Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 16 marzo 2021, iscritta al n. 15 del registro ordinanze 2023, il Tribunale ordinario di Bari, sezione seconda civile, in composizione monocratica, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 696-bis, primo comma, primo periodo, del codice di procedura civile, «nella parte in cui non prevede che l’espletamento della consulenza tecnica in via preventiva possa essere richiesto ai fini dell’accertamento e della determinazione dei crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione, oltre che di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito, di obbligazioni derivanti da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico».
1.1.– Il giudice rimettente espone di essere chiamato a decidere il ricorso proposto, ex art. 696-bis, da C. F., la quale, premesso di avere acquistato un immobile nell’ambito di una procedura esecutiva promossa in danno di F. T., P. T., M.L. T. e A. T., di avere sostenuto spese per ristrutturarlo e di avere poi scoperto che, per un errore nella immissione nel possesso del bene, le opere edilizie avevano interessato non l’unità immobiliare aggiudicatale, ma un’altra, ad essa adiacente, in comproprietà degli stessi esecutati, ha chiesto disporsi una consulenza tecnica preventiva ai fini della quantificazione dell’indennizzo dovuto da questi ultimi a titolo di ingiustificato arricchimento.
Il giudice a quo riferisce che i resistenti, nel costituirsi in giudizio, hanno eccepito l’inammissibilità del ricorso, sul rilievo che il credito indennitario dedotto a fondamento della domanda non rientra nell’ambito applicativo della consulenza tecnica preventiva finalizzata alla composizione della lite.
Osserva, quindi, il rimettente che tale eccezione sarebbe destinata all’accoglimento, posto che, effettivamente, il diritto all’indennizzo per arricchimento senza causa non è riconducibile né all’inadempimento di una obbligazione contrattuale, né ad un fatto illecito, ma è correlato ad una obbligazione «d’altro genere, derivata da un fatto determinato, selezionato dalla legge come idoneo a produrla, secondo la previsione classificatoria generale delle fonti delle obbligazioni di cui all’art. 1173 c.c.».
1.2.– Ciò posto, il giudice a quo ritiene, tuttavia, che l’art. 696-bis, primo comma, primo periodo, cod. proc. civ. «nella parte in cui non prevede che l’espletamento della consulenza tecnica in via preventiva possa essere richiesto ai fini dell’accertamento e della determinazione dei crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione (anche) di obbligazioni derivanti da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico», contrasti con gli artt. 3 e 24 Cost.
1.2.1.– Sarebbe, anzitutto, da escludere la possibilità di una interpretazione costituzionalmente orientata, ostandovi il tenore letterale della disposizione in scrutinio, la quale, nell’individuare le ipotesi nelle quali è ammesso il ricorso alla consulenza tecnica preventiva a fini conciliativi, fra i tre generi di obbligazioni indicati dall’art. 1173 del codice civile, seleziona quelle da contratto e da fatto illecito, così escludendo inequivocabilmente quelle derivanti da «ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico».
Né indicazioni utili ad una diversa interpretazione potrebbero trarsi dalla giurisprudenza di legittimità o dagli orientamenti dei giudici di merito, non registrandosi ancora pronunce che abbiano indagato la ratio di una siffatta esclusione o che abbiano valutato la possibilità di estendere l’ambito dell’art. 696-bis cod. proc civ. alle «obbligazioni del c.d. terzo genere per via di un’operazione ermeneutica lato sensu non testuale sulla disposizione codicistica scrutinata».
Osserva, ancora, il giudice a quo che la formulazione della disposizione censurata riproduce puntualmente «una fondamentale classificazione normativa civilistica (art. 1173 cod. civ.)», così che la sua applicazione estensiva si tradurrebbe in una non consentita integrazione, ad opera del giudice, di una omissione legislativa, alla quale può ovviarsi soltanto «percorrendo la via maestra» del sindacato di legittimità costituzionale.
Il ricorso al «criterio principe» di interpretazione della legge, dettato dall’art. 12 delle Preleggi, impedirebbe, in definitiva, una lettura diversa da quella «fatta palese dal significato proprio delle parole secondo la loro connessione».
1.3.– Ciò premesso, il rimettente assume che la soluzione del dubbio di legittimità costituzionale sollevato sia rilevante nel procedimento pendente innanzi a sé, dipendendo da essa l’ammissibilità della domanda proposta.
1.4.– In punto di non manifesta infondatezza, nell’ordinanza di rimessione si rileva che la consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite viene configurata dall’art. 696-bis c.p.c. principalmente come strumento alternativo per la risoluzione delle controversie, la cui finalità deflattiva si realizza attraverso la possibilità di una soluzione conciliativa prima che sia dato corso al giudizio di merito, mediante la formazione di un processo verbale cui è conferita dal giudice l’efficacia esecutiva.
Il rimettente ricorda, altresì, che l’istituto in scrutinio persegue, sia pure soltanto eventualmente, la finalità di anticipazione dell’attività istruttoria del processo di cognizione, potendo la relazione del consulente tecnico, elaborata all’esito del procedimento ex art. 696-bis cod. proc. civ., essere acquisita nel successivo giudizio di merito, a richiesta della parte interessata.
