Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 28 febbraio 2024 e depositato il successivo 1° marzo (reg. ric. n. 9 del 2024), la Regione Campania, in persona del Presidente pro tempore, ha impugnato, in riferimento complessivamente agli artt. 3, 5, 81, 97, 114, 117, terzo comma, 118, 119 e 120 della Costituzione, l’art. 1, commi 527 e 557, della legge 30 dicembre 2023, n. 213 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2024 e bilancio pluriennale per il triennio 2024-2026).
2.– La prima delle suddette disposizioni prevede che «[a]i fini della tutela dell’unità economica della Repubblica, in considerazione delle esigenze di contenimento della spesa pubblica e nel rispetto dei princìpi di coordinamento della finanza pubblica, nelle more della definizione delle nuove regole della governance economica europea, le regioni a statuto ordinario, per ciascuno degli anni dal 2024 al 2028, assicurano un contributo alla finanza pubblica pari a 350 milioni di euro annui. Il riparto del concorso alla finanza pubblica di cui al periodo precedente è effettuato, entro il 30 aprile 2024, in sede di autocoordinamento tra le regioni, formalizzato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie. In assenza di accordo in sede di autocoordinamento, il riparto è effettuato, entro il 31 maggio 2024, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, in proporzione agli impegni di spesa corrente al netto delle spese relative alla missione 12, Diritti sociali, politiche sociali e famiglia, e alla missione 13, Tutela della salute, degli schemi di bilancio delle regioni, come risultanti dal rendiconto generale 2022 o, in caso di mancanza, dall’ultimo rendiconto approvato. Le regioni a statuto ordinario sono tenute a versare gli importi del concorso alla finanza pubblica, come determinati ai sensi dei periodi precedenti, all’entrata del bilancio dello Stato sul capo X – capitolo n. 3465 – art. 2 (“Rimborsi e concorsi diversi dovuti dalle regioni a statuto ordinario”) entro il 30 giugno di ciascuno degli anni dal 2024 al 2028, dandone comunicazione al Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato. Qualora il versamento di cui al periodo precedente non sia effettuato entro il termine previsto, il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato provvede al recupero mediante corrispondente riduzione delle risorse a qualsiasi titolo spettanti a ciascuna regione».
2.1.– La Regione Campania segnala in premessa di avere in corso piani di rientro da disavanzi di amministrazione riferiti agli esercizi finanziari 2014 e 2015 e che, dovendo destinare a tale obiettivo un importo complessivo di circa 128 milioni di euro in ogni esercizio, l’ente soffrirebbe, in forza del nuovo contributo, di una grave diminuzione della capacità di spesa a favore dei cittadini.
Ricorda altresì che la contribuzione regionale agli equilibri di finanza pubblica si dovrebbe realizzare mediante il conseguimento del saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali, ai sensi degli artt. 9, comma 1, della legge 24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma, della Costituzione) e 1, commi 465 e 466, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019).
Invece, già prima dell’adozione della disposizione impugnata, la legge di bilancio 2021, «[i]n considerazione dei risparmi connessi alla riorganizzazione dei servizi anche attraverso la digitalizzazione e il potenziamento del lavoro agile», ha stabilito una misura di concorso alla finanza pubblica pari a 196 milioni di euro, per ciascuno degli anni dal 2023 al 2025, a carico delle regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano (art. 1, commi da 850 a 852, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, recante «Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023», come modificati dall’art. 1, comma 556, della legge 30 dicembre 2021, n. 234, recante «Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2022 e bilancio pluriennale per il triennio 2022-2024»).
Successivamente, con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 4 ottobre 2023 (Riparto del concorso alla finanza pubblica da parte delle regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano) si è provveduto non soltanto al riparto di tale contributo tra le regioni ma anche a stabilire un obbligo di versamento all’entrata del bilancio dello Stato, nonché, in caso di inadempimento, il recupero dell’importo da parte del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato mediante corrispondente riduzione delle risorse a qualsiasi titolo spettanti all’ente.
