Sentenza 179/2024 (ECLI:IT:COST:2024:179)
Giudizio: GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: BARBERA - Redattore: AMOROSO
Camera di Consiglio del 15/10/2024;    Decisione  del 15/10/2024
Deposito del 14/11/2024;   Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate: Art. 34, c. 2°, del codice di procedura penale.
Massime: 
Massime: 
Atti decisi: ord. 52/2024


Pronuncia

SENTENZA N. 179

ANNO 2024


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da: Presidente: Augusto Antonio BARBERA; Giudici : Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,


ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, promosso dal Tribunale ordinario di Siena, in composizione monocratica, nel procedimento penale a carico di M. D.L., con ordinanza del 14 febbraio 2024, iscritta al n. 52 del registro ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell’anno 2024.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 15 ottobre 2024 il Giudice relatore Giovanni Amoroso;

deliberato nella camera di consiglio del 15 ottobre 2024.


Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 14 febbraio 2024, iscritta al n. 52 del registro ordinanze 2024, il Tribunale ordinario di Siena, in composizione monocratica, ha sollevato, in riferimento agli artt. 111, secondo comma, 3, 24, secondo comma, 101 e 117 della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, e all’art. 14, paragrafo 1, del Patto internazionale sui diritti civili e politici, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al successivo giudizio dibattimentale il giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale che ha fissato la data dell’udienza dibattimentale davanti ad un giudice diverso, per la prosecuzione del giudizio.

1.1.– In punto di fatto, il rimettente riferisce di procedere nei confronti di una persona imputata del delitto di cui all’art. 341-bis del codice penale, a seguito di decreto di citazione diretta a giudizio, con cui contestualmente il pubblico ministero ha fissato la data dell’udienza di comparizione predibattimentale.

In particolare, il giudice a quo evidenzia che, in applicazione delle disposizioni previste nella tabella di organizzazione dell’ufficio, è stato incaricato dello svolgimento dell’udienza di comparizione predibattimentale, a seguito della quale ha disposto che il giudizio, in assenza di richieste di definizioni alternative, proseguisse davanti a un giudice diverso, come individuato secondo i criteri di assegnazione stabiliti nella predetta tabella, e ha fissato la data per la celebrazione dell’udienza dibattimentale.

Il rimettente rileva che alla predetta udienza, in ragione della temporanea assenza del diverso giudice designato per il dibattimento, è stato disposto il rinvio del processo innanzi sé, quale giudice dibattimentale, destinato a svolgere, per un semestre, compiti di supplenza sull’intero ruolo del diverso giudice già designato quale giudice del dibattimento, in ragione della sopravvenuta applicazione dello stesso presso altro ufficio giudiziario.

Ciò evidenziato, il giudice a quo dà atto che, in quanto giudice dell’udienza dibattimentale, è tenuto ad adottare una decisione di merito, nonostante abbia già valutato il contenuto dell’ipotesi accusatoria, sulla base di atti anteriormente compiuti e relativi alla medesima res iudicanda, oggetto del provvedimento pronunciato all’udienza predibattimentale.

Ad avviso del rimettente, l’ordinamento non prevede, per il caso di specie, un’ipotesi di incompatibilità, pur essendo già stata svolta una attività atta a generare la cosiddetta “forza della prevenzione” perché di natura propriamente decisoria, non riguardante il semplice svolgimento del processo o un aspetto meramente formale del procedimento.

Il giudice a quo, inoltre, evidenzia che l’istituto della incompatibilità attiene a situazioni di pregiudizio per l’imparzialità del giudice che si verificano all’interno del medesimo procedimento ed è espressivo di valori cardine della giurisdizione, quali la terzietà e l’imparzialità, a loro volta collegati alla garanzia del giusto processo.

Sottolinea, inoltre, che la disciplina della incompatibilità mira a prevenire l’eccessiva soggettività del giudizio e a salvaguardare l’imparzialità del giudice.

Individua, quindi, nelle norme indicate come violate, i referenti normativi, costituzionali e sovranazionali, dell’istituto della incompatibilità, ed evidenzia che il diritto ad un equo processo (art. 6, paragrafo 1, CEDU) esige che una causa sia esaminata da un tribunale che, oltre ad essere indipendente, sia anche imparziale e in tal modo implica e postula il riconoscimento del diritto, fondamentale, ad un giudice che offra tale garanzia.

Il rimettente evidenzia che, nel quadro convenzionale, l’imparzialità del giudice corrisponde all’assenza di pregiudizio in capo al giudice stesso, sia secondo un approccio soggettivo, che cerchi di accertare la sua convinzione o il suo interesse personale in una determinata causa, sia oggettivo, che miri ad accertare se egli offra sufficienti garanzie per escludere qualsiasi dubbio legittimo sulla sua imparzialità. Inoltre, la mancanza di imparzialità, nel quadro della CEDU, può altresì porsi da un punto di vista funzionale, se relativa ai rapporti gerarchici o di altro tipo nell’ambito del medesimo processo giudiziario, ovvero all’esercizio di varie funzioni da parte della stessa persona in tale processo (è richiamata la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, grande camera, 15 dicembre 2005, Kyprianou contro Cipro, paragrafo 121).