La consulenza tecnica preventiva a fini conciliativi, aggiunge il giudice a quo, si inscrive nella più generale tendenza legislativa, registratasi nell’ultimo ventennio, «a proporre con differenti schemi procedurali, interni o esterni al processo, varie forme di composizione stragiudiziale delle liti, generali o settoriali, obbligatorie o facoltative, che, anche in funzione del doveroso allineamento con il diritto dell’Unione Europea, risultano tutte in qualche misura complementari rispetto al diritto di adire il giudice per ottenere la definizione giudiziale della controversia, ancorché non sostitutive né impeditive dell’esercizio di detto diritto fondamentale».
Al pari degli altri istituti di definizione alternativa delle liti, la consulenza ex art. 696-bis cod. proc. civ. risponderebbe ad «interessi generali e di sistema», in quanto, da un lato, sarebbe volta a contenere il contenzioso civile, nella prospettiva del buon funzionamento della giustizia, e, dall’altro, mirerebbe ad assicurare che le pretese creditorie – specie quelle «in origine non supportate da evidenze probatorie qualificate e connotate da margini di controvertibilità, soprattutto fattuale» – possano, sotto la guida dell’ausiliario del giudice, pervenire ad un soddisfacimento «più agile e rapido di quello conseguibile attraverso il processo».
Tuttavia – osserva il rimettente – alla stregua dell’attuale formulazione, l’art. 696-bis cod. proc. civ. riserva la consulenza tecnica preventiva alle sole controversie riguardanti l’accertamento e la determinazione dei crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni ex contractu ed ex delicto, così escludendo la terza fonte delle obbligazioni che l’art. 1173 cod. civ. individua, in via residuale, in ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico.
Il giudice a quo sottolinea che di tale ultima categoria, nella quale trovano collocazione le figure negoziali tipizzate dallo stesso cod. civ. agli artt. 1987 e seguenti, si è avvalsa la giurisprudenza per inquadrare «situazioni atipiche […] generatrici di pretese creditorie non inscrivibili nelle due categorie principali, ma aventi comunque fondamento nella legge, intesa come l’insieme dei principi e dei criteri desumibili dall’ordinamento considerato nella sua interezza, complessità ed evoluzione» (viene citata la sentenza della Corte di cassazione, sezione seconda civile, 16 dicembre 2015, n. 25292).
Aggiunge il rimettente che, poiché i crediti esclusi dalla norma censurata sono, al pari di quelli derivanti da contratto e da fatto illecito, coessenziali alla realizzazione del sistema dei diritti, «risulta arduo individuare quale sia la ratio ad excludendum» alla base della scelta del legislatore di non prevedere che, anche per l’accertamento e la determinazione di crediti derivanti da altri atti o fatti idonei, possa farsi ricorso alla consulenza ex art. 696-bis cod. proc. civ.
La disposizione censurata sarebbe irragionevolmente omissiva, in quanto determinerebbe «un’incoerenza interna dell’istituto», in contrasto con l’art. 3 Cost.
La previsione in scrutinio realizzerebbe, altresì, una disparità di trattamento tra i titolari di posizioni sostanziali di eguale natura (diritti di obbligazione), il cui tratto differenziale, da individuarsi nella fonte, non solo risulterebbe più marcato tra le due categorie di obbligazioni ammesse di quanto non lo sia tra ciascuna di esse e la categoria esclusa, ma si atteggerebbe «in modo del tutto neutro per la funzionalità e l’utilità dello strumento processuale ex art. 696-bis c.p.c.». Ai fini della composizione stragiudiziale della lite attraverso il consulente tecnico nominato dal giudice, non sarebbero, infatti, ravvisabili differenze tra una pretesa di indennizzo per ingiustificato arricchimento, come quella generata dalla esecuzione di miglioramenti sulla cosa altrui, e una richiesta di garanzia rivolta dal committente all’appaltatore per i vizi dell’opera o il risarcimento preteso dal proprietario per i danni subiti dal proprio immobile a causa della negligente custodia di quello confinante.
Il rimettente ricorda che la discrezionalità del legislatore nella conformazione degli istituti processuali incontra il limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà, ed evidenzia come manifestamente irragionevole si riveli la scelta legislativa di non includere tra le posizioni sostanziali legittimanti la proposizione del ricorso ex art. 696-bis cod. proc. civ. quella di chi vanti un credito non derivante dal contratto o dal fatto illecito, ma da una fattispecie inscrivibile nella terza categoria di fonti delle obbligazioni contemplata dell’art. 1173 cod. civ.
Da ultimo, l’ingiustificata restrizione dell’ambito applicativo della consulenza tecnica preventiva inciderebbe negativamente sulla pienezza del potere di agire in giudizio dei titolari dei diritti esclusi, i quali resterebbero privi «di uno strumento alternativo all’ordinaria tutela giurisdizionale nonché ad essa eventualmente preordinato», così ponendosi in contrasto con l’art. 24 Cost.
2.– Nel giudizio innanzi a questa Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la inammissibilità e comunque per la non fondatezza delle questioni sollevate.
