Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 22 luglio 2022 e depositato il successivo 25 luglio (reg. ric. n. 44 del 2022), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 1, lettere c) e g), e 11, comma 1, lettera a) della legge della Regione Lombardia 20 maggio 2022, n. 8 (Prima legge di revisione normativa ordinamentale 2022), in riferimento all’art. 117, commi secondo, lettera h), e sesto, della Costituzione.
2.– L’art. 3 della legge impugnata apporta modifiche alla legge della Regione Lombardia 1° aprile 2015, n. 6 (Disciplina regionale dei servizi di polizia locale e promozione di politiche integrate di sicurezza urbana).
In particolare, l’art. 3, comma 1, lettera c), impugnato, aggiungendo la lettera l-bis) all’art. 5 della legge reg. Lombardia n. 6 del 2015, prevede che la Regione «promuove la stipulazione di intese fra la Regione, i competenti organi decentrati dello Stato, gli enti locali e i gestori del servizio di trasporto pubblico regionale e locale, sentite le associazioni dei passeggeri e dei pendolari, al fine di attivare servizi di controllo finalizzati a garantire la sicurezza urbana anche con il concorso della polizia locale con particolare riferimento alle aree adiacenti alle stazioni ferroviarie ovvero alle aree di interscambio del trasporto pubblico regionale e locale, favorendo anche il superamento della barriera funzionale e operativa dei confini territoriali di riferimento del singolo corpo o servizio di polizia locale […]».
Il ricorrente ritiene che tale previsione invada la competenza legislativa esclusiva statale nella materia dell’ordine pubblico e sicurezza, con violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., in quanto consente «l’operatività della polizia locale al di là dei confini territoriali di riferimento», per casi che non sono ammessi dalla legge 7 marzo 1986, n. 65 (Legge-quadro sull’ordinamento della polizia municipale).
Quest’ultima, infatti, in qualità di legge quadro sulla polizia municipale, consente l’esercizio delle funzioni di polizia municipale esclusivamente «nel territorio di competenza» (art. 3), permettendo, secondo il ricorrente «missioni esterne» a tale territorio nei casi tipizzati dall’art. 4, e, comunque, senza eccedere l’ambito delle forme associative tra comuni che la legge regionale promuove ai sensi del successivo art. 6, comma 2, numero 3).
3.– L’art. 3, comma 1, lettera g), della legge impugnata aggiunge un ultimo periodo all’art. 27, comma 1, della legge reg. Lombardia n. 6 del 2015, con il quale si stabilisce che «[i]l patto locale di sicurezza urbana è, altresì, uno degli strumenti per realizzare le finalità previste dall’articolo 5, comma 1, lettera l-bis)», vale a dire per consentire alla polizia municipale di operare al di là del territorio di competenza.
Il ricorrente reputa anche in tal caso leso l’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., sia in ragione della già dedotta illegittimità costituzionale di tale sconfinamento, sia perché, in ogni caso, il patto locale di sicurezza urbana interferirebbe con i patti per l’attuazione della sicurezza urbana disciplinati dall’art. 5 del decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14 (Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città), convertito, con modificazioni, nella legge 18 aprile 2017, n. 48.
Questi ultimi sono sottoscritti tra il prefetto e il sindaco, in coerenza con le linee generali per la promozione della sicurezza integrata di cui al precedente art. 2 del d.l. n. 14 del 2017, come convertito.
La disposizione impugnata opererebbe «una confusione di piani […], atteso che il versante sul quale alla Regione è rimessa la stipulazione di intese è quello della sicurezza integrata», come definita dall’art. 1 del citato decreto-legge, «mentre la sicurezza urbana è rimessa agli accordi tra prefetti e sindaci».
4.– L’art. 11, comma 1, lettera a), della legge regionale impugnata sostituisce il comma 5 dell’art. 13 della legge della Regione Lombardia 11 dicembre 2006, n. 24 (Norme per la prevenzione e la riduzione delle emissioni in atmosfera a tutela della salute e dell’ambiente), prevedendo che «[l]a Giunta regionale può, con apposita deliberazione, prevedere idonei strumenti tecnologici, ulteriori a quanto previsto al secondo periodo del comma 6-bis, per agevolare il controllo del rispetto delle limitazioni regionali alla circolazione e all’utilizzo dei veicoli».
