Considerato in diritto
1.– Con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 22 del 2021), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1; 2; 3; 4, comma 1, lettere a), b), c), numeri 1) e 2), g), h) e i); 5, comma 1, lettere b) e i); 6; 7; 8; 9, comma 1, lettera b); 11, comma 1, lettere a), b), d), f), g) e h); 12; 13; 14; 15, comma 1, lettera c); 16; 17; 18; 19; 21; 23; 24; 25, comma 1, primo periodo; 26; 27; 28, commi 1 e 3; e 30, comma 2, della legge della Regione Sardegna 18 gennaio 2021, n. 1 (Disposizioni per il riuso, la riqualificazione ed il recupero del patrimonio edilizio esistente ed in materia di governo del territorio. Misure straordinarie urgenti e modifiche alle leggi regionali n. 8 del 2015, n. 23 del 1985, n. 24 del 2016 e n. 16 del 2017).
1.1.– Un primo gruppo di disposizioni è censurato per il contrasto con le prescrizioni statali in materia di edilizia e urbanistica, che si configurerebbero come norme fondamentali di riforma economico-sociale e rappresenterebbero, dunque, un limite alla competenza primaria che l’art. 3, lettera f), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), attribuisce alla Regione nella citata materia.
1.2.– Un secondo gruppo di disposizioni è, invece, censurato per violazione della sfera di competenza statale in materia di tutela del paesaggio e dell’ambiente, sul presupposto che il legislatore regionale abbia derogato alle prescrizioni del piano paesaggistico.
1.3.– Accanto alle citate censure, il ricorrente evoca anche la violazione di altri principi costituzionali e, in particolare, del canone di ragionevolezza (art. 3 della Costituzione), e l’invasione di altre sfere di competenza statale, come quelle in materia di ordinamento civile e penale (art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.) e di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.).
2.– Occorre esaminare, in primo luogo, le eccezioni preliminari formulate dalla parte resistente, che precluderebbero, per tutti i motivi di ricorso, la disamina del merito.
2.1.– La Regione autonoma Sardegna ha eccepito la tardività e la conseguente irricevibilità del ricorso.
2.1.1.– La legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 è stata pubblicata il 19 gennaio 2021 nel Bollettino Ufficiale della Regione autonoma della Sardegna (BURAS) n. 5. Secondo la resistente, sarebbe ininfluente la sua ulteriore pubblicazione sul BURAS n. 6 del 21 gennaio 2021, volta a porre rimedio all’omessa pubblicazione dell’art. 22.
Il Presidente del Consiglio dei ministri avrebbe dovuto proporre ricorso nei successivi sessanta giorni e, dunque, entro sabato 20 marzo 2021. Il ricorso, per contro, risulterebbe redatto domenica 21 marzo 2021.
Solo l’adempimento della notifica del ricorso sarebbe prorogato a lunedì 22 marzo 2021, primo giorno non festivo utile. Alla proroga, cioè, sarebbe estraneo il termine per la proposizione del ricorso, stabilito direttamente dalla Costituzione e inderogabile.
2.1.2.– L’eccezione non può essere accolta.
L’art. 127, primo comma, Cost. prevede che il Governo, quando ritenga che una legge ecceda la competenza della Regione, «entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione» possa proporre ricorso dinanzi a questa Corte.
Tale regola è ribadita dall’art. 31, comma 2, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale).
La difesa regionale identifica la proposizione del ricorso nella sua redazione e scinde tale fase da quella della successiva notificazione, che reputa irrilevante ai fini dell’osservanza del termine di legge.
Tali argomenti non possono essere condivisi.
L’elaborazione del ricorso a cura della difesa tecnica è un’attività priva di ogni rilevanza esterna. La proposizione del ricorso, valorizzata sia dal dettato costituzionale sia dalla legge n. 87 del 1953, si identifica nella sua notificazione ed è rispetto a tale notificazione, da cui dipendono l’esercizio del diritto di difesa della controparte e il successivo dispiegarsi del contraddittorio, che occorre valutare la tempestività dell’editio actionis.
L’art. 31, comma 3, della legge n. 87 del 1953 fuga ogni dubbio a tale riguardo, nel disporre che la questione di legittimità costituzionale sia «sollevata, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, anche su proposta della Conferenza Stato-Città e autonomie locali, dal Presidente del Consiglio dei ministri mediante ricorso diretto alla Corte costituzionale e notificato, entro i termini previsti dal presente articolo, al Presidente della Giunta regionale».
Ai fini della valutazione della tempestività dell’atto di impugnazione, la legge annette rilievo alla notificazione e non fa menzione alcuna dell’attività prodromica di redazione del ricorso. Anche per la successiva attività di deposito, la legge mostra di avere riguardo alla sola notificazione.
Tale quadro è coerente con le specificazioni delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale che, all’art. 19, nel testo vigente ratione temporis, menzionano la sola notificazione del ricorso.
Si deve ritenere, pertanto, che il ricorso avverso la legge regionale pubblicata il 19 gennaio 2021 sia stato proposto tempestivamente lunedì 22 marzo 2021. Il termine di sessanta giorni, destinato a scadere sabato 20 marzo 2021, infatti, si proroga di diritto al successivo 22 marzo 2021, in base alle regole stabilite dall’art. 52, commi 3 e 5, dell’Allegato 1 (codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), e applicabili ai giudizi dinanzi a questa Corte in virtù dell’art. 22, comma 1, della legge n. 87 del 1953.
2.2.– Ad avviso della parte resistente, il ricorso sarebbe nel suo complesso inammissibile, in quanto non terrebbe conto della potestà legislativa che spetta alla Regione autonoma Sardegna nella materia dell’edilizia e dell’urbanistica in forza dell’art. 3, lettera f), dello statuto speciale.
2.2.1.– Alla Regione autonoma Sardegna – argomenta la difesa regionale – spetterebbe una «potestà legislativa esclusiva» nella materia dell’urbanistica e della tutela del paesaggio.
Quanto ai parametri evocati nel ricorso, sarebbe improprio il richiamo all’art. 9 Cost., che non sarebbe una regola di riparto delle competenze, e all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che non si applicherebbe alle Regioni a statuto speciale.
Generico sarebbe anche il riferimento alla Convenzione europea sul paesaggio, adottata a Strasburgo dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa il 19 luglio 2000 e ratificata con legge del 9 gennaio 2006, n. 14.
Neppure sarebbe pertinente il richiamo alla competenza legislativa esclusiva dello Stato di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.
La parte resistente evidenzia, infine, che molte delle disposizioni menzionate nel ricorso non potrebbero essere qualificate come norme fondamentali di riforma economico-sociale e non potrebbero, pertanto, vincolare la potestà legislativa della Regione autonoma Sardegna.
A ulteriore supporto dell’eccezione, infine, si argomenta che non sarebbero state impugnate altre leggi di Regioni a statuto ordinario dal contenuto analogo.
2.2.2.– Neppure tali eccezioni possono essere accolte.
È ininfluente in punto di ammissibilità la circostanza che non siano state impugnate leggi di Regioni a statuto ordinario contenenti una disciplina per molti versi assimilabile a quella oggetto del presente giudizio. L’ammissibilità dell’impugnazione, in termini di tempestività e di sussistenza dell’interesse a ricorrere, deve essere valutata in relazione alle singole leggi adottate. Come questa Corte ha affermato in altre occasioni, l’acquiescenza rispetto ad altre leggi regionali non milita a favore della legittimità costituzionale delle disposizioni impugnate (sentenza n. 87 del 2019, punto 4.1.2. del Considerato in diritto).
Quanto alla citata Convenzione europea sul paesaggio, essa è stata menzionata al fine di corroborare le censure di violazione dell’art. 9 Cost.
Precetto, quest’ultimo, richiamato non tanto per le sue implicazioni sulla distribuzione delle competenze tra Stato e Regioni, ma per il valore primario che la Carta fondamentale attribuisce alla tutela del paesaggio.
Nel proporre le questioni, il ricorrente ha puntualmente analizzato la potestà legislativa che alla Regione autonoma Sardegna spetta in forza dello statuto speciale e ha ritenuto che, in concreto, i limiti di tale potestà siano stati travalicati.
Se tale assunto sia fondato, è profilo che investe il merito delle questioni, così come attiene al merito la qualificazione in termini di norme fondamentali di riforma economico-sociale delle previsioni statali citate nel ricorso.
Quanto alla competenza legislativa esclusiva dello Stato di cui all’art. 117, secondo comma, lettere m) ed s), Cost., essa è richiamata al solo scopo di indicare sfere di competenza che, anche nell’ambito dello statuto speciale, esulano dalle attribuzioni della Regione.
2.3.– Respinte, dunque, le eccezioni preliminari concernenti l’intero ricorso, le specifiche eccezioni di inammissibilità, che la difesa regionale ha di volta in volta articolato quanto ai singoli motivi proposti, saranno esaminate in relazione ad essi.
3.– Nello scrutinio delle odierne questioni di legittimità costituzionale, si analizzeranno, in primo luogo, quelle che attengono, in misura preponderante, alla normativa edilizia e urbanistica.
Il sindacato di questa Corte non può che prendere le mosse dalla normativa statutaria, che riveste rilievo essenziale nel definire le competenze della Regione autonoma Sardegna.
L’art. 3, lettera f), dello statuto speciale assegna alla Regione la potestà legislativa primaria nella materia «edilizia ed urbanistica». Fra i limiti generali che tale potestà incontra si annovera il rispetto delle norme fondamentali di riforma economico-sociale stabilite dal legislatore statale nella specifica materia.
3.1.– A tali norme devono essere anzitutto ricondotte – nei limiti e per i motivi che saranno illustrati – le previsioni del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia. (Testo A)». Delle norme fondamentali di riforma economico-sociale le disposizioni del d.P.R. n. 380 del 2001 (d’ora in avanti anche: t.u. edilizia) menzionate dal ricorrente condividono le caratteristiche salienti, che questa Corte ha enucleato nel contenuto riformatore e nell’attinenza a settori o beni della vita economico-sociale di rilevante importanza (fra le molte, sentenza n. 198 del 2018, punto 6.2.2. del Considerato in diritto).
3.2.– Nell’esercizio della competenza primaria nella materia edilizia e urbanistica, la Regione autonoma Sardegna incontra anche il significativo limite della tutela ambientale, garantita dalla normativa statale e realizzata con la redazione dei piani paesaggistici.
È alla luce di tali principi che si deve ora vagliare la normativa impugnata.
4.– Alla disciplina in materia di edilizia deve essere ricondotto l’art. 2 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, che modifica l’art. 26-bis, comma 4, della legge della Regione Sardegna 23 aprile 2015, n. 8 (Norme per la semplificazione e il riordino di disposizioni in materia urbanistica ed edilizia e per il miglioramento del patrimonio edilizio), e proroga al 31 dicembre 2023 l’originario termine del 31 dicembre 2020.
4.1.– L’art. 26-bis della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, modificato dalla previsione impugnata, persegue l’obiettivo di «superare le situazioni di degrado legate alla presenza, all’interno delle zone urbanistiche omogenee agricole, di costruzioni non ultimate e prive di carattere compiuto» e, in tale contesto, consente «il completamento degli edifici, le cui opere sono state legittimamente avviate e il cui titolo abilitativo è scaduto o dichiarato decaduto e non può essere rinnovato a seguito dell’entrata in vigore di contrastanti disposizioni» (comma 1).
Il completamento è consentito a condizione che gli edifici: «a) siano per la parte realizzata conformi al progetto approvato, salva la possibilità di regolarizzazione delle varianti classificabili come in corso d’opera o di ripristino delle originarie condizioni progettuali; b) siano completati, anche se privi della sola copertura, nell’ossatura strutturale, o nelle murature nel caso di edifici in muratura portante; c) non ricadano in aree dichiarate, ai sensi del vigente Piano stralcio per l’assetto idrogeologico del bacino unico regionale (PAI), da strumenti di pianificazione regionale o comunale, di pericolosità idraulica elevata o molto elevata (Hi3 - Hi4) e di pericolosità da frana elevata o molto elevata (Hg3 - Hg4); d) non ricadano in aree di inedificabilità assoluta così qualificate da disposizioni legislative e regolamentari statali e regionali; e) rispettino i parametri individuati dal decreto del Presidente della Giunta regionale n. 228 del 1994» (comma 2).
Il completamento è limitato ai «lavori necessari a rendere finito e agibile l’edificio nella consistenza volumetrica da realizzare, anche se inferiore a quella di progetto» (comma 3).
L’art. 26-bis, comma 4, primo periodo, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, precisa che il completamento è soggetto a permesso di costruire, che va richiesto a pena di decadenza entro il termine oggi individuato – in base alla disposizione impugnata – nel 31 dicembre 2023. Il permesso di costruire è subordinato «al rispetto dei requisiti tecnici e all’acquisizione degli eventuali atti di assenso relativi a vincoli paesaggistici, idrogeologici, ambientali, di tutela del patrimonio storico, artistico e archeologico e dalle altre normative di settore, previsti dalla normativa vigente all’atto della presentazione della nuova istanza» (comma 4, secondo periodo).
4.2.– Il ricorrente censura la violazione dei limiti posti dall’art. 3 dello statuto speciale alla potestà legislativa della Regione autonoma Sardegna e, in particolare, del limite delle norme fondamentali di riforma economico-sociale.
Ad avviso del ricorrente, la disposizione impugnata, nel rinnovare una disciplina derogatoria scaduta il 31 dicembre 2020, consentirebbe nelle zone agricole il completamento di costruzioni «nei casi in cui non sarebbe possibile ottenere il rinnovo del titolo edilizio ormai divenuto inefficace, a causa di una sopravvenuta disciplina pianificatoria incompatibile».
La disciplina in esame, nel prolungare il termine entro il quale è possibile avvalersi di «titoli decaduti anche da lungo tempo», si porrebbe in contrasto con le norme di grande riforma economico-sociale contenute nell’art. 15 del d.P.R. n. 380 del 2001, che commina la decadenza del titolo edilizio nell’ipotesi di superamento dei termini per l’ultimazione dei lavori e impone, per le opere ancora da eseguire, il rilascio di un nuovo titolo.
Nel consentire il completamento, nelle zone agricole, di edifici incompatibili con l’attuale destinazione urbanistica, la previsione in esame derogherebbe anche «al principio fondamentale posto dall’art. 41-quinquies, ottavo comma, della legge n. 1150 del 1942 (attuato mediante il d.m. n. 1444 del 1968, recepito dalla Regione Sardegna con il D. A. n. 2266/U/1983, e il d.P.G. n. 228 del 1994)», che suddivide il territorio comunale in zone territoriali omogenee, allo scopo di garantirne un assetto ordinato. Sarebbero consentiti «interventi gravemente pregiudizievoli per il territorio», idonei a determinare «un aggravio del carico urbanistico nelle aree interessate», con «esiti arbitrari e irragionevoli». Ai Comuni, difatti, sarebbe impedita la doverosa attività di rimessione in pristino.
L’impugnato art. 2 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 violerebbe anche l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., in quanto interverrebbe ad alterare «i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili dei cittadini che devono necessariamente essere garantiti in modo uguale su tutto il territorio nazionale».
La disciplina in esame, inoltre, si porrebbe in contrasto con l’art. 117, commi primo e secondo, lettera s), Cost., poiché inciderebbe sulla pianificazione paesaggistica, con invasione della competenza legislativa esclusiva dello Stato, «attuata dagli articoli 135, 143, 145 e 156 del codice dei beni culturali e del paesaggio, dall’articolo 5, comma 11, del decreto legge n. 70 del 2011, e dalla legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio». Si vanificherebbe lo scopo della pianificazione paesaggistica, che tende a valutare le trasformazioni del territorio non «in modo parcellizzato», ma nell’ambito di una «considerazione complessiva del contesto tutelato specificamente demandata al piano paesaggistico».
La disposizione impugnata, nell’intervenire in modo unilaterale in spregio alla pianificazione congiunta, sarebbe lesiva, infine, del principio di leale collaborazione.
4.3.– Non è fondata l’eccezione di inammissibilità delle questioni formulata dalla parte resistente sul presupposto della tardività dell’impugnazione.
È irrilevante il fatto che la disciplina in esame si raccordi a una normativa previgente e non impugnata, quale quella dell’art. 26-bis della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015. Nel fissare un nuovo termine di vigenza di disposizioni derogatorie, la previsione impugnata, infatti, ha un autonomo effetto lesivo, il che fonda l’interesse a ricorrere del Presidente del Consiglio dei ministri.
4.4.– Le questioni possono essere dunque scrutinate nel merito.
Esse sono fondate, in riferimento all’art. 3 dello statuto speciale, per contrasto con l’art. 15 t.u. edilizia.
4.4.1.– Tale ultima disposizione disciplina l’efficacia temporale e la decadenza del permesso di costruire.
Il permesso di costruire decade quando i lavori non siano cominciati entro un termine, che non può essere superiore a un anno dal rilascio del titolo, o non siano ultimati entro un termine che non può superare i tre anni dall’inizio dei lavori. Prima della scadenza del termine, può essere richiesta una proroga, che l’amministrazione accorda con provvedimento motivato, «per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso, oppure in considerazione della mole dell’opera da realizzare, delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive emerse successivamente all’inizio dei lavori, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari» (art. 15, comma 2, terzo periodo, d.P.R. n. 380 del 2001). La proroga è accordata anche «qualora i lavori non possano essere iniziati o conclusi per iniziative dell’amministrazione o dell’autorità giudiziaria rivelatesi poi infondate» (art. 15, comma 2-bis, d.P.R. n. 380 del 2001).
Allorché si intenda realizzare la parte dell’intervento non ultimata nel termine stabilito, è necessario richiedere un «nuovo permesso per le opere ancora da eseguire, salvo che le stesse non rientrino tra quelle realizzabili mediante segnalazione certificata di inizio attività» (art. 15, comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001).
Il legislatore statale, infine, prevede la decadenza del permesso di costruire in conseguenza dell’entrata in vigore «di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio» (art. 15, comma 4, d.P.R. n. 380 del 2001).
L’art. 15 t.u. edilizia riprende e adatta quel che già stabilivano il terzo, quarto e quinto comma dell’art. 4 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme per la edificabilità dei suoli), e l’art. 31, undicesimo comma, della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica). Nel delimitare l’arco temporale di validità dei titoli edilizi, la normativa statale detta standard uniformi e si rivela di cruciale importanza in un ordinato governo del territorio, che non può tollerare difformità tra Regioni con riguardo all’aspetto prioritario della durata e dell’efficacia dei titoli edilizi.
In questa prospettiva emerge il carattere di norma fondamentale di riforma economico-sociale, che, in quanto tale, vincola la potestà legislativa primaria della Regione autonoma Sardegna nella materia dell’edilizia e dell’urbanistica.
4.4.2.– La disposizione regionale impugnata consente nelle zone agricole il completamento delle costruzioni, che può essere richiesto entro un termine ora prolungato fino al 31 dicembre 2023, anche quando il titolo abilitativo sia decaduto e non possa più essere rinnovato in seguito all’entrata in vigore di contrastanti disposizioni.
Sussiste la lamentata difformità dalla normativa statale, che, nel caso dell’entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, commina la decadenza del permesso di costruire, decadenza che può essere evitata solo quando i lavori siano già iniziati e risultino ultimati nel termine di tre anni dalla data di inizio.
La normativa regionale, infatti, nel prolungare i termini entro i quali è possibile richiedere il permesso di costruire per completare le costruzioni nelle zone agricole, anche quando il titolo sia decaduto e non possa essere rinnovato, deroga in maniera indiscriminata alla decadenza sancita dalla legislazione statale, senza richiedere le tassative condizioni individuate dal testo unico dell’edilizia.
4.4.3.– Si deve dichiarare, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 2 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021.
Restano assorbite le ulteriori censure formulate nel ricorso.
5.– Al medesimo nucleo tematico dell’edilizia e dell’urbanistica appartengono anche le censure relative all’art. 11, comma 1, lettera a), della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, che modifica l’art. 36 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015.
5.1.– La citata lettera a) interviene sull’art. 36, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 e, nel sopprimere la parola «non», fa sì che anche i volumi oggetto di condono edilizio siano computati nella determinazione del volume urbanistico al quale commisurare l’incremento volumetrico. La previsione impugnata sovvertirebbe il caposaldo della legislazione sul “Piano casa”, che vieta di considerare gli abusi edilizi ai fini del godimento delle premialità volumetriche.
5.2.– Secondo il ricorrente, sarebbe, pertanto, violato l’art. 3 dello statuto speciale, in quanto la disciplina in esame, «pur se in ipotesi operando nell’alveo della competenza legislativa regionale in materia edilizia», confliggerebbe con le norme fondamentali di riforma economico-sociale contenute nell’art. 41-quinquies, commi ottavo e nono, della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica), negli artt. 2-bis e 14 t.u. edilizia, nell’intesa sul “Piano casa” del 2009, fondata sulle previsioni dell’art. 11 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione Tributaria), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, e nell’art. 5, commi 9 e seguenti, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l’economia), convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 2011, n. 106. Tali previsioni sarebbero perentorie nel vietare l’applicazione della normativa di favore agli immobili condonati.
5.3.– Le questioni promosse con riguardo all’art. 11, comma 1, lettera a), della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 sono fondate, in riferimento all’art. 3 dello statuto speciale.
5.3.1.– Il 31 marzo 2009, Governo, Regioni ed enti locali hanno stipulato un’intesa volta a favorire iniziative per il rilancio dell’economia e a introdurre incisive misure di semplificazione dell’attività edilizia.
Le Regioni si sono impegnate a regolamentare interventi di demolizione e ricostruzione con ampliamento per edifici a destinazione residenziale entro il limite del 35 per cento della volumetria esistente, con finalità di miglioramento della qualità architettonica e dell’efficienza energetica.
L’intesa puntualizza che gli interventi edilizi non possono riferirsi a edifici abusivi ovvero ubicati nei centri storici o in aree di inedificabilità assoluta.
L’art. 5, comma 9, del d.l. n. 70 del 2011, nel tradurre in legge dello Stato l’intesa raggiunta, affida alle Regioni il compito di approvare leggi finalizzate a incentivare la razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente, a promuovere e agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate con presenza di funzioni eterogenee e tessuti edilizi disorganici o incompiuti e di edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione o da rilocalizzare, anche alla luce dell’esigenza di favorire lo sviluppo dell’efficienza energetica e delle fonti rinnovabili.
Tali finalità possono essere perseguite anche mediante l’approvazione di leggi che prevedano interventi di demolizione e ricostruzione con il riconoscimento di una volumetria aggiuntiva come misura premiale, con la delocalizzazione delle volumetrie in aree diverse, con le modifiche di destinazione d’uso (sempre che si tratti di destinazioni tra loro compatibili o complementari) e con le modifiche della sagoma necessarie per l’armonizzazione architettonica con gli organismi edilizi esistenti.
Tali interventi – precisa l’art. 5, comma 10, del d.l. n. 70 del 2011 – non possono riferirsi a edifici abusivi o siti nei centri storici o in aree di inedificabilità assoluta, «con esclusione degli edifici per i quali sia stato rilasciato il titolo abilitativo edilizio in sanatoria».
5.3.2.– È la stessa previsione della legge statale a chiarire la portata del divieto di beneficiare delle premialità volumetriche con riguardo agli immobili abusivi. Questo divieto non opera solo quando sia stato rilasciato il titolo edilizio in sanatoria.
Tale nozione si deve interpretare in senso restrittivo, in coerenza con la terminologia adoperata dal legislatore e con la ratio della normativa in esame.
Il titolo in sanatoria, che rileva agli effetti della concessione di premialità volumetrica, differisce dal condono valorizzato dal legislatore regionale.
Mentre il condono ha per effetto la sanatoria non solo formale ma anche sostanziale dell’abuso, a prescindere dalla conformità delle opere realizzate alla disciplina urbanistica ed edilizia (sentenza n. 50 del 2017, punto 5 del Considerato in diritto), il titolo in sanatoria presuppone la conformità alla disciplina urbanistica e edilizia vigente sia al momento della realizzazione dell’immobile sia al momento della presentazione della domanda (sentenza n. 107 del 2017, punto 7.2. del Considerato in diritto).
A favore dell’interpretazione restrittiva milita il carattere generale del divieto di concessione di premialità volumetriche per gli immobili abusivi, espressivo della scelta fondamentale del legislatore statale di disconoscere vantaggi in caso di abuso e di derogare a tale principio in ipotesi tassative.
La disciplina ricordata configura una norma fondamentale di riforma economico-sociale, come confermano l’ampiezza degli obiettivi perseguiti, l’incidenza su aspetti qualificanti della normativa edilizia e urbanistica e la stessa scelta di coinvolgere anche Regioni ed enti locali nel definire i tratti essenziali dell’intervento riformatore.
Il legislatore regionale, nell’annettere rilievo anche ai volumi condonati, ha infranto il divieto contenuto in una prescrizione della legge statale, idonea a vincolare la potestà legislativa primaria della Regione autonoma Sardegna nella materia dell’urbanistica e dell’edilizia.
5.4.– Si deve dichiarare, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 11, comma 1, lettera a), della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021.
Restano assorbite le ulteriori censure formulate nel ricorso.
6.– È impugnato l’art. 17 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, che proroga alcuni termini della legislazione regionale attuativa del “Piano casa”, contenuti negli artt. 34, comma 1, lettera b), 37, comma 1, e 41, comma 4, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015.
6.1.– Quanto alle proroghe disposte dal comma 1, esse consentirebbero di eseguire alcuni interventi previsti dal “Piano casa” fino all’inizio del 2021, estendendo di ulteriori sei anni il termine iniziale, ancorato all’entrata in vigore della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015.
Tale differimento contrasterebbe «con il carattere straordinario ed eccezionale della normativa del piano casa» e sarebbe caratterizzato da un’efficacia retroattiva, in contrasto con il divieto di sanatoria ex post sancito dall’art. 167 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137).
Quanto alle proroghe di cui al comma 2, queste consentirebbero l’applicazione fino al 31 dicembre 2023 delle disposizioni del secondo “Piano casa” della Sardegna, prorogando il termine del 31 dicembre 2020, già in precedenza prorogato e per questo denunciato con altro ricorso.