2.1.– L’interveniente ricorda, anzitutto, che il legislatore gode di ampia discrezionalità nell’individuare, tra i diritti di credito nascenti dalle fonti individuate dall’art. 1173 cod. civ., quali siano meritevoli di essere tutelati attraverso strumenti di risoluzione concordata delle liti.
Non sarebbe, pertanto, irragionevole la scelta di limitare la speciale procedura conciliativa in esame alle controversie riguardanti le due categorie di obbligazioni «fondamentali».
2.1.1.– Sarebbe, inoltre, insussistente la dedotta violazione dell’art. 24 Cost., la quale postula «una valutazione in termini di irragionevolezza della operata distinzione».
L’eguaglianza della disciplina legislativa – osserva l’interveniente – presuppone una parità di condizioni, non essendo consentito regolare allo stesso modo situazioni di interesse che presentino, come nel caso di specie, «differente rilevanza».
Infine, la difesa statale rileva che il provvedimento che accoglie o respinge il ricorso ex art. 696-bis cod. proc. civ. non contiene alcun giudizio in merito ai fatti controversi e, quindi, non pregiudica il diritto alla prova, né la possibilità di conciliazione (è citata l’ordinanza della Corte di cassazione, sezione sesta civile, 21 maggio 2018, n. 12386).
2.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha, inoltre, depositato una memoria illustrativa, con la quale ha confermato le conclusioni assunte e ribadito le argomentazioni svolte nell’atto di intervento a confutazione delle censure del rimettente.
In particolare, richiamando la sentenza n. 87 del 2021 di questa Corte, ha rimarcato come la consulenza tecnica preventiva sia finalizzata non solo alla definizione della controversia in via conciliativa, ma anche alla anticipazione di un segmento istruttorio fondamentale per la risoluzione di cause caratterizzate da questioni soprattutto di carattere tecnico.
Non sarebbe, pertanto, irragionevole la limitazione di tale mezzo istruttorio a crediti «accertabili e determinabili», come quelli di natura risarcitoria o restitutoria derivanti dalle obbligazioni contrattuali o da fatto illecito.
Per converso, il rimedio ex art. 696-bis cod. proc. civ. non sarebbe invocabile nelle controversie in cui la domanda sia volta ad ottenere il solo adempimento dell’obbligazione contrattuale di cui sia controversa l’entità, o la soddisfazione di crediti indennitari o restitutori non connessi all’adempimento, come nella fattispecie ex art. 2041 cod. civ.
Ad avviso dell’interveniente, nel caso di specie l’accertamento richiesto dalla ricorrente nel giudizio principale involge «molteplici fatti (anche delle condizioni sociali e patrimoniali delle parti) che non si conciliano con la finalità dell’istituto» in esame e può richiedere una valutazione, anche d’ufficio, di carattere equitativo, ai sensi dell’art. 1226 cod. civ.
Da ultimo, l’Avvocatura generale dello Stato ha sottolineato che la limitazione stabilita dalla previsione censurata si giustifica anche in ragione del «notevole dispendio di energia processuale» che l’intervento anticipato del giudice a fini meramente conciliativi comporta e la conseguente inopportunità di una estensione del rimedio ex art. 696-bis cod. proc. civ. al di fuori dell’ambito delle azioni risarcitorie in cui «si instaura con più frequenza il contenzioso».
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale ordinario di Bari, sezione seconda civile, in composizione monocratica, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 696-bis, primo comma, primo periodo, cod. proc. civ., «nella parte in cui non prevede che l’espletamento della consulenza tecnica in via preventiva possa essere richiesto ai fini dell’accertamento e della determinazione dei crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione, oltre che di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito, di obbligazioni derivanti da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico».
1.1.– Ad avviso del rimettente, tale previsione contrasterebbe con l’art. 3 Cost., in quanto, escludendo irragionevolmente detta ultima categoria di crediti – i quali, al pari di quelli nascenti dal contratto o dal fatto illecito, sono coessenziali alla «realizzazione del sistema dei diritti» –, si risolverebbe in «un’evidente aporia, o comunque in un’incoerenza interna dell’istituto».
1.1.1.– La disposizione censurata realizzerebbe, altresì, una ingiustificata disparità di trattamento tra i titolari di posizioni sostanziali di eguale natura, il cui tratto differenziale, da individuarsi nella fonte, non solo risulta «illogicamente più marcato» tra le due categorie di obbligazioni per le quali la consulenza tecnica preventiva è ammessa di quanto non lo sia tra ciascuna di esse e la categoria esclusa, ma «si atteggia in modo del tutto neutro per la funzionalità e l’utilità dello strumento processuale ex art. 696-bis c.p.c.».
1.2.– Sarebbe, inoltre, violato l’art. 24 Cost., in quanto l’ingiustificata restrizione dell’ambito applicativo del procedimento ex art. 696-bis cod. proc. civ. soltanto ad alcune categorie di crediti inciderebbe negativamente «sulla pienezza del potere di agire in giudizio» dei titolari dei diritti esclusi, i quali restano privi di uno strumento alternativo all’ordinaria tutela giurisdizionale – nonché «ad essa eventualmente preordinato (laddove non sia raggiunta la conciliazione)» –, che ne consentirebbe una più pronta ed efficace realizzazione.
