ha pronunciato la seguente
Ordinanza
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 1,
della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione
della finanza pubblica), dell'art. 18, comma 8-quinquies del decreto
legislativo 21 aprile 1993, n. 124 (Disciplina delle forme
pensionistiche complementari, a norma dell'art. 3, comma 1, lettera
v), della legge 23 ottobre 1992, n. 421), nel testo introdotto
dall'art. 15, comma 5, della legge 8 agosto 1995 (Riforma del sistema
pensionistico obbligatorio e complementare), nonché dell'art. 59,
comma 3, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la
stabilizzazione della finanza pubblica), promossi con le ordinanze
emesse il 2 maggio 2000 dalla Corte d'appello di Venezia, il
24 maggio 2000 dal tribunale di Genova e il 9 maggio 2000 dal
tribunale di Treviso, rispettivamente iscritte ai nn. 495, 501 e 516
del registro ordinanze 2000 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica numeri 39 e 40, 1ª serie speciale, dell'anno 2000.
Visti gli atti di costituzione di Cordero Vittoriangela, di
Atalmi Giorgio ed altro, della Cassa di risparmio di Torino S.p.A. ed
altro, della Banca CARIGE S.p.A. e del Fondo di previdenza "G.
Caccianiga", nonché gli atti di intervento del Presidente del
Consiglio dei ministri;
Udito nell'udienza pubblica del 22 maggio 2001 il giudice
relatore Massimo Vari;
Uditi gli avvocati Riccardo Cinti per Cordero Vittoriangela,
Paolo Catalano per la Cassa di risparmio di Torino S.p.A. ed altro,
Federico Sorrentino per la Banca CARIGE S.p.A., Francesco Galgano per
il Fondodi previdenza "G. Caccianiga" e l'avvocato dello Stato Gian
Paolo Polizzi per il Presidente del Consiglio deiministri.
Ritenuto che, nel corso del giudizio di appello promosso da una
dipendente della Cassa di risparmio di Torino, al fine di ottenere
l'accertamento del diritto "a fruire della pensione sostitutiva o
integrativa prevista" dal Fondo pensioni per il personale di detta
Cassa, la Corte d'appello di Venezia, con ordinanza del 2 maggio 2000
(r.o. n. 495 del 2000), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 39
e 41 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale
dell'art. 13, comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure
di razionalizzazione della finanza pubblica), nonché dell'art. 18,
comma 8-quinquies del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124
(Disciplina delle forme pensionistiche complementari, a norma
dell'art. 3, comma 1, lettera v), della legge 23 ottobre 1992,
n. 421), nel testo introdotto dall'art. 15, comma 5, della legge
8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio
e complementare), "in relazione" all'art. 59, comma 3, della legge
27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza
pubblica);
che, come evidenzia l'ordinanza, la domanda della ricorrente,
dimessasi dal servizio con decorrenza 31 gennaio 1995, è stata
respinta in primo grado per difetto dei requisiti utili per accedere
al pensionamento anticipato, quale diritto, inizialmente, oggetto
della sospensione disposta dai decreti-legge n. 553 e n. 654 del
1994, non convertiti, e prorogata, sino al 30 giugno 1995, dal comma
1 dell'art. 13 della legge n. 724 del 1994, nonché, successivamente,
disciplinato, anche per i regimi pensionistici integrativi di cui al
decreto legislativo n. 357 del 1990, dalla legge di riforma n. 335
del 1995;
che, tanto premesso, il giudice a quo sostiene che sia
l'art. 13, comma 1, della legge n. 724 del 1994 - il quale sospende
"l'applicazione di ogni disposizione di legge, di regolamento, di
accordi collettivi che preveda il diritto a trattamenti pensionistici
anticipati rispetto all'età stabilita per il pensionamento di
vecchiaia" - sia l'art. 18, comma 8-quinquies del decreto legislativo