Il citato art. 13, comma 6-bis, al secondo periodo, prevede che «allo scopo di sperimentare modalità più efficaci di riduzione degli inquinanti connessi alla circolazione, possono essere realizzati impianti di rilevazione telematica e, a richiesta, installati dispositivi telematici mobili sui veicoli che monitorano gli stili di guida e i chilometri percorsi dai veicoli, consentendo di condizionare le percorrenze dei veicoli stessi al loro effettivo potenziale inquinante, localizzandone i relativi tratti stradali, secondo modalità definite con deliberazione della Giunta regionale».
La disposizione impugnata permette l’introduzione, con delibera della Giunta regionale, di ulteriori «strumenti tecnologici».
Il ricorrente denuncia la violazione della competenza legislativa statale esclusiva in materia di ordine pubblico e sicurezza (art. 117, secondo comma, lettera h, Cost.), alla quale questa Corte ha già ricondotto la disciplina della circolazione stradale, fin dalla sentenza n. 428 del 2004.
In particolare, l’art. 45, comma 6, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada) affida ad un regolamento statale la disciplina dei dispositivi e delle apparecchiature di controllo e regolazione del traffico, nonché di accertamento e rilevamento automatico delle violazioni delle norme sulla circolazione stradale, mentre il successivo art. 201, comma 1-bis, lettera g), reca analoga previsione, quanto ai dispositivi omologati per rilevare gli accessi di veicoli non autorizzati in zone a transito limitato o vietato.
La disposizione impugnata, sovrapponendosi al d.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495 (Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada), recante tali previsioni regolamentari, si porrebbe in contrasto anche con l’art. 117, sesto comma, Cost., che affida allo Stato la potestà regolamentare nelle materie riservate alla competenza legislativa esclusiva statale.
5.– Si è costituita in giudizio la Regione Lombardia, chiedendo che il ricorso sia dichiarato non fondato.
La Regione resistente, con riferimento alle censure indirizzate contro l’impugnato art. 3, comma 1, lettere c) e g), della legge reg. Lombardia n. 8 del 2022, si limita ad osservare che sarebbe conforme alla giurisprudenza costituzionale l’attribuzione alla Regione di «compiti di mera promozione di intese» «al fine del perseguimento della tutela della sicurezza», favorendo «forme innovative di intervento».
Del resto, conclude la Regione, accordi con organi statali che prevedono il superamento della «barriera funzionale» dei confini territoriali della polizia locale sono già stati stipulati, prima dell’entrata in vigore della legge impugnata.
6.– Con riguardo all’impugnato art. 11, comma 1, lettera a), della legge reg. Lombardia n. 8 del 2022, la difesa regionale premette che esso non ha attinenza con il regime della circolazione stradale, posto che si tratta di disposizione volta a rendere effettive le misure che la Regione adotta al fine di contrastare l’inquinamento atmosferico.
Siffatte misure sono previste dal decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 155 (Attuazione della direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa), adottato in attuazione della direttiva 2008/50/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa, che, con l’art. 9, comma 3, affida alle regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano il ricorso «[alle] misure necessarie a preservare la migliore qualità dell’aria ambiente», mentre, con l’art. 11, comma 1, lettera a), permette loro di fissare a tale scopo i «criteri per limitare la circolazione dei veicoli a motore».
I dispositivi disciplinati dalla norma impugnata, quindi, sarebbero prescrivibili solo per perseguire le finalità enunciate dall’art. 13, comma 2, lettere a) e b), della legge reg. Lombardia n. 24 del 2006, vale a dire per giustificare limitazioni alla circolazione dei veicoli, in ragione dello stato della qualità dell’aria, delle condizioni meteorologiche e del carico di emissioni inquinanti per tipologia di veicolo.
Essi perciò non si sovrapporrebbero agli apparecchi omologati ai fini del controllo sulla circolazione stradale, per la parte che concerne la tutela dell’incolumità personale e della prevenzione dei reati, ossia quanto all’ambito della competenza legislativa esclusiva statale in tema di ordine pubblico e sicurezza, perché non servirebbero a «monitorare il controllo delle prescrizioni delle norme di circolazione di cui al codice della strada, bensì le limitazioni regionali volte ad una più efficace tutela della salute e dell’ambiente, nonché per prevenire infrazioni comunitarie in materia di inquinamento atmosferico».