2.‒ Preliminarmente, deve essere esaminata l’eccezione di inammissibilità delle questioni, sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato alla stregua del rilievo secondo il quale spetta al legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, selezionare gli interessi meritevoli di essere tutelati attraverso strumenti processuali con funzione conciliativa.
L’eccezione non è meritevole di accoglimento.
Essa attiene, invero, al merito delle questioni. Il giudice a quo ha, infatti, censurato la differenziazione nella tutela dei diritti di credito operata dalla norma in scrutinio, motivando diffusamente e mostrando piena consapevolezza della giurisprudenza costituzionale secondo cui il legislatore dispone di un’ampia discrezionalità nella conformazione degli istituti processuali.
Ed è sulla scorta di tali ampie argomentazioni che lo stesso rimettente chiede a questa Corte di emendare il denunciato vulnus estendendo l’ambito di applicazione dell’art. 696-bis cod. proc. civ. ai diritti di credito derivanti da fonti diverse dal contratto e dal fatto illecito, che ne risultano esclusi.
3.– Ciò posto, è opportuno premettere allo scrutinio delle questioni di legittimità costituzionale una sintetica ricostruzione della genesi e della portata precettiva della previsione investita dal sospetto di illegittimità costituzionale.
3.1.– L’art. 696-bis cod. proc. civ. consente alla parte interessata di richiedere, prima dell’inizio del giudizio e anche in assenza del presupposto dell’urgenza di cui all’art. 696 cod. proc. civ., l’espletamento di una consulenza tecnica avente ad oggetto l’accertamento e la determinazione dei crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito.
La stessa disposizione attribuisce al consulente tecnico designato dal giudice il compito di promuovere, sulla base dell’elaborato peritale, la definizione concordata della lite.
Se la conciliazione è raggiunta, l’accordo transattivo confluisce in un verbale, al quale lo stesso giudice attribuisce, con proprio decreto, efficacia di titolo esecutivo. In caso contrario, la relazione tecnica depositata dal consulente può essere acquisita, su istanza della parte interessata e previo vaglio di ammissibilità e rilevanza, nel successivo (ed eventuale) processo di merito, con l’efficacia propria della consulenza tecnica d’ufficio ex artt. 191 e seguenti cod. proc. civ.
3.2.– L’art. 696-bis cod. proc. civ. è stato inserito nella Sezione IV del Capo III del Titolo I del Libro Quarto del Codice di procedura civile, contenente la disciplina dei procedimenti di istruzione preventiva, dall’art. 2, comma 3, lettera e-bis), n. 6, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35 (Disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale), convertito, con modificazioni, nella legge 14 maggio 2005, n. 80.
La nuova disciplina, introdotta in sede di conversione del citato decreto-legge, non rinviene precedenti nell’esperienza del processo civile italiano – non potendo ritenersi tale la pur affine fattispecie di cui all’art. 198, primo comma, cod. proc. civ., nella quale è il giudice, e non la legge, a incaricare il consulente, nominato nel corso del giudizio di cognizione, di tentare la conciliazione –, ma considera e sviluppa le indicazioni programmatiche e i contenuti di alcuni precedenti progetti di legge, riguardanti analoghe figure di anticipazione istruttoria absque periculo, che non erano stati portati a compimento.
La possibilità di richiedere la nomina giudiziale di un consulente al quale affidare, anche al di fuori delle condizioni di cui al primo comma dell’art. 696 cod. proc. civ., l’accertamento e la determinazione dei crediti derivanti dalla «mancata o inesatta esecuzione delle obbligazioni contrattuali o da fatto illecito» era stata, infatti, già prospettata, con una formulazione analoga a quella poi adottata per l’art. 696-bis cod. proc. civ., nell’art. 11 della proposta di legge di iniziativa parlamentare n. 6052, presentata alla Camera dei deputati il 20 maggio 1999.
In merito all’ambito di applicazione dell’istituto – di specifico interesse nel presente giudizio – la relazione illustrativa di tale articolato chiariva che la finalità principale della consulenza preventiva sarebbe stata quella di apprestare uno strumento attraverso il quale le parti avrebbero potuto, «pur sempre nell’ambito della giurisdizione e con le garanzie di terzietà proprie di un consulente nominato dal giudice», ottenere la «determinazione delle eventuali conseguenze lesive connesse ad inadempimenti nell’esecuzione di prestazioni obbligatorie (nei contratti di opera, di appalto, di compravendita, eccetera) o a fatti dannosi di natura extracontrattuale (tra cui, in primo luogo, i sinistri stradali), oltreché ad una pluralità di vicende all’origine di svariate tipologie di controversie (infiltrazioni di acqua tra fondi contigui, danni ad abitazioni, eccetera)».
Una disposizione di analogo contenuto fu riproposta dall’art. 21 del disegno di legge ministeriale n. 7185 presentato alla Camera dei deputati il 7 luglio 2000.
Successivamente, il progetto di legge delega per la riforma organica del processo civile n. 4578, presentato alla Camera dei deputati il 19 dicembre 2003, all’art. 49 propose «a) la possibilità di utilizzare i procedimenti di istruzione preventiva anche in assenza di pericolo nel ritardo; b) la possibilità di generalizzare la consulenza tecnica prima della proposizione della domanda».
