REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Daria de PRETIS; Giudici : Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 3, della legge della Regione Puglia 2 maggio 2017, n. 9 (Nuova disciplina in materia di autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio, all’accreditamento istituzionale e accordi contrattuali delle strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private), nel testo anteriore alle modifiche introdotte dall’art. 49, comma 1, della legge della Regione Puglia 30 novembre 2019, n. 52 (Assestamento e variazione al bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2019 e pluriennale 2019-2021), e dall’art. 9, comma 1, della legge della Regione Puglia 7 luglio 2020, n. 18 (Misure di semplificazione amministrativa in materia sanitaria), promosso dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, sezione terza, nel procedimento vertente tra Ars Radiologica srl e l’Istituto Santa Chiara srl e altri, con ordinanza del 24 dicembre 2021, iscritta al n. 13 del registro ordinanze 2022 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell’anno 2022.
Visti gli atti di costituzione di Ars Radiologica srl, della Regione Puglia e dell’Istituto Santa Chiara srl;
udito nell’udienza pubblica del 24 gennaio 2023 il Giudice relatore Giulio Prosperetti;
uditi gli avvocati Gianluigi Pellegrino per Ars Radiologica srl, Isabella Fornelli per la Regione Puglia e Vincenzo Di Gioia per l’Istituto Santa Chiara srl;
deliberato nella camera di consiglio del 25 gennaio 2023.
Ritenuto in fatto
1.– Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, sezione terza, ha sollevato, con ordinanza del 24 dicembre 2021 (reg. ord. n. 13 del 2022), questione di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 3, della legge della Regione Puglia 2 maggio 2017, n. 9 (Nuova disciplina in materia di autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio, all’accreditamento istituzionale e accordi contrattuali delle strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private), nella versione antecedente alle modifiche introdotte dagli artt. 49, comma 1, della legge della Regione Puglia 30 novembre 2019, n. 52 (Assestamento e variazione al bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2019 e pluriennale 2019-2021) e 9, comma 1, della legge della Regione Puglia 7 luglio 2020, n. 18 (Misure di semplificazione amministrativa in materia sanitaria), disposizioni quest’ultime già dichiarate costituzionalmente illegittime, rispettivamente, dalle sentenze di questa Corte n. 36 e n. 195 del 2021.
Il giudice rimettente ritiene che la norma in questione, applicabile al giudizio nella formulazione vigente ratione temporis, prevedendo che «[l]’autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio non produce effetti vincolanti ai fini della procedura di accreditamento istituzionale, che si fonda sul criterio di funzionalità rispetto alla programmazione regionale, salvo che non si tratti di modifiche, ampliamento e trasformazione di cui all’articolo 5, comma 2, inerenti strutture già accreditate», stabilisca, nell’inciso finale, una serie di ipotesi di deroga al principio per cui l’autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio non produce effetti vincolanti ai fini della procedura di accreditamento istituzionale, tali da risultare in palese contrasto con gli artt. 8, 8-bis, 8-ter e 8-quater del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), che dettano i principi fondamentali stabiliti nella materia «tutela della salute» dalla legislazione statale in tema di rapporto tra autorizzazione ed accreditamento di strutture sanitarie, con la conseguente violazione dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione.
1.1.– Il giudice rimettente riferisce di essere stato adito da Ars Radiologica srl per la riforma della sentenza n. 784 del 2021 del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, sezione seconda, resa fra Ars Radiologica srl, l’Istituto Santa Chiara srl e la Regione Puglia, con cui il giudice di prime cure ha accolto il ricorso principale formulato dall’Istituto Santa Chiara srl nella parte relativa all’azione di annullamento e, per l’effetto, ha annullato la determinazione regionale impugnata, respingendo la domanda risarcitoria e dichiarando irricevibile il ricorso incidentale.