In conclusione, la norma impugnata costituirebbe espressione della possibilità riconosciuta alle regioni di dettare misure di incremento degli standard di tutela dell’ambiente, nell’esercizio delle proprie competenze, ivi compresa, nella specie, la competenza in materia di tutela della salute, anche con riguardo ai vincoli derivanti dal diritto dell’Unione.
Ove, infatti, le regioni non fossero in condizione di monitorare le violazioni dei divieti di circolazione dei veicoli inquinanti, esse «sarebbero sostanzialmente private di ogni concreta possibilità di agire fattivamente per la tutela della salute dei cittadini», con la conseguenza di incorrere in infrazioni al diritto dell’Unione europea.
La difesa regionale aggiunge che la disposizione impugnata andrebbe in ogni caso letta congiuntamente con il primo periodo del comma 6-bis dell’art. 13 della legge reg. Lombardia n. 24 del 2006, che subordina l’impiego di strumenti di rilevazione elettronica delle violazioni dei divieti di circolazione ad una previa intesa con i competenti organi statali ed al rispetto della disciplina attinente alla protezione dei dati personali.
Considerato in diritto
1.– Con il ricorso indicato in epigrafe, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 1, lettere c) e g), e 11, comma 1, lettera a), della legge reg. Lombardia n. 8 del 2022, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., e, quanto all’ultima delle disposizioni impugnate, anche all’art. 117, sesto comma, Cost.
2.– L’art. 3, comma 1, lettera c), impugnato aggiunge la lettera l-bis) all’art. 5 della legge reg. Lombardia n. 6 del 2015, demandando alla Regione la promozione di intese tra Regione, organi decentrati dello Stato, enti locali e gestori del servizio di trasporto pubblico regionale e locale, con le quali coinvolgere la polizia locale nel garantire la sicurezza urbana, «favorendo anche il superamento della barriera funzionale e operativa dei confini territoriali di riferimento del singolo corpo o servizio di polizia locale».
Il ricorrente accentra la censura su quest’ultima porzione della disposizione, asserendo che essa, in violazione degli artt. 3, 4 e 6 della legge n. 65 del 1986, permetterebbe alla polizia locale di operare oltre i limiti territoriali che il legislatore statale ha determinato.
Difatti, la legge quadro appena citata consente l’esercizio delle funzioni di polizia municipale esclusivamente «nel territorio di competenza» (art. 3), permettendo «missioni esterne» nei soli casi tipizzati dall’art. 4, numero 4), lettere a), b) e c), e senza eccedere l’ambito territoriale delle associazioni tra comuni, che la legge regionale promuove ai sensi del successivo art. 6, secondo comma, numero 3).
Il contrasto tra le previsioni della menzionata legge quadro n. 65 del 1986 e le disposizioni regionali impugnate determinerebbe l’invasione della sfera di competenza legislativa esclusiva statale in materia di ordine pubblico e sicurezza, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost.
3.– La questione non è fondata.
La disposizione è impugnata per la sola parte in cui assegna alla polizia locale compiti che eccedono l’ambito territoriale del comune. La censura richiama il tema della sicurezza, delle funzioni e delle competenze riconosciute, in relazione ad essa, ai vari livelli di governo della Repubblica. In via generale, la sicurezza racchiude un complesso di funzioni che assumono significato in relazione a situazioni e luoghi determinati. La giurisprudenza di questa Corte ha inteso, pertanto, distinguere varie dimensioni della sicurezza. In primo luogo (facendo riferimento alla sicurezza interna) la sicurezza in senso stretto, o “primaria”, collegata alla attività di prevenzione e repressione dei reati o volta alla tutela dell’ordine pubblico, affidata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato dall’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., che tuttavia esclude espressamente dal suo ambito la «polizia amministrativa locale» (ex multis, sentenze n. 176 del 2021, n. 177 del 2020, n. 285 e n. 116 del 2019).
In coerenza con il principio autonomistico di cui all’art. 5 Cost., ha poi rilevato che la tutela della sicurezza può ben assumere una possibile dimensione pluralista. Ad essa, in quanto sintesi di una pluralità di interessi, possono essere affiancate funzioni corrispondenti a plurime e diversificate competenze regionali e locali e alle possibili collaborazioni fra di esse e fra esse e i poteri dello Stato. Alle regioni, in particolare, può essere richiesto di realizzare, coordinare o promuovere azioni volte a migliorare le condizioni di vivibilità dei rispettivi territori, nell’ambito di competenze da esse svolte, o in via “residuale” o in via “concorrente”, fra cui le politiche sociali e sanitarie, taluni vincoli o interventi a tutela della pubblica incolumità, la polizia locale (cosiddetta «sicurezza integrata»).
