a rinunziare ai propri diritti. Tale situazione e' comune ai rapporti di pubblico impiego intercorrenti con lo Stato o con enti pubblici minori, e pertanto il regime delle prescrizioni di cui alla norma impugnata non contrasta con l'art. 36 della Costituzione.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 36
Riferimenti normativi
decreto-legge
19/01/1939
n. 295
art. 2
co. 1
legge
02/06/1939
n. 739
art. 0
co. 0
codice civile
n. 0
art. 2948
n.4
co. 0
codice civile
n. 0
art. 2955
n.2
co. 0
codice civile
n. 0
art. 2956
n.1
co. 0
Titolo
SENT. 143/69 B. IMPIEGO PUBBLICO - STIPENDI ED ASSEGNI DEGLI IMPIEGATI DELLO STATO - D.L. 19 GENNAIO 1939, N. 295, ART. 2, PRIMO COMMA - PRESCRIZIONE BIENNALE DEI RAPPORTI DI IMPIEGO STATALE DI CARATTERE TEMPORANEO - GIUSTIFICAZIONE - CONTRASTO CON L'ART. 36 DELLA COSTITUZIONE - INSUSSISTENZA - ESCLUSIONE DI ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE.
Testo
L'art. 2, primo comma, del D.L. 19 gennaio 1939, n. 295, sulla prescrizione biennale degli stipendi ed assegni degli impiegati dello Stato, non contrasta con l'art. 36 della Costituzione. Anche nei rapporti di pubblico impiego statale di carattere temporaneo l'impiegato e' assistito dalle garanzie dei rimedi giurisdizionali contro l'arbitraria risoluzione anticipata del rapporto: rimedi che si estendono al sindacato sull'eccesso di potere. Secondo l'ordinamento del pubblico impiego, le assunzioni temporanee (che, in linea di principio, sono escluse) hanno carattere precario, e la rinnovazione del relativo rapporto non presenta carattere di normalita'. La non rinnovazione costituisce un evento inerente alla natura del rapporto stesso e la previsione di essa non pone il lavoratore in una situazione di timore di un evento incerto, al quale egli sia esposto durante il rapporto, qual'e' il licenziamento nel rapporto di lavoro di diritto privato.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 36
Riferimenti normativi
decreto-legge
19/01/1939
n. 295
art. 2
co. 1
legge
02/06/1939
n. 739
art. 0
co. 0
Titolo
SENT. 143/69 C. IMPIEGO PUBBLICO - STIPENDI ED ASSEGNI DEGLI IMPIEGATI DELLO STATO - D.L. 19 GENNAIO 1939, N. 295, ART. 2, PRIMO COMMA, PRESCRIZIONE BIENNALE - NON ESTENSIBILITA' AI RAPPORTI DI PUBBLICO IMPIEGO DELLA PARZIALE ILLEGITTIMITA' DICHIARATA CON RIGUARDO AI RAPPORTI DI LAVORO DI DIRITTO PRIVATO - DIVERSITA' DI SITUAZIONI - CONTRASTO CON L'ART. 3 DELLA COSTITUZIONE - INSUSSISTENZA - ESCLUSIONE DI ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE.
Testo
La dichiarazione di parziale illegittimita' costituzionale degli artt. 2948, n. 4, 2955, n. 2, e 2956, n. 1 del Codice civile, contenuta nella sentenza n. 63 del 1966 di questa Corte, riguarda i rapporti di lavoro regolati dal diritto privato e non si estende ai rapporti di pubblico impiego, sia che si tratti di rapporti con lo Stato, sia che si tratti di rapporti con altri enti pubblici. Non e' pertanto derivata una situazione di differente trattamento per i dipendenti dello Stato rispetto ai dipendenti di altri enti pubblici, egualmente garantiti dall'ordinamento del pubblico impiego e spetta al giudice di merito stabilire, nei singoli casi, se e' stato posto in essere un rapporto di pubblico impiego, o se lo Stato o l'ente pubblico si e' assoggettato alla disciplina di diritto comune del rapporto di lavoro.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 3
Riferimenti normativi
decreto-legge
19/01/1939
n. 295
art. 2
co. 1
legge
02/06/1939
n. 739
art. 0
co. 0
codice civile
n. 0
art. 2948
n.4
co. 0
codice civile
n. 0
art. 2955
n.2
co. 0
codice civile
n. 0
art. 2956
n.1
co. 0
N. 143
SENTENZA 13 NOVEMBRE 1969
Deposito in cancelleria: 20 novembre 1969.
Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 299 del 26 novembre 1969.
Pres. BRANCA - Rel. CHIARELLI
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Prof. GIUSEPPE BRANCA, Presidente - Prof.
MICHELE FRAGALI - Prof. COSTANTINO MORTATI - Prof. GIUSEPPE CHIARELLI -
Dott. GIUSEPPE VERZÌ - Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI - Prof.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO - Dott. LUIGI OGGIONI - Dott. ANGELO DE MARCO
- Avv. ERCOLE ROCCHETTI - Prof. ENZO CAPALOZZA - Prof. VINCENZO MICHELE
TRIMARCHI - Prof. VEZIO CRISAFULLI - Dott. NICOLA REALE - Prof. PAOLO
ROSSI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2, primo
comma, del decreto-legge 19 gennaio 1939, n. 295, sulla prescrizione
biennale degli stipendi, pensioni ed emolumenti dovuti dallo Stato,
convertito in legge 2 giugno 1939, n. 739, promosso con ordinanza
emessa il 23 maggio 1967 dal Consiglio di Stato - Sessione VI - sul
ricorso di Ghini Aurelio contro il Ministero delle finanze, iscritta al
n. 110 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 203 del 10 agosto 1968.
Visti gli atti di costituzione di Aurelio Ghini e d'intervento del
Presidente del Consiglio dei Ministri;
udito nell'udienza pubblicata del 29 ottobre 1969 il Giudice
relatore Giuseppe Chiarelli;
uditi l'avv. Giulio Cevolotto, per il Ghini, ed il sostituto
avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del
Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto:
1. - Il sig. Aurelio Ghini, con ricorso al Consiglio di Stato in
sede giurisdizionale depositato il 20 giugno 1961, esponeva di essere
stato assunto dall'intendenza di finanza di Verona il 1 ottobre 1951,
quale addetto al magazzino compartimentale stampati; di aver prestato
lavoro in regime di subordinazione, con orario normale; e di essere
stato licenziato il 30 giugno 1959. Chiedeva quindi che il Consiglio di
Stato, accertato che il rapporto intercorso con l'Amministrazione aveva
natura di pubblico impiego, riconoscesse il diritto dell'istante e per
quanto gli spettava per differenze di retribuzione e per indennità di
licenziamento e preavviso, con conseguente condanna
dell'Amministrazione.
Resisteva il Ministero dele finanze, sostenendo che nella specie
non sussisteva un rapporto di pubblico impiego; che comunque era stato
corrisposto l'intero compenso pattuito; e, in subordine, che gli
eventuali diritti fatti valere dal ricorrente erano in gran parte
estinti per prescrizione.
Il Consiglio di Stato, con decisione interlocutoria 11 marzo 1964,
accertava che tra il ricorrente e l'Amministrazione era stato
instaurato un rapporto di lavoro subordinato, e con successiva
decisione 23 maggio 1967 riconosceva che il Ghini doveva essere
considerato operaio temporaneo, a norma dell'art. 17 della legge 26
febbraio 1952, n. 67, e dichiarava che gli spettavano le indennità per
cessazione dal rapporto di lavoro e le rate di retribuzione per il
periodo compreso nel biennio precedente la notifica del ricorso, non
prescritte ai sensi dell'art. 2 del decreto legge 19 gennaio 1939, n.
295, convertito nella legge 2 giugno 1939, n. 739. Per le rate di
retribuzione dovute per il periodo anteriore a tale biennio sollevava
d'ufficio la questione di legittimità costituzionale del primo comma
del predetto art. 2 del decreto legge n. 295 del 1939, in riferimento
agli artt. 3 e 36 della Costituzione, rimettendo gli atti alla Corte
costituzionale con ordinanza 23 maggio 1967.
L'ordinanza, regolarmente notificata e comunicata, è stata
trasmessa a questa Corte il 22 maggio 1968, ed è stata successivamente
pubblicata.