Più precisamente, l’Istituto Santa Chiara srl, titolare di un centro diagnostico nel Comune di Castrignano de’ Greci, accreditato istituzionalmente con l’Azienda sanitaria locale di Lecce nella branca specialistica ambulatoriale della diagnostica per immagini con utilizzo di grandi macchine, aveva impugnato – formulando altresì istanza risarcitoria – la determinazione dirigenziale della Regione Puglia 29 aprile 2019, n. 103 con cui erano stati concessi, con un unico provvedimento, l’autorizzazione all’esercizio e l’accreditamento istituzionale alla società Ars Radiologica srl, struttura sanitaria privata con sede nel Comune di Ruffano, per l’attività specialistica ambulatoriale di diagnostica per immagini con uso di grandi macchine, in aggiunta all’accreditamento già posseduto da tale struttura per l’attività specialistica ambulatoriale di diagnostica per immagini senza uso di grandi macchine.
La detta Ars Radiologica srl, all’esito di un pregresso contenzioso, aveva conseguito il parere di compatibilità all’installazione delle suddette apparecchiature di cui alla determinazione dirigenziale della Regione Puglia 27 febbraio 2017, n. 38, che escludeva espressamente, al contempo, la possibilità di conseguire l’accreditamento per saturazione del relativo fabbisogno e, in forza di tale parere, era stata rilasciata dal Comune di Ruffano, in data 28 luglio 2017, l’autorizzazione alla realizzazione del programmato ampliamento mediante installazione di due grandi macchine.
Con la menzionata determinazione dirigenziale regionale n. 103 del 2019, oggetto della detta impugnativa da parte dell’Istituto Santa Chiara srl, la Regione Puglia aveva dato rilievo al mutamento del quadro normativo e, in particolare, all’art. 19, comma 3, della legge reg. Puglia n. 9 del 2017 che prevedeva, nella versione ratione temporis applicabile, che «[l]’autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio non produce effetti vincolanti ai fini della procedura di accreditamento istituzionale, che si fonda sul criterio di funzionalità rispetto alla programmazione regionale, salvo che non si tratti di modifiche, ampliamento e trasformazione di cui all’articolo 5, comma 2, inerenti strutture già accreditate».
Tanto premesso, ritenendo la questione rilevante e non manifestamente infondata, il Consiglio di Stato ha sospeso il giudizio e sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 3, della legge reg. Puglia n. 9 del 2017.
1.2.– Sotto il profilo della rilevanza, il Consiglio di Stato osserva come la determinazione dirigenziale reg. Puglia n. 103 del 2019 costituisca provvedimento applicativo delle previsioni contenute nel censurato art. 19, comma 3, che pone, in presenza di strutture già accreditate per altre attività, l’obbligo dell’amministrazione di prendere atto, ai fini del rilascio di un ulteriore provvedimento di accreditamento, della già intervenuta autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio di attività costituenti modifiche, ampliamento e trasformazione di cui all’art. 5, comma 2, della legge reg. Puglia n. 9 del 2017.
In questi casi, ad avviso del giudice rimettente, verrebbe introdotta una deroga al principio fondamentale stabilito nella materia «tutela della salute» dalla legislazione statale secondo cui l’autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio delle strutture sanitarie e socio-sanitarie non produce effetti vincolanti ai fini della procedura di accreditamento istituzionale, che si fonda sul criterio di funzionalità rispetto alla programmazione regionale, trasformando, in contrasto con la disciplina statale, il provvedimento di rilascio dell’accreditamento in un atto dovuto e a contenuto vincolato.
Da ciò deriverebbe, ad avviso del giudice a quo, la rilevanza della questione di legittimità costituzionale, in quanto l’eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 19, comma 3, della legge reg. Puglia n. 9 del 2017, quale fondamento di legittimazione della deroga di cui la Regione Puglia ha fatto applicazione, comporterebbe l’illegittimità della suddetta determinazione dirigenziale regionale n. 103 del 2019, che di essa costituisce diretta e immediata espressione esecutiva.
Né assumerebbe rilievo, ad avviso del rimettente, la circostanza che la norma in argomento, vigente all’atto dell’adozione dell’atto impugnato, sia stata successivamente sostituita da altra.
Ciò in quanto questa Corte ha costantemente affermato la persistenza della rilevanza della questione anche nel caso in cui la norma sottoposta a scrutinio sia abrogata o sostituita da una successiva, dovendo la legittimità dell’atto essere esaminata, in virtù del principio tempus regit actum, con riguardo alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della sua adozione (sono citate, ex multis, sentenze n. 78 del 2013 e n. 177 del 2012).