Con decreto del 20 novembre 2023, il citato Dipartimento ha poi disposto la compensazione dell’importo dovuto dalla Regione Campania a titolo di concorso alla finanza pubblica, pari a 18.440.033,45 euro, riducendo gli importi a essa «spettanti a titolo di quota sanità della compartecipazione IVA per la mensilità di novembre 2023».
Al riguardo, la Regione Campania fa presente di avere proposto gravame avverso il suddetto decreto e il provvedimento di recupero adottato nei suoi confronti.
2.2.– Quanto alla disposizione impugnata, il ricorso lamenta, innanzitutto, l’invasione da parte del legislatore statale della sfera di competenza regionale nella materia «coordinamento della finanza pubblica», in quanto con una disposizione di dettaglio sarebbe stata imposta «una specifica modalità di contribuzione», ossia «il riversamento del risparmio regionale conseguito al bilancio statale», in tal modo compromettendo l’autonomia regionale, in violazione degli artt. 3, 5, 117, terzo comma, 119 e 120 Cost.
L’impugnato art. 1, comma 527, della legge n. 213 del 2023, in particolare, non potrebbe essere qualificato principio fondamentale, «prevedendo riversamenti puntuali, o, in assenza, tagli indiscriminati alle erogazioni statali destinate alle Regioni», così introducendo «limiti precisi e stringenti» all’autonomia finanziaria e organizzativa delle stesse (è citata la sentenza di questa Corte n. 193 del 2012). La previsione, inoltre, non rispetterebbe «neppure il requisito della temporaneità», sovrapponendosi «al contributo già in essere», dovuto dal 2023 al 2025, ed estendendosi «ulteriormente sino al 2028», in violazione di quanto affermato da questa Corte (è citata la sentenza di questa Corte n. 289 del 2008).
2.3.– Sotto un ulteriore profilo di censura, il previsto riversamento per cassa al bilancio dello Stato, «sottraendo ogni spazio di autonomia decisionale alla Regione», violerebbe il principio di autonomia finanziaria garantito dagli artt. 114 e 119, primo e secondo comma, Cost., nonché «sovvert[irebbe] del tutto la logica di attuazione» dei principi di solidarietà territoriale di cui all’art. 119, terzo e quinto comma, Cost., dal momento che comporterebbe da parte dello Stato «l’accertamento di una nuova entrata» senza che sia indicata la «destinazione di tali risorse» (è richiamata la sentenza n. 176 del 2012 di questa Corte).
2.4.– Inoltre, il ricorso lamenta l’imposizione del contributo alla finanza pubblica anche alle regioni in piano di rientro da un disavanzo di amministrazione, che vedrebbero, a causa del richiamato riversamento, ancor più ridotte le proprie disponibilità di cassa, in aggiunta ai vincoli legati al recupero del disavanzo.
La ricorrente segnala che «per un ente territoriale il rientro dai disavanzi pregressi è obiettivo di finanza pubblica prioritario anteposto a qualsiasi ulteriore finalità di coordinamento tra Stato e Regioni», dal momento che la sottoposizione al piano di rientro richiederebbe di «garantire risparmi di spesa definiti per decenni con conseguente ridotta capacità di spesa obbligatoria sul territorio».
In sostanza, imponendo «vincoli irragionevolmente rigidi», la disposizione impugnata non terrebbe quindi conto della concreta situazione finanziaria degli enti territoriali, né bilancerebbe adeguatamente stabilità finanziaria e autonomia degli enti, contrastando con gli artt. 3, 81 e 97 Cost.
In particolare, il ricorso segnala che «[i]n applicazione delle disposizioni impugnate, la Regione Campania dovrebbe assicurare un contributo annuo di circa 35 milioni di euro in aggiunta a quello, di euro 18.440.033,45 già richiesto dal Ministero ai sensi delle disposizioni dei commi 850 e 851 dell’art. 1 della Legge n. 178/2020, a decorrere dal 2023. Pertanto, la Regione Campania ogni anno dovrebbe riversare, per cassa, al bilancio dello Stato una somma pari complessivamente a circa euro 54 milioni, oltre a dover ogni anno ripianare una quota del proprio disavanzo per un importo almeno pari a euro 128.365.175,41».
