Ritenuto in fatto
1. - La Corte d'appello di Firenze, nel corso di un procedimento
di riparazione per ingiusta detenzione, con ordinanza in data 6
novembre 1997, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 76
della Costituzione, questione di legittimità costituzionale
dell'art. 314 del codice di procedura penale, nella parte in cui non
prevede il diritto alla riparazione della detenzione ingiustamente
subita in conseguenza di arresto illegittimo o non seguito da
ordinanza di custodia cautelare in carcere o di arresti domiciliari.
Il giudice a quo premette in fatto che due domande di riparazione
erano state proposte da due persone arrestate in flagranza per
violazione della disciplina sugli stupefacenti. Una di esse era stata
liberata dal pubblico ministero ex art. 389 cod. proc. pen. e la sua
posizione processuale era stata poi definita con decreto di
archiviazione. L'altra si era vista convalidare l'arresto, ma era
stata contestualmente liberata dal giudice per le indagini
preliminari, che non aveva disposto nei suoi confronti alcuna misura
cautelare, ed era stata successivamente prosciolta per non avere
commesso il fatto.
Ad avviso del giudice a quo nei casi sottoposti al suo esame non
può configurarsi, in base all'art. 314 cod. proc. pen., diritto
all'equa riparazione, in quanto la detenzione si è esaurita
nell'ambito della misura precautelare dell'arresto. In ciò, la
disposizione censurata contrasterebbe con l'art. 76 della
Costituzione sotto un duplice profilo. In primo luogo, in quanto la
direttiva n. 100 dell'art. 2 della legge 16 febbraio 1987, n. 81
(Delega legislativa al Governo della Repubblica per l'emanazione del
nuovo codice di procedura penale), nel prevedere la riparazione per
l'ingiusta detenzione, non distinguerebbe in alcun modo tra misure
cautelari e misure precautelari. In secondo luogo, perché nel
preambolo dell'art. 2 della citata legge di delegazione è prescritto
espressamente che il codice di procedura penale deve attuare i
principi della Costituzione ed adeguarsi alle norme delle convenzioni
internazionali relative ai diritti della persona e al processo penale
ratificate dall'Italia. L'art. 5, quinto comma, della convenzione per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali,
ratificata dall'Italia con la legge 4 agosto 1955, n. 848, prevede,
appunto, che ogni persona vittima di un arresto o di detenzioni
ingiuste ha diritto a un indennizzo.
La disposizione censurata contrasterebbe, secondo il remittente,
anche con l'art. 3 della Costituzione, per irragionevole disparità
di trattamento tra chi è privato della libertà personale solo in
forza di una misura precautelare, e non ha quindi diritto all'equo
indennizzo, e chi, raggiunto da misura custodiale cautelare dopo
l'arresto, ha diritto a veder computato nella custodia cautelare che
dà luogo a riparazione anche il periodo intercorrente tra l'arresto
e l'emissione dell'ordinanza di custodia cautelare.
2. - La Corte d'appello di Firenze - dovendosi pronunciare sulla
domanda di riparazione per ingiusta detenzione proposta da persona
che, arrestata in flagranza per violazione della disciplina sugli
stupefacenti e immediatamente liberata dal pubblico ministero ai
sensi dell'art. 389 cod. proc. pen., era poi risultata indenne da
ogni addebito essendo stato nei suoi confronti emesso provvedimento
di archiviazione - con ordinanza in data 28 novembre 1997 ha
sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 314,
commi 1, 2 e 3, del codice di procedura penale, nella parte in cui
esclude la riparazione per l'ingiusta detenzione sofferta a seguito
di misura precautelare.
Ad avviso del remittente, tale esclusione contrasterebbe con l'art.
3 della Costituzione, per il trattamento ingiustificatamente
discriminatorio riservato alla persona sottoposta a misura
precautelare rispetto a quella soggetta a misura cautelare, posto che
la detenzione in carcere è comune ad entrambe le misure.
La disposizione censurata sarebbe, poi, in contrasto con l'art. 13
della Costituzione, perché la libertà personale "se violata,
dovrebbe essere comunque ristorata": e non vi è dubbio, secondo il
giudice a quo che dalla disposizione censurata discende la
impossibilità di ristorare la privazione della libertà personale
subita sulla base di una misura precautelare.