6.2.– In base a tali considerazioni, il ricorrente prospetta la violazione degli artt. 9, 117, commi primo e secondo, lettera s), Cost., «rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156 del codice dei beni culturali e del paesaggio, la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio, e l’articolo 5, comma 11, del decreto legge n. 70 del 2011, per aver inciso in materia riservata alla competenza esclusiva dello Stato e per di più in modo difforme da impegni assunti in sede internazionale».
La previsione impugnata sarebbe lesiva, inoltre, del canone di ragionevolezza (art. 3 Cost.), in quanto la reiterata proroga della disciplina del “Piano casa” e la proroga di un termine già scaduto produrrebbero «esiti manifestamente arbitrari e irrazionali».
Sarebbe violato, altresì, l’art. 3 dello statuto speciale, come attuato con il decreto del Presidente della Repubblica 22 maggio 1975, n. 480 (Nuove norme di attuazione dello statuto speciale della regione autonoma della Sardegna), in quanto, «pur nell’ipotesi di un’eventuale competenza regionale», la disciplina impugnata si porrebbe in contrasto con le norme fondamentali di riforma economico-sociale contenute nell’art. 41-quinquies, commi ottavo e nono, della legge n. 1150 del 1942, nell’art. 14 t.u. edilizia, nell’intesa sul “Piano casa” del 2009, fondata sull’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008, e nell’art. 5, commi 9 e seguenti, del d.l. n. 70 del 2011.
Sarebbe violato, infine, il principio di leale collaborazione, in quanto il legislatore regionale avrebbe «unilateralmente disposto in materia affidata alla co pianificazione».
6.3.– Occorre ricostruire i tratti salienti della disciplina impugnata, nelle sue interrelazioni con la normativa previgente oggetto di proroga.
L’art. 17, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 differisce fino al 19 gennaio 2021 l’efficacia temporale di alcune disposizioni dettate dalla legge reg. Sardegna n. 8 del 2015.
Si tratta, in primo luogo, dell’art. 34, comma 1, lettera b), della legge regionale citata, che non ammette gli interventi di miglioramento del patrimonio edilizio esistente «negli edifici completati successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge, come risultante dalla comunicazione di fine lavori o da perizia giurata di un tecnico abilitato che attesti il completamento dell’ingombro volumetrico con realizzazione delle murature perimetrali e della copertura».
La proroga riguarda, in secondo luogo, i termini stabiliti dall’art. 41, comma 4, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, che consente l’attuazione degli interventi localizzati nelle zone urbanistiche omogenee C (di espansione residenziale), D (industriali, commerciali e artigianali) e G (servizi generali), contigue al centro urbano, e previsti nei piani attuativi adottati alla data di entrata in vigore della medesima legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 in attuazione dell’art. 13, comma 1, lettera b), della legge della Regione Sardegna 23 ottobre 2009, n. 4 (Disposizioni straordinarie per il sostegno dell’economia mediante il rilancio del settore edilizio e per la promozione di interventi e programmi di valenza strategica per lo sviluppo).
L’art. 17, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 differisce al 31 dicembre 2023 il termine del 31 dicembre 2020, originariamente previsto dall’art. 37, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 per l’efficacia delle disposizioni dettate dalla medesima legge regionale per il miglioramento del patrimonio edilizio esistente.
Il legislatore regionale stabilisce «conseguentemente» che operi «la reviviscenza» di tali disposizioni, contenute nel Capo I del Titolo II della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, che avevano già cessato di operare il 1° gennaio 2021. Nel prevederne la «reviviscenza», il legislatore regionale colma così lo iato temporale tra il 1° gennaio 2021, data in cui le previsioni erano divenute oramai inefficaci, e il 19 gennaio 2021, data di entrata in vigore della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, che ha ripristinato la disciplina fino al 31 dicembre 2023.
6.4.– La difesa regionale ha eccepito l’inammissibilità delle questioni e, a tale riguardo, ha richiamato la sentenza di questa Corte n. 170 del 2021, che ha dichiarato l’inammissibilità delle censure concernenti la legge della Regione Sardegna 24 giugno 2020, n. 17 (Modifiche alla legge regionale n. 22 del 2019 in materia di proroga di termini).
Tale normativa aveva prorogato fino al 31 dicembre 2020 l’efficacia delle disposizioni della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 in tema di miglioramento del patrimonio edilizio esistente.
Nella pronuncia citata dalla difesa regionale, le questioni sono state dichiarate inammissibili, in quanto il ricorrente non aveva approfondito l’esame della normativa oggetto di proroga, dal contenuto eterogeneo, e si era limitato a richiamare il mero dato della proroga di precedenti disposizioni derogatorie, dato che questa Corte ha ritenuto inidoneo «a illustrare il senso e il fondamento delle censure» (sentenza n. 170 del 2021, punto 5.2.1. del Considerato in diritto).
A diverse conclusioni si deve giungere nella fattispecie sottoposta all’odierno scrutinio.
Il ricorso oggi all’esame di questa Corte ricostruisce con dovizia di dettagli la normativa oggetto di proroga, in quanto la legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 interviene a estenderne sotto disparati profili la portata applicativa. Il ricorrente analizza il contenuto precettivo e le ripercussioni sul paesaggio. Non sussistono, pertanto, le lacune segnalate nella sentenza n. 170 del 2021.
Le questioni promosse dal Presidente del Consiglio sono, pertanto, ammissibili.
6.5.– Esse sono fondate, in riferimento all’art. 3 dello statuto speciale.
6.5.1.– Già nella citata sentenza n. 170 del 2021, questa Corte ha evidenziato che «[i]l prolungato succedersi delle proroghe di una disciplina derogatoria, in contrasto con le esigenze di una regolamentazione organica e razionale dell’assetto del territorio, presenta un innegabile rilievo» (punto 5.2.1. del Considerato in diritto).
Tale rilievo deve essere ribadito nel caso di specie, che registra il novum di una ulteriore proroga, per un tempo cospicuo.
Il legislatore regionale, per un verso, ha ampliato notevolmente la portata di una normativa, che aveva dapprima come orizzonte temporale l’entrata in vigore della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, e ha prorogato, per altro verso, fino al 31 dicembre 2023, e dunque per un ulteriore triennio, la disciplina derogatoria della medesima legge, inizialmente contraddistinta da un preciso termine di vigenza (fino al 31 dicembre 2016), successivamente a più riprese prorogato. Il concatenarsi di tali disposizioni, che si accompagna anche alla reviviscenza per un breve arco temporale di una normativa già esaurita, concorre a perpetuare l’applicazione della descritta disciplina derogatoria.
6.5.2.– È proprio l’indefinito succedersi delle proroghe, ancorate all’entrata in vigore di una nuova legge regionale sul governo del territorio o a termini di volta in volta differiti, che interferisce con la tutela paesaggistica e determina il vulnus denunciato dal ricorrente.
La previsione impugnata, nel sancire per un tempo apprezzabile un’ulteriore proroga di disposizioni che derogano alla pianificazione urbanistica, consente reiterati e rilevanti incrementi volumetrici del patrimonio edilizio esistente, isolatamente considerati e svincolati da una organica disciplina del governo del territorio, che lo stesso legislatore regionale individua come la sede più appropriata per la regolamentazione di interventi di consistente impatto, nel rispetto dei limiti posti dallo statuto di autonomia alla potestà legislativa primaria.
La legge regionale, consentendo interventi parcellizzati, svincolati da una coerente e stabile cornice normativa di riferimento, trascura l’interesse all’ordinato sviluppo edilizio, proprio della pianificazione urbanistica, e così danneggia «il territorio in tutte le sue connesse componenti e, primariamente, nel suo aspetto paesaggistico e ambientale» (sentenza n. 219 del 2021, punto 4.2. del Considerato in diritto)».
D’altro canto, tale proroga, disposta in pendenza del procedimento, condiviso con lo Stato, di adeguamento del piano paesaggistico relativo alle aree costiere e di elaborazione di quello relativo alle aree interne, peraltro in corso da lungo tempo, finisce per compromettere la stessa pianificazione paesaggistica, deputata a indicare le linee fondamentali della tutela del paesaggio.
La disciplina impugnata contrasta dunque con la normativa codicistica posta a tutela del paesaggio, che costituisce limite anche alla competenza legislativa primaria della Regione autonoma Sardegna nella materia dell’urbanistica e dell’edilizia.
6.5.3.– Si deve dichiarare, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 17 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021.
Sono assorbite le restanti censure.
7.– Oggetto di impugnazione è anche l’art. 18 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, che reca una norma transitoria in tema di titoli abilitativi.
7.1.– Tale normativa fa salve le richieste di titoli abilitativi «di cui alla legge regionale n. 8 del 2015 e successive proroghe, presentate fino alla data del 31 dicembre 2020», e considera validi gli atti compiuti dagli uffici pubblici statali, regionali o comunali (comma 1).
Chi intenda beneficiare della più favorevole normativa introdotta dalla legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 dovrà presentare «esclusivamente le integrazioni o modifiche alla documentazione già presentata» in base alle previsioni della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 (comma 2).
Le richieste di titoli abilitativi presentate tra il 1° gennaio e il 19 gennaio 2021, quest’ultima, data di entrata in vigore della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, devono essere ripresentate a decorrere dal 19 gennaio 2021 (comma 3).
7.2.– Il ricorrente assume che tale disposizione, nel far salvi gli atti presentati sulla base di una normativa previgente e oggetto di autonoma impugnativa, vìoli l’art. 3 dello statuto speciale, come attuato con il d.P.R. n. 480 del 1975, gli artt. 9 e 117, commi primo e secondo, lettera s), Cost., «rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156 del codice dei beni culturali e del paesaggio, la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio, e l’articolo 5, comma 11, del decreto legge n. 70 del 2011, avendo legiferato in materia di competenza statale e per di più in modo difforme dagli impegni assunti in sede internazionale».
Tale disposizione, nel prorogare la disciplina del “Piano casa” e nell’intervenire su un termine già scaduto, produrrebbe «esiti manifestamente arbitrari e irragionevoli», in violazione dell’art. 3 Cost.
Il vulnus all’art. 3 dello statuto speciale si coglierebbe anche in ragione del contrasto con le norme di grande riforma economico-sociale dettate dall’art. 41-quinquies, commi ottavo e nono, della legge n. 1150 del 1942, dall’art. 14 t.u. edilizia, dall’intesa sul “Piano casa”, fondata sull’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008, e dall’art. 5, commi 9 e seguenti, del d.l. n. 70 del 2011.
Sarebbe violato, infine, anche l’obbligo di leale collaborazione con lo Stato, in quanto si verte in materia assoggettata all’obbligo di pianificazione congiunta.
7.3.– Le questioni sono fondate, in riferimento all’art. 3 dello statuto speciale.
7.3.1.– Le previsioni impugnate si inquadrano nella reiterata proroga della disciplina sul “Piano casa” e ne definiscono le implicazioni sul rilascio di titoli abilitativi e sulla connessa attività istruttoria dell’amministrazione.
Il legislatore regionale, nel disporre l’immediata applicazione – anche ai procedimenti in corso – della normativa che innalza gli incrementi volumetrici, estende l’ambito applicativo di tale disciplina derogatoria e incide sul correlato regime dei titoli abilitativi, che la previsione ora esaminata arbitrariamente estende – con effetti ex tunc –così da compromettere la stessa pianificazione paesaggistica.
7.3.2.– Si deve dichiarare, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 18 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021.
Restano assorbiti gli ulteriori profili di censura.
8.– Alla materia dell’edilizia appartengono anche le previsioni dell’art. 19 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, che aggiunge i commi 1-ter e 1-quater all’art. 7-bis della legge della Regione Sardegna 11 ottobre 1985, n. 23 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, di risanamento urbanistico e di sanatoria di insediamenti ed opere abusive, di snellimento ed accelerazione delle procedure espropriative).
8.1.– L’art. 7-bis, comma 1-ter, della legge reg. Sardegna n. 23 del 1985, per i fabbricati realizzati con licenza di costruzione antecedente all’entrata in vigore della medesima legge regionale, considera tolleranze edilizie, «con conseguente inapplicabilità delle disposizioni in materia di parziale difformità, le violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 5 per cento delle misure progettuali».
L’art. 7-bis, comma 1-quater, della medesima legge, aggiunto dalla disposizione impugnata, qualifica come tolleranze edilizie «le parziali difformità, realizzate nel passato durante i lavori per l’esecuzione di un titolo abilitativo cui sia seguita, previo sopralluogo o ispezione da parte di funzionari incaricati, la certificazione di conformità edilizia e di agibilità nelle forme previste dalla legge e le parziali difformità rispetto al titolo abilitativo legittimamente rilasciato, che l’amministrazione comunale abbia espressamente accertato nell’ambito di un procedimento edilizio e che non abbia contestato come abuso edilizio o che non abbia considerato rilevanti ai fini dell’agibilità dell’immobile».
La disciplina regionale intende tutelare il «principio di certezza delle posizioni giuridiche» e l’affidamento, e fa salva la possibilità di adottare i provvedimenti di annullamento d’ufficio al ricorrere dei presupposti dell’art. 21-nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi).
8.2.– L’art. 19 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 è censurato per violazione dell’art. 3 dello statuto speciale, in quanto contrasterebbe con le norme di grande riforma economico-sociale dell’art. 34-bis t.u. edilizia. La normativa statale prevede – per le tolleranze edilizie – un limite più contenuto (2 per cento) rispetto a quello fissato dal legislatore regionale (5 per cento), detta una disciplina più rigorosa per gli immobili tutelati e non attribuisce alcun rilievo all’affidamento nella conservazione di una situazione di fatto abusiva.
Tale contrasto implicherebbe anche l’invasione della sfera di competenza legislativa esclusiva dello Stato nella determinazione «dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili dei cittadini» (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.).
La previsione impugnata, inoltre, nell’ampliare l’ambito delle tolleranze edilizie, negherebbe il rilievo penale di alcune fattispecie di abusi e sarebbe lesiva, pertanto, della competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia dell’ordinamento penale (art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.).
Il ricorrente denuncia anche la violazione delle «norme costituzionali poste a tutela del paesaggio e del patrimonio storico ed artistico, nonché della competenza esclusiva statale in materia paesaggistica», con «un significativo abbassamento del livello della tutela degli immobili vincolati». Per tali ragioni, vi sarebbe contrasto con gli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost.
8.3.– Le questioni sono fondate, in riferimento all’art. 3 dello statuto speciale.
8.3.1.– Occorre dar conto, in via preliminare, della disciplina sulle tolleranze costruttive delineata dall’art. 34-bis t.u. edilizia, inserito dall’art. 10, comma 1, lettera p), del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 (Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale), convertito, con modificazioni, nella legge 11 settembre 2020, n. 120.
La previsione citata non considera violazione edilizia «[i]l mancato rispetto dell’altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta e di ogni altro parametro delle singole unità immobiliari», quando lo scostamento sia contenuto nella misura del 2 per cento di quanto è sancito dal titolo abilitativo (comma 1).
Il legislatore statale qualifica come tolleranze esecutive – salvo che si tratti di immobili sottoposti a tutela – «le irregolarità geometriche e le modifiche alle finiture degli edifici di minima entità, nonché la diversa collocazione di impianti e opere interne, eseguite durante i lavori per l’attuazione di titoli abilitativi edilizi, a condizione che non comportino violazione della disciplina urbanistica ed edilizia e non pregiudichino l’agibilità dell’immobile» (comma 2).
L’art. 34-bis, comma 3, t.u. edilizia puntualizza che il tecnico abilitato – ai fini dell’attestazione dello stato legittimo degli immobili – dichiara le tolleranze esecutive riguardanti gli interventi precedenti.
Le prescrizioni in tema di tolleranze costruttive definiscono il profilo di capitale importanza delle difformità rilevanti, in una prospettiva che non può non essere omogenea sull’intero territorio nazionale e che investe norme fondamentali di riforma economico-sociale, vincolanti anche la potestà legislativa attribuita alla Regione Sardegna dall’art. 3 dello statuto di autonomia.
8.3.2.– La normativa regionale impugnata diverge dalle prescrizioni statali con riguardo a diversi aspetti salienti.
Anzitutto, a fronte di un limite del 2 per cento, individuato dal testo unico dell’edilizia come punto di equilibrio per la definizione delle tolleranze costruttive, il legislatore regionale si attesta sul più ampio limite del 5 per cento.
In secondo luogo, l’impugnato art. 19 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 detta una disciplina generale, destinata a trovare applicazione anche per gli immobili vincolati, laddove l’art. 34-bis, comma 2, t.u. edilizia per tale fattispecie fissa limiti più rigorosi e considera in ogni caso rilevanti «le irregolarità geometriche e le modifiche alle finiture degli edifici di minima entità, nonché la diversa collocazione di impianti e opere interne, eseguite durante i lavori per l’attuazione di titoli abilitativi edilizi».
Il raffronto tra la disciplina regionale e quella del t.u. edilizia rivela discrepanze notevoli, che contraddicono la prospettazione riduttiva di una mera “implementazione” di una disciplina di favore.
8.3.3.– Va dichiarata, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 19 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, per violazione dell’art. 3 dello statuto speciale.
Le ulteriori censure prospettate dal ricorrente sono assorbite.
9.– Il ricorrente impugna anche l’art. 21 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, che aggiunge il comma 1-bis all’art. 16 della legge reg. Sardegna n. 23 del 1985 in tema di accertamento di conformità, da ricondurre pertanto anch’esso alla materia dell’edilizia.
9.1.– La previsione impugnata dispone che il permesso di costruire o l’autorizzazione all’accertamento di conformità possano essere ottenuti «qualora gli interventi risultino conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della presentazione della domanda». Tale disciplina – precisa il legislatore regionale – vale «ai soli fini amministrativi» e restano dunque impregiudicati «gli effetti penali dell’illecito».
9.2.– L’art. 21 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 è censurato, in quanto, con «un effetto dirompente» di sanatoria indiscriminata degli abusi, derogherebbe al principio della doppia conformità. Tale principio, vincolante anche per le autonomie speciali, presupporrebbe «la conformità dell’intervento realizzato senza titolo sia alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della realizzazione dell’abuso, che a quella in vigore al momento della presentazione della domanda».
La previsione impugnata violerebbe innanzitutto l’art. 3 dello statuto speciale, poiché il principio della doppia conformità si imporrebbe anche alle autonomie speciali, in quanto norma di grande riforma economico-sociale.
Il ricorrente ritiene che il principio in esame concerna i «livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili dei cittadini che devono essere assicurati uniformemente sull’intero territorio nazionale». Sarebbe lesa, pertanto, la competenza legislativa esclusiva dello Stato di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.
La previsione in esame, nel limitarsi a far salvi solo gli effetti penali dell’illecito, senza menzionare «le relative sanzioni civili e fiscali», invaderebbe anche la «sfera di competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile di cui alle lettere l) ed e) del secondo comma dell’art. 117 Cost.».
9.3.– Le questioni sono fondate, in riferimento all’art. 3 dello statuto speciale.
9.3.1.– Come già chiarito, in base all’art. 36 t.u. edilizia, il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria solo quando l’intervento rispetti sia la disciplina edilizia e urbanistica vigente al tempo della sua realizzazione sia quella vigente al tempo della presentazione della domanda. La conformità alla disciplina edilizia e urbanistica deve essere salvaguardata «durante tutto l’arco temporale compreso tra la realizzazione dell’opera e la presentazione dell’istanza volta ad ottenere l’accertamento di conformità» (fra le molte, sentenza n. 68 del 2018, punto 14.2. del Considerato in diritto).
Tale principio, nel delimitare presupposti e limiti della sanatoria, riveste importanza cruciale nella disciplina edilizia e, in quanto riconducibile alle norme fondamentali di riforma economico-sociale, vincola anche la potestà legislativa della Regione autonoma Sardegna.
9.3.2.– Nel richiedere la conformità alla sola disciplina vigente al tempo della presentazione della domanda, la disposizione impugnata amplia in maniera indebita l’ambito applicativo della sanatoria e si pone in contrasto, pertanto, con il principio richiamato. Né tale contrasto può essere escluso sol perché sono fatti salvi gli effetti penali degli illeciti, in quanto la rilevanza della doppia conformità, principio cardine di un razionale governo del territorio, non si esaurisce nelle sue implicazioni su quegli illeciti.
9.3.3.– Si deve dichiarare, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 21 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, per violazione dell’art. 3 dello statuto speciale.
Sono assorbite le altre censure esposte a sostegno del motivo di ricorso.
10.– In un secondo nucleo tematico possono essere aggregate le questioni di legittimità costituzionale della normativa regionale che interferisce in misura prevalente con la tutela paesaggistica.
10.1.– In punto di fatto, si deve rilevare che la disciplina impugnata si raccorda al «complesso – e tuttora incompiuto – percorso di adeguamento della pianificazione paesaggistica regionale», che questa Corte ha avuto occasione di tratteggiare nei suoi snodi fondamentali nella sentenza n. 257 del 2021 (punto 7 del Considerato in diritto).
Dopo l’approvazione del piano paesaggistico, relativo alle sole zone costiere (delibera della Giunta regionale del 5 settembre 2006, n. 36/7, recante «L.R. 25 novembre 2004, n. 8, articolo 1, comma 1, Approvazione del Piano Paesaggistico – Primo ambito omogeneo.»), il Presidente della Regione autonoma della Sardegna e il Ministro per i beni e le attività culturali, con protocollo di intesa stipulato il 19 febbraio 2007, si sono impegnati, per un verso, a «completare la pianificazione paesaggistica regionale nel rispetto delle disposizioni del Codice e della legge n. 14 del 2006 entro un anno» dalla stipulazione del protocollo (art. 3) e, per altro verso, «a provvedere congiuntamente alla verifica e all’adeguamento periodico della pianificazione paesaggistica regionale, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 143, comma 3, ultimo periodo, del Codice» (art. 4).
Nell’alveo del citato protocollo, «provvisto di una chiara portata vincolante alla luce dell’univoco richiamo all’impegno delle parti» (sentenza n. 257 del 2021, punto 12 del Considerato in diritto), si pongono i disciplinari attuativi siglati dalla Regione e dal Ministero il 1° marzo 2013 e il 18 aprile 2018, che hanno dato impulso a una serrata interlocuzione tra gli stessi.
Tali documenti, nel richiamare ex professo l’originario protocollo d’intesa e nel tracciare il percorso di una pianificazione condivisa estesa all’intero territorio regionale, si prefiggono di definire le modalità operative, i cronoprogrammi e i contenuti tecnici per lo svolgimento delle attività di verifica e di adeguamento del piano paesaggistico regionale (d’ora in avanti anche: PPR) dell’ambito costiero e per l’elaborazione del PPR dell’ambito interno, all’insegna di un coinvolgimento diretto e continuo delle due amministrazioni e di una costante collaborazione istituzionale.
10.2.– Occorre richiamare i principi che presiedono al riparto delle competenze tra lo Stato e le Regioni nella materia della tutela dell’ambiente.
In base all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., spetta in via esclusiva allo Stato il compito di dettare una disciplina unitaria e complessiva del bene ambiente, considerato come entità organica e connesso a un interesse pubblico di valore costituzionale primario e assoluto.
Nell’esercizio della competenza legislativa esclusiva sancita dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., il legislatore statale demanda alla pianificazione paesaggistica il compito di apprestare le necessarie misure di salvaguardia del paesaggio, in quanto «territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni» (art. 131, comma 1, del d.lgs. n. 42 del 2004 – d’ora in avanti anche codice dei beni culturali e del paesaggio), e, in particolare, di preservare «quegli aspetti e caratteri che costituiscono rappresentazione materiale e visibile dell’identità nazionale, in quanto espressione di valori culturali» (art. 131, comma 2, codice dei beni culturali e del paesaggio).
Il sistema della pianificazione paesaggistica, che deve essere salvaguardato nella sua impronta unitaria e nella sua forza vincolante, rappresenta attuazione dell’art. 9 Cost. ed è funzionale a una tutela organica e di ampio respiro, che non tollera interventi frammentari e incoerenti.
10.3.– La peculiarità del bene giuridico ambiente, nella cui complessità ricade anche il paesaggio, «riverbera i suoi effetti anche quando si tratta di Regioni speciali o di Province autonome, con l’ulteriore precisazione, però, che qui occorre tener conto degli statuti speciali di autonomia» (sentenza n. 378 del 2007, punto 4 del Considerato in diritto).
In tale quadro si colloca la previsione dell’art. 8 del d.lgs. n. 42 del 2004, che, nell’apprestare una disciplina unitaria dei beni culturali e paesaggistici, fa salve «le potestà attribuite alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e Bolzano dagli statuti e dalle relative norme di attuazione».
Le norme di attuazione «possiedono un sicuro ruolo interpretativo ed integrativo delle stesse espressioni statutarie che delimitano le sfere di competenza delle Regioni ad autonomia speciale e non possono essere modificate che mediante atti adottati con il procedimento appositamente previsto negli statuti, prevalendo in tal modo sugli atti legislativi ordinari» (sentenza n. 51 del 2006, punto 5 del Considerato in diritto).
10.4.– Alla Regione autonoma Sardegna, l’art. 3, lettera f), dello statuto speciale attribuisce la potestà legislativa primaria nella materia «edilizia ed urbanistica».
In attuazione della normativa statutaria, l’art. 6 del d.P.R. n. 480 del 1975 trasferisce alla medesima Regione le funzioni amministrative in tema di edilizia ed urbanistica, in base al principio del parallelismo tra funzioni legislative e amministrative di cui all’art. 6 dello statuto speciale.
Alla Regione sono trasferite le attribuzioni originariamente assegnate al Ministero della pubblica istruzione, in base alla legge 6 agosto 1967, n. 765 (Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150), e poi al Ministero per i beni culturali ed ambientali, in virtù del decreto-legge 14 dicembre 1974, n. 657 (Istituzione del Ministero per i beni culturali e per l’ambiente), convertito, con modificazioni, nella legge 29 gennaio 1975, n. 5. Si tratta di funzioni che attengono all’urbanistica, ma possono incidere anche sulla valorizzazione del patrimonio culturale e ambientale.
Nell’ambito di tale trasferimento è espressamente ricompresa «la redazione e l’approvazione dei piani territoriali paesistici di cui all’art. 5 della legge 29 giugno 1939, n. 1497». Nell’assetto delineato dal d.lgs. n. 42 del 2004, che ha sostituito quest’ultima legge, tale richiamo è stato costantemente interpretato nel senso che esso concerne i piani paesaggistici (sentenza n. 257 del 2021, punto 6 del Considerato in diritto), fermo restando il vincolo per la Regione al rispetto del principio di copianificazione, nelle ipotesi disciplinate dall’art. 135, comma 1, terzo periodo, del codice dei beni culturali e del paesaggio e in quelle ulteriori contemplate dalle intese fra le parti, ai sensi degli artt. 143, comma 2, e 156, comma 3, del medesimo codice.