Tale «oggettiva» circostanza fornirebbe la cifra del «gravissimo pregiudizio» arrecato alla stessa Regione dall’introduzione delle norme di cui all’impugnato comma 527.
2.5.– In contrasto con l’art. 3 Cost., nonché con gli artt. 97, 117, terzo comma, e 119 Cost., la disposizione impugnata determinerebbe, inoltre, «una illegittima sottrazione e appropriazione di risorse regionali da parte dello Stato».
2.6.– Essa risulterebbe altresì in contrasto con i principi di eguaglianza e ragionevolezza, perché il legislatore statale, all’art. 1, comma 533, della legge n. 213 del 2023, avrebbe esentato dal concorso alla finanza pubblica gli enti locali in dissesto finanziario o in procedura di riequilibrio finanziario, mentre la disposizione impugnata non esclude le regioni in piano di rientro dal contributo alla finanza pubblica, assoggettandole allo stesso obbligo stabilito per gli enti in regime ordinario.
2.7.– In ogni caso, la stessa disposizione violerebbe gli artt. 3 e 97 Cost. nella parte in cui non consente alle regioni che stanno ripianando un disavanzo di amministrazione, in luogo del riversamento per cassa a favore dello Stato, di iscrivere il dovuto contributo alla finanza pubblica in uno specifico capitolo di spesa del proprio bilancio, sul quale non è possibile impegnare risorse, «con la conseguenza che, al termine dell’esercizio, il relativo stanziamento confluisca nel risultato di Amministrazione, quale quota di maggior recupero del disavanzo».
Sarebbe questa l’unica modalità costituzionalmente compatibile di attuazione del concorso per un ente già in piano di rientro da disavanzo, dal momento che il riversamento per cassa al bilancio dello Stato rappresenterebbe un esproprio del proprio patrimonio, in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte (sono richiamate le sentenze n. 101 del 2018 e n. 247 del 2017).
2.8.– Da ultimo, il ricorso lamenta che l’impugnato comma 527 violerebbe l’autonomia finanziaria regionale, garantita dall’art. 119 Cost., nella parte in cui prevede, in modo contraddittorio e quindi lesivo dell’art. 3 Cost., che, in caso di mancato versamento del contributo da parte delle regioni nel termine stabilito, si provveda «al recupero mediante corrispondente riduzione delle risorse a qualsiasi titolo spettanti a ciascuna regione».
Infatti, consentendo la riduzione di risorse spettanti a qualsiasi titolo, la norma «contraddi[rebbe] l’intero impianto» della disposizione in esame, in particolare laddove, nel terzo periodo, «distingue le spese connesse ai diritti sociali e alla tutela della salute».
In tal modo si produrrebbe un pregiudizio irrimediabile alla collettività, introducendo un principio «di fatto “sanzionatorio”», idoneo a incidere proprio su quei diritti fondamentali della persona che il legislatore, nel citato terzo periodo, invece, «[avrebbe] inteso escludere dai potenziali canali di finanziamento della compartecipazione regionale alla finanza statale».
3.– La Regione Campania ha impugnato altresì l’art. 1, comma 557, della legge n. 213 del 2023, nella parte in cui prevede che «[e]ntro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro della salute, con proprio decreto adottato di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, individua i criteri e le modalità di riparto […], nonché il sistema di monitoraggio dell’impiego delle somme», del «Fondo per i test di Next-Generation Sequencing per la diagnosi delle malattie rare», istituito, ai sensi del precedente comma 556, nello stato di previsione del Ministero della salute, con una dotazione pari a 1 milione di euro per l’anno 2024.
La disposizione impugnata, escludendo ogni forma di coinvolgimento del sistema delle autonomie territoriali nella determinazione dei criteri di riparto delle risorse del fondo, violerebbe il principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost. e gli artt. 117, terzo comma, 118 e 119 Cost., in quanto, essendo ascrivibile all’ambito di legislazione concorrente della tutela della salute, avrebbe dovuto garantire la partecipazione delle regioni.
