N. 466
SENTENZA 17-28 DICEMBRE 1993
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio
BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof.
Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof.
Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI,
prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI;
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio promosso con ricorso della Corte dei conti notificato il
21 maggio 1993, depositato in Cancelleria il 28 successivo, per
conflitto di attribuzione sorto in relazione:
a) alla sottrazione dell'I.R.I., dell'E.N.I., dell'I.N.A e
dell'E.N.E.L. al controllo della Corte dei conti previsto dall'art.
100, secondo comma, della Costituzione, effettuata sia mediante
l'esclusione dei magistrati della Corte dalle sedute dei relativi
organi di amministrazione e di revisione, sia mediante l'omesso invio
dei documenti concernenti la gestione di tali enti;
b) al mancato riconoscimento, da parte del Governo, del
persistente obbligo di sottoporre a controllo della Corte dei conti
gli enti trasformati in società per azioni e, comunque, alla mancata
ottemperanza, da parte di esso, dell'obbligo di adottare i
provvedimenti necessari al ripristino di tale controllo, come
dichiarato dalla Corte dei conti, Sezione del controllo, con
determinazione n. 29/92 del 22 settembre/3 ottobre 1992, ed iscritto
al n. 16 del registro conflitti del 1993;
Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nell'udienza pubblica del 2 novembre 1993 il Giudice
relatore Enzo Cheli;
Uditi gli avvocati Giorgio Oppo e Alessandro Pace per la Corte dei
conti e l'Avvocato dello Stato Ivo M. Braguglia per il Presidente del
Consiglio dei ministri;
Ritenuto in fatto
1. - Con ricorso in data 15 febbraio 1993 la Corte dei conti - a
seguito di determinazione adottata il 15/16 dicembre 1992 (n. 45/92)
dalla Sezione di controllo sulla gestione finanziaria degli enti a
cui lo Stato contribuisce in via ordinaria - ha sollevato conflitto
di attribuzione nei confronti del Governo, in persona del Presidente
del Consiglio dei ministri, nonché del Ministro del tesoro, del
Ministro del bilancio e della programmazione economica, del Ministro
dell'industria, del commercio e dell'artigianato e del Ministro delle
partecipazioni statali, in relazione al comportamento omissivo
consistente nell'impedimento all'esercizio delle attribuzioni
costituzionali spettanti alla stessa Corte e relative al controllo ex
art. 100, secondo comma, della Costituzione sulle società per azioni
succedute - ai sensi dell'art. 15 del decreto-legge 11 luglio 1992,
n. 333, convertito nella legge 8 agosto 1992, n. 359 - all'Istituto
nazionale per la ricostruzione industriale - I.R.I., all'Ente
nazionale idrocarburi - E.N.I., all'Istituto nazionale assicurazioni
- I.N.A. e all'Ente nazionale per l'energia elettrica - E.N.E.L. Tale
impedimento all'esercizio della funzione di controllo si sarebbe
realizzato sia mediante il mancato invito ai magistrati della Corte
dei conti a partecipare alle sedute degli organi di amministrazione e
revisione di tali società, sia mediante l'omesso invio dei documenti
concernenti la gestione delle stesse, sia con il mancato
riconoscimento, da parte del Governo, del persistente obbligo di
sottoporre a controllo della Corte dei conti gli enti trasformati in
società per azioni e, comunque, con la mancata ottemperanza
dell'obbligo di adottare i provvedimenti necessari al ripristino di
tale controllo, così come richiesto dalla Sezione di controllo enti
della Corte dei conti con determinazione n. 29/92 del 22 settembre/3
ottobre 1992.
2. - Nelle premesse di fatto il ricorso - ripetendo quanto già
illustrato nella determinazione n. 45/92 - espone che ai sensi
dell'art. 100, secondo comma, della Costituzione la Corte dei conti
"partecipa, nei casi e nelle forme stabilite dalla legge, al
controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato
contribuisce in via ordinaria" e "riferisce direttamente alle Camere
sul risultato del controllo eseguito". Si ricorda poi che, in
attuazione di tale norma costituzionale, è stata emanata la legge 21
marzo 1958, n. 259, dove il controllo in questione risulta
disciplinato in diversi modi, a seconda che l'ente sia destinatario
di contribuzioni continuative periodiche ovvero fruisca di "apporto
al patrimonio" o di "garanzia finanziaria" dello Stato. Mentre il
destinatario delle contribuzioni continuative è genericamente
indicato dall'art. 2 della legge n. 259 in "un ente", senza
distinzione tra figure soggettive pubbliche e private (così che a
tale forma di controllo sono state sottoposte anche società per
azioni, come la R.A.I. e le società di navigazione di interesse
nazionale), nella diversa ipotesi di apporti patrimoniali o di
garanzia finanziaria dello Stato l'art. 12 della medesima legge
menziona come soggetti sottoposti al controllo soltanto gli "enti
pubblici".
Dopo aver richiamato le diverse disposizioni che hanno
assoggettato al controllo ex art. 12 della legge n. 259 l'I.R.I.,
l'E.N.I., l'I.N.A. e l'E.N.E.L. ( d.P.R. 11 marzo e 24 aprile del
1961; legge n. 1643 del 1962), si sottolinea che tale controllo è
stato esercitato da un magistrato della Corte dei conti incaricato di
assistere alle sedute degli organi di amministrazione e di revisione
e di svolgere attività istruttoria per conto della Sezione
competente della stessa Corte.
