ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 546 del
codice penale, promosso con ordinanza emessa il 2 ottobre 1972 dal
giudice istruttore del tribunale di Milano nel procedimento penale a
carico di Minella Carmosina ed altri, iscritta al n. 384 del registro
ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 21 del 24 gennaio 1973.
Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell'udienza pubblica del 22 gennaio 1975 il Giudice relatore
Paolo Rossi;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti,
per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto:
Nel corso del procedimento penale a carico di tale Minella
Carmosina ed altri, il giudice istruttore presso il tribunale di Milano
ha sollevato questione incidentale di legittimità costituzionale
dell'art. 546 del codice penale nella parte in cui punisce chi cagiona
l'aborto di donna consenziente anche qualora sia stata accertata la
pericolosità della gravidanza per il benessere fisico o per
l'equilibrio psichico della gestante, senza che ricorrano gli estremi
dello stato di necessità di cui all'art. 54 del codice penale. Osserva
il giudice a quo che, secondo la comune interpretazione
giurisprudenziale, il c.d. aborto terapeutico ricorre soltanto quando
sussiste la inevitabilità e l'attualità del pericolo di un grave
danno alla persona, mentre l'aborto praticato a scopo medico per
evitare che la donna subisca aggravamenti di preesistenti alterazioni
fisiche, rimane sanzionato penalmente. Detta incriminazione
contrasterebbe, secondo l'ordinanza di rimessione, con gli artt. 31,
secondo comma, e 32, primo comma) della Costituzione secondo cui la
Repubblica "protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù,
favorendo gli istituti necessari a tale scopo" e "tutela la salute come
fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività".
La dichiarazione d'illegittimità della norma consentirebbe invece a
moltissime donne di poter ricorrere all'opera dei sanitari, anziché a
quella pericolosissima delle fattucchiere.
È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,
con atto depositato il 13 febbraio 1973, chiedendo dichiararsi
l'infondatezza della questione sollevata.
Osserva la difesa dello Stato che il vigente sistema giuridico
penale, se correttamente interpretato, non contrasta con gli invocati
principi costituzionali, giacché l'unica esimente esistente (art. 54
c.p.) consente che l'aborto sia praticato tutte le volte che, anche se
non sia in pericolo la vita della donna incinta, si prospetti il
pericolo di un danno grave alla salute della donna, danno proporzionato
alla corrispondente gravità dell'aborto. Il suddetto sistema è
pertanto pienamente compatibile con l'art. 31, secondo comma, della
Costituzione, che, proteggendo la maternità e l'infanzia, vuol
consentire alla donna di portare a termine la gravidanza e di allevare
i figli nelle migliori condizioni fisiche, psichiche e ambientali
possibili; ed altresì con l'art. 32 Cost., posto che permetterebbe di
evitare qualsiasi pericolo di un serio danno alla salute della donna in
stato gravidico.
Considerato in diritto:
L'ordinanza del giudice istruttore presso il tribunale di Milano
solleva un problema grave, argomento di polemiche e di attività
legislativa in diverse nazioni.
Non è il caso di rifare la storia del delitto di procurato aborto,
legata allo sviluppo del sentimento religioso, all'evolversi della
filosofia morale, delle dottrine sociali, giuridiche, politiche e
demografiche. Non punito in talune epoche, punito in altre con pene
quando lievi quando severissime, il procurato aborto si considerò
lesivo di interessi disparati, quali la vita, l'ordine delle famiglie,
il buon costume, l'accrescimento della popolazione.
Nel vigente codice penale l'aborto volontario è rubricato come
"delitto contro l'integrità della stirpe" (libro II titolo X c.p.).
Secondo i lavori preparatori e la Relazione al Re che accompagna il
codice, il bene protetto è "l'interesse demografico dello Stato". Il
codice precedente, invece, considerava l'aborto fra i "delitti contro
la persona", e questa sembra essere più giusta collocazione.
Il prodotto del concepimento fu alternativamente ritenuto semplice
parte dei visceri della donna, speranza d'uomo, soggetto animato fin
dall'inizio, o dopo un periodo più o meno lungo di gestazione.