L’art. 118, terzo comma, Cost. ha assegnato alla legge statale la disciplina del coordinamento fra le funzioni di Stato e regioni nel campo della sicurezza. In attuazione di tale norma costituzionale, il d.l. n. 14 del 2017, come convertito, ha dato base legislativa al menzionato campo della «sicurezza integrata» che viene individuata nell’«insieme degli interventi assicurati dallo Stato, dalle Regioni, dalle Province autonome di Trento e Bolzano e dagli enti locali, nonché da altri soggetti istituzionali, al fine di concorrere, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze e responsabilità, alla promozione e all’attuazione di un sistema unitario e integrato di sicurezza per il benessere delle comunità territoriali» (art. 1, comma 2). Ferme le competenze legislative esclusive dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza, le linee generali delle politiche pubbliche per la promozione della sicurezza integrata sono adottate dal Governo con accordo sancito su proposta del Ministro dell’interno in sede di Conferenza unificata (art. 2, comma 1). In attuazione di dette linee generali, lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano possono concludere specifici accordi, sulla base dei quali adottare, nell’ambito delle proprie competenze e funzioni, iniziative e progetti volti a interventi di promozione della «sicurezza integrata» (art. 3, comma 1). Inoltre, nel rispetto delle menzionate linee generali, con accordo sancito in sede di Conferenza Stato-città e autonomie locali sono adottate linee guida, sulla cui base possono essere sottoscritti patti fra prefetti e questori, tramite cui individuare, in relazione alla specificità dei contesti, interventi per la «sicurezza urbana» (art. 5, comma 1). Quest’ultima viene individuata nel «bene pubblico che afferisce alla vivibilità e al decoro delle città» da perseguire attraverso interventi di riqualificazione o recupero di zone degradate (art. 4).
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dunque, la disciplina di un’attività, per quanto connessa al contrasto di fenomeni di degenerazione dell’ordinata e pacifica convivenza, può venire esercitata a livello decentrato, se tale da potere essere collegata, nel rispetto della legge dello Stato, a funzioni di interesse regionale o locale (sentenza n. 285 del 2019, con i limiti poi precisati dalla sentenza n. 236 del 2020).
Il ricorrente non postula che i compiti previsti dalle norme impugnate afferiscano alla funzione di prevenire e reprimere reati, con la quale si persegue la menzionata «sicurezza primaria» (sentenza n. 285 del 2019), ma reputa che non spetterebbe al legislatore regionale determinare la sfera di competenza territoriale del corpo di polizia locale, preposto alla cosiddetta «sicurezza secondaria» (ancora, sentenza n. 285 del 2019), in deroga ai limiti tracciati dalla legge statale, che ha formulato i principi fondamentali della materia.
Tuttavia, questa Corte ha già riconosciuto che, con la riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, la competenza legislativa in tema di polizia amministrativa locale, che era “concorrente”, è divenuta “residuale”, e appartiene perciò alla regione, come reso chiaro dall’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., che assegna allo Stato la potestà legislativa esclusiva quanto a «ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale» (ex multis, sentenze n. 129 del 2021, n. 236 del 2020, n. 116 del 2019, n. 141 del 2012 e n. 167 del 2010).
Quanto premesso non comporta che l’insieme degli interessi corrispondenti a tale materia sia rimesso al solo assetto normativo che gli conferisca la legge regionale, poiché le stesse competenze residuali non restano insensibili alle norme poste in essere dallo Stato nell’ambito delle proprie competenze legislative trasversali.
L’art. 118 Cost. assicura che l’esercizio delle funzioni di polizia locale sia soggetto alle forme di coordinamento con la materia dell’ordine pubblico e della sicurezza, che spetta al legislatore statale individuare.
Nel caso di specie, però, la definizione della competenza territoriale, all’interno della Regione, propria di ciascun corpo di polizia amministrativa locale, non incontra alcun limite dettato da disposizioni statali, posto che tale competenza, sul presupposto che le funzioni attribuite siano circoscritte alla «sicurezza secondaria», non interseca profili connessi alla repressione e prevenzione dei reati.