Passando poi all'esame delle norme che hanno avviato il processo
di "privatizzazione" degli enti pubblici economici si richiamano il
decreto-legge 3 ottobre 1991, n. 309 (non convertito), il
decreto-legge 5 dicembre 1991, n. 386 (convertito nella legge 29
gennaio 1992, n. 35), il decreto-legge 26 maggio 1992, n. 298 (non
convertito) e, infine, il decreto-legge n. 333 del 1992 (convertito
nella legge n. 359 del 1992), che ha previsto una riforma del
procedimento di "privatizzazione" disponendo la diretta
trasformazione in società per azioni di I.R.I., E.N.I., I.N.A ed
E.N.E.L., l'attribuzione del capitale azionario al Ministero del
tesoro, l'esercizio dei diritti dell'azionista al Ministro del tesoro
d'intesa con i Ministri del bilancio, dell'industria e delle
partecipazioni statali.
Si rileva poi che, in attuazione del decreto-legge n. 333 del
1992, i presidenti dei quattro enti trasformati in società hanno
convocato per i giorni 6 e 7 agosto 1992, mediante annuncio nella
Gazzetta Ufficiale, le assemblee delle stesse società, per la
deliberazione degli statuti e la nomina dei titolari degli organi
sociali.
In data 10 agosto il magistrato incaricato del controllo
sull'E.N.E.L. ha richiesto al presidente di tale ente i motivi del
mancato invito a partecipare all'assemblea della nuova Società. In
risposta, il presidente dell'E.N.E.L. ha comunicato la nota del 5
settembre del Ministro del tesoro, dove si esprimeva l'avviso di
"ritenere ormai superata la disposizione del citato art. 12" della
legge n. 259 del 1958, "in quanto le modalità di nomina e la
composizione degli organi di amministrazione e di controllo delle
società ( ..) sono state, per legge, devolute agli statuti
societari", e "lo Stato non ha più poteri di autorizzazione e
direttive, bensì i diritti dell'azionista".
Il Presidente del Consiglio, al quale il Presidente della Corte
dei conti aveva rappresentato in precedenza la necessità che nelle
nuove società fossero previste forme di controllo con la
partecipazione della Corte dei conti, aveva a sua volta affermato,
con lettera del 10 agosto, che "le nuove società fuoriescono dal
rapporto con lo Stato che fa da presupposto al controllo della
Corte".
Pertanto, fin dall'emanazione del decreto-legge n. 333 del 1992 il
controllo di cui all'art. 12 della legge n. 259 del 1958 non è stato
più esercitato, in quanto i magistrati della Corte non sono stati
invitati alle sedute degli organi collegiali delle società succedute
agli enti pubblici, né da queste è pervenuto alla Corte stessa
alcun documento relativo alla gestione.
La situazione descritta è stata presa in esame dalla Sezione di
controllo della Corte dei conti con tre successive determinazioni.
Una prima volta, con la determinazione n. 23 del 16 giugno 1992, che
disponeva di inviare al Parlamento una relazione sulla trasformazione
degli enti pubblici economici in società per azioni conseguente al
decreto-legge n. 386 del 1991 ed alla relativa legge di conversione.
Una seconda volta, con la determinazione n. 29 del 22 settembre 1992,
dove, preso in esame il sopravvenuto decreto-legge n. 333 del 1993 e
la relativa legge di conversione, si rilevava, tra l'altro, come gli
statuti delle società non fossero atti idonei a disporre in ordine
al controllo della Corte dei conti (trattandosi di materia riservata
alla legge) e come la "fuoriuscita" delle società dal rapporto con
lo Stato non trovasse alcun riscontro reale nella nuova situazione
(dal momento che non risultava superato il rapporto di finanziamento
pubblico, consistente nell'apporto dello Stato al capitale sociale).
Infine, una terza volta, con la determinazione n. 45 del 1992,
dove si esponevano tutti i termini del problema e, constatato che il
persistente comportamento omissivo del Governo veniva ad impedire
alla Corte dei conti l'esercizio di una funzione di controllo
attribuita dalla Costituzione, si stabiliva di proporre il conflitto
di attribuzione di cui è causa.
3. - Negli svolgimenti di diritto il ricorso si sofferma
innanzitutto sui presupposti soggettivi del conflitto, richiamando le
decisioni di questa Corte che hanno affermato la rilevanza
costituzionale della funzione di controllo attribuita alla Corte dei
conti "nei casi e nelle forme stabiliti dalla legge" (art. 100,
secondo comma, della Costituzione). Risulterebbe, pertanto, indubbio
che la Corte medesima sia legittimata a sollevare conflitto, ai sensi
dell'art. 134 della Costituzione, nei confronti di comportamenti di
qualsiasi altro organo che si palesino lesivi delle sue attribuzioni.
4. - Passando all'esame dei presupposti oggettivi del conflitto il
ricorso ribadisce la natura costituzionale delle attribuzioni
dell'organo di controllo che si ritengono violate, richiamando sia il
carattere attuativo che la legge n. 259 del 1958 presenta rispetto
all'art. 100, secondo comma, della Costituzione, sia la
giurisprudenza della Corte costituzionale nonché le opinioni
dottrinali che hanno inteso in senso ampio la natura delle
attribuzioni la cui lesione giustifica la proposizione del conflitto.