10.5.– Questa Corte ha ribadito anche di recente che la prevalenza della pianificazione paesaggistica «integra una regola di tutela primaria del paesaggio in nessun modo derogabile ad opera della legislazione regionale che, nella cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali, deve rispettare gli standard minimi uniformi di tutela previsti dalla normativa statale, potendo al limite introdurre un surplus di tutela e non un regime peggiorativo» (sentenza n. 251 del 2021, punto 3 del Considerato in diritto).
La deroga alle prescrizioni del piano paesaggistico travalica i limiti della potestà legislativa che l’art. 3, lettera f), della fonte statutaria, così come attuato dall’art. 6 del d.P.R. n. 480 del 1975, attribuisce, come detto, alla Regione autonoma Sardegna nella materia dell’edilizia e dell’urbanistica e con riguardo ai soli profili di tutela paesistico-ambientale che a tale materia siano indissolubilmente legati. Da questo ambito esorbita una qualunque deroga dello standard di tutela del paesaggio.
Una siffatta deroga è disarmonica anche rispetto a quel percorso di leale collaborazione che la Regione autonoma Sardegna e lo Stato hanno intrapreso nel procedimento di revisione del piano delle aree costiere e nell’elaborazione del piano relativo alle aree interne, mediante un confronto costante, scandito anche dalla sottoscrizione di un protocollo di intesa e di successivi disciplinari attuativi, in armonia con quanto è previsto dalla legislazione statale.
È dunque precluso al legislatore regionale derogare alle prescrizioni del piano paesaggistico, senza una previa rideterminazione dei suoi contenuti con lo Stato.
11.– Alla luce di tali principi, si procederà allo scrutinio del nucleo delle disposizioni che hanno diretta attinenza con la tutela del paesaggio, allo scopo di accertare se contrastino con specifiche prescrizioni del piano paesaggistico o compromettano la tutela che il piano appresta, anche in violazione del principio di leale collaborazione.
La disamina sarà svolta in riferimento all’art. 3 dello statuto speciale e agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost.
12.– Occorre prendere le mosse dall’art. 30, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, in quanto disposizione finale che enuncia in termini generali l’impronta derogatoria della medesima legge regionale rispetto alla pianificazione paesaggistica.
12.1.– Il legislatore regionale, in particolare, con la previsione impugnata, sancisce la prevalenza delle disposizioni della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, dichiarate cogenti e di immediata applicazione, «sugli atti di pianificazione, anche settoriale, sugli strumenti urbanistici generali e attuativi e sulle altre vigenti disposizioni normative regionali».
Questa prevalenza si giustificherebbe alla luce del carattere delle previsioni della legge regionale impugnata, aventi la natura di «disposizioni straordinarie per il sostegno dell’economia mediante il rilancio del settore edilizio coniugate con la riqualificazione, la razionalizzazione ed il miglioramento della qualità architettonica e abitativa, della sicurezza strutturale, della compatibilità paesaggistica e dell’efficienza energetica del patrimonio edilizio esistente nel territorio regionale, anche attraverso la semplificazione delle procedure».
12.2.– Tale previsione è censurata, in quanto «manifestamente illegittima», nella parte in cui «assicura la prevalenza delle disposizioni regionali rispetto alle previsioni e prescrizioni del Piano paesaggistico regionale».
Ad avviso del ricorrente, sarebbero violati l’art. 3 dello statuto speciale e gli artt. 9 e 117, commi primo e secondo, lettera s), Cost., «rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156 del codice dei beni culturali e del paesaggio, la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio, e l’articolo 5, comma 11, del decreto legge n. 70 del 2011».
La previsione in esame sarebbe lesiva dell’art. 3 Cost., «per gli esiti manifestamente arbitrari e irragionevoli» insiti nella deroga indiscriminata che dispone.
Il ricorrente ravvisa, inoltre, la violazione dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato con il d.P.R. n. 480 del 1975, e degli artt. 3 e 97 Cost., poiché la previsione impugnata, si porrebbe in conflitto con le norme di grande riforma economico-sociale dettate, anzitutto, dall’art. 41-quinquies, commi ottavo e nono, della legge n. 1150 del 1942, «come attuato mediante il decreto ministeriale n. 1444 del 1968, recepito dalla Regione Sardegna con il D. A. n. 2266/U/1983, e il d.P.G. n. 228 del 1994», e poi dagli artt. 2-bis e 14 t.u. edilizia, dall’intesa sul “Piano casa” del 2009, fondata sulla previsione dell’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008, e dall’art. 5, commi 9 e seguenti, del d.l. n. 70 del 2011, come convertiti.
Il ricorrente denuncia, infine, il contrasto con il principio di leale collaborazione con lo Stato. Il legislatore regionale avrebbe stabilito la prevalenza della legge impugnata «sulla pianificazione formatasi in collaborazione con lo Stato nell’ambito di una pianificazione condivisa» e avrebbe così negato «l’esistenza di un obbligo di co pianificazione» e, in pari tempo, «il ruolo fondamentale e determinante dello Stato nella materia della tutela del paesaggio e del governo del territorio».
12.3.– Le questioni sono fondate, in riferimento all’art. 3 dello statuto speciale e agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost.
12.3.1.– La previsione impugnata sancisce, con valenza generale e assoluta, la prevalenza delle disposizioni della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 anche sulle prescrizioni del PPR. Alla legge regionale si riconosce, dunque, la facoltà di derogare a tali prescrizioni, senza limiti di sorta.
Tale interpretazione è suffragata non solo dal dettato testuale, che sancisce la prevalenza su tutti gli atti di pianificazione e dunque sulla stessa pianificazione paesaggistica, ma anche dalle difese della parte resistente e dalla complessiva disamina della legge regionale.
La parte resistente osserva che tale potere di deroga è espressione della potestà legislativa esclusiva che spetta alla Regione autonoma Sardegna anche nella materia della tutela del paesaggio e che l’impugnato art. 30, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 è meramente ricognitivo delle disposizioni della medesima legge regionale.
Come confermerà lo scrutinio degli altri motivi di ricorso, la legge regionale impugnata racchiude disposizioni che derogano espressamente alle prescrizioni del piano paesaggistico regionale.
Non è dunque praticabile una interpretazione adeguatrice, che salvaguardi la compatibilità delle previsioni censurate con l’assetto di tutela prefigurato dal piano paesaggistico regionale.
12.3.2.– La deroga prevista dalla norma di chiusura della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, ora all’esame, eccede la potestà legislativa regionale.
Nell’introdurre una deroga alla pianificazione paesaggistica regionale, la previsione impugnata investe il nucleo essenziale della tutela del paesaggio, affidata alle puntuali prescrizioni del piano regionale, e appresta una regolamentazione lesiva del valore primario tutelato dall’art. 9 Cost.
12.3.3.– Si deve dichiarare, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 30, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, nella parte in cui sancisce la prevalenza delle previsioni della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 sulle prescrizioni del piano paesaggistico regionale.
Restano assorbiti gli ulteriori profili di censura.
13.– La legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 racchiude altre previsioni che contrastano con puntuali prescrizioni del piano paesaggistico. Tra queste figura l’art. 3, che inserisce nella legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 l’art. 26-ter in tema di pianificazione del sistema delle scuderie della Sartiglia di Oristano.
13.1.– Il ricorrente evidenzia che tale previsione consente «in maniera indiscriminata» nelle aree agricole, «soggette anche a tutela paesaggistica e del piano paesaggistico regionale», la costruzione di scuderie, «in deroga non solo alla pianificazione urbanistica, ma anche a quella paesaggistica».
Peraltro, la tipologia, le dimensioni e i materiali delle scuderie sarebbero stabilite dallo strumento urbanistico comunale, «al di fuori del piano paesaggistico regionale».
13.2.– Il ricorrente denuncia il contrasto con l’art. 3 dello statuto speciale, come attuato con il d.P.R. n. 480 del 1975, in quanto la previsione impugnata confliggerebbe «con le norme fondamentali di riforma economica e sociale dettate dallo Stato» e, in particolare, con l’art. 41-quinquies, commi ottavo e nono, della legge n. 1150 del 1942, attuato con il d.m. n. 1444 del 1968, recepito «con il D. A. n. 2266/U/1983, e il d.P.G. n. 228 del 1994», e con gli artt. 2-bis, 14 e 15 t.u. edilizia.
Sarebbero altresì violati gli artt. 9 e 117, commi primo e secondo, lettera s), Cost., «rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156 del codice dei beni culturali e del paesaggio, l’articolo 5, comma 11, del decreto legge n. 70 del 2011, e la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio».
Sarebbe violato, infine, il principio di leale collaborazione.
13.3.– È necessario delineare le particolarità della normativa regionale, al fine di inquadrare i profili di censura tratteggiati dal ricorrente.
L’art. 26-ter della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, aggiunto dalla previsione impugnata, riconosce, al comma 1, la valenza storica, culturale e turistica della Sartiglia, giostra equestre che si corre a Oristano nel periodo di carnevale.
Le censure vertono sull’art. 26-ter, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, che consente di realizzare nell’agro del territorio di Oristano, e in particolare nelle sottozone E1, E2, E3 ed E4 delle zone agricole, alcune strutture, finalizzate a «organizzare e valorizzare dal punto di vista paesaggistico le scuderie, intese quali strutture di supporto indispensabili per la valorizzazione della antica giostra equestre, della cultura del cavallo e delle attività sportive ad esso correlate».
L’art. 8 del decreto del Presidente della Giunta regionale n. 228 del 1994 chiarisce che la sottozona E1 comprende le aree caratterizzate da una produzione agricola tipica e specializzata, la sottozona E2 si identifica nelle aree di primaria importanza per la funzione agricolo-produttiva, anche in relazione all’estensione, alla composizione e alla localizzazione dei terreni, laddove la sottozona E3 abbraccia le aree caratterizzate da un elevato frazionamento fondiario e contemporaneamente utilizzabili per scopi agricolo-produttivi e per scopi residenziali e la sottozona E4 corrisponde alle aree caratterizzate dalla presenza di «preesistenze insediative», utilizzabili per l’organizzazione dei centri rurali.
In particolare, il citato art. 26-ter, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, «nei singoli lotti di superficie superiore a 1.000 metri quadri e inferiore ad un ettaro», consente di edificare «una struttura zootecnica (box per cavalli, fienile, deposito, vano appoggio), da autorizzarsi nei limiti volumetrici di cui all’articolo 3 del decreto del Presidente della Giunta regionale n. 228 del 1994 ovvero 0,2 mc/mq e con un massimo di mc 500».
L’art. 26-ter, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 demanda, infine, all’amministrazione comunale il compito di definire, «con apposita integrazione delle norme tecniche di attuazione del vigente PUC, nell’ottica della tutela e valorizzazione dell’ambiente e del paesaggio», la tipologia, le dimensioni e i materiali della struttura zootecnica.
13.4.– La difesa regionale, in linea preliminare, ha posto in risalto il carattere assertivo ed esplorativo delle censure.
Tali rilievi non sono fondati.
Il ricorrente ha dedotto la deroga alle prescrizioni del piano paesaggistico regionale e ha svolto a tale riguardo una argomentazione adeguata, idonea a superare il vaglio di ammissibilità che spetta a questa Corte.
Le questioni promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri sono dunque ammissibili.
13.5.– Le questioni sono fondate, in riferimento all’art. 3 dello statuto speciale e agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost.
13.5.1.– La normativa regionale deve essere scrutinata alla luce delle prescrizioni del piano paesaggistico sui nuclei e sulle case sparsi nell’agro, prescrizioni che devono essere recepite negli strumenti urbanistici (art. 83, comma 6, delle norme tecniche d’attuazione, d’ora in avanti anche: NTA).
A tale riguardo, l’art. 83, comma 1, lettera a), di tali norme tecniche di attuazione stabilisce che i Comuni, fino all’adeguamento degli strumenti urbanistici al piano paesaggistico, ottemperino ad alcune prescrizioni.
Per gli imprenditori agricoli e per le aziende che svolgono effettiva e prevalente attività agricola, la costruzione di nuovi edifici ad esclusiva funzione agricola è consentita per le opere indispensabili alla conduzione del fondo e alle attrezzature necessarie per le attività aziendali, «previa attenta verifica della stretta connessione tra l’edificazione e la conduzione agricola e zootecnica del fondo».
Quanto agli edifici ad uso abitativo connessi a tali interventi, il lotto minimo richiesto per unità abitativa è pari a tre ettari per gli imprenditori agricoli e le aziende che esercitano attività a carattere intensivo ed è pari a cinque ettari per l’esercizio di attività a carattere estensivo.
All’atto del rilascio del titolo abilitativo, il responsabile comunale del procedimento deve accertare il possesso dei requisiti soggettivi dell’azienda o dell’imprenditore agricolo che abbia presentato la richiesta (art. 83, comma 3, NTA).
L’art. 83, comma 1, lettera b), NTA, nei casi restanti, consente l’edificazione di strutture di appoggio non residenziali per una superficie coperta non superiore ai trenta metri quadrati, per fondi da tre fino a dieci ettari. Il limite di trenta metri quadrati può essere raddoppiato «fino a 60 mq. per superfici superiori a 10 ettari, comunque per volumetrie non superiori rispettivamente a 90 e 180 mc.».
L’art. 83, comma 1, lettera c), NTA impone di effettuare il dimensionamento degli edifici sulla base della superficie del fondo interessato dal piano aziendale e ribadisce che non è possibile impiegare corpi aziendali separati al fine di raggiungere la superficie minima prescritta né edificare in colline o alture del fondo.
L’art. 83, comma 2, NTA, consente, per gli edifici esistenti che insistono su lotti inferiori a quelli minimi prescritti, soltanto operazioni di manutenzione ordinaria e straordinaria senza aumento di volumetria di unità abitative e interventi orientati all’adeguamento tipologico.
13.5.2.– La disciplina impugnata si discosta sotto molteplici profili dalle prescrizioni del piano paesaggistico regionale.
Tali profili di discrepanza attengono, in primo luogo, alla dimensione minima del lotto agricolo, che nel piano paesaggistico deve essere almeno pari a tre ettari, laddove la previsione introdotta dalla legge regionale consente l’edificazione anche nei lotti tra 0,1 ettari e un ettaro. Inoltre, le citate norme tecniche di attuazione, per gli edifici già esistenti su lotti inferiori a quelli minimi, escludono aumenti di volumetria, per contro ammessi dalla disposizione in esame.
La disciplina impugnata, inoltre, prescinde anche dalla stretta connessione tra l’edificazione e la conduzione agricola e zootecnica del fondo, nei casi in cui il fondo sia di proprietà di un imprenditore agricolo o di un’azienda agricola.
È significativo che, allo scopo di superare la cogenza delle prescrizioni del piano paesaggistico regionale e l’obbligo dei Comuni di recepirle negli strumenti urbanistici, il legislatore regionale abbia previsto la realizzazione delle nuove strutture secondo una apposita integrazione delle norme tecniche di attuazione del piano urbanistico comunale.
La previsione impugnata, nell’incidere sui nuclei sparsi nell’agro, oggetto di specifica protezione nelle citate norme tecniche di attuazione del piano paesaggistico regionale, si ripercuote su aspetti legati alla tutela del paesaggio nella sua dimensione storica e culturale. Essa, nel porsi in contrasto con quanto dispone il piano paesaggistico e nell’accrescere le potenzialità di edificazione, determina un evidente decremento della tutela del valore primario e assoluto sancito dall’art. 9 Cost.
13.5.3.– Si deve dichiarare, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, nella parte in cui introduce l’art. 26-ter, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015.
Sono assorbite le residue censure.
14.– Il ricorrente impugna, inoltre, l’art. 5, comma 1, lettere b) ed i), della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, che modifica l’art. 31 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 in tema di interventi di incremento volumetrico delle strutture destinate all’esercizio di attività turistico-ricettive, sanitarie e socio-sanitarie.
14.1.– Tale disposizione è censurata in quanto consente «nuovi e maggiori incrementi volumetrici delle strutture destinate all’esercizio di attività turistico-ricettive, sanitarie e socio-sanitarie», anche in aree sottoposte a vincolo paesaggistico, con «una sistematica violazione delle previsioni e prescrizioni del piano paesaggistico regionale».
In particolare, la lettera b) è oggetto di impugnazione, nella parte in cui modifica l’art. 31, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 e consente di realizzare interventi di ristrutturazione e di rinnovamento con connessi incrementi volumetrici anche mediante la realizzazione di corpi di fabbrica separati.
La lettera i) è pure censurata nella parte in cui introduce nell’art. 31 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 i commi 7-bis, 7-ter e 7-quater.
Il comma 7-bis consente, «anche in aree vincolate paesaggisticamente, senza il necessario rispetto delle previsioni e prescrizioni del piano paesaggistico regionale» e senza richiedere l’autorizzazione paesaggistica, la chiusura con elementi amovibili, per un periodo non superiore a duecentoquaranta giorni, delle verande coperte già realizzate nelle singole strutture turistico-ricettive.
Il comma 7-ter sottrae al regime dei titoli edilizi e alle prescrizioni del PPR le coperture per piscine, anche quando siano realizzate in aree vincolate paesaggisticamente. Si tratterebbe di opere «di rilevante impatto paesaggistico», non destinate a soddisfare esigenze meramente temporanee e contingenti, secondo i caratteri dell’art. 6 t.u. edilizia, che definisce le particolarità dell’edilizia libera.
Il comma 7-quater consente di ampliare le strutture destinate all’esercizio di attività di turismo rurale anche nella fascia costiera. Quest’ultima è individuata quale bene paesaggistico tipizzato dal piano regionale, che vieta nuove costruzioni in aree inedificate e non prevede la possibilità di ampliare le strutture destinate ad attività turistico ricettive e quelle sanitarie e socio-sanitarie.
14.2.– La disciplina impugnata contrasterebbe, pertanto, con gli artt. 9 e 117, commi primo e secondo, lettera s), Cost., «rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, l’articolo 5, comma 11, del decreto legge n. 70 del 2011, e la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio».
Il ricorrente prospetta anche il contrasto con l’art. 3 dello statuto speciale, come attuato con il d.P.R. n. 480 del 1975, che prescrive la coerenza con le norme fondamentali di riforma economico-sociale, quali sono quelle contenute nell’art. 41-quinquies, commi ottavo e nono, della legge n. 1150 del 1942, negli artt. 2-bis e 14 t.u. edilizia, nell’intesa sul “Piano casa” del 2009, fondata sull’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008, e nell’art. 5, commi 9 e seguenti, del d.l. n. 70 del 2011, come convertiti.
Sarebbe violato anche il principio di leale collaborazione con lo Stato.
Quanto alla lettera i), nella parte in cui introduce nell’art. 31 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 i commi 7-bis e 7-ter, sarebbe lesiva anche dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., in quanto contravverrebbe ai livelli essenziali «delle prestazioni concernenti i diritti civili dei cittadini», che spetta allo Stato definire.
14.3.– Si deve, preliminarmente, sgombrare il campo dalle eccezioni di inammissibilità mosse – sotto un duplice profilo – dalla difesa regionale.
14.3.1.– La parte resistente ha eccepito la tardività dell’impugnazione, in quanto la disciplina degli incrementi volumetrici sarebbe già dettata dal previgente – e non impugnato – art. 31 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015.
Tale eccezione non è fondata.
L’impugnazione è rituale e tempestiva, in quanto investe le modificazioni che il legislatore regionale ha introdotto con riguardo alla preesistente disciplina degli incrementi volumetrici. La mancata impugnazione della disciplina originaria non preclude la proposizione di censure contro le innovazioni legislative.
14.3.2.– La parte resistente, in secondo luogo, reputa le censure inammissibili, perché generiche e indeterminate.
Neppure tale eccezione coglie nel segno.
Il ricorrente ha indicato in maniera circostanziata i profili di contrasto con la disciplina posta a tutela del paesaggio e con la normativa edilizia, e le censure superano, pertanto, il vaglio di ammissibilità.
14.4.– Le questioni, pertanto, possono essere scrutinate nel merito.
14.4.1.– Occorre muovere dall’esame dell’art. 5, comma 1, lettera b), della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021.
Tale previsione, al fine di riqualificare e di accrescere le potenzialità delle strutture destinate all’esercizio di attività turistico-ricettive, sanitarie e socio-sanitarie, ricadenti nelle zone urbanistiche omogenee A, autorizza gli interventi di ristrutturazione e di rinnovamento che comportano incrementi volumetrici, anche mediante la realizzazione di corpi di fabbrica separati, nella misura massima del 50 per cento del volume urbanistico esistente.
Si innalza, dunque, la percentuale di incremento volumetrico originariamente prevista (30 per cento) e si delinea una peculiare articolazione di tale incremento: «a) il 25 per cento riservato all’adeguamento delle camere agli standard internazionali, senza incremento del numero complessivo delle stanze; b) il 15 per cento riservato all’incremento del numero complessivo delle stanze; c) il 10 per cento riservato al miglioramento del livello di classificazione ai sensi dell’articolo 17 della legge regionale 28 luglio 2017, n. 16 (Norme in materia di turismo); d) in alternativa o in aggiunta ad una o più delle lettere a), b) e c), e comunque fino alla concorrenza massima del 50 per cento del volume urbanistico esistente, è consentito l’ampliamento delle zone comuni nelle strutture ricettive turistico-alberghiere quali hall, sale convegni e spazi comuni; tali ampliamenti sono consentiti anche per le strutture socio-assistenziali quali le comunità integrate e le comunità alloggio, per la realizzazione di idonei spazi protetti e delle cosiddette “zone di isolamento”».
14.4.1.1.– Non sono fondate, nei termini appresso precisati, le censure in merito all’impugnata lettera b), nella parte in cui concerne gli incrementi volumetrici delle zone urbanistiche omogenee A, definite come le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico, di particolare pregio ambientale o tradizionale.
L’art. 31, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, come modificato dalla disposizione impugnata, nel rinviare all’art. 30, comma 2, primo periodo, della medesima legge regionale, è inequivocabile nel richiedere che gli incrementi volumetrici possano essere realizzati soltanto «negli edifici che non conservano rilevanti tracce dell’assetto storico e che siano in contrasto con i caratteri architettonici e tipologici del contesto», previa approvazione di un Piano particolareggiato adeguato al PPR.
Proprio questa specificazione si pone a salvaguardia della compatibilità con le prescrizioni del piano paesaggistico.
14.4.1.2.– Tale compatibilità non si ravvisa, per contro, né per le previsioni della lettera b), concernenti le zone urbanistiche B (completamento residenziale), C (espansione residenziale), F (turistiche) e G (servizi generali), in quanto non è stabilita la condizione della previa approvazione di un piano particolareggiato adeguato al piano paesaggistico, né con riguardo alla lettera i), nella parte in cui introduce il comma 7-quater nell’art. 31 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015.
Quest’ultima previsione, allo scopo di riqualificare e di accrescere le potenzialità delle strutture destinate all’esercizio di attività di turismo rurale che ricadono nelle zone E (zone agricole), purché al di fuori della fascia dei 300 metri dalla linea di battigia marina, autorizza interventi di ristrutturazione e di rinnovamento che comportano incrementi volumetrici, nella misura massima del 50 per cento del volume urbanistico esistente, anche mediante la realizzazione di corpi di fabbrica separati, incrementi che possono essere destinati all’adeguamento delle camere agli standard internazionali.
Nel consentire gli incrementi volumetrici nella fascia costiera anche mediante la realizzazione di corpi di fabbrica separati, sia pure al di fuori della fascia di 300 metri dalla linea di battigia marina, l’art. 5, comma 1, lettera b), con riguardo alle zone urbanistiche omogenee B, C, F e G, e lettera i), nella parte in cui introduce nell’art. 31 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 il comma 7-quater, collide con specifiche prescrizioni del piano paesaggistico regionale.
L’art. 17, comma 3, lettera a), NTA ricomprende tra i beni paesaggistici, tipizzati e individuati nella cartografia del piano paesaggistico regionale, anche la fascia costiera, che ha una estensione maggiore rispetto a quella compresa entro la profondità di 300 metri dalla linea di battigia, come la stessa parte resistente non manca di riconoscere nell’odierno giudizio.
Per la fascia costiera, che l’art. 19 NTA considera bene paesaggistico d’insieme e risorsa strategica fondamentale per lo sviluppo sostenibile del territorio sardo, l’art. 20, comma 1, lettera a), delle medesime norme tecniche detta una rigorosa disciplina di tutela, che vieta nelle aree inedificate «qualunque intervento di trasformazione», ad eccezione di quelli previsti dall’art. 12.
Sono consentiti, in particolare: a) interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico, di ristrutturazione, di restauro, che non alterino lo stato dei luoghi, il profilo esteriore, la volumetria degli edifici, la destinazione d’uso e il numero delle unità immobiliari; b) opere di eliminazione di barriere architettoniche, muri di cinta e cancellate, aree destinate ad attività sportive e ricreative senza creazione di volumetria, opere costituenti pertinenza, revisione o installazione di impianti tecnologici, varianti a concessioni edilizie già rilasciate che non incidano sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, non cambino destinazione d’uso e categoria edilizia e non alterino la sagoma, parcheggi di pertinenza nel sottosuolo del lotto in cui insiste il fabbricato, vasche di approvvigionamento idrico e pozzi, opere precarie e temporanee, pergolati e grigliati, palloni pressostatici a carattere stagionale; c) gli interventi funzionali alle attività agro-silvo-pastorali che non comportino alterazioni permanenti dello stato dei luoghi o dell’assetto idrogeologico del territorio; d) opere di forestazione, di taglio e di riconversione colturale e di bonifica, antincendio e conservazione, da eseguirsi nei boschi e nelle foresta; e) opere di risanamento e consolidamento degli abitati e delle aree interessate da fenomeni franosi; opere di sistemazione idrogeologica e di bonifica dei siti inquinati.