Nella relazione di accompagnamento si constatava che spesso nelle controversie civili il contrasto tra le parti riguarda la sola quaestio facti, così che, svolta l’istruttoria, se non sussistono ragioni di contestazione sul suo espletamento, la lite viene conciliata.
Si evidenziava, quindi, l’opportunità di anticipare la formazione della prova rispetto all’inizio del processo, al fine di evitare che tutte le liti caratterizzate da un contrasto in punto di fatto fossero portate davanti al giudice.
La stessa relazione esplicitava la notevole latitudine applicativa della progettata riforma, evidenziando che, con l’eliminazione del presupposto del pericolo nel ritardo, al quale la disciplina allora vigente condizionava l’accesso all’istruzione preventiva, sarebbe stato possibile «generalizzare la formazione pre-processuale delle prove costituende».
3.3.– Le forme di anticipazione istruttoria elaborate dalle proposte legislative passate in rassegna tenevano conto degli omologhi istituti sperimentati in altri ordinamenti e, in particolare, del référé probatoire del processo francese e del selbständiges Beweisverfahren del codice di procedura civile tedesco.
Analogamente a quanto avvenuto nel processo civile italiano, anche in tali sistemi la formazione della prova ante causam è stata potenziata attraverso il superamento del requisito del periculum in mora, ma questa comune istanza si è tradotta in discipline significativamente diversificate.
3.3.1.– Nell’ordinamento francese l’esigenza di anticipare la formazione dei mezzi di prova rispetto al processo di merito si è, infatti, inverata in una disposizione, l’art. 145 del Code de procédure civile, che, attraverso una formula sintetica, ma di amplissima portata, consente di assumere, prima di qualsiasi processo, qualsivoglia mezzo di prova su richiesta di qualunque interessato, purché ricorra un motif légitime e il mezzo richiesto tenda a conservare o stabilire la prova di fatti da cui potrebbe dipendere la soluzione di una controversia.
Tale disciplina, qualificata in dottrina come modello “forte” di istruzione preventiva, sottende non solo una finalità di deflazione del carico degli uffici giudiziari, ma anche l’obiettivo di una più efficace attuazione del diritto alla prova.
3.3.2.– Nel procedimento di istruzione probatoria ante causam dell’ordinamento tedesco l’anticipazione istruttoria in assenza di pericolo nel ritardo ha, invece, una portata più circoscritta, perché riguarda la sola consulenza tecnica ed è condizionata alla sussistenza di un interesse giuridico, il quale si presume sussistente quando l’accertamento del fatto è utile a evitare il processo.
Tale istituto è disciplinato dall’art. 485, II, del Zivilprozessordnung, a mente del quale, quando non vi è ancora un giudizio pendente, una parte può proporre istanza di consulenza tecnica scritta, purché abbia un interesse giuridico all’accertamento: 1) delle condizioni di una persona, ovvero delle condizioni o del valore di una cosa; 2) delle cause di un danno prodotto a una persona o a una cosa, ovvero delle cause del vizio di una cosa; 3) della spesa sostenuta per eliminare il danno prodotto a una persona o a una cosa, ovvero per eliminare il vizio di una cosa.
La stessa disposizione precisa che si presume la sussistenza di un interesse giuridico quando l’accertamento può servire a evitare l’instaurazione di un giudizio contenzioso.
Detto strumento processuale, essendo limitato alla sola consulenza tecnica e avendo una funzione preminentemente deflattiva, può essere considerato come modello di istruzione preventiva “debole”.
3.4.– La novella introdotta nel nostro ordinamento dal d.l. n. 35 del 2005, come convertito, pur raccordandosi con le direttrici di fondo del ricordato disegno di legge delega per la riforma organica del processo civile n. 4578 del 19 dicembre 2003 – il quale, per la sua ampiezza applicativa, si allineava alla logica di generalizzazione propria del modello “forte” del sistema francese –, ha optato per una forma di istruzione preventiva in assenza di periculum in mora più circoscritta – e sostanzialmente coincidente, quanto alla portata applicativa, con quelle delineate dall’art. 11 della ricordata proposta di legge n. 6052, presentata il 20 maggio 1999, e dall’art. 21 del disegno di legge n. 7185, presentato il 7 luglio 2000 – e, dunque, più vicina al modello di istruzione preventiva “debole” di ascendenza tedesca.
3.5.– Una parte della dottrina ha rilevato l’incongruità della scelta legislativa di delimitare lo spazio applicativo dell’istituto selezionando ex ante le situazioni giuridiche soggettive rispetto alle quali è ammesso, e ha proposto di superare tale formulazione ricorrendo all’interpretazione estensiva o al procedimento analogico ovvero attribuendo portata meramente esemplificativa alle ipotesi espressamente considerate dalla norma in scrutinio.
La tesi che reputa praticabile il procedimento analogico esclude che alla disciplina della consulenza conciliativa possa ascriversi carattere eccezionale.