Dopo aver ricordato che lo Stato contribuisce tuttora al
patrimonio di I.R.I., E.N.I., I.N.A e E.N.E.L., dal momento che le
azioni degli enti trasformati in società sono state attribuite al
Ministro del tesoro, nel ricorso si sostiene che dal disposto
dell'art. 100, secondo comma, della Costituzione - che attribuisce
alla Corte dei conti il controllo sugli enti a cui lo Stato
contribuisce in via ordinaria - non può desumersi l'esclusione del
controllo della stessa Corte sugli enti ai quali lo Stato
contribuisce soltanto con apporto al patrimonio. Sotto questo
profilo, l'apporto al patrimonio sarebbe "la più ordinaria delle
contribuzioni", dovendosi la ordinarietà intendere in senso
funzionale e non temporale ed essendo le contribuzioni al patrimonio
ancor più rilevanti di quelle periodiche o saltuarie. Su questo
punto si richiama la sentenza n. 35 del 1962, nella quale la Corte
costituzionale ha affermato, con riferimento ad un conflitto relativo
all'assoggettamento al controllo della Corte dei conti di un ente
della Regione siciliana, che "le sovvenzioni al patrimonio in
capitale menzionate dall'art. 12 della legge n. 259 .. anche se non
erogate secondo le modalità tipiche indicate nell'art. 2 .. non
possono non ritenersi comprese nell'ambito dell'art. 100 della
Costituzione".
La permanenza del controllo della Corte dei conti sugli enti
trasformati in società sarebbe, del resto, confermata dalla
legislazione sulle "privatizzazioni" che non contiene alcuna
statuizione espressa in materia. Inoltre, neppure dall'art. 20 del
decreto-legge n. 333 del 1992, che ha disposto l'abrogazione di
"tutte le disposizioni di legge contrarie od incompatibili", potrebbe
desumersi che tra queste rientri anche la legge n. 259 del 1958. In
proposito, si osserva che una tale abrogazione implicita non è
possibile, dal momento che la legge n. 259, oltre ad attuare l'art.
100 della Costituzione, non appare in alcun modo incompatibile con la
riforma intervenuta. Inoltre, si rileva che un'interpretazione
dell'art. 20 del decreto-legge n. 333 che escludesse dal controllo
un'intera area di primario interesse per la finanza pubblica - quale
quella degli enti in via di "privatizzazione", ma tuttora di
proprietà statale - non potrebbe non risultare in contrasto con gli
artt. 3, 81 e 100, secondo comma, della Costituzione.
Viene poi esaminato il profilo relativo alla modificazione della
natura di ente pubblico dell'I.R.I., dell'E.N.I., dell'I.N.A. e
dell'E.N.E.L., contestandosi che, ai sensi dell'art. 12 della legge
n. 259, sia venuto meno anche l'assoggettamento di tali enti
trasformati in società per azioni al controllo della Corte dei
conti. In proposito, si individua un collegamento tra la legge 22
dicembre 1956, n. 1589, istitutiva del Ministero delle partecipazioni
statali, e l'art. 12 della legge n. 259, concernente il controllo
della Corte dei conti sugli enti pubblici cui lo Stato contribuisce
con apporto al patrimonio: secondo l'interpretazione proposta dalla
ricorrente, l'art. 12 fu emanato nell'implicito presupposto che il
controllo sugli enti di gestione comportasse anche il controllo sulle
imprese partecipate.
Sotto diverso profilo, richiamandosi alcune disposizioni
comunitarie e statali che comprendono tra le imprese pubbliche anche
le società alimentate da mezzi provenienti dalla finanza pubblica e
sulle quali lo Stato esercita influenza dominante, si rileva che lo
stesso art. 12 della legge n. 259 può essere interpretato nel senso
che al controllo della Corte dei conti siano soggette, in quanto
imprese pubbliche, anche le società succedute agli enti pubblici
economici.
Sono inoltre contestate le affermazioni contenute nelle note sopra
ricordate del Presidente del Consiglio e del Ministro del tesoro,
secondo le quali gli enti, per effetto della trasformazione,
"fuoriescono" dal rapporto con lo Stato sicché lo Stato non avrebbe
più "poteri di autorizzazione e direttive, bensì i diritti
dell'azionista". Infatti, con l'assunzione diretta delle
partecipazioni al capitale delle nuove società, lo Stato
instaurerebbe un rapporto ancor più immediato di quanto lo avesse in
precedenza e, come azionista di controllo, continuerebbe a
contribuire "ordinariamente" agli enti trasformati, conservando i
poteri di direttiva e comando sulle nuove società.
Secondo la ricorrente, l'art. 100 della Costituzione prevede il
controllo sugli enti ai quali lo Stato contribuisce in via ordinaria
indipendentemente dalla loro natura pubblica o privata, e, di
conseguenza, l'interpretazione di una norma di legge che conducesse a
negare tale equiparazione sarebbe in contrasto con il dettato
costituzionale: ciò varrebbe anche per l'art. 12 della legge n. 259.