n. 124 del 1993, introdotto dall'art. 15, comma 5, della legge n. 335
del 1995 - che "ha previsto il diritto alla pensione di anzianità a
carico dei Fondi integrativi solo se il richiedente ha diritto al
trattamento pensionistico obbligatorio" - contrastino:
con l'art. 41 della Costituzione, giacché verrebbe
compromessa l'"autonomia organizzativa e gestionale dei fondi che ne
consentono l'incentivazione e l'espansione";
con l'art. 3 della Costituzione, atteso che sarebbe
"irragionevole una regolamentazione legislativa ulteriore che leda le
aspettative prossime a diventare diritti poiché l'affidamento del
cittadino nella sicurezza giuridica costituisce elemento fondamentale
ed indispensabile dello Stato di diritto";
con l'art. 39 della Costituzione, in quanto, "avendo la
contrattazione collettiva rappresentato un ineludibile momento di
definizione delle contribuzioni e delle prestazioni del Fondo
pensioni, come elemento rilevante del complessivo trattamento
economico e normativo dei dipendenti Cariplo (recte: Cassa di
risparmio di Torino) ... avrebbe dovuto spettare alle parti,
attraverso lo strumento della negoziazione contrattuale, la
valutazione dell'opportunità di una revisione delle prestazioni
previdenziali a carico del Fondo";
che, peraltro, ad avviso del rimettente, la prospettata
violazione dei menzionati parametri "tanto più rileva se si
considera che a norma dell'art. 59 della legge 27 dicembre 1997,
n. 449, la contrattazione collettiva può diversamente disporre in
ordine al trattamento pensionistico garantito dai fondi di cui al
decreto legislativo n. 357 del 1990 tra cui rientra quello convenuto
rispetto al trattamento conseguibile in presenza dei requisiti e con
la decorrenza prevista dalla disciplina dell'assicurazione generale
obbligatoria solamente nei casi di ristrutturazione o
riorganizzazione aziendale che determinino esuberi di personale";
che si è costituita la parte appellante nel giudizio a quo
per sentir dichiarare l'incostituzionalità delle disposizioni
denunciate, ovvero l'illegittimità costituzionale, in riferimento
agli artt. 3, 39 e 41 della Costituzione, "dell'interpretazione
estensiva delle suddette norme che ricomprende nell'ambito del
"blocco delle pensioni di anzianità anche i regimi complementari di
natura privata, le cui prestazioni non gravano sulla finanza
pubblica, ed estende i requisiti di cui all'art. 59, comma 3, della
legge n. 447/1994 (recte: n. 449 del 1997), anche a casi in cui il
diritto a prestazioni pensionistiche era maturato prima del
1° gennaio 1998";
che si sono costituiti anche la Banca Cassa di risparmio di
Torino S.p.A. ed il Fondo pensioni per il personale della Cassa di
risparmio di Torino, entrambi parti appellate nel giudizio
principale, che hanno chiesto che la sollevata questione venga
"respinta in quanto irrilevante ed infondata";
che la parte appellante nel giudizio a quo ed il Fondo
pensioni hanno ribadito le rispettive ragioni con memorie
illustrative depositate nell'imminenza dell'udienza;
che, con ordinanza del 24 maggio 2000 (r.o. n. 501 del 2000),
emessa nel corso del giudizio promosso da una dipendente della Banca
CARIGE S.p.A - Cassa di risparmio di Genova e Imperia, al fine di
conseguire il diritto a percepire la pensione aziendale, il tribunale
di Genova ha sollevato questione di legittimità costituzionale
dell'art. 18, comma 8-quinquies, del decreto legislativo 21 aprile
1993, n. 124, introdotto dall'art. 15, comma 5, della legge 8 agosto
1995, n. 335, nonché dell'art. 59, comma 3, della legge 27 dicembre
1997, n. 449, denunciandone il contrasto con gli artt. 3, 38, 39 e 41
della Costituzione;
che il rimettente rammenta, anzitutto, di aver già sollevato
in precedenza, nell'ambito del medesimo giudizio principale,