Sono fatte salve anche le eccezioni di cui al comma 2 dell’art. 20 NTA, che consentono di realizzare, nell’ambito urbano, previa autorizzazione del piano urbanistico comunale, trasformazioni finalizzate alla realizzazione di residenze, servizi e ricettività solo se contigue ai centri abitati e subordinate alla preventiva verifica della compatibilità del carico sostenibile del litorale e del fabbisogno di ulteriori posti letto (art. 20, comma 2, numero 1, lettera a, NTA).
Nelle aree già interessate da insediamenti turistici o produttivi, previa intesa tra Regioni, Province e Comuni interessati, si possono realizzare interventi di riqualificazione urbanistica e architettonica degli insediamenti turistici o produttivi esistenti, interventi di riuso e trasformazione a scopo turistico-ricettivo di edifici esistenti, interventi di completamento di edifici esistenti (art. 20, comma 2, numero 2, lettere a, b, c, NTA).
In tutta la fascia costiera l’art. 20, comma 2, numero 3), NTA consente interventi di conservazione, gestione e valorizzazione di beni paesaggistici (lettera a), la realizzazione di infrastrutture puntuali o di rete, purché previste nei piani settoriali, preventivamente adeguati al piano paesaggistico regionale (lettera b).
L’art. 12, comma 2, NTA dispone che siano inedificabili, in quanto sottoposti a vincolo di integrale conservazione dei singoli caratteri naturalistici, storico morfologici e dei rispettivi insiemi, i terreni costieri compresi in una fascia di profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche se elevati sul mare, e per le isole minori nei 150 metri, con l’eccezione dei terreni costieri ricadenti nelle zone omogenee C (di espansione residenziale), D (industriali, artigianali e commerciali) e G (servizi generali), contermini ai Comuni o alle frazioni.
Peraltro, fino all’adeguamento degli strumenti urbanistici comunali, l’art. 20, comma 4, NTA del piano paesaggistico dispone che si applichino le rigorose prescrizioni dell’art. 15 sugli ambiti di paesaggio costieri, che pongono limiti stringenti all’attività edilizia che può essere realizzata.
La possibilità di incrementi volumetrici, anche mediante realizzazione di corpi di fabbrica separati, consentita in termini ampi dalla previsione impugnata, integra violazione delle prescrizioni del piano paesaggistico, che vieta interventi di trasformazione delle aree inedificate, con le tassative eccezioni che si sono ricordate.
Si deve, pertanto, dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, lettera b), della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, con specifico riguardo alle zone urbanistiche B, C, F e G, e dell’art. 5, comma 1, lettera i), della medesima legge regionale, che introduce nell’art. 31 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 il comma 7-quater, nella parte in cui consentono nella fascia costiera – al di fuori delle tassative eccezioni indicate dal piano paesaggistico – di realizzare gli incrementi volumetrici anche mediante la realizzazione di corpi di fabbrica separati.
14.4.2.– Non sono fondate, nei termini appresso precisati, le censure riguardanti l’art. 5, comma 1, lettera i), della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, nella parte in cui introduce il comma 7-bis nell’art. 31 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015.
Il legislatore regionale, allo scopo di favorire il prolungamento della stagione turistica, consente, «per un periodo non superiore a duecentoquaranta giorni, la chiusura con elementi amovibili, anche a tenuta, delle verande coperte già legittimamente autorizzate nelle singole strutture turistiche ricettive».
Le censure si appuntano sul preteso esonero dall’obbligo di ottenere l’autorizzazione paesaggistica.
La disposizione in esame non dispensa chi realizzi le coperture dall’obbligo di richiedere l’autorizzazione paesaggistica, quando ciò sia necessario in base alla legislazione statale, come si evince anche dall’interpretazione sistematica della normativa regionale.
L’art. 35, comma 4, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, nel dettare le disposizioni comuni agli interventi, allude all’ipotesi in cui sia necessaria l’autorizzazione paesaggistica. Anche da tale dato si può evincere che la normativa in questione non esonera dall’obbligo di conseguirla.
14.4.3.– Egualmente non fondate, nei sensi appresso precisati, sono le questioni che vertono sulla lettera i), nella parte in cui introduce il comma 7-ter nell’art. 31 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015.
La disposizione impugnata assimila alle opere di edilizia libera le coperture per piscine, disponendo, inoltre, che non incidano sulla volumetria e sulla superficie coperta.
L’art. 6 t.u. edilizia, al comma 1, lettera e-bis), riconduce alle opere di edilizia libera, che possono essere eseguite senza alcun titolo abilitativo, «le opere stagionali e quelle dirette a soddisfare obiettive esigenze, contingenti e temporanee, purché destinate ad essere immediatamente rimosse al cessare della temporanea necessità e, comunque, entro un termine non superiore a centottanta giorni comprensivo dei tempi di allestimento e di smontaggio del manufatto, previa comunicazione di avvio dei lavori all’amministrazione comunale».
La disposizione impugnata rinvia all’art. 15 della legge reg. Sardegna n. 23 del 1985.
Il comma 2, lettera e), del citato art. 15, in coerenza con la normativa statale dettata dal testo unico dell’edilizia, annovera tra gli interventi che possono essere eseguiti senza alcun titolo edilizio, previa comunicazione dell’avvio dei lavori, «opere oggettivamente precarie dirette a soddisfare esigenze contingenti e temporanee tali da poter essere immediatamente rimosse alla cessazione della necessità e, comunque, entro un termine di utilizzazione non superiore a centoventi giorni».
L’avvio dei lavori è condizionato all’ottenimento di tutti gli atti di assenso, comunque denominati, necessari per l’intervento edilizio (art. 15, comma 3, della legge reg. Sardegna n. 23 del 1985).
Si deve poi trattare di interventi compatibili con la destinazione di zona (art. 15, comma 4, della legge reg. Sardegna n. 23 del 1985).
In virtù dell’art. 15, comma 6, ultimo periodo, della medesima legge regionale, entro dieci giorni dallo scadere del tempo di permanenza delle opere temporanee, l’interessato, anche per via telematica, informa l’amministrazione comunale dell’avvenuta rimozione delle opere.
Le coperture per piscine in tanto possono essere assimilate alle opere di edilizia libera, in quanto ne possiedano le caratteristiche oggettive, così come definite dall’art. 15, comma 2, lettera e), della legge reg. Sardegna n. 23 del 1985, che regola una fattispecie caratterizzata da identità di ratio.
Non ogni copertura per piscina, dunque, rientra nell’edilizia libera. Peraltro, tali manufatti risultano intrinsecamente temporanei, proprio perché funzionali a preservare le piscine in vista della ripresa dell’attività turistica e correlate a una disciplina che mira a prolungare la stagione turistica e dunque a circoscrivere nel tempo le esigenze che le coperture in esame mirano a soddisfare.
Così intesa, la normativa non presenta i profili di censura denunciati nel ricorso.
15.– È poi censurato l’art. 9, comma 1, lettera b), della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, che modifica le disposizioni dell’art. 34 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, volte a definire i casi in cui non sono ammessi gli interventi per il miglioramento del patrimonio esistente.
15.1.– La disposizione è sospettata di illegittimità costituzionale, in quanto restringerebbe le categorie dei beni sottratti all’applicazione della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 e, conseguentemente, estenderebbe la portata applicativa delle deroghe alla disciplina urbanistica e paesaggistica.
15.2.– Il ricorrente prospetta la violazione degli artt. 9, 117, commi primo e secondo, lettera s), Cost., «rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, l’articolo 5, comma 11, del decreto legge n. 70 del 2011, e la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio», dal momento che la normativa impugnata interverrebbe a «disciplinare una materia riservata alla competenza esclusiva dello Stato e per di più contro impegni assunti in sede internazionale».
Sarebbe violato anche l’art. 3 dello statuto speciale, come attuato con il d.P.R. n. 480 del 1975, poiché le disposizioni in esame, «pur in ipotesi in ambito legislativamente di competenza regionale», comunque contrasterebbero con le norme fondamentali di grande riforma economico sociale di cui all’art. 41-quinquies, commi ottavo e nono, della legge n. 1150 del 1942, agli artt. 2-bis e 14 t.u. edilizia, all’intesa sul “Piano casa” del 2009, fondata sulle previsioni dell’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008, come convertito, e all’art. 5, commi 9 e seguenti, del d.l. n. 70 del 2011, come convertito.
Sarebbe violato il principio di leale collaborazione con lo Stato «in materia riservata alla co pianificazione».
15.3.– Occorre, preliminarmente, delimitare il tema del decidere devoluto all’esame di questa Corte e ricostruire il contenuto precettivo delle previsioni impugnate.
Le censure si appuntano sul comma 1, lettera b), dell’art. 9 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, nella parte in cui ha soppresso l’art. 34, comma 1, lettera h), della legge regionale n. 8 del 2015.
La lettera h) del citato art. 34 non consentiva di realizzare gli interventi di incremento volumetrico «negli edifici e nelle unità immobiliari ricadenti nei centri di antica e prima formazione ricompresi in zone urbanistiche omogenee diverse dalla A, ad eccezione di quelli che non conservano rilevanti tracce dell’assetto storico e che siano riconosciuti, dal piano particolareggiato o con deliberazione del consiglio comunale, in contrasto con i caratteri architettonici e tipologici del contesto».
La normativa abrogata stabiliva che la deliberazione dovesse riguardare l’intero centro di antica e prima formazione, chiarire i criteri seguiti nell’analisi ed essere adottata in data anteriore a qualsiasi intervento di ampliamento.
La predetta lettera h) dell’art. 34 non si applicava agli interventi di riuso dei sottotetti esistenti per il solo scopo abitativo nelle zone urbanistiche A, B, C, E ed F e agli interventi per il riuso degli spazi di grande altezza. In tali fattispecie, ai fini dell’ammissibilità, si sarebbero dovuti verificare «la compatibilità tipologica con i caratteri costruttivi ed architettonici degli edifici interessati e il rispetto delle regole compositive del prospetto originario nel caso in cui alterassero l’aspetto esteriore dell’edificio».
Il ricorrente osserva che i centri di antica e prima formazione sono beni paesaggistici, per i quali il piano regionale contempla specifiche disposizioni di tutela. Su tale profilo si diffondono le argomentazioni del ricorrente, che richiama anche le pertinenti prescrizioni del piano paesaggistico regionale.
Il ricorrente non formula specifiche censure contro l’abrogazione della lettera i) dell’art. 34 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, che vietava gli interventi «negli edifici, nelle unità immobiliari e in specifici ambiti territoriali di particolare qualità storica, architettonica o urbanistica» per i quali il consiglio comunale, con propria deliberazione da assumere nel termine perentorio di centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge, avesse limitato o escluso l’applicazione delle disposizioni della legge regionale sugli interventi di miglioramento del patrimonio edilizio esistente.
15.4.– La parte resistente, in via preliminare, ha adombrato la genericità degli argomenti addotti nel ricorso.
Tale eccezione deve essere disattesa, poiché il ricorrente ha suffragato i motivi di censura con un’argomentazione idonea a chiarire i termini delle doglianze, che vertono sull’ampliamento delle possibilità di realizzazione degli interventi di incremento volumetrico.
15.5.– Le questioni sono fondate, in riferimento all’art. 3 dello statuto speciale e agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost.
15.5.1.– Occorre dar conto, nelle sue linee essenziali, della disciplina del PPR per i centri di prima e antica formazione.
L’art. 63 NTA include nell’edificato urbano anche i centri di antica e prima formazione (lettera a) e, all’art. 66, rinvia, per tali centri, alle disposizioni relative agli insediamenti storici di cui al Titolo II.
Il Titolo II disciplina l’assetto storico culturale.
Il piano paesaggistico regionale, all’art. 47, comma 1, NTA, definisce l’assetto storico culturale come l’insieme delle aree, degli immobili, degli edifici e dei manufatti «che caratterizzano l’antropizzazione del territorio a seguito di processi storici di lunga durata».
Tale assetto storico culturale comprende gli immobili e le aree di notevole interesse pubblico tutelate ai sensi dell’art. 136 del d.lgs. n. 42 del 2004, le zone di interesse archeologico, gli immobili e le aree tipizzati, sottoposti a tutela dal piano paesaggistico e, in particolare, le aree caratterizzate da edifici e manufatti di valenza storico culturale e quelle caratterizzate da insediamenti storici.
L’assetto storico culturale comprende anche i beni identitari e, segnatamente, le aree caratterizzate da edifici e manufatti di valenza storico culturale, le reti e gli elementi connettivi, e le aree di insediamento produttivo di interesse storico culturale.
L’art. 47, comma 7, NTA dispone che la Regione, mediante programmi di valorizzazione e di conservazione, in coerenza con gli strumenti di pianificazione, determini «le azioni strategiche necessarie per la promozione, valorizzazione e qualificazione delle valenze storico culturali e identitarie».
L’art. 51 NTA si occupa delle aree caratterizzate da insediamenti storici, che sono costituite dalle matrici di sviluppo dei centri di antica e prima formazione, letti dalla cartografia storica, comprensivi anche dei centri di fondazione moderni e contemporanei, dei nuclei specializzati del lavoro e dell’insediamento sparso.
Tali aree comprendono, in particolare, i nuclei di primo impianto e di antica formazione, il sistema delle sette città regie, i centri rurali, i centri di fondazione sabauda, le città e i centri di fondazione degli anni trenta del Novecento, i centri specializzati del lavoro, i villaggi minerari e industriali, i villaggi delle bonifiche e delle riforme agrarie dell’Ottocento e del Novecento, gli elementi dell’insediamento rurale sparso.
L’art. 52 NTA detta le prescrizioni da osservare nelle aree caratterizzate da insediamenti storici.
In particolare, il suo comma 3 prevede che gli interventi sui tessuti edilizi e urbani che conservino rilevanti tracce dell’assetto storico debbano essere rivolti esclusivamente alla riqualificazione e al recupero mediante manutenzione ordinaria e straordinaria, restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia interna.
Occorre poi, in caso di profonda alterazione dei caratteri tipologici e costruttivi, favorire la conservazione degli elementi identitari superstiti (comma 5).
Sono vietati gli interventi che comportino una modifica dei caratteri che connotano la trama viaria e edilizia e dei manufatti, anche isolati, che costituiscano testimonianza storica e culturale (comma 10).
L’art. 53 NTA, nelle aree caratterizzate da insediamenti storici, dispone che i Comuni seguano i seguenti indirizzi: conservazione della stratificazione storica, conservazione e valorizzazione delle tracce che testimoniano l’origine storica dell’insediamento, riqualificazione dell’aspetto ambientale e del paesaggio urbano, riqualificazione dei tessuti di antica formazione, anche attraverso interventi di ristrutturazione urbanistica, per sostituire parti incongrue e incompatibili, nella ricerca del disegno e della trama originari del tessuto.
L’originaria formulazione dell’art. 34, comma 1, lettera h), nell’escludere che gli interventi potessero avere luogo negli edifici e negli immobili ricadenti nei centri di antica e prima formazione ricompresi in zone urbanistiche diverse da quella A, si collocava nell’alveo delle previsioni del piano paesaggistico regionale, che a tali centri dedicavano particolare attenzione.
15.5.2.– Nell’ammettere rilevanti interventi di aumento di volumetria con riguardo agli immobili di particolare pregio posti nei centri di prima e antica formazione, la previsione impugnata non è compatibile con le linee di indirizzo e le prescrizioni del piano, che appresta una peculiare tutela per tali centri, in quanto componenti dell’assetto storico-culturale della Regione autonoma Sardegna.
Nell’estendere l’ambito applicativo di ammissibilità degli interventi, il legislatore regionale deroga in peius allo standard di tutela che il piano ha individuato per preservare l’assetto identitario del paesaggio, nella sua valenza insieme storica ed estetica.
15.5.3.– Si deve dichiarare, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, lettera b), della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, nella parte in cui abroga l’art. 34, comma 1, lettera h), della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015.
Sono assorbite le restanti censure.
16.– È impugnato anche l’art. 13 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, che introduce nella legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 l’art. 38-bis, relativo al trasferimento dei volumi realizzabili ricadenti in alcune zone del Piano stralcio per l’assetto idrogeologico.
16.1.– Ad avviso del ricorrente, la disciplina in esame, nel consentire le delocalizzazioni con riguardo a edifici ricadenti nelle zone di molto elevata pericolosità idraulica (Hi4) o da frana (Hg4) o di pericolosità idraulica (Hi3) o da frana (Hg3) soltanto elevata, si traduce in una «“fuga” dal piano paesaggistico» e concerne non solo e non tanto edifici esistenti, legittimamente realizzati in ambiti che poi risultino di elevato rischio idrogeologico, «ma anzitutto e principalmente edifici non ancora realizzati in ambiti a rischio idrogeologico».
L’approvazione del piano di assetto idrogeologico dovrebbe condurre all’esclusione o alla limitazione delle edificazioni, non già a «consentire l’edificazione in altre aree del territorio comunale, aggravando il relativo carico urbanistico».
16.2.– Il ricorrente ravvisa, pertanto, la violazione degli artt. 9 e 117, commi primo e secondo, lettera s), Cost., «rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 4, 20, 21, 135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, l’articolo 5, comma 11, del decreto legge n. 70 del 2011 e la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio».
La disciplina impugnata sarebbe anche lesiva dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto, nel riconoscere «una sorta di “diritto quesito” all’edificazione» ai privati proprietari di aree edificabili in base a uno strumento urbanistico comunale, poi superato dalle previsioni confliggenti del piano di assetto idrogeologico, e nell’attribuire così «un diritto soggettivo al trasferimento delle volumetrie non realizzabili a causa dei vincoli idrogeologici», avrebbe invaso la competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «ordinamento civile».
Il ricorrente lamenta anche la violazione dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato con il d.P.R. n. 480 del 1975, in quanto la disciplina in esame si porrebbe in contrasto con le norme fondamentali di riforma economico-sociale dettate dall’art. 41-quinquies, commi ottavo e nono, della legge n. 1150 del 1942, dagli artt. 2-bis e 14 t.u. edilizia, dall’intesa sul “Piano casa” del 2009, fondata sull’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008, e dall’art. 5, commi 9 e seguenti, del d.l. n. 70 del 2011, come convertiti.
Sarebbe violato, infine, il principio di leale collaborazione.
16.3.– Le questioni sono fondate, in riferimento all’art. 3 dello statuto speciale e agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost.
16.3.1.– La disciplina impugnata si prefigge di conseguire la riqualificazione dei contesti contraddistinti da un elevato o molto elevato rischio idrogeologico e di mettere in sicurezza il territorio e, a tale scopo, promuove e incentiva interventi di trasferimento dei volumi previsti come realizzabili previa approvazione dei piani attuativi nelle zone urbanistiche C (di espansione residenziale), D (industriali, commerciali e artigianali) e G (servizi generali), ricadenti nelle aree di pericolosità idraulica o da frana elevata o molto elevata.
La disciplina in esame promuove analoghi interventi di trasferimento dei volumi previsti come realizzabili nelle zone urbanistiche B (di completamento residenziale), che ricadono in aree contraddistinte da rischio idrogeologico elevato o molto elevato (art. 38-bis, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, aggiunto dalla previsione impugnata).
Tali interventi sono estesi anche ai volumi esistenti, legittimamente realizzati nelle zone urbanistiche B, C, D, F (turistiche) e G, che ricadono nelle aree che presentano il descritto rischio idrogeologico, volumi «per i quali è consentito il trasferimento, previa approvazione di piani attuativi, in altre zone urbanistiche B, C, D, F e G del territorio comunale situate al di fuori delle aree a rischio idraulico o geologico, con incremento del volume del 35 per cento» (art. 38-bis, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015).
Le altre previsioni dell’art. 38-bis della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 regolano nel dettaglio le modalità per il trasferimento dei volumi.
16.3.2.– Il legislatore regionale non solo consente la realizzazione di tali volumi in deroga alle vigenti disposizioni regionali, eccezion fatta per le distanze tra fabbricati e pareti finestrate (art. 38-bis, commi 9 e 10, della citata legge reg. Sardegna n. 8 del 2015), ma dispone anche che le norme tecniche di attuazione del piano di assetto idrogeologico siano modificate in conformità agli interventi ammessi dalla previsione impugnata (art. 38-bis, comma 13, della predetta legge regionale).
La deroga alle disposizioni regionali è formulata in termini indiscriminati, idonei a ricomprendere anche le prescrizioni poste a salvaguardia del paesaggio, e dunque vanifica la specifica funzione di tutela che il piano paesaggistico svolge. La deroga, peraltro, investe anche le norme tecniche di attuazione del piano di assetto idrogeologico, in quanto attuano aspetti disciplinati dal piano paesaggistico e correlati a profili di tutela del paesaggio.
Tale indistinta portata derogatoria, che rappresenta aspetto saliente della disciplina, determina il superamento dei limiti della potestà legislativa statutaria, in contrasto con le previsioni del piano paesaggistico e del piano di assetto idrogeologico. È violata, pertanto, la sfera di competenza esclusiva statale nella materia della tutela dell’ambiente.
16.3.3.– Deve essere dichiarata, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 13 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, in tutte le sue previsioni, tra loro inscindibilmente connesse.
Restano assorbiti gli ulteriori profili di censura prospettati nel ricorso.
17.– È impugnato, per profili che attengono sia alla normativa edilizia sia alla tutela del paesaggio, anche l’art. 14 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, che modifica in più punti l’art. 39 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, in tema di rinnovo del patrimonio edilizio con interventi di demolizione e di ricostruzione.
17.1.– Ad avviso del ricorrente, la disciplina impugnata confligge con gli artt. 9 e 117, commi primo e secondo, lettera s), Cost., «rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 4, 20, 21, 135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio, e l’articolo 5, comma 11, del decreto legge n. 70 del 2011».
Il ricorrente denuncia anche la violazione dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, in quanto la previsione dell’art. 14 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 contrasterebbe con le norme di grande riforma economico-sociale costituite dall’art. 41-quinquies, commi ottavo e nono, della legge n. 1150 del 1942, dagli artt. 2-bis e 14 t.u. edilizia, dall’intesa sul “Piano casa” del 2009, fondata sulla previsione dell’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008, e dall’art. 5, commi 9 e seguenti, del d.l. n. 70 del 2011.
La disposizione in esame sarebbe lesiva, infine, del principio di leale collaborazione.
17.2.– Occorre, prima ancora di procedere alla disamina dei singoli profili di censura, vagliare l’eccezione di inammissibilità formulata dalla Regione.
Tale eccezione fa leva sulla tardività dell’impugnazione. La disciplina degli interventi di demolizione e ricostruzione sarebbe stata introdotta dalla legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, che il ricorrente non avrebbe ritualmente impugnato.
L’eccezione non può essere accolta.
Nei confronti delle previsioni impugnate, a prescindere dalla circostanza che il legislatore regionale ha modificato in misura apprezzabile la disciplina previgente, il termine di impugnazione è rispettato.
17.3.– Il motivo di ricorso contiene svariate censure, che saranno esaminate singolarmente, in quanto toccano aspetti diversi di un’articolata disciplina.
17.3.1.– Le censure sono riferite, in primo luogo, alle lettere a) e b), che modificano, rispettivamente, i commi 2 e 3 dell’art. 39 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015.
L’art. 39, comma 2, della predetta legge regionale, così come modificato dalla disposizione impugnata, consente, su proposta del privato interessato, la demolizione dei fabbricati esistenti e la successiva ricostruzione con la concessione di un credito volumetrico pari al volume dell’edificio demolito maggiorato del 30 per cento, affidandone la determinazione, nella formulazione modificata dalla disposizione impugnata, all’ufficio tecnico comunale. L’impugnata lettera a) sostituisce quest’ultima determinazione dell’ufficio tecnico comunale alla deliberazione del Consiglio comunale, originariamente prevista.
L’art. 39, comma 3, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 oggi dispone che, ove l’intervento preveda la ricostruzione nel medesimo lotto urbanistico, l’ufficio tecnico comunale, con la stessa determinazione, stabilisce i parametri urbanistico-edilizi dell’intervento nel rispetto delle vigenti disposizioni, con eventuale superamento dei parametri volumetrici e dell’altezza previsti dalle vigenti disposizioni comunali e regionali. L’impugnata lettera b) sostituisce, anche in questo caso, la determinazione dell’ufficio tecnico comunale alla deliberazione del Consiglio comunale, originariamente prevista.
Il ricorrente denuncia la violazione del principio fondamentale espresso dall’art. 5, comma 11, del d.l. n. 70 del 2011, che richiede la delibera del Consiglio comunale per consentire la realizzazione di interventi in deroga agli strumenti urbanistici, in armonia con l’art. 14 t.u. edilizia.
17.3.1.1.– Le questioni non sono fondate.
In virtù dell’art. 5, comma 11, del d.l. n. 70 del 2011, gli interventi di demolizione e di ricostruzione consentiti dalla legislazione regionale sono assoggettati, anche per quel che riguarda i mutamenti di destinazione d’uso, al rispetto dell’art. 14 t.u. edilizia, che consente il rilascio del permesso di costruire in deroga, previa deliberazione del Consiglio comunale.
L’art. 14 t.u. edilizia dispone che il permesso di costruire in deroga possa essere rilasciato soltanto per gli edifici e gli impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del Consiglio comunale, nel rispetto delle prescrizioni a tutela dei beni culturali e del paesaggio e delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia.
L’art. 14, comma 1-bis, t.u. edilizia precisa che, per gli interventi di ristrutturazione edilizia, la richiesta di permesso di costruire in deroga è ammessa previa deliberazione del Consiglio comunale che ne attesta l’interesse pubblico limitatamente alle finalità di rigenerazione urbana, di contenimento del consumo del suolo e di recupero sociale e urbano dell’insediamento.
La deroga – chiarisce l’art. 14, comma 3, t.u. edilizia – può riguardare solo i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi e le destinazioni d’uso ammissibili. Rimane fermo il rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza e delle prescrizioni inderogabili in tema di densità edilizia, altezza e distanza tra i fabbricati, poste dagli artt. 7, 8 e 9 del d.m. n. 1444 del 1968.
L’art. 5, comma 11, del d.l. n. 70 del 2011 precisa che la disposizione dell’art. 14 t.u. edilizia vale «sino all’entrata in vigore della normativa regionale».
Come ha già affermato questa Corte, tale disposizione è richiamata «solo per il caso di assenza di leggi regionali, sicché l’esistenza di una legge regionale sul “piano casa” esclude l’applicabilità dell’art. 14 del testo unico» (sentenza n. 217 del 2020, punto 4.1. del Considerato in diritto).
Nel caso di specie, l’esistenza di una specifica legge regionale sul “Piano casa” esclude il denunciato contrasto con la normativa statale.
17.3.2.– Il secondo profilo di censura tocca la lettera d) dell’art. 14 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021.
In virtù della previsione impugnata, le disposizioni dell’art. 39, comma 6, della legge regionale n. 8 del 2015 si applicano «agli edifici legittimamente realizzati entro il 31 dicembre 2020, nonché nei casi di edifici successivamente legittimati a seguito di positiva conclusione del procedimento di condono o di accertamento di conformità e, ove necessario, dell’accertamento di compatibilità paesaggistica».
Le censure vertono sul fatto che è stato differito al 31 dicembre 2020 il termine per la realizzazione degli edifici, originariamente individuato nella data di entrata in vigore della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015.
Il ricorrente lamenta l’estensione di una normativa concepita come temporanea ed eccezionale anche a immobili appena edificati, per i quali non si ravvisa alcuna necessità di procedere a riqualificazione e rigenerazione urbana.
17.3.2.1.– La questione è fondata.
La legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 persegue finalità di riqualificazione e di rigenerazione urbana, che ispirano anche le modificazioni dettate dall’art. 14 alla disciplina degli interventi di demolizione e di ricostruzione.
Con tale finalità è in palese contrasto la scelta di estendere il termine per l’applicazione della disciplina straordinaria sugli interventi di demolizione e di ricostruzione e di includere anche le costruzioni appena edificate in un ambito applicativo che deve essere delimitato con rigore, in ragione della portata ampiamente derogatoria della regolamentazione prevista dal legislatore regionale. Nella fattispecie delle costruzioni appena ultimate non si coglie l’esigenza di riqualificazione mediante interventi radicali di demolizione e ricostruzione, con l’attribuzione di consistenti premialità volumetriche.
Si deve dunque dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1, lettera d), della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021.
17.3.3.– La terza censura verte sull’art. 14 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 e, in particolare, sulla lettera g), che modifica l’art. 39, comma 13, lettera e), della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015.
In virtù delle modificazioni impugnate, gli interventi di integrale demolizione e ricostruzione non sono ammessi quando ricadono in aree sottoposte a particolari vincoli di tutela «se già individuate con apposito provvedimento regolamentare o normativo prima della presentazione dell’istanza del richiedente».
Mediante il riferimento all’art. 38, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, il legislatore regionale richiama le «aree ricadenti all’interno delle zone urbanistiche omogenee E ed H ed interne al perimetro dei beni paesaggistici di cui all’articolo 142, comma 1, lettere a), b), c), ed i) del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), e successive modifiche ed integrazioni», le «aree necessarie per garantire spazi pubblici finalizzati all’incremento della qualità dell’abitare, come spazi a verde, spazi a parcheggio e centri di aggregazione sociale», le «aree dichiarate ad elevata o molto elevata pericolosità idrogeologica», gli edifici posti «in prossimità di emergenze ambientali, architettoniche, archeologiche o storico-artistiche», le aree di rispetto inedificabili, il perimetro di tutela integrale e la fascia di rispetto condizionata dei beni dell’assetto storico culturale del piano paesaggistico regionale, oltre che le ulteriori aree a tal fine individuate dal Comune.
Nella formulazione previgente, gli interventi non erano ammessi quando ricadevano nelle aree menzionate nell’art. 38, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015. Il legislatore regionale non puntualizzava che il vincolo dovesse preesistere alla presentazione dell’istanza dell’interessato.
17.3.3.1.– Le questioni sono inammissibili.
Le censure si esauriscono nel rilievo che la disciplina impugnata priverebbe di ogni efficacia la successiva individuazione di ulteriori aree di interesse paesaggistico. Il ricorrente, tuttavia, non offre alcun ragguaglio sui principi vigenti in tema di vincoli paesaggistici sopravvenuti e sulla portata della successiva individuazione delle aree di interesse paesaggistico, né dimostra in modo esauriente il contrasto della normativa regionale con tali principi.
Le censure sono dunque inammissibili, perché assertive e non avvalorate da una adeguata ricostruzione del quadro normativo.
17.3.4.– La quarta censura riguarda la lettera h) dell’art. 14, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, nella parte in cui modifica l’art. 39, comma 15, della legge regionale n. 8 del 2015.
Sin dall’originaria formulazione, la norma regionale consente la demolizione degli edifici esistenti nella fascia dei 300 metri dalla linea di battigia marina e ricadenti nelle zone urbanistiche E (agricole), F (turistiche) e H (di salvaguardia), nonché nelle zone urbanistiche G, dedicate ai servizi generali, non contermini all’abitato. La ricostruzione dell’intera volumetria è assentibile, anche secondo l’originaria formulazione della norma.
La disposizione impugnata aggiunge: «senza l’obbligo del rispetto dell’ubicazione, della sagoma e della forma del fabbricato da demolire». Su tale inciso vertono le censure proposte nell’odierno giudizio, riferite alla violazione della competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia della tutela dell’ambiente.
17.3.4.1.– Le questioni sono fondate.
La disposizione impugnata incide sulla fascia di 300 metri dalla linea di battigia, peraltro tutelata in maniera pregnante ai sensi dell’art. 142, lettera a), del d.lgs. n. 42 del 2004, oltre che alla stregua del vigente piano paesaggistico regionale. Tale incidenza non è, peraltro, contestata dalla difesa regionale.
Non è influente la circostanza che già la disciplina previgente contemplasse interventi destinati a ricadere nella fascia entro i 300 metri dalla linea di battigia, poiché, come già detto, nei giudizi in via principale non opera l’istituto dell’acquiescenza; si deve rilevare, inoltre, che la previsione aggiunta dalla legge impugnata introduce un ulteriore elemento di deroga, che si ripercuote sull’assetto paesaggistico.
La previsione in esame, difatti, concerne un aspetto tutt’altro che marginale della tutela paesaggistica, in quanto esenta gli interventi disciplinati dal novellato art. 39 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 dall’obbligo del rispetto dell’ubicazione, della sagoma e della forma del fabbricato da demolire.
Né pone rimedio al vulnus denunciato la precisazione che il nuovo fabbricato deve determinare «un minore impatto paesaggistico secondo le indicazioni impartite dall’Amministrazione regionale con apposite linee guida adottate dalla Giunta regionale con atto n. 18 del 5 aprile 2016».
Il legislatore regionale ha travalicato i limiti della potestà legislativa sancita dallo statuto speciale, modificando unilateralmente – e per di più in senso deteriore – la disciplina della fascia costiera, bene paesaggistico assoggettato a rigorosa tutela, per la peculiarità delle caratteristiche naturali e ambientali.
Si deve dichiarare, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1, lettera h), della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, nella parte in cui aggiunge all’art. 39, comma 15, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 l’inciso «senza l’obbligo del rispetto dell’ubicazione, della sagoma e della forma del fabbricato da demolire».
17.3.5.– Il ricorrente promuove anche questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, considerato nella sua interezza.
Le censure muovono dal presupposto che la disciplina impugnata, per effetto dell’art. 39, comma 13, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, sia applicabile senza limiti anche ai beni culturali, in contrasto con gli artt. 4, 20 e 21 del d.lgs. n. 42 del 2004.
17.3.5.1.– Le questioni non sono fondate, nei termini di seguito illustrati.
In difetto di deroga espressa, si impone in ogni caso l’applicazione della speciale disciplina di tutela dei beni culturali prevista dal piano paesaggistico e dal codice dei beni culturali e del paesaggio.
Così intesa, la disposizione impugnata si sottrae ai rilievi del ricorrente.
18.– Il ricorrente censura anche l’art. 15, comma 1, lettera c), della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, che modifica l’art. 40 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, in tema di programmi integrati di riordino urbano.
18.1.– Tali programmi perseguono l’obiettivo di riqualificare gli ambiti urbani e le periferie caratterizzati dalla presenza di una pluralità di funzioni e di tessuti edilizi disorganici, incompiuti, parzialmente utilizzati o degradati, favorendo il miglioramento della qualità dell’abitare, anche attraverso l’incremento della dotazione degli standard.
La previsione impugnata dispone che nessuna zona urbanistica omogenea sia «aprioristicamente esclusa» dall’ambito di applicazione dei programmi integrati di riordino urbano. Su questa disposizione si appuntano le censure del ricorrente.
Secondo la versione previgente dell’art. 40, comma 7, secondo periodo, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, erano esclusi dall’ambito di tali programmi i centri di antica e prima formazione e le zone urbanistiche omogenee E (zone agricole) e H (zone di salvaguardia ambientale).
Il ricorrente imputa al legislatore regionale di avere modificato unilateralmente le norme di gestione e di uso delle aree tutelate paesaggisticamente, con una disciplina destinata a incidere anche su beni paesaggistici come i centri di antica e prima formazione o su beni oggetto di peculiare tutela, come le zone agricole, senza escludere dal suo ambito applicativo le zone omogenee H (di salvaguardia ambientale).
La normativa impugnata (art. 40, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015) contemplerebbe interventi di riqualificazione, di sostituzione edilizia, di modifiche di destinazione d’uso di aree e di immobili con un incremento volumetrico massimo del 40 per cento della volumetria demolita, senza escludere dall’ambito applicativo di tali interventi i beni culturali.
18.2.– Il ricorrente, pertanto, denuncia la violazione degli artt. 9 e 117, commi primo e secondo, lettera s) – «rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 4, 20, 21, 135, 143, 145 e 156 del codice dei beni culturali e del paesaggio, la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio, e l’articolo 5, comma 11, del decreto legge n. 70 del 2011» – dell’art. 3 dello statuto speciale e del principio di leale collaborazione con lo Stato, che si estrinsecherebbe nell’obbligo di copianificazione.
18.3.– Le questioni sono fondate, in riferimento all’art. 3 dello statuto speciale e agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost.
18.3.1.– L’impugnato art. 15, comma 1, lettera c), incide sull’art. 40, comma 7, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015.
Questa disposizione, al primo periodo, affida ai Comuni il compito di individuare gli ambiti territoriali nei quali realizzare gli interventi previsti dai programmi integrati per il riordino urbano.
Tali interventi saranno localizzati, in via prioritaria, nelle zone urbanistiche omogenee C contigue all’ambito urbano, ovvero nelle zone di espansione residenziale «destinate a nuovi complessi residenziali, che risultino inedificate o nelle quali l’edificazione preesistente non raggiunga i limiti di superficie utilizzata richiesti per le zone B».
La localizzazione avverrà, quindi, nelle zone urbanistiche omogenee D, che si identificano nelle «parti del territorio destinate a nuovi insediamenti per impianti industriali, artigianali, commerciali, di conservazione, trasformazione o commercializzazione di prodotti agricoli e/o della pesca», e nelle zone urbanistiche omogenee G, che consistono nelle «parti del territorio destinate ad edifici, attrezzature ed impianti, pubblici e privati, riservati a servizi di interesse generale, quali strutture per l’istruzione secondaria, superiore ed universitaria, i beni culturali, la sanità, lo sport e le attività ricreative, il credito, le comunicazioni, o quali mercati generali, parchi, depuratori, impianti di potabilizzazione, inceneritori e simili». Quanto alle zone D e G, il legislatore regionale precisa che la localizzazione avverrà nelle zone contigue all’ambito urbano e non completate o dismesse.
18.3.2.– Con le modificazioni introdotte dalla disposizione impugnata cadono le esclusioni originariamente previste dall’art. 40, comma 7, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 per la realizzazione dei programmi integrati per il riordino urbano.
Nell’assetto previgente della disciplina regionale, tali programmi non potevano essere realizzati nei centri di antica e prima formazione e nelle zone urbanistiche omogenee E (zone agricole) e H. Le zone H, denominate zone di salvaguardia, non rientrano in alcuna delle classificazioni elaborate dall’art. 3 del decreto dell’Assessore degli enti locali, finanze ed urbanistica 20 dicembre 1983, n. 2266/U (Disciplina dei limiti e dei rapporti relativi alla formazione di nuovi strumenti urbanistici ed alla revisione di quelli esistenti nei Comuni della Sardegna), e «rivestono un particolare valore speleologico, archeologico, paesaggistico o di particolare interesse per la collettività, quali fascia costiera, fascia attorno agli agglomerati urbani, fascia di rispetto cimiteriale, fascia lungo le strade statali provinciali e comunali».
La disciplina impugnata estende a tutte le zone urbanistiche omogenee l’ambito di applicazione dei programmi integrati per il riordino urbano, dapprima esclusi nelle zone di particolare valenza culturale o paesaggistica, come i centri di antica e prima formazione, le zone agricole, le zone di salvaguardia ambientale.
Una disciplina così congegnata interviene su beni che ricevono specifica tutela nel piano paesaggistico regionale e nella normativa regionale previgente, in armonia e in connessione inscindibile con le previsioni del piano. Nella prospettiva di una più efficace protezione del paesaggio, tale normativa escludeva dai programmi integrati per il riordino urbano proprio i beni prima citati – i centri di antica e prima formazione, le zone agricole e le zone di salvaguardia ambientale – che includono anche beni di peculiare valore archeologico e paesaggistico, nonché la fascia costiera.
Nel rimuovere tali ipotesi di esclusione, la disposizione impugnata riduce la tutela riservata ai beni che, nello stesso piano paesaggistico e nella legislazione regionale che ne ha completato e arricchito le indicazioni, sono assoggettati ad autonoma e peculiare disciplina.
Né tale decremento di tutela è contraddetto dalla specificazione che il Consiglio comunale provvede alla localizzazione delle aree di intervento in coerenza con quanto statuisce il piano paesaggistico regionale, poiché all’originaria e tassativa esclusione di alcune aree ora fa riscontro una normativa a maglie più larghe, che non contempla una protezione inderogabile.
18.3.3.– Si deve dichiarare, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 15, comma 1, lettera c), della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, nella parte in cui abroga l’art. 40, comma 7, secondo periodo, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, introducendo il periodo «Nessuna zona urbanistica omogenea è aprioristicamente esclusa».
In virtù di tale declaratoria di illegittimità costituzionale, i centri di antica e prima formazione, le zone agricole e le zone di salvaguardia ambientale continuano a essere esclusi dall’ambito applicativo dei programmi integrati per il riordino urbano.
Sono assorbite le residue censure.
19.– Il ricorrente impugna, altresì, l’art. 16 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, che modifica l’art. 41 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, nella parte in cui contiene disposizioni transitorie relative alla legge della Regione Sardegna 23 ottobre 2009, n. 4 (Disposizioni straordinarie per il sostegno dell’economia mediante il rilancio del settore edilizio e per la promozione di interventi e programmi di valenza strategica per lo sviluppo) e alla disciplina transitoria del primo “Piano casa”.
19.1.– In particolare, l’impugnato art. 16 modifica l’art. 41, commi 3 e 4, della legge regionale n. 8 del 2015. Il comma 3, in particolare, richiama l’art. 13 della legge regionale n. 4 del 2009, anche nella sua lettera d), riguardante gli interventi ammissibili nella fase di adeguamento degli strumenti urbanistici al PPR.
Nell’effettuare il richiamo di tale ultima legge regionale, abrogata dall’art. 44, comma 3, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, la normativa impugnata si riprometterebbe di «modificare, in senso retroattivo, i presupposti per l’accoglimento delle istanze presentate entro il termine del 29 novembre 2014 (ai sensi del comma 1 dell’art. 41 nel testo sopra richiamato), con questo introducendo una sorta di sanatoria» e ampliando le deroghe alle prescrizioni del piano paesaggistico regionale, in contrasto con il divieto di sanatoria ex post di cui all’art. 167 del d.lgs. n. 42 del 2004.
19.2.– Il ricorrente ravvisa il contrasto con gli artt. 9 e 117, commi primo e secondo, lettera s), Cost., «rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio, e l’articolo 5, comma 11, del decreto legge n. 70 del 2011», in quanto la disciplina impugnata interverrebbe «a regolare materia spettante esclusivamente allo Stato, e comunque in modo difforme dagli obblighi assunti in sede internazionale».
Sarebbe violato anche l’art. 3 dello statuto speciale, poiché la normativa in esame, «pur eventualmente appartenendo alla competenza regionale», comunque si porrebbe in contrasto con le norme fondamentali di riforma economico sociale contenute nell’art. 41-quinquies, commi ottavo e nono, della legge n. 1150 del 1942, negli artt. 2-bis e 14 t.u. edilizia, nell’intesa sul “Piano casa” del 2009, fondata sull’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008, e nell’art. 5, commi 9 e seguenti, del d.l. n. 70 del 2011, come convertiti.
La disciplina impugnata sarebbe lesiva del principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), in considerazione degli «esiti manifestamente arbitrari e irragionevoli cui conduce la modifica ex post delle condizioni di accoglimento delle domande di c.d. piano casa già presentate nel 2014» e delle disparità di trattamento che determina con il mutamento delle regole applicabili.
Sarebbe violato, infine, il principio di leale collaborazione.
19.3.– La parte resistente ha eccepito l’inammissibilità delle censure, avendo il ricorrente trascurato di illustrare le ragioni di contrasto con le previsioni del piano paesaggistico regionale.
Tale eccezione è fondata con riguardo all’art. 16, comma 1, lettera b), e le questioni proposte a tale riguardo devono essere, pertanto, dichiarate inammissibili sotto tutti i diversi profili evocati nel ricorso.
La lettera b) dell’impugnato art. 16 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 ha introdotto alcune modifiche, che intervengono in una duplice direzione. Essa ha eliminato l’inciso «[n]ei comuni dotati di piano urbanistico comunale ai sensi della legge regionale n. 45 del 1989, e successive modifiche ed integrazioni», con cui esordiva l’art. 41, comma 4, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, nel consentire l’attuazione degli interventi localizzati nelle zone urbanistiche C, D e G.
È stato poi eliminato, nel medesimo art. 41, comma 4, l’aggettivo «tutte», che precedeva l’espressione «contigue al centro urbano», riferita alle zone urbanistiche omogenee C, D e G.
Il ricorrente non approfondisce la portata lesiva delle modifiche di dettaglio apportate dalla normativa impugnata e, a tale riguardo, la doglianza non è articolata in termini idonei a superare il vaglio di ammissibilità.
Quanto all’art. 16, comma 1, lettera a), della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, il ricorrente individua, invece, in termini univoci le questioni sottoposte allo scrutinio di legittimità costituzionale, il cui fulcro risiede nella deroga alle prescrizioni del piano paesaggistico regionale.
19.4.– Le questioni promosse a tale riguardo sono fondate, in riferimento all’art. 3 dello statuto speciale e agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost.
19.4.1.– Alla disamina del merito delle questioni conviene premettere la ricostruzione del quadro normativo in cui le innovazioni impugnate si collocano.
L’art. 16 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 incide, con le modifiche recate dalla lettera a), sulle previsioni transitorie dell’art. 41 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015.
L’art. 41, comma 1, di tale legge prevede che le disposizioni di cui al Capo I della legge reg. Sardegna n. 4 del 2009, e successive modifiche ed integrazioni, continuino ad applicarsi «per l’espletamento e fino alla conclusione solamente per i procedimenti instaurati dalla presentazione, entro il termine del 29 novembre 2014, della denuncia di inizio di attività o dell’istanza volta all’ottenimento della concessione edilizia, ancorché le disposizioni medesime siano divenute inefficaci o siano state modificate al tempo della loro applicazione».
L’art. 41, comma 3, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, come modificato dalla previsione impugnata, consente l’attuazione di determinati interventi, per i quali sia stata positivamente conclusa, con la sottoscrizione del verbale del tavolo tecnico, la verifica della coerenza delle volumetrie programmate con il contesto paesaggistico ed ambientale di riferimento, effettuata di concerto tra amministrazione regionale e amministrazione comunale.
L’originaria formulazione contemplava soltanto gli interventi di cui alla lettera e) dell’art. 13 della legge reg. Sardegna n. 4 del 2009. Tale ultima disposizione, in particolare, prevede che, ai fini della riqualificazione delle strutture destinate all’esercizio di attività turistico-ricettive, anche qualora localizzate nei 300 metri dalla linea di battigia, ridotti a 150 metri nelle isole minori, possano essere autorizzati, in deroga agli strumenti urbanistici vigenti, interventi di ristrutturazione e rinnovamento. Eventuali incrementi volumetrici, per i quali non opera l’art. 6 della legge della Regione Sardegna 25 novembre 2004, n. 8 (Norme urgenti di provvisoria salvaguardia per la pianificazione paesaggistica e la tutela del territorio regionale), non possono comunque superare il 25 per cento dei volumi legittimamente esistenti, a condizione che realizzino concreti obiettivi di qualità paesaggistico-architettonica e di efficienza tecnico-funzionale e non si sviluppino verso il mare. Gli incrementi volumetrici di cui alla citata lettera e) non si applicano alle strutture turistico-ricettive che abbiano già usufruito degli incrementi previsti dall’art. 10-bis della legge della Regione Sardegna 22 dicembre 1989, n. 45 (Norme per l’uso e la tutela del territorio regionale).
La previsione impugnata interviene ad aggiungere il riferimento agli interventi contemplati dalla lettera d) dell’art. 13 della legge reg. Sardegna n. 4 del 2009. Tale ultima disposizione, nei Comuni non dotati di piano urbanistico comunale di cui alla legge reg. Sardegna n. 45 del 1989, nelle zone territoriali omogenee C, D, G, ed F, all’interno della fascia dei 2.000 metri dalla linea di battigia, e, per le isole minori, entro i 500 metri dalla linea di battigia, consente di realizzare gli interventi previsti dagli strumenti attuativi già approvati e convenzionati, a condizione che le relative opere di urbanizzazione siano state legittimamente avviate prima dell’approvazione del piano paesaggistico regionale. Oltre tale fascia sono realizzabili gli interventi previsti nei piani attuativi regolarmente approvati e, se di iniziativa privata, convenzionati.
L’art. 13 della legge reg. Sardegna n. 4 del 2009, che affidava ai piani paesaggistici, alle loro varianti e agli atti di aggiornamento e revisione il compito di introdurre norme temporanee di salvaguardia e di indicare le opere eseguibili sino all’adeguamento degli strumenti urbanistici comunali, fissando principi e direttive puntuali, è stato abrogato dall’art. 44, comma 3, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015.
L’art. 41, comma 4, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 consente l’attuazione degli interventi localizzati nelle zone urbanistiche omogenee C (espansione residenziale), D (industriali, commerciali e artigianali) e G (servizi generali), contigue al centro urbano, e previsti nei piani attuativi adottati alla data di entrata in vigore della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, in attuazione dell’art. 13, comma 1, lettera b), della legge reg. Sardegna n. 4 del 2009, che subordina la realizzazione degli interventi previsti nei vigenti strumenti urbanistici alla condizione che ricadano nelle aree delimitate dagli strumenti urbanistici come zone territoriali omogenee A e B e che ricadano nelle aree delimitate dagli strumenti urbanistici come zone territoriali omogenee C, D e G, qualora le aree siano intercluse, ovvero contigue ed integrate in termini di infrastrutture, con l’ambito urbano.
19.4.2.– La previsione impugnata si discosta da quanto prevede l’art. 15, comma 2, NTA del piano paesaggistico regionale, nel dettare la disciplina transitoria per gli ambiti di paesaggio costieri. Ai sensi della menzionata norma tecnica di attuazione, per i Comuni non dotati di piano urbanistico comunale approvato, nelle zone C, D, F e G nella fascia dei 2000 metri dalla linea di battigia marina, anche per i terreni elevati sul mare, e nella fascia entro i 500 metri dalla linea di battigia marina, anche per i terreni elevati sul mare e per le isole minori, possono essere realizzati gli interventi previsti negli strumenti urbanistici attuativi approvati e con convenzione efficace alla data di pubblicazione della delibera della Giunta regionale n. 33/1 del 10 agosto 2004 (Provvedimenti cautelari e d’urgenza per la salvaguardia e la tutela del paesaggio e dell’ambiente della Sardegna). Per le zone F, poi, si devono rispettare i parametri di cui all’articolo 6 della legge regionale 8/2004. Alla stessa data – soggiunge la citata previsione del piano paesaggistico – devono risultare legittimamente avviate le opere di urbanizzazione e, in particolare, deve essere stato realizzato il reticolo stradale e deve essersi determinato un mutamento consistente e irreversibile dello stato dei luoghi.
La disposizione impugnata, nell’inserire il riferimento alla lettera d) dell’art. 13 della legge reg. Sardegna n. 4 del 2009, in una fattispecie sovrapponibile a quella regolata dal piano paesaggistico regionale, considera sufficiente che le opere di urbanizzazione siano state avviate prima dell’approvazione del piano paesaggistico regionale (5 settembre 2006), che è termine successivo rispetto a quello individuato nello stesso piano paesaggistico (agosto 2004), e così amplia le possibilità di attuare l’attività edificatoria.
Tale profilo di contrasto, relativo a una disciplina già contraddistinta da uno spiccato carattere di specialità, si risolve in una deroga, che compromette lo standard di tutela individuato dal piano paesaggistico e presta così il fianco alle censure del ricorrente.
19.4.3.– Si deve dichiarare, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 16, comma 1, lettera a), della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, che inserisce nell’art. 41, comma 3, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 anche il riferimento all’art. 13, comma 1, lettera d), della legge reg. Sardegna n. 4 del 2009.
Sono assorbite le residue censure.
20.– Possono essere esaminate congiuntamente le censure riguardanti gli artt. 23 e 24 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021.
20.1.– La prima disposizione integra l’art. 21 della legge della Regione Sardegna 28 luglio 2017, n. 16 (Norme in materia di turismo), e aggiunge un comma 3-bis, che consente di proporre ai Comuni le aree di sosta temporanea degli autocaravan e caravan «in aree private».
Il ricorrente sostiene che la disposizione in esame non imponga la conformità di tali aree di sosta alle previsioni del piano paesaggistico regionale e la necessità di ottenere l’autorizzazione paesaggistica, contravvenendo altresì al divieto di realizzare aree attrezzate di camper all’interno della fascia costiera, bene paesaggistico tipizzato e individuato.
20.2.– Il ricorrente ritiene, pertanto, che tale previsione contrasti con l’art. 3 dello statuto speciale, con l’art. 117, secondo comma, lettere m) ed s), Cost., «rispetto ai quali costituiscono parametri interposti gli articoli 135, 143, 145, 146, 149 e 156 del codice dei beni culturali e del paesaggio, il d.P.R. n. 31 del 2017 e la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio», e con l’art. 9 Cost., poiché comprometterebbe «il bene paesaggistico, la cui tutela spetta esclusivamente allo Stato».