L’art. 696-bis cod. proc. civ., nella parte in cui ammette che, in determinati casi, l’accertamento tecnico possa essere espletato prima del giudizio, perché tale anticipazione può favorire la composizione della controversia, esprimerebbe un principio generale, capace di estendersi per analogia a fattispecie simili, dovendo negarsi che il legislatore, nel menzionare il contratto e il fatto illecito, abbia inteso escludere dall’ambito applicativo dell’istituto le obbligazioni di fonte diversa, non costituendo l’origine causale una valida ragione giustificativa del trattamento processuale differenziato.
Una diversa impostazione è, invece, incline ad escludere che la inequivoca formulazione dell’art. 696-bis, primo comma, primo periodo, cod. proc. civ. si presti ad una dilatazione semantica o all’applicazione analogica a situazioni giuridiche soggettive diverse da quelle ivi esplicitate. Il campo di applicazione privilegiato della consulenza conciliativa sarebbe, quindi, da individuarsi nelle liti relative alla esecuzione di contratti – e, in particolare, di contratti di prestazione d’opera o di appalto, qualora la parte contesti l’esattezza dell’adempimento o le conseguenze risarcitorie dell’inadempimento parziale o totale – ovvero in quelle in materia di responsabilità civile e, in particolare, nelle cause di risarcimento dei danni derivanti dalla circolazione di veicoli. Ciò in quanto in tali controversie le questioni di fatto risultano spesso preponderanti rispetto a quelle di diritto, potendo per questo rivelarsi particolarmente prezioso, anche in vista di una definizione anticipata della lite, l’intervento di un esperto in grado di valutare tecnicamente il fatto dannoso o l’entità del danno, fornendo alle parti una prognosi sufficientemente attendibile sul possibile esito della causa di merito.
3.6.– Anche nella giurisprudenza di merito si registra una tendenza ad interpretare in senso letterale la limitazione oggettiva operata dalla norma in scrutinio e dunque ad ammettere la consulenza in funzione conciliativa soltanto nelle liti in cui si faccia questione di crediti di fonte contrattuale ed extracontrattuale, denegandola, per converso, in relazione alle pretese creditorie nascenti da altre fattispecie, come l’indebito oggettivo (Tribunale di Bologna, sezione seconda civile, ordinanza 4 febbraio 2022; Tribunale di Torino, sezione prima civile, ordinanza 28 ottobre 2019; Tribunale di Trani, ordinanza 12 febbraio 2009).
3.7.– Tanto premesso, non può trascurarsi di rilevare come il legislatore, per definire l’ambito di applicazione della consulenza tecnica preventiva, ricorra ad un duplice criterio selettivo, individuando sia il tipo di attività demandata all’ausiliario del giudice (l’«accertamento» e la «determinazione»), sia le situazioni soggettive i cui fatti costitutivi possono formare oggetto di indagine e valutazione tecnica.
La disposizione in oggetto si riferisce ad una precisa classe di diritti soggettivi, quelli di credito, per di più ritagliando, all’interno di questa, una sottoclasse ancora più specificamente connotata sotto il profilo genetico, ossia quella dei crediti che sorgono «dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o fa fatto illecito».
3.8.– Alla luce delle considerazioni che precedono, certamente plausibile è l’esito ermeneutico al quale il giudice a quo è pervenuto – argomentando pianamente sulla base del dato letterale –, in ordine alla impossibilità di sperimentare una interpretazione costituzionalmente orientata che implichi l’espansione semantica o l’applicazione analogica della disposizione oggetto di censura.
4.– Tanto chiarito, le questioni sono fondate in riferimento ad entrambi i parametri invocati dal rimettente.
4.1.– Come recentemente ribadito da questa Corte, con la consulenza tecnica conciliativa «il legislatore ha in sostanza offerto alle parti la possibilità di ottenere, in via preventiva rispetto all’instaurazione del processo, una valutazione tecnica in ordine all’esistenza del fatto e all’entità del danno, nell’auspicio che, proprio sulla scorta di tale valutazione, le parti possano trovare un accordo – al quale il giudice attribuisce con decreto efficacia di titolo esecutivo – che renda superflua l’instaurazione del giudizio contenzioso» (sentenza n. 202 del 2023; nello stesso senso la sentenza n. 87 del 2021).
Nel caso, poi, in cui non si pervenga a tale accordo, la relazione depositata dall’ausiliario può essere acquisita, su istanza della parte interessata e previo vaglio di ammissibilità e rilevanza, nel successivo processo di merito, con l’efficacia propria della consulenza tecnica d’ufficio ex artt. 191 e seguenti cod. proc. civ.
4.2.– Il procedimento introdotto dall’art. 696-bis cod. proc. civ. si inscrive, dunque, nella tendenza legislativa, registratasi negli ultimi anni, alla diffusione e al potenziamento dei rimedi di Alternative dispute resolution (ADR), di cui sono espressione paradigmatica le procedure di mediazione, di negoziazione assistita e di trasferimento della lite alla sede arbitrale.
In tale cornice si inserisce anche la recente riforma attuata con il decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149 (Attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata), la quale ha ampliato e reso più vantaggioso, anche sul piano fiscale, il ricorso ai predetti mezzi di risoluzione concordata delle controversie.