Passando poi all'esame delle figure di società per azioni
previste nell'ordinamento, si sottolinea che tali figure non si
esauriscono in quelle disciplinate dal codice civile, ma comprendono
anche le società "di diritto speciale" che mutuano dallo schema
codicistico solo alcuni aspetti strutturali, mentre ne divergono
sotto i profili genetico, funzionale e del rapporto con gli interessi
generali. Nel caso di specie, le società nate dalla trasformazione di
I.R.I., E.N.I., I.N.A e E.N.E.L., assommerebbero, per il disposto
degli artt. 15 e 16 del decreto-legge n. 333 del 1992, sotto tutti i
profili anzidetti (genetico, funzionale e di rapporto con l'interesse
generale), le più rilevanti difformità rispetto al modello
codicistico, proprie delle diverse società di diritto speciale. Tali
difformità riguardano la derivazione, senza soluzione di continuità
né mutamento di identità, da un ente pubblico preesistente;
l'assenza, all'origine, di un contratto o, più in generale, di un
atto di autonomia, sostituito, nel caso, da un intervento
legislativo; la mancanza iniziale di una pluralità di soci
costituenti, con la concentrazione delle azioni e del controllo in
una sola mano; la mancanza iniziale di un capitale determinato e di
uno statuto (elementi che sopravverranno dopo la trasformazione); la
statuizione per legge dell'esercizio dei poteri sociali da parte
dell'azionista d'intesa con altri soggetti ed il carattere pubblico
di tale intesa (che la legge riferisce all'azionista Ministro del
tesoro e ad altri tre Ministri); l'esercizio del potere sociale da
parte dell'azionista secondo un programma elaborato in sede pubblica
da più Ministri, finalizzato al riordino e alla valorizzazione delle
partecipazioni, con la previsione legislativa di cessioni, scambi,
fusioni, ecc. e con devoluzione dei ricavi alla riduzione del debito
pubblico.
A ciò va aggiunto che la delibera del CIPE del 30 dicembre 1992,
con la quale sono state dettate le direttive per le "dismissioni"
future, prevede altre condizioni, quali l'attribuzione allo Stato di
diritti speciali nella nomina degli organi sociali; la costituzione
di "nuclei stabili" tra azionisti di riferimento in cui lo Stato ha
diritto di prelazione sulle azioni degli altri partecipanti e diritto
di gradimento dell'ingresso di nuovi soci; l'imposizione di limiti
massimi alle partecipazioni individuali.
A fronte di così penetranti deroghe allo schema codicistico
occorre chiedersi, secondo la ricorrente, cosa residui della società
per azioni "tipica" e se il modello previsto dal decreto-legge n. 333
conservi lo stesso carattere privato delle società. La natura
pubblicistica non sarebbe, infatti, incompatibile con la struttura
azionaria, mentre nel caso dell'E.N.E.L. il carattere pubblico della
società risulterebbe condizionato anche dalla "riserva di attività"
prevista dall'art. 43 della Costituzione.
In tale quadro normativo la previsione del controllo della Corte
dei conti non contrasterebbe né con la forma azionaria - essendo
invece una conseguenza diretta della presenza dello Stato nel
capitale delle società - né con le regole della gestione sociale.
Il ricorso rileva conclusivamente che non risulta possibile "con un
mutamento di etichetta, e anche di qualificazione, superare la
realtà degli interessi coinvolti e le normative che, anche a livello
costituzionale, li tutelano". Si sottolinea, infine, anche
l'impoverimento che la soppressione del controllo della Corte dei
conti sugli enti trasformati verrebbe a determinare nell'area di
conoscenza del Parlamento.
5. - Con ordinanza n. 242 del 13 maggio 1993 il conflitto in esame
è stato dichiarato ammissibile nei confronti del Governo e non dei
singoli ministri, in quanto attinente a comportamenti imputabili alla
responsabilità collegiale del Governo rappresentato dal Presidente
del Consiglio dei ministri.
6. - Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, per chiedere che il ricorso sia dichiarato inammissibile o
comunque infondato.
Nell'atto di costituzione si premette che l'art. 20 del
decreto-legge n. 333 del 1992, convertito con modificazioni nella
legge n. 359 del 1992, ha abrogato tutte le norme incompatibili con
quelle contenute nel decreto stesso.
Risulterebbero perciò abrogate quelle norme della legge 21 marzo
1958, n. 259, non più compatibili con il nuovo regime societario
degli enti pubblici trasformati in società per azioni, mentre
l'assetto derivante dalla nuova normativa non sarebbe lesivo
dell'art. 100, secondo comma, della Costituzione, dove si prevede la
partecipazione della Corte dei conti al controllo "nei casi e nelle
forme stabilite dalla legge".
A seguito dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 333 del 1992
- osserva l'Avvocatura dello Stato - si è delineato un nuovo
rapporto tra società derivate dalla trasformazione degli enti
pubblici economici e lo Stato che esercita ora i diritti tipici
dell'azionista quali previsti dal regime societario. In questo quadro
gli specifici casi di controllo attribuito alla Corte dei conti sulle
c.d. "società legali" (RAI e società di navigazione di preminente
interesse nazionale) andrebbero considerati come eccezioni e non come
indici di una regola generale.
Infine, l'Avvocatura dello Stato sostiene che il controllo che la
Corte dei conti continua ad esercitare sul conto generale del
patrimonio dello Stato (nel quale sono iscritte le partecipazioni ai
fondi di dotazione ed al capitale degli enti pubblici e delle
società) rappresenterebbe una sede idonea per l'attuazione dello
scopo in precedenza perseguito attraverso gli strumenti di verifica
di cui alla legge n. 259 del 1958.
7. - In prossimità dell'udienza hanno depositato memoria sia la
Corte dei conti che l'Avvocatura Generale dello Stato.
In particolare, la ricorrente richiama il contenuto della nota del
Presidente del Consiglio dei ministri del 13 aprile 1993, nella quale
si riconosce "coerente con l'interesse collettivo che le società per
azioni nelle quali lo Stato ha una partecipazione totale o di
controllo, e sino a quando perdura una tale partecipazione, siano
sottoposte nelle forme appropriate alla verifica della Corte". Ma a
questo proposito nella memoria si contesta la "proposta di soluzione"
avanzata nella stessa nota dal Presidente del consiglio, secondo cui
per attuare il controllo in questione sarebbe sufficiente la
previsione, negli statuti delle società risultanti dalla
trasformazione, della nomina da parte dello Stato di uno o più
sindaci da scegliere tra magistrati della Corte dei conti.