Il rimettente non trascura poi di considerare che, secondo la giurisprudenza convenzionale, l’avere già adottato decisioni prima del processo non è un fatto di per sé solo idoneo a giustificare timori quanto alla sua imparzialità e che, al fine di valutare il rispetto del principio di imparzialità giudiziaria previsto dall’art. 6, paragrafo 1, CEDU, assumono rilievo dirimente la portata e natura dei provvedimenti adottati dal giudice prima del processo (sono richiamate le sentenze della Corte EDU 24 agosto 1993, Nortier contro Paesi Bassi, paragrafo 33; 24 febbraio 1993, Fey contro Austria, paragrafo 30; 16 dicembre 1992, Sainte-Marie contro Francia, paragrafo 32).

Quanto alle ipotesi di incompatibilità cosiddetta “orizzontale”, il rimettente evidenzia che alcune pronunce della Corte costituzionale (sono richiamate le sentenze n. 16 del 2022, n. 155 e n. 131 del 1996, n. 453 del 1994, n. 439 del 1993, n. 261, n. 186 e n. 124 del 1992) hanno precisato che per giudizio deve intendersi ogni processo che, in base a un esame di prove, pervenga ad una decisione di merito e che la nozione di decisione di merito comprende, di tutta evidenza, il giudizio dibattimentale.

Infatti, il giudice a quo rileva come il compito decisorio del giudice del dibattimento consista nel saggiare tutte le concorrenti ipotesi esplicative introdotte in un processo svoltosi nel contraddittorio tra parti poste in condizioni di parità, ai sensi dell’art. 111, primo comma, Cost., accettando come “vera” l’ipotesi accusatoria soltanto se provata «al di là di ogni ragionevole dubbio» (art. 533, comma 1, cod. proc. pen.).

Il rimettente, poi, richiamando in particolare la sentenza n. 16 del 2022, ricorda che questa Corte ha da tempo individuato le condizioni che rendono la previsione di un caso di incompatibilità costituzionalmente necessaria, vale a dire la preesistenza di valutazioni che cadono sulla medesima res iudicanda: l’essere stata operata, da parte del giudice, una valutazione di atti anteriormente compiuti, strumentale all’assunzione di una decisione, nonché l’attenere tale decisione al merito dell’ipotesi accusatoria e non già al mero svolgimento del processo o a un aspetto formale del procedimento.

1.2.– Ciò premesso in generale, il rimettente evidenzia che, alla luce di quanto previsto dagli artt. 553 e 554-ter cod. proc. pen., come modificati dal decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari), il compito decisorio spettante al giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale consiste nel compiere valutazioni e assumere decisioni «sulla base degli atti» (art. 554-ter, comma 1, cod. proc. pen.) trasmessi dal pubblico ministero, costituiti dal «fascicolo per il dibattimento […] unitamente al fascicolo del pubblico ministero» (art. 553 cod. proc. pen.), operando un approfondito vaglio e controllo sul materiale probatorio raccolto dal pubblico ministero, in capo al quale soltanto si concentra la potestà investigativa, correlata al dovere, per lo stesso, di approfondire tutti i possibili aspetti e profili di una notizia di reato, nell’ottica di una completa ed esaustiva ricostruzione dei fatti e del “vero”, svolgendo «accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini» (art. 358 cod. proc. pen.).

Ad avviso del rimettente, il controllo demandato al giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale consiste in una valutazione non formale, ma contenutistica della consistenza dell’ipotesi accusatoria e tale valutazione involge la sussistenza delle condizioni necessarie perché il processo possa proseguire «davanti ad un giudice diverso» (art. 554-ter, comma 3, cod. proc. pen.), innanzi al quale sono poi assunte le prove nel contraddittorio tra parti.

Sotto tale profilo, il rimettente rileva che le condizioni affinché il giudizio possa proseguire davanti ad un giudice diverso sono descritte, ad opera del d.lgs. n. 150 del 2022, in termini negativi, identificandosi tanto nell’insussistenza delle «condizioni per pronunciare sentenza di non luogo a procedere», quanto nella «assenza di definizioni alternative» del giudizio (art. 554-ter, comma 3, cod. proc. pen.).