Sarebbe violato, infine, il principio di leale collaborazione.
20.3.– L’art. 24 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, invece, inserisce nella legge reg. Sardegna n. 16 del 2017 l’art. 19-bis, che consente «la realizzazione di campeggi, a basso indice di impatto paesaggistico e ad alto indice di reversibilità» oltre la fascia di trecento metri dalla linea di battigia.
Anche a tale riguardo, le censure del ricorrente si fondano sull’asserito contrasto con il piano paesaggistico regionale e con la disciplina d’uso della fascia costiera, «bene paesaggistico tipizzato e individuato». Sarebbe poi violata la disciplina che impone il preventivo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica.
20.4.– Sarebbero violati l’art. 3 dello statuto speciale e l’art. 117, secondo comma, lettere m) ed s), Cost., «rispetto ai quali costituiscono parametri interposti gli articoli 135, 143, 145, 146, 149 e 156 del codice dei beni culturali e del paesaggio, il d.P.R. n. 31 del 2017 e la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio».
Vi sarebbe poi contrasto con l’art. 9 Cost., in virtù della compromissione del bene paesaggistico, e con il principio di leale collaborazione, in quanto la disciplina in esame inciderebbe «unilateralmente sulla disciplina del paesaggio senza osservare l’obbligo di co pianificazione con lo Stato».
20.5.– Occorre esaminare, in primo luogo, le eccezioni di inammissibilità formulate dalla parte resistente.
20.5.1.– Quanto all’art. 23 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, la difesa regionale osserva che la censura è tardiva. Neppure l’art. 21 della legge reg. Sardegna n. 16 del 2017, nelle parti richiamate dalla disposizione impugnata, prescriverebbe in termini espressi la conformità al piano paesaggistico.
L’eccezione deve essere disattesa.
Le doglianze del ricorrente riguardano le novità introdotte dalla legge regionale impugnata e, rispetto a tali novità, sono tempestive e rituali, e censurano in termini ammissibili la portata lesiva della nuova disciplina.
20.5.2.– La difesa regionale ha poi eccepito l’inammissibilità del ricorso sull’art. 24 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, in ragione della sua indeterminatezza.
Neppure tale eccezione si rivela fondata.
Il ricorrente ha indicato, a sostegno delle censure, argomenti puntuali in merito al contrasto con le prescrizioni del piano paesaggistico.
20.6.– Le questioni possono essere dunque esaminate nel merito e sono fondate, in riferimento all’art. 3 dello statuto speciale e agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost.
20.6.1.– L’art. 20, comma 1, lettera b), numero 3), NTA vieta nella fascia costiera la realizzazione di «nuovi campeggi e strutture ricettive connesse a campi da golf, aree attrezzate di camper».
20.6.2.– Le previsioni impugnate collidono entrambe con tale divieto, che è formulato in termini tassativi.
20.6.2.1.– L’art. 23 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 consente in termini indiscriminati, e dunque anche nella fascia costiera, di realizzare aree di sosta temporanea degli autocaravan e dei caravan.
20.6.2.2.– L’art. 24 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, a sua volta, consente di realizzare campeggi anche nella fascia costiera.
Né vale a rendere tale previsione compatibile con il piano paesaggistico la specificazione che si tratta di campeggi a basso indice di impatto paesaggistico e ad alto indice di reversibilità. Il divieto delle norme tecniche di attuazione è formulato in termini onnicomprensivi e inderogabili, come si può desumere dall’espressione «[n]on è comunque ammessa la realizzazione».
Non è risolutiva neppure la specificazione che tali campeggi devono essere realizzati oltre la fascia di trecento metri dalla linea di battigia.
La fascia costiera, considerata nel PPR come un bene paesaggistico d’insieme e una risorsa strategica fondamentale per lo sviluppo sostenibile del territorio sardo, assoggettata a pianificazione e gestione integrata (art. 19, comma 1, NTA), è individuata in termini più ampi rispetto ai 300 metri dalla linea di battigia, espressamente salvaguardati dalla previsione impugnata.
Da questo punto di vista, nel contrasto con una specifica prescrizione del piano regionale, relativa a una risorsa strategica fondamentale per lo sviluppo sostenibile, si coglie la lesione denunciata dal ricorrente.
20.6.3.– Si deve dichiarare, pertanto, l’illegittimità costituzionale degli artt. 23 e 24 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021.
Restano assorbiti gli ulteriori profili di censura.
21.– È impugnato anche l’art. 25, comma 1, primo periodo, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, che fornisce l’interpretazione autentica dell’art. 4 del decreto dell’Assessore degli enti locali, finanze ed urbanistica 20 dicembre 1983, n. 2266/U.
21.1.– Le censure si fondano sul rilievo che il legislatore regionale consente di individuare, nella redazione degli strumenti urbanistici comunali, peraltro non ancora adeguati al piano paesaggistico regionale, «nuove previsioni edificatorie, anche negli ambiti tutelati paesaggisticamente».
21.2.– La disposizione impugnata, pertanto, contrasterebbe con l’art. 3 dello statuto speciale e con gli artt. 9 e 117, commi primo e secondo, lettera s), Cost., «rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156 del codice dei beni culturali e del paesaggio, e la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio».
La disposizione violerebbe, inoltre, l’art. 3 Cost., in quanto sarebbe manifestamente irragionevole la scelta di interpretare una norma risalente a più di quarant’anni addietro.
Sarebbe violato anche il principio di leale collaborazione.
21.3.– Le questioni sono fondate, in riferimento all’art. 3 dello statuto speciale e agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost.
21.3.1.– Occorre delineare il contesto normativo in cui si colloca la disposizione impugnata.
Essa si raccorda al citato decreto assessoriale n. 2266/U del 1983, che contiene la disciplina dei limiti e dei rapporti relativi alla formazione di nuovi strumenti urbanistici e alla revisione di quelli esistenti nei Comuni della Sardegna.
L’impugnato art. 25 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 si qualifica come norma di interpretazione autentica dell’art. 4 del citato decreto, che fissa i limiti di densità edilizia per le diverse zone.
La densità edilizia viene determinata mediante gli indici di fabbricabilità territoriale e fondiario che esprimono la misura del volume edificabile per ogni metro quadro di superficie, rispettivamente territoriale e fondiaria.
Il numero degli abitanti «presumibilmente insediabili» è computato assumendo il parametro di 60 metri cubi ad abitante per le zone turistiche F, dei quali 50 metri cubi per residenza e 10 metri cubi per servizi pubblici.
L’art. 4 del citato decreto stabilisce che, per le zone F costiere, la capacità insediativa massima, salva una diversa dimostrazione in sede di strumento urbanistico comunale, è calcolata sulla fruibilità ottimale del litorale, determinata secondo i seguenti parametri: 2 posti bagnante/metro lineare per costa sabbiosa, la cui fascia abbia larghezza superiore a 50 metri; 1,5 posti bagnante/metro lineare per costa sabbiosa, la cui fascia abbia larghezza compresa tra 50 e 30 metri; un posto bagnante/metro lineare per costa sabbiosa, la cui fascia abbia larghezza inferiore a 30 metri; 0,5 posti-bagnante/metro per costa rocciosa.
Almeno il 20 per cento della capacità insediativa così ottenuta deve essere riservato ad attrezzature alberghiere, paralberghiere e villaggi turistici a rotazione d’uso.
L’art. 4 nelle zone turistiche F prescrive, inoltre, l’indice fondiario massimo di 0,75 metri cubi/metri quadri.
In virtù della disposizione impugnata, le prescrizioni dell’art. 4 del citato decreto si devono interpretare nel senso che, in sede di nuova pianificazione, le limitazioni imposte dalla legge reg. Sardegna n. 8 del 2004, sul dimensionamento della capacità insediativa alberghiera, non si applicano ai Comuni che non abbiano raggiunto la potenzialità volumetrica originariamente prevista dal decreto assessoriale n. 2266/U del 1983, a patto che tali volumetrie siano finalizzate alla promozione turistica mediante la realizzazione di strutture alberghiere o para alberghiere a 5 o 6 stelle.
L’art. 6 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2004 regola il dimensionamento delle volumetrie degli insediamenti turistici ammissibili nelle zone F.
Tale dimensionamento non deve superare il 50 per cento di quello consentito con l’applicazione dei parametri massimi stabiliti per il calcolo della fruibilità ottimale del litorale dal decreto assessoriale n. 2266/U del 1983.
La legge reg. Sardegna n. 8 del 2004, come si evince dall’art. 1, comma 1, prelude all’approvazione del piano paesaggistico regionale, «principale strumento della pianificazione territoriale regionale ai sensi dell’articolo 135 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), al fine di assicurare un’adeguata tutela e valorizzazione del paesaggio».
L’art. 1, comma 2, della legge regionale n. 8 del 2004 definisce il PPR come «il quadro di riferimento e di coordinamento, per lo sviluppo sostenibile dell’intero territorio regionale, degli atti di programmazione e pianificazione regionale, provinciale e locale, ed assume i contenuti di cui all’articolo 143 del d.lgs. n. 42 del 2004».
In vista dell’approvazione del piano paesaggistico, interviene l’art. 6, che, in tema di dimensionamento delle volumetrie degli insediamenti turistici ammissibili nelle zone F, stabilisce che non debba essere superiore al 50 per cento di quello consentito «con l’applicazione dei parametri massimi stabiliti per il calcolo della fruibilità ottimale del litorale dal Dec. Ass. 20 dicembre 1983, n. 2266/U dell’Assessore degli enti locali, finanze ed urbanistica».
Il dimezzamento del limite previsto nelle zone turistiche F rispetto alle norme previgenti appare il frutto di una «valutazione comparativa di contrapposti interessi, quello generale alla salvaguardia del paesaggio, anche a tutela delle generazioni future, e quello individuale e imprenditoriale allo sviluppo degli insediamenti turistici» (Consiglio di Stato, sezione sesta, 7 luglio-10 settembre 2009, n. 5459).
Il citato art. 6 è espressamente richiamato anche nell’art. 15, comma 2, NTA con riguardo alla disciplina transitoria degli ambiti costieri e dunque, nel disciplinare l’adeguamento dei successivi strumenti urbanistici comunali, fa corpo e deve essere letto in connessione con le prescrizioni di tale piano.
21.3.2.– La previsione impugnata, dietro la parvenza dell’interpretazione autentica del citato decreto assessoriale del 1983 che non limitava l’applicazione dei parametri massimi ai soli Comuni che non avevano raggiunto la potenzialità volumetrica originariamente prevista e prevedeva l’applicazione dei parametri massimi in termini generali, depotenzia il limite relativo alle volumetrie degli insediamenti turistici ammissibili nelle zone F.
In tal modo, si ampliano le facoltà edificatorie, in deroga al piano paesaggistico, con una diretta incidenza sulla tutela del paesaggio.
21.3.3.– Si deve dichiarare, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 25, comma 1, primo periodo, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021.
Sono assorbiti i restanti profili di censura.
22.– Il ricorrente impugna anche l’art. 26 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, riguardante la localizzazione degli insediamenti turistici.
22.1.– Tale disposizione è censurata in quanto derogherebbe alle NTA e consentirebbe «la localizzazione di nuovi interventi turistici e relativi servizi generali non conformi alla vigente disciplina di tutela, e ciò al di fuori degli obblighi di verifica ed adeguamento del Piano paesaggistico regionale».
22.2.– Sulla base di tali rilievi, il ricorrente ravvisa la violazione dell’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, degli artt. 9 e 117, commi primo e secondo, lettera s), Cost., «rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156 del codice dei beni culturali e del paesaggio, e la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio», e del principio di leale collaborazione, in quanto il legislatore regionale «pacificamente» ignora l’obbligo di pianificazione congiunta con lo Stato.
22.3.– Le questioni sono fondate, in riferimento all’art. 3 dello statuto speciale e agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost.
22.3.1.– L’impugnato art. 26 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 si prefigge di «favorire lo sviluppo delle località non costiere e la destagionalizzazione dei flussi turistici» e, in tale prospettiva, consente ai Comuni di «localizzare nuovi interventi turistici e relativi servizi generali, che non siano in connessione ed integrazione con assetti insediativi esistenti, nelle vicinanze di un fattore di attrazione motivatamente individuato».
22.3.2.– La disposizione impugnata deroga espressamente alle prescrizioni del piano paesaggistico regionale.
È derogato, in primo luogo, l’art. 61, comma 1, lettera b), NTA.
Tale disciplina, in tema di assetto insediativo, prevede che i Comuni, nell’adeguamento degli strumenti urbanistici al piano paesaggistico regionale, nonché gli enti e i soggetti istituzionali, per le rispettive competenze, si conformino alla prescrizione che tende a «localizzare i nuovi interventi residenziali e turistici e i servizi generali in connessione e integrazione strutturale e formale con l’assetto insediativo esistente».
È derogato anche l’art. 89, comma 1, lettera b), NTA.
Tale previsione, con riguardo agli insediamenti turistici, stabilisce che i Comuni, nell’adeguamento degli strumenti turistici al piano paesaggistico regionale, si attengano alla prescrizione che impone di «favorire le nuove localizzazioni turistiche in zone contigue e/o integrate agli insediamenti urbani».
La disposizione impugnata prevede che la deroga a tali prescrizioni del piano paesaggistico regionale operi quando non sia possibile perseguire gli indirizzi che, in tema di insediamenti turistici, detta l’art. 90, comma 1, lettera a), NTA con riguardo all’adeguamento degli strumenti urbanistici al piano paesaggistico regionale.
Ai sensi di tale ultima norma tecnica di attuazione, è necessario «prevedere lo sviluppo della potenzialità turistica del territorio attraverso l’utilizzo degli insediamenti esistenti quali centri urbani, paesi, frazione e agglomerati, insediamenti sparsi del territorio rurale e grandi complessi del territorio minerario».
Le deroghe racchiuse nella previsione impugnata investono un aspetto qualificante della tutela paesaggistica, che è ribadito sia negli indirizzi sia nelle prescrizioni che devono orientare l’adeguamento degli strumenti urbanistici comunali, ed in forza dei quali le localizzazioni turistiche devono essere individuate in prossimità degli insediamenti urbani e in connessione con l’assetto insediativo esistente.
La deroga censurata si presenta in termini di particolare latitudine, in quanto è subordinata alla sola condizione che non sia possibile perseguire gli indirizzi vincolanti della pianificazione paesaggistica. Tale condizione, delineata senza il supporto di indicazioni puntuali, è rimessa alla valutazione dei Comuni, che possono dunque stabilire – al di fuori di precisi criteri direttivi – le deroghe al sovraordinato piano paesaggistico.
In tal modo, la disposizione impugnata sovverte anche la preminenza del piano paesaggistico rispetto agli strumenti urbanistici comunali.
22.3.3.– Si deve dichiarare, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 26 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021.
Le altre censure sono assorbite.
23.– Oggetto di censura è anche l’art. 27 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, che disciplina gli interventi ammissibili nella fase di adeguamento degli strumenti urbanistici al PPR.
23.1.– Le doglianze del ricorrente muovono dal presupposto che la disposizione in esame introduca unilateralmente una deroga agli obblighi di adeguamento dei piani urbanistici comunali al piano paesaggistico regionale, «consentendo l’adozione e approvazione di Piani attuativi derogatori alla obbligatoria disciplina di tutela definita dal PPR».
Il profilo di contrasto sarebbe ancor più stridente alla luce della presunzione del comma 2, che considera i confini amministrativi comunali «come un elemento pari a quello dell’edificazione o infrastrutturazione esistente, nel cui solo ambito sarebbe stato possibile, ai sensi delle NTA, operare ulteriori trasformazioni del territorio».
Il ricorrente lamenta che la previsione impugnata aggiunga le zone omogenee D e G, rispetto alle disposizioni contenute nelle norme tecniche di attuazione del piano paesaggistico, e consenta di edificare con piani attuativi anche in ambiti oggetto di tutela paesaggistica, senza alcun vincolo di copianificazione.
23.2.– Il ricorrente denuncia il contrasto con l’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975 e con gli artt. 9 e 117, commi primo e secondo, lettera s), Cost., «rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156 del codice dei beni culturali e del paesaggio, e la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio».
Il legislatore regionale avrebbe violato, infine, il principio di leale collaborazione.
23.3.– Le questioni sono fondate, in riferimento all’art. 3 dello statuto speciale e agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost.
23.3.1.– L’art. 27, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 riguarda gli ambiti di paesaggio costiero di cui all’art. 14, comma 1, NTA, così come perimetrati dalla cartografia allegata.
Negli ambiti di paesaggio costiero, il legislatore regionale consente ai Comuni – fino all’adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni del piano paesaggistico regionale – di adottare e approvare piani attuativi previsti nello strumento urbanistico vigente, che ricadono nelle zone territoriali omogenee C (espansione residenziale), D (industriali, artigianali e commerciali) e G (servizi generali).
L’impugnato art. 27, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 puntualizza che tale facoltà si aggiunge a quella accordata dall’art. 15, comma 1, delle norme tecniche di attuazione del piano paesaggistico regionale.
Tale previsione delle norme tecniche concerne gli ambiti di paesaggio costiero e, fino all’adeguamento degli strumenti urbanistici comunali al piano paesaggistico regionale, consente l’attività edilizia e la relativa realizzazione delle opere di urbanizzazione nelle zone omogenee A e B dei centri abitativi e nelle frazioni individuate dai Comuni, purché delimitate e indicate come tali negli strumenti urbanistici comunali.
La menzionata norma tecnica consente, inoltre, di realizzare, in conformità ai vigenti strumenti urbanistici comunali, gli interventi edilizi che ricadono nelle zone C immediatamente contigue al tessuto urbano consolidato, quando ricorra l’elemento dell’interclusione con «elementi geografici, infrastrutturali ed insediativi che ne delimitino univocamente tutti i confini».
L’art. 27, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 regola l’applicazione della disciplina transitoria di cui all’art. 15, comma 1, NTA e considera i confini amministrativi comunali elementi geografici di interclusione.
23.3.2.– La disciplina regionale si innesta sulla delicata fase di adeguamento degli strumenti urbanistici al piano paesaggistico regionale e deroga in peius alle prescrizioni di tutela dettate da tale piano. Essa amplia la facoltà di adottare e approvare piani attuativi, dapprima circoscritta alle sole zone omogenee A e B e alle zone C, solo se immediatamente contigue al tessuto urbano, e ora estesa anche alle zone urbanistiche C, D e G, non importa se contigue o interne al tessuto urbano.
La disposizione impugnata, anche in virtù della specificazione del comma 2 sull’equiparazione dei confini amministrativi comunali agli elementi geografici di interclusione, si prefigge di ampliare le ipotesi delineate dall’art. 15, comma 1, NTA, che consente solo entro certi limiti, negli ambiti di paesaggio costieri, l’attività edilizia e la realizzazione delle relative opere di urbanizzazione.
L’appena menzionato art. 15, comma 1, ultimo periodo, delle medesime NTA consente di realizzare interventi edilizi nelle zone C, immediatamente contigue al tessuto urbano, solo quando ricorra l’interclusione con «elementi geografici, infrastrutturali ed insediativi che ne delimitino univocamente tutti i confini».
L’impugnata disposizione dell’art. 27, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, in particolare, sostituisce a tale rigoroso requisito quello, invero più blando, dei confini amministrativi comunali, accomunati ai citati elementi geografici di interclusione che le prescrizioni del piano paesaggistico intendono invece in termini più circoscritti.
La stessa difesa regionale non contesta che questa diversa formulazione sottenda una deroga alle prescrizioni del piano paesaggistico.
La previsione impugnata si pone in contrasto con tali prescrizioni e quindi vìola la sfera di competenza statale nella materia della tutela dell’ambiente, dettando una regolamentazione lesiva dei valori tutelati dall’art. 9 Cost., peraltro al di fuori del percorso condiviso di adeguamento e di revisione del piano che questa Corte di recente ha ritenuto imprescindibile (sentenza n. 257 del 2021).
23.3.3.– Si deve dichiarare, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 27 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021.
Restano assorbiti gli ulteriori profili di censura.
24.– Le seguenti previsioni della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 possono e devono essere invece interpretate in conformità alla disciplina posta a tutela del paesaggio e sono estranee, pertanto, alle deroghe espresse al piano paesaggistico, sancite dall’art. 30, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, dichiarato costituzionalmente illegittimo con la presente pronuncia.
A favore di tale opzione interpretativa si è pronunciata la costante giurisprudenza di questa Corte, che a tale riguardo ha valorizzato a più riprese la mancanza di una deroga espressa alle previsioni del piano paesaggistico e del codice di settore, dotate di immediata forza cogente, in difetto di esplicite indicazioni di segno contrario.
Queste indicazioni sono tanto più necessarie «in ragione di fondamentali esigenze di certezza e del rango primario degli interessi coinvolti» (sentenza n. 124 del 2021, punto 5.4.3.2. del Considerato in diritto).
25.– Il ricorrente impugna l’art. 1 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, che sostituisce l’art. 26 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 in tema di salvaguardia dei territori rurali.
25.1.– La previsione in esame (comma 1), nelle more dell’aggiornamento della disciplina regionale delle trasformazioni ammesse nelle zone agricole E, prescrive l’applicazione del decreto del Presidente della Giunta regionale 3 agosto 1994, n. 228 (Direttive per le zone agricole – Articolo 8 della L.R. 22 dicembre 1989, n. 45), salvo quanto previsto dal comma 2 con riguardo alla fascia di 1000 metri dalla linea di battigia marina. In tale fattispecie, l’edificazione di fabbricati a fini residenziali è riservata a coloro che siano imprenditori agricoli a titolo professionale.
L’art. 1, comma 3, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 regola il cambio di destinazione d’uso. Per gli edifici aventi destinazione d’uso diversa dalla residenza, regolarmente autorizzati e accatastati al momento dell’entrata in vigore della legge impugnata (19 gennaio 2021), è consentita la trasformazione in edifici a uso residenziale, «nel rispetto della superficie minima di intervento e dell’indice massimo di fabbricabilità». Il legislatore regionale vieta i cambiamenti di destinazione che determinino opere di urbanizzazione a rete.
Il ricorrente lamenta che tali trasformazioni siano «disciplinate al di fuori del piano paesaggistico, in violazione dei principi [di] co pianificazione obbligatoria e di gerarchia dei piani» e siano pertanto «valutate in modo parcellizzato, e non nell’ambito della considerazione complessiva del contesto tutelato».
Il legislatore regionale, pur facendo salvo l’indice massimo di fabbricabilità, non richiederebbe il rispetto dei limiti di densità fondiaria prescritti dall’art. 7, numero 4), del decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765). Sarebbe violata, pertanto, la norma fondamentale di grande riforma economico-sociale di cui all’art. 41-quinquies, ottavo comma, della legge urbanistica, che impone il rispetto dei limiti inderogabili di densità edilizia nelle diverse zone del territorio comunale.
La normativa regionale, nel vietare i cambiamenti di destinazione d’uso solo nel caso in cui rendano necessario realizzare opere di urbanizzazione a rete e non anche opere di urbanizzazione primaria e secondaria, potrebbe generare «fenomeni di c.d. dispersione urbana» e vanificare così la dichiarata finalità di salvaguardia dei territori rurali.
25.2.– Poste tali premesse, il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 3 dello statuto speciale, «come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975», in quanto la normativa impugnata sarebbe «esuberante rispetto al potere legislativo ivi riconosciuto alla Regione Sardegna».
Sarebbero violati, inoltre, gli artt. 9 e 117, commi primo e secondo, lettera s), Cost., «rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156 del codice dei beni culturali e del paesaggio, e la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio».
Sarebbe violato, infine, il principio di leale collaborazione, «che in materia di paesaggio si attua con la co pianificazione».
25.3.– Le questioni non sono fondate, nei termini che saranno precisati.
25.3.1.– La disciplina impugnata non reca alcuna deroga alle previsioni del piano paesaggistico regionale e, pertanto, può e deve essere interpretata in termini compatibili con le minuziose prescrizioni di tutela che tale piano detta in merito alle zone agricole.
L’impugnato art. 1, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 impone, inoltre, il rispetto di quanto statuisce il citato decreto del Presidente della Giunta regionale 3 agosto 1994, n. 228, che persegue l’obiettivo di salvaguardare il suolo e il paesaggio (art. 1, lettera a) e contiene norme restrittive per l’edificazione nelle zone agricole con riguardo sia alla tipologia di costruzioni ammissibili (art. 3, comma 1) sia agli indici massimi da applicare (art. 3, comma 2) e agli interventi consentiti (art. 4).
25.3.2.– Il richiamo alla superficie minima di intervento e agli indici massimi di fabbricabilità non equivale a una deroga implicita ai limiti di densità edilizia fissati.
La previsione impugnata, peraltro, impone il rispetto del d.Pres. Giunta reg. Sardegna n. 228 del 1994, che a sua volta, all’art. 11, comma 2, prescrive l’osservanza del decreto dell’Assessore degli enti locali, finanze ed urbanistica n. 2266/U del 1983. Tale decreto, all’art. 4, disciplina i limiti di densità edilizia nelle diverse zone omogenee, nel solco della normativa statale dell’art. 7 del d.m. n. 1444 del 1968 ricordata a sostegno del motivo di ricorso.
26.– Quanto alle questioni di legittimità costituzionale promosse con riguardo agli artt. 4, 6, 7 e 8 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, in larga parte omogenee sono le censure proposte e molteplici sono le affinità che accomunano le disposizioni in esame, volte a riconoscere un incremento di volumetria.
Tali disposizioni incidono sul Titolo II, Capo I, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, che contiene norme per il miglioramento del patrimonio esistente, contraddistinte da un orizzonte temporale limitato in base alle previsioni dell’art. 37, comma 1, della medesima legge regionale e ora peraltro non più destinate a trovare applicazione nella loro portata derogatoria agli strumenti urbanistici fino al 31 dicembre 2023, in virtù della declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 17 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021.
In ogni caso, per costante giurisprudenza di questa Corte, il giudizio promosso in via principale si configura come successivo e astratto e presuppone la mera pubblicazione di una legge regionale che possa ledere il riparto delle competenze, «a prescindere dagli effetti che questa abbia o non abbia prodotto» (tra le tante, sentenza n. 262 del 2016, punto 4.2. del Considerato in diritto).
