Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 15 gennaio 2024 e depositato il 16 gennaio successivo (reg. ric. n. 2 del 2024), la Regione Campania, in persona del Presidente pro tempore, ha impugnato plurime disposizioni del decreto-legge 19 settembre 2023, n. 124 (Disposizioni urgenti in materia di politiche di coesione, per il rilancio dell’economia nelle aree del Mezzogiorno del Paese, nonché in materia di immigrazione), convertito, con modificazioni, nella legge 13 novembre 2023, n. 162.
2.– L’art. 1, comma 1, del d.l. n. 124 del 2023, come convertito, è impugnato nella parte in cui – sostituendo l’art. 1, comma 178, della legge 30 dicembre 2020, n. 178 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023) – ha previsto, alla lettera d) di quest’ultimo, che il Ministro per gli affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il PNRR e ciascun Presidente di regione o provincia autonoma, «dato atto dei risultati dei precedenti cicli di programmazione, […] definiscono d’intesa un accordo, denominato “Accordo per la coesione”, con il quale vengono individuati gli obiettivi di sviluppo da perseguire attraverso la realizzazione di specifici interventi, anche con il concorso di più fonti di finanziamento».
2.1.– Ad avviso della Regione Campania, l’inciso «dato atto dei risultati dei precedenti cicli di programmazione», ove interpretato nel senso che la sottoscrizione dell’accordo sia subordinata alla verifica dei risultati dei precedenti cicli di programmazione, anziché allo stato di avanzamento degli stessi, si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione.
Tenuto conto del necessario disallineamento temporale che intercorre tra la ricognizione dei risultati dei precedenti cicli di programmazione e la definizione del nuovo programma di coesione, la disposizione impugnata sarebbe infatti foriera di «gravissime incertezze» perché, non chiarendo i contenuti e le fasi di questa valutazione preliminare, porrebbe le amministrazioni destinatarie delle risorse «in una posizione di grave e ingiustificabile debolezza, nonché di soggezione» rispetto al Ministro competente, col rischio di paralizzare «un intero sistema di politiche di coesione e, per esso, di sostegno sociale ed economico ai territori».
I profili di ridondanza della censura regionale si ricaverebbero dalla violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. (incidendo la disposizione impugnata sulla materia «coordinamento della finanza pubblica»), nonché degli artt. 5, 118 e 119 Cost., tenuto conto che la richiamata incertezza minerebbe alla radice la possibilità di concludere il procedimento per il perfezionamento dell’accordo, così impedendo alla Regione ricorrente di avvalersi dello strumento necessario per l’attuazione delle politiche di coesione economica, sociale e territoriale e per la rimozione, nel proprio territorio, dei relativi squilibri.
3.– È poi impugnata la disposizione introdotta dal medesimo art. 1, comma 1, del d.l. n. 124 del 2023, come convertito, nella lettera i) dell’art. 1, comma 178, della legge n. 178 del 2020, nella parte in cui prevede che «[p]er far fronte a eventuali carenze di liquidità, le risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione di cui al decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88, assegnate per un intervento e non ancora utilizzate, possono essere riassegnate per un intervento di titolarità di altra amministrazione, la cui realizzazione presenti carattere di urgenza. In tal caso, la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le politiche di coesione, d’intesa con l’Ispettorato generale per i rapporti finanziari con l’Unione europea del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del Ministero dell’economia e delle finanze, dispone la riassegnazione delle risorse per il nuovo intervento, sentita l’amministrazione titolare dell’intervento definanziato».
3.1.– Ad avviso della Regione Campania, tale disposizione sarebbe lesiva del principio di equilibrio di bilancio di cui all’art. 81 Cost., nonché dei principi di eguaglianza, imparzialità e buon andamento dell’amministrazione di cui agli artt. 3 e 97 Cost.
Sarebbe infatti costituzionalmente illegittimo riconoscere al Dipartimento per le politiche di coesione il potere di disporre, in via unilaterale, la riassegnazione di risorse già attribuite a un’amministrazione regionale, così ledendone l’autonomia finanziaria e la «capacità di programmare utilmente la propria azione amministrativa», tanto più in un ambito rientrante nella materia di competenza legislativa concorrente «coordinamento della finanza pubblica», in cui vige il principio di leale collaborazione, con conseguente violazione degli artt. 5, 117, 118, 119 e 120 Cost.
4.– Da ultimo, è impugnato l’art. 2, comma 4, del d.l. n. 124 del 2023, come convertito, nella parte in cui prevede che «[i]l mancato rispetto del cronoprogramma di spesa annuale, quale risultante dal piano finanziario dell’Accordo per la coesione […] determina il definanziamento dell’Accordo medesimo per un importo corrispondente alla differenza tra la spesa annuale preventivata, come indicata nel cronoprogramma, e i pagamenti effettuati, come risultanti dal Sistema nazionale di monitoraggio di cui all’articolo 4».
4.1.– Tale disposizione contrasterebbe con gli artt. 3, 81 e 97 Cost. perché mancherebbe di fare salva la circostanza che «il ritardo sia dovuto a causa non imputabile all’Amministrazione beneficiaria e comunque sia recuperabile nel periodo di programmazione e nella parte in cui prevede che le risorse derivanti da tale definanziamento non siano reimpiegate dalla stessa Amministrazione assegnataria delle medesime», con conseguenze che ridondano sugli spazi di autonomia garantiti alla Regione ricorrente dagli artt. 5, 117, terzo comma (sempre in riferimento alla materia del «coordinamento della finanza pubblica»), 118, 119 e 120 Cost.
Sarebbero poi lesi gli artt. 5 e 119 Cost., tenuto conto che il rischio di definanziamento per cause non imputabili alla Regione ricorrente e sottratte alla responsabilità dei suoi organi di governo comprometterebbe gravemente la capacità di programmazione regionale e, con essa, la sua «capacità di autodeterminarsi».
5.– Con un secondo gruppo di censure, la Regione Campania ha impugnato, in riferimento a plurimi parametri costituzionali, gli artt. da 9 a 15 e 22 del d.l. n. 124 del 2023, come convertito, con i quali è stata istituita e disciplinata la Zona economica speciale per il Mezzogiorno (cosiddetta ZES unica).
5.1.– La ricorrente premette che, ai sensi dell’art. 9, comma 1, del d.l. n. 124 del 2023, come convertito, si intende per Zona economica speciale (ZES) «una zona delimitata del territorio dello Stato nella quale l’esercizio di attività economiche e imprenditoriali da parte delle aziende già operative e di quelle che si insedieranno può beneficiare di speciali condizioni in relazione agli investimenti e alle attività di sviluppo d’impresa».
Con il comma 2 del medesimo articolo, a far data dal 1° gennaio 2024, è istituita la ZES unica per il Mezzogiorno, che ricomprende i territori delle Regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia e Sardegna.
Per effetto di tale disciplina, è stata quindi superata la disciplina delle ZES contenuta nel decreto-legge 20 giugno 2017, n. 91 (Disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno), convertito, con modificazioni, nella legge 3 agosto 2017, n. 123, il cui art. 4 (oggi abrogato dall’art. 22 del d.l. n. 124 del 2023, come convertito, anch’esso impugnato), definiva, al comma 2, la ZES come «una zona geograficamente delimitata e chiaramente identificata, situata entro i confini dello Stato, costituita anche da aree non territorialmente adiacenti purché presentino un nesso economico funzionale, e che comprenda almeno un’area portuale con le caratteristiche stabilite dal regolamento (UE) n. 1315 dell’11 dicembre 2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, sugli orientamenti dell’Unione per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti (TENT)».
L’istituzione della ZES unica per l’intera area del Mezzogiorno produrrebbe, ad avviso della Regione Campania, «l’ingiustificato e indebito accentramento della governance in un istituto […] nevralgico sul piano economico e sociale, con conseguente grave erosione dell’autonomia regionale e, in generale, delle prerogative riconosciute dalla Costituzione in capo alle Regioni».
5.2.– Sarebbero lesi, innanzi tutto, gli artt. 5, 118 e 120 Cost., in ragione – rispettivamente – della violazione delle esigenze di autonomia e decentramento della legislazione statale, dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, nonché del principio di leale collaborazione.
La lesione di questi ultimi, in particolare, emergerebbe con evidenza, oltre che dalla istituzione della ZES unica, anche dalle disposizioni relative all’istituzione e al funzionamento della Cabina di regia ZES e della Struttura di missione ZES, disciplinati dall’art. 10 del d.l. n. 124 del 2023, come convertito, in ragione della «pretermissione pressoché assoluta dei livelli di governo più prossimi ai territori interessati».
In particolare, sarebbe compressa la competenza legislativa concorrente regionale in materia di governo del territorio di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., considerato che la determinazione di conclusione della conferenza di servizi disposta ai sensi dell’art. 15 del d.l. n. 124 del 2023, come convertito, «[o]ve necessario, […] costituisce variante allo strumento urbanistico e comporta la dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dell’intervento» (comma 5).