Osserva, altresì, che le «condizioni per pronunciare sentenza di non luogo a procedere» sono state, di contro, descritte in termini positivi, identificandosi tanto nelle ipotesi in cui «sussiste una causa che estingue il reato o per la quale l’azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita», ovvero in cui «risulta che il fatto non è previsto dalla legge come reato ovvero che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o che l’imputato non è punibile per qualsiasi causa», quanto nei casi in cui «gli elementi acquisiti non consentono una ragionevole previsione di condanna» (art. 554-ter, comma 1, cod. proc. pen.).

Pertanto, configurandosi l’udienza di comparizione predibattimentale come sede destinata alla valutazione dell’insieme dei dati probatori raccolti in sede di indagini preliminari e della loro capacità di offrire coerenti conferme all’ipotesi accusatoria descritta nell’imputazione, attraverso l’esercizio di intensi poteri di verifica sul merito stesso di quest’ultima, l’omessa previsione dell’incompatibilità del giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale alla celebrazione dell’udienza dibattimentale si pone in aperto contrasto con i parametri costituzionale sopra evocati.

Dalla omessa previsione di tale caso di incompatibilità del giudice discenderebbe, poi, una disparità di trattamento rispetto alla fattispecie di incompatibilità a partecipare al giudizio per il giudice che ha emesso il provvedimento conclusivo dell’udienza preliminare, ai sensi dell’art. 34, comma 2, cod. proc. pen.

Sarebbero, infatti, identici i compiti decisori del giudice dell’udienza preliminare e del giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale, con riguardo alla valutazione della fondatezza dell’accusa, essendo entrambi soggetti alla medesima regola di giudizio volta ad individuare i casi di «oggettiva non superfluità del processo» (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 88 del 1991), regola oggi condensata nella formula secondo cui «il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere» quando «gli elementi acquisiti non consentono» di formulare «una ragionevole previsione di condanna» (artt. 425, comma 3, e 554-ter cod. proc. pen.).

Il giudice a quo osserva che le singole ipotesi di astensione per la presenza di situazioni che possano pregiudicare la terzietà e l’imparzialità del giudice restano affidate ai soli casi tassativamente previsti dagli artt. 34 e 36 cod. proc. pen., senza che possano essere ampliate o applicate in via analogica (è richiamata Corte di cassazione, sezione quinta penale, sentenza 11 febbraio-17 marzo 2021, n. 10328), sicché, in ragione del carattere eccezionale e tassativo di tali casi, non sarebbe praticabile alcun tentativo volto a sanare la rilevata lacuna, dovendosi necessariamente invocare l’intervento additivo di questa Corte.

2.– Con atto depositato il 23 aprile 2024, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o comunque non fondate.

In primo luogo, la difesa statale eccepisce che il giudice rimettente ha trascurato di considerare la possibilità di applicare gli artt. 34 e 36 cod. proc. pen., non confrontandosi con il disposto di cui alla lettera h) del comma 1 di quest’ultimo che, con formula di chiusura, indica, tra i casi in cui vi è l’obbligo di astenersi, anche l’ipotesi di «altre gravi ragioni di convenienza».

Di conseguenza, soltanto a seguito dell’eventuale rigetto dell’istanza di astensione da parte del presidente del tribunale (competente ex art. 36, comma 3, cod. proc. pen.), il giudice rimettente, investito del processo, avrebbe potuto sollevare le questioni di legittimità costituzionale per ricondurre il caso nel disposto dell’art. 34, comma 2, cod. proc. pen. e, quindi, nell’ambito applicativo dell’art. 36, comma 1, lettera g), cod. proc. pen.

Sotto altro profilo, la difesa statale evidenzia che l’art. 554-ter, comma 3, cod. proc. pen., prevede che l’udienza dibattimentale deve svolgersi «davanti ad un giudice diverso», con locuzione sostanzialmente identica a quella utilizzata nell’art. 623, comma 1, lettera d), cod. proc. pen., sicché tale espressione potrebbe essere interpretata come vera e propria ipotesi di incompatibilità.

Pertanto, ad avviso della difesa statale, l’art. 554-ter, comma 3, cod. proc. pen. ha introdotto una causa di incompatibilità speciale, disciplinata dagli artt. 35 e seguenti del codice di rito, la violazione della quale avrebbe dovuto imporre al giudice rimettente di investire il presidente del tribunale al fine di far rilevare l’erroneità dell’assegnazione, in quanto contraria alla legge (oltre che alle previsioni tabellari attuative della legge), per ottenerne la revoca.


Considerato in diritto

1.– Con ordinanza del 14 febbraio 2024, il Tribunale di Siena, in composizione monocratica, ha sollevato, in riferimento agli artt. 111, secondo comma, 3, 24, secondo comma, 101 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6, paragrafo 1, CEDU e all’art. 14, paragrafo 1, PIDCP, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al successivo giudizio dibattimentale il giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale che ha fissato la data dell’udienza dibattimentale davanti ad un giudice diverso, per la prosecuzione del giudizio.