Ne consegue che le disposizioni poste dal legislatore statale a titolo di principi fondamentali di una materia in precedenza a riparto “concorrente”, con la legge quadro n. 65 del 1986, hanno cessato per tale parte di essere opponibili alla sopravvenuta legislazione regionale che, nell’ambito della competenza “residuale”, abbia ridefinito, per un caso particolare afferente alla cosiddetta «sicurezza secondaria», l’ambito territoriale di azione dei corpi di polizia locale.
4.– L’art. 3, comma 1, lettera g), della legge regionale impugnata aggiunge un ultimo periodo all’art. 27, comma 1, della legge reg. Lombardia n. 6 del 2015, con il quale si stabilisce che «[i]l patto locale di sicurezza urbana è, altresì, uno degli strumenti per realizzare le finalità previste dall’articolo 5, comma 1, lettera l-bis)», vale a dire per consentire alla polizia municipale di operare al di là dei «confini territoriali di riferimento», per quanto appena visto.
Il ricorrente sostiene, anzitutto, che tale disposizione violi l’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., perché assegna al menzionato patto locale di sicurezza urbana una nuova finalità, ricavata da una norma della quale deduce l’illegittimità costituzionale, in quanto invasiva della competenza legislativa esclusiva statale in materia di ordine pubblico e sicurezza.
La questione così posta non è fondata, perché, avendo questa Corte appena escluso la sussistenza di detto profilo di illegittimità costituzionale in capo all’art. 5, comma 1, lettera l-bis), della legge reg. Lombardia n. 6 del 2015, non è perciò precluso al legislatore regionale disporre quanto di propria competenza per perseguire le finalità tratte da tale ultima disposizione.
5.– In secondo luogo, il ricorrente denuncia – con riguardo alla medesima disposizione (art. 3, comma 1, lettera g), legge reg. impugnata – la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., perché il patto locale di sicurezza urbana, già previsto dalla legislazione lombarda, e arricchito di un ulteriore contenuto dalla disposizione impugnata, non sarebbe conforme all’art. 5 del menzionato d.l. n. 14 del 2017, come convertito, che, a sua volta, esprimerebbe scelte compiute dal legislatore statale in tema di ordine pubblico e sicurezza.
Con tale disposizione, il legislatore statale avrebbe attribuito la disciplina della sicurezza urbana, quanto alle forme di cooperazione tra Stato e enti territoriali, ai soli patti sottoscritti tra il prefetto ed il sindaco.
Viceversa, l’art. 27 della legge reg. Lombardia n. 6 del 2015 prevede che la Regione possa promuovere il patto locale di sicurezza urbana, in tal modo attribuendo alla stessa un compito che, a parere del ricorrente, non le potrebbe competere, posto che il citato d.l. n. 14 del 2017, come convertito, limiterebbe l’intervento regionale ai soli profili della «sicurezza integrata».
Si sarebbe perciò determinata «una confusione di piani», «atteso che il versante sul quale alla Regione è rimessa la stipulazione di intese è quello della “sicurezza integrata”, mentre la “sicurezza urbana” è rimessa agli accordi tra prefetti e sindaci».
6.– La questione non è fondata.
Essa si basa, infatti, sull’erroneo presupposto che la normativa statale appena richiamata escluda la Regione da ogni intervento che afferisca alla sicurezza urbana, quando, al contrario, l’art. 4 del d.l. n. 14 del 2017, come convertito, nel definire il concetto di sicurezza urbana, è esplicito nell’affermare che al perseguimento di essa «concorrono prioritariamente, anche con interventi integrati, lo Stato, le Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano e gli enti locali, nel rispetto delle rispettive competenze e funzioni».
La disposizione regionale impugnata si limita ad attuare tale principio, assegnando, in conformità con esso, alla Regione un ruolo propulsivo al fine della stipula dei patti di sicurezza urbana.
Può aggiungersi che il peculiare contenuto del patto definito dalla disposizione regionale impugnata supera l’ambito della sola sicurezza urbana, perché, come si è visto, consente alla polizia municipale di operare, a certe condizioni, al di là del territorio di riferimento, venendo così a intersecare profili di «sicurezza integrata», quindi di competenza anche regionale, per «[l’]attuazione di un sistema unitario» volto al «benessere delle comunità territoriali» (art. 1, comma 2, del d.l. n. 14 del 2017, come convertito).
