Titolo
SENT 310/96. PROCESSO PENALE - DIRITTO AD EQUA RIPARAZIONE PER INGIUSTA DETENZIONE SUBITA IN ESECUZIONE DI ORDINE DI CARCERAZIONE ILLEGITTIMO - OMESSA PREVISIONE - PRETESA IRRAGIONEVOLE DISPARITA' DI TRATTAMENTO RISPETTO ALL'ANALOGA IPOTESI DI DETENZIONE SUBITA A SEGUITO DI APPLICAZIONE DI CUSTODIA CAUTELARE - PRETESA LESIONE DEL DIRITTO DI DIFESA - ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE PARZIALE.
Testo
E' costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3, comma primo, e 24, comma quarto, Cost., l'art. 314 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede il diritto all'equa riparazione anche per la detenzione ingiustamente patita a causa di erroneo ordine di esecuzione, sia perche' la diversita' di trattamento della situazione sofferta da chi abbia subito la detenzione a causa di una misura cautelare (che in prosieguo sia risultata iniqua) e chi sia rimasto vittima di un ordine di carcerazione arbitrario non e' tale da giustificare un trattamento cosi' discriminatorio, al punto che la prima situazione venga qualificata ingiusta e meritevole di equa riparazione e la seconda venga invece dal legislatore completamente ignorata, tenuto conto che l'ordine di carcerazione illegittimo offende la dignita' della persona in misura non minore della detenzione cautelare ingiusta; sia perche' l'omissione del legislatore risulta ingiustificata anche alla luce dei principi e criteri direttivi dettati per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale, laddove e' prefigurata (art. 2, comma primo, n. 100, l. n. 81 del 1987), accanto alla riparazione dell'errore giudiziario, anche la riparazione per l'"ingiusta detenzione", nonche' laddove (art. 2, comma primo, prima proposizione, stessa legge) si prevede l'adeguamento del nuovo codice alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall'Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale, in considerazione del fatto che la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (resa esecutiva con l. n. 848 del 1955) prevede espressamente, all'art. 5, il diritto alla riparazione a favore della vittima di arresto o di detenzioni ingiuste senza distinzione di sorta. - S. n. 1/1969. red.: S. Di Palma
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 3
co. 1
Costituzione
art. 24
co. 4
Altri parametri e norme interposte
legge
16/02/1987
n. false
art. 2
co. 1
legge
04/08/1955
n. false
Riferimenti normativi
codice di procedura penale
n. 0
art. 314
co. 0
codice di procedura penale
n. 0
art. 643
co. 0
legge
13/04/1988
n. 117
art. 14
co. 0
N. 310
SENTENZA 18-25 LUGLIO 1996
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: avv. Mauro FERRI;
Giudici: prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA,
prof. Giuliano VASSALLI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando
SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo
CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo
MEZZANOTTE;
ha pronunciato la seguente
Sentenza
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 314 del codice
di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 5 luglio 1995
dalla Corte d'appello di Torino sull'istanza proposta da Meloni
Maria, iscritta al n. 851 del registro ordinanze 1995 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51, prima serie
speciale, dell'anno 1995;
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 12 giugno 1996 il giudice
relatore Carlo Mezzanotte.
Ritenuto in fatto
1. - La Corte d'appello di Torino, nel corso di un procedimento
per riparazione di ingiusta detenzione, ha sollevato, d'ufficio, in
data 5 luglio 1995, questione di legittimità costituzionale, in
riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dell'art. 314 del
codice di procedura penale, nella parte in cui limita il diritto di
ottenere la riparazione per l'ingiusta detenzione esclusivamente alla
"custodia cautelare" ingiustamente subita, non contemplando tale
diritto anche per l'ipotesi di ingiusta detenzione patita a seguito
di ordine di esecuzione illegittimo.
Il giudice a quo espone che avverso la sentenza della IV sezione
della Corte d'appello di Torino del 9 dicembre 1992, confermativa
della sua condanna a mesi otto di reclusione e lire
tremilionicinquecentomila di multa, l'istante aveva presentato
ricorso innanzi alla Corte di cassazione, la quale il 4 ottobre 1993
aveva annullato con rinvio, la sentenza di condanna di secondo grado.