Neppure, a parere del Consiglio di Stato, sarebbe condivisibile nel caso in esame l’interpretazione costituzionalmente orientata sostenuta dal giudice di prime cure ovvero qualsivoglia altra interpretazione adeguatrice, contrastandovi il chiaro tenore letterale della disposizione.
Il giudice rimettente sostiene, infatti, che il giudice di primo grado avrebbe trascurato la circostanza che nella detta disciplina il significato delle accezioni «modifiche, ampliamento e trasformazione» delle strutture sanitarie è stato fatto oggetto di diretta definizione da parte del legislatore nell’art. 5, comma 2, della legge reg. Puglia n. 9 del 2017, a cui il censurato art. 19, comma 3, della medesima legge regionale rinvia e a cui non sarebbe possibile sovrapporre, a suo parere, «un’autonoma perimetrazione contenutistica avulsa dalle indicazioni direttamente evincibili da tali precetti».
1.3.– Con riferimento alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice a quo ritiene, invece, che la disposizione censurata si ponga in contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione ai principi fondamentali posti dalla legge statale nella materia «tutela della salute», come declinati agli artt. 8, 8-bis, 8-ter e 8-quater del d.lgs. n. 502 del 1992, per le medesime ragioni già evidenziate da questa Corte nelle sentenze n. 195 e n. 36 del 2021, non direttamente applicabili al caso, ma replicabili nei principi ivi affermati, siccome riferiti a una fattispecie parimenti governata «da una vincolante sequenza di effetti giuridici ampliativi, geneticamente collegati in via ordinaria a distinti e autonomi provvedimenti, ma qui scandita, per effetto di derogatorie previsioni normative regionali, da rigidi automatismi ingeneranti una non consentita sovrapposizione tra autorizzazione e accreditamento».
Ad avviso del Consiglio di Stato, infatti, la competenza regionale in materia di autorizzazione ed accreditamento di istituzioni sanitarie private deve essere inquadrata nella più generale potestà legislativa concorrente nella materia «tutela della salute», che vincola le regioni al rispetto dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato che, in particolare, con riferimento al caso in esame, pongono in rapporto di autonomia i provvedimenti di autorizzazione e di accreditamento delle strutture sanitarie.
A parere del rimettente, pertanto, la questione sollevata dovrebbe ritenersi del tutto analoga rispetto a quelle scrutinate da questa Corte nelle pronunce già ricordate, venendo in rilievo una serie di ipotesi, incentrate su un’autorizzazione già rilasciata, che vincolerebbe, secondo la legge regionale, il successivo provvedimento di accreditamento.
2.– Si è costituita in giudizio Ars Radiologica srl, ricorrente nel giudizio principale, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o non fondata.
La parte eccepisce, innanzitutto, l’inammissibilità della questione per difetto di rilevanza, in quanto, a suo avviso, il giudice a quo avrebbe offerto una insufficiente descrizione della fattispecie e del complessivo quadro normativo regionale, omettendo, in particolare, di considerare che l’atto censurato risulta fondato non solo sull’art. 19, comma 3, della legge reg. Puglia n. 9 del 2017, ma anche su altre distinte e concorrenti previsioni normative (in particolare l’art. 3, comma 32, della legge della Regione Puglia 31 dicembre 2007, n. 40, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio previsione 2008 e bilancio pluriennale 2008-2010 della Regione Puglia», e gli artt. 24 e 25 della legge reg. Puglia n. 9 del 2017).
La difesa di Ars Radiologica srl sostiene, inoltre, che, sulla base delle previsioni del regolamento della Regione Puglia 2 marzo 2006, n. 3, recante «Art. 3, comma 1, lettera a), punto 1) della L.r. 28 maggio 2004, n. 8. Fabbisogno prestazioni per il rilascio della verifica di compatibilità e dell’accreditamento istituzionale alle strutture sanitarie e socio-sanitarie», il «“fabbisogno programmato”», con specifico riferimento alle prestazioni diagnostiche con grandi macchine, debba ritenersi coincidente con il «“fabbisogno complessivo”» considerato per il rilascio del parere di compatibilità ai fini dell’autorizzazione alla realizzazione ed esercizio.