Sarebbe dimostrato, in tal modo, il potere della Struttura di missione ZES di incidere, per il tramite di una norma di dettaglio, sull’intera pianificazione regionale, «potendola, in astratto, sempre derogare con il rilascio dell’autorizzazione unica».
La Regione ricorrente osserva altresì che, secondo la previgente disciplina, l’autorizzazione unica era rilasciata da un commissario nominato, per ciascuna area ZES, dal Presidente del Consiglio dei ministri d’intesa col Presidente della Regione interessata (art. 4, comma 6-bis, del d.l. n. 91 del 2017, come convertito), mentre, secondo la disciplina vigente e oggetto di censure (art. 11, comma 2, del d.l. n. 124 del 2023, come convertito), il piano strategico della ZES è predisposto dalla Struttura di missione, e la partecipazione delle regioni è sì ivi richiamata, ma «in assenza di qualsivoglia riferimento alle modalità effettive e concrete di coinvolgimento degli Enti territoriali interessati».
Anche siffatta previsione, per il fatto di non prevedere un adeguato raccordo collaborativo con la Regione Campania, lederebbe pertanto la competenza legislativa concorrente della stessa nelle materie «governo del territorio», «sostegno all’innovazione per i settori produttivi» e «porti e aeroporti civili», di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.
5.3.– L’istituzione della ZES unica si porrebbe, da ultimo, in contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost., con conseguenze che ridonderebbero sulle attribuzioni regionali di cui agli artt. 5, 117, 118 e 119 Cost.
Ad avviso della Regione ricorrente, la ratio perseguita dalla disciplina sulle ZES sarebbe quella di rimediare agli svantaggi di alcune aree del Paese con finalità perequative, nel rispetto del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. A tal fine, i poteri di deroga e di semplificazione amministrativa attribuiti al Governo avrebbero dovuto essere esercitati «secondo le precipue esigenze del territorio di riferimento, al fine di garantire, in ragione di un’analisi concreta dei fabbisogni e delle potenzialità del luogo, una migliore gestione in tema di politica industriale e di sviluppo economico».
Tali finalità, tuttavia, risulterebbero attualmente perseguite unicamente in relazione alle Zone logistiche semplificate (ZLS) di cui all’art. 1, commi 61 e seguenti, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), istituite «[a]l fine di favorire la creazione di condizioni favorevoli allo sviluppo di nuovi investimenti nelle aree portuali delle regioni più sviluppate» e alle quali continua ad applicarsi – nelle more dell’emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri previsto dall’art. 1, comma 65, della legge n. 205 del 2017 – la disciplina regolamentare relativa alle precedenti ZES, di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 25 gennaio 2018, n. 12, intitolato «Regolamento recante istituzione di Zone economiche speciali (ZES)».
E infatti, osserva ulteriormente la Regione, anche lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri attuativo dell’art. 1, comma 65, della legge n. 205 del 2017 riprenderebbe i contenuti dell’originario impianto normativo delle ZES, con il riconoscimento di ampi margini di competenza in capo alle regioni.
Da ciò conseguirebbe «un’eclatante asimmetria normativa tra le Regioni sviluppate e quelle del Mezzogiorno che sono illegittimamente estromesse […] da procedimenti rilevantissimi in tema di politica industriale e di sviluppo economico».
6.– Con atto depositato il 23 febbraio 2024, si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile e, comunque, non fondato.
6.1.– L’Avvocatura generale rileva preliminarmente l’inammissibilità del motivo di ricorso avente ad oggetto l’art. 1, comma 1, del d.l. n. 124 del 2023, come convertito, nella parte in cui ha introdotto la lettera d) nell’art. 1, comma 178, della legge n. 178 del 2020.
Innanzi tutto, non sarebbe chiaro come la violazione degli artt. 3 e 97 Cost. si rifletta sulle competenze legislative regionali, atteso che la Regione Campania parrebbe lamentare una generica irrazionalità delle disposizioni impugnate, senza indicare profili di violazione dei richiamati parametri costituzionali.
Né sarebbe pertinente il richiamo alla competenza legislativa concorrente in tema di «coordinamento della finanza pubblica», considerato che la disciplina relativa alle politiche e, in particolare, ai fondi di coesione afferirebbe tanto alla competenza legislativa statale di cui all’art. 119, comma quinto, Cost., quanto all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. con riferimento alla perequazione delle risorse finanziarie, quanto, da ultimo, all’art. 117, secondo comma, lettera a), Cost., in relazione ai rapporti dello Stato con l’Unione europea alla luce degli obblighi scaturenti dall’attuazione degli impegni assunti con il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR).
In ogni caso, il ricorso della Regione Campania muoverebbe da un’errata interpretazione della disposizione impugnata, considerato che l’inciso «dato atto dei risultati dei precedenti cicli di programmazione» non subordinerebbe la sottoscrizione dell’accordo di coesione agli esiti dei risultati dei precedenti cicli, ma si limiterebbe a prevedere che detto accordo «debba semplicemente “dare atto” di tali risultati», rispondendo a un criterio di buona amministrazione che, nel programmare interventi pubblici, si dia conto di ciò che è stato realizzato, di ciò che è in corso di realizzazione e degli obiettivi che, invece, non sono stati o non saranno raggiunti.
Che questa sia l’interpretazione corretta, del resto, si ricaverebbe – secondo l’Avvocatura – dal fatto che, mentre nel suo testo originario la disposizione in questione prevedeva che si dovesse «tener conto» dei risultati raggiunti, in sede di conversione si è addivenuti alla meno impegnativa esigenza di «dare atto» di essi, così raccogliendo le sollecitazioni provenienti dalle regioni.
Sarebbe comunque erroneo l’ulteriore presupposto da cui muove il ricorso, secondo cui non si potrebbe operare una esaustiva ricognizione dei risultati raggiunti nel ciclo di programmazione precedente in fase di programmazione del nuovo ciclo, considerato che ciò di cui le parti dovranno dare atto sono «quei risultati che in quel momento saranno disponibili, in coerenza con le regole di rendicontazione e con la tempistica propria di ciascun ciclo di programmazione».
In ogni caso, resterebbe rimesso alla volontà negoziale delle parti stabilire se e quale rilevanza attribuire a tali risultati nella programmazione del ciclo 2021-2027.
6.2.– Anche il motivo di ricorso relativo all’art. 2, comma 4, del d.l. n. 124 del 2023, come convertito, sarebbe inammissibile, attesa la genericità dei rilevati effetti negativi sulle attribuzioni regionali.
Inoltre, il ricorso non considererebbe che le politiche di coesione non incidono sulla competenza legislativa concorrente in materia di «coordinamento della finanza pubblica», traendo invece fondamento dalla competenza legislativa esclusiva dello Stato di cui agli artt. 119, quinto comma, e 117, secondo comma, lettera e), Cost. (sono richiamate, sul punto, le sentenze n. 123 del 2022 e n. 187 del 2021 di questa Corte).
Il monitoraggio sull’effettivo impiego delle risorse stanziate e la previsione della possibilità di definanziamento in caso di loro mancato utilizzo risponderebbero comunque all’esigenza di far fronte alle sedimentate inefficienze del sistema delle politiche di coesione e non si discosterebbero dalla normativa adottata dall’Unione europea, in relazione ai fondi strutturali e di investimento europei (fondi SIE), dall’art. 136 del regolamento (UE) n. 1303/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, recante disposizioni comuni sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione, sul Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca e disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca, e che abroga il regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio.
Peraltro, analoga possibilità di definanziamento era già contenuta nella disciplina del precedente Piano di sviluppo e coesione di cui all’art. 44, comma 7-bis, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34 (Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi), convertito, con modificazioni, nella legge 28 giugno 2019, n. 58, anch’esso rispondente alla finalità di allocare in modo più efficiente le risorse del Fondo in modo da rafforzare la capacità di spesa generale ed assicurare il raggiungimento degli obiettivi generali in favore dei particolari territori individuati.
Né la Regione Campania avrebbe motivo di dolersi del fatto che il ritardo, e il successivo definanziamento, possano conseguire a ragioni ad essa non imputabili, considerato che il d.l. n. 124 del 2023, come convertito, già prevede efficaci strumenti per rimodulare gli impegni assunti in caso di ritardi dovuti a ragioni oggettive, come la possibilità di modifica del cronoprogramma contemplata dall’art. 1, comma 3, anche in caso di superamento della scadenza annuale non rispettata dalla Regione ricorrente.