La medesima disposizione contrasterebbe, infine, ad avviso del
remittente, anche con l'art. 2 della Costituzione, dal momento che
l'istituto della riparazione della ingiusta detenzione costituisce
espressione del principio solidaristico che ispira l'intera Carta
costituzionale, sicché la limitazione del suo ambito di
applicabilità comporterebbe anche una illegittima compressione di
quel principio.
Considerato in diritto
1. - In seguito a due ordinanze della Corte d'appello di Firenze
questa Corte è chiamata a decidere se sia conforme agli artt. 2, 3,
13, 24 e 76 della Costituzione l'art. 314 del codice di procedura
penale, nella parte in cui non prevede il diritto alla riparazione
per la detenzione patita a seguito delle misure precautelari
dell'arresto in flagranza e del fermo di indiziato di delitto.
Per rendere più chiaro il contenuto dell'intervento additivo
sollecitato dai remittenti conviene richiamare brevemente l'attuale
disciplina in materia di riparazione per ingiusta detenzione.
L'art. 314 cod. proc. pen. stabilisce, al comma 1, che chi è stato
prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste,
per non avere commesso il fatto, perché il fatto non costituisce
reato o non è previsto dalla legge come reato ha diritto a un'equa
riparazione per la custodia cautelare subita, qualora non vi abbia
dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave.
Lo stesso diritto spetta, ai sensi del comma 2, al prosciolto per
qualsiasi causa o al condannato che nel corso del processo sia stato
sottoposto a custodia cautelare, quando con decisione irrevocabile
risulti accertato che il provvedimento che ha disposto la misura è
stato emesso o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di
applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 del codice di procedura
penale.
Le citate disposizioni, contenute nei primi due commi dell'art.
314, si applicano, alle medesime condizioni, in forza del comma 3, a
favore delle persone nei cui confronti sia stato pronunciato
provvedimento di archiviazione ovvero sentenza di non luogo a
procedere.
Manca, nella disciplina posta dall'art. 314, la previsione di un
corrispondente diritto a favore di chi, in condizioni analoghe, sia
stato colpito non da una misura cautelare detentiva, ma dalla misura
dell'arresto in flagranza (artt. 380 e 381) o da quella del fermo di
indiziato di delitto (art. 384). Alla stregua della disciplina
vigente non ha infatti diritto ad alcun equo indennizzo né
l'arrestato o il fermato che sia stato poi prosciolto con sentenza
irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non avere commesso il
fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla
legge come reato o nei cui confronti sia stato adottato provvedimento
di archiviazione o sia stata pronunciata sentenza di non luogo a
procedere, né chi, prosciolto per qualsiasi causa o condannato, sia
rimasto vittima di arresto o fermo non convalidato dal giudice con
decisione irrevocabile o la cui convalida sia stata annullata dalla
Corte di cassazione su ricorso promosso ai sensi dell'art. 391, comma
4, del codice di procedura penale. In tutti questi casi la situazione
in cui versa l'arrestato o il fermato è speculare a quella regolata,
per il colpito da misura cautelare, dai primi tre commi dell'art.
314, e tuttavia per essi non è prevista alcuna possibilità di
riparazione.
2. - È contro questa carenza che si indirizzano le censure della
Corte d'appello di Firenze nelle due ordinanze di remissione.
Secondo una prima ordinanza, l'avere la disposizione denunciata
previsto soltanto la riparazione per detenzione conseguente a misura
cautelare e non anche la riparazione per detenzione conseguente ad
arresto contrasterebbe con l'art. 76 della Costituzione sotto due
diversi profili: da un lato, in forza dell'art. 2, punto 100, della
legge 16 febbraio 1987, n. 81 (Delega legislativa al Governo della
Repubblica per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale), il
Governo sarebbe stato delegato ad introdurre l'istituto della
riparazione per ingiusta detenzione senza distinzione alcuna tra
misure cautelari e misure precautelari; dall'altro, lo stesso art.
2, imponendo nel suo incipit l'adeguamento dell'emanando nuovo codice
alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall'Italia e
relative ai diritti della persona e al processo penale, non
consentirebbe alcuna differenziazione tra le due situazioni, giacché
la convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
libertà fondamentali, ratificata dall'Italia con la legge 4 agosto
1955, n. 848, prevede espressamente all'art. 5, quinto comma, il
diritto alla riparazione a favore della vittima di arresto o di
detenzioni ingiuste senza distinzioni di sorta.