7.– Il ricorrente impugna, inoltre, l’art. 11, comma 1, lettera a), della legge regionale impugnata che sostituisce il comma 5 dell’art. 13 della legge reg. Lombardia n. 24 del 2006. Esso stabilisce che «[l]a Giunta regionale può, con apposita deliberazione, prevedere idonei strumenti tecnologici, ulteriori a quanto previsto al secondo periodo del comma 6-bis, per agevolare il controllo del rispetto delle limitazioni regionali alla circolazione e all’utilizzo dei veicoli».
La disposizione regionale impugnata si inserisce nel contesto delle misure per la limitazione del traffico veicolare che la Regione intende adottare, al fine di ridurre l’inquinamento atmosferico.
L’art. 13, comma 6-bis, della legge reg. Lombardia n. 24 del 2006, al secondo periodo, prevede che «allo scopo di sperimentare modalità più efficaci di riduzione degli inquinanti connessi alla circolazione, possono essere realizzati impianti di rilevazione telematica e, a richiesta, installati dispositivi telematici mobili sui veicoli che monitorano gli stili di guida e i chilometri percorsi, consentendo di condizionare le percorrenze dei veicoli stessi al loro effettivo potenziale inquinante, localizzandone i relativi tratti stradali, secondo modalità definite con deliberazione della Giunta regionale». A tal fine, la disposizione impugnata permette l’introduzione, con delibera della Giunta regionale, di ulteriori «strumenti tecnologici».
8.– Il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 117, commi secondo, lettera h), e sesto, Cost., perché il regime della circolazione stradale ricade nella competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza, con la conseguenza che ogni disciplina, anche regolamentare (art. 117, sesto comma, Cost.), di dispositivi, apparecchiature, mezzi tecnici di controllo e regolazione del traffico andrebbe assegnata alla fonte statale, come confermato dagli artt. 45, comma 6, e 201, comma 1-bis, lettera g), del d.lgs. n. 285 del 1992.
9.– La questione non è fondata.
Questa Corte ha già ricondotto la disciplina della circolazione stradale alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in tema di ordine pubblico e sicurezza, in quanto volta a prevenire la commissione di reati incidenti sulla incolumità personale (sentenza n. 428 del 2004; ex multis, sentenze n. 129 del 2021, n. 77 del 2013 e n. 223 del 2010).
Tale conclusione di ordine generale, tuttavia, va valutata alla luce delle finalità e degli interessi che sono coinvolti da ciascuna disposizione normativa che attenga alla circolazione dei veicoli. Con la sentenza n. 77 del 2013, infatti, questa Corte ha già ritenuto che la disciplina sulla revisione dei veicoli non appartenga alla sola materia della sicurezza, ma anche a quella della tutela dell’ambiente.
La disposizione regionale impugnata introduce infatti uno strumento con il quale la Regione persegue l’effettività delle misure necessarie a preservare la qualità dell’aria. A propria volta, tali misure sono rimesse alla Regione dal legislatore statale con gli artt. 9 e 11 del d.lgs. n. 155 del 2010, adottato in attuazione della direttiva 2008/50/CE.
È perciò evidente che l’adozione di strumenti tecnologici preposti a controllare il rispetto delle limitazioni regionali alla circolazione dei veicoli inquinanti si allontani dal nucleo della prevenzione dei reati per dirigersi verso le competenze intrecciate della tutela dell’ambiente e della tutela della salute, che, peraltro, il ricorrente non evoca a parametri costituzionali dell’odierna questione di legittimità costituzionale.
Del resto, la disposizione impugnata, rinviando a quanto previsto dall’art. 13, comma 6-bis), della legge reg. Lombardia n. 24 del 2006, impone che gli «ulteriori» strumenti tecnologici siano introdotti non solo nel rispetto della disciplina vigente in materia di protezione dei dati personali, ma anche «previa intesa con i competenti organi statali», assicurando così che l’esercizio della funzione amministrativa da parte della Giunta regionale tenga necessariamente in conto le esigenze funzionali che lo Stato potrà garantire nell’ambito della propria competenza in materia di circolazione stradale.