La Corte d'appello di Torino, quale giudice di rinvio, con sentenza
del 14 novembre 1994 aveva assolto l'imputata per non essere più il
fatto previsto dalla legge come reato.
Nelle more del processo, il procuratore della Repubblica presso il
Tribunale di Pinerolo, sull'erroneo presupposto che si fosse formato
il giudicato di condanna, aveva emesso ordine di esecuzione, a
seguito del quale l'istante era stata detenuta dall'11 aprile 1994 al
7 ottobre 1994. Di qui il procedimento da cui trae origine la
presente questione di legittimità costituzionale.
Secondo il giudice rimettente, l'art. 314 del cod. proc. pen.,
limitando il diritto alla riparazione per l'ingiusta detenzione alla
sola "custodia cautelare" sofferta "ingiustamente", ed escludendo
tale diritto per chi abbia subito ingiusta detenzione in base ad
ordine di esecuzione illegittimo, determinerebbe una irragionevole
disparità di trattamento, in contrasto con gli artt. 3 e 24 della
Costituzione.
Né si sarebbe potuto - ad avviso del giudice a quo - ricorrere
alla disciplina della riparazione dell'errore giudiziario, poiché
l'art. 643 del cod. proc. pen. presuppone un giudizio di revisione,
che nella specie non aveva avuto luogo.
Nessun rilievo potrebbe, infine, attribuirsi alla legge 13 aprile
1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle
funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati),
poiché l'art. 14 di detta legge prevede espressamente che le
disposizioni in essa contenute non pregiudicano il diritto alla
riparazione a favore delle vittime di errori giudiziari e di ingiusta
detenzione.
Secondo la Corte d'appello di Torino, la questione non è priva del
requisito della rilevanza, poiché non sarebbe possibile giudicare
sulla domanda dell'istante, se questa Corte non risolve
pregiudizialmente il prospettato dubbio di legittimità
costituzionale.
2. - Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio del
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, eccependo, in primo luogo, la inammissibilità della questione
per inesatta identificazione della disposizione da censurare,
"poiché la detenzione conseguente ad ordine di esecuzione emesso
sull'errato presupposto del passaggio in giudicato della condanna non
avrebbe natura cautelare, ma definitiva, al pari di quella
considerata dall'art. 643 del cod. proc. pen., con la sola
differenza che, mentre quest'ultima troverebbe titolo in un giudicato
successivamente riconosciuto ingiusto, l'altra si fonderebbe su un
giudicato poi palesatosi inesistente". Conseguentemente, ad avviso
dell'interveniente, la censura di costituzionalità avrebbe dovuto
investire il citato art. 643 del cod. proc. pen. e non l'art. 314.
Secondo l'Avvocatura la questione sarebbe, in ogni caso, infondata,
in quanto il principio della riparazione degli errori giudiziari,
sancito dall'art. 24, quarto comma, della Costituzione, postula
"l'esigenza di appropriati interventi legislativi, indispensabili per
conferirgli concretezza e determinatezza di contorni, dandogli così
pratica attuazione" (sentenza n. 1 del 1969). E poiché il
legislatore non ha previsto l'equa riparazione per l'ingiusta
detenzione a seguito di illegittimo ordine di esecuzione, mancherebbe
la disciplina attuativa che l'art. 24 della Costituzione richiede.
Ad avviso dell'Avvocatura, non sarebbe neppure ipotizzabile una
violazione del principio di eguaglianza, essendo necessaria a questo
fine "l'esistenza di una specifica regolamentazione legislativa
(viceversa mancante) relativa alla riparazione della detenzione
conseguente ad ordine di esecuzione della pena illegittimo, quale
tertium genus di detenzione ingiusta", che si aggiunga alla custodia
cautelare ingiustamente subita ed alla detenzione conseguente a
giudicato rimosso in sede di revisione.
