Sentenza 42/1980 (ECLI:IT:COST:1980:42)
Giudizio: GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: AMADEI - Redattore:
Udienza Pubblica del 05/12/1979;    Decisione  del 25/03/1980
Deposito del 26/03/1980;   Pubblicazione in G. U.  n. 0
Norme impugnate:
Massime:  9741 
Massime:  9741 
Atti decisi:

Massima n. 9741
Titolo
SENT. 42/80. TRIBUTI LOCALI - IMPOSTE E TASSE - I.LO.R. - APPLICAZIONE AI REDDITI DI LAVORO AUTONOMO, CHE NON SIANO ASSIMILABILI AI REDDITI D'IMPRESA - VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 3 E 53 DELLA COSTITUZIONE - ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE IN PARTE QUA.

Testo
Le norme relative all'imposta locale sui redditi, in quanto distraggono i redditi di lavoro autonomo dalla disciplina tributaria del lavoro dipendente al solo scopo di attrarli nella disciplina dei redditi fondati sul patrimonio ovvero misti, contrasta coi principi di eguaglianza e di capacita` contributiva, poiche` l'esistenza di una zona intermedia tra i redditi sicuramente di patrimonio o di impresa e quelli di solo lavoro autonomo non toglie che questi ultimi debbano restare distinti dai primi sul piano del diritto tributario. Pertanto sono costituzionalmente illegittimi l'art. 4, n. 1, l. 9 ottobre 1971 n. 825 e l'art. 1, secondo comma, d.P.R. 29 settembre 1973 n. 599, in quanto non escludono i redditi di lavoro autonomo, se non assimilabili ai redditi di impresa, dall'imposta locale sui redditi.
Parametri costituzionali
Costituzione  art. 3
Costituzione  art. 53

Riferimenti normativi
legge  09/10/1971  n. 825  art. 4  n.1  co. 0
decreto del Presidente della Repubblica  29/09/1973  n. 599  art. 1  co. 2


Pronuncia

N. 42

SENTENZA 25 MARZO 1980

Deposito in cancelleria: 26 marzo 1980.

Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 92 del 2 aprile 1980.

Pres. AMADEI - Rel. PALADIN


LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente Dott. GIULIO GIONFRIDA - Prof. EDOARDO VOLTERRA - Prof. GUIDO ASTUTI - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO ELIA - Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - Avv. ORONZO REALE - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN - Dott. ARNALDO MACCARONE - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,


ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 7 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599 (Istituzione e disciplina dell'imposta locale sui redditi) e dell'art. 4, n. 1, del d.P.R. 9 ottobre 1971, n. 825 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per la riforma tributaria) promosso con ordinanze emesse dalle Commissioni tributarie di 1 grado di Lecco il 13 aprile 1977, di Grosseto il 4 giugno 1977, di Pordenone il 29 marzo 1977, di Lucca il 1 dicembre 1977, di Pinerolo il 7 novembre 1977 (due ordinanze), di Milano il 17 giugno 1977, di Bassano del Grappa il 10 aprile 1978, di Palermo il 24 giugno 1977, di Torino il 5 maggio 1978 (due ordinanze), di Cuneo il 3 maggio 1978 e di Bassano del Grappa il 12 aprile 1979, rispettivamente iscritte ai nn. 458, 464 e 541 del registro ordinanze 1977; 150, 159, 160, 209, 442 e 464 del registro ordinanze 1978, e 256, 257, 333 e 456 del registro ordinanze 1979, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 327 e 334 del 1977; nn. 39, 154, 158, 179 e 347 del 1978 e nn. 3,147,175 e 210 del 1979.

Visto l'atto di costituzione di Romano Fabio e Studio Verna, di Bianchi Luigi e Chiesa Gabriele;

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 5 dicembre 1979 il Giudice relatore Livio Paladin;

uditi gli avvocati Victor Uckmar e Paolo Barile, per Bianchi e Chiesa, ed Emanuele Granelli, per Romano e Studio Verna, e il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Cipparrone, per il Presidente del Consiglio dei ministri.


Ritenuto in fatto:

1. - Sulla base di un'eccezione proposta da Peter Guggi, avverso l'iscrizione a ruolo dell'ILOR relativa ai redditi professionali percepiti dal ricorrente nel 1974, la Commissione tributaria di 1 grado di Lecco ha sollevato - con ordinanza emessa il 13 aprile 1977 - questione di legittimità costituzionale del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, per pretesa violazione degli artt. 3, 35 e 53 Cost., nella parte in cui tale atto legislativo prevede l'applicazione dell'ILOR "solo a carico dei lavoratori autonomi".

L'ordinanza di rimessione assume che alle pur indubbie diversità riscontrabili fra lavoro autonomo e lavoro dipendente non corrisponderebbe una diversa capacità contributiva: né in linea di fatto, dal momento che non tutti i redditi di lavoro autonomo sarebbero qualificabili come redditi misti di capitale e lavoro; né sul piano costituzionale, dal momento che l'art. 35 Cost., tutelando il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni, non consentirebbe trattamenti privilegiati dell'una o dell'altra attività lavorativa. D'altra parte, nemmeno si potrebbe sostenere che l'imposta in esame abbia la funzione di sanare l'evasione fiscale nella quale incorrono certi professionisti: poiché l'effetto di essa consisterebbe, al contrario, nel costituire "un ulteriore incentivo ad altre evasioni".

2. - Nel corso di un analogo giudizio, accogliendo le eccezioni proposte dal ricorrente Rossano Egisti, la Commissione tributaria di 1 grado di Grosseto ha sollevato a sua volta - con ordinanza emessa il 4 giugno 1977 - le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, primo comma, lett. a), e 7, primo, secondo e quarto comma, del d.P.R. n. 599 del 1973, in riferimento agli artt. 3,35, primo comma, e 53, primo comma, della Costituzione.

Premessa una sintetica motivazione sulla rilevanza delle questioni in esame, l'ordinanza di rimessione osserva, da un lato, che l'art. 1 del d.P.R. n. 599 "comporta una voluta disparità di trattamento fra redditi di lavoro autonomo e redditi di lavoro subordinato": disparità che sarebbe però ingiustificata, non basandosi sopra una diversa capacità contributiva, bensì sul solo motivo delle "maggiori possibilità di evasione" dei lavoratori autonomi, vale a dire "sulla dichiarata incapacità dello Stato a garantire il corretto funzionamento del sistema tributario". D'altro lato, l'art. 7 del predetto decreto sarebbe viziato - per converso - da una irragionevole parificazione di situazioni differenziate, quali i redditi di lavoro ed i redditi misti, operata senza comunque tener conto dell'apporto dato dal lavoro nel concorrere alla produzione del reddito. In effetti, la forfettaria determinazione delle deduzioni condurrebbe "ad un sistema impositivo basato su una capacità presunta, anziché effettiva e reale": in chiaro contrasto con il principio sancito dall'art. 53 della Costituzione.