In altri termini, secondo la parte, con esclusivo riferimento alle grandi macchine, la disciplina regionale opererebbe una equiparazione verso l’alto, nel senso che sono le strutture autorizzate a coincidere con quelle anche accreditate, sicché verrebbe inciso, rispetto al paradigma delineato dai principi ricavabili dalle norme nazionali, solo l’ambito meno vasto delle mere autorizzazioni per le grandi macchine, essendo però sempre richiesto che le stesse rispondano ai requisiti ulteriori previsti per l’accreditamento, non essendo contemplata l’ipotesi della sufficienza del possesso dei requisiti «minimi» ai meri fini della sola autorizzazione per operare nel libero mercato sanitario.
In questa prospettiva, la parte sostiene, inoltre, che nelle disposizioni regionali censurate non sarebbe ravvisabile alcun «automatismo» che ridondi in pregiudizio, in considerazione della necessaria verifica del possesso dei requisiti essenziali ed «ulteriori» prescritti ai fini dell’accreditamento e a tutela della salute e quindi aggiuntivi alla verifica di quelli «minimi» di sicurezza e qualità prescritti per il procedimento di autorizzazione.
Sulla base di tali considerazioni, la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Consiglio di Stato dovrebbe, pertanto, ad avviso della difesa di Ars Radiologica srl, ritenersi non fondata, posto che la disciplina regionale renderebbe, in realtà, più selettivo il novero dei professionisti e delle strutture operanti, nel pieno rispetto dei principi fondamentali stabiliti dalla legge nazionale.
3.– Si è costituito in giudizio l’Istituto Santa Chiara srl, chiedendo di dichiarare l’inammissibilità della questione per sopravvenuto difetto di rilevanza ovvero, in via subordinata e alternativa, di accogliere la questione e per l’effetto dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 19, comma 3, della legge reg. Puglia n. 9 del 2017, nella versione antecedente alle modifiche introdotte dagli artt. 49, comma 1, della legge reg. Puglia n. 52 del 2019 e 9, comma 1, della legge reg. Puglia n. 18 del 2020.
Ad avviso della parte, la sentenza n. 36 del 2021 non avrebbe dichiarato l’integrale illegittimità costituzionale dell’art. 19, comma 3, come sostituito dall’art. 49, comma l, della legge reg. Puglia n. 52 del 2019, ma solo limitatamente alle parole «“salvo che” e seguenti», conservando, pertanto, il nucleo essenziale della disposizione, da sempre presente nella legislazione sanitaria pugliese, in quanto già enunciato dall’art. 20, comma 3, della previgente legge della Regione Puglia 28 maggio 2004, n. 8 (Disciplina in materia di autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio, all’accreditamento istituzionale e accordi contrattuali delle strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private), ai sensi del quale «[l]’autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio non produce effetti vincolanti ai fini della procedura di accreditamento istituzionale, che si fonda sul criterio di funzionalità rispetto alla programmazione regionale».
L’eliminazione di tutto ciò che segue le parole «salvo che» dal testo dell’art. 19, comma 3, della legge reg. Puglia n. 9 del 2017 avrebbe, ad avviso della parte, riportato la disposizione alla formulazione del previgente art. 20, comma 3, della legge reg. Puglia n. 8 del 2004, senza soluzione di continuità, rendendo così la questione sollevata dal Consiglio di Stato inammissibile per difetto di rilevanza.
In via gradata, la parte sostiene la fondatezza della questione di legittimità costituzionale, alla luce delle richiamate pronunce di questa Corte, evidenziando, in particolare, che il criterio di accreditamento censurato dalla sentenza n. 36 del 2021 e quello che ha determinato l’accreditamento di Ars Radiologica srl sono identici, in quanto l’art. 19, comma 3, della legge reg. Puglia n. 9 del 2017 disponeva una deroga non consentita ai principi statali, sia nel testo applicato dalla determinazione dirigenziale regionale n. 103 del 2019, che nella successiva versione impugnata dal Presidente del Consiglio dei ministri in via principale e censurata dalla sentenza sopra indicata.
4.– Si è costituita in giudizio la Regione Puglia, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o non fondata.
La difesa regionale contesta, in particolare, l’ammissibilità della questione sotto lo specifico profilo della non manifesta infondatezza, rilevando che, secondo il costante orientamento di questa Corte, «l’omessa o insufficiente motivazione sulla non manifesta infondatezza della questione rende la stessa inammissibile» (sentenza n. 234 del 2020), in quanto priva «di un’argomentazione esaustiva delle ragioni del preteso contrasto con i parametri evocati» (ordinanza n. 202 del 2018).