questione di costituzionalità del menzionato art. 18, comma
8-quinquies, del decreto legislativo n. 124 del 1993 e che detta
questione è stata dichiarata, dalla Corte costituzionale,
manifestamente inammissibile con l'ordinanza n. 289 del 1999, "sul
presupposto che la normativa investita dalla questione di
costituzionalità ... era stata modificata dall'art. 59, comma 3,
della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e che questo tribunale aveva
omesso ogni considerazione in ordine all'influenza o meno dello jus
superveniens nella controversia posta al suo esame";
che, a tal fine, l'ordinanza osserva che il richiamato
art. 59, comma 3, "assume indubbio rilievo", giacché la ricorrente
nel giudizio a quo, pur avendo maturato in data anteriore al
1° gennaio 1998 i requisiti contributivi e anagrafici per accedere al
trattamento integrativo rivendicato, tuttavia, entro la predetta
data, "non si è dimessa dal lavoro ... e conseguentemente non si
sono verificate tutte le condizioni necessarie ad accedere al
trattamento rivendicato, il quale presuppone espressamente la
cessazione del rapporto di lavoro per dimissioni";
che, pertanto, secondo il rimettente, la fattispecie oggetto
di cognizione "rientra nella disciplina di cui al comma 3
dell'art. 59 della legge n. 449 del 1997, il quale inibisce alla
ricorrente l'accesso al trattamento integrativo rivendicato in via
anticipata rispetto ai trattamenti disciplinati dall'assicurazione
generale obbligatoria"; donde, "la permanente rilevanza della
questione di costituzionalità ..., rispetto allo jus superveniens
costituito dall'art. 59 della legge n. 449 del 1997";
che, quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo
osserva che "il divieto, del quale si tratta, limita, per il futuro,
sia l'adottabilità sia l'efficacia (se preesistenti) di clausole
regolamentari dei Fondi privati ... che garantiscono un accesso al
pensionamento "anticipato" rispetto a quello consentito dall'AGO",
alterando l'equilibrio dei preesistenti assetti negoziali sui quali
interviene;
che, osserva ancora il rimettente, un siffatto divieto,
estraneo alla logica di "emergenza", connotata dall'"eccezionalità e
temporaneità", non appare giustificato "da superiori esigenze di
politica sociale ed economica", le quali, in via di principio, non
precluderebbero al legislatore di intervenire in tal senso in un
settore di interesse pubblico quale è quello previdenziale;
che, pertanto, le disposizioni denunciate violerebbero gli
artt. 38, 39 e 41 della Costituzione, i quali "precludono interventi
limitativi e lesivi della libertà di contrattazione collettiva, di
iniziativa economica e di assistenza privata che non trovino
razionale giustificazione nella esigenza di tutela di altri,
prioritari, interessi";
che, inoltre, il giudice a quo ravvisa un vulnus all'art. 3
della Costituzione, sotto il profilo della violazione del principio
di eguaglianza, rispetto "al trattamento riservato ai fondi
integrativi" di cui al decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 357,
per i quali - sebbene la legge n. 335 del 1995 ne preveda
"l'assoggettamento allo stesso regime delle prestazioni dell'AGO" -
l'art. 3, comma 19, della medesima legge n. 335 del 1995 "consente
alla contrattazione collettiva di derogare a tale regime senza porre
limiti, in particolare, sotto il profilo dell'età di accesso ai
trattamenti di anzianità";
che si è costituita la Banca CARIGE S.p.A., parte appellata
nel giudizio a quo, concludendo "per l'inammissibilità e comunque
l'infondatezza" della sollevata questione, anche in ragione delle
argomentazioni addotte dalla sentenza n. 393 del 2000 della Corte
costituzionale, che ha dichiarato non fondata la questione di
costituzionalità dell'art. 59, comma 3, della legge n. 449 del 1997,
