Ritenuto in fatto:
Il signor Nicola Cipriani, titolare del certificato di pensione per
invalidità e vecchiaia n. 2070306/104 per l'ammontare di lire 14.500
mensili, si vedeva corrispondere dall'Istituto nazionale della
previdenza sociale, alle scadenze bimestrali prestabilite, la somma di
sole lire 14.460 (invece di lire 29.000), in conseguenza di ritenuta
operata dallo Istituto predetto nell'esercizio del diritto ad esso
riconosciuto dall'art. 128, secondo comma del R.D.L. 4 ottobre 1935, n.
1827, convertito nella legge 6 aprile 1936, n. 1155. Per tale via
l'Ente di previdenza intendeva dare esecuzione alla condanna
pronunziata, nei confronti del Cipriani, dal Presidente del tribunale
di Bari con decreto ingiuntivo non opposto, concernente crediti per
contributi previdenziali dal Cipriani stesso non versati, prima che
fosse maturato il di lui diritto alla pensione, per prestatori di opera
già suoi dipendenti.
Contro l'Istituto nazionale della previdenza sociale il Cipriani
proponeva, quindi, domanda giudiziale per l'accertamento della
illegittimità della ritenuta, eccependo contestualmente la
incompatibilità della disposizione del secondo comma del citato art.
128 del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, con l'art. 38, secondo comma,
della Costituzione.
Il tribunale di Bari con ordinanza 15 giugno 1967, ritenutane la
rilevanza ai fini della decisione della causa, sollevava la questione
di legittimità costituzionale della suddetta norma nei termini
prospettati dall'attore, osservando essere il giudizio di non manifesta
infondatezza sorretto dai seguenti motivi.
In relazione alla finalità sociale, che la legislazione in materia
di invalidità e vecchiaia persegue, di assicurare, mediante la
concessione di un assegno di pensione, il soddisfacimento delle
fondamentali necessità di sostentamento a favore dei lavoratori che
per età o invalidità subiscano una menomazione o l'annullamento della
capacità lavorativa, l'art. 128 della legge in esame, nel primo comma,
stabilisce la non pignorabilità e la non sequestrabilità dei redditi
previdenziali, e quindi il divieto di distrarre tali somme da quella
stessa destinazione assistenziale richiamata dall'art. 38 della
Costituzione.
Dal precetto costituzionale (e dalle finalità sociali della
legislazione ordinaria che ad esso deve adeguarsi), si discosta però
il citato secondo comma dell'art. 128, in quanto riconosce all'Istituto
previdenziale, senza alcuna limitazione o discriminazione, il diritto
di "trattenere sulle pensioni, gli assegni e le indennità di cui al
precedente comma, l'ammontare delle somme ad esso dovute in forza di
provvedimenti dell'Autorità Giudiziaria".
La facoltà affatto discrezionale accordata all'Istituto sarebbe
quindi in contrasto con l'affermazione costituzionale del diritto dei
lavoratori a che siano assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di
vita in caso di infortunio, invalidità e vecchiaia.
L'ordinanza, ritualmente notificata alle parti, e al Presidente del
Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti dei due rami del
Parlamento, è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 271 del 28
ottobre 1967.
Davanti a questa Corte si è costituito l'Istituto nazionale della
previdenza sociale, difeso dagli avvocati Giorgio Cannella e Arturo
Pittoni che hanno depositato atto di deduzioni il 7 novembre 1967,
contestando il fondamento della questione sollevata dal tribunale di
Bari.
Essi osservano che l'art. 38 della Costituzione, la cui violazione
è stata denunziata, non avrebbe carattere immediatamente precettivo,
ma programmatico.
Il primo comma di questa norma che riconosce il diritto degli
inabili al lavoro, che versino anche in istato di indigenza, al
mantenimento e alla assistenza sociale, sarebbe, peraltro, estraneo
alla normativa delle assicurazioni sociali, alla quale sarebbe invece
diretto il precetto contenuto nel secondo comma della citata norma
costituzionale. Questo imporrebbe al legislatore di dettare,
nell'interesse dei lavoratori, un'organica disciplina della previdenza
ed assistenza sociale per i rischi inerenti alla percezione di un
reddito di lavoro, quali si verificano nei casi di inabilità
permanente o temporanea al lavoro, per invalidità e vecchiaia o a
seguito di infortunio o per disoccupazione involontaria, senza peraltro
fissare l'ammontare del quantum delle prestazioni assicurative e
previdenziali e senza esigere che, in tutti i casi predetti, queste
siano corrisposte.