Ad avviso della ricorrente la disciplina della materia va
individuata soltanto nell'art. 100 della Costituzione e nella legge
n. 259 del 1958. Ove si seguisse, invece, l'orientamento espresso dal
Presidente del Consiglio, non solo si affiderebbe alla
discrezionalità del Governo la previsione della nomina e la scelta
del nominato, ma si attribuirebbero a quest'ultimo i diritti, gli
obblighi e le responsabilità proprie dei sindaci di nomina
assembleare, secondo quanto previsto dall'art. 2458 c.c .
8. - L'Avvocatura dello Stato, nella sua memoria, osserva che le
nuove società sono senza dubbio persone giuridiche private - anche
se a capitale pubblico - e che ognuna di esse ha deliberato il
proprio statuto ed è soggetta alla normativa vigente per le società
per azioni: dal ché l'esclusione del controllo esercitato dal
magistrato della Corte dei conti ai sensi dell'art. 12 della legge n.
259 del 1958.
Questa interpretazione letterale delle norme sarebbe anche
confortata da quella logica, essendo evidente che la principale
finalità delle disposizioni contenute nel decreto-legge n. 333 del
1992 è quella di avviare le "privatizzazioni", mentre il
mantenimento del controllo pubblico della Corte dei conti sulle
società derivate dalla trasformazione potrebbe costituire un
ostacolo notevole al raggiungimento di tale obbiettivo.
Considerato in diritto
1. - La Corte dei conti, con il ricorso in esame, rivendica, in
sede di conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato, la
propria competenza a esercitare nei confronti dell'I.R.I.,
dell'E.N.I., dell'I.N.A. e dell'E.N.E.L. il controllo sulla gestione
finanziaria previsto dalla legge 21 marzo 1958, n. 259 per gli enti
cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, anche dopo che tali enti
sono stati trasformati - ai sensi dell'art. 15 del decreto-legge 11
luglio 1992, n. 333 (convertito, con modificazioni, nella legge 8
agosto 1992, n. 359) - in società per azioni: e questo fino a quando
in tali società permanga una partecipazione totalitaria o prevalente
dello Stato. Conseguentemente, la ricorrente chiede a questa Corte di
voler dichiarare l'obbligo del Governo ad adottare i provvedimenti
necessari per il mantenimento od il ripristino del controllo in
precedenza esercitato dalla Corte dei conti nei confronti degli enti
sottoposti a trasformazione e di annullare gli atti governativi
eventualmente contrari.
Resiste al ricorso il Governo, ritenendo che la trasformazione
degli enti in questione in società per azioni abbia fatto venir meno
i presupposti per l'esercizio del controllo di cui alla legge n. 259
del 1958: controllo che risulterebbe ormai superato dal nuovo assetto
delle società, soggette soltanto alla disciplina del codice civile
che affida le modalità di nomina e di composizione degli organi di
amministrazione e di controllo agli statuti societari.
2. - Sussistono, nella specie, le condizioni soggettive ed
oggettive per la proposizione del conflitto, ai sensi dell'art. 37
della legge 11 marzo 1953, n. 87.
Come già rilevato nell'ordinanza n. 242 del 1993, concernente il
giudizio preliminare di ammissibilità del conflitto, la Corte dei
conti, nell'esercizio della sua funzione di controllo sulla gestione
finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria,
gode, sotto il profilo soggettivo, della qualità di potere
legittimato alla proposizione del conflitto, venendo a disporre,
nell'esercizio di tale funzione, di una piena autonomia dagli altri
poteri. D'altro canto, sotto il profilo oggettivo, non possono
sussistere dubbi in ordine al fatto che la sfera di attribuzione di
cui viene nel ricorso lamentata la lesione trovi la propria copertura
costituzionale nell'art. 100, secondo comma, della Costituzione.
Va, pertanto, confermata, sotto ogni profilo, l'ammissibilità del
ricorso.
3. - Nel merito, il ricorso è fondato.
La soluzione del conflitto pone essenzialmente in gioco
l'interpretazione della legge 21 marzo 1958, n. 259, alla luce di
quanto previsto dal dettato costituzionale in tema di controllo sulla
gestione finanziaria degli enti cui lo Stato contribuisce in via
ordinaria.
L'art. 100, seconda parte del secondo comma, della Costituzione
statuisce che la Corte dei conti "partecipa, nei casi e nelle forme
stabilite dalla legge, al controllo sulla gestione finanziaria degli
enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria", prevedendo
l'obbligo per la stessa Corte di riferire "direttamente alle Camere
sul risultato del riscontro effettuato".
In attuazione di tale disposto, la legge n. 259 del 1958 ha
regolato due diversi tipi di controllo, istituendo ai fini del loro
esercizio una speciale Sezione in seno alla stessa Corte (art. 9): il
primo tipo, riferito agli enti - indicati dalla legge senza
l'aggiunta di altra qualificazione - cui la pubblica amministrazione
conferisce contributi con carattere di periodicità da oltre un
biennio ovvero attribuisce continuativamente un potere impositivo
(art. 2); il secondo, riferito, invece, agli enti - espressamente
qualificati dalla legge come pubblici - nei cui confronti la pubblica
amministrazione contribuisce con apporto al patrimonio in capitale o
servizi o beni ovvero mediante concessione di garanzia finanziaria
(art. 12).