2. - Nell'ordinanza si premette che per effetto della sentenza 10
giugno 1966, n. 63, di questa Corte i crediti derivanti da rapporti
d'impiego con enti pubblici non sono più soggetti a prescrizione in
pendenza del rapporto. Viene quindi prospettata la questione se per le
medesime ragioni affermate nella predetta sentenza, l'art. 2, primo
comma, del decreto legge 19 gennaio 1939, n. 295, riguardante i
dipendenti dello Stato, non contrasti con l'art. 36 della Costituzione,
e se non si è creata una situazione di differente trattamento tra
questi ultimi e i dipendenti degli altri enti pubblici, in violazione
dell'art. 3 della Costituzione.
3. - Si è costituito nel presente giudizio il sig. Aurelio Ghini,
rappresentato e difeso dall'avv. Giulio Cevolotto, con deduzioni
depositate il 7 luglio 1968. È intervenuto il Presidente del Consiglio
dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, con atto depositato il 26 luglio 1968.
Nelle deduzioni per il Ghini si osserva che il discorso circa la
costituzionalità della norma impugnata deve essere prospettato con
riferimento a quel particolare rapporto che, come nella specie, viene
qualificato come temporaneo, il quale per la sua natura precaria, non
ha quella resistenza che è caratteristica del rapporto di pubblico
impiego e presenta invece sostanziali coincidenze col rapporto di
impiego privato, in cui, come si è espressa la Corte nella citata
sentenza, il timore del licenziamento può spingere il lavoratore a
rinunciare a parte dei propri diritti. Si conclude quindi per una
pronuncia di incostituzionalità delle norme impugnate.
Nell'atto di intervento del Presidente del Consiglio si premette
che le norme che stabiliscono la prescrizione biennale degli stipendi e
assegni dovuti dallo Stato corrispondono a particolari necessità,
diverse da quelle che costituiscono la ragione delle prescrizioni brevi
di cui agli artt. 2948, n. 4, 2955, n. 2, e 2956, n. 1 del Codice
civile, e che sarebbero obbliterate ove si ritenesse che anche per il
rapporto di pubblico impiego con lo Stato il corso della prescrizione
si inizi dopo la cessazione del rapporto.
Si osserva quindi che le ragioni che hanno portato alla
dichiarazione di illegittimità costituzionale dei predetti articoli
non sussistono in relazione al rapporto di pubblico impiego in genere,
e, in particolare, al rapporto di impiego con lo Stato.
Tali rapporti, come è stato affermato nella citata sentenza della
Corte, presentano una maggiore forza di resistenza, che si manifesta
nel sistema di garanzie in base alle quali è agevole il controllo di
legittimità del provvedimento risolutivo del rapporto, il cui
annullamento porta all'integrale restituzione del dipendente al suo
posto di lavoro. Non sussiste quindi, secondo la difesa del Presidente
del Consiglio, il prospettato contrasto con l'art. 36 della
Costituzione.
Né vi è contrasto con l'art. 3 della Costituzione: la
dichiarazione di illegittimità costituzionale dei ricordati articoli
del codice civile pronunciata dalla Corte, riguarda il rapporto di
lavoro di diritto privato e non anche il rapporto di pubblico impiego
con enti diversi dallo Stato. Comunque la norma impugnata risponde a
esigenze di semplicità, chiarezza e stabilità, che sono proprio della
contabilità e del bilancio dello Stato e hanno minore rilevanza per
gli altri enti pubblici. Esse, diversificando le situazioni giuridiche,
valgono a giustificare, non solo la diversa durata del periodo di
prescrizione, ma anche la diversa decorrenza del periodo stesso.
L'atto di intervento conclude per la dichiarazione di infondatezza.
4. - Nella discussione orale i difensori delle parti hanno
sviluppato i rispettivi argomenti.
Considerato in diritto:
1. - La prima questione proposta nel presente giudizio è se per
l'art. 2, primo comma, del decreto-legge 19 gennaio 1939, n. 295, che
stabilisce la prescrizione biennale del diritto agli stipendi ed
assegni degli impiegati dello Stato, sussistano le medesime ragioni di
contrasto con l'art. 36 della Costituzione, che questa Corte, nella
sentenza 10 giugno 1966, n. 63, ravvisò negli artt. 2948, n. 3, 2955,
n. 2, e 2956, n. 1, del Codice civile, limitatamente alla parte in cui
consentono che la prescrizione del diritto alla retribuzione decorra
durante il rapporto di lavoro.
La risposta negativa è implicita nella stessa menzionata sentenza,
la quale ebbe a rilevare, come si ricorda nell'ordinanza di rimessione,
la particolare forza di resistenza che caratterizza il rapporto di
pubblico impiego. Questa forza di resistenza è data da una disciplina
che normalmente assicura la stabilità del rapporto, o dalle garanzie
di rimedi giurisdizionali contro l'illegittima risoluzione di esso, le
quali escludono che il timore del licenziamento possa indurre
l'impiegato a rinunziare ai propri diritti.
Tale situazione è comune ai rapporti di pubblico impiego
intercorrenti con lo Stato o con enti pubblici minori, e pertanto il
regime delle prescrizioni di cui alla norma impugnata non contrasta con
l'art. 36 della Costituzione.
2. - A diversa conclusione non si può giungere per i rapporti di
pubblico impiego statale di carattere temporaneo, sui quali si è
particolarmente soffermata la difesa del Ghini.
Anche in essi l'impiegato è assistito dalle garanzie dei rimedi
giurisdizionali contro l'arbitraria risoluzione anticipata del
rapporto: rimedi che si estendono al sindacato sull'eccesso di potere,
come è confermato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato.
Va inoltre considerato che, secondo l'ordinamento del pubblico
impiego, le assunzioni temporanee (che, in linea di principio, sono
escluse) hanno carattere precario, e la rinnovazione del relativo
rapporto non presenta carattere di normalità. La non rinnovazione
costituisce, invece, un evento inerente alla natura del rapporto
stesso. La previsione di essa non pone, pertanto, il lavoratore in una
situazione di timore di un evento incerto, al quale egli sia esposto
durante il rapporto, qual è il licenziamento nel rapporto di lavoro di
diritto privato.
Non ricorrono perciò, nel rapporto d'impiego temporaneo con lo
Stato, le ragioni su cui si è basata, nella precedente sentenza di
questa Corte, la dichiarazione di parziale illegittimità
costituzionale dei ricordati articoli del Codice civile.
3. - Infondata è anche la questione di legittimità costituzionale
della norma impugnata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
La dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale dei
menzionati articoli del Codice civile, contenuta nella sentenza n. 69
del 1966 di questa Corte, riguarda i rapporti di lavoro regolati dal
diritto privato e non si estende ai rapporti di pubblico impiego, sia
che si tratti di rapporti con lo Stato, sia che si tratti di rapporti
con altri enti pubblici: il che, come si è accennato, si ricava
inequivocabilmente dalla motivazione della detta sentenza (n. 3: "In un
rapporto non dotato di quella resistenza, che caratterizza invece il
rapporto d'impiego pubblico, il timore del recesso, cioè del
licenziamento, spinge o può spingere il lavoratore sulla via della
rinuncia a una parte dei propri diritti"), alla stregua della quale va
interpretato il dispositivo. Dalla parziale perdita di efficacia di
quelle norme, conseguita alla pronuncia della Corte ed ai sensi della
medesima, non è, pertanto, derivata una situazione di differente
trattamento per i dipendenti dello Stato rispetto ai dipendenti di
altri enti pubblici, egualmente garantiti dall'ordinamento del pubblico
impiego.
Spetta al giudice di merito stabilire, nei singoli casi, se è
stato posto in essere un rapporto di pubblico impiego, o se lo Stato o
l'ente pubblico si è assoggettato alla disciplina di diritto comune
del rapporto di lavoro.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 2, primo comma, del decreto legge 19 gennaio 1939, n. 295,
sulla prescrizione biennale di stipendi, pensioni ed emolumenti dovuti
dallo Stato, convertito in legge 2 giugno 1939, n. 739, sollevata con
l'ordinanza di cui in epigrafe, in riferimento agli artt. 3 e 36 della
Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 13 novembre 1969.
GIUSEPPE BRANCA - MICHELE FRAGALI -
COSTANTINO MORTATI - GIUSEPPE
CHIARELLI - GIUSEPPE VERZÌ -
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI -
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO - LUIGI
OGGIONI - ANGELO DE MARCO - ERCOLE
ROCCHETTI - ENZO CAPALOZZA - VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI - VEZIO CRISAFULLI
- NICOLA REALE - PAOLO ROSSI.