In particolare, il ricorso richiama ampi passaggi della sentenza n. 40 del 2022 di questa Corte, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale di una «disposizione del tutto analoga» – ossia l’art. 19-octies, comma 2, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137 (Ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 18 dicembre 2020, n. 176 –, sulla base di argomentazioni che sarebbero pianamente riferibili a quella in esame. Quest’ultima, in conclusione, violerebbe i parametri evocati nella parte in cui non prevede l’adozione del decreto d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano.
4.– Con atto depositato l’8 aprile 2024 si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo il rigetto del ricorso.
4.1.– Il motivo di ricorso relativo all’art. 1, comma 527, della legge n. 213 del 2023 sarebbe non fondato, poiché la contribuzione regionale alla finanza pubblica risulterebbe del tutto «coerente con la giurisprudenza costituzionale in materia» (sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 122 del 2023 e n. 79 del 2014). Essa, infatti: a) sarebbe finalizzata al contenimento della spesa pubblica complessiva, nel rispetto dei principi di coordinamento della finanza pubblica; b) avrebbe carattere transitorio, senza né prevedere specifici strumenti o modalità per il perseguimento del suddetto obiettivo, né incidere con una disciplina di dettaglio sulle singole politiche regionali di bilancio.
In particolare, sarebbe infondata la tesi della ricorrente diretta a dare rilievo alla situazione delle regioni in piano di rientro, essendo palese che negli ultimi anni ogni manovra di finanza pubblica ha previsto, «per tutti gli enti territoriali», sia un contenimento della spesa da parte degli enti medesimi, sia un recupero dei relativi risparmi al bilancio dello Stato.
D’altro canto, osserva la difesa statale, il versamento dei predetti risparmi all’entrata del bilancio dello Stato, o il recupero mediante corrispondente riduzione delle risorse a qualsiasi titolo spettanti a ciascuna regione, sarebbe una modalità essenziale «affinché il contenimento della spesa pubblica in esame possa produrre i propri effetti» su tutti i saldi di finanza pubblica (saldo netto da finanziare, indebitamento netto e fabbisogno).
Inoltre, la disposizione impugnata garantirebbe il rispetto sia dell’autonomia regionale, sia del principio della leale collaborazione, demandando a un accordo tra le regioni in sede di autocoordinamento il riparto del concorso e, in ogni caso, l’intervento dello Stato, previsto soltanto nell’ipotesi di mancato accordo, avverrebbe sulla base di criteri coerenti con il contenuto della sentenza n. 79 del 2014 di questa Corte, escludendo dal computo le spese relative alle Missioni 12 e 13 risultanti dai rendiconti regionali.
L’Avvocatura confuta anche la tesi della ricorrente diretta a limitare le modalità di contribuzione agli equilibri di finanza pubblica da parte delle regioni al solo conseguimento del saldo previsto dall’art. 9, comma 1, della legge n. 243 del 2012; in realtà, la stessa disposizione, al comma 5, consentirebbe alla legge statale di «prevedere ulteriori obblighi a carico degli enti di cui al comma 1 in materia di concorso al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica del complesso delle amministrazioni pubbliche».
Nemmeno sarebbe fondata l’affermazione della ricorrente secondo cui il rientro dai disavanzi pregressi costituirebbe un obiettivo di finanza pubblica prioritario e anteposto a qualsiasi ulteriore finalità di coordinamento tra Stato e regioni.
Al riguardo, ferma la disciplina generale sul ripiano dei disavanzi regionali non oltre la durata della legislatura, stabilita dall’art. 42, comma 12, del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 (Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42), l’Avvocatura osserva che previsioni statali dirette «a favorire il recupero del disavanzo da parte degli enti territoriali in un arco temporale più ampio, di almeno 20 esercizi, proprio perché volte ad assicurare la sana gestione finanziaria e la sostenibilità economica del rientro, non possono considerarsi incompatibili con ulteriori manovre di finanza pubblica» ritenute necessarie dallo Stato al fine di realizzare obiettivi di contenimento della spesa pubblica.