Tale sindacato, in quanto mira a definire il corretto riparto delle competenze fra Stato e Regione nelle materie indicate, in linea con la natura astratta del giudizio in via principale, non risulta inutilmente svolto anche allorquando l’ambito temporale di applicazione delle norme impugnate sia assai ristretto o azzerato.
27.– L’art. 4 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, nel modificare l’art. 30 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, incrementa i precedenti «limiti di maggiore edificabilità».
27.1.– L’art. 4, comma 1, lettera a), della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 modifica l’art. 30, comma 2, secondo periodo, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 e riguarda gli incrementi volumetrici nella zona urbanistica A, che, per ciascuna unità immobiliare, possono spingersi fino alla misura del «25 per cento del volume urbanistico esistente, fino a un massimo di 90 metri cubi». Il legislatore regionale incrementa l’originaria percentuale (20 per cento) e l’originaria metratura (70 metri cubi).
L’art. 4, comma 1, lettera b), della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, nel riformulare l’art. 30, comma 3, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, consente, nelle zone urbanistiche B e C, di realizzare per ciascuna unità immobiliare l’incremento volumetrico «nella misura massima del 30 per cento del volume urbanistico esistente, fino a un massimo di 180 metri cubi». Metratura innalzata rispetto a quella prevista nella disciplina previgente, pari a 120 metri cubi.
L’art. 4, comma 1, lettera c), della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, al numero 1), concede nelle zone urbanistiche B e C «un ulteriore incremento volumetrico del 10 per cento del volume urbanistico esistente, con conseguente proporzionale aumento della soglia volumetrica massima». È così incrementata la percentuale del 5 per cento, originariamente prevista dall’art. 30, comma 4, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015.
L’art. 4, comma 1, lettera c), della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, al numero 2), prevede che gli incrementi volumetrici nelle zone B e C siano realizzati non più, come disponeva in origine l’art. 30, comma 4, alinea, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, «nelle seguenti ipotesi alternative», ma «in almeno una delle seguenti ipotesi alternative». Tali ipotesi spaziano dall’intervento che «determini l’efficientamento energetico dell’intera unità immobiliare» (art. 30, comma 4, lettera a, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015) all’intervento che «includa soluzioni finalizzate alla riduzione degli effetti delle “isole di calore”» (art. 30, comma 4, lettera b, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015) o «includa soluzioni per il riutilizzo delle acque meteoriche e delle acque reflue» (art. 30, comma 4, lettera c, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015) o «preveda l’impiego di materiali primari prodotti in Sardegna nella misura di almeno il 35 per cento» (art. 30, comma 4, lettera c-bis, della medesima legge regionale) o «preveda l’impiego di tecniche costruttive che consentano, nei casi di demolizione e ristrutturazione, il recupero e riutilizzo di componenti costituenti l’edificio nella misura di almeno il 20 per cento» (art. 30, comma 4, lettera c-ter, della legge regionale citata) oppure «l’utilizzo di materiali di bioedilizia e derivati da lana e sughero, prodotti in Sardegna nella misura di almeno il 35 per cento» o «l’impiego di manufatti realizzati in Sardegna nella misura di almeno il 35 per cento» o «l’eliminazione di pavimentazioni impermeabili delle aree cortilizie o di altre superfici scoperte di pertinenza dell’immobile» (art. 30, comma 4, rispettivamente lettere c-quater, c-quinquies e c-sexies, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015).
L’art. 4, comma 1, lettera g), della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, nell’inserire il comma 7-bis nell’art. 30 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, consente nelle zone urbanistiche B, C ed F, di realizzare o ampliare le verande coperte «fino ad un massimo di 1/3 della superficie coperta realizzabile».
L’art. 4, comma 1, lettera h), intervenendo sul comma 8 dell’art. 30 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, innalza da 120 a 150 metri cubi la superficie aggiuntiva che può essere realizzata nelle zone urbanistiche A, B e C, con riguardo agli edifici destinati ad abitazione principale dei disabili.
L’art. 4, comma 1, lettera i), della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 aggiunge all’art. 30 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 i commi 9-bis e 9-ter.
La prima disposizione consente, «[n]egli ambiti extraurbani, così come individuati dagli strumenti urbanistici vigenti, classificati quali zone urbanistiche omogenee F», di realizzare gli incrementi volumetrici per le strutture residenziali «esclusivamente oltre i 300 metri dalla linea di battigia marina», in misura comunque non superiore al «35 per cento del volume urbanistico legittimamente esistente e comunque sino ad un massimo di 150 metri cubi».
In virtù della seconda disposizione, gli incrementi volumetrici previsti per le zone E sono estesi alle «abitazioni ricadenti in aree prive di pianificazione e regolarmente realizzate».
Il ricorrente assume che tali interventi di incremento volumetrico possano essere realizzati anche in deroga al piano paesaggistico regionale e su beni sottoposti a tutela paesaggistica, come la fascia costiera. In tale ambito, peraltro, l’art. 20, comma 1, lettera a), NTA vieta nuove costruzioni in aree inedificate.
L’ampliamento delle verande coperte prescinderebbe dall’obbligo di conseguire l’autorizzazione paesaggistica.
27.2.– Alla luce di tali rilievi, il ricorrente osserva che le disposizioni in esame invadono la competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «tutela del paesaggio» e violano dunque gli artt. 9 e 117, commi primo e secondo, lettera s), Cost., «rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156 del codice dei beni culturali e del paesaggio, l’articolo 5, comma 11, del decreto legge n. 70 del 2011, e la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio».
Nel consentire incrementi volumetrici generalizzati, «in deroga alla pianificazione urbanistica, e senza che sia garantito il rispetto degli standard urbanistici», la normativa impugnata contrasterebbe anche con l’art. 3 dello statuto speciale e con le norme di grande riforma economico-sociale contenute nell’art. 41-quinquies, commi ottavo e nono, della legge n. 1150 del 1942, negli artt. 2-bis e 14 t.u. edilizia, nell’intesa sul “Piano casa” del 2009 e nell’art. 5, commi 9 e seguenti, del d.l. n. 70 del 2011.
Sarebbe infine violato il principio di leale collaborazione, in quanto la previsione impugnata interverrebbe in modo unilaterale «in materia affidata alla necessaria co pianificazione con lo Stato».
Quanto all’art. 4, comma 1, lettera g), della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, nella parte in cui esonera la realizzazione o l’ampliamento delle verande coperte dall’obbligo di ottenere l’autorizzazione paesaggistica, contrasterebbe con l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. L’autorizzazione paesaggistica, difatti, dovrebbe essere «necessariamente uniforme sull’intero territorio nazionale».
27.3.– La parte resistente reputa l’impugnazione tardiva.
Secondo la difesa regionale, l’art. 4 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 si limiterebbe a innalzare gli incrementi volumetrici già previsti da disposizioni previgenti e non impugnate.
L’eccezione deve essere respinta.
L’interesse a ricorrere si correla all’estensione della portata applicativa della disciplina anteriore e, rispetto all’estensione disposta dalla normativa impugnata, il ricorso non è tardivo.
Le questioni sono dunque ammissibili.
27.4.– Esse non sono fondate, nei termini che saranno esposti.
27.4.1.– Il fulcro delle censure è nel fatto che la disciplina, modificata in più punti dall’impugnato art. 4, consenta nuovi ampliamenti volumetrici «al di fuori del Piano paesaggistico e potenzialmente in deroga ad esso».
Si può e si deve pervenire a una diversa interpretazione, che armonizza le previsioni impugnate con le prescrizioni del PPR.
La disciplina degli incrementi volumetrici è assoggettata al necessario rispetto delle prescrizioni del piano paesaggistico, né si può ritenere che l’osservanza di tali prescrizioni sia elusa sol perché l’art. 30, comma 2, del novellato art. 30 della legge regionale n. 8 del 2015, soltanto per le zone A, condiziona la realizzabilità degli incrementi volumetrici all’approvazione di un piano particolareggiato adeguato al piano paesaggistico regionale.
Dalla previsione che, per le zone A, di particolare pregio storico e architettonico, si richiede il quid pluris dell’approvazione di un piano particolareggiato adeguato al piano paesaggistico regionale, non si può desumere che, nelle altre zone urbanistiche, gli interventi di ampliamento volumetrico siano esonerati dal rispetto del piano paesaggistico.
27.4.2.– Tale conclusione è avvalorata anche dall’interpretazione sistematica della disciplina in esame.
L’art. 34, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 sancisce condizioni rigorose per l’ammissibilità degli interventi, allo scopo di preservare i valori culturali e paesaggistici del territorio sardo.
Tali interventi, in particolare, non possono essere realizzati, oltre che negli edifici o nelle unità immobiliari privi di titolo abilitativo, «e) negli edifici di interesse artistico, storico, archeologico o etno-antropologico vincolati ai sensi della parte II del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), e successive modifiche ed integrazioni salva la possibilità di utilizzare l’incremento volumetrico per la realizzazione di corpi di fabbrica separati, realizzabili, nel caso in cui gli edifici facciano parte di un unico complesso o nucleo insediativo, anche mediante cumulo dei singoli crediti edilizi; f) negli edifici di interesse paesaggistico o identitario individuati nel Piano paesaggistico regionale ed inclusi nel Repertorio del mosaico; g) negli edifici e nelle unità immobiliari collocati in aree dichiarate, ai sensi del vigente Piano stralcio per l’assetto idrogeologico (PAI), da strumenti di pianificazione regionale o comunale, di pericolosità idraulica elevata o molto elevata (Hi3 - Hi4) e di pericolosità da frana elevata o molto elevata (Hg3 - Hg4), fatta eccezione per la tipologia di interventi specificamente prevista, in tali aree, dalle norme tecniche di attuazione del PAI».
La declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, lettera b), della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 implica che tali interventi oggi non siano ammessi neppure «negli edifici e nelle unità immobiliari ricadenti nei centri di antica e prima formazione ricompresi in zone urbanistiche omogenee diverse dalla A, ad eccezione di quelli che non conservano rilevanti tracce dell’assetto storico e che siano riconosciuti, dal piano particolareggiato o con deliberazione del consiglio comunale, in contrasto con i caratteri architettonici e tipologici del contesto» (art. 34, comma 1, lettera h, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015).
Peraltro, l’incremento volumetrico, secondo le previsioni dell’art. 36, comma 3, della legge regionale n. 8 del 2015, deve «a) inserirsi in modo organico e coerente con i caratteri formali e architettonici dell’edificio esistente e perseguire la riqualificazione dell’edificio in funzione della tipologia edilizia e del contesto; qualora l’intervento ricada in ambiti territoriali in cui gli strumenti urbanistici abbiano definito una tipologia edilizia, il riferimento per la valutazione di coerenza è la tipologia edilizia prevista; b) inserirsi in modo organico e coerente con i caratteri formali, architettonici, paesaggistici e ambientali del contesto qualora l’intervento sia attuato mediante la realizzazione di corpi di fabbrica separati».
Tali previsioni confermano che presupposto imprescindibile degli interventi di incremento volumetrico è la compatibilità con le previsioni del piano paesaggistico, che non può ritenersi, dunque, derogato o eluso.
27.4.3.– Non sono fondate, nei termini precisati, neppure le censure relative alla lettera g), in ordine alla realizzazione e all’ampliamento delle verande coperte nelle zone urbanistiche B, C ed F.
Il legislatore regionale non dispensa chi realizzi tali interventi dall’obbligo di richiedere e di ottenere l’autorizzazione paesaggistica, quando sia necessaria in base alle pertinenti disposizioni della legislazione statale.
L’art. 35, comma 4, della legge regionale n. 8 del 2015 contempla espressamente l’ipotesi che gli interventi menzionati nell’art. 30, modificato dalla disposizione impugnata, siano soggetti ad autorizzazione paesaggistica. Non si può ritenere, dunque, che tale autorizzazione sia esclusa nei termini indiscriminati descritti nel ricorso.
28.– È impugnato l’art. 6 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, che modifica l’art. 32 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 in tema di interventi per il recupero e il riuso di sottotetti esistenti.
28.1.– La previsione impugnata estende la fattispecie dei sottotetti suscettibili di recupero abitativo e interviene in una duplice direzione.
Anzitutto, il legislatore regionale, con le innovazioni recate dalla lettera a), include nella categoria dei sottotetti anche gli spazi. La formulazione previgente dell’art. 32, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 non menzionava gli spazi e qualificava come sottotetti solo i «volumi compresi tra l’estradosso della chiusura orizzontale superiore, anche non calpestabile, dell’ultimo livello agibile e l’intradosso delle falde della copertura a tetto, localizzati all’interno della sagoma dell’edificio regolarmente approvata con titolo abilitativo, ove prescritto».
In secondo luogo, l’art. 6, comma 1, lettera b), della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 consente gli interventi di riuso dei sottotetti esistenti per il solo scopo abitativo anche nelle zone E (zone agricole) e nelle zone F (zone turistiche).
Ancora, con le modificazioni introdotte dalla lettera c), che aggiunge il comma 3-ter all’art. 32 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, la disposizione impugnata qualifica come sottotetti: «a) gli spazi e i volumi delimitati inferiormente dall’ultimo solaio di chiusura di un volume urbanisticamente rilevante (residenziale o con altra destinazione compatibile con la destinazione della zona omogenea) e il solaio di copertura dell’immobile o dell’unità immobiliare, indipendentemente dall’attuale destinazione di tale spazio o volume come desumibile dall’ultimo titolo edilizio rilasciato per lo stesso; b) le terrazze coperte e aperte su uno, due, tre o quattro lati, non rilevanti ai fini volumetrici dalle vigenti disposizioni di legge regionali e regolamenti comunali; c) gli spazi e i volumi, anche non urbanisticamente rilevanti, come previsti dai vigenti strumenti urbanistici comunali; d) gli spazi e i volumi delimitati da altezza di imposta delle falde nulla».
La stessa lettera c) aggiunge all’art. 32 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 un comma 3-quater, che, sugli edifici residenziali con coperture a falde, consente «modifiche esterne alle unità immobiliari esistenti, strettamente limitate al raggiungimento dei requisiti minimi di agibilità, nella misura massima di 50 centimetri di altezza all’imposta interna della falda, ferma restando la quota massima del colmo e con pendenza massima ammissibile del 30 per cento».
L’art. 6, comma 1, lettera d), della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 modifica l’art. 32, comma 4, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, che, nell’originaria formulazione, consentiva nelle zone urbanistiche B (di completamento residenziale) e C (di espansione residenziale) gli interventi di recupero con incremento volumetrico dei sottotetti esistenti per il solo scopo abitativo. Oggi tali interventi sono consentiti anche nelle zone A (centro storico-artistico o di particolare pregio ambientale), per gli edifici che non conservino rilevanti tracce dell’assetto storico e che siano in contrasto con i caratteri storici e tipologici del contesto, e nelle zone urbanistiche F (zone turistiche).
L’art. 6, comma 1, lettera e), della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 modifica l’art. 32 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 con riguardo a due profili.
In primo luogo, è modificato l’art. 32, comma 6, che oggi consente il recupero con incremento volumetrico dei sottotetti esistenti a condizione che non determinino «un’altezza interna alla gronda non inferiore a 0,60 metri» (lettera a) e «falde con una pendenza minima del 25 per cento» (lettera b). Con riguardo a tale ultima condizione, il legislatore regionale, con la disposizione impugnata, ha abrogato l’inciso: «e purché il nuovo volume non determini il superamento dell’altezza massima consentita dallo strumento urbanistico per il lotto».
È soppressa, inoltre, dalla lettera f) dell’impugnato art. 6, comma 1, la previsione dell’art. 32, comma 8, lettera b), della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, che, con riguardo alla determinazione del volume urbanistico nei sottotetti oggetto degli interventi di recupero, contemplava anche «il superamento dei limiti di distanza da fabbricati, da pareti finestrate e dai confini previsti nelle vigenti disposizioni urbanistico-edilizie comunali e regionali, fino ai limiti previsti dal Codice civile, solo se realizzato in prosecuzione delle murature perimetrali dell’edificio».
Il ricorrente lamenta che tali disposizioni regolino «direttamente e in via autonoma» interventi anche «potenzialmente molto rilevanti per il paesaggio», al di fuori del necessario «impianto sistematico della tutela delineato dalle norme statali di grande riforma economico-sociale», e sottraggano la relativa disciplina al piano paesaggistico.
28.2.– Sarebbero violati, dunque, gli artt. 9 e 117, commi primo e secondo, lettera s), Cost., «rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156 del codice dei beni culturali e del paesaggio, l’articolo 5, comma 11, del decreto legge n. 70 del 2011, e la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio».
Il ricorrente prospetta, altresì, il contrasto con l’art. 3 dello statuto speciale, come attuato con il d.P.R. n. 480 del 1975, in quanto «[l]a deroga sistematica e generalizzata alla pianificazione urbanistica» confliggerebbe con i principi sanciti dall’art. 41-quinquies, commi ottavo e nono, della legge n. 1150 del 1942, e con le previsioni degli artt. 2-bis e 14 t.u. edilizia, con l’intesa sul “Piano casa” del 2009, fondata sulla previsione dell’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008, e con l’art. 5, commi 9 e seguenti, del d.l. n. 70 del 2011, come convertiti.
Sarebbe violato, infine, anche il principio di leale collaborazione.
28.3.– Le questioni non sono fondate, nei termini di seguito illustrati.
28.3.1.– La previsione impugnata, che si ripromette di estendere l’ambito oggettivo degli interventi di recupero dei sottotetti, non contiene alcuna deroga alle previsioni del piano paesaggistico regionale e alla normativa dettata dal d.lgs. n. 42 del 2004. Tale elemento è stato valorizzato anche in altre occasioni da questa Corte, nel sindacare la legittimità costituzionale della legislazione regionale in tema di sottotetti e nel dichiarare non fondate, nei termini specificati in motivazione, le relative questioni (sentenze n. 124 e n. 54 del 2021).
Le disposizioni in tema di incremento volumetrico dei sottotetti, pertanto, possono e devono essere interpretate in armonia con tali prescrizioni, cui si dovranno conformare gli interventi previsti dalla disciplina impugnata.
28.3.2.– Peraltro, anche gli interventi di incremento volumetrico dei sottotetti sono assoggettati alle tassative condizioni fissate dall’art. 34, comma 1, lettere f) e g), della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, volte a salvaguardare i valori dell’ambiente e del paesaggio. Secondo le previsioni generali dell’art. 36, comma 3, lettere a) e b), della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, tali interventi si devono poi armonizzare con il contesto paesaggistico.
Così inteso, l’art. 6 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 non presta il fianco alle censure formulate nel ricorso.
29.– Oggetto di impugnazione è, inoltre, l’art. 7 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, che aggiunge alla legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 un art. 32-bis, al fine di regolare gli interventi di recupero dei seminterrati, dei piani pilotis e dei locali al piano terra.
29.1.– Il ricorrente argomenta che tali interventi sono ammessi anche sui beni paesaggistici e in deroga alle previsioni della disciplina urbanistica e paesaggistica.
Quanto al comma 6, che vieta il recupero unicamente nelle aree dichiarate di pericolosità idraulica o da frana elevata o molto elevata, il ricorrente denuncia il contrasto con le previsioni degli artt. 29 e 49 NTA del piano di assetto idrogeologico della Sardegna, che hanno valore di piano territoriale di settore ai fini della prevenzione del rischio idrogeologico.
Ad avviso del ricorrente, le previsioni del piano di assetto idrogeologico non si riferiscono soltanto alle aree a pericolosità o a rischio elevato e molto elevato, ma anche a tutte le aree contraddistinte da pericolosità idrogeologica. Esse si applicherebbero anche alle aree non perimetrate dal piano di assetto idrogeologico e considerate dall’art. 30-ter NTA e a quelle risultanti dall’attività di pianificazione dei Comuni in base all’art. 8 delle medesime NTA.
L’art. 29 delle norme tecniche di attuazione del piano di assetto idrogeologico, al comma 2-bis, prevede che gli interventi, nelle aree di pericolosità idraulica media, siano consentiti a condizione che non implichino la realizzazione di nuovi volumi interrati e seminterrati.
Quanto all’art. 49 NTA richiamate dal ricorrente, esso affida alla Regione il compito di approvare norme che incentivino la realizzazione volontaria di misure di protezione locale e individuale degli edifici esistenti, quali misure per la dismissione volontaria e definitiva dei locali interrati e seminterrati esistenti in zone caratterizzate da pericolosità idrogeologica e altre misure di autoprotezione individuale.
Quando incidano sui piani pilotis, che consistono in «superfici aperte, a piano terra o piano rialzato, delimitate da colonne portanti, la cui estensione complessiva è non inferiore ai due terzi della superficie coperta», gli interventi menzionati nella previsione impugnata potrebbero alterare notevolmente «l’aspetto esteriore dei fabbricati».
29.2.– Poste tali premesse, il ricorrente denuncia la lesione «della competenza legislativa esclusiva dello Stato nella tutela del paesaggio» e in quella dell’ambiente. Si riscontrerebbe, pertanto, la violazione degli artt. 9 e 117, commi primo e secondo, lettera s), Cost. e dell’art. 3 dello statuto speciale.
La previsione impugnata, in particolare, contrasterebbe con la norma dell’art. 65, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale). Tale ultima previsione sancisce il carattere immediatamente vincolante delle disposizioni del piano di bacino per le amministrazioni e gli enti pubblici e i soggetti privati, con riguardo alle prescrizioni dichiarate immediatamente efficaci dal piano di bacino, e impone di coordinare con il piano di bacino approvato i piani e i programmi di sviluppo socio-economico e di assetto e di uso del territorio.
29.3. – Le questioni non sono fondate, nei sensi appresso indicati.
29.3.1.– La normativa impugnata, nell’incentivare il recupero di seminterrati, piani pilotis e piani terra, non racchiude alcuna deroga alle previsioni più restrittive dei piani di assetto idrogeologico, che hanno carattere immediatamente precettivo. L’osservanza di tali previsioni – come anche la parte resistente non manca di evidenziare – si impone a prescindere dall’espresso richiamo ad opera del legislatore regionale.
Nel sindacare la legittimità costituzionale della legge della Regione Abruzzo 1° agosto 2017, n. 40 (Disposizioni per il recupero del patrimonio edilizio esistente. Destinazioni d’uso e contenimento dell’uso del suolo, modifiche alla legge regionale n. 96/2000 ed ulteriori disposizioni), in tema di recupero del patrimonio edilizio esistente, questa Corte ha evidenziato che le prescrizioni del piano di bacino si impongono a tutte le amministrazioni e ai privati, a prescindere dal loro recepimento in altre fonti legislative o regolamentari (sentenza n. 245 del 2018, punto 6 del Considerato in diritto).
Da quest’angolo visuale si coglie la differenza rispetto alla fattispecie dei trasferimenti dei volumi realizzabili nelle aree a elevata o molto elevata pericolosità idrogeologica (art. 13 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021), in cui le prescrizioni del piano di assetto idrogeologico sono espressamente superate.
29.3.2.– Non sono fondate, nei termini indicati, neppure le censure che fanno leva sullo stravolgimento visivo determinato dalla chiusura delle superfici aperte, a piano terra o piano rialzato, delimitate da colonne portanti.
Gli interventi in esame sono pur sempre assoggettati al rispetto delle previsioni di tutela del piano paesaggistico e del d.lgs. n. 42 del 2004, anche in ordine alle necessarie autorizzazioni, e devono obbedire alle condizioni previste dagli artt. 34 e 36 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, che mirano a salvaguardare l’armonia con i valori paesaggistici.
Così intesa, la disciplina impugnata non presenta i vizi di illegittimità costituzionale denunciati dal ricorrente.
30.– Oggetto di impugnazione è anche l’art. 8 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, che modifica l’art. 33 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 in tema di interventi per il riuso di spazi di grande altezza.
30.1.– L’impugnato art. 8, comma 1, lettera a), oggi permette la realizzazione di soppalchi non solo nelle zone urbanistiche A (centro storico-artistico o di particolare pregio ambientale), B (zone di completamento residenziale) e C (zone di espansione residenziale), ma anche in quelle D (zone industriali, artigianali e commerciali), E (agricole) ed F (turistiche), «in queste ultime oltre la fascia dei 300 metri dalla battigia marina».
Solo nelle zone urbanistiche A, sarebbe imposto il rispetto del piano paesaggistico, laddove, nelle altre zone urbanistiche, gli interventi potrebbero essere realizzati anche in deroga alle prescrizioni del piano, come si potrebbe evincere dall’art. 33, comma 4, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015.
L’art. 8, comma 1, lettera b), della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 aggiunge all’art. 33 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 un comma 6-bis, che, in caso di realizzazione di spazi di grande altezza in edifici esistenti, mediante la demolizione parziale di solaio intermedio, esclude «il ricalcolo del volume urbanistico dell’edificio o della porzione di edificio, anche in caso di riutilizzo di spazi sottotetto che originariamente non realizzano cubatura, a condizione che non si realizzino mutamenti nella sagoma dell’edificio o nella porzione di edificio».
Tale disposizione, nel prevedere «la realizzazione di volumi che non vengono computati ai fini degli standard urbanistici», derogherebbe all’art. 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942.
30.2.– Il ricorrente deduce il contrasto con gli artt. 9 e 117, commi primo e secondo, lettera s), Cost., «rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156 del codice dei beni culturali e del paesaggio, l’articolo 5, comma 11, del decreto legge n. 70 del 2011, e la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio». La previsione impugnata sarebbe «lesiva della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela del paesaggio e degli accordi assunti in sede internazionale».
Sarebbe violato anche l’art. 3 dello statuto speciale, come attuato con il d.P.R. n. 480 del 1975, in quanto la disciplina impugnata, «pur nell’ambito della competenza legislativa regionale», contrasterebbe con le norme di grande riforma economico-sociale contenute nell’art. 41-quinquies, commi ottavo e nono, della legge n. 1150 del 1942, negli artt. 2-bis e 14 t.u. edilizia, nell’intesa sul “Piano casa” del 2009, fondata sull’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008, e nell’art. 5, commi 9 e seguenti, del d.l. n. 70 del 2011.
Sarebbe violato, infine, il principio di leale collaborazione.
30.3.– Occorre, preliminarmente, dichiarare l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 1, lettera b), della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021.
Nei ricorsi in via principale, il ricorrente ha l’onere non soltanto di individuare le disposizioni impugnate e i parametri costituzionali di cui denuncia la violazione, ma anche di suffragare le ragioni del dedotto contrasto con una argomentazione sufficientemente chiara e completa (tra le tante, sentenza n. 170 del 2021, punto 5.1. del Considerato in diritto).