In via subordinata, l'Avvocatura osserva che il difetto di tutela
denunciato dal rimettente avrebbe potuto essere colmato mediante
applicazione analogica degli artt. 643 e segg. cod. proc. pen., che
riguarderebbero fattispecie affine a quella in esame.
Considerato in diritto
1. - La Corte d'appello di Torino dubita della legittimità
costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione,
dell'art. 314 del codice di procedura penale, nella parte in cui
limita il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione
all'ipotesi della custodia cautelare sofferta ingiustamente e non
prevede la riparazione per l'ingiusta detenzione subita a seguito di
ordine di esecuzione illegittimo, adottato cioè sulla errata
premessa che la sentenza di condanna fosse divenuta definitiva.
La disposizione denunciata, ad avviso del giudice a quo, essendo
attuativa dell'ultimo comma dell'art. 24 della Costituzione,
contrasterebbe con il principio di eguaglianza di fronte alla legge,
per la ingiustificata disparità di trattamento che ne risulta tra
coloro che abbiano sofferto un'ingiusta detenzione in custodia
cautelare e coloro che in tale situazione si siano trovati a causa di
un ordine di esecuzione illegittimo.
2. - Va preliminarmente esaminata l'eccezione di inammissibilità
avanzata dalla Avvocatura generale dello Stato, secondo la quale il
giudice a quo avrebbe errato nell'individuare nell'art. 314 del cod.
proc. pen. la disposizione generatrice della denunciata violazione
degli artt. 3 e 24 della Costituzione, laddove avrebbe dovuto semmai
essere portato all'esame di questa Corte l'art. 643 del cod. proc.
pen., che prevede la riparazione dell'errore giudiziario.
L'eccezione è priva di fondamento.
L'art. 643 ha riguardo all'ipotesi tradizionale di riparazione
dell'errore giudiziario, quello, cioè, del quale sia rimasto vittima
l'imputato poi prosciolto in sede di revisione. Questa disposizione
presuppone quindi una sentenza definitiva di condanna successivamente
rimossa. Oggetto della questione di legittimità costituzionale
sollevata dal giudice rimettente è, invece, la disciplina della
riparazione in assenza di revisione. Correttamente, pertanto, la
violazione delle disposizioni costituzionali di riferimento viene
imputata all'art. 314 del cod. proc. pen. che, appunto, disciplina
la riparazione per ingiusta detenzione per ipotesi diverse da quelle
che conseguono ad un giudizio di revisione conclusosi con
proscioglimento.
3. - Obietta ulteriormente l'Avvocatura generale dello Stato che,
alla luce della giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 1 del
1969), il principio della riparazione degli errori giudiziari -
sancito dall'art. 24, quarto comma, della Costituzione - non opera in
assenza di appropriati interventi legislativi, indispensabili per
conferire ad esso concretezza e determinatezza di contorni. E poiché
l'equa riparazione per l'ingiusta detenzione a seguito di ordine di
esecuzione erroneamente emesso non sarebbe prevista dal legislatore,
mancherebbe la disciplina attuativa richiesta dall'art. 24, quarto
comma, della Costituzione.
Anche questa obiezione deve essere disattesa.
È proprio l'art. 314 cod. proc. pen. a porsi come disciplina
concretizzatrice della disposizione di principio contenuta nell'art.
24. L'addebito che viene mosso dal giudice rimettente a tale
disciplina è che essa, nell'attuare, abbia anche discriminato,
violando l'art. 3, per l'ingiustificata disparità di trattamento,
non superabile in via interpretativa, in danno di chi abbia patito le
conseguenze di un illegittimo ordine di esecuzione di pena detentiva.
4. - Nel merito, la questione è fondata.
L'art. 314 del cod. proc. pen. stabilisce che chi è stato
prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste,
per non avere commesso il fatto, perché il fatto non costituisce
reato o non è previsto dalla legge come reato, ha diritto a un'equa
riparazione per la custodia cautelare subita, qualora non vi abbia
dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave.
Lo stesso diritto spetta al prosciolto per qualsiasi causa o al
condannato che nel corso del processo sia stato sottoposto a custodia
cautelare, quando con decisione irrevocabile risulti accertato che il
provvedimento che ha disposto la misura è stato emesso o mantenuto
senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste
dagli artt. 273 e 280 del cod. proc. pen.
Le disposizioni citate si applicano, alle medesime condizioni, a
favore delle persone nei cui confronti sia pronunciato provvedimento
di archiviazione ovvero sentenza di non luogo a procedere.
Nulla è detto dell'ipotesi in cui la detenzione sia stata causata
da un ordine di esecuzione illegittimo. E la diversità della
situazione di chi abbia subito la detenzione a causa di una misura
cautelare, che in prosieguo sia risultata iniqua, rispetto a quella
di chi sia rimasto vittima di un ordine di esecuzione arbitrario non
è tale da giustificare un trattamento così discriminatorio, al
punto che la prima situazione venga qualificata ingiusta e meritevole
di equa riparazione e la seconda venga invece dal legislatore
completamente ignorata.
La disparità di trattamento tra le due situazioni appare ancor
più manifesta, se si considera che la detenzione conseguente ad
ordine di esecuzione illegittimo offende la libertà della persona in
misura non minore della detenzione cautelare ingiusta.
La scelta legislativa risulta oltretutto ingiustificata anche alla
luce della legge 16 febbraio 1987, n. 81 (Delega legislativa al
Governo della Repubblica per l'emanazione del nuovo codice di
procedura penale), dove, al punto 100 dell'art. 2, primo comma, è
prefigurata, accanto alla riparazione dell'errore giudiziario, vale a
dire del giudicato erroneo (già oggetto della disciplina del codice
previgente), anche la riparazione per la "ingiusta detenzione"; ciò
che lascia trasparire l'intento del legislatore delegante di non
introdurre, su questo piano, ingiustificate differenziazioni tra
custodia cautelare ed esecuzione di pena detentiva. Lo stesso art. 2
della citata legge di delegazione, nel prevedere che il nuovo codice
si debba adeguare alle norme delle convenzioni internazionali
ratificate dall'Italia e relative ai diritti della persona e al
processo penale, depone nel senso della non discriminazione tra le
due situazioni, giacché proprio la convenzione per la salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata
dall'Italia con la legge 4 agosto 1955, n. 848, prevede
espressamente, all'art. 5, il diritto alla riparazione a favore della
vittima di arresto o di detenzioni ingiuste senza distinzione di
sorta.
L'obliterazione della ingiusta detenzione patita in seguito a
ordine di esecuzione illegittimo costituisce una autonoma ed
arbitraria scelta del legislatore delegato - contrastante con gli
artt. 3 e 24 della Costituzione - alla quale questa Corte deve
ovviare con la dichiarazione della illegittimità costituzionale
dell'art. 314 del cod. proc. pen., nella parte in cui non include
questa fattispecie fra le situazioni che fanno sorgere il diritto
alla equa riparazione.
Non fornisce argomenti in senso contrario all'accoglimento della
questione la legge 13 aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei danni
cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità
civile dei magistrati). In questa legge, infatti, è espressamente
previsto, all'art. 14, che le disposizioni in essa contenute non
pregiudicano il diritto alla riparazione a favore delle vittime di
errori giudiziari e di ingiusta detenzione. L'autonomia,
positivamente stabilita, tra azione risarcitoria e azione riparatoria
per l'ingiusta detenzione rende evidente che privare di quest'ultima
azione la persona colpita da un ordine di esecuzione erroneamente
emesso significa introdurre una discriminazione, che i principi
costituzionali invocati dal giudice a quo non possono tollerare.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 314 del codice
di procedura penale, nella parte in cui non prevede il diritto
all'equa riparazione anche per la detenzione ingiustamente patita a
causa di erroneo ordine di esecuzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 18 luglio 1996.
Il Presidente: Ferri
Il redattore: Mezzanotte
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 25 luglio 1996.
Il direttore della cancelleria: Di Paola