4.2.– Quanto alla seconda disposizione impugnata, la difesa statale ritiene che il «dato letterale» dell’impugnato comma 557 dell’art. 1 della legge n. 213 del 2023 «non prevede[rebbe] una competenza esclusiva dello Stato in materia, non escludendo a priori il coinvolgimento delle regioni nelle successive fasi normative di dettaglio della disposizione».
La sentenza n. 40 del 2022 di questa Corte sarebbe dunque «non confacente al caso di specie», considerato che tra la disposizione da essa scrutinata e quella in esame vi sarebbe una «radicale diversità»; il motivo di ricorso risulterebbe pertanto inammissibile, «per attuale carenza di interesse», o, comunque, non fondato.
5.– Con memoria depositata l’8 ottobre 2024, la Regione Campania ha contestato l’affermazione della difesa statale secondo cui l’impugnato art. 1, comma 527, sarebbe coerente con la giurisprudenza costituzionale e, in particolare, con la sentenza n. 79 del 2014, dal momento che le disposizioni in quella occasione scrutinate imponevano un contenimento della spesa regionale, mentre quella oggetto del giudizio prevede a carico delle regioni «una specifica modalità di contribuzione», che, imponendo il riversamento per cassa al bilancio dello Stato dell’importo quantificato per ciascuno degli anni dal 2024 al 2028, «sottra[rrebbe] ogni spazio di autonomia decisionale» regionale.
La difesa regionale nega altresì che il suddetto versamento costituisca «una modalità essenziale» di perseguimento dell’equilibrio e della stabilità finanziaria pubblica, come sostenuto dall’Avvocatura generale dello Stato; il legislatore, infatti, con una modalità diversa da quelle seguite in passato per assicurare il concorso alla finanza pubblica da parte delle regioni, avrebbe nella specie «opera[to] un vero e proprio prelievo forzoso di risorse in danno della Regione», privata inopinatamente e illegittimamente «di fondi indispensabili all’esercizio delle proprie prerogative costituzionali».
Inoltre, dall’art. 9, comma 5, della legge n. 243 del 2012, richiamato dalla difesa statale, non potrebbe conseguire lo «sdoganamento» di qualsiasi altra misura di concorso alla finanza pubblica, «anche costituzionalmente illegittima», come quella in esame.
La ricorrente esclude, infine, che dalla sentenza n. 9 del 2024 di questa Corte, richiamata dall’Avvocatura, si possa desumere la compatibilità tra l’assolvimento del contributo alla finanza pubblica in esame e il rientro dal disavanzo che la Regione Campania sta compiendo in un arco temporale ampio. Secondo la difesa regionale, mentre in quella occasione veniva in rilievo una misura che differiva nel tempo il ripiano del disavanzo di bilancio, «il piano di rientro dal disavanzo sanitario», al quale la ricorrente è sottoposta, imporrebbe stringenti vincoli finanziari alle regioni «al diverso (e opposto) fine di addivenire al ripiano del disavanzo nel più breve tempo possibile». Sarebbe dunque irragionevole che la disposizione impugnata «ignori del tutto la concreta situazione» degli enti in questa situazione.
Considerato in diritto
1.– Con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 9 del 2024), la Regione Campania ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 527 e 557, della legge n. 213 del 2023.
1.1.– Con il primo motivo la ricorrente impugna il citato comma 527, il cui contenuto può essere così sintetizzato: a) le regioni a statuto ordinario assicurano, per ciascuno degli anni dal 2024 al 2028, un contributo alla finanza pubblica pari a 350 milioni di euro annui; b) il contributo è stabilito ai fini della tutela dell’unità economica della Repubblica, in considerazione delle esigenze di contenimento della spesa pubblica e nel rispetto dei princìpi di coordinamento della finanza pubblica, nonché nelle more della definizione delle nuove regole della governance economica europea; c) il riparto del suddetto concorso alla finanza pubblica è effettuato, in via prioritaria, in base all’accordo tra le regioni e, se questo non intervenga entro il 30 aprile 2024, dallo Stato, che vi provvede entro il 31 maggio 2024, in proporzione agli impegni di spesa corrente risultanti dal rendiconto generale regionale, al netto delle spese relative alla Missione 12, Diritti sociali, politiche sociali e famiglia, e alla Missione 13, Tutela della salute; d) gli importi così determinati devono essere versati dalle regioni all’entrata del bilancio dello Stato, in apposito capitolo, entro il 30 giugno di ciascuno degli anni dal 2024 al 2028; e) il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato provvede al recupero dell’importo non versato mediante corrispondente riduzione delle risorse a qualsiasi titolo spettanti a ciascuna regione inadempiente.