3. - L'art. 1 del d.P.R. n. 599 del 1973 è stato impugnato, previa eccezione del ricorrente Alberico Garlatti, per pretesa lesione degli artt. 3 e 53 Cost., anche da parte della Commissione tributaria di 1 grado di Pordenone, con ordinanza emessa il 29 marzo 1977.

Il giudice a quo torna ad insistere sulla discriminazione fra i redditi di lavoro autonomo e quelli di lavoro dipendente, risultante dalla circostanza che solo i primi siano assoggettati all'ILOR, indipendentemente dal loro ammontare. Con ciò il legislatore avrebbe violato l'esigenza, costituzionalmente garantita, che a pari capacità contributiva sia ricollegato un pari carico tributario, quale che sia la provenienza dei redditi colpiti.

4. - Su eccezione del ricorrente Luigi Pelizzari, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, primo comma, lett. a), e 7, primo, secondo e quarto comma, del d.P.R. n. 599 del 1973, è stata inoltre proposta - con ordinanza del 1 dicembre 1977 - dalla Commissione tributaria di 1 grado di Lucca, in riferimento agli artt. 3, 35, primo comma, e 53, primo comma, Cost.

Si assume qui pure che la prima norma impugnata concreterebbe un'incostituzionale "sperequazione di trattamento tra il lavoro autonomo ed il lavoro subordinato": con effetti particolarmente iniqui "quando si tratti dello stesso tipo di lavoro svolto nell'un caso nell'ambito di una impresa, con le garanzie e le certezze che offre un rapporto di dipendenza; nell'altro caso nell'ambito strettamente individuale ... con un minimo irrilevante impiego di capitale". Per ciò stesso - si aggiunge - sarebbe incostituzionale anche il ricordato art. 7, "nella parte in cui disciplina in modo uniforme il regime di applicazione dell'imposta ILOR", quanto ai redditi agrari, di impresa e di lavoro autonomo.

5. - Con due conformi ordinanze del 7 novembre 1977, facendo in parte propri i motivi dedotti dai ricorrenti Maddalena Vigliani e Oreste Mensitieri, la Commissione tributaria di 1 grado di Pinerolo ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 del d.P.R. n. 599 del 1973, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost.

Pur non contestando le notevoli e molteplici diversità che separano sul piano giuridico il lavoro dipendente dal lavoro autonomo, il giudice a quo non ritiene "razionalmente giustificabile" il diverso trattamento tributario che ad essi ha riservato il legislatore, a fronte di redditi d'eguale importo. Corrispondentemente, lesivo dell'art. 3 (nonché dell'art. 53 Cost.) sarebbe anche l'eguale trattamento del reddito di lavoro autonomo rispetto al reddito d'impresa. "In quest'ultimo" - osserva infatti l'ordinanza di rimessione - "la componente patrimoniale è fondamentale ..., mentre, in ordine al reddito derivante da lavoro autonomo, la presenza di capitale è di regola assai modesta, ed in taluni casi può essere addirittura trascurabile e nulla": con la conseguenza che per esso l'ILOR realizzerebbe - illegittimamente - una "ipercontribuzione".

Quanto invece all'art. 35 Cost., la Commissione ritiene che non sia corretto invocarlo a parametro, trattandosi di una norma estranea alla materia tributaria. D'altronde, non sarebbe comunque pertinente la denuncia dell'art. 7 del d.P.R. n. 599, poiché detta norma potrebbe - in ipotesi - risultare "affetta da incostituzionalità derivata" e non incostituzionale per se stessa, là dove prevede una certa deduzione, sia pure parificando ingiustamente il lavoro autonomo all'impresa.

6. - In tutti questi giudizi si è costituito il solo Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la Corte dichiari infondate le predette eccezioni di legittimità costituzionale.

Con motivazioni comuni a tutti gli atti di intervento, l'Avvocatura dello Stato considera pienamente legittimo che, nell'ambito dell'imposizione reale in cui rientra l'ILOR, la legge ordinaria possa (ed anzi debba), a parità di redditi, "variare il carico tributario in ragione della qualità oggettiva delle fonti produttive". Già prima della riforma tributaria si distinguevano, a questi effetti, redditi fondiari, di capitale, di impresa, di lavoro autonomo, di lavoro subordinato; e ciò sarebbe tuttora indispensabile, a meno di intendere la capacità contributiva come principio che imponga di ragguagliare la contribuzione per tutti indistintamente i tipi di reddito. Nel caso in esame, del resto, la fonte produttiva del reddito non sarebbe soltanto il lavoro, poiché concorrerebbero "un impiego di capitale e di organizzazione". E si tratterebbe inoltre, da una parte, d'un lavoro caratterizzato da una "redditività maggiore"; d'altra parte, di redditi "per loro natura meno suscettibili di completo ed integrale accertamento", diversamente dai redditi di lavoro subordinato.

Partendo da queste medesime premesse, l'Avvocatura dello Stato nega che possa ritenersi irragionevole "l'assimilazione del reddito di lavoro autonomo al reddito agrario e al reddito di impresa individuale nel caso che il soggetto passivo presti la propria opera nell'impresa e tale prestazione costituisca la sua occupazione prevalente". E nega, altresì, l'irragionevolezza della detrazione del 50% fino al tetto di 12 milioni, trattandosi in sostanza della "determinazione di una diversa aliquota", operata in via generale "per tutta una categoria di redditi".

7. - Nel giudizio sui ricorsi riuniti proposti da Fabio Romano, Giuseppe Verna, Luigi Romolo Bianchi e Gabriele Chiesa (quali contribuenti assoggettati all'ILOR per i redditi di lavoro autonomo da essi conseguiti nel 1974), la Commissione tributaria di 1 grado di Milano ha sollevato - su eccezioni dei ricorrenti - questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 7 del d.P.R. n. 599 del 1973, in riferimento agli artt. 3, 35 e 53 della Costituzione.

L'ordinanza di rimessione - datata 17 giugno 1977 - premette che "la distinzione del lavoro autonomo da quello subordinato non appare suscettibile di incidere", come invece si verifica agli effetti dell'ILOR, "sulla qualificazione del reddito in ragione delle diverse modalità con cui si esplica l'attività lavorativa del percipiente": sia perché "gli oneri connessi allo svolgimento dei due tipi di attività" risulterebbero, oggi, quanto meno livellati; sia perché, dato l'art. 35 Cost., il lavoro dipendente non sarebbe di per sé meritevole di maggior tutela. E d'altra parte - si aggiunge - la diversa disciplina tributaria introdotta dall'ILOR non verrebbe nemmeno giustificata dalla componente patrimoniale riscontrabile nella produzione del reddito di lavoro autonomo: poiché in linea di massima tale componente si presenterebbe "in una percentuale del tutto irrisoria", né varrebbe comunque a far considerare come "misto" il reddito stesso.