sollevata in riferimento agli artt. 3, 39 e 41 della Costituzione;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale
ha chiesto - con conclusioni ribadite nella memoria successivamente
depositata - che la questione sia dichiarata infondata, osservando,
tra l'altro, che i dubbi sollevati dall'ordinanza risultano già
superati dalla recente giurisprudenza costituzionale e, segnatamente,
dalla sentenza n. 393 del 2000;
che, con ordinanza del 9 maggio 2000 (r.o. n. 516 del 2000),
emessa nel corso del giudizio d'appello promosso dal Fondo di
previdenza "G. Caccianiga", il tribunale di Treviso ha sollevato
questione di legittimità costituzionale dell'art. 18, comma
8-quinquies, del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124,
introdotto dall'art. 15, comma 5, della legge n. 335 del 1995,
denunciandone il contrasto con gli artt. 41 e 38 della Costituzione;
che il giudice a quo ricorda, anzitutto, di aver già
proposto, nell'ambito del medesimo giudizio, la stessa questione,
decisa dalla Corte costituzionale con ordinanza n. 289 del 1999, con
la quale gli venivano restituiti gli atti, affinché valutasse la
perdurante rilevanza della questione medesima alla luce della
normativa sopravvenuta costituita dall'art. 59, comma 3, della legge
n. 449 del 1997;
che, ad avviso del rimettente, la sollevata questione è
tuttora rilevante e ciò in quanto il richiamato jus superveniens
"non ha abrogato, né espressamente, né implicitamente, le
disposizioni previgenti, già oggetto di dubbio di
incostituzionalità" e non è "suscettibile di incidere sulle domande
proposte" dai ricorrenti, le quali hanno ad oggetto l'accertamento
del diritto "all'erogazione del trattamento di prepensionamento di
cui allo Statuto del Fondo di previdenza ... alla data dell'avvenuta
realizzazione dei presupposti stabiliti da detto Statuto, data
anteriore alla stessa proposizione dei ricorsi introduttivi di primo
grado";
che, quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo
rinvia "integralmente" alla motivazione della precedente ordinanza di
rimessione (iscritta al r.o. n. 101 del 1998) della medesima
questione di costituzionalità, nella quale si assume che la
denunciata disposizione contrasterebbe con gli artt. 41 e 38 della
Costituzione - "che garantiscono l'autonomia privata sotto il profilo
dell'iniziativa economica e delle forme di assistenza" - "non
risultando individuabili nella norma le esigenze di tutela
dell'utilità sociale che sole possono giustificare la limitazione
del diritto costituzionalmente protetto";
che si è costituito il Fondo di previdenza "G. Caccianiga",
parte appellante nel giudizio a quo, per sentir dichiarare infondata
la proposta questione;
che, inoltre, si sono congiuntamente costituite le parti
appellate nel giudizio principale, concludendo per l'illegittimità
costituzionale, per contrasto con gli artt. 38, 39 e 41 della
Costituzione, del denunciato art. 18, comma 8-quinquies "se
interpretato nel senso per cui viene vietata l'erogazione da parte
dei fondi pensione complementari di trattamenti anticipati rispetto
alla liquidazione dell'assicurazione generale obbligatoria";
che, con memoria depositata in prossimità dell'udienza, le
medesime parti appellate, nello svolgere talune considerazioni
critiche sulla sentenza n. 393 del 2000, hanno ribadito le
conclusioni già rassegnate, invocando, altresì, una declaratoria di
incostituzionalità anche dell'art. 59 della legge 27 dicembre 1997,
n. 449;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il
quale, eccepita l'inammissibilità della questione, in quanto
l'ordinanza è motivata soltanto attraverso il rinvio al precedente
atto di promovimento dell'incidente di costituzionalità, ha
concluso, nel merito, per una declaratoria di infondatezza.