Nel primo caso il controllo è esercitato nelle forme indicate
dagli artt. 4, 5 e 6 della stessa legge (invio da parte degli enti
dei conti consuntivi, dei bilanci di esercizio e dei relativi conti
dei profitti e delle perdite; richiesta di informazioni da parte
della Corte dei conti ai rappresentanti delle amministrazioni
pubbliche presenti nei collegi sindacali degli enti; richiesta di
ulteriori informazioni, atti e documenti agli stessi enti e ai
ministeri competenti); nel secondo caso il controllo si esercita,
oltre che con l'invio dei consuntivi e dei bilanci, mediante la
presenza diretta di un magistrato della Corte, legittimato ad
assistere alle sedute degli organi di amministrazione o di revisione.
Nell'una e nell'altra ipotesi la Corte è tenuta a riferire alle
Camere i risultati del controllo eseguito, potendo altresì, nel caso
in cui accerti irregolarità nella gestione e, comunque, quando lo
ritenga opportuno, formulare rilievi al Ministro del tesoro e al
Ministro competente (artt. 7 e 8).
In attuazione di questa disciplina, l'I.R.I., l'E.N.I. e l'I.N.A
venivano sottoposti al controllo di cui all'art. 12 della legge n.
259 mediante decreti del Presidente della Repubblica, adottati ai
sensi dell'art. 3 della stessa legge (d.P.R. 11 marzo e 25 aprile
1961), mentre nei confronti dell'E.N.E.L. lo stesso tipo di controllo
veniva statuito mediante una specifica disposizione espressa nella
legge istitutiva dell'ente (art. 1. ultimo comma, L. 6 dicembre 1962,
n. 1643).
Sopravvenuta - ai sensi dell'art. 15 del decreto-legge 11 luglio
1992, n. 333, convertito nella legge 8 agosto 1992, n. 359 - la
trasformazione degli enti in questione in società per azioni, il
controllo della Corte dei conti è venuto di fatto a cessare in
conseguenza del comportamento omissivo tenuto dal Governo, che ha
impedito la convocazione dei magistrati addetti al controllo alle
sedute degli organi di amministrazione e di revisione delle stesse
società nonché l'invio alla Corte da parte di queste dei conti
consuntivi e dei bilanci.
Il Governo ha poi spiegato le ragioni del proprio atteggiamento
esprimendo l'avviso che "le nuove società fuoriescono dal rapporto
con lo Stato che fa da presupposto al controllo della Corte" (lettera
10 agosto 1992 del Presidente del Consiglio al Presidente della Corte
dei conti) e che il potere di controllo previsto dall'art. 12 della
legge n. 259 va ritenuto ormai superato "in quanto le modalità di
nomina e la composizione degli organi di amministrazione e di
controllo delle società per azioni derivate dalla trasformazione
dell'I.R.I., dell'E.N.I., dell'E.N.E.L. e dell'I.N.A. sono state, per
legge, devolute agli statuti societari" (lettera 14 settembre 1992
del Ministro del tesoro al Presidente dell'E.N.E.L.).
Dal suo canto la Corte dei conti, con le determinazioni nn. 23, 29
e 45 del 1992, nel rivendicare la propria competenza, ha illustrato
ampiamente le ragioni che verrebbero a giustificare la conservazione
del controllo di cui alla legge n. 259 anche nei confronti delle
nuove società, giungendo, infine, alla decisione di proporre il
conflitto di cui è causa.
4. - Con riferimento al quadro ora descritto, il comportamento
tenuto dal Governo si presenta lesivo della competenza
costituzionalmente spettante alla Corte dei conti ai sensi dell'art.
100, secondo comma, della Costituzione, così come specificato dalla
legge 21 marzo 1958, n. 259.
Diversamente da quanto asserito dallo stesso Governo, la semplice
trasformazione degli enti pubblici economici di cui all'art. 15 della
legge n. 359 del 1992 non può essere, infatti, ritenuto motivo
sufficiente a determinare l'estinzione del controllo di cui all'art.
12 della legge n. 259 del 1958, fino a quando permanga inalterato
nella sostanza l'apporto finanziario dello Stato alla struttura
economica dei nuovi soggetti, cioè fino a quando lo Stato conservi
nella propria disponibilità la gestione economica delle nuove
società mediante una partecipazione esclusiva o prevalente al
capitale azionario delle stesse. In proposito va, infatti, rilevato
che il processo di "privatizzazione", iniziato con il decreto-legge
n. 386 del 1991 (convertito nella legge n. 35 del 1992) e sviluppato
mediante l'art. 15 del decreto-legge n. 333 (convertito nella legge
n. 359 del 1992), ha assunto come propri obbiettivi fondamentali sia
il riordino e la valorizzazione del complesso delle partecipazioni
pubbliche sia la "dismissione" graduale da parte dello Stato, per
esigenze di risanamento della finanza pubblica, del patrimonio
azionario risultante dalle trasformazioni e conferito al Ministero
del tesoro (v. art. 16 legge n. 359 del 1992). Le ragioni che stanno
alla base del controllo spettante alla Corte dei conti sugli enti
pubblici economici sottoposti a trasformazione non possono, pertanto,
considerarsi superate in conseguenza del solo mutamento della veste
giuridica degli stessi enti, ove a tale mutamento formale non faccia
seguito anche una modifica di carattere sostanziale nell'imputazione
del patrimonio (ora trasformato in capitale azionario) tale da
sottrarre la gestione finanziaria degli enti trasformati alla
disponibilità dello Stato. E questo tanto più ove si consideri che
il passaggio di tale patrimonio dalla sfera pubblica alla sfera
privata avviene, in base al processo di "privatizzazione" in atto,
nel rispetto di condizioni particolari che sono state poste con norme
speciali di diritto pubblico.