Il rimettente, premesso di aver celebrato l’udienza predibattimentale nei confronti di una persona imputata del delitto di cui all’art. 341-bis cod. pen. e di aver disposto, in assenza di richieste di definizioni alternative, la prosecuzione del giudizio davanti a un giudice diverso, fissando la data per la celebrazione dell’udienza dibattimentale, evidenzia di essere stato designato anche per lo svolgimento di tale udienza, sia pure in supplenza del diverso giudice, in ragione della sopravvenuta applicazione dello stesso presso altro ufficio giudiziario.

Ciò precisato, il giudice a quo osserva che la disposizione censurata, nella parte in cui non prevede l’incompatibilità alla trattazione del giudizio dibattimentale del giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale che ha fissato la data dell’udienza dibattimentale davanti a un giudice diverso, per la prosecuzione del giudizio, ai sensi dell’art. 554-ter, comma 3, cod. proc. pen., viola i parametri sopra indicati in quanto l’attività demandata al giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale ha ad oggetto una valutazione non formale ma contenutistica della consistenza dell’ipotesi accusatoria, perché fondata sull’analisi dei complessivi risultati delle indagini preliminari, con la conseguenza che l’udienza predibattimentale è sede idonea a generare la cosiddetta “forza della prevenzione”, tale da pregiudicare l’imparzialità e la terzietà del giudice del dibattimento.

Sussisterebbe, altresì, la violazione dell’art. 3 Cost., in quanto tale mancata previsione sarebbe foriera di disparità di trattamento rispetto alla disposizione contenuta nel medesimo art. 34, comma 2, cod. proc. pen., che espressamente prevede l’incompatibilità a partecipare al giudizio per il giudice che ha emesso il provvedimento conclusivo dell’udienza preliminare.

A sostegno della censura, il rimettente rileva che, in punto di vaglio della fondatezza dell’accusa, i compiti decisori del giudice dell’udienza preliminare e del giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale sono identici, essendo entrambi soggetti alla medesima regola di giudizio condensata nella formula secondo cui «il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere» quando «gli elementi acquisiti non consentono» di formulare «una ragionevole previsione di condanna», secondo le disposizioni di cui agli artt. 425, comma 3, e 554-ter, comma 1, cod. proc. pen.

Il giudice a quo afferma, altresì, che le questioni di legittimità costituzionale sono rilevanti in quanto le singole ipotesi di astensione, previste per la presenza di situazioni che possano pregiudicare la terzietà e l’imparzialità del giudice, restano affidate ai soli casi tassativamente previsti dagli artt. 34 e 36 cod. proc. pen., non potendo essere ampliate o applicate in via analogica, ragione per cui non è praticabile alcun tentativo volto a sanare la mancata previsione del caso di incompatibilità.

2.– In via preliminare, va rilevato che non può trovare accoglimento l’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Avvocatura generale.

Secondo l’orientamento costante di questa Corte, la questione di legittimità costituzionale è ammissibile quando l’ordinanza di rimessione è argomentata in modo da consentire il controllo “esterno” della rilevanza attraverso una motivazione non implausibile del percorso logico compiuto e delle ragioni per le quali il giudice rimettente afferma di dover applicare la disposizione censurata nel giudizio principale (ex plurimis, sentenze n. 94 del 2023, n. 237 del 2022 e n. 259 del 2021).

Il rimettente ha ritenuto, in modo non implausibile, di non potersi astenere dalla celebrazione del giudizio dibattimentale in virtù del disposto di cui all’art. 36, comma 1, lettera g), cod. proc. pen., che obbliga a ciò solo se il giudice «si trova in taluna delle situazioni di incompatibilità stabilite dagli articoli 34 e 35 e dalle leggi di ordinamento giudiziario», nelle quali, appunto, non è ricompresa quella concernente il giudice dell’udienza predibattimentale chiamato ad essere anche il giudice del dibattimento. Da ciò la rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale, dirette a introdurre nell’art. 34, comma 2, cod. proc. pen. l’ulteriore ipotesi del giudice dell’udienza predibattimentale chiamato ad essere anche giudice del dibattimento.

3.– Passando al merito delle sollevate questioni, deve preliminarmente rilevarsi che l’udienza predibattimentale – introdotta recentemente nel procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica dall’art. 32 del d.lgs. n. 150 del 2022, sul modello dell’udienza preliminare – obbliga il giudice al vaglio preventivo della necessità della celebrazione del dibattimento, a garanzia del corretto esercizio da parte dell’organo requirente dell’esercizio dell’azione penale, così fungendo da “filtro” a dibattimenti ingiustificati e, comunque, perseguendo in tal modo finalità deflattive e di semplificazione.