La propensione del legislatore a promuovere simili forme definitorie poggia sulla «consapevolezza, sempre più avvertita, che, a fronte di una crescente domanda di giustizia, anche in ragione del riconoscimento di nuovi diritti, la giurisdizione sia una risorsa non illimitata e che misure di contenimento del contenzioso civile debbano essere messe in opera» (sentenza n. 77 del 2018).
Il favor per la risoluzione concordata delle liti, sia essa affidata al giudice o a soggetti estranei all’ordine giudiziario, risponde, dunque, principalmente all’esigenza pubblicistica di deflazione del carico degli uffici giudiziari, strumentale all’interesse generale dell’ordinamento, rilevante anche sul piano costituzionale, alla ragionevole durata del processo (sentenza n. 202 del 2023).
4.3.– Nel sistema delle misure di definizione conciliativa delle controversie è possibile distinguere tra meccanismi che, ponendosi all’esterno del processo contenzioso, consentono una composizione del conflitto alternativa all’accesso alla giurisdizione, e forme di conciliazione endoprocessuale, al cui fruttuoso esperimento segue una deviazione dello stesso giudizio contenzioso verso una regolamentazione concordata della lite sostitutiva della decisione.
4.3.1.– Tra questi ultimi, fondamentale rilievo sistematico assume la conciliazione giudiziale, con la quale, per mezzo dell’attività del giudice svolta in posizione di terzietà, le parti addivengono ad un accordo sulla res controversa produttivo di effetti sostanziali e processuali, coincidenti, rispettivamente, con l’attuazione del rapporto giuridico in contesa secondo l’assetto concordato e con la cessazione del processo in corso e la formazione di un titolo esecutivo.
La conciliazione giudiziale, pur offrendo «la possibilità di una risoluzione conveniente e rapida delle controversie nel processo analoga a quella realizzata in sede extragiudiziaria dalla Alternative Dispute Resolution – ADR» (sentenza n. 110 del 2013), non si traduce, quindi, soltanto in una definizione negoziata della lite, essendo le determinazioni delle parti coadiuvate dall’intervento dell’organo giurisdizionale.
Quando esperisce il tentativo di conciliazione (artt. 185 e 420 cod. proc. civ.) o formula la proposta conciliativa (art. 185-bis cod. proc. civ.), il giudice esercita, infatti, una funzione che, pur essendo riconducibile all’aequitas, intesa come giustizia del caso singolo, costituisce comunque estrinsecazione della potestà giurisdizionale e, per tale ragione, rinviene nella imparzialità, costituzionalmente sancita, una fondamentale garanzia.
In aggiunta, al giudice compete sia di verificare ex ante che la conciliazione verta su situazioni giuridiche soggettive disponibili, sia di convalidare ex post il regolamento di interessi divisato nell’accordo che pone fine al giudizio.
4.4.– Tali connotati strutturali ed effettuali si rinvengono anche nella fattispecie, ora all’esame, disciplinata dall’art. 696-bis cod. proc. civ.
La definizione concordata della lite si inserisce in un articolato procedimento in cui l’attività conciliativa è svolta dal consulente tecnico sotto la direzione del magistrato ed è preceduta e seguita da statuizioni giudiziali.
4.4.1.– Al giudice è, in primo luogo, demandata la verifica dei presupposti di ammissibilità della consulenza, la quale investe, da un lato, la non manifesta inammissibilità o infondatezza delle domande oggetto della eventuale futura causa, e, dall’altro, la rilevanza, rispetto al potenziale giudizio di merito, dei fatti per i quali si richiede l’indagine peritale, nonché la effettiva necessità di ricorrere alle conoscenze esperte per il relativo accertamento.
Lo stesso giudice deve, inoltre, verificare se la controversia, come sommariamente delineata nel ricorso ex art. 696-bis cod. proc. civ., si presti ad una soluzione conciliativa, e che non siano ravvisabili ostacoli giuridici alla conclusione di un accordo transattivo.
4.4.2.– Se ammette la consulenza, il giudice deve nominare l’esperto e formulare i quesiti in modo da circoscrivere l’incarico peritale alla sola verifica dei fatti rilevanti e necessitanti di valutazione tecnico-scientifica, ovvero alla loro diretta percezione, quando si tratti di elementi fattuali che solo un tecnico sia in grado di accertare per mezzo delle conoscenze e degli strumenti di cui dispone (ex multis, Corte di cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 3 luglio 2020, n. 13736; sezione seconda civile, sentenza 22 gennaio 2015, n. 1190).
4.4.3.– Nel caso in cui il tentativo di conciliazione produca esito positivo, al giudice spetta l’ulteriore pregnante verifica – che concerne la disponibilità delle posizioni soggettive investite dalla transazione e la conformità dell’accordo raggiunto ai presupposti della consulenza tecnica preventiva – prodromica all’attribuzione al verbale di conciliazione dell’efficacia propria del titolo esecutivo.
4.5.– Tale articolato procedimento risponde alla specifica esigenza della parte interessata di conseguire la soddisfazione dei propri diritti e interessi disponibili senza accedere al giudizio contenzioso.
Analogamente alla conciliazione giudiziale, la composizione della lite raggiunta in seno al procedimento ex art. 696-bis cod. proc. civ. non costituisce un’alternativa alla tutela giurisdizionale, ma una diversa forma con la quale la giurisdizione realizza la propria funzione.