Ad avviso della parte, infatti, il Consiglio di Stato non avrebbe esaminato l’argomentazione relativa al fabbisogno, unico e indistinto, previsto dal regolamento reg. Puglia n. 3 del 2006 sia per l’autorizzazione all’esercizio che per l’accreditamento istituzionale, in relazione alle strutture e studi che erogano prestazioni di assistenza specialistica in regime ambulatoriale di diagnostica per immagini, con utilizzo delle grandi macchine.
In ogni caso, secondo la Regione, l’art. 19, comma 3, della legge reg. Puglia n. 9 del 2017, nella versione in vigore dal 2 maggio 2017 (data della sua emanazione) e fino alla modifica di cui all’art. 49, comma 1, della legge reg. Puglia n. 52 del 2019, che ha sostituito le ipotesi di deroga indicate nell’art. 5, comma 2, della stessa legge reg. Puglia n. 9 del 2017 con quelle specifiche attinenti alle grandi macchine e alla tomografia a emissione di positroni (PET), non violerebbe il criterio di funzionalità dell’accreditamento istituzionale rispetto alla programmazione regionale, che al contrario sarebbe immanente alla norma, in quanto la medesima troverebbe applicazione a tipologie di strutture il cui fabbisogno, ai fini dell’autorizzazione all’esercizio, coincide con il fabbisogno previsto ai fini dell’accreditamento istituzionale secondo le disposizioni del regolamento regionale n. 3 del 2006.
Da ciò deriverebbe, a parere della difesa regionale, che non risulta configurabile alcun paventato automatismo nella previsione dell’accreditabilità degli ampliamenti previsti nella parte finale dell’art. 19, comma 3, della legge reg. Puglia n. 9 del 2017, considerato che la coincidenza dei due diversi fabbisogni (di esercizio e di accreditamento) è frutto di una scelta programmatoria esplicata dalla Regione nel regolamento n. 3 del 2006 e non è riconducibile alla disposizione di cui all’art. 19, comma 3, della legge reg. Puglia n. 9 del 2017.
5.– Nell’imminenza dell’udienza pubblica, le parti hanno depositato memorie integrative, insistendo sulle conclusioni già formulate.
Considerato in diritto
1.– Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, sezione terza, ha sollevato, con ordinanza del 24 dicembre 2021 (reg. ord. n. 13 del 2022), questione di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 3, della legge reg. Puglia n. 9 del 2017, nella versione vigente all’epoca dell’adozione dell’atto impugnato nel giudizio principale, ossia quella antecedente alle modifiche introdotte dagli artt. 49, comma 1, della legge reg. Puglia n. 52 del 2019 e 9, comma 1, della legge reg. Puglia n. 18 del 2020, ai sensi della quale, con riferimento alle strutture sanitarie, «[l]’autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio non produce effetti vincolanti ai fini della procedura di accreditamento istituzionale, che si fonda sul criterio di funzionalità rispetto alla programmazione regionale, salvo che non si tratti di modifiche, ampliamento e trasformazione di cui all’articolo 5, comma 2, inerenti strutture già accreditate».
Il rimettente dubita della legittimità costituzionale della suddetta norma in quanto questa, nella sua parte finale, laddove richiama le ipotesi indicate dall’art. 5, comma 2, della stessa legge reg. Puglia n. 9 del 2017, derogherebbe al principio fondamentale della legislazione statale nella materia «tutela della salute», desumibile dagli artt. 8, 8-bis, 8-ter e 8-quater del d.lgs. n. 502 del 1992, che stabilisce l’autonomia, individuandone le rispettive differenze, tra il procedimento di autorizzazione e quello di accreditamento istituzionale delle strutture sanitarie, violando così l’art. 117, terzo comma, Cost.
Il richiamato art. 5, comma 2, della legge reg. Puglia n. 9 del 2017, alle cui particolari ipotesi rinvia la norma censurata nella parte in cui collega all’autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio effetti vincolanti ai fini dell’accreditamento, si riferisce, peraltro, non solo all’ambito della diagnostica per immagini, sia con grandi macchine che senza di queste, a cui erano limitate le tre fattispecie introdotte dall’art. 49, comma 1, della legge reg. Puglia n. 52 del 2019, già dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla sentenza di questa Corte n. 36 del 2021.