Anche il divieto che le risorse definanziate siano destinate al reimpiego da parte dell’amministrazione originariamente assegnataria risponderebbe alla configurazione delle politiche di coesione come intervento finanziario statale “speciale”, considerato che la riassegnazione automatica determinerebbe un’allocazione inefficiente di risorse destinate al perseguimento di finalità perequative, diversamente da quanto previsto dalla disposizione impugnata, che stabilisce la riassegnazione con funzioni premiali al fine di incentivare le regioni virtuose nell’utilizzo di risorse, conformemente al principio di buon andamento dell’azione amministrativa.
6.3.– Con riguardo ai motivi di ricorso relativi all’istituzione e al funzionamento della ZES unica per il Mezzogiorno, il resistente ne eccepisce preliminarmente l’inammissibilità, considerato che le disposizioni impugnate risultano genericamente e indistintamente richiamate, senza indicare, in relazione a ciascun articolo, i necessari profili di illegittimità costituzionale.
In ogni caso, i dedotti motivi di ricorso sarebbero non fondati.
Premesso, infatti, che la ratio sottesa all’istituzione della ZES unica è quella di adottare una soluzione sistemica e integrata per la programmazione degli interventi di sostegno alle imprese nel Mezzogiorno, superando la disciplina precedente incentrata sulla coincidenza territoriale con le autorità portuali, il resistente contesta che il fondamento di tale intervento legislativo sia da individuarsi negli ambiti di competenza legislativa concorrente individuati nel ricorso, riposando al contrario sugli interventi speciali di cui all’art. 119, comma quinto, Cost. e sulle finalità perequative di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., oltre che sui rapporti con l’Unione europea (art. 117, secondo comma, lettera a, Cost.), come testimoniato dal fatto che l’introduzione della ZES unica rientra tra le riforme previste dal PNRR (Missione 5, Componente 3, su interventi speciali per la coesione territoriale) e rappresenta, pertanto, uno degli specifici impegni assunti dall’Italia con l’Unione europea.
6.3.1.– Con riferimento alla disciplina della governance della ZES unica, la difesa statale rileva che i compiti di indirizzo, coordinamento, vigilanza e monitoraggio sono affidati dall’art. 10 del d.l. n. 124 del 2023, come convertito, a una Cabina di regia, della quale fanno parte tutti i presidenti delle regioni interessate, oltre ai ministri competenti, al presidente dell’Unione delle province italiane e al presidente dell’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI).
Lo strumento cardine nel quale si articola la politica di programmazione della ZES unica, rappresentato dal piano strategico di cui all’art. 11 del d.l. n. 124 del 2023, come convertito, è predisposto dalla Struttura di missione con la garanzia che venga salvaguardata (comma 2) «la piena partecipazione delle regioni interessate» ed è approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri previo parere della Cabina di regia.
Verrebbe in tal modo salvaguardata una «doppia partecipazione» per le regioni, chiamate a dare il loro contributo sia in fase di predisposizione, sia in fase di approvazione del predetto piano.
Non potrebbe ritenersi costituzionalmente illegittima la soluzione che istituisce la Struttura di missione presso la Presidenza del Consiglio dei ministri ed esclude – a differenza di quel che avveniva in passato per i commissari straordinari delle ZES – la necessità di un’intesa con le regioni.
A deporre nel senso della legittimità costituzionale della disciplina di cui agli articoli impugnati sarebbe la presa d’atto che l’istituzione di una ZES unica per tutto il Mezzogiorno richiede necessariamente che i compiti istruttori, di attuazione e di monitoraggio vengano svolti garantendo la continuità nel tempo delle funzioni amministrative, il contenimento della spesa e l’uniformità delle procedure di interpretazione e applicazione della normativa. Né, del resto, sarebbe possibile prevedere il raggiungimento di un’intesa con otto diverse regioni.
6.3.2.– Non sussisterebbero lesioni delle competenze legislative regionali neanche in relazione alla disciplina del procedimento amministrativo semplificato incentrato sullo «Sportello unico digitale ZES – S.U.D. ZES» (art. 13) e sulle connesse regole procedimentali di cui agli artt. 14 e 15 del d.l. n. 124 del 2023, come convertito.
Innanzi tutto, l’Avvocatura osserva che la semplificazione amministrativa affidata, come nel caso di specie, all’istituzione di uno “sportello unico” non elide necessariamente le competenze delle singole amministrazioni coinvolte, il cui contributo confluisce nell’iter procedimentale per il tramite della conferenza di servizi.
Nel caso di specie, la semplificazione amministrativa connessa all’istituzione della ZES unica non avrebbe la portata generale che la Regione ricorrente paventa, operando essa unicamente in relazione ai procedimenti individuati dal piano strategico al fine di sostenere determinate attività economiche o di favorire l’insediamento di specifiche attività produttive (secondo quanto si ricaverebbe dagli artt. 13, comma 2, e 14, commi 1, secondo periodo, e 2, del d.l. n. 124 del 2023, come convertito), e restandone comunque esclusi i procedimenti nelle materie individuate dagli artt. 14, comma 1, primo periodo, e 15, comma 8-bis, del medesimo decreto-legge.
Anche nel perimetro definito dal piano strategico, nel caso in cui si tratti di procedimenti che richiedono una valutazione di impatto ambientale di competenza regionale (art. 15, comma 5) o di competenza delle autorità di sistema portuale (art. 15, comma 7), la Struttura di missione dismetterebbe il ruolo di amministrazione procedente.
Quanto alle modalità procedimentali ordinarie in vista dell’adozione dell’autorizzazione unica, esse risultano incentrate sulla conferenza di servizi, sia nella sua versione semplificata, sia – eventualmente – in quella simultanea. In essa sarebbero destinate a trovare una sintesi le posizioni espresse, in particolare, dalle regioni e dagli enti locali interessati, considerato che l’amministrazione procedente deve tenere in esplicita considerazione «i potenziali impatti nella realizzazione del progetto o dell’intervento oggetto dell’istanza» (art. 15, comma 4, lettera b).
La specifica considerazione prestata agli interessi ambientali e, in particolare, la salvaguardia della normativa vigente in materia di valutazione di impatto ambientale all’interno del procedimento di autorizzazione unica (artt. 14, comma 1, e 15, comma 5) condurrebbe inoltre a ritenere che l’eventualità che il provvedimento conclusivo della conferenza di servizi determini una variante dello strumento urbanistico non elida necessariamente le competenze regionali, chiamate comunque a esprimersi pienamente, sia pur in un diverso contesto procedimentale.
Il rispetto delle garanzie procedimentali connesse alla conferenza di servizi, pertanto, salvaguarderebbe le esigenze di leale collaborazione fatte valere dalla Regione ricorrente, con ciò dimostrando la non fondatezza dei motivi di ricorso.
7.– Nell’imminenza dell’udienza pubblica, la Regione Campania ha depositato memoria e prodotto documentazione, insistendo nelle conclusioni rassegnate nel ricorso introduttivo.
La Regione contesta, preliminarmente, l’inammissibilità del ricorso eccepita dall’Avvocatura quanto ai motivi di ricorso aventi ad oggetto la lettera d) del novellato art. 1, comma 178, della legge n. 178 del 2020, individuandone il fondamento nella lesione delle proprie attribuzioni legislative in materia di coordinamento della finanza pubblica (art. 117, terzo comma, Cost.) e contestandone l’afferenza all’art. 119, quinto comma, Cost., in ragione del carattere di fatto ordinario (e non aggiuntivo) delle spese finanziate con i fondi di coesione.
Nel merito, la difesa regionale osserva come l’interpretazione dell’inciso contenuto nella disposizione impugnata sarebbe tutt’altro che pacifico, come ritiene l’Avvocatura, e anzi avrebbe minato gravemente l’attività programmatoria delle regioni, come sarebbe dimostrato – nel caso della Regione Campania – dalla nota n. 3738 del 12 dicembre 2023 del Ministro per gli affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il PNRR, con cui è stato inopinatamente stigmatizzato il ritardo nel completamento di alcuni progetti finanziati con il Fondo di sviluppo e coesione (FSC) a giustificazione della mancata stipula dell’accordo di coesione.
Anche la disposizione contenuta nell’art. 2, comma 4, del d.l. n. 124 del 2023, come convertito, avrebbe natura di dettaglio e inciderebbe illegittimamente sull’ambito di competenza legislativa in materia di «coordinamento della finanza pubblica», nella quale l’intervento statale deve ritenersi limitato alle disposizioni aventi natura di principio.
La lesione di questo e degli altri parametri costituzionali dedotti nel ricorso deriverebbe, in tal caso, dall’aleatorietà dei presupposti che consentono di definanziare interventi già assegnati alla Regione, senza che sia possibile tenere conto della non imputabilità delle ragioni di ritardo all’amministrazione regionale. Né avrebbe rilievo la possibilità – evocata dall’Avvocatura – di rinegoziare i tempi per la conclusione dei progetti, tenuto conto che tale possibilità, prevista dall’art. 1, comma 3, del d.l. n. 124 del 2023, come convertito, atterrebbe alla fase di programmazione in fase di stipula dell’accordo di coesione, mentre la disposizione impugnata riguarderebbe la fase di esecuzione del cronoprogramma.