La determinazione in concreto della misura e delle modalità di
tali prestazioni sarebbe affidata al legislatore ordinario e non
sarebbe, quindi, viziata da illegittimità costituzionale la legge
diretta a stabilire tale misura, ogni volta che questa fosse ritenuta
inadeguata alle esigenze del singolo lavoratore. Né contrasterebbe col
principio costituzionale una norma ordinaria che, in determinate
fattispecie, escludesse l'esigibilità delle prestazioni medesime.
Quest'ultima considerazione, in particolare, permetterebbe di
giustificare sul piano costituzionale la disposizione del secondo comma
dell'art. 128 del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, intesa a consentire
il recupero, mediante la trattenuta sulle pensioni, sia di prestazioni
indebitamente percepite dagli assicurati, sia, come appunto
verificatesi nella specie, di somme costituenti debiti degli stessi
pensionati, per il mancato versamento di contributi assicurativi nel
corso della loro attività imprenditoriale e relativi a lavoratori da
essi dipendenti.
Ove questa possibilità fosse disconosciuta, ne deriverebbe
pregiudizio alle gestioni previdenziali, con gravi riflessi in danno
tanto della collettività dei lavoratori assicurati, quanto dei
singoli, direttamente interessati all'accreditamento dei contributi non
corrisposti dai propri datori di lavoro.
Con memoria depositata il 4 dicembre 1968 la difesa dell'Istituto
nazionale della previdenza sociale ha illustrato ulteriormente la tesi
della legittimità costituzionale della norma denunziata dal tribunale
di Bari, ponendo in particolare risalto la preminenza, ai sensi appunto
dell'art. 38, secondo comma, della Costituzione, dell'interesse
pubblico alla realizzazione dei crediti per contributi previdenziali
dovuti dai datori di lavoro, nei confronti dello stesso diritto
soggettivo di costoro a fruire in concreto del reddito previdenziale
loro spettante, in forza della legge in materia, nella veste di
assicurati.
Tali contributi, nel sistema del diritto positivo, sarebbero
diretti a costituire il maggior cespite per la copertura degli oneri
per l'assicurazione per l'invalidità e la vecchiaia; il loro mancato
pagamento arrecherebbe pregiudizio non solo ad altro lavoratore già
alle dipendenze del datore di lavoro in mora, ma a tutti i lavoratori
assicurati, incidendo gravemente sulla consistenza patrimoniale della
gestione del servizio previdenziale.
Il criterio della indisponibilità delle pensioni, enunciato nel
primo comma dell'art. 128 del R.D.L. n. 1827 del 1935, sarebbe quindi
compatibile con la ipotesi eccezionale prevista nel seguente secondo
comma e troverebbe, d'altra parte, giustificazione nello stesso
principio costituzionale di eguaglianza, attese le ragioni
etico-sociali e il fondamento di razionalità e di giustizia che lo
sorreggerebbero.
Per queste considerazioni anche nella discussione orale la difesa
dell'Istituto nazionale della previdenza sociale ha concluso perché la
questione in esame sia dichiarata manifestamente infondata.
Considerato in diritto:
1. - Il principio generale della intangibilità delle pensioni,
corrisposte dall'Istituto nazionale della previdenza sociale, in ordine
alla cessione ed a procedure esecutive o cautelari, enunciate nel primo
comma dell'art. 128 del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, convertito
nella legge 6 aprile 1936, n. 1155, è stato riconosciuto rispondente
alla norma dell'art. 38 della Costituzione con la sentenza n. 18 del 30
marzo 1960 di questa Corte.
Ciò sul riflesso che le particolari finalità della tutela
previdenziale, diretta ad assicurare i mezzi indispensabili di
sostentamento ai lavoratori, che per invalidità o vecchiaia non siano
più in grado di provvedere, con un sufficiente reddito di lavoro, alle
proprie esigenze di vita, giustificano appieno detto principio,
consentendo peraltro soltanto le eccezioni espressamente stabilite, non
estensibili, per loro natura, ed ipotesi diverse.
L'ordinanza del tribunale di Bari prospetta, ora, la questione
della costituzionalità della norma del secondo comma del ricordato
art. 128 del decreto n. 1827 del 1935, in quanto essa, introducendo
appunto una deroga al principio espresso nel primo comma, consente
all'Istituto nazionale della previdenza sociale di trattenere sulle
pensioni, spettanti per invalidità al lavoro o vecchiaia, l'ammontare
delle somme ad esso dovute per crediti accertati, con provvedimenti
dell'Autorità giudiziaria, a carico degli stessi titolari dei predetti
redditi. E ciò senza alcuna limitazione quantitativa e senza ulteriore
specificazione creditoria.
Nella potestà largamente discrezionale, accordata al detto ente,
di perseguire la realizzazione dei propri crediti mediante la
compensazione, disposta unilateralmente ed in misura non prestabilita
della legge stessa, il giudice del merito ha ravvisato la possibilità
che siano in concreto frustrate le finalità sociali delle istituzioni
previdenziali; finalità tutelate dal secondo comma dell'art. 38 della
Costituzione. La norma impugnata, infatti, sarebbe preordinata alla
difesa dell'interesse dell'Ente creditore, mentre non conterrebbe
alcuna disposizione intesa a garantire la prestazione delle pensioni ai
soggetti assistiti, quanto meno nella misura necessaria a fronteggiare
situazioni di bisogno personale o familiare.
2. - La questione, da esaminarsi nei limiti prospettati
dall'ordinanza, è fondata.
Il secondo comma dell'art. 38 della Costituzione attribuisce valore
di principio fondamentale al diritto dei lavoratori a che siano
"preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in
caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia e di
disoccupazione involontaria".
E questa Corte con varie decisioni, in cui ha preso in esame tale
precedetto, lo ha considerato, come dovevasi, immediatamente operante
nell'ordinamento giuridico e rilevante, in particolare, ai fini del
sindacato di costituzionalità sulle leggi ordinarie.
Non può quindi essere accolta, su tale punto, la contraria tesi
svolta succintamente dalla difesa dell'Istituto nazionale della
previdenza sociale nell'atto di costituzione in giudizio davanti a
questa Corte.
3. - Nel sistema dei rapporti economici costituzionalmente
garantiti, il primo comma dell'art. 38 pone fra i compiti primari dello
Stato quello dettato con la sentenza n. 27 del 6 aprile 1965), quale
esplicazione del principio della solidarietà, che deve informare la
normativa della pubblica assistenza e beneficenza a favore di chi versi
in condizioni di indigenza per inabilità allo svolgimento di una
attività remunerativa, prescindendosi da precorse qualità e
situazioni personali e da servizi resi allo Stato (sent. n. 29 del 1968
e n. 27 del 1965).
Il secondo comma invece, anche esso ispirato a criteri di
solidarietà sociale, ma con speciale riguardo ai lavoratori, impone
che in caso di eventi, i quali incidono sfavorevolmente sulla loro
attività lavorativa, siano ad essi assicurate provvidenze atte a
garantire la soddisfazione delle loro esigenze di vita.
Al principio espresso nel citato art. 38, secondo comma, aderisce
la funzione assegnata alle pensioni assicurative contro la invalidità
e vecchiaia: funzione che tanto la dottrina quanto la giurisprudenza
della Corte di cassazione hanno ulteriormente individuato nel carattere
alimentare delle prestazioni, in quanto destinate a fronteggiare
primarie necessità degli assistiti.
E si è rilevato (sentenza n. 34 del 1960 di questa Corte) che le
pensioni per invalidità e vecchiaia rispondono al criterio di pubblico
interesse a che venga garantita la corresponsione di un minimum.
L'ammontare di questo minimum vitale è ovviamente riservato ad
apprezzamenti del legislatore, il quale, come è noto, vi ha apportato
progressivi aumenti, che peraltro non ne hanno alterato il surriferito
carattere essenziale.
Ora dalla natura e dalla finalità di tali prestazioni
previdenziali deriva non soltanto il principio generale che le sottrae
alla disponibilità degli interessati e ad ogni misura cautelare od
espropriativa nonché alla compensazione (art. 1246, n. 3, Cod. civ.),
ma discende altresì che le ipotesi eccezionali, nelle quali le misure
predette vengano ammesse, debbano essere strettamente circoscritte
secondo espresse e tassative disposizioni, concernenti sia la specie
del credito vantato contro l'assicurato, sia la parte della pensione,
che possa risultare disponibile e soggetta ad azioni cautelari ed
esecutive.
Diversamente, ove fosse consentita una indiscriminata ed illimata
tutela dell'interesse dei creditori, i bisogni che nel precetto
costituzionale di cui all'art. 38, secondo comma, trovano la loro
garanzia, rimarrebbero insoddisfatti ed il precetto stesso risulterebbe
eluso.
Si deve in proposito osservare che, nell'ordinamento vigente ed
anche in provvedimenti normativi anteriori alla Carta costituzionale,
non mancano disposizioni volte ad eliminare il pericolo suddetto.
Basta, accennare, per tacere di altre, alle limitazioni concernenti
in particolare la disciplina del pignoramento e del sequestro
conservativo sui crediti alimentari o di lavoro (rispettivamente art.
545 Cod. proc. civ. nel testo modificato col decreto legislativo 10
dicembre 1947, n. 1548 e art. 671 Cod. proc. civ.) e ricordare le
limitazioni previste in materia di rendite vitalizie costituite a
titolo gratuito (art. 1881 Cod. civ.) e di crediti dell'arruolato verso
l'armatore e del lavoratore verso l'esercente (artt. 369 e 930 Codice
della navigazione).
Anche nella materia delle pensioni spettanti ai dipendenti delle
pubbliche amministrazioni e che, a giudizio di questa Corte (sentenza
n. 124 del 1968) partecipano della natura retributiva, il testo unico,
approvato con D.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, delle leggi concernenti il
sequestro, il pignoramento e la cessione di dette pensioni, nonché
degli stipendi e dei salari, reca tutto un complesso di limitazioni
qualitative e quantitative alla cedibilità di tali emolumenti e alla
esperibilità di azioni esecutive su di essi.
Ciò premesso è evidente che la norma dell'art. 128, secondo comma
del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, convertito nella legge 6 aprile
1936, n. 1155, non risponde al precetto costituzionale dell'art. 38,
secondo comma, della Costituzione, in quanto, col solo limite, non
sufficiente, del previo provvedimento giudiziario, conferisce
all'Istituto la facoltà di esercitare il diritto di "trattenuta" in
via di compensazione sulle pensioni da esso dovute.
Ciò indiscriminatamente, per qualsiasi titolo e senza limitazione
di ammontare: con la possibilità quindi che la pensione rimanga
assorbita dalla trattenuta, integralmente o quasi, e per lungo tempo. A
questo ultimo proposito va rilevato che non è conferente la
circostanza, indubbiamente per altro verso apprezzabile, che l'Istituto
abbia, nel caso di specie, ritenuto opportuno di operare una ritenuta
parziale e non totale sulla pensione.
E di fronte alla genericità della previsione legislativa, che
costituisce il punto sul quale la Corte deve portare il suo esame,
astraendo dalla fattispecie in controversia, non vale obiettare, come
si fa nelle ultime difese, che ove non fosse data potestà all'Istituto
di perseguire, con trattenuta sui crediti vantati dai pensionati, i
debiti per le contribuzioni da essi non versate per lavoratori da loro
dipendenti e dirette a costituire il maggior cespite per la copertura
degli oneri della gestione assicurativa, verrebbe meno ogni
possibilità di agire contro i detti pensionati inadempienti: di guisa
che, la gestione assicurativa e in ultima analisi, gli stessi assistiti
subirebbero un grave pregiudizio.
Va rilevato in contrario che, a parte la possibilità per
l'Istituto di agire su altri eventuali cespiti del pensionato,
l'ordinamento prevede sanzioni volte a reprimere le inadempienze dei
datori di lavoro e quindi a dissuaderli dall'incorrervi.
E d'altro canto il cosiddetto costo del servizio, pur gravando in
certa misura, sui soggetti del rapporto di lavoro, è integrato con
interventi erariali, i quali, sul piano finanziario, assicurano le
finalità sociali perseguite dallo Stato.
In conclusione, e salva la possibilità per il legislatore
ordinario di ovviare agli inconvenienti denunciati dall'Istituto,
introducendo deroghe al principio della intangibilità, purché siano
aderenti ai precetti costituzionali, la norma impugnata, nella sua
formulazione attuale, va dichiarata costituzionalmente illegittima.