Ritiene la Corte che la tutela del concepito - che già viene in
rilievo nel diritto civile (artt. 320, 339, 687 c.c.) - abbia
fondamento costituzionale. L'art. 31, secondo comma, della Costituzione
impone espressamente la "protezione della maternità" e, più in
generale, l'art. 2 Cost. riconosce e garantisce i diritti inviolabili
dell'uomo, fra i quali non può non collocarsi, sia pure con le
particolari caratteristiche sue proprie, la situazione giuridica del
concepito.
E, tuttavia, questa premessa - che di per sé giustifica
l'intervento del legislatore volto a prevedere sanzioni penali - va
accompagnata dall'ulteriore considerazione che l'interesse
costituzionalmente protetto relativo al concepito può venire in
collisione con altri beni che godano pur essi di tutela costituzionale
e che, di conseguenza, la legge non può dare al primo una prevalenza
totale ed assoluta, negando ai secondi adeguata protezione. Ed è
proprio in questo il vizio di legittimità costituzionale, che, ad
avviso della Corte, inficia l'attuale disciplina penale dell'aborto.
L'ordinanza in esame denuncia specificamente l'art. 546 del codice
penale, in riferimento agli artt. 31 e 32 della Costituzione, nella
sola parte in cui punisce chi cagiona l'aborto di donna consenziente, e
la donna stessa, "anche quando sia accertata la pericolosità della
gravidanza per il benessere fisico e per l'equilibrio psichico della
gestante, ma senza che ricorrano tutti gli estremi dello stato di
necessità previsto nell'art. 54 del codice penale".
In tali limiti la questione è fondata. La condizione della donna
gestante è del tutto particolare e non trova adeguata tutela in una
norma di carattere generale come l'art. 54 c.p. che esige non soltanto
la gravità e l'assoluta inevitabilità del danno o del pericolo, ma
anche la sua attualità, mentre il danno o pericolo conseguente al
protrarsi di una gravidanza può essere previsto, ma non è sempre
immediato.
Di più. La scriminante dell'art. 54 c.p. si fonda sul presupposto
d'una equivalenza del bene offeso dal fatto dell'autore rispetto
all'altro bene che col fatto stesso si vuole salvare. Ora non esiste
equivalenza fra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute
proprio di chi è già persona, come la madre, e la salvaguardia
dell'embrione che persona deve ancora diventare.
Opportunamente il legislatore ha previsto, per altri casi, oltre la
causa comune di esclusione della pena stabilita nell'art. 54 c.p.,
alcuni particolari stati di necessità giustificatrice (art. 384 c.p.).
Di non diversa considerazione è certamente degno il peculiare stato di
necessità della donna incinta in pericolo di grave compromissione
nella salute.
La dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale
dell'art. 546 c.p. si presenta perciò inevitabile.
Va peraltro precisato che l'esenzione da ogni pena di chi,
ricorrendo i predetti presupposti, abbia procurato l'aborto e della
donna che vi abbia consentito non esclude affatto, già de jure
condito, che l'intervento debba essere operato in modo che sia salvata,
quando ciò sia possibile, la vita del feto. Ma ritiene anche la Corte
che sia obbligo del legislatore predisporre le cautele necessarie per
impedire che l'aborto venga procurato senza serii accertamenti sulla
realtà e gravità del danno o pericolo che potrebbe derivare alla
madre dal proseguire della gestazione: e perciò la liceità
dell'aborto deve essere ancorata ad una previa valutazione della
sussistenza delle condizioni atte a giustificarla.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 546 del codice
penale, nella parte in cui non prevede che la gravidanza possa venir
interrotta quando l'ulteriore gestazione implichi danno, o pericolo,
grave, medicalmente accertato nei sensi di cui in motivazione e non
altrimenti evitabile, per la salute della madre.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 18 febbraio 1975.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO - LUIGI
OGGIONI - ANGELO DE MARCO - ERCOLE
ROCCHETTI - ENZO CAPALOZZA - VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI - VEZIO CRISAFULLI
- NICOLA REALE - PAOLO ROSSI -
LEONETTO AMADEI - GIULIO GIONFRIDA -
EDOARDO VOLTERRA - GUIDO ASTUTI -
MICHELE ROSSANO.
ARDUINO SALUSTRI - Cancelliere