Il controllo in questione verrà, invece, a perdere la propria
ragione d'essere, legata alla sua specifica funzione, nel momento in
cui il processo di "privatizzazione", attraverso l'effettiva
"dismissione" delle quote azionarie in mano pubblica, avrà assunto
connotati sostanziali, tali da determinare l'uscita delle società
derivate dalla sfera della finanza pubblica.
5. - Contro la soluzione ora indicata non può valere né il
richiamo alla formula letterale dell'art. 12 della legge n. 259 del
1958 né l'asserita incompatibilità del tipo di controllo previsto
da tale norma con la natura di società per azioni assunta dai
soggetti trasformati.
Per quanto riguarda il richiamo al dato letterale, se è vero che
l'art. 12 della legge n. 259 riferisce il controllo in questione agli
"enti pubblici", è anche vero che la disposizione espressa con tale
articolo non può non richiedere un'interpretazione adeguata al
dettato costituzionale, anche in relazione alla funzione propria di
questo tipo di controllo ed alla evoluzione subita, rispetto al tempo
dell'enunciazione della norma, dalla stessa nozione di ente pubblico.
Su questo piano non possono sussistere dubbi in ordine al fatto
che il controllo regolato dall'art. 12 della legge n. 259 risulti
incluso nell'ambito della sfera disciplinata dall'art. 100, secondo
comma, della Costituzione, dal momento che tale dato emerge
chiaramente dallo stesso art. 12 (dove si richiama l'art. 100 Cost.)
ed è stato già evidenziato da questa Corte nella sent. n. 35 del
1962. Ma l'art. 100, secondo comma, della Costituzione, pur rinviando
alla legge ordinaria la determinazione dei casi e delle forme del
controllo, riferisce il controllo stesso agli "enti a cui lo Stato
contribuisce in via ordinaria", senza porre distinzione alcuna tra
enti pubblici ed enti privati. E questo spiega come nella
formulazione originaria del disegno di legge governativo di
attuazione dell'art. 100, secondo comma, della Costituzione, da cui
è scaturita la legge n. 259 del 1958 (Senato, n. 27 del 1953), si
fosse fatto esplicito riferimento, ai fini della definizione della
sfera soggettiva del controllo della Corte dei conti, agli "enti
pubblici e privati cui lo Stato contribuisce in via ordinaria" (art.
1). Caduta questa dizione nel corso dei lavori parlamentari - dove
emerse la distinzione tra il controllo di cui all'art. 2 e quello di
cui all'art. 12 - è rimasta pur sempre l'esigenza di adeguare
l'interpretazione di questa seconda disposizione, formalmente più
restrittiva della prima, al dettato costituzionale: interpretazione
che in alcun modo può trascurare la funzione propria del controllo
previsto dall'art. 100, secondo comma, della Costituzione, che è
stata da questa Corte collegata "all'interesse preminente dello Stato
(costituzionalmente rilevante per l'art. 100 Cost.) che siano
soggette a vigilanza le gestioni relative ai finanziamenti che
gravano sul proprio bilancio, sottoponendole in definitiva al
giudizio del Parlamento" (sent. n. 35 del 1962). Ora, è proprio la
considerazione di tale finalità primaria che può giustificare la
permanenza del controllo in questione anche nei confronti delle nuove
società, se e fino a quando la gestione delle stesse resti nella
disponibilità dello Stato e sia suscettibile, di conseguenza, di
incidere, sia pure indirettamente, sul bilancio statale.
D'altro canto, sul piano della individuazione dei soggetti
sottoposti al controllo, si può anche ricordare come la stessa
dicotomia tra ente pubblico e società di diritto privato si sia
andata, di recente, tanto in sede normativa che giurisprudenziale,
sempre più stemperando: e questo in relazione, da un lato,
all'impiego crescente dello strumento della società per azioni per
il perseguimento di finalità di interesse pubblico (v. ad es., L. 5
marzo 1982 n. 63; L. 19 dicembre 1983, n. 700; L. 22 dicembre 1984,
n. 887, art. 18, nono comma; L. 8 giugno 1990 n. 142, art. 22);
dall'altro, agli indirizzi emersi in sede di normazione comunitaria,
favorevoli all'adozione di una nozione sostanziale di impresa
pubblica (art. 2 direttiva CEE n. 80/723, in tema di trasparenza
delle relazioni finanziarie tra gli Stati membri e le loro imprese
pubbliche; art. 1 direttiva CEE n. 90/531, in tema di procedure di
appalto degli enti erogatori di servizi).
Del resto, la stessa normazione sulle "privatizzazioni" che ha
dato luogo al conflitto costituisce un esempio di quanto si presenti
oggi sfumata la linea di confine che, nell'ambito di discipline
speciali quali quelle in esame, viene a distinguere gli enti pubblici
dalle società di diritto privato. Basti solo considerare il fatto
che le società per azioni derivate dalla trasformazione dei
precedenti enti pubblici conservano connotazioni proprie della loro
originaria natura pubblicistica, quali quelle, ad esempio, che si
collegano alla assunzione della veste di concessionarie necessarie di
tutte le attività in precedenza attribuite o riservate agli enti
originari o che mantengono alle nuove società le attribuzioni in
materia di dichiarazione di pubblica utilità e di necessità ed
urgenza già spettanti agli stessi enti (v. art. 14, primo ed ultimo
comma, legge n. 359 del 1992).