La disposizione censurata violerebbe poi l'art. 3 della
Costituzione per la non giustificata disparità di trattamento tra
l'arrestato nei cui confronti sia stata disposta dal giudice una
misura cautelare detentiva, per il quale, in forza dell'art. 297,
comma 1, cod. proc. pen., è riparabile anche l'iniziale privazione
della libertà personale, e l'arrestato indenne da misure cautelari
restrittive, a favore del quale non è prevista alcuna riparazione.
La discriminazione in danno di chi abbia subito la sola misura
precautelare dell'arresto sarebbe altresì lesiva del principio di
eguaglianza per un aspetto ancor più generale, giacché l'arresto
operato dalla polizia giudiziaria non offenderebbe la libertà della
persona in misura minore della detenzione che consegue a ordinanza
del giudice.
Per la seconda ordinanza, proveniente dalla medesima Corte
d'appello di Firenze, l'omessa previsione della riparazione per la
detenzione sofferta a seguito di misura precautelare porrebbe l'art.
314, commi 1, 2 e 3, cod. proc. pen. in contrasto con l'art. 3 della
Costituzione, per il trattamento ingiustificatamente discriminatorio
riservato alla persona sottoposta ad arresto o fermo rispetto a
quello previsto per la persona colpita da misura cautelare
restrittiva, posto che la detenzione sarebbe comune ad entrambe le
ipotesi.
Le stesse disposizioni violerebbero, poi, gli artt. 2 e 13 della
Costituzione, poiché la libertà personale "se violata, dovrebbe
comunque essere ristorata", anche in base al principio di
solidarietà a cui la Carta costituzionale è ispirata.
Poiché le due ordinanze di remissione sottopongono all'esame della
Corte questioni analoghe, aventi ad oggetto la medesima disposizione
di legge, i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con
unica sentenza.
3. - La questione è fondata.
È in primo luogo evidente la violazione dell'art. 3 della
Costituzione che l'anzidetta disciplina comporta. La diversità della
situazione di chi abbia subito detenzione a causa di una misura
cautelare rispetto a quella di chi sia stato colpito da un
provvedimento di arresto o fermo non è tale da giustificare un
trattamento così discriminatorio, al punto che la prima situazione
sia ritenuta meritevole di equa riparazione e la seconda, pur se
ricorrano presupposti analoghi, venga invece dal legislatore
completamente ignorata.
Non può infatti negarsi che anche nei casi in cui l'arresto o il
fermo siano seguiti da sentenza irrevocabile di proscioglimento con
le formule di cui all'art. 314, comma 1, ovvero, anche se seguiti da
sentenza di condanna o di proscioglimento per qualsiasi causa (art.
314, comma 2), non siano stati convalidati, o ancora siano seguiti da
provvedimento di archiviazione o da sentenza di non luogo a procedere
(art. 314, comma 3), sussistano presupposti analoghi a quelli che
hanno condotto il legislatore a qualificare come ingiusta e
suscettibile di riparazione la detenzione conseguente a misura
cautelare. In particolare, l'arresto o il fermo non convalidati
(situazione speculare a quella regolata dall'art. 314, comma 2)
presentano una stretta analogia con le misure cautelari
illegittimamente assunte, giacché la mancata convalida priva la
limitazione della libertà personale della sua indefettibile base
giurisdizionale richiesta dall'art. 13, secondo e terzo comma, della
Costituzione, e la rende per ciò stesso illegittima, senza che sia
possibile distinguere l'ipotesi di assenza dei presupposti da quella
di inosservanza dei termini per la convalida.
La provvisorietà, che contraddistingue i poteri di intervento del
pubblico ministero e della polizia giudiziaria sulla libertà
personale, è valsa ad attribuire all'arresto e al fermo la
denominazione di "precautele", ma è indubitabile, almeno sul piano
degli effetti, la loro natura custodiale. L'arrestato e il fermato
per tutto il periodo di operatività della relativa misura (fino ad
un massimo di 96 ore) sono trattenuti presso una casa circondariale o
mandamentale (art. 386, comma 4), con la sola eccezione contemplata
dall'art. 566, comma 2, ultima parte, ovvero presso la propria
abitazione o in altro luogo di privata dimora o ancora, ricorrendone
i presupposti, in un luogo pubblico di cura o di assistenza (art.