7.1.– In data 20 settembre 2024 la difesa regionale ha depositato la deliberazione di pari data n. 469 della Giunta regionale della Campania di rinuncia al ricorso limitatamente al solo art. 9 del d.l. n. 124 del 2023, come convertito, a seguito dell’emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 6 agosto 2024, con il quale è stato nominato il coordinatore della Struttura di Missione ZES con conseguente avvio delle relative attività.
Considerato in diritto
1.– Con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 2 del 2024), la Regione Campania ha impugnato diverse disposizioni contenute nel d.l. n. 124 del 2023, come convertito, e segnatamente gli artt. 1, comma 1 – nella parte in cui sostituisce l’art. 1, comma 178, lettere d) e i), della legge n. 178 del 2020 –, 2, comma 4, da 9 a 15 e 22, in riferimento a plurimi parametri costituzionali.
Il complesso dei motivi di ricorso può essere suddiviso in due distinti ambiti tematici.
1.1.– Con un primo ordine di censure, la Regione Campania ha impugnato alcune disposizioni contenute nel d.l. n. 124 del 2023, come convertito, aventi ad oggetto la riforma delle politiche di coesione e del relativo ciclo di programmazione per il periodo 2021-2027.
Tra queste, è oggetto di impugnazione l’art. 1, comma 1, del richiamato decreto-legge nella parte in cui, sostituendo integralmente la disciplina vigente contenuta nell’art. 1, comma 178, della legge n. 178 del 2020, ha stabilito che l’Accordo per la coesione (strumento che sostituisce i precedenti Patti di sviluppo e coesione, PSC) venga stipulato dal Ministro per gli affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il PNRR e dal Presidente della regione interessata «dato atto dei risultati dei precedenti cicli di programmazione» (lettera d).
Il medesimo art. 1, comma 1, è altresì impugnato nella parte in cui, sostituendo il dettato dell’art. 1, comma 178, lettera i), della legge n. 178 del 2020, ha stabilito che, per far fronte a eventuali carenze di liquidità, le risorse del FSC già assegnate e non ancora utilizzate, «possono essere riassegnate per un intervento di titolarità di altra amministrazione, la cui realizzazione presenti carattere di urgenza», previa interlocuzione con l’amministrazione titolare dell’intervento definanziato.
La Regione ricorrente impugna altresì l’art. 2, comma 4, del d.l. n. 124 del 2023, come convertito, nella parte in cui prevede che, in corso di esecuzione dell’Accordo per la coesione, il mancato rispetto del cronoprogramma di spesa annuale determina il definanziamento per un importo corrispondente alla differenza tra la spesa annuale preventivata e i pagamenti effettuati e che i relativi importi definanziati sono nuovamente assegnati dal Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (CIPESS) secondo criteri di premialità.
Tali previsioni vengono impugnate lamentando, complessivamente, la violazione, diretta o in via di ridondanza, degli artt. 3, 5, 81, 97, 117, 118, 119 e 120 Cost., perché esse inciderebbero sull’autonomia programmatoria, finanziaria e di spesa della Regione negli ambiti oggetto di interventi sostenuti dai fondi di coesione, subordinando tale autonomia a scelte dell’autorità statale idonee a ritardare indefinitamente i procedimenti di assegnazione dei fondi e a un potere unilaterale della stessa di definanziare e riassegnare questi ultimi anche per carenze e ritardi non imputabili alla regione destinataria dei fondi, in violazione del principio di leale collaborazione.
1.2.– Con un secondo ordine di motivi, la Regione Campania ha impugnato gli artt. da 9 a 15 e 22 del d.l. n. 124 del 2023, come convertito, con i quali è stata istituita e disciplinata la ZES unica, con la contestuale soppressione delle otto ZES esistenti.
In relazione al complesso di tali previsioni, la Regione ricorrente lamenta la violazione, diretta o in via di ridondanza, degli artt. 3, 5, 97, 117, 118, 119 e 120 Cost., perché l’istituzione della ZES unica e le previste modalità del suo funzionamento determinerebbero l’ingiustificato e indebito accentramento della governance di un organo, i cui poteri eroderebbero le competenze assegnate dall’art. 117, terzo comma, Cost. alle regioni, nelle materie relative al governo del territorio, ai porti e agli aeroporti civili e al sostegno all’innovazione per i settori produttivi, in assenza di un’adeguata salvaguardia del principio di leale collaborazione.
2.– Con riferimento al primo gruppo di censure, riguardanti la riforma del ciclo di programmazione delle politiche di coesione per gli anni 2021-2027, è necessario, prima di affrontare il merito delle questioni, dare brevemente conto del contesto normativo entro il quale si collocano le disposizioni impugnate.
2.1.– Gli artt. 1 e 2 del d.l. n. 124 del 2023, come convertito, sono inseriti nel Capo I, intitolato «Utilizzazione delle risorse nazionali ed europee in materia di coesione», e devono essere ricondotti all’obiettivo, ricavabile dal preambolo del medesimo decreto-legge, di «rafforzare ulteriormente l’attività di programmazione, di coordinamento e di supporto all’attuazione, al monitoraggio, alla valutazione e al sostegno delle politiche di coesione, con riferimento alle pertinenti risorse nazionali ed europee, nonché di favorire l’integrazione tra le politiche di coesione e il Piano nazionale di ripresa e resilienza».
L’art. 1 del d.l. n. 124 del 2023, come convertito, con particolare riferimento ai commi da 1 a 3, modifica l’attuale disciplina in tema di programmazione e utilizzo delle risorse del FSC stanziate per il ciclo di programmazione 2021-2027.
Il FSC è stato istituito dal decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88 (Disposizioni in materia di risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione di squilibri economici e sociali, a norma dell’articolo 16 della legge 5 maggio 2009, n. 42) ed è finalizzato, secondo quanto prevede l’art. 4, comma 1, «a dare unità programmatica e finanziaria all’insieme degli interventi aggiuntivi a finanziamento nazionale, che sono rivolti al riequilibrio economico e sociale tra le diverse aree del Paese».
La disciplina di dettaglio riguardante i criteri e la modalità di ripartizione dei fondi relativi al periodo di programmazione 2021-2027 è contenuta nell’art. 1, comma 178, della legge n. 178 del 2020.
Quest’ultimo, al primo periodo, stabilisce che le risorse del FSC sono volte «a sostenere esclusivamente interventi per lo sviluppo, ripartiti nella proporzione dell’80 per cento nelle aree del Mezzogiorno e del 20 per cento nelle aree del Centro-Nord».
Sino alle modifiche apportate dalle disposizioni oggetto di impugnazione, la disciplina riguardante le modalità di ripartizione delle risorse del FSC risultava incentrata su obiettivi strategici relativi ad aree tematiche per la convergenza e la coesione sulla base delle missioni stabilite nel “Piano Sud 2030”, in coerenza con gli obiettivi e le strategie dei Fondi strutturali europei 2021-2027. Lo strumento cui si affidava tale programmazione era costituito dai Piani di sviluppo e coesione (PSC), attribuiti alla titolarità di ciascuna amministrazione competente (centrale, regionale e locale) e oggetto dell’approvazione del CIPESS.
2.2.– Per effetto di tali modifiche (apportate dall’art. 1, comma 1, del d.l. n. 124 del 2023, come convertito, all’art. 1, comma 178, della legge n. 178 del 2020), la dotazione del FSC è attualmente «impiegata per iniziative e misure afferenti alle politiche di coesione, come definite dal Ministro per gli affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il PNRR, nonché per l’attuazione degli Accordi per la coesione di cui alle lettere c) e d)», «in coerenza con le politiche settoriali, con gli obiettivi e le strategie dei fondi strutturali europei del periodo di programmazione 2021-2027 e con le politiche di investimento e di riforma previste nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), secondo princìpi di complementarità e di addizionalità» (lettera a).
La nuova lettera b) del richiamato comma 178 ridefinisce ulteriormente le modalità di ripartizione, stabilendo che il CIPESS, con una o più delibere adottate su proposta del Ministro competente, imputa in chiave programmatica le risorse del FSC alle amministrazioni statali e centrali nel rispetto del criterio di ripartizione, direttamente ai soggetti che gestiranno gli interventi.
Con le lettere c) e d) del medesimo comma 178 viene introdotto, in sostituzione dei precedenti PSC, lo strumento dell’Accordo per la coesione, stipulato dal Ministro per gli affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il PNRR con ciascun Ministro, per conto delle amministrazioni centrali titolari di risorse del FSC (lettera c), e con ciascun Presidente di regione (lettera d), in entrambi i casi «dato atto dei risultati dei precedenti cicli di programmazione». L’Accordo per la coesione è stipulato sulla base delle somme stanziate a titolo di imputazione programmatica dal CIPESS per ciascuna amministrazione statale o regionale, e con esso «vengono individuati gli obiettivi di sviluppo da perseguire attraverso la realizzazione di specifici interventi, anche con il concorso di più fonti di finanziamento».
Gli accordi stipulati ai sensi della lettera d) contengono, per quanto necessario al fine dell’odierno esame, «la specificazione degli interventi e delle eventuali linee d’azione suscettibili di finanziamento» (numero 1), «il cronoprogramma procedurale e finanziario di ciascun intervento o linea d’azione» (numero 2), «l’indicazione del contenuto degli impegni reciprocamente assunti» (numero 4), «il piano finanziario dell’Accordo per la coesione articolato per annualità definito in considerazione del cronoprogramma finanziario degli interventi» (numero 6), come anche «i principi per la definizione del sistema di gestione e controllo dell’Accordo per la coesione, nonché di monitoraggio dello stesso» (numero 7).
L’assegnazione effettiva delle risorse avviene, nei limiti quantitativi di cui alla delibera di imputazione programmatica del CIPESS e sulla base dell’Accordo per la coesione, unicamente dopo la sottoscrizione di quest’ultimo (art. 1, comma 178, lettera e, della legge n. 178 del 2020, come modificato).
2.3.– Ulteriore disposizione che richiede attenzione è quella contenuta nella lettera i) del medesimo comma 178, come sostituito dalla disposizione oggetto di impugnazione. Essa disciplina infatti le procedure contabili relative alla gestione del FSC, prevedendo, tra l’altro, che, «[p]er far fronte a eventuali carenze di liquidità, le risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione di cui al decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88, assegnate per un intervento e non ancora utilizzate, possono essere riassegnate per un intervento di titolarità di altra amministrazione, la cui realizzazione presenti carattere di urgenza. In tal caso, la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per le politiche di coesione, d’intesa con l’Ispettorato generale per i rapporti finanziari con l’Unione europea del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del Ministero dell’economia e delle finanze, dispone la riassegnazione delle risorse per il nuovo intervento, sentita l’amministrazione titolare dell’intervento definanziato».
Infine, una disciplina ad hoc è dedicata proprio a termini e condizioni per la modifica degli Accordi per la coesione dopo la loro approvazione. Questi, infatti, possono essere modificati (secondo quanto prevede attualmente l’art. 1, comma 3, del d.l. n. 124 del 2023, come convertito) d’intesa tra le parti, sulla base degli esiti dell’istruttoria svolta dal Dipartimento per le politiche di coesione e in coerenza con i profili finanziari definiti dalla delibera CIPESS di assegnazione delle risorse. La medesima previsione stabilisce altresì che «[l]a modifica del cronoprogramma, come definito dall’accordo per la coesione, è consentit[a] esclusivamente qualora l’Amministrazione assegnataria delle risorse fornisca adeguata dimostrazione dell’impossibilità di rispettare il predetto cronoprogramma per circostanze non imputabili a sé ovvero al soggetto attuatore dell’intervento o della linea d’azione».
2.4.– Altra disposizione rilevante ai fini dell’odierno esame è quella contenuta nell’art. 2, comma 4, del d.l. n. 124 del 2023, come convertito.
Inserito nell’articolo avente ad oggetto le modalità di realizzazione degli interventi ammessi al finanziamento a valere sulle risorse del FSC e il relativo monitoraggio, il comma 2 stabilisce che il mancato rispetto del cronoprogramma di spesa annuale, quale risultante dal piano finanziario dell’Accordo per la coesione, previsto per l’attuazione dei relativi interventi e delle linee di azione ivi indicati, determina il definanziamento dell’Accordo medesimo, per un importo corrispondente alla differenza tra la spesa annuale preventivata, come indicata nel cronoprogramma, e i pagamenti effettuati, come risultanti dal Sistema nazionale di monitoraggio di cui all’art. 4 del medesimo d.l. n. 124 del 2023, come convertito. La disposizione, modificata in sede di conversione, aggiunge che «[l]e risorse derivanti dal definanziamento di cui al primo periodo rientrano nella disponibilità del Fondo per lo sviluppo e la coesione per il periodo di programmazione 2021-2027, per essere nuovamente impiegate per le finalità di cui all’articolo 1, comma 178, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, come modificato dall’articolo 1 del presente decreto, secondo criteri di premialità, nei limiti della ripartizione di cui al medesimo articolo 1, comma 178, alinea, primo periodo».
3.– Poste queste necessarie premesse, è ora possibile esaminare il primo ordine di questioni poste con il ricorso indicato in epigrafe.
3.1.– La Regione ricorrente ha impugnato, in primo luogo, la novellata lettera d) dell’art. 1, comma 178, della legge n. 178 del 2020, nella parte in cui prevede che l’Accordo per la coesione sia sottoscritto dalle parti «dato atto dei risultati dei precedenti cicli di programmazione», ove sia interpretata nel senso che la sottoscrizione dell’Accordo medesimo sia subordinata alla verifica dei precedenti cicli di programmazione, anziché allo stato di avanzamento dei lavori.
La Regione Campania assume, infatti, che l’indeterminatezza dei contenuti e dei presupposti con cui verrebbe «dato atto» dei risultati dei cicli precedenti attribuirebbe all’autorità ministeriale, che è parte della stipula dell’Accordo per la coesione, una posizione di supremazia nei confronti della Regione, che si troverebbe in una posizione di «grave e ingiustificabile debolezza», perché obbligherebbe quest’ultima a giustificare, nella sostanza, la mancata realizzazione dei risultati di un ciclo di programmazione che, in realtà, non sarebbe concluso.
Da ciò la difesa regionale trae la conseguenza della violazione degli artt. 3 e 97 Cost., per come essi si ripercuotono sulle competenze legislative regionali in materia di «coordinamento della finanza pubblica» (art. 117, terzo comma, Cost.), nonché sui principi ricavabili dagli artt. 5, 118 e 119 Cost.
3.1.1.– In via preliminare, l’Avvocatura generale eccepisce l’inammissibilità del motivo d’impugnazione, affermando che la Regione ricorrente non avrebbe dimostrato in che modo la dedotta violazione si rifletterebbe sulle competenze legislative regionali asseritamente violate e, inoltre, che la doglianza sarebbe comunque generica, considerato che essa si limiterebbe a far emergere l’irrazionalità della disposizione oggetto di impugnazione.
L’eccezione non è fondata.
Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, la deduzione, da parte delle Regioni, di vizi diversi da quelli attinenti al riparto delle competenze è inammissibile, nel giudizio di legittimità costituzionale in via principale, laddove non siano chiaramente individuati gli ambiti di competenza regionale indirettamente incisi dalla normativa in esame e non sia adeguatamente illustrata la ridondanza del vizio su uno o più dei predetti ambiti di competenza (sentenze n. 139 e n. 133 del 2024, n. 223 e n. 6 del 2023 e n. 40 del 2022).
Nell’atto introduttivo del presente giudizio, la Regione ricorrente ha individuato tanto gli ambiti di autonomia potenzialmente interessati dalla normativa impugnata, quanto le conseguenze che su di essi discenderebbero dall’operare dell’inciso in esame, ove interpretato nel senso che la stipula dell’Accordo per la coesione sia subordinato a una verifica sulla piena e definitiva realizzazione dei progetti rientranti nei precedenti cicli di programmazione delle politiche di coesione.
3.1.2.– Nel merito, le questioni non sono fondate.
Secondo quanto stabilito dall’art. 1, comma 1, primo periodo, del d.lgs. n. 88 del 2011, il complesso delle misure contenute negli articoli successivi (tra cui proprio il FSC, disciplinato nell’art. 4) deve ritenersi rivolto, «in conformità al quinto comma dell’articolo 119 della Costituzione» a definire «modalità per la destinazione e l’utilizzazione di risorse aggiuntive, nonché per l’individuazione e l’effettuazione di interventi speciali, al fine di promuovere lo sviluppo economico e la coesione sociale e territoriale, di rimuovere gli squilibri economici, sociali, istituzionali e amministrativi del Paese e di favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona». Anche l’art. 1, comma 177, della legge n. 178 del 2020, nello stanziare le risorse per l’alimentazione del FSC per il ciclo di programmazione 2021-2027, prevede espressamente che ciò avvenga «[i]n attuazione dell’articolo 119, quinto comma, della Costituzione».
Sussistono, pertanto, i presupposti costantemente richiesti dalla giurisprudenza di questa Corte per ritenere che gli interventi in parola ricadano nell’ambito applicativo dell’art. 119, quinto comma, Cost., tenuto conto che essi operano in aggiunta rispetto al finanziamento normale delle funzioni amministrative spettanti all’ente territoriale, sono evidentemente riferiti a finalità non ordinarie di perequazione e garanzia indicate dalla norma costituzionale, e comunque a scopi diversi dal normale esercizio delle funzioni e, da ultimo, non sono rivolti alla generalità degli enti territoriali, bensì ad alcuni tra essi o a distinte categorie di questi ultimi (sentenze n. 63 del 2024, n. 71 e n. 70 del 2023 e n. 40 del 2022).
Del resto, con le sentenze n. 123 del 2022 e n. 187 del 2021, questa Corte ha già espressamente qualificato le risorse del FSC come afferenti direttamente all’art. 119, quinto comma, Cost., con la conseguenza che la relativa competenza legislativa spetta allo Stato in via esclusiva, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
3.1.3.– Neppure può essere condivisa la prospettazione della difesa della Regione ricorrente, sviluppata nella memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica e in sede di discussione in tale udienza, secondo cui i fondi oggetto delle disposizioni impugnate, pur essendo formalmente riferibili alle esigenze di perequazione indicate nell’art. 119, quinto comma, Cost., sarebbero, in realtà, destinati a finanziare anche lo svolgimento delle ordinarie funzioni di competenza regionale.
Invero, ciò che la Regione deduce è la illegittima previsione della utilizzazione di somme erogate in attuazione dell’art. 119, quinto comma, Cost., per il finanziamento dell’ordinaria attività regionale.
Tuttavia, dalla lettura della disposizione impugnata non emerge alcun elemento che possa suffragare la tesi della ricorrente, e, d’altra parte, non può avere seguito la pretesa di quest’ultima che lo scrutinio di legittimità costituzionale assuma a presupposto una eventuale erronea applicazione, in fatto, delle disposizioni che consentono l’assegnazione alle regioni di risorse a carico del FSC o una indebita utilizzazione per finalità diverse da quelle alle quali è preordinato il Fondo stesso.
Rientra infatti nell’ordinato assetto dei rapporti finanziari tra Stato e regioni, quale prefigurato nell’art. 119 Cost., che si mantenga la distinzione tra risorse destinate a «finanziare integralmente le funzioni pubbliche» attribuite alle regioni medesime e agli enti locali (quarto comma), le quali non sono suscettibili di alcun vincolo di destinazione (sentenze n. 71 del 2023 e n. 40 del 2022), e le risorse aggiuntive di cui al comma quinto del medesimo articolo, la cui finalità resta quella di sostenere interventi di natura diversa dall’esercizio delle funzioni ordinarie, in quanto connessi a obiettivi di natura strutturale rivolti al necessario riequilibrio tra le diverse aree del Paese e la cui realizzazione è demandata a progetti specifici, oggi risultanti dall’Accordo per la coesione di cui alle norme in esame.
Che il sistema normativo del FSC sia e debba restare vincolato a tale presupposto risulta, contrariamente all’assunto della ricorrente, dall’art. 4, comma 3, ultimo periodo, del richiamato d.lgs. n. 88 del 2011, secondo il quale «[l]a programmazione degli interventi finanziati a carico del Fondo di cui al presente articolo è realizzata tenendo conto della programmazione degli interventi di carattere ordinario».
3.1.4.– Alla luce dello scrutinio richiesto a questa Corte rispetto alla violazione degli artt. 3 e 97 Cost., va comunque osservato che l’interpretazione della disposizione impugnata non convalida l’assunto paventato dalla Regione, per cui la stipula dell’Accordo per la coesione potrebbe avvenire unicamente a seguito della conclusione dei precedenti cicli di programmazione e della relativa verifica dei progetti già realizzati.
L’inciso «dato atto dei risultati dei precedenti cicli di programmazione» – come è, del resto, testimoniato dall’abbandono della precedente dizione «tenuto conto» nel corso del procedimento di conversione non implica infatti, né dal punto di vista letterale, né dal punto di vista sistematico, preclusioni o vincoli di rigida consequenzialità tra la verifica della conclusione dei progetti di cui ai precedenti cicli di programmazione e quelli oggetto del nuovo Accordo per la coesione.
Nell’ambito di un modulo procedimentale di natura pattizia qual è quello finalizzato alla stipula dell’Accordo per la coesione, fermi restando gli ordinari strumenti di monitoraggio sulla corretta e tempestiva esecuzione dei progetti, deve ritenersi rispondente a un canone di buona amministrazione che vi sia un adempimento istruttorio nel corso del quale viene operata una ricognizione dei progetti in essere al fine di verificare la maggiore o minore fattibilità di quelli rientranti nel ciclo di programmazione futuro.
Ciò, con tutta evidenza, non determina il venir meno del reciproco impegno delle parti al raggiungimento di una soluzione condivisa; il che richiede, nello spirito del principio di leale collaborazione, che la fisiologica dialettica tra esse si traduca «in concreto in doveri e aspettative – di informazione, di previsione di strumenti di raccordo e, in generale, di comportamenti realmente collaborativi, corretti e non ostruzionistici, in definitiva, appunto, leali – che non possono che essere reciproci» (sentenza n. 217 del 2020, da ultimo ripresa dalla sentenza n. 87 del 2024).
3.1.5.– Devono, pertanto, essere dichiarate non fondate, con riferimento a tutti i parametri evocati, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, del d.l. n. 124 del 2023, come convertito, nella parte in cui ha sostituito l’art. 1, comma 178, lettera d), della legge n. 178 del 2020.
3.2.– La Regione Campania ha impugnato anche l’art. 1, comma 1, del d.l. n. 124 del 2023, come convertito, nella parte in cui, sostituendo per intero l’art. 1, comma 178, lettera i), della legge n. 178 del 2020, prevede che, per far fronte a eventuali carenze di liquidità, le risorse del FSC, assegnate per un intervento e non ancora utilizzate, «possono essere riassegnate per un intervento di titolarità di altra amministrazione, la cui realizzazione presenti carattere di urgenza».
Secondo la ricorrente, anche tale disposizione, nel presupposto della sua afferenza alla materia «coordinamento della finanza pubblica», contrasterebbe con gli artt. 3 e 97 Cost., nonché con i principi dell’equilibrio di bilancio di cui all’art. 81 Cost. e di leale collaborazione.
3.2.1.– Pur in assenza di eccezioni sollevate dall’Avvocatura generale dello Stato, deve essere dichiarata la manifesta inammissibilità della questione relativa alla violazione dell’art. 81 Cost., in quanto priva di adeguata motivazione.
3.2.2.– Nel merito, le altre questioni aventi ad oggetto il novellato art. 1, comma 178, lettera i), della legge n. 178 del 2020 non sono fondate, nei termini di seguito indicati.
Nel ribadire quanto si è esposto supra, nel punto 3.1.2. del Considerato in diritto, e cioè che la disciplina delle politiche di coesione e del riparto del FSC rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato di cui agli artt. 117, secondo comma, lettera e), e 119, quinto comma, Cost., va osservato anche che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte specificamente riferita al FSC, «spetta al legislatore statale la scelta dello schema procedimentale ritenuto più adeguato a assicurare l’ottimale realizzazione degli obiettivi di volta in volta perseguiti nello stanziare i relativi fondi» (sentenza n. 189 del 2015, successivamente ripresa dalle sentenze n. 123 del 2022 e n. 187 del 2021).
Nel caso di specie, tale disciplina si rivela, come correttamente rilevato dall’Avvocatura, finalizzata a contrastare il problema dei ritardi e delle inefficienze nella realizzazione dei progetti finanziati con il FSC, anche sulla base di meccanismi di monitoraggio idonei a condurre, in caso di mancato utilizzo delle risorse assegnate, al definanziamento del progetto le cui risorse non siano state utilizzate nei termini del cronoprogramma contenuto nell’Accordo per la coesione.
Al tempo stesso, si deve osservare come questa ultima eventualità sia stata prefigurata dalla disposizione in esame (che, sul punto, non è stata modificata rispetto alla disciplina previgente) secondo termini e modalità non lesive dei principi di ragionevolezza e buon andamento dell’amministrazione di cui agli artt. 3 e 97 Cost.
La disposizione impugnata, infatti, deve essere interpretata nel senso che il definanziamento in questione non possa che avere ad oggetto risorse che siano state assegnate alla regione a seguito della stipula dell’Accordo per la coesione, ma rispetto alle quali non sia ancora intervenuto alcun impegno di spesa.
E, a differenza di quanto fatto valere dalla Regione ricorrente, la sanzione dell’eventuale definanziamento non è affatto insensibile all’eventualità che il ritardo accumulato nell’utilizzo delle risorse non sia imputabile a carenze dell’amministrazione regionale.
Invero, l’ultimo periodo della lettera i) stabilisce che, in ogni caso, prima di disporre la richiamata riassegnazione, debba comunque essere «sentita l’amministrazione titolare dell’intervento definanziato».
Peraltro, in un momento anche precedente, ai sensi dell’art. 1, comma 3, del d.l. n. 124 del 2023, come convertito, la regione può chiedere, in caso di mancato rispetto del cronoprogramma contenuto nell’Accordo per la coesione, una modifica dello stesso, alle condizioni procedurali ivi previste, «esclusivamente qualora l’Amministrazione assegnataria delle risorse fornisca adeguata dimostrazione dell’impossibilità di rispettare il predetto cronoprogramma per circostanze non imputabili a sé ovvero al soggetto attuatore dell’intervento o della linea d’azione».
Ne discende che, ove la regione intenda far valere un ritardo nell’utilizzo delle risorse a sé non imputabile, si apre la strada della rinegoziazione del cronoprogramma contenuto nell’Accordo per la coesione, in vista della sua corretta e tempestiva esecuzione.
3.2.3.– Devono, quindi, essere dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, del d.l. n. 124 del 2023, come convertito, nella parte in cui esso ha sostituito l’art. 1, comma 178, lettera i), della legge n. 178 del 2020.
3.3.– Oggetto dell’impugnativa regionale è anche l’art. 2, comma 4, del d.l. n. 124 del 2023, come convertito, ai sensi del quale «[i]l mancato rispetto del cronoprogramma di spesa annuale, quale risultante dal piano finanziario dell’Accordo per la coesione, previsto per l’attuazione degli interventi e delle linee d’azione determina il definanziamento dell’Accordo medesimo per un importo corrispondente alla differenza tra la spesa annuale preventivata, come indicata nel cronoprogramma, e i pagamenti effettuati, come risultanti dal Sistema nazionale di monitoraggio di cui all’articolo 4. Le risorse derivanti dal definanziamento di cui al primo periodo rientrano nella disponibilità del Fondo per lo sviluppo e la coesione per il periodo di programmazione 2021-2027, per essere nuovamente impiegate per le finalità di cui all’articolo 1, comma 178, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, come modificato dall’articolo 1 del presente decreto, secondo criteri di premialità, nei limiti della ripartizione di cui al medesimo articolo 1, comma 178, alinea, primo periodo».
Secondo la Regione ricorrente, tale disposizione sarebbe lesiva degli artt. 3, 5, 81, 97, 117, 118, 119 e 120 Cost., poiché l’impossibilità di far valere ragioni ad essa non imputabili in caso di mancato rispetto del cronoprogramma di spesa e la successiva riassegnazione delle risorse ad altra amministrazione comprometterebbero la sua autonomia programmatoria, finanziaria e di spesa.
3.3.1.– L’Avvocatura ha eccepito preliminarmente l’inammissibilità del motivo d’impugnazione, stante la genericità dei dedotti effetti negativi sulle materie di competenza legislativa regionale e sull’autonomia di spesa.
L’eccezione non è fondata.
Come già rilevato nel punto 3.1.1. del Considerato in diritto, anche con riguardo alla censura in esame la Regione ricorrente ha individuato tanto gli ambiti potenzialmente incisi dalla normativa impugnata, quanto le conseguenze negative che, dal previsto definanziamento dei progetti in relazione ai quali non è stato rispettato il cronoprogramma di spesa, si ripercuoterebbero sulle proprie attribuzioni.
3.3.2.– Nel merito, la questione è fondata, nei limiti di seguito precisati.
Benché l’ambito nel quale rientra la materia in esame sia quello di cui agli artt. 117, secondo comma, lettera e), e 119, quinto comma, Cost., e benché nella relativa competenza legislativa esclusiva dello Stato debba rientrare anche la scelta dello schema procedimentale maggiormente in grado di garantire l’ottimale impiego dei fondi in vista della realizzazione dei prescritti obiettivi, è pur vero che le regioni destinatarie delle risorse del FSC non possano essere collocate – tanto più nella fase di esecuzione dei progetti – in una posizione che ne sacrifichi eccessivamente l’autonomia e la capacità di programmazione ed esecuzione degli interventi, in spregio agli artt. 3, 5 e 97 Cost.
La disposizione impugnata, nel momento in cui stabilisce un definanziamento automatico nel caso in cui venga riscontrato il mancato rispetto del cronoprogramma di spesa annuale, eccede i predetti limiti e, per l’effetto, comprime in termini irragionevoli l’autonomia regionale nell’esercizio della propria potestà di programmazione ed esecuzione dei progetti afferenti al FSC, poiché non attribuisce adeguato rilievo all’eventualità che il ritardo in questione sia imputabile a fattori estranei alla responsabilità dell’amministrazione regionale.
Come si è visto, alla regione destinataria delle risorse del FSC è consentito richiedere la modifica dei termini dell’Accordo per la coesione relativi al cronoprogramma di spesa e al connesso piano finanziario, come previsto dall’art. 1, comma 3, del d.l. n. 124 del 2023, come convertito, nel caso in cui – come prevede l’ultimo periodo della disposizione – «fornisca adeguata dimostrazione dell’impossibilità di rispettare il predetto cronoprogramma per circostanze non imputabili a sé ovvero al soggetto attuatore dell’intervento o della linea d’azione».
Ciò chiarito, va rilevato che, a differenza di quanto previsto dall’analoga disposizione, già oggetto di esame (punto 3.2.2. del Considerato in diritto), di cui al novellato art. 1, comma 178, lettera i), della legge n. 178 del 2020, relativa al tardivo utilizzo delle risorse anziché al mancato rispetto del cronoprogramma dei pagamenti, nella disposizione ora in scrutinio non è assicurata alla regione alcuna possibilità di essere sentita dalle autorità statali in un momento precedente all’adozione del provvedimento con cui viene definanziato il relativo intervento e vengono riassegnate le risorse ad altra amministrazione.
Tale omissione è lesiva della posizione della Regione, perché differenzia in modo irragionevole le conseguenze del mancato rispetto del cronoprogramma a seconda che si riferiscano al mancato utilizzo delle risorse ovvero al rispetto del cronoprogramma dei pagamenti, e non risponde a un canone di buona amministrazione, poiché il definanziamento automatico previsto dalla disposizione in esame interviene in una fase in cui il progetto è in corso di realizzazione, ciò che richiede di scongiurare quanto più possibile – per il tramite di una pronta ed efficace interlocuzione tra amministrazioni – il dispendio di risorse già impiegate.
3.3.3.– Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 4, del d.l. n. 124 del 2023, come convertito, nella parte in cui non prevede che il definanziamento di cui al primo periodo sia disposto sentita l’amministrazione titolare dell’intervento definanziato.
Restano assorbiti gli altri motivi d’impugnazione.
4.– Anche con riferimento al secondo gruppo di censure, relativo all’istituzione e al funzionamento della ZES unica, è necessario, in via preliminare, un rapido inquadramento del sistema normativo in cui si inseriscono le numerose disposizioni oggetto di impugnazione.
4.1.– Le zone economiche speciali sono state istituite dall’art. 4 del d.l. n. 91 del 2017, come convertito, «[a]l fine di favorire la creazione di condizioni favorevoli in termini economici, finanziari e amministrativi, che consentano lo sviluppo, in alcune aree del Paese, delle imprese già operanti, nonché l’insediamento di nuove imprese in dette aree» (comma 1), in zone delimitate del Paese comprensive di un’area portuale con le caratteristiche stabilite dal regolamento (UE) n. 1315/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2013, sugli orientamenti dell’Unione per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti e che abroga la decisione n. 661/2010/UE, al fine di riconoscere alle imprese suddette «speciali condizioni, in relazione alla natura incrementale degli investimenti e delle attività di sviluppo di impresa» (comma 2).
Le otto ZES istituite al momento dell’entrata in vigore delle disposizioni impugnate erano governate (art. 4, commi 6 e 6-bis, del d.l. n. 91 del 2017, come convertito) da un Comitato di indirizzo, composto da un commissario straordinario del Governo, che lo presiedeva, dal Presidente dell’Autorità di sistema portuale, da un rappresentante della regione, da un rappresentante della Presidenza del Consiglio dei ministri, da uno del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e da uno dei consorzi di sviluppo industriale.
A seguito dell’approvazione dell’art. 57, comma 1, del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77 (Governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure), convertito, con modificazioni, nella legge 29 luglio 2021, n. 108, la nomina del commissario straordinario avveniva con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per il Sud e la coesione territoriale d’intesa con i Presidenti delle regioni interessate.
Queste e altre disposizioni sono state abrogate dall’art. 22, comma 1, del d.l. n. 124 del 2023, come convertito, e, in sostituzione delle otto ZES sinora esistenti, l’art. 9 del medesimo decreto-legge, ha istituito, a partire dal 1° gennaio 2024, la Zona economica speciale per il Mezzogiorno (ZES unica), che ricomprende l’intero territorio delle Regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia e Sardegna.