6. - Non è dato, d'altro canto, rilevare un'oggettiva
incompatibilità tra la nuova disciplina relativa alle
"privatizzazioni" ed il controllo di cui all'art. 12 della legge n.
259, controllo da trasferire, nei limiti sopra enunciati, sui nuovi
soggetti societari.
Va innanzitutto escluso che la legge n. 359 del 1992 possa avere
determinato - attraverso la clausola generale posta nell'art. 20 -
l'abrogazione tacita della legge n. 259 del 1958, sia pure con
riferimento ai soli enti trasformati di cui all'art. 15. A tale
evenienza vengono, infatti, a opporsi sia i contenuti che la natura
della legge n. 259, attraverso cui è stato attuato, con una
disciplina caratterizzata da completezza e organicità, l'istituto
del controllo specificamente previsto in sede costituzionale
dall'art. 100, secondo comma: elemento questo che di per sé induce a
escludere l'eventualità di una abrogazione tacita realizzata
attraverso la formulazione di una normazione quale quella adottata in
tema di "privatizzazioni", che appare estranea alla materia del
controllo affidato alla Corte dei conti.
A questo si aggiunga che anche la veste formale assunta dalle
società che sono venute a sostituire gli enti pubblici economici
sottoposti a trasformazione non può dirsi caratterizzata da una
naturale incompatibilità con i caratteri propri del controllo
affidato alla Corte dei Conti dalla Costituzione e regolato dalla
legge n. 259.
In proposito, si può richiamare la natura di "diritto speciale"
che va riconosciuta a dette società e che viene a emergere dal
complesso della disciplina adottata al fine di regolare il processo
di "privatizzazione": natura che risulta connotata - come è stato
ampiamente illustrato negli scritti difensivi della ricorrente - sia
dalla costituzione che dalla struttura e dalla gestione delle nuove
società e che viene a specificarsi attraverso la previsione di norme
particolari - differenziate da quelle proprie del regime tipico delle
società per azioni - sia in tema di determinazione del capitale
sociale (v. artt. 15 e 16 decreto-legge n. 333 del 1992, convertito
nella legge n. 359 del 1992 e decreto-legge 21 giugno 1993, n. 198,
convertito nella legge 9 agosto 1993, n. 292), sia in tema di
esercizio dei diritti dell'azionista (spettanti al Ministro del
tesoro, ma previa intesa con altri Ministri: v. art. 15, terzo comma,
decreto-legge n. 333 del 1992), sia infine, in tema di patti sociali,
poteri speciali, clausole di gradimento, modifiche statutarie, quorum
deliberativi nelle assemblee, limiti al possesso di quote azionarie
da parte dei terzi acquirenti (v. delibera CIPE 30 dicembre 1992 e
decreto-legge n. 389 del 1993, reiterato con il decreto-legge n. 486
del 1993). Non senza, infine, considerare il vincolo esterno connesso
al fatto che i ricavi derivanti dalla cessione dei cespiti da
dismettere vanno destinati alla riduzione del debito pubblico (v.
art. 16, secondo comma, decreto-legge n. 333 del 1992).
Da questo complesso di norme emerge non solo il quadro delle
finalità, dei vincoli e delle condizioni di natura pubblicistica
entro cui il processo di "privatizzazione" si sta oggi sviluppando,
ma anche la natura differenziata e speciale delle società sorte
dalla trasformazione dei precedenti enti pubblici economici.
Rispetto a questo quadro ed a questa natura non può, dunque,
considerarsi dissonante il fatto che possa permanere, sia pure in via
transitoria - e cioè fino a quando le "dismissioni" non risulteranno
effettivamente attuate - il controllo sulla gestione finanziaria di
cui alla legge n. 259: controllo destinato a restare esterno alle
società e a garantire l'informazione del Parlamento anche durante la
delicata fase di passaggio che si è aperta, nel sistema delle
partecipazioni statali, con l'avvio del processo di
"privatizzazione".
7. - Le osservazioni che precedono conducono, dunque, ad affermare
la spettanza alla Corte dei conti nei confronti delle società per
azioni derivate dalla trasformazione dell'I.R.I., dell'E.N.I.,
dell'I.N.A. e dell'E.N.E.L. del potere di controllo di cui all'art.
12 della legge n. 259 del 1958: potere da esercitare nelle forme e
nei limiti in precedenza applicati e fino a quando permanga, rispetto
al capitale delle stesse società, la partecipazione esclusiva o
maggioritaria dello Stato.
Essendo il conflitto insorto in relazione ad un comportamento
omissivo tenuto dal Governo, non esistono atti formali nei cui
confronti disporre l'annullamento.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara che spetta alla Corte dei conti esercitare nei confronti
delle società per azioni costituite a seguito della trasformazione
dell'I.R.I., dell'E.N.I., dell'I.N.A. e dell'E.N.E.L. disposta
dall'art. 15 del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito,
con modificazioni nella legge 8 agosto 1992, n. 359, il potere di
controllo di cui all'art. 12 della legge 21 marzo 1958, n. 259:
controllo da esercitare, nelle forme e nei limiti in precedenza
applicati, fino a quando permanga una partecipazione esclusiva o
maggioritaria dello Stato al capitale azionario di tali società.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 17 dicembre 1993.
Il Presidente: CASAVOLA
Il redattore: CHELI
Il cancelliere: DI PAOLA
Depositata in cancelleria il 28 dicembre 1993.
Il direttore della cancelleria: DI PAOLA