A tal fine, l’atto di citazione a giudizio, ai sensi dell’art. 552 cod. proc. pen., oltre a contenere, tra l’altro, l’indicazione del giudice competente per l’udienza di comparizione predibattimentale, prescrive altresì che, qualora ne ricorrano i presupposti, l’imputato, entro il termine di cui all’art. 554-ter, comma 2, cod. proc. pen. può presentare le richieste previste dagli artt. 438, 444 e 464-bis del medesimo codice, oppure presentare domanda di oblazione. L’imputato può, infatti, chiedere la definizione alternativa del procedimento penale con l’istanza di giudizio abbreviato, o di applicazione della pena a norma dell’art. 444 cod. proc. pen., o di sospensione del processo con messa alla prova, oppure può formulare domanda di oblazione, a pena di decadenza, prima che il giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale pronunci sentenza di non luogo a procedere.

La novellata disposizione di cui all’art. 552, cod. proc. pen., stabilisce, altresì, alla lettera g), che la citazione deve contenere l’avviso che il fascicolo relativo alle indagini preliminari è depositato nella cancelleria del giudice e che le parti e i loro difensori hanno facoltà di prenderne visione e di estrarne copia. Difatti, l’art. 553 cod. proc. pen. stabilisce che «[i]l pubblico ministero forma il fascicolo per il dibattimento e lo trasmette al giudice, unitamente al fascicolo del pubblico ministero e al decreto di citazione immediatamente dopo la notificazione».

L’udienza predibattimentale, quale udienza camerale a partecipazione necessaria del pubblico ministero e del difensore dell’imputato (art. 554-bis, comma 1, cod. proc. pen), è delineata, pertanto, come snodo obbligato tra le indagini preliminari e il dibattimento, con l’attribuzione al giudice dei poteri decisionali di cui agli artt. 554-bis e 554-ter cod. proc. pen.

Oltre alla verifica della regolare costituzione del rapporto processuale, l’art. 554-bis, comma 5, cod. proc. pen. prevede che il giudice «anche d’ufficio, sentite le parti, invita il pubblico ministero a riformulare l’imputazione e, ove lo stesso non vi provveda, dichiara, con ordinanza, la nullità dell’imputazione e dispone la restituzione degli atti al pubblico ministero»; nello stesso senso provvede anche «[al] fine di consentire che il fatto, la definizione giuridica, le circostanze aggravanti e quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza, siano indicati in termini corrispondenti a quanto emerge dagli atti» (comma 6 del medesimo articolo).

Espletate tali verifiche, la disposizione di cui all’art. 554-ter cod. proc. pen. attribuisce al giudice predibattimentale il compito di accertare se, sulla base degli atti trasmessi ai sensi del sopra richiamato art. 553 cod. proc. pen., sussiste una causa che estingue il reato o per la quale l’azione penale non doveva essere iniziata o non doveva essere proseguita, nonché se risulta che il fatto non è previsto dalla legge come reato ovvero che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o che l’imputato non è punibile per qualsiasi causa. In tal caso il giudice predibattimentale adotta una sentenza di non luogo a procedere.

Vi è, poi, il rinvio a molteplici disposizioni che governano l’udienza preliminare, quale modello di udienza “filtro”, ora estesa anche al rito monocratico. In quanto compatibili, sono infatti applicabili le disposizioni di cui agli artt. 424, commi 2, 3 e 4, 425, comma 2, 426 e 427 cod. proc. pen.

In particolare, ai fini delle questioni in esame rileva soprattutto l’art. 554-ter, comma 1, cod. proc. pen., che stabilisce che «[i]l giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti non consentono una ragionevole previsione di condanna», prevedendo così la stessa regola, introdotta nell’art. 425, comma 3, cod. proc. pen. dal medesimo legislatore riformatore con l’art. 23, comma 1, lettera l), del d.lgs. n. 150 del 2022, in sostituzione della regola che consentiva la pronuncia di proscioglimento «quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio».

Si tratta della medesima regola prevista dall’art. 408 cod. proc. pen., nella formulazione modificata dall’art. 22, comma 1, lettera e), numero 1), del d.lgs. n. 150 del 2022, per la richiesta di archiviazione.

Quindi il giudice dell’udienza predibattimentale, se ritiene che gli elementi acquisiti consentono «una ragionevole previsione di condanna» e non sussistono i presupposti per il proscioglimento, fissa per la prosecuzione del giudizio la data dell’udienza dibattimentale davanti ad un «giudice diverso» e dispone la restituzione del fascicolo del pubblico ministero (art. 554-ter, comma 3, cod. proc. pen.).

3.1.– Rileva correttamente il rimettente che la nuova norma processuale, contenuta nel comma 3 dell’art. 554-ter cod. proc. pen., pone la regola secondo cui il giudice del dibattimento deve essere «diverso» rispetto al giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale; regola che, secondo il tenore letterale della stessa, non è quella della incompatibilità di cui all’art. 34 cod. proc. pen., la cui formulazione è rimasta invariata. Il catalogo delle situazioni pregiudicanti, che determinano l’incompatibilità del giudice a partecipare al giudizio, non è stato arricchito della fattispecie di cui al comma 3 dell’art. 554-ter cod. proc. pen. quando tale disposizione è stata introdotta nel codice di rito.

Mette conto ricordare che, in tema di incompatibilità del giudice penale, la consolidata giurisprudenza di legittimità è nel senso di ritenere che l’art. 34 cod. proc. pen. è disposizione di natura eccezionale e, in quanto tale, insuscettibile di interpretazione analogica o estensiva (ex multis, Corte di cassazione, sezione quinta penale, sentenze 18 ottobre 2022-3 febbraio 2023, n. 4813 e n. 10328 del 2021; sezione terza penale, sentenza 5 febbraio-7 giugno 2019, n. 25313).

4.– Ciò premesso, le questioni di legittimità costituzionale, sollevate in riferimento agli artt. 24, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost., sono fondate.

4.1.– Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, di recente ribadito dalla sentenza n. 93 del 2024, la disciplina sull’incompatibilità del giudice trova la sua ratio nella salvaguardia dei valori della terzietà e imparzialità del giudice, presidiati dall’art. 111, secondo comma, Cost., mirando a escludere che questi possa pronunciarsi sull’accusa quando è condizionato dalla “forza della prevenzione”, cioè «dalla tendenza a confermare una decisione o a mantenere un atteggiamento già assunto, derivante da valutazioni che sia stato precedentemente chiamato a svolgere in ordine alla medesima res iudicanda» e ad assicurare «che le funzioni del giudicare siano assegnate a un soggetto “terzo”, scevro di interessi propri che possano far velo alla rigorosa applicazione del diritto e anche sgombro da convinzioni precostituite in ordine alla materia su cui pronunciarsi» (sentenza n. 172 del 2023; nello stesso senso, sentenze n. 64, n. 16 e n. 7 del 2022 e precedenti ivi citati).

Questa Corte, nella pronuncia indicata, ha anche ribadito che «per ritenersi sussistente l’incompatibilità endoprocessuale del giudice, devono concorrere le seguenti condizioni: a) le preesistenti valutazioni cadano sulla medesima res iudicanda; b) il giudice sia stato chiamato a compiere una valutazione (e non abbia avuto semplice conoscenza) di atti anteriormente compiuti, strumentale all’assunzione di una decisione; c) quest’ultima abbia natura non “formale”, ma “di contenuto”, ovvero comporti valutazioni sul merito dell’ipotesi di accusa; d) la precedente valutazione si collochi in una diversa fase del procedimento (sentenze n. 172 e n. 91 del 2023 e n. 64 del 2022)».

Si è, altresì, evidenziato che «[o]ve s’afferma che il giudice non possa esprimersi più volte sulla medesima res iudicanda, deve intendersi per “giudizio” ogni processo che, in base a un esame delle prove, pervenga a una decisione di merito: il giudizio dibattimentale, ma anche il giudizio abbreviato, l’applicazione della pena su richiesta delle parti, l’udienza preliminare e talora l’incidente di esecuzione, nonché il decreto penale di condanna (da ultimo, sentenza n. 16 del 2022)» (ancora sentenza n. 93 del 2024).

Con la sentenza n. 91 del 2023, questa Corte ha, poi, riconosciuto l’esistenza di un sistema integrato mirato a realizzare la necessaria tutela del principio del giusto processo, di cui all’art. 111 Cost., in tutti i casi in cui sussista il rischio che possa risultare compromessa l’imparzialità del giudice.

A tal riguardo, ha affermato che «il principio del giudice terzo e imparziale, che in passato la giurisprudenza di questa Corte aveva ricavato da altri parametri (artt. 3, 25, 101 e 108 Cost.), ha assunto autonoma rilevanza con la legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2 (Inserimento dei principi del giusto processo nell’articolo 111 della Costituzione), sì da costituire connotato essenziale e necessario dell’esercizio di ogni giurisdizione».

Si è quindi precisato che «[i]l processo in tanto può dirsi “giusto” in quanto sia garantita l’imparzialità del giudice»; e si è sottolineato che l’imparzialità «non è che un aspetto di quel carattere di “terzietà” che connota nell’essenziale tanto la funzione giurisdizionale quanto la posizione del giudice, distinguendola da quella degli altri soggetti pubblici, e condiziona l’effettività del diritto di azione e difesa in giudizio».

La regola dell’imparzialità del giudice è anche nelle Carte europee, in quanto l’art. 6, paragrafo 1, CEDU stabilisce che ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente e in un tempo ragionevole, da parte di un tribunale indipendente e imparziale; e l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea garantisce il diritto all’esame della causa da parte di un giudice «indipendente e imparziale, precostituito per legge».

4.2.– Si ha, pertanto, che a presidio della garanzia di terzietà del giudice (art. 111, secondo comma, Cost.), che è presupposto dell’effettività della tutela giurisdizionale (art. 24, secondo comma, Cost.), il codice di rito prevede (negli artt. 34 e 35 cod. proc. pen.) un catalogo di situazioni pregiudicanti in astratto – tali, quindi, a prescindere dalla concreta possibile prevenzione del giudice – che comportano, in radice, la sua incompatibilità e che, prima ancora, lo obbligano ad astenersi (art. 36, comma 1, lettera g, cod. proc. pen.) con facoltà delle parti di ricusare il giudice che, avendone l’obbligo, non si astenga (art. 37, comma 1, lettera a, cod. proc. pen.).

È stato quindi sottolineato che, in tal modo, risulta un sistema integrato mirato a realizzare la necessaria tutela del principio del giusto processo in tutti i casi in cui sussista il rischio che possa risultare compromessa l’imparzialità del giudice. La tutela dell’imparzialità è appunto garantita «mediante una razionale ed esaustiva utilizzazione degli istituti volti ad assicurare il principio del “giusto processo”» (sentenza n. 308 del 1997).

La tutela in parola non può, d’altra parte, risultare affidata soltanto alla possibilità, per il giudice, di astenersi quando sussistano gravi ragioni di convenienza, ai sensi dell’art. 36 cod. proc. pen. Tale disposizione, che secondo la giurisprudenza di questa Corte costituisce una «norma di chiusura a cui devono essere ricondotte tutte le ipotesi non ricadenti nelle precedenti lettere e nelle quali tuttavia l’imparzialità del giudice sia da ritenere compromessa» (sentenza n. 113 del 2000), si riferisce infatti a situazioni, non tipizzate ex ante dal legislatore, in cui la terzietà e l’imparzialità del giudice risultino compromesse in concreto, mentre l’incompatibilità significa che nelle ipotesi tassativamente previste dall’art. 34 cod. proc. pen. l’imparzialità del giudice è compromessa ex se, in generale e in astratto.

5.– Orbene, la mancata previsione in tale disposizione di un’ulteriore fattispecie, generale e astratta, di incompatibilità – quella del giudice dell’udienza predibattimentale chiamato poi ad essere anche il giudice del dibattimento – confligge con i principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte.

L’attività decisionale che il giudice è chiamato a svolgere nell’udienza predibattimentale, compendiata nelle valutazioni oggetto dei provvedimenti di cui agli artt. 554-bis e 554-ter cod. proc. pen., nei termini sopra esaminati ai punti 3 e 3.1., connota tale udienza quale sede pregiudicante della successiva fase decisoria, in quanto il giudice predibattimentale esercita un vaglio penetrante del merito dell’accusa.

La base conoscitiva del giudice predibattimentale è costituita dal complesso degli atti delle indagini preliminari condotte dall’organo inquirente, oltre che dagli atti che confluiscono nel fascicolo per il dibattimento ai sensi dell’art. 431 cod. proc. pen.

Le sue decisioni possibili, come evidenziato sopra, vanno poi dalla verifica della corrispondenza dell’imputazione agli atti di indagine, anche in riferimento alle circostanze aggravanti, all’accertamento della sussistenza di cause di improcedibilità dell’azione penale, di non punibilità e di proscioglimento nel merito, e quindi anche delle condizioni per una pronuncia ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen. per particolare tenuità del fatto, estendendosi fino all’adozione di una decisione, sulla base degli atti, in ordine alla sussistenza, o no, della ragionevole previsione di condanna.

La valutazione dell’ampio compendio accusatorio, secondo tale regola, implica un giudizio prognostico di tipo negativo sulla sostenibilità dell’accusa, ovvero un giudizio sull’utilità del giudizio nella prospettiva di una sentenza di condanna al di là di ogni ragionevole dubbio; valutazione che, dunque, crea un evidente rischio di condizionamento nel successivo giudizio dibattimentale.

Consegue da ciò che la previsione della mera diversità del giudice dibattimentale rispetto a quello predibattimentale non è sufficiente ad assicurare la garanzia del giusto processo, versandosi in una fattispecie in cui il pregiudizio all’imparzialità e terzietà del giudice del dibattimento è di gravità tale da dover essere necessariamente prevista in via generale e predeterminata, anche a prescindere dalla valutazione in concreto che il giudice è chiamato a compiere e, quindi, «indipendentemente dal contenuto che tali attività possono aver assunto» (sentenza n. 306 del 1997).

La mancata previsione della incompatibilità del giudice dell’udienza predibattimentale alla trattazione del giudizio dibattimentale del giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale si pone, pertanto, in contrasto con l’art. 111, secondo comma, Cost. e, di riflesso, anche con l’art. 24, secondo comma, Cost.

6.– Fondata è anche l’ulteriore questione sollevata in riferimento all’art. 3 Cost.

Come si è rilevato, il giudice dell’udienza preliminare e il giudice dell’udienza predibattimentale, ai sensi degli artt. 425, comma 3, e 554-ter cod. proc. pen., sono soggetti alla medesima regola di giudizio compendiata nel canone secondo cui «il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere» quando «gli elementi acquisiti non consentono» di formulare «una ragionevole previsione di condanna». A fronte di ciò, tuttavia, l’art. 34, comma 2, cod. proc. pen. detta una disciplina ingiustificatamente differenziata nella misura in cui prevede l’incompatibilità a partecipare al giudizio soltanto per «il giudice che ha emesso il provvedimento conclusivo dell’udienza preliminare» e non anche per il giudice dell’udienza predibattimentale.

La già evidenziata simmetria, in relazione alla penetrante attività valutativa che sono chiamati a compiere sia il giudice dell’udienza preliminare, sia il giudice dell’udienza predibattimentale, ora contemplata per i reati a citazione diretta, rende, dunque, irragionevole la mancata previsione, nei casi di incompatibilità cosiddetta “orizzontale”, di cui all’art. 34, comma 2, cod. proc. pen., anche della fattispecie del giudice dell’udienza predibattimentale che sia poi chiamato ad essere altresì giudice del dibattimento.

7.– In conclusione, ancorché la testuale prescrizione della diversità del giudice dibattimentale rispetto al giudice dell’udienza predibattimentale potrebbe, in astratto, non precludere un’interpretazione costituzionalmente orientata che identifichi il «giudice diverso» in un giudice non “incompatibile”, sempre che si superasse il carattere tassativo dell’elencazione contenuta nell’art. 34, comma 2, cod. proc. pen., tuttavia, a fronte dei possibili impieghi che la predetta locuzione può assumere nella materia processuale, la necessità che sia assicurata la garanzia del giusto processo e la connessa tutela dei valori della terzietà e della imparzialità della giurisdizione, presidiati dagli artt. 24, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost., postulano – anche per l’esigenza di certezza del diritto – che l’introduzione di una nuova situazione di incompatibilità avvenga con pronuncia di illegittimità costituzionale di tipo additivo.

Questa Corte, peraltro, in relazione alla mancata previsione di una condizione di incompatibilità del giudice civile dell’esecuzione che ha adottato il provvedimento reclamato a far parte del collegio giudicante sul reclamo, ha evidenziato «che le istanze correlate al principio di imparzialità-terzietà del giudice, nell’ambito del processo civile, possono ben transitare anche attraverso una interpretazione sistematica e adeguatrice alla Costituzione dell’art. 51, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., relativamente alla nozione di “altro grado del processo”», ma ha però precisato che «le esigenze di certezza, particolarmente avvertite nella materia processuale, unitamente alla varietà e alla peculiarità delle ipotesi potenzialmente riconducibili alla ratio del gravame interno allo stesso ufficio giudiziario […] sono tali da rendere la pronuncia additiva, invocata dal giudice rimettente, un rimedio funzionale alle citate esigenze» (sentenza n. 45 del 2023).

Pertanto, assorbito l’esame degli ulteriori parametri evocati, va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che non può partecipare al giudizio il giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale nel caso previsto dall’art. 554-ter, comma 3, cod. proc. pen.

8.– Dall’ampliamento dei casi di incompatibilità per effetto della presente pronuncia di illegittimità costituzionale discende la necessità che il principio del giusto processo sia assicurato anche con riferimento al giudizio di impugnazione della sentenza di non luogo a procedere, ai sensi dell’art. 554-quater, comma 3, cod. proc. pen.

Tale disposizione stabilisce, infatti, che in caso di impugnazione della sentenza di non luogo a procedere da parte del pubblico ministero, la corte d’appello, che non confermi la sentenza, fissa la data per l’udienza dibattimentale davanti ad un giudice diverso da quello che ha pronunciato la sentenza.

Pertanto, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), la dichiarazione di illegittimità costituzionale va estesa in via consequenziale all’art. 34, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che non può partecipare al giudizio il giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale anche nel caso previsto dall’art. 554-quater, comma 3, cod. proc. pen.


per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che non può partecipare al giudizio il giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale nel caso previsto dall’art. 554-ter, comma 3, cod. proc. pen.;

2) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che non può partecipare al giudizio il giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale nel caso previsto dall’art. 554-quater, comma 3, cod. proc. pen.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 ottobre 2024.

F.to:

Augusto Antonio BARBERA, Presidente

Giovanni AMOROSO, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 14 novembre 2024

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA


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