Quanto poi all'art. 7 del predetto decreto presidenziale, anch'esso sarebbe costituzionalmente censurabile: in quanto verrebbe "ad unificare il trattamento del lavoro autonomo, cui gli artt. 1 e 35 Cost. riconoscono dignità pari a quella del lavoro subordinato, con il regime fiscale dell'investimento capitalistico, anche per il caso (di gran lunga il più frequente) in cui la componente patrimoniale risulti ... minima e del tutto trascurabile".

8. - È intervenuto dinanzi a questa Corte il Presidente del Consiglio dei ministri, insistendo nelle argomentazioni e nelle conclusioni già ricordate. Si sono inoltre costituiti, chiedendo per contro l'annullamento delle norme impugnate, tutti i ricorrenti nel giudizio a quo.

In particolar modo, mediante una memoria successiva all'atto di costituzione, la difesa di Giuseppe Verna ha sostenuto: primo, che "l'affinarsi delle procedure impositive" renderebbe attualmente assai minori le possibilità di evasione tributaria per i lavoratori autonomi (pur dato, e non concesso, che in ciò possa consistere la ratio del denunciato regime fiscale); secondo, che la discriminazione qualitativa dei redditi, genericamente invocata dall'Avvocatura dello Stato, sarebbe comunque illegittima se attuata in modo arbitrario, ignorando la reale capacità contributiva dei soggetti incisi, nella quale anche la discrezionalità legislativa incontrerebbe "un limite invalicabile"; terzo, che nel lavoro autonomo (e specie professionale) l'eventuale elemento patrimoniale non assumerebbe mai una "autonoma funzionalità, che lo renda fruibile indipendentemente dall'opera professionale del lavoratore"; quarto, che sarebbe dunque irrazionale (e non certo sanata dalla detrazione del 50% fino a 12 milioni) l'equiparazione dei redditi di lavoro a quelli d'impresa.

Del pari, negli atti di costituzione e nelle conseguenti memorie, la difesa di Luigi Bianchi e di Gabriele Chiesa ha ricordato che, in vista delle incongruenze della discriminazione qualitativa dei redditi operata nel precedente sistema, sia la Commissione per lo studio della riforma tributaria sia il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro sia lo stesso Governo nei due consecutivi disegni di legge - delega avevano avvertito di dover mantenere distinti dai redditi patrimoniali tutti i redditi di lavoro, in quanto "guadagnati" ed in quanto temporanei anziché permanenti come quelli di capitale. Su questo punto, invece, la Commissione finanze e tesoro della Camera avrebbe effettuato un colpo di mano, configurando l'ILOR come "tributo reale a carattere generale gravante su tutti i redditi, ad - eccezione di quelli derivanti da lavoro subordinato": ma ciò, senza che vi fosse un adeguato fondamento giustificativo ed anzi incorrendo in diffuse obiezioni dottrinali (largamente riportate in appendice ad una delle memorie in questione).

Effettivamente, si osserva in tali memorie che gli argomenti addotti dal legislatore a sostegno della maggiore imposizione sui redditi di lavoro autonomo risulterebbero inconsistenti. Quanto all'integrale deducibilità delle spese di produzione, a fronte della detrazione fissa, prevista per il lavoro dipendente, si tratterebbe di un rimedio pienamente congruo, dato l'enorme divario intercorrente fra le une e le altre spese e data, comunque, l'esigenza di colpire un reddito netto e non un reddito lordo. Quanto alla pretesa elevatezza dei redditi professionali, a compensarla varrebbe - in ogni caso - la progressività dell'IRPEF; ed anzi i redditi di lavoro autonomo si dimostrerebbero oggi svantaggiati rispetto ai redditi di lavoro dipendente, data l'aleatorietà di essi, cui corrisponderebbero invece sistemi di sicurezza sociale e la stabilità del posto di lavoro, previsti a beneficio dei lavoratori subordinati. Quanto poi alle maggiori possibilità di evasione delle quali godrebbero i professionisti - anche a tacere delle ritenute cui vengono assoggettati i loro compensi - l'ILOR comporterebbe in questo senso una "sorta di responsabilità collettiva", colpendo chi paga per chi si sottrae ai suoi obblighi, in chiara violazione dell'art. 53 Cost. E quanto, infine, alla componente patrimoniale dei redditi dei lavoratori autonomi, essa formerebbe l'oggetto di una indimostrata presunzione del legislatore, frutto di un'irragionevole equiparazione dei lavoratori autonomi agli imprenditori.

9. - Con motivazioni conformi a quelle già ricordate, identiche od analoghe questioni di legittimità costituzionale sono state quindi sollevate da altre Commissioni tributarie.

Mediante un'ordinanza emessa il 10 aprile 1978, la Commissione tributaria di 1 grado di Bassano del Grappa ha infatti impugnato - su eccezione del ricorrente Giovanni Battista Menegotto - gli artt. 1, secondo comma, lett. a), e 7, primo, secondo e quarto comma, del d.P.R. n. 599 del 1973, in riferimento agli artt. 3, 35, primo comma, e 53, primo comma, della Costituzione.

A sua volta, la Commissione tributaria di 1 grado di Palermo, con ordinanza emessa - sempre su eccezione di parte - il 24 giugno 1977 (ma pervenuta alla Corte il 24 luglio 1978), ha dichiarato non manifestamente infondata la questione di legittimità dell'art. 4, n. 1, del d.P.R. 9 ottobre 1971, n. 825, e dell'art. 1, lett. a), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, per pretesa violazione dell'art. 53 della Costituzione.

Ancora, con due identiche ordinanze del 5 maggio 1978, accogliendo le eccezioni avanzate dai ricorrenti, la Commissione tributaria di 1 grado di Torino ha nuovamente impugnato gli artt. 1 e 7, primo, secondo e quarto comma, del d.P.R. n. 599 del 1973, in riferimento agli artt. 3, 35 e 53 Cost. Premessa l'analisi dei lavori preparatori della riforma tributaria, il giudice a quo rileva in tal senso che, "invece di realizzare uno strumento di discriminazione fra redditi fondati (di natura patrimoniale) e redditi non fondati (di lavoro), si è pervenuti ad una discriminazione tra redditi di lavoro autonomo e redditi di lavoro subordinato in più equivocando, almeno parzialmente, nell'ambito dei redditi misti, tra lavoro autonomo e redditi di impresa delle persone fisiche". Non varrebbe in contrasto l'argomento dell'integrale detrazione delle spese, di cui beneficiano i redditi da lavoro autonomo: poiché, se ciò alterasse l'eguaglianza di trattamento, basterebbe disporre un corrispondente beneficio anche per i redditi da lavoro subordinato. Nemmeno gioverebbe invocare le maggiori possibilità di evasione dei redditi del primo tipo: giacché si tratterebbe di un "invito indiretto" alla evasione stessa, nonché di un modo per far ricadere indiscriminatamente sui contribuenti le insufficienze dell'amministrazione finanziaria. Né si potrebbe trarre giustificazione dalla maggiore "quantità" dei proventi del lavoro autonomo, dal momento che l'ILOR sarebbe stata istituita per colpire e discriminare la "qualità" dei redditi in questione.

10. - La questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 7 del d.P.R. n. 599 del 1973 è stata finalmente sollevata - in riferimento agli artt. 3, 35 e 53 Cost. - dalle Commissioni tributarie di Cuneo e di Bassano del Grappa, con ordinanze rispettivamente emesse il 3 maggio 1978 ed il 12 aprile 1979.

Per altro, quest'ultimo giudice ha impugnato l'art. 7, anche "nella parte in cui non prevede la concessione del beneficio di abbattimento della base imponibile ai redditi di lavoro autonomo occasionale"; e ciò in riferimento all'art. 76 Cost., per pretesa violazione delle norme deleganti contenute nell'art. 4, n. 5, della legge 9 ottobre 1971, n. 825.

11. - In tutti questi giudizi si è costituito il solo Presidente del Consiglio dei ministri, per ribadire le tesi già illustrate.

In una successiva memoria, l'Avvocatura dello Stato ha inoltre sostenuto che l'istituzione dell'ILOR sarebbe seguita "ad approfondite e motivate scelte del legislatore": il quale avrebbe scartato l'idea di creare un'imposta patrimoniale pura (come anche un'imposta reale su redditi patrimoniali specifici), per disporre invece "una forma generalizzata di prelievo tributario su qualsiasi specie di reddito patrimoniale, comprendendo anche quei redditi per i quali l'elemento patrimonialistico, pur non essendo assoluto, concorresse con l'esercizio di attività personali - lato sensu, lavorative - del reddituario".

A torto, pertanto, le ordinanze di rimessione assumerebbero "la piena ed assoluta equiparazione qualitativa tra i redditi di lavoro autonomo ed i redditi di lavoro subordinato": in primo luogo, perché su di un piano generale rimarrebbe ferma, fra i due tipi di lavoro in esame, "una tradizionale e sempre recepita distinzione"; in secondo luogo, perché le libere professioni tenderebbero, nella società contemporanea, ad industrializzarsi; in terzo luogo, perché una piena omogeneità dei redditi posti a confronto dovrebbe coincidere - il che non si verifica - "con una piena uniformità dei sistemi di accertamento e di riscossione" dei relativi tributi.

Su questa base, la memoria dell'Avvocatura dello Stato contesta anche le censure più specifiche, mosse dai giudici a quibus contro l'ordinamento dell'ILOR: negando in particolar modo che il legislatore sia incorso in eccessi di delega; difendendo il ricorso a presunzioni, quali forme più idonee per conseguire certezze giuridiche; giustificando l'equiparazione fra redditi d'impresa e redditi di lavoro autonomo, là dove sussistano situazioni promiscue ed intermedie.

12. - Nella pubblica udienza del 5 dicembre 1979, tutte le parti costituite hanno ampiamente riproposto le rispettive deduzioni.


Considerato in diritto:

1. - Le tredici ordinanze di rimessione contestano tutte la legittimità costituzionale delle norme concernenti l'istituzione e la disciplina dell'imposta locale sui redditi, in quanto prevedono (o in quanto non escludono) l'applicazione del l'imposta a carico dei lavoratori autonomi.

Precisamente, la Commissione tributaria di 1 grado di Lecco impugna in questo senso l'intero d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599. Le altre Commissioni prendono invece di mira l'art. 1 del decreto stesso, ora assumendolo nel suo complesso, ora mettendo in questione il solo capoverso, ora censurando la mancata esclusione dei lavoratori autonomi e dei professionisti, per disparità di trattamento rispetto ai lavoratori dipendenti, di cui all'art. 1, primo comma, lett. a) (ma trattasi - in tal caso - di un evidente errore materiale, dal momento che la lettera a, relativa all'esenzione dei redditi di lavoro dipendente e assimilati, è contenuta nel secondo e non nel primo comma dell'articolo impugnato). E varie ordinanze estendono l'impugnativa all'art. 7 del predetto decreto, con particolare riguardo al primo, secondo e quarto comma, in quanto non consentono un differenziato trattamento tributario del lavoro autonomo, ai fini delle deduzioni dai rispettivi redditi; mentre la Commissione tributaria di 1 grado di Palermo, oltre all'art. 1, lett. a), del d.P.R. n. 599 del 1973, coinvolge nella sua denuncia l'art. 4, n. 1, della legge - delega per la riforma tributaria (sia pure indicata attraverso il riferimento, anch'esso manifestamente erroneo e quindi suscettibile di venire corretto, ad un insussistente d.P.R. 9 ottobre 1971, n. 825).

Quali parametri, tutte le ordinanze (con l'unica eccezione di quella emessa il 24 giugno 1977 dalla Commissione tributaria di 10 grado di Palermo, che fa richiamo al solo principio di capacità contributiva) invocano congiuntamente gli artt. 3 e 53 della Costituzione. Ma varie Commissioni prospettano altresì la violazione dell'art. 35, là dove esso dichiara che "la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni". E la Commissione tributaria di 1 grado di Bassano del Grappa - mediante l'ordinanza datata 12 aprile 1979 - sostiene a sua volta che l'art. 7 del d.P.R. n. 599 del 1973 si porrebbe in contrasto con l'art. 76 Cost., violando il principio direttivo stabilito dall'art. 4, n. 5, della legge - delega n. 825 del 1971, per la mancata concessione delle relative deduzioni a favore dei redditi di lavoro autonomo occasionale.

Ma l'apparente varietà delle prospettazioni non toglie che la questione di legittimità costituzionale, così sollevata dalle tredici ordinanze di rimessione, si presenti pur sempre in termini fondamentalmente comuni; sicché i relativi giudizi si prestano ad essere riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - All'origine del problema che la Corte è chiamata a risolvere, stanno le profonde modifiche introdotte quanto all'ambito di applicazione dell'imposta in esame, a partire dai progetti governativi di riforma tributaria sino all'entrata in vigore della legge - delega n. 825 del 1971 e della conseguente legge - delegata n. 599 del 1973. Concepito e denominato - inizialmente - come "imposta locale sui redditi patrimoniali", questo tributo avrebbe dovuto colpire i redditi di capitale, i redditi di terreni e di fabbricati, i redditi agrari e quelli derivanti dall'esercizio di imprese commerciali: realizzando con ciò una discriminazione qualitativa dei redditi stessi, che era destinata per definizione - come chiariva espressamente la relazione all'art. 4 del disegno di legge n. 1639, presentato dal Governo alla Camera dei deputati il 1 luglio 1969 - a lasciare esenti redditi di lavoro, qualunque fosse la loro fonte e la loro natura. L'originaria configurazione del tributo venne invece abbandonata - per motivi che non sono mai stati ufficialmente esposti in modo organico - nel seguito dei lavori preparatori, a cominciare dal testo alternativo, elaborato in seno alla sesta Commissione permanente della Camera. In un primo tempo, la denominazione prescelta dal progetto governativo fu dunque ampliata, nel senso di prevedere un'"imposta locale sui redditi patrimoniali, d'impresa e professionali", estesa anche a carico dei liberi professionisti, sia pure con le stesse deduzioni già predisposte a beneficio degli imprenditori che prestassero continuativamente la propria opera nelle imprese in questione. In un secondo tempo, si preferì trattare - sinteticamente - di "imposta locale sui redditi", in quanto applicabile alla generalità dei "singoli redditi prodotti nel territorio dello Stato, esclusi quelli di lavoro subordinato" (secondo il definitivo disposto dell'art. 4, n. 1, della legge - delega n. 825 del 1971).

A conclusione di tali sviluppi, potrebbe parere che l'imposta abbia completamente smarrito l'iniziale ragion d'essere. Non a caso, nella relazione ministeriale allo schema di decreto delegato per l'istituzione dell'ILOR si afferma appunto che essa "viene ad assumere ... la prevalente funzione di fattore discriminante il trattamento tributario dei redditi diversi da quelli di lavoro subordinato". Ed anche in dottrina vari autori ragionano dell'imposta medesima - a costo di una certa imprecisione di linguaggio - come d'una sorta di addizionale o come d'una rinnovata imposta complementare; o, più semplicemente, ne mettono in rilievo il carattere accessorio rispetto all'IRPEF e all'IRPEG, fatta salva l'esclusione del lavoro dipendente (nonché degli altri redditi specificamente riguardati dalle lettere b) e c) dell'art. 1, secondo comma, del decreto istitutivo).

Senonché, a ben vedere, nel vigente ordinamento dell'ILOR continuano a riflettersi i motivi ispiratori dell'originaria concezione. Da un lato, nell'ambito del presupposto identificato dall'art. 1 del d.P.R. n. 599 del 1973, tutti i redditi diversi da quelli di lavoro autonomo sono pur sempre redditi fondati o contraddistinti, in ogni caso, da una significativa componente di capitale; sicché sembra lecito desumerne che lo stesso lavoro autonomo sia stato inquadrato dal legislatore tributario fra le attività produttive di redditi misti, di capitale e non solo di lavoro. D'altro lato, una tale ipotesi interpretativa è largamente confermata dall'art. 7 del decreto istitutivo: poiché l'aver previsto una comune deduzione, sia per i redditi di lavoro autonomo sia per i redditi agrari o d'impresa quando le prestazioni personali del soggetto passivo del tributo costituiscano "la sua occupazione prevalente", sembra fornire la riprova che anche per i lavoratori autonomi sia stato così perseguito l'intento di "eliminare dall'imponibile la parte che si può considerare formata dal lavoro del soggetto " (come precisava la citata relazione al disegno governativo n. 1639 del 1969). E, coerentemente, l'Avvocatura dello Stato non esita, nella sua memoria, a dare per scontata la premessa che l'ILOR si configuri tuttora "come imposta reale proporzionale finalizzata alla tassazione oggettiva di tutti i redditi caratterizzati, totalmente o anche solo parzialmente, da elementi di patrimonialità".

3. - E precisamente da queste ambiguità del disegno legislativo, che traggono lo spunto le ordinanze di rimessione, in riferimento al combinato disposto degli artt. 3 e 53 Cost.: denunciando in sostanza la violazione di quel principio di eguaglianza tributaria, per cui la Corte ha affermato - nella sentenza n. 120 del 1972 - "che a situazioni uguali devono corrispondere uguali regimi impositivi e, correlativamente, a situazioni diverse un trattamento tributario disuguale", attuando in tal modo l'"esigenza che ogni prelievo tributario abbia causa giustificatrice in indici concretamente rivelatori di ricchezza".

Vero è che i profili evidenziati in questo senso, nelle motivazioni e nei dispositivi delle varie ordinanze, si presentano duplici e di segno apparentemente opposto. Per un primo verso, infatti, alcune Commissioni tributarie sottolineano l'irragionevolezza della discriminazione stabilita dalla disciplina concernente l'ILOR, secondo che si tratti di lavoro autonomo oppure dipendente; per un secondo verso, altre Commissioni danno piuttosto rilievo all'ingiustificatezza dell'assimilazione fra redditi di lavoro autonomo, i redditi agrari ed i redditi di impresa (per non dire degli stessi redditi puramente patrimoniali), derivante dall'art. 1 prima ancora che dall'art. 7 del decreto istitutivo.

Ma le due prospettive si risolvono, in realtà, nei diversi aspetti di un'unica questione di legittimità costituzionale. Le norme relative all'ILOR sono cioè censurate, in quanto distraggono i redditi di lavoro autonomo dalla disciplina tributaria del lavoro dipendente, al solo scopo di attrarre i redditi stessi - corrispondentemente - nell'ambito della disciplina dei redditi misti o fondati: senza che le conseguenti classificazioni legislative si ricolleghino ad una specifica e congrua capacità contributiva dei lavoratori sottoposti al tributo.

Così ricostruita, l'impugnativa dev'essere accolta. E ne risulta assorbita l'ulteriore questione riguardante la legittimità dell'art. 1 del d.P.R. n. 599 del 1973, sollevata in vista dell'art. 35 della Costituzione.

4. - Nello sforzo di sostenere la costituzionalità dell'assoggettamento del lavoro autonomo all'imposta locale sui redditi, l'Avvocatura dello Stato ha svolto due ordini di considerazioni, pertinenti entrambe alla sistemazione concettuale delle attività così colpite. In primo luogo, tanto in sede giuridica quanto in sede economica, il lavoro autonomo rappresenterebbe un fenomeno ben differenziato dal lavoro dipendente. In secondo luogo, sussisterebbe invece una strettissima "contiguità" fra i redditi di lavoro autonomo e i redditi d'impresa, tale che non sarebbe ragionevole la contrapposizione dei lavoratori autonomi (e dei liberi professionisti, in particolar modo) ai piccoli imprenditori ed agli stessi commercianti.

Né l'uno né l'altro assunto valgono però a giustificare la scelta legislativa in questione. I marcati tratti distintivi del lavoro autonomo nei confronti del lavoro dipendente sono certo incontestabili, sul piano del diritto tributario come già sul piano del diritto civile. Ma la discriminazione qualitativa dei redditi non implica soltanto che le rispettive fonti di produzione siano diverse; bensì richiede - per dimostrarsi costituzionalmente legittima - che a questa diversità corrisponda una peculiare e differenziata capacità contributiva, propria dei redditi incisi rispetto ai redditi esclusi dal tributo, a parità di ammontare della base imponibile. E nulla consente di desumere, né dai lavori preparatori né dal testo delle norme riguardanti l'imposta in esame, che la capacità posta a base dell'ILOR possa farsi consistere nelle caratteristiche differenziali delle varie forme di lavoro, per sé considerato.

D'altra parte, per dare la prova di una maggiore attitudine' dei lavoratori autonomi alla contribuzione, non giova postulare l'esistenza di un inscindibile continuum, comprensivo dei redditi di lavoro autonomo (e specialmente dei redditi professionali) unitamente ai redditi d'impresa: la cui discriminazione qualitativa, rispetto ai redditi esclusi dall'ILOR, non viene contestata - per lo meno di massima - sul piano della legittimità costituzionale. Indiscutibilmente, può essere arduo stabilire - al limite - se singole specie di attività lavorative appartengano all'area imprenditoriale oppure al lavoro autonomo strettamente inteso. Così pure, sono sempre controversi in dottrina gli stessi criteri di definizione dei concetti d'impresa e d'imprenditore; e le difficoltà si accentuano nel campo tributario, poiché le nozioni adottate dall'art. 51 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, differiscono in parte dalle configurazioni civilistiche, sia nel senso di riguardare soggetti passivi che non sono veri e propri imprenditori commerciali, sia nel senso di colpire attività diverse da quelle considerate nell'art. 2195 cod. civ. Ma la presenza di una zona grigia, intermedia fra i redditi sicuramente imprenditoriali e quelli sicuramente lavorativi, non toglie che - sul piano normativo - altro siano il lavoro autonomo in genere e le libere professioni in specie, altro le attività peculiari delle imprese commerciali (o giuridicamente assimilate od assimilabili ad esse).

Le realtà del lavoro e dell'impresa sono bensì interferenti: tanto è vero che l'art. 2238 cod. civ. prevede che l'esercizio della professione possa costituire "elemento di un'attività organizzata in forma d'impresa"; e che la stessa Corte ha ipotizzato - nella sentenza n. 17 del 1976 - "che determinate attività professionali ... richiedano oggi un'organizzazione a base imprenditoriale". Precisamente dall'art. 2238 cod. civ. si ricava però, con certezza, che il libero professionista come tale non è un imprenditore. E ne danno larghissima conferma il carattere personale delle prestazioni ex articolo 2232 cod. civ., le caratteristiche forme e misure di compenso che in proposito impone l'art. 2233, il diverso rischio che grava sull'imprenditore, rispetto al prestatore di opera intellettuale.

Del resto, se anche si restringe l'indagine all'ordinamento tributario immediatamente anteriore alla riforma del 1971, è vero che i redditi d'impresa ne venivano considerati di categoria C1, quando si trattasse di attività "organizzate prevalentemente con il lavoro proprio del contribuente e dei componenti della famiglia" (secondo l'art. 85 del d.P.R. n. 645 del 1958); ma non è meno vero che la relativa aliquota dell'imposta di ricchezza mobile risultava allora identica a quella stabilita per la categoria C2, ossia per i redditi di lavoro subordinato (anche se - da ultimo - le rispettive quote esenti erano state diversificate dall'art. 1 della legge n. 801 del 1970). Sicché i precedenti non sorreggono affatto la tesi dell'Avvocatura dello Stato; ma, tutt'al più, offrono argomenti - non certo decisivi in un giudizio di legittimità costituzionale che riguarda il solo ordinamento successivo alla riforma - adducibili a sostegno di entrambe le tesi in contrasto.

In ogni caso, di fronte alla soluzione accolta dall'art. 4, n. 1, della legge n. 825 del 1971 e dall'art. 1 del d.P.R. numero 599 del 1973 - che sottopongono all'ILOR tanto i redditi di lavoro autonomo quanto i redditi d'impresa, come pure i redditi agrari e di terreni in genere, i redditi di fabbricati, i redditi di capitale - non si può non concludere che il legislatore ha adottato in sostanza (quali che fossero le intenzioni degli autori della riforma tributaria) una scelta di comodo, utile per superare le difficoltà operative inerenti all'esatta determinazione di una categoria così composita come quella costituita dai redditi patrimoniali. Sotto il profilo in esame, però, soluzioni del genere non risultano compatibili con i principi costituzionali di eguaglianza e di capacità contributiva. Come questa Corte ha più volte chiarito (cfr. le sentt. n. 103 e n. 109 del 1967, n. 99 del 1968, n. 200 del 1976), le presunzioni tributarie non sono di per sé illegittime, ma debbono fondarsi su "indici concretamente rivelatori di ricchezza" ovvero su "fatti reali", quand'anche difficilmente accertabili, affinché l'imposizione non abbia una "base fittizia". Viceversa, la presunzione su cui dovrebbe reggersi l'assoggettamento del lavoro autonomo all'ILOR si dimostra così incontrollabile ed indiscriminata, da rivelarsi per ciò solo irragionevole e dunque lesiva dell'eguaglianza tributaria.

5. - Analoghi motivi inducono ad escludere che la giustificazione delle norme impugnate possa farsi consistere - secondo le insistite argomentazioni dell'Avvocatura dello Stato - nella circostanza che a formare i redditi di lavoro autonomo concorrerebbe "una componente produttiva patrimoniale (anche se in misura ridotta o minima)"; sicché l'imposta tenderebbe appunto a colpire la "generica patrimonialità" dei redditi stessi, non diversamente dagli altri redditi misti.

In realtà, anche questa configurazione del lavoro autonomo risulta postulata assai più che dimostrata. Non a caso, l'Avvocatura dello Stato è costretta a riconoscere che la regola da essa affermata subisce, quanto meno, alcune eccezioni: dal momento che "non sempre" - come precisa la memoria depositata il 22 novembre 1979 - "il reddito di lavoro professionale può essere riferito, anche per parte modesta", ad una "base genericamente patrimonialistica". Ma, una volta fatta questa necessaria ammissione, la pretesa giustificazione rimane senz'altro privata del suo fondamento. Ed effettivamente non è in tali termini, così generalizzati ed approssimativi, che si può salvare una presunzione tributaria come quella in esame: non incidente sul quantum ma sull'an dell'obbligazione tributaria, cioè sulla stessa esistenza e non sulla sola consistenza del presupposto del tributo.

D'altronde, la comune esperienza dimostra che una significativa componente patrimoniale, nonché difettare in alcune eccezionali ipotesi, manca addirittura per ciò che riguarda una maggior parte dei redditi da lavoro autonomo. È infatti ben noto che i beni strumentali generalmente necessari per produrre i redditi stessi non hanno, di massima, natura e dimensioni economiche tali che il legislatore tributario ne possa ragionevolmente tener conto, ai fini di un'imposta sul tipo dell'ILOR. Ed è ancor più conclusiva la considerazione che, nei confronti di intere categorie di lavoratori autonomi, la patrimonialità del reddito non può essere neppure ipotizzata o postulata: in linea di fatto, per attività lavorative come quelle degli autori di opere letterarie e scientifiche o dei titolari di redditi "derivanti dalla collaborazione a giornali, riviste ed enciclopedie" (di cui all'art. 49, terzo comma, lett. a, del d.P.R. n. 597 del 1973); in linea di diritto, circa "redditi derivanti dalla partecipazione ad associazioni in partecipazione in qualità di associato quando l'apporto è costituito esclusivamente dalla prestazione di lavoro" (secondo l'espressa previsione dell'art. 49, terzo comma, lett. c); per non dire dei redditi di lavoro autonomo occasionale, assoggettati integralmente all'ILOR senza che i modelli per la dichiarazione annuale dei redditi consentano nemmeno di effettuare le deduzioni disposte dall'art. 7 del d.P.R. n. 599 del 1973.

Né si dimostra producente addurre il carattere sostanzialmente patrimoniale della clientela, dalla quale i liberi professionisti (come pure altri lavoratori autonomi) ricavano il loro reddito. Sotto questo stesso aspetto, non possono venir confuse e ridotte ad un'artificiosa unità fattispecie che si presentano assai diversificate: in quanto è ben diverso il caso delle società di professionisti, ai fini delle quali la clientela di uno dei soci può anche venir equiparata ad un apporto di capitale, dal caso del professionista isolato, che non disponga - intuitu personae - se non di clienti acquisiti mediante le sue proprie prestazioni. Ed è appunto quest'ultima la situazione che il legislatore dimostra di considerare normale: come si desume - indirettamente - dall'art. 35 della legge n. 392 del 1978, che non attribuisce al conduttore il diritto ad una indennità per la perdita dell'avviamento qualora si tratti di immobili "destinati all'esercizio di attività professionali", diversamente da ciò che si verifica - di regola - per le attività industriali, commerciali e artigianali.

Se a tutto ciò si aggiunge che i finanziamenti agevolati e gli altri contributi della mano pubblica, in conto interessi od anche in conto capitale, sono sistematicamente concessi alle grandi ed alle piccole imprese, mentre non vanno quasi mai a beneficio del lavoro autonomo strettamente inteso (e, in particolar modo, delle libere professioni), se ne ricava una ulteriore conferma dell'impossibilità di inquadrare indiscriminatamente i redditi di lavoro autonomo fra i redditi misti, in ragione della loro asserita patrimonialità.

6. - A compensare gli squilibri derivanti dall'art. 1, non basta la deduzione prevista dall'art. 7 del d.P.R. n. 599 del 1973, nella misura del cinquanta per cento del reddito annuo di lavoro autonomo, da un minimo di due milioni e cinquecentomila fino a un massimo di sette milioni e cinquecentomila lire (rispettivamente elevati a sei milioni e dodici milioni, per effetto dell'art. 11 della legge 2 dicembre 1975, n. 576). Malgrado si tratti di un notevole abbattimento alla base, questo beneficio non fa che ribadire - sul piano giuridico - l'illegittima presunzione che i redditi in esame ricadano fra i redditi misti e siano pertanto equiparabili ai redditi d'impresa: dal momento che la deduzione non spetta ai soli lavoratori autonomi, ma si applica - secondo il capoverso dell'art. 7 - agli stessi redditi agrari ed imprenditoriali, "a condizione che il soggetto presti la propria opera nell'impresa e tale prestazione costituisca la sua occupazione prevalente".

Ciò che è più grave, la discriminazione qualitativa dei redditi si degrada in tal senso a discriminazione quantitativa; e l'imposta locale sui redditi, quasi concepita come un duplicato dell'imposta personale, si trasforma corrispondentemente - secondo certe impostazioni dottrinali - da proporzionale in progressiva. In base alla ratio originaria della deduzione, essa mirava e verosimilmente mira, come si è già ricordato, a lasciare esente quella parte dei redditi misti che si presume imputabile al lavoro dei soggetti passivi del tributo. Senonché, mentre operazioni del genere si addicono ai redditi d'impresa, esse deformano le caratteristiche del lavoro autonomo, in ordine al quale non è certo sostenibile che l'elevatezza del reddito valga da sola a mutare - sopra una determinata soglia - la stessa natura dell'attività colpita dall'imposta.

Per i lavoratori autonomi, in altre parole, l'avere stabilito in modo meccanico che fino a due milioni e cinquecentomila lire (ora elevati a sei milioni) loro redditi siano qualificabili di puro lavoro, che da questa cifra fino a quindici milioni (ora elevati a ventiquattro) si tratti di redditi misti, che oltre un tale tetto essi debbano invece venire imputati ad una componente di puro capitale, rappresenta il frutto d'una presunzione tributaria basata sopra un'altra presunzione: cioè sulla premessa, già di per sé irragionevole, che i redditi di lavoro autonomo siano tutti assimilabili ai redditi d'impresa, dalla quale in sostanza procede l'art. 1 del d.P.R. n. 599 del 1973.

7. - A questo punto, per superare le censure mosse alla legittimità costituzionale dell'ILOR, nella parte concernente il lavoro autonomo, non resterebbe che cercare giustificazioni estrinseche rispetto ai presupposti del tributo. Ma anche un siffatto tentativo, variamente operato già nel corso dei lavori preparatori della legge - delega per la riforma tributaria, appare destinato all'insuccesso.

In primo luogo, non giova addurre - come si legge negli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri - "la considerazione, non ignorata dal legislatore, che i redditi di lavoro autonomo, indipendentemente dall'efficienza degli apparati amministrativi preposti, sono per loro natura meno suscettibili di completo ed integrale accertamento capace di eliminare in modo assoluto sottrazioni alla imposizione". Di fatto, può ben darsi che l'intento di reagire all'evasione tributaria dei lavoratori autonomi (e, in particolar modo, dei liberi professionisti), abbia pesato sulle scelte poste a fondamento dell'ILOR, nella sua versione conclusiva. Ufficialmente, però, l'argomento dell'evasione è stato più volte contestato, non senza una certa indignazione, durante i lavori preparatori della legge n. 825 del 1971: a partire dalla relazione di maggioranza della quinta Commissione permanente della Camera, là dove si precisa che "un trattamento fiscale commisurato, anche solo parzialmente, ad una presunzione di evasione sarebbe in stridente contraddizione con i motivi ispiratori della riforma, che mirano all'acquisizione di dichiarazioni veritiere", risolvendosi quindi in "un invito indiretto" all'evasione stessa. E d'altra parte, se questa ne fosse la giustificazione, l'ILOR non ristabilirebbe affatto una superiore eguaglianza fra i contribuenti, bensì aggraverebbe le sperequazioni già in atto fra coloro che dichiarano i propri redditi in termini assolutamente o almeno relativamente esatti e quanti invece presentano dichiarazioni incomplete o infedeli (o addirittura omettono di presentarle): poiché la circostanza che dichiarazioni, accertamenti e rettifiche siano comuni all'IRPEF e all'ILOR, verrebbe ancora una volta a premiare chi sfugge del tutto od in parte all'imposta personale, evadendo in tal modo - parallelamente - anche l'imposta locale sui redditi.

In secondo luogo, ai fini dell'attuale decisione non è probante osservare - come già riferiva la quinta Commissione permanente del Senato - che i redditi di lavoro autonomo sono preventivamente depurati da tutte le spese di produzione; diversamente dai redditi di lavoro dipendente, che in tal senso non beneficiano altro che di una detrazione fissa. Da un lato, la deduzione delle "spese inerenti all'esercizio dell'arte o professione effettivamente sostenute" nel periodo d'imposta, nonché delle "spese per l'acquisto di beni strumentali" (di cui al primo ed al secondo comma dell'art. 50 del d.P.R. n. 597 del 1973), persegue l'ovvia esigenza di considerare un reddito netto anziché un reddito lordo. D'altro lato, se ciò comportasse una irragionevole disparità di trattamento fra lavoratori autonomi e subordinati, il rimedio dovrebbe consistere in una diversa regolamentazione della base imponibile dell'imposta personale e non certo nell'introduzione di una nuova ed apposita imposta, come quella locale sui redditi.

In terzo luogo, non regge nemmeno il rilievo - proposto dall'Avvocatura dello Stato - che non sussisterebbe "una piena uniformità dei sistemi di accertamento e di riscossione" delle somme rispettivamente dovute dai lavoratori autonomi e dai lavoratori dipendenti, quanto all'imposta sul reddito delle persone fisiche. Per meglio dire, il rilievo è incontestabile di per se stesso, specialmente per chi abbia riguardo agli anni antecedenti la cosiddetta autotassazione introdotta dall'art. 17 della legge n. 576 del 1975. In quel primo biennio di applicazione della riforma tributaria, cui si riferiscono tutte le ordinanze di rimessione, era infatti normale che l'imposta personale fosse pagata dai lavoratori autonomi a due - tre anni di distanza dalla produzione del reddito così colpito; tanto è vero che l'art. 16, secondo comma, della ricordata legge n. 576 prevedeva che l'IRPEF e l'ILOR dovute per il 1974 potessero "essere iscritte nei ruoli entro il 31 dicembre 1976", in vista della successiva riscossione "in quattro rate consecutive" (ed analogamente disponevano l'art. 1 della legge n. 160 e l'articolo 3 del d.P.R. n. 920 del 1976). Qui pure, tuttavia, il rimedio andava naturalmente escogitato all'interno della disciplina dell'IRPEF: per esempio, maggiorando l'ammontare dell'imposta medesima in ragione del tempo trascorso fra la dichiarazione (o la percezione) del reddito ed il versamento del relativo tributo, anziché istituire un'imposta specifica. Ciò che più conta, fin d'allora vari redditi di lavoro autonomo venivano - in parte - colpiti alla fonte, mediante le ritenute previste dall'art. 25 del d.P.R. numero 600 del 1973, senza che il decreto istitutivo dell'ILOR tenesse il minimo conto di ciò, al fine di ridurre correlativamente l'incidenza dell'imposta locale: il che rappresenta la riprova che la giustificazione dell'imposta stessa non può farsi consistere - neanche in relazione agli anni 1974 e 1975 - nel ritardato pagamento dell'IRPEF da parte dei titolari di redditi non derivanti da lavoro dipendente.

8. - Da nessun punto di vista, l'indiscriminata sottoposizione dei redditi di lavoro autonomo all'ILOR si presenta, dunque, costituzionalmente difendibile. Tuttavia, ciò non significa che tali redditi vadano comunque sottratti all'imposta locale, pur dove sussistano valide ragioni per assimilarli ai redditi d'impresa e, più in generale, per iscriverli fra i redditi misti. Allo stato attuale dell'ordinamento tributario, che non può essere diversamente articolato dalla Corte stessa, la distinzione fra i redditi di lavoro e i redditi d'impresa dovrà essere operata alla stregua dell'art. 51 del d.P.R. n. 597 del 1973: dal quale già risulta un ampliamento della nozione d'impresa, rispetto ai criteri adottati nel codice civile. Ma il legislatore potrà bene stabilire - nei limiti della ragionevolezza - ulteriori criteri, specificativi di quelli dettati dall'articolo 51.

L'illegittimità costituzionale dell'art. 4, n. 1, della legge n. 825 del 1971 e dell'art. 1 del d.P.R. n. 599 del 1973 va pertanto dichiarata nella parte in cui tali norme non escludono i redditi di lavoro autonomo, che non possano venire assimilati ai redditi d'impresa.

Quanto invece all'art. 7 del predetto decreto non occorre che, negli stessi termini, ne venga pronunciato l'annullamento: poiché la disciplina delle deduzioni a favore dei lavoratori autonomi è resa a sua volta inoperante, circa i rapporti ai quali non possa più essere applicato l'art. 1, già in forza della dichiarazione d'illegittimità parziale della disciplina riguardante il presupposto dell'imposta locale sui redditi. Ciò considerato, rimane assorbita anche la questione riguardante il preteso contrasto fra l'art. 7 e l'art. 76 Cost., per la mancata concessione del relativo beneficio a favore dei redditi di lavoro autonomo occasionale: questione che il giudice a quo ha sollevato congiuntamente, ed anzi subordinatamente, rispetto all'impugnativa dell'art. 1 del d.P.R. n. 599 del 1973.


per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 4, n. 1, della legge 9 ottobre 1971, n. 825, e dell'art. 1, secondo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, in quanto non escludono i redditi di lavoro autonomo, che non siano assimilabili ai redditi d'impresa, dall'imposta locale sui redditi.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 marzo 1980.

F.to: LEONETTO AMADEI - GIULIO GIONFRIDA - EDOARDO VOLTERRA - GUIDO ASTUTI - MICHELE ROSSANO - ANTONINO DE STEFANO - LEOPOLDO ELIA - GUGLIELMO ROEHRSSEN - ORONZO REALE - BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ARNALDO MACCARONE - ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI.

GIOVANNI VITALE - Cancelliere