Considerato, preliminarmente, che i giudizi hanno ad oggetto
questioni analoghe o, comunque, tra loro connesse, sicché gli stessi
vanno riuniti per essere decisi con un'unica pronuncia;
che, quanto all'ordinanza della Corte d'appello di Venezia
(r.o. n. 495 del 2000), va osservato che il rimettente - dovendo
decidere su una fattispecie relativa ad una prestazione integrativa
erogata da un fondo ex esonerativo disciplinato dal decreto
legislativo n. 357 del 1990 - prospetta, in ordine agli artt. 13,
comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e 18, comma
8-quinquies, del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, nel
testo introdotto dall'art. 15, comma 5, della legge 8 agosto 1995,
n. 335, censure del tutto analoghe a quelle già scrutinate da questa
Corte con la sentenza n. 393 del 2000, sia pure in riferimento
all'art. 59, comma 3, della legge n. 449 del 1997;
che, in quell'occasione, si è affermato, in linea di
principio, che la previdenza complementare (integrativa o aggiuntiva
del trattamento erogato dall'assicurazione generale obbligatoria) si
colloca nell'alveo dell'art. 38, secondo comma, della Costituzione,
secondo la scelta legislativa di istituire un collegamento funzionale
tra la prima e la previdenza obbligatoria, quale momento essenziale
della complessiva riforma della materia, al fine di assicurare
funzionalità ed equilibrio all'intero sistema pensionistico;
che, in virtù di tale premessa, si è escluso che la
predetta disposizione contrasti con:
l'art. 39 della Costituzione, in quanto trovano
"giustificazione i limiti ed i vincoli addotti all'autonomia
collettiva" per quanto attiene alla disciplina dell'accesso ai
trattamenti pensionistici complementari; non senza tacere, peraltro,
del rilievo che, a tal fine, assumono sia l'esistenza di
"contropartite", rinvenibili segnatamente nella normativa di favore
di cui i fondi godono dal punto di vista tributario, sia l'"opportuno
contemperamento degli interessi" proprio con riferimento ai regimi
aziendali integrativi di cui al decreto legislativo n. 357 del 1990,
rispetto ai quali i medesimi vincoli possono essere derogati, in
particolari ipotesi, dalla contrattazione collettiva;
l'art. 41 della Costituzione, giacché "l'autonomia
negoziale e la libertà di iniziativa privata devono comunque cedere
di fronte a interessi di ordine superiore, economici e sociali, che
assumono rilievo a livello costituzionale";
l'art. 3 della Costituzione, in quanto "le finalità di
raccordo delle varie forme di previdenza complementare con il
trattamento pensionistico di base" dimostrano che "la norma non si
può reputare irragionevole", non prescindendo, peraltro, da
"esigenze di equilibrio del quadro complessivo della finanza
pubblica", né escludendo "ogni ipotesi di esonero dal divieto di
anticipata prestazione", atteso che, "seppure a fronte di
significative congiunture, il vincolo imposto al conseguimento delle
prestazioni integrative del trattamento di base risulta, per le forme
pensionistiche di cui al decreto legislativo n. 357 del 1990, non
solo sensibilmente attenuato, ma, in definitiva, rimesso alla
disponibilità delle parti sociali, con adeguato opportuno
apprezzamento, dunque, delle aspettative dei destinatari delle
prestazioni";
che non dissimili argomenti valgono a superare i dubbi
sollevati dal rimettente, atteso che, come evidenziato dalla medesima
sentenza n. 393 del 2000, l'art. 59, comma 3, della legge n. 449 del
1997, si inserisce nel contesto della "complessa opera riformatrice
del sistema previdenziale", alla quale "si ricollega anche la
sospensione, a suo tempo prevista, dei pensionamenti anticipati",
segnatamente venendo in rilievo una linea di continuità tra la
predetta disposizione e quella dell'art. 18, comma 8-quinquies del
decreto legislativo n. 124 del 1993, giacché con la prima si è
inteso "precisare e generalizzare, per quanto potesse occorrere, il
divieto di conseguire il relativo trattamento a prescindere dalle
regole vigenti per l'assicurazione generale obbligatoria, secondo un
criterio, per il vero, al quale si rifà anche" il medesimo art. 18,