2.– Le eccezioni di inammissibilità della questione sollevate dalle parti non sono fondate.
2.1.– Va rigettata innanzi tutto l’eccezione di inammissibilità della questione per difetto di rilevanza avanzata dalla difesa di Ars Radiologica srl, secondo la quale il giudice a quo avrebbe appunto offerto «una insufficiente descrizione della fattispecie e del complessivo quadro normativo regionale».
Ai fini dell’apprezzamento del requisito della rilevanza nei giudizi incidentali, questa Corte ha ripetutamente affermato che è fondamentale la valutazione che il giudice a quo deve effettuare in ordine alla possibilità che il procedimento pendente possa o meno essere definito indipendentemente dalla soluzione della questione sollevata, potendo questa Corte interferire su tale giudizio di rilevanza solo se esso, ictu oculi, appaia assolutamente privo di fondamento (ex multis, sentenze n. 258 del 2021 e n. 208 del 2019).
Nel caso di specie l’ordinanza di rimessione espone diffusamente le ragioni per cui la decisione sulla questione di legittimità costituzionale sollevata risulta pregiudiziale per la definizione del processo principale, evidenziando, in particolare, che l’eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale della parte finale dell’art. 19, comma 3, della legge reg. Puglia n. 9 del 2017, laddove questo stabilisce una serie di ipotesi di deroga al principio di autonomia tra procedimento di autorizzazione e procedimento di accreditamento, comporterebbe la conseguente illegittimità della determinazione dirigenziale regionale n. 103 del 2019, atto impugnato nel giudizio principale, che di tale disposizione costituisce, a parere del rimettente, diretta e immediata espressione esecutiva.
2.2.– Va, altresì, rigettata l’eccezione di inammissibilità per sopravvenuto difetto di rilevanza della questione, proposta dalla difesa dell’Istituto Santa Chiara srl, secondo cui, a seguito della sentenza di questa Corte n. 36 del 2021, sarebbe stato espunto dall’ordinamento giuridico non solo il testo dell’art. 19, comma 3, come sostituito dall’art. 49, comma l, della legge reg. Puglia n. 52 del 2019, ma anche la versione precedente della disposizione.
La citata sentenza ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 49, comma 1, della legge reg. Puglia n. 52 del 2019 che, il 30 novembre del 2019, aveva sostituito la parte finale dell’art. 19, comma 3, della legge reg. Puglia n. 9 del 2017, ma non ha inciso sul testo previgente di quest’ultima norma, che non era stato all’epoca tempestivamente impugnato dal Presidente del Consiglio dei ministri.
La dichiarazione di illegittimità costituzionale è, infatti, limitata alla norma impugnata e non può estendersi alla previgente versione della disposizione, in mancanza di un’autonoma impugnazione.
2.3.– Va rigettata, infine, anche l’eccezione di inammissibilità avanzata dalla difesa della Regione Puglia.
Questa Corte ha, più volte, affermato che si configura un’ipotesi di inammissibilità della questione, qualora il giudice non fornisca una motivazione adeguata sulla non manifesta infondatezza della stessa, limitandosi a evocare i parametri costituzionali, senza argomentare in ordine alla loro violazione (ex plurimis, sentenze n. 192 del 2016 e n. 70 del 2015; ordinanze n. 36 del 2015 e n. 158 del 2011).
Nel caso in esame, le pretese carenze argomentative prospettate dalla difesa regionale non inficiano l’ammissibilità della questione, non trattandosi di lacune tali da rendere oscuro od impreciso il senso delle censure avanzate dal giudice a quo.
Le osservazioni della difesa regionale, fondate sulla ritenuta coincidenza dei due diversi fabbisogni (quello relativo al procedimento di autorizzazione e quello relativo all’accreditamento), frutto di una scelta programmatoria che avrebbe effettuato la Regione Puglia nel regolamento n. 3 del 2006, attengono, infatti, semmai, al merito della questione, senza determinare una insufficiente motivazione sulla non manifesta infondatezza della questione che renda la stessa inammissibile.
3.– Nel merito, la questione è fondata.