1.1.1.– La Regione ricorrente lamenta anzitutto che una previsione così strutturata non potrebbe qualificarsi come un legittimo principio fondamentale della materia, di competenza concorrente, «coordinamento della finanza pubblica».
Imponendo l’obbligo di versare l’importo del contributo all’entrata del bilancio dello Stato, il legislatore avrebbe adottato una disposizione di dettaglio, che colpirebbe il «risparmio regionale», frustrando l’autonomia regionale e compromettendo l’esercizio delle attribuzioni regionali a tutela della comunità amministrata, in violazione degli artt. 3, 5, 117, terzo comma, 119 e 120 Cost.
I requisiti posti dalla giurisprudenza costituzionale sarebbero violati anche perché, oltre a introdurre «limiti precisi e stringenti» all’autonomia finanziaria e organizzativa delle regioni, la previsione non rispetterebbe «neppure il requisito della temporaneità», sovrapponendosi «al contributo già in essere», dovuto dal 2023 al 2025, ed estendendosi «ulteriormente sino al 2028».
1.1.2.– Sotto un ulteriore profilo di censura, il previsto riversamento per cassa al bilancio dello Stato, «sottraendo ogni spazio di autonomia decisionale alla Regione», violerebbe il principio di autonomia finanziaria garantito dagli artt. 114 e 119, primo e secondo comma, Cost., nonché «sovvert[irebbe] del tutto la logica di attuazione» dei principi di solidarietà territoriale di cui all’art. 119, terzo e quinto comma, Cost., dal momento che comporterebbe da parte dello Stato «l’accertamento di una nuova entrata» senza che sia indicata la «destinazione di tali risorse» (è richiamata la sentenza n. 176 del 2012 di questa Corte).
1.1.3.– Una successiva, e subordinata, doglianza colpisce la previsione dell’obbligo di versamento del contributo stabilita dall’impugnato comma 527 perché si applicherebbe anche alle regioni in piano di rientro da un disavanzo di amministrazione, così riducendo le disponibilità di cassa di tali enti a fronte di quanto già necessario al rispetto dei vincoli legati al recupero del disavanzo.
Imponendo «vincoli irragionevolmente rigidi», la disposizione impugnata non terrebbe conto della concreta situazione finanziaria degli enti territoriali, né bilancerebbe adeguatamente stabilità finanziaria e autonomia degli enti, così violando gli artt. 3, 81 e 97 Cost.
1.1.4.– In contrasto con gli artt. 3, 97, 117, terzo comma, e 119 Cost., la disposizione impugnata determinerebbe, altresì, «una illegittima sottrazione e appropriazione di risorse regionali da parte dello Stato».
1.1.5.– Essa risulterebbe anche in contrasto con i principi di eguaglianza e ragionevolezza perché il legislatore statale, all’art. 1, comma 533, della legge n. 213 del 2023, avrebbe esentato dal concorso alla finanza pubblica gli enti locali in dissesto finanziario o in procedura di riequilibrio finanziario, mentre la disposizione impugnata non esclude le regioni in piano di rientro dal contributo alla finanza pubblica, assoggettandole allo stesso obbligo stabilito per gli enti in regime ordinario.
1.1.6.– In ogni caso, la stessa disposizione violerebbe gli artt. 3 e 97 Cost. nella parte in cui non consente alle regioni che stanno ripianando un disavanzo di amministrazione, in luogo del riversamento per cassa a favore dello Stato, di iscrivere il contributo alla finanza pubblica dovuto in uno specifico capitolo di spesa del proprio bilancio, sul quale non è possibile impegnare risorse, «con la conseguenza che, al termine dell’esercizio, il relativo stanziamento confluