ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 73 della legge
sull'ordinamento dello Stato Civile e degli artt. 6, 143-bis, 236,
237, secondo comma e 262, secondo comma, del codice civile, promossi
con 2 ordinanze emesse il 9 ottobre 1987 dal Tribunale di Lucca sui
ricorsi proposti da Ghiselli Franca e Gori Giuseppe ed altra,
iscritte ai nn. 780 e 781 del registro ordinanze 1987 e pubblicate
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53, prima serie
speciale, dell'anno 1987;
Udito nella camera di consiglio del 20 aprile 1988 il Giudice
relatore Luigi Mengoni;
Ritenuto in fatto
Ritenuto che il Tribunale di Lucca, con due ordinanze in data 9
ottobre 1987, ha sollevato "questione di legittimità costituzionale
degli artt. 73 della legge sull'ordinamento dello stato civile, 6,
143-bis, 236, 237, secondo comma, e 262, secondo comma, cod. civ. in
relazione agli artt. 2, 3 e 29 Cost., nella parte in cui non
prevedono la facoltà per la madre di trasmettere il proprio cognome
ai figli legittimi e per questi di assumere anche il cognome
materno";
che le disposizioni denunziate (incluso in esse per errore
manifesto anche l'art. 262, secondo comma, cod. civ.), le quali
prevedono che ai figli legittimi "debba imporsi solo il cognome
paterno evidentemente a causa dell'influenza che la concezione
patriarcale della famiglia ha avuto ed ha nella nostra società",
sono ritenute dal giudice remittente in contrasto con le norme
costituzionali citate perché violerebbero: a) il diritto
all'identità personale, impedendo ai figli legittimi di "evidenziare
i due rami genealogici che costituiscono il fondamento della
costituzione ereditaria ( sic) dell'individuo"; b) il principio di
eguaglianza, riservando ai figli legittimi "in punto di attribuzione
del cognome" un trattamento deteriore rispetto a quello previsto per
i figli naturali dall'art. 262, secondo comma, cod. civ., e per gli
adottivi dall'art. 27, primo comma, della legge n. 164 del 1983; c)
il principio di eguaglianza dei coniugi in ottemperanza al quale la
legge di riforma del diritto di famiglia del 1975 ha sostituito alla
patria potestà sui figli minori la potestà di entrambi i genitori;
che pertanto viene sollecitata una dichiarazione di
illegittimità costituzionale che consenta "l'attribuzione del doppio
cognome ai figli legittimi", rimettendo al legislatore il compito di
intervenire con una disciplina integrativa diretta a ovviare al
"rischio di eventuali disfunzioni di carattere burocratico che dalla
proliferazione dei cognomi può derivare";
che nei giudizi dinanzi a questa Corte non si sono costituite le
parti private, né ha spiegato intervento la Presidenza del Consiglio
dei Ministri.
Considerato che i giudizi di legittimità costituzionale
introdotti dalle due ordinanze sopra indicate hanno per oggetto la
medesima questione e quindi devono essere riuniti e decisi con unico
provvedimento;
che alcuni degli argomenti addotti dal giudice a quo, e
precisamente quello desunto dal diritto all'identità personale
tutelato dall'art. 2 Cost., e quello desunto dall'art. 262, secondo
comma, cod. civ., in relazione all'art. 3 Cost., sono già stati
giudicati privi di consistenza da questa Corte in riferimento ad
analoga questione sollevata da altro giudice e decisa con l'ordinanza
n. 176 del 1988;
che non meno inconsistente è l'ulteriore argomento desunto,
ancora in relazione all'art. 3 Cost., dall'art. 27 della legge 4
maggio 1983 n. 164, erroneamente interpretato nel senso che
l'adottato assumerebbe sia il cognome del padre adottivo sia il
cognome della madre adottiva: l'art. 27, primo comma, cit. dispone
che "per effetto dell'adozione l'adottato acquista lo stato di figlio
legittimo degli adottanti", e quindi il precetto successivo, a mente
del quale egli "assume e trasmette il cognome (non i cognomi) degli
adottanti" significa (in via di corollario) che, analogamente ai
figli legittimi, l'adottato assume il cognome determinato dalla legge
come segno distintivo dei membri della famiglia legittima costituita
dai genitori adottivi col matrimonio, cioè, secondo l'ordinamento
vigente, il cognome del marito;
che il limite derivante da tale ordinamento all'eguaglianza dei
coniugi non contrasta con l'art. 29 Cost., in quanto utilizza una
regola radicata nel costume sociale come criterio di tutela
dell'unità della famiglia fondata sul matrimonio;
che le altre argomentazioni del giudice remittente si svolgono
sul piano della politica legislativa, prospettando l'opportunità di
introdurre un diverso sistema di determinazione del nome "che
individua l'appartenenza della persona a un determinato gruppo
familiare", ugualmente idoneo a salvaguardarne l'unità senza
comprimere l'eguaglianza dei coniugi (dovendosi notare, peraltro, che
il sistema del doppio cognome - essendo indispensabile un correttivo
per impedire che il numero dei cognomi aumenti in proporzione
geometrica di generazione in generazione - consentirebbe alla madre
di trasmettere il proprio cognome soltanto ai figli, non anche ai
nipoti ex filiis);
che, oltre al sistema preferito dal giudice a quo, si prospetta
un'altra soluzione, la quale evita la complicazione del doppio
cognome, di guisa che si pone un problema di scelta del sistema più
opportuno e delle relative modalità tecniche, la cui decisione
compete esclusivamente al legislatore;
Visti gli artt. 26 della legge 11 marzo 1953 n. 87 e 9 delle norme
integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale;
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di
legittimità costituzionale degli artt. 73 del r.d. 9 luglio 1939 n.
1238 sull'ordinamento dello stato civile, 6, 143-bis, 236, 237,
secondo comma, e 262, secondo comma, cod. civ., in riferimento agli
artt. 2, 3 e 29 Cost., sollevata dal Tribunale di Lucca con le
ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'11 maggio 1988.
Il Presidente: SAJA
Il redattore: MENGONI
Il cancelliere: MINELLI
Depositata in cancelleria il 19 maggio 1988.
Il direttore della cancelleria: MINELLI