In definitiva, la consulenza tecnica preventiva consente una tutela complementare a quella accordata attraverso la decisione giudiziale.
Essa costituisce, pertanto, una peculiare declinazione del diritto di azione garantito dall’art. 24 Cost., senza che a tale inquadramento osti la natura processuale dell’interesse protetto (sentenza n. 202 del 2023) o l’assenza di contenuto decisorio nelle statuizioni giudiziali che impostano l’accertamento tecnico e la conciliazione che ne scaturisce.
5.– È appunto da quanto fin qui considerato che discende la conclusione, cui questa Corte è pervenuta, secondo la quale la limitazione dell’ambito oggettivo di operatività della consulenza preventiva operato dalla disposizione in scrutinio contrasta con l’art. 3 Cost., sia sotto il profilo dell’eguaglianza, sia sotto quello della ragionevolezza, e con l’art. 24 Cost., in quanto realizza una differenziazione nella tutela dei diritti non supportata da una ragionevole giustificazione.
5.1.– Come dianzi evidenziato, la ragione giustificatrice dell’art. 696-bis cod. proc. civ. va rinvenuta nella esigenza di aggiungere alla tutela giurisdizionale una forma complementare di attuazione dei diritti, per mezzo della quale il conflitto è definito in via negoziale, ma all’esito di un apposito procedimento nel quale la conciliazione è coadiuvata dall’esperto in posizione di terzietà ed è impostata, diretta e convalidata dal giudice.
Ebbene, la scelta di limitare lo strumento in esame alle sole controversie relative ai crediti ex contractu ed ex delicto, così privando delle peculiari utilità connesse al suo esperimento i titolari di tutti gli altri crediti di fonte diversa, non rinviene né nel titolo né nel contenuto dei diritti ammessi una valida ragione di diversificazione.
Le obbligazioni correlate ai diritti di credito esclusi dall’art. 696-bis, primo comma, primo periodo, cod. proc. civ. condividono con quelle collegate ai crediti dallo stesso ammessi la substantia di specifici obblighi giuridici in forza dei quali un soggetto è tenuto ad una determinata prestazione patrimoniale per soddisfare l’interesse di un altro soggetto.
D’altro canto, l’obbligazione costituisce una nozione giuridica unitaria, che si identifica autonomamente, a prescindere dalla fonte dalla quale scaturisce.
5.2.– Deve, ancora, considerarsi che la discrezionalità di cui gode il legislatore nella conformazione degli istituti processuali incontra il limite della non manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle soluzioni adottate (ex plurimis, sentenze n. 67 del 2023, n. 247, n. 230 e n. 74 del 2022, n. 213 del 2021).
Per converso, la previsione oggetto di censura palesa un deficit di ragionevolezza strumentale, posto che la selezione delle fattispecie ammesse al rimedio si rivela eccessiva – sacrificando inutilmente e arbitrariamente la posizione dei titolari dei crediti esclusi – rispetto alla pur legittima finalità di contenere l’impiego dell’istituto in modo da evitare approfondimenti tecnici inutili o meramente esplorativi.
Alla segnalata esigenza sopperisce, infatti, la verifica di ammissibilità affidata al giudice, la quale, come sopra evidenziato, investe sia la rilevanza dell’accertamento rispetto all’eventuale futuro giudizio di merito, sia la coincidenza del quid disputatum con i soli aspetti tecnici della questione di fatto.
5.3.– In ogni caso, il limite alla discrezionalità del legislatore nella conformazione degli istituti processuali è da ritenersi, nella specie, valicato in quanto, per i titolari dei crediti non ricompresi nell’ambito applicativo dell’art. 696-bis cod. proc. civ., la delimitazione oggettiva operata dal primo comma, primo periodo, di tale disposizione si traduce nella negazione di una forma di tutela dotata di specifica utilità e, in considerazione delle sue caratteristiche di giurisdizionalità, non surrogabile dalle pur contigue misure di composizione alternativa delle liti, così determinando «un’ingiustificabile compressione del diritto di agire» (ex multis, sentenze n. 128 e n. 87 del 2021, n. 271 del 2019, n. 225 del 2018, n. 44 del 2016 e n. 335 del 2004).
6.– In conclusione, la disposizione censurata, ammettendo la consulenza tecnica preventiva per i soli crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni di fonte contrattuale o da fatto illecito, e non anche per tutti i diritti di credito derivanti da ogni altro atto o fatto idoneo a produrli in conformità dell’ordinamento giuridico, secondo la indicazione fornita dall’art. 1173 cod. civ., dà luogo ad una differenziazione priva di una ragionevole giustificazione e alla violazione, in danno dei titolari dei crediti esclusi, della garanzia ex art. 24 Cost., cui non osta l’ampia discrezionalità del legislatore in ambito processuale, che pure questa Corte ha più volte affermato.
6.1.– Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 696-bis, primo comma, primo periodo, cod. proc. civ., per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui dopo le parole «da fatto illecito» non prevede «o da ogni altro atto o fatto idoneo a produrli in conformità dell’ordinamento giuridico».