Il ricorrente non ha ottemperato a tale onere e si limita a prospettare in maniera generica l’inosservanza dell’art. 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942.
Tale previsione, all’ottavo comma, dispone che in tutti i Comuni, ai fini della formazione di nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, debbano essere osservati «limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonché rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi».
Il nono comma della disposizione citata demanda a un decreto del Ministro per i lavori pubblici di concerto con quello per l’interno, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici, la definizione dei limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati e dei rapporti massimi indicati dall’ottavo comma.
Il ricorrente trascura di indicare il precetto violato dalla legge impugnata e di approfondire il complesso contenuto della previsione regionale che esclude, a precise condizioni, il ricalcolo del volume.
Tale onere di specificazione è ancora più pregnante, alla luce del carattere articolato della legislazione statale richiamata e delle successive specificazioni, contenute nel d.m. n. 1444 del 1968 e nel decreto assessoriale 20 dicembre 1983, n. 2266/U, che nel contesto sardo ha recepito la disciplina statale in tema di densità, altezze e distanze.
Il ricorrente non ha neppure chiarito per quali ragioni la previsione in esame si ponga in contrasto con gli artt. 2-bis e 14 t.u. edilizia.
30.4.– Quanto alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 1, lettera a), della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, occorre esaminare l’eccezione di inammissibilità formulata dalla parte resistente, che ritiene l’impugnazione tardiva, in quanto la peculiare disciplina prevista dall’art. 33, comma 4, della legge n. 8 del 2015 sarebbe preesistente all’introduzione della previsione impugnata.
30.4.1.– L’eccezione deve essere disattesa.
Le censure del ricorrente si appuntano sull’estensione della possibilità di realizzare soppalchi, così come delineata dalla previsione impugnata.
A sostegno delle deduzioni, il ricorrente richiama l’art. 33, comma 4, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, che limiterebbe alle zone urbanistiche A l’obbligo di rispettare il piano paesaggistico. Tuttavia, le sue deduzioni non vertono su tale disposizione, che non è stata tempestivamente impugnata ed è stata richiamata al solo scopo di corroborare le diverse questioni di legittimità costituzionale sulla normativa introdotta dall’art. 8 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021.
30.4.2.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 1, lettera a), della legge regionale citata non sono fondate, nei termini di seguito indicati.
Il ricorrente lamenta che la possibilità di realizzare soppalchi, originariamente circoscritta alle zone A, B e C, sia stata estesa anche alle zone D, E ed F.
Per effetto di tale estensione, le previsioni del piano paesaggistico sarebbero rispettate soltanto nelle zone A. Invero, l’art. 33, comma 4, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 stabilisce che, nelle zone urbanistiche A, sono ammesse nuove aperture finestrate «solo se previste in sede di piano particolareggiato adeguato al Piano paesaggistico regionale».
Il ricorrente ricorda che, nelle altre zone urbanistiche, l’apertura di eventuali nuove superfici finestrate è ammessa nel rispetto delle regole compositive del prospetto originario. Il ricorrente sostiene – in forza dell’argumentum a contrario – che il rispetto delle prescrizioni del piano paesaggistico non sia richiesto nelle zone urbanistiche diverse da quelle A.
Si può giungere a una diversa interpretazione, alla luce delle seguenti considerazioni.
Il citato art. 33, comma 4, della legge regionale n. 8 del 2015 dispone, in ragione del particolare pregio delle zone A, che le aperture finestrate siano consentite a condizioni particolarmente rigorose. Esse devono essere previste dal piano particolareggiato adeguato al piano paesaggistico regionale e sono subordinate, pertanto, a una previsione del piano particolareggiato che attribuisca espressamente la facoltà di realizzare tali aperture, in conformità al piano paesaggistico regionale.
Da tale previsione, che impone la condizione più stringente di una previsione espressa da parte di un piano particolareggiato adeguato al piano paesaggistico regionale, non si può evincere che, nelle zone urbanistiche diverse da quelle A, il rispetto del piano paesaggistico non sia egualmente imposto.
Anche per tali interventi di incremento volumetrico, si applicano poi le già ricordate prescrizioni degli artt. 34 e 36 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, che pongono precise condizioni di ammissibilità e prescrivono requisiti puntuali allo scopo di garantire un inserimento coerente nel paesaggio.
Così intesa, la disposizione impugnata non incorre nelle censure formulate nel ricorso.
31.– È impugnato l’art. 11, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, non solo nella sua lettera a), già scrutinata (punti 5, 5.1., 5.2., 5.3., 5.3.1., 5.3.2. e 5.4. del Considerato in diritto), ma anche nelle lettere b), d), f), g) e h). Tali previsioni modificano sotto molteplici profili l’art. 36 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015.
31.1.– La lettera b) modifica l’art. 36, comma 4, lettera b), della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, che oggi consente l’incremento volumetrico non solo quando implichi «il superamento dei limiti di altezza […] dei fabbricati e di superficie coperta previsti nelle vigenti disposizioni urbanistico-edilizie comunali e regionali», ma anche quando implichi il superamento «del numero dei piani».
Quanto alla lettera d), nel modificare l’art. 36, comma 8, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, essa consente di frazionare l’unità immobiliare ad uso residenziale o artigianale risultante dall’incremento volumetrico solo se la più piccola delle unità derivate ha una superficie lorda superiore a 40 metri quadri nelle aree A, B e C e 70 metri quadri nelle zone F.
Nella formulazione previgente, si consentiva di frazionare l’unità immobiliare ad uso residenziale commerciale o artigianale risultante dall’incremento volumetrico solo se la più piccola delle unità derivate avesse una superficie lorda superiore a 70 metri quadri e, negli altri casi, si vietava di utilizzare l’incremento volumetrico per generare ulteriori unità immobiliari e di alienarlo separatamente dall’unità che lo aveva generato.
La lettera f), nel sostituire l’art. 36, comma 11, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, subordina l’incremento volumetrico al reperimento degli spazi per parcheggi «o, in alternativa, al pagamento di una somma equivalente alla monetizzazione delle aree per parcheggi, da determinarsi con deliberazione del consiglio comunale».
La lettera g) integra l’art. 36, comma 12, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 e consente in ogni caso «la monetizzazione nel caso di recupero dei seminterrati, dei piani pilotis e dei locali al piano terra ad uso direzionale, commerciale, socio-sanitario e residenziale».
La lettera h) aggiunge all’art. 36 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 un comma 15-bis, che, nelle zone urbanistiche A, B e C e negli edifici con destinazione residenziale legittimamente realizzati in altre zone urbanistiche, consente l’incremento volumetrico, cumulabile con quelli già previsti dalla medesima legge regionale n. 8 del 2015. Tale incremento risponde alla necessità «garantire la massima fruibilità degli spazi destinati ad abitazione principale per disabili, nella misura massima, per ciascuna unità immobiliare, del 35 per cento del volume urbanistico esistente, fino ad un massimo di 150 metri cubi».
L’impugnata lettera h) aggiunge all’art. 36 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 anche un comma 15-ter, che, «[a]ll’interno di tutti i piani di risanamento urbanistico, nell’ambito dell’edilizia contrattata e previa richiesta degli interessati», consente «la sostituzione dei lotti destinati a standard urbanistici con lotti edificabili». Tale sostituzione è subordinata alla condizione «che il lotto edificabile da sostituire come standard abbia maggiore o uguale superficie e che tale sostituzione non comporti aumento di volumetrie rispetto a quanto previsto dal piano attuativo, senza limiti di distanza».
Il ricorrente precisa che le lettere c) ed e) non sono oggetto di impugnazione.
31.2.– Il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 9 e 117, commi primo e secondo, lettera s), Cost., «rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156 del codice dei beni culturali e del paesaggio, l’articolo 5, comma 11, del decreto legge n. 70 del 2011, e la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio», in quanto le previsioni impugnate interverrebbero «in materia riservata alla competenza statale e per di più contro impegni assunti dallo Stato in sede internazionale».
Sarebbe violato anche l’art. 3 dello statuto speciale, poiché la disciplina in esame, «pur se in ipotesi operando nell’alveo della competenza legislativa regionale in materia edilizia», confliggerebbe con le norme fondamentali di riforma economico sociale.
Sarebbe violato, da ultimo, il principio di leale collaborazione.
31.3.– Per quel che concerne le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 1, lettere b), d), f), g) e h), della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, la parte resistente ha formulato eccezione di inammissibilità, sul presupposto del carattere assertivo delle censure.
L’eccezione non è fondata.
Le censure sono avvalorate da una argomentazione idonea a dar conto dei profili di contrasto con i parametri costituzionali e statutari evocati e sono dunque ammissibili.
31.4.– Le questioni in oggetto non sono fondate, nei termini che saranno di seguito esposti.
Tutte le disposizioni citate convergono nell’ampliare le possibilità di realizzare incrementi volumetrici e di monetizzare gli standard, collocandoli diversamente all’interno dei piani di risanamento.
Tali previsioni possono e devono essere interpretate in coerenza con le disposizioni del piano paesaggistico, al quale non recano alcuna deroga esplicita.
A diverse conclusioni non può indurre l’art. 36, comma 3, lettera c-bis), della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, richiamato dal ricorrente per corroborare le censure. Tale disposizione, nelle zone E (agricole), consente anche a chi non sia imprenditore agricolo professionale di realizzare l’incremento volumetrico «mediante il superamento della superficie minima di intervento prevista dalle vigenti disposizioni regionali e comunali, purché superiori a 2.500 metri quadri non raggiungibile con l’utilizzo di più corpi aziendali separati e ferme le eventuali limitazioni derivanti dalle vigenti disposizioni paesaggistiche».
Dal richiamo al rispetto delle limitazioni derivanti dalla disciplina paesaggistica non si può argomentare che, negli altri casi, il rispetto del piano paesaggistico non si imponga egualmente.
Si deve poi ribadire che, per tutti gli incrementi volumetrici disciplinati dal Titolo II, Capo I, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, così come modificata dalla legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, valgono le condizioni di ammissibilità dell’art. 34, comma 1, lettere e) ed f), preordinate a salvaguardare i valori paesaggistici, e gli ulteriori requisiti dell’art. 36, comma 3, lettere a) e b), della medesima legge regionale n. 8 del 2015, che garantiscono l’armonia degli interventi in esame con i caratteri dell’edificio e con il contesto paesaggistico.
Così intese, le disposizioni impugnate non presentano i profili di criticità censurati dal ricorrente.
32.– Oggetto di censure è anche l’art. 12 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, che modifica l’art. 38 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 in tema di interventi di trasferimento volumetrico per la riqualificazione ambientale e paesaggistica.
32.1.– È impugnato, in particolare, l’art. 12, comma 1, lettera a), della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, che modifica l’art. 38, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, e accorda un credito volumetrico pari al volume dell’edificio demolito maggiorato del 40 per cento, «da determinarsi con apposita deliberazione del consiglio comunale». La formulazione previgente disponeva che il volume dell’edificio fosse accresciuto al massimo del 40 per cento.
L’impugnazione investe anche l’art. 12, comma 1, lettera b), della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, che sostituisce l’art. 38, comma 3, della legge regionale n. 8 del 2015. La disposizione consente, per il conseguimento dell’incremento volumetrico del 40 per cento, una variante allo strumento urbanistico generale, su proposta del privato interessato che individua, nel rispetto dei parametri urbanistici ed edilizi previsti dalla legislazione regionale, una idonea localizzazione per il trasferimento dei volumi, anche se provenienti da diverse zone omogenee e senza limiti di distanza tra le medesime. Il trasferimento dei volumi è vietato nelle zone E (zone agricole) e H (zone di salvaguardia), e nelle zone F (zone turistiche) è ammesso nel rispetto delle condizioni previste dall’art. 38, comma 4, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, che impone di individuare le aree di localizzazione per il trasferimento dei volumi al di fuori di quelle sottoposte a tutela ai sensi dell’art. 38, comma 1, della medesima legge regionale e comunque oltre la fascia dei 300 metri dalla linea di battigia marina, ridotta a 150 metri per le isole minori.
È impugnato anche l’art. 12, comma 1, lettera c), della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 che, nel modificare l’art. 38, comma 7, della legge regionale n. 8 del 2015, incrementa da 3 a 4,5 metri per ciascun livello fuori terra esistente l’altezza cui commisurare la determinazione del volume, per quel che riguarda le destinazioni artigianale e industriale, commerciale e agricolo-zootecnica.
Infine, è impugnato l’art. 12, comma 1, lettera d), della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, che modifica l’art. 38, comma 9, lettera c), della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015 e prescrive che l’edificio da ricostruire sia dotato di un idoneo impianto di elevazione per il trasporto verticale delle persone, qualora sia «pluriimmobiliare con almeno tre livelli fuori terra». La formulazione previgente alludeva a un edificio pluriimmobiliare con almeno due livelli fuori terra.
Il ricorrente assume che le previsioni impugnate rendano «di maggiore impatto sul territorio la disciplina» dei trasferimenti volumetrici per la riqualificazione ambientale e paesaggistica dettata dalla Regione autonoma Sardegna «in deroga alla pianificazione paesaggistica e urbanistica» e che neppure contengano una specifica clausola di esclusione per i beni culturali, limitata al solo Capo I del Titolo II della legge regionale n. 8 del 2015 (art. 34 di detta legge regionale).
Ad avviso del ricorrente, solo il piano paesaggistico regionale, in applicazione dell’art. 143, comma 1, lettera g), del d.lgs. n. 42 del 2004, potrebbe prevedere casi e modi della delocalizzazione e le connesse premialità volumetriche, così da «assicurare l’armonico inserimento degli interventi nei diversi contesti territoriali».
L’art. 38, comma 6, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, nell’applicare le previsioni in tema di delocalizzazione agli edifici legittimamente realizzati entro la data di entrata in vigore della legge e agli edifici successivamente legittimati per effetto della positiva conclusione del procedimento di condono o di accertamento di conformità e, ove necessario, dell’accertamento di compatibilità paesaggistica, potrebbe dare àdito al condono di edifici in contrasto con il contesto circostante, «per poi consentirne la delocalizzazione». Il ricorrente ritiene, pertanto, «di per sé manifestamente incostituzionale» l’ampliamento della portata applicativa di tale disciplina.
32.2.– Alla luce di tali rilievi, il ricorrente censura l’art. 12 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 in riferimento agli artt. 9 e 117, commi primo e secondo, lettera s), Cost., «rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 4, 20, 21, 135, 143, 145 e 156 del codice dei beni culturali e del paesaggio, l’articolo 5, comma 11, del decreto legge n. 70 del 2011 e la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio». La normativa in esame interverrebbe «a disciplinare materia riservata alla competenza esclusiva dello Stato e inoltre discostandosi dagli impegni internazionali assunti dallo stesso Stato».
L’impugnato art. 12 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 contrasterebbe anche con l’art. 3 dello statuto speciale, come attuato mediante il d.P.R. n. 480 del 1975, poiché, «anche per quanto attiene agli eventuali spazi di competenza legislativa regionale», si porrebbe in contrasto con le norme di grande riforma economico-sociale dettate dall’art. 41-quinquies, commi ottavo e nono, della legge n. 1150 del 1942, dagli artt. 2-bis e 14 t.u. edilizia, dall’intesa sul “Piano casa” del 2009, fondata sulla previsione dell’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008, e dall’art. 5, commi 9 e seguenti, del d.l. n. 70 del 2011, come convertiti.
La disciplina in esame, nel violare l’obbligo di copianificazione, sarebbe lesiva, infine, del principio di leale collaborazione.
32.3.– La parte resistente ha eccepito la tardività dell’impugnazione, sul presupposto che le previsioni in esame apportino modificazioni minimali a una normativa preesistente e non impugnata nei termini di legge.
Tale eccezione non è fondata.
Le censure si appuntano sull’estensione della portata applicativa della disciplina previgente e sussiste l’interesse del ricorrente a dolersi di tali modificazioni, che aggraverebbero l’impatto sul paesaggio.
Le questioni sono dunque ammissibili.
32.4.– Esse non sono fondate, nei termini che saranno illustrati.
32.4.1.– Le previsioni introdotte dalla legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 sono espressione della potestà legislativa che spetta alla Regione autonoma Sardegna nella materia dell’edilizia e dell’urbanistica (art. 3, lettera f, dello statuto speciale).
Occorre avere riguardo alle peculiarità della normativa impugnata, che apporta modificazioni di dettaglio all’assetto normativo preesistente e – in rapporto alle novità introdotte dal legislatore regionale – deve essere vagliata la fondatezza delle questioni.
Le modificazioni introdotte dall’art. 12 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 attengono all’entità della premialità volumetrica, alla variante allo strumento urbanistico generale per conseguire l’incremento volumetrico, all’incremento dell’altezza per ciascun livello fuori terra al quale ragguagliare la determinazione del volume, e alla dotazione dell’impianto di elevazione per il trasporto verticale delle persone.
Tali specifiche previsioni possono e devono essere interpretate in senso compatibile con le prescrizioni del piano paesaggistico e del d.lgs. n. 42 del 2004, anche con riguardo alla peculiare tutela riservata ai beni culturali. La disposizione impugnata non reca deroghe di sorta a tali prescrizioni.
32.4.2.– Né si può far leva – in senso contrario – sul mancato richiamo alle previsioni dell’art. 34, comma 1, lettere e) ed f), della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, che escludono gli interventi finalizzati al recupero del patrimonio esistente «negli edifici di interesse artistico, storico, archeologico o etno-antropologico vincolati ai sensi della parte II del d.lgs. n. 42 del 2004 e negli edifici di interesse paesaggistico o identitario individuati nel Piano paesaggistico regionale ed inclusi nel Repertorio del mosaico». Tali ipotesi di esclusione riguardano soltanto gli interventi di miglioramento del patrimonio disciplinati dal Titolo II, Capo I, della legge regionale in esame, che non si applicano agli interventi di trasferimento volumetrico per finalità di riqualificazione ambientale e paesaggistica.
Con riguardo a questi interventi, si deve rilevare che permane l’efficacia cogente delle più restrittive prescrizioni del piano paesaggistico regionale e del d.lgs. n. 42 del 2004, in quanto non derogate e provviste di immediata forza vincolante.
L’interpretazione appena descritta, in linea con le prescrizioni del piano paesaggistico e della normativa statale di tutela, è poi avvalorata dalla considerazione delle finalità sottese alla disciplina in esame. Essa persegue lo scopo precipuo della riqualificazione ambientale e paesaggistica e si affianca a particolari cautele sulle aree di localizzazione per il trasferimento dei volumi (art. 38, comma 4, della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015) e sulle demolizioni degli edifici inclusi nel centro di prima e antica formazione (art. 38, comma 12, della citata legge regionale).
Non si può neppure ritenere che la normativa impugnata, con le circoscritte innovazioni che apporta, dischiuda la strada a una sanatoria extra ordinem. Essa non ha attinenza con la fattispecie del condono e non ne amplia in maniera indebita i presupposti.
Le previsioni impugnate, interpretate alla luce di tali rilievi, sono esenti dai vizi di illegittimità costituzionale denunciati nel ricorso.
33.– Rimangono da scrutinare le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 28, commi 1 e 3, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, promosse in riferimento agli artt. 3, 9 e 117, commi primo e secondo, lettera s), Cost. e all’art. 3, lettera f), dello statuto speciale e al principio di leale collaborazione.
33.1.– La previsione impugnata considera le zone umide beni paesaggistici oggetto di conservazione e di tutela «per l’intera fascia di 300 metri dalla linea di battigia dei laghi naturali, degli stagni, delle lagune e degli invasi artificiali, a prescindere dalle perimetrazioni operate sulle relative cartografie in misura inferiore» (comma 1).
L’art. 28, comma 3, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, consente, sugli edifici posti nella fascia di tutela di cui al comma 1, gli interventi di cui all’art. 3, comma 1, lettere a), b), c) e d), del d.P.R. n. 380 del 2001.
Si tratta, in particolare, degli interventi di manutenzione ordinaria (lettera a), degli interventi di manutenzione straordinaria, «sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino mutamenti urbanisticamente rilevanti delle destinazioni d’uso implicanti incremento del carico urbanistico» (lettera b), degli interventi di restauro e risanamento conservativo (lettera c), degli interventi di ristrutturazione edilizia (lettera d).
33.2.– Il ricorrente prospetta la violazione degli artt. 3 e 9 Cost. e denuncia l’arbitrarietà e l’irragionevolezza di una normativa di interpretazione autentica che diminuirebbe la «tutela dei beni di pregio paesaggistico».
La disposizione impugnata, difatti, individuerebbe la fascia di rispetto per le zone umide oggetto di vincolo paesaggistico in rapporto alla fascia di rispetto prevista per laghi naturali, stagni, lagune e invasi artificiali. In tal modo, il legislatore regionale avrebbe ridotto la «tutela specificatamente riconosciuta alle zone umide come bene paesaggistico autonomo».
Peraltro, tale previsione non attribuirebbe alla normativa oggetto di interpretazione autentica un significato compatibile con una delle possibili letture del testo originario e non si prefiggerebbe di risolvere una situazione di incertezza, ristabilendo un significato conforme «alla originaria volontà del legislatore a tutela della certezza del diritto e della eguaglianza dei cittadini». La disposizione, provvista di portata retroattiva, non troverebbe alcuna giustificazione «nella tutela di principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti motivi imperativi di interesse generale».
Sarebbero violati, inoltre, l’art. 3 dello statuto speciale, gli artt. 9 e 117, commi primo e secondo, lettera s), Cost., «rispetto ai quali costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143, 145 e 156 del codice dei beni culturali e del paesaggio, e la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio».
La Regione autonoma Sardegna, infine, avrebbe sottratto unilateralmente al principio fondamentale della pianificazione congiunta un bene paesaggistico già sottoposto a tutela.
33.3.– Si deve rilevare, preliminarmente, che la disposizione impugnata, in seguito alla proposizione del ricorso, è stata modificata dall’art. 13, comma 61, lettera b), della legge della Regione autonoma Sardegna 22 novembre 2021, n. 17 (Disposizioni di carattere istituzionale-finanziario e in materia di sviluppo economico e sociale), che, a far data dal 23 novembre 2021 (art. 44, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021), consente sugli edifici esistenti nella fascia di tutela di cui al comma 1 anche gli interventi di nuova costruzione di cui all’art. 3, comma 1, lettera e), t.u. edilizia.
La legge reg. Sardegna n. 17 del 2021 incide anche sull’art. 28, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, non impugnato. Tale previsione, nella versione originaria, sanciva l’inedificabilità e il divieto di trasformazioni urbanistiche o edilizie per le aree libere da volumi regolarmente accatastati alla data di approvazione della medesima legge regionale, con riguardo alle «zone urbanistiche A, B, C, D, E ed F dei comuni che non abbiano provveduto all’adeguamento del piano urbanistico comunale al PPR».
In virtù delle modificazioni introdotte dall’art. 13, comma 61, lettera a), della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021, il divieto di edificazione e di trasformazioni urbanistiche o edilizie per le aree libere da volumi regolarmente accatastati alla data di approvazione della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, che ricadano nella fascia di tutela di cui al comma 1, oggi non si applica alle aree poste «nelle zone omogenee A, B e D, nonché nelle zone C e G contermini agli abitati, tutte come individuate negli strumenti urbanistici vigenti in base al decreto assessoriale 20 dicembre 1983, n. 2266/U».
L’art. 13, comma 61, lettera c), della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021, nell’introdurre nell’art. 28 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 un comma 3-bis, fa salvi «i piani di risanamento urbanistico attuati e quelli già regolarmente approvati, con convenzione efficace».
L’impugnato art. 28, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, che definisce il vincolo paesaggistico relativo alle zone umide, non è stato modificato.
Tali sopravvenienze, per un verso, non implicano il venir meno delle ragioni di illegittimità costituzionale prospettate dal ricorrente e, per altro verso, modificano in misura apprezzabile le previsioni impugnate.
Non sussistono, pertanto, i presupposti per dichiarare cessata la materia del contendere.
Lo scrutinio di questa Corte verte sulla formulazione dell’art. 28 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, antecedente alle rilevanti modificazioni apportate dalla legge reg. Sardegna n. 17 del 2021, con riguardo all’ampiezza del divieto di edificazione e di trasformazioni urbanistiche o edilizie.
33.4.– Le questioni promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri non sono fondate.
Tutte le censure del ricorrente, pur declinate sotto svariati profili, muovono dalla premessa che la disposizione impugnata riduca la tutela prevista per le zone umide.
Tale premessa non può essere condivisa.
L’impugnato art. 28 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021 deve essere letto in una prospettiva sistematica, che tenga conto anche delle innovazioni racchiuse nel successivo art. 29, che abroga l’art. 27 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015. Il citato art. 27 riferiva la fascia di tutela dei 300 metri dalla linea di battigia ai soli laghi naturali e invasi artificiali e limitava il vincolo paesaggistico riguardante le zone umide alla dimensione spaziale rappresentata e individuata nella cartografia di piano.
L’art. 28, comma 1, della legge reg. Sardegna oggi dispone che il vincolo paesaggistico relativo alle zone umide prescinde dalle perimetrazioni eventualmente operate sulle cartografie in misura inferiore alla fascia di 300 metri dalla linea di battigia. Nel negare rilievo a delimitazioni più anguste della fascia di tutela, la previsione in esame ripristina per le zone umide quella zona di rispetto di trecento metri dalla linea di battigia, che riveste importanza essenziale ai fini della salvaguardia del paesaggio.
In tal senso si era già pronunciata questa Corte, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge della Regione Sardegna 12 ottobre 2012, n. 20 (Norme di interpretazione autentica in materia di beni paesaggistici), che escludeva il riferimento alla fascia di rispetto dei 300 metri dalla battigia per le sole zone umide, con la conseguente «riduzione dell’ambito di protezione riferita ad una categoria di beni paesaggistici» (sentenza n. 308 del 2013, punto 4.3.2. del Considerato in diritto).
Il ripristino, per le zone umide, della fascia di rispetto di 300 metri dalla linea di battigia non determina, pertanto, la dedotta compromissione della tutela paesaggistica che rappresenta il fulcro di tutte le censure.
Ne discende la non fondatezza delle questioni promosse a tale riguardo dal ricorrente, in tutti i profili evocati.