3.1.– La censura avente ad oggetto l’art. 19, comma 3, della legge reg. Puglia n. 9 del 2017 nella sua formulazione originaria, precedente alle modifiche introdotte dall’art. 49, comma 1, della legge reg. Puglia n. 52 del 2019 e dall’art. 9, comma 1, della legge reg. Puglia n. 18 del 2020, riguarda il tema dell’accreditamento istituzionale di strutture sanitarie e socio-sanitarie, di cui all’art. 8-quater del d.lgs. n. 502 del 1992, e risulta imperniata sulla distinzione che corre tra tale istituto e quello dell’autorizzazione, oggetto dell’art. 8-ter dello stesso d.lgs. n. 502 del 1992.
Nella recente sentenza n. 36 del 2021, questa Corte ha affermato che «“il regime delle autorizzazioni e degli accreditamenti costituisce principio fondamentale in materia di tutela della salute”» e che «occorre “distinguere […] gli aspetti che attengono all’‘autorizzazione’, prevista per l’esercizio di tutte le attività sanitarie, da quelli che riguardano l’‘accreditamento’ delle strutture autorizzate”, precisando che, quanto all’‘autorizzazione’, “gli artt. 8, comma 4, e 8-ter, comma 4, del d.lgs. n. 502 del 1992 stabiliscono ‘requisiti minimi’ di sicurezza e qualità per poter effettuare prestazioni sanitarie”, e che, quanto all’‘accreditamento’, “occorrono, invece, ‘requisiti ulteriori’ (rispetto a quelli necessari all’autorizzazione) e l’accettazione del sistema di pagamento a prestazione, ai sensi dell’art. 8-quater del d.lgs. n. 502 del 1992” (sentenza n. 292 del 2012, punto 4 del Considerato in diritto)».
La stessa sentenza chiarisce, inoltre, che «[l]a differenza che intercorre tra l’autorizzazione e l’accreditamento delle strutture sanitarie e socio-sanitarie, in base al sistema delineato dagli artt. 8-bis, 8-ter e 8-quater del d.lgs. n. 502 del 1992, come interpretati dalla giurisprudenza amministrativa, mostra che per la prima i profili rilevanti “sono quelli inerenti il fabbisogno complessivo di prestazioni sanitarie nel territorio e in particolare quelli concernenti la localizzazione delle strutture già presenti”, così da garantire la corretta distribuzione sul territorio “in modo che siano adeguatamente servite tutte le zone, anche quelle a bassa redditività, che in mancanza di tale strumento non sarebbero coperte” (Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 7 marzo 2019, n. 1589). Ai fini dell’accreditamento rileva invece il fabbisogno di assistenza programmato per garantire l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA)».
Ora, mentre nel procedimento di autorizzazione è richiesta una valutazione complessiva, che considera anche le prestazioni ulteriori rispetto a quelle rientranti nei livelli essenziali di assistenza (LEA) e le strutture private non accreditate, nel caso, invece, dell’accreditamento di strutture sanitarie, la valutazione ha ad oggetto «unicamente i LEA e prevede il coinvolgimento, in base all’art. 8-bis, comma 1, del d.lgs. n. 502 del 1992, solo “dei presidi direttamente gestiti dalle aziende unità sanitarie locali, delle aziende ospedaliere, delle aziende universitarie e degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, nonché di soggetti accreditati ai sensi dell’articolo 8-quater, nel rispetto degli accordi contrattuali di cui all’articolo 8-quinquies”, senza quindi considerare le strutture private non accreditate» (sentenza n. 7 del 2021, punto 4.4. del Considerato in diritto).
3.2.– La norma censurata applica il medesimo principio informatore che è alla base delle disposizioni già dichiarate costituzionalmente illegittime dalle sentenze n. 195 e n. 36 del 2021, consistente nella non consentita assimilazione, attesa la diversità dei relativi presupposti di legittimazione, tra l’autorizzazione e l’accreditamento di una struttura sanitaria, ponendosi così in contrasto con il principio generale della legislazione statale ricavabile da una lettura sistemica degli artt. 8, 8-bis, 8-ter e 8-quater del d.lgs. n. 502 del 1992.