386, comma 5, in relazione all'art. 284, comma 1); sicché
l'esecuzione del provvedimento provvisorio sostanzialmente realizza
una forma tipica di custodia, che non può non postulare, rispetto
alle altre misure restrittive, identità di regime riparatorio.
L'esigenza di una piena equiparazione delle "precautele" alle misure
detentive è d'altronde comprovata dall'art. 297, comma 1, cod. proc.
pen., il quale prevede che "gli effetti della custodia cautelare
decorrono dal momento della cattura, dell'arresto o del fermo".
Se si considera che, in base a questa disposizione, il periodo di
arresto o fermo è ritenuto computabile nella durata della custodia
riparabile quando il giudice in sede di convalida abbia disposto la
prosecuzione dello status detentionis applicando una misura cautelare
personale, mentre non sorge alcun diritto alla riparazione nel caso
in cui all'udienza di convalida non segua alcuna misura cautelare
restrittiva, emerge con nettezza di contorni un ulteriore profilo di
disparità di trattamento e, insieme, di irragionevolezza, anch'esso
censurabile alla luce dell'art. 3 della Costituzione.
4. - Anche in relazione agli altri parametri evocati dalle
ordinanze di remissione l'illegittimità costituzionale dell'art. 314
cod. proc. pen. risulta confermata. In una materia che non tollera
franchigie temporali a favore di alcuna autorità, l'arresto o il
fermo sono trattati dal legislatore, ai fini dell'equa riparazione,
come se fossero provvedimenti che non ledono la libertà personale.
Ma un simile trattamento contrasta con la legge di delegazione n.
81 del 16 febbraio 1987, nella quale è ben presente l'esigenza che
tutte le offese arrecate alla libertà personale mediante ingiusta
detenzione siano riparate, indipendentemente dalla durata di questa e
quale che sia l'autorità dalla quale la restrizione provenga.
L'indirizzo impartito al Governo al punto 100 dell'art. 2, comma 1,
di tale legge è infatti nel senso di introdurre, accanto alla
riparazione dell'errore giudiziario, vale a dire del giudicato
erroneo, già oggetto della disciplina del codice previgente, anche
la riparazione per la "ingiusta detenzione" senza distinguere
l'arresto o il fermo dalle misure cautelari personali: ciò che
lascia trasparire l'intendimento del legislatore delegante che non
venissero a determinarsi, su questo piano, differenze tra custodia
cautelare e custodia precautelare, che sarebbero risultate
difficilmente giustificabili.
5. - Sotto un distinto ma convergente profilo, questa Corte ha già
rilevato, trattando della detenzione ingiusta patita a seguito di
ordine di esecuzione illegittimo (sentenza n. 310 del 1996), che lo
stesso incipit dell'art. 2 della citata legge di delegazione, nel
prevedere che il nuovo codice si debba adeguare alle norme delle
convenzioni internazionali ratificate dall'Italia e relative ai
diritti della persona e al processo penale, depone nel senso della
non discriminazione tra le diverse cause di restrizione della
libertà personale, giacché proprio la convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali,
ratificata dall'Italia con la legge 4 agosto 1958, n. 848, prevede
espressamente, all'art. 5, il diritto alla riparazione a favore della
vittima di arresto o di detenzioni ingiuste senza distinzioni di
sorta.
L'obliterazione della riparazione della detenzione patita a seguito
di una misura precautelare, quando abbia avuto luogo su presupposti
analoghi a quelli che hanno condotto a considerare ingiusta la
detenzione conseguente a misura cautelare, costituisce una autonoma
ed illegittima scelta del legislatore delegato.
6. - Quanto agli artt. 2 e 13 della Costituzione, evocati in una
delle due ordinanze di remissione, nella quale si rileva che nella
disciplina censurata sono simultaneamente coinvolti il principio di
solidarietà e quello della inviolabilità della libertà personale,
a questa Corte non resta che richiamarsi alla sentenza n. 446 del
1997, dove è stato posto in luce il fondamento squisitamente
solidaristico della riparazione per l'ingiusta detenzione ed è stato
chiarito che in presenza di una lesione della libertà personale
rivelatasi comunque ingiusta con accertamento ex post in ragione
della qualità del bene offeso si deve avere riguardo unicamente alla
oggettività della lesione stessa. Tali essendo le basi
costituzionali dell'istituto, anche per questo ulteriore ordine di
considerazioni la riparabilità dell'ingiusta detenzione, subita a
seguito di misura precautelare, non può non essere riconosciuta.