La ZES unica è definita dall’art. 9, comma 1, come «una zona delimitata del territorio dello Stato nella quale l’esercizio di attività economiche e imprenditoriali da parte delle aziende già operative e di quelle che si insedieranno può beneficiare di speciali condizioni in relazione agli investimenti e alle attività di sviluppo d’impresa».
Ai sensi dell’art. 10 del d.l. n. 124 del 2023, come convertito, gli organi di governo della ZES unica sono costituiti dalla Cabina di regia ZES, con compiti di indirizzo, coordinamento, vigilanza e monitoraggio, e da una Struttura di missione per la ZES, posta alle dirette dipendenze del Ministro per gli affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il PNRR.
La Cabina di regia è istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, è presieduta dal medesimo Ministro per gli affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il PNRR ed è composta stabilmente da altri quattordici ministri competenti per materia, dai Presidenti delle otto Regioni su cui insiste la ZES unica, nonché dai Presidenti dell’Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) e dell’Unione province d’Italia (UPI). La Struttura di missione per la ZES, cui è preposto un coordinatore, è anch’essa istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e posta alle dirette dipendenze del Ministro per gli affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il PNRR.
Attività e funzioni della ZES unica sono incentrate sul Piano strategico, il quale, ai sensi dell’art. 11, comma 1, del d.l. n. 124 del 2023, come convertito, «ha durata triennale e definisce, anche in coerenza con il PNRR e con le programmazioni nazionali e regionali dei fondi strutturali europei nonché nel rispetto dei princìpi di sostenibilità ambientale, la politica di sviluppo della ZES unica, individuando, anche in modo differenziato per le regioni che ne fanno parte, i settori da promuovere e quelli da rafforzare, gli investimenti e gli interventi prioritari per lo sviluppo della ZES unica, ivi compresi quelli destinati a favorire la riconversione industriale finalizzata alla transizione energetica, e le modalità di attuazione». Una sezione specifica del Piano è poi dedicata «agli investimenti e agli interventi prioritari, necessari a rimuovere, in coerenza con quanto previsto dall’articolo 119, sesto comma, della Costituzione, gli svantaggi dell’insularità, nelle regioni Sicilia e Sardegna».
Il Piano strategico è predisposto dalla Struttura di missione «garantendo la piena partecipazione delle regioni interessate» (art. 11, comma 2) ed è approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per gli affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il PNRR, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro delle imprese e del made in Italy e il Ministro per la protezione civile e le politiche del mare, previo parere della Cabina di regia (art. 11, comma 3).
Gli strumenti mediante i quali le autorità di governo della ZES unica, e in particolare la Struttura di missione per la ZES, esercitano le loro funzioni sono rappresentati dallo sportello unico digitale «(S.U.D. ZES)», dal procedimento unico e dall’autorizzazione unica, secondo la disciplina contenuta, rispettivamente, negli artt. 13, 14 e 15 del d.l. n. 124 del 2023, come convertito.
Da ricondurre funzionalmente all’istituzione della ZES unica è poi la previsione, disposta dall’art. 16 del d.l. n. 124 del 2023, come convertito, di un credito d’imposta alle imprese che effettuano l’acquisizione di beni strumentali nelle zone assistite delle Regioni su cui insiste la ZES, nel rispetto dei requisiti, nonché nei limiti e alle condizioni stabilite dall’art. 107, paragrafo 3, lettere a) e c), del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.
4.2.– Con il secondo gruppo di motivi contenuti nel ricorso indicato in epigrafe, la Regione Campania ha impugnato gli artt. da 9 a 15 e 22 del d.l. n. 124 del 2023, come convertito, lamentando la violazione, diretta o in via di ridondanza, degli artt. 3, 5, 97, 117, 118, 119 e 120 Cost., in ragione dell’ingiustificato e indebito accentramento della governance di un istituto quale la ZES unica, che inciderebbe su competenze legislative regionali quali il governo del territorio, i porti e gli aeroporti civili e il sostegno all’innovazione per i settori produttivi, in assenza di un’adeguata salvaguardia del principio di leale collaborazione.
4.3.– Preliminarmente, occorre evidenziare che la Regione ricorrente, con deliberazione di Giunta regionale n. 469 adottata il 20 settembre 2024 e ritualmente depositata in giudizio, ha rinunciato parzialmente al ricorso, limitatamente all’art. 9 del d.l. n. 124 del 2023, come convertito, in considerazione «[dell’]interesse pubblico alla ripresa delle attività funzionali al supporto dei comparti produttivi interessati, già pregiudicati dal blocco delle attività della ZES Campania», per effetto della nomina, con d.P.C.m. 6 agosto 2024, del coordinatore della Struttura di missione ZES.
Non è pervenuta accettazione della rinuncia da parte dell’Avvocatura generale dello Stato.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, sentenza n. 68 del 2024; ordinanze n. 154 e n. 20 del 2024), la dichiarazione di rinuncia, pur non accettata formalmente dalla parte resistente, comporta la cessazione della materia del contendere ove, anche alla luce della condotta delle parti, non emerga alcun interesse a che la questione sia decisa.
Pertanto, deve essere dichiarata la cessazione della materia del contendere limitatamente alle questioni promosse dalla Regione Campania con riguardo all’art. 9 del d.l. n. 124 del 2023, come convertito.
4.4.– L’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito l’inammissibilità delle questioni concernenti l’istituzione e il funzionamento della ZES unica perché i motivi di ricorso sarebbero assertivi, in quanto le disposizioni impugnate apparirebbero «genericamente e indistintamente richiamate, senza indicare in relazione a ciascun articolo […] i profili di incostituzionalità rispettivamente indicati».
L’eccezione è fondata.
È costante l’orientamento di questa Corte per cui «nei giudizi in via principale il ricorrente ha l’onere di individuare le disposizioni impugnate e i parametri costituzionali dei quali lamenta la violazione e di presentare una motivazione non meramente assertiva, che indichi le ragioni del contrasto con i parametri evocati, attraverso una sia pur sintetica argomentazione di merito a sostegno delle censure (tra le molte, sentenze n. 57 del 2023, n. 135 e n. 119 del 2022)» (sentenza n. 82 del 2024, successivamente ripresa dalla sentenza n. 153 del 2024).
Nel caso di specie, a fronte di una prospettata lesione delle proprie attribuzioni ad opera di un numero assai cospicuo di previsioni legislative, il ricorso della Regione ricorrente, innanzi tutto, omette del tutto di affrontare le ragioni del contrasto della gran parte delle disposizioni impugnate (e, segnatamente, degli artt. 10, 12, 13 e 14 del d.l. n. 124 del 2023, come convertito) con i riferiti parametri costituzionali, risultando i motivi di ricorso privi di adeguate argomentazioni.
La Regione ricorrente, inoltre, formula in modo assertivo le sue censure in relazione all’istituzione della ZES unica, senza ricostruire nel dettaglio la legislazione impugnata e, per quel che più vale, senza chiarire in che modo la sostituzione delle precedenti ZES con la nuova ZES unica si ripercuota sulle competenze legislative regionali, se non deducendo l’illegittimità costituzionale di un disegno accentratore non suffragata da un’adeguata prospettazione delle lesioni subite dall’autonomia regionale.
Anche gli unici motivi di ricorso che si appuntano su specifiche disposizioni oggetto di impugnazione – quali quelli relativi all’art. 11, comma 2 (ove si prevede che il Piano strategico della ZES unica sia predisposto dall’apposita Struttura di missione, «garantendo la piena partecipazione delle Regioni interessate») e all’art. 15, comma 5 (il quale prevede che la determinazione motivata di conclusione della conferenza di servizi costituisce, ove necessario, «variante allo strumento urbanistico e comporta la dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dell’intervento») – non sono sufficienti a emendare le riferite carenze nella prospettazione delle questioni, essendo nulla più che argomenti ancillari a sostegno dell’illegittimità costituzionale complessiva del disegno istitutivo della nuova ZES unica.
L’assertività, per un verso, emerge chiaramente laddove la Regione ricorrente non chiarisce affatto se le pretese ragioni di illegittimità costituzionale si prestino a venire rimosse tramite la caducazione pura e semplice delle disposizioni indicate, ovvero mediante la previsione di raccordi collaborativi che, tuttavia, non vengono in alcun modo indicati.
Per altro verso, le riferite argomentazioni risultano del tutto prive di un’adeguata ricostruzione del quadro normativo oggetto di impugnazione, tenuto conto, ad esempio, che nulla si dice della pur articolata disciplina della conferenza di servizi di cui allo stesso art. 15 e del ruolo in essa assegnato a regioni ed enti locali.
4.5.– Le questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto gli artt. 10, 11, 12, 13, 14, 15 e 22 del d.l. n. 124 del 2023, come convertito, devono, pertanto, essere dichiarate inammissibili.