comma 8-quinquies;
che, inoltre, in riferimento alla censura che investe,
segnatamente, l'art. 13, comma 1, della legge n. 724 del 1994, è da
rammentare l'orientamento più volte espresso dalla Corte (da ultimo,
ordinanza n. 18 del 2001), secondo il quale i provvedimenti attuativi
del blocco all'accesso delle pensioni di anzianità e dei trattamenti
anticipati in generale si innestano in un articolato processo
riformatore, approdato, tramite la legge n. 335 del 1995, ad una
soluzione di natura strutturale, sì da rinvenire "ragionevole
giustificazione nella necessità di influire sull'andamento
tendenziale della spesa previdenziale", al fine di stabilizzare il
rapporto tra la stessa ed il prodotto interno lordo;
che, peraltro, quanto all'argomento che il giudice a quo
ritiene di poter trarre dal menzionato art. 59 della legge n. 449 del
1997, nel senso della incostituzionalità delle denunciate
disposizioni, va osservato che il rimettente medesimo non considera,
tuttavia, che, rispetto ai vincoli derivanti, segnatamente, dal
censurato art. 18, comma 8-quinquies, l'art. 3, comma 19, della legge
n. 335 del 1995 riconosce alla contrattazione collettiva, nell'ambito
della disciplina delle prestazioni erogate dai fondi ex esonerativi,
una facoltà di rinegoziare - e, dunque, di ripristinare il regime di
miglior favore - ben più ampia di quella prevista dal suddetto
art. 59, comma 3;
che, dunque, le questioni sollevate dalla Corte d'appello di
Venezia sono da reputarsi manifestamente infondate;
che, quanto ai dubbi di costituzionalità prospettati
dall'ordinanza del tribunale di Genova (r.o. n. 501 del 2000), va
rilevato che il rimettente assume, in punto di rilevanza, che la
fattispecie oggetto di cognizione dinanzi a sé è disciplinata
esclusivamente dal predetto art. 59, comma 3;
che, tuttavia, l'ordinanza, contraddicendo a siffatta
premessa, denuncia non solo la norma ritenuta applicabile nel
giudizio a quo, ma anche l'art. 18, comma 8-quinquies, del decreto
legislativo n. 124 del 1993, disposizione rispetto alla quale,
peraltro, risultano precipuamente attagliarsi le argomentazioni in
punto di non manifesta infondatezza;
che, dunque, essendo prospettate in modo contraddittorio, le
questioni vanno dichiarate manifestamente inammissibili;
che, in riferimento alla questione sollevata dal tribunale di
Treviso (r.o. n. 516 del 2000), deve essere disattesa, in via
preliminare, l'eccezione di inammissibilità avanzata
dall'intervenuto Presidente del Consiglio dei ministri, sul
presupposto di un difetto di motivazione dell'atto di promovimento
dell'incidente di costituzionalità, il quale, a tal fine, rinvia
alla precedente ordinanza di rimessione (iscritta al r.o. n. 101 del
1998), emessa nello stesso giudizio a quo, rispetto alla quale la
Corte, con ordinanza n. 289 del 1999, ha disposto la restituzione
degli atti alla luce dello jus superveniens costituito dall'art. 59,
comma 3, della legge n. 449 del 1997;
che, invero, in siffatta ipotesi, come la Corte ha già avuto
occasione di affermare (sentenza n. 273 del 1997 e ordinanza n. 278
del 2000), è sufficiente che il rimettente, nel sollevare la
questione in continuità con la precedente ordinanza di rimessione,
argomenti plausibilmente sulla persistente rilevanza della questione
medesima: onere che il giudice a quo nel caso di specie, ha assolto
adeguatamente;
che, quanto al merito, è agevole osservare che le sollevate
censure trovano già risposta nelle argomentazioni sopra addotte,
giacché la violazione dell'art. 38 della Costituzione è chiaramente
prospettata sotto il profilo della garanzia della libertà di
assistenza privata e, dunque, in riferimento al quinto comma del
medesimo art. 38, mentre, come detto, il sistema della previdenza
complementare va ricondotto nell'alveo dell'art. 38, secondo comma,
della Costituzione; sicché, venendo in rilievo interessi superiori,
di livello costituzionale, anche l'ipotizzato vulnus all'art. 41
della Costituzione risulta privo di consistenza;
che, pertanto, la questione va dichiarata manifestamente
infondata.