La questione in esame appare invero del tutto analoga a quella già oggetto della sentenza n. 36 del 2021 in quanto, anche in questo caso, verrebbe «nuovamente in rilievo una deroga incentrata su un’autorizzazione già rilasciata che vincola, secondo la legge regionale, il successivo accreditamento».
Né, come rilevato anche dal rimettente, è possibile una interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione, ostando a ciò il suo chiaro tenore letterale che, con riferimento ai casi di «modifiche, ampliamento e trasformazione» delle strutture sanitarie, rinvia a specifiche ipotesi fatte oggetto di diretta definizione dall’art. 5, comma 2, della stessa legge reg. Puglia n. 9 del 2017.
3.3.– La norma censurata prefigura, pertanto, nel suo inciso finale, una sostanziale coincidenza tra il provvedimento di autorizzazione di una struttura sanitaria e quello di accreditamento istituzionale, in palese contrasto con il principio fondamentale della legislazione statale, ricavabile, come si è detto, da una lettura sistemica degli artt. 8, 8-bis, 8-ter e 8-quater del d.lgs. n. 502 del 1992, che ne stabilisce invece l’autonomia e le differenze.
E invero, come rilevato anche dal giudice a quo, la disposizione censurata trasforma i provvedimenti di accreditamento, che la disciplina statale configura come discrezionali e fondati su presupposti diversi da quelli stabiliti per l’autorizzazione, in atti dovuti e a contenuto vincolato nelle dette ipotesi di modifiche, ampliamento e trasformazione di cui all’art. 5, comma 2, della legge reg. Puglia n. 9 del 2017, se inerenti strutture già accreditate.
Né tali conclusioni possono essere contestate, in alcun modo, sulla base delle previsioni del regolamento reg. Puglia n. 3 del 2006, ai sensi del quale la difesa della Regione sostiene che il «“fabbisogno programmato”» ai fini dell’accreditamento, con specifico riferimento alle prestazioni diagnostiche con grandi macchine, sarebbe coincidente con il «“fabbisogno complessivo”» richiesto, invece, ai fini dell’autorizzazione.
Va, infatti, ribadito quanto già evidenziato da questa Corte nella sentenza n. 36 del 2021, secondo cui i «due procedimenti – di autorizzazione e di accreditamento – sono, in base ai richiamati principi fondamentali della legge statale, tra di loro autonomi, essendo ciascuno finalizzato alla valutazione di indici di fabbisogno diversi e non sovrapponibili».
Conseguentemente, deve ritenersi preclusa al legislatore regionale la previsione di effetti vincolanti (id est automatici) da attribuire all’autorizzazione ai fini dell’accreditamento istituzionale.
3.4.– Da ciò deriva l’illegittimità costituzionale dell’art. 19, comma 3, della legge reg. Puglia n. 9 del 2017, nella versione antecedente alle modifiche introdotte dagli artt. 49, comma 1, della legge reg. Puglia n. 52 del 2019 e 9, comma 1, della legge reg. Puglia n. 18 del 2020, limitatamente alle parole «, salvo che non si tratti di modifiche, ampliamento e trasformazione di cui all’articolo 5, comma 2, inerenti strutture già accreditate», in quanto la previsione di effetti vincolanti dell’autorizzazione sull’accreditamento si pone in contrasto con il principio fondamentale della legislazione statale, espresso dalle norme interposte richiamate, che impone, invece, l’autonomia dei due procedimenti, con la conseguente violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 19, comma 3, della legge della Regione Puglia 2 maggio 2017, n. 9 (Nuova disciplina in materia di autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio, all’accreditamento istituzionale e accordi contrattuali delle strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private), nel testo vigente anteriormente alle modifiche introdotte dall’art. 49, comma 1, della legge della Regione Puglia 30 novembre 2019, n. 52 (Assestamento e variazione al bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2019 e pluriennale 2019-2021) e dall’art. 9, comma 1, della legge della Regione Puglia 7 luglio 2020, n. 18 (Misure di semplificazione amministrativa in materia sanitaria), limitatamente alle parole: «, salvo che non si tratti di modifiche, ampliamento e trasformazione di cui all’articolo 5, comma 2, inerenti strutture già accreditate».
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 gennaio 2023.
F.to:
Daria de PRETIS, Presidente
Giulio PROSPERETTI, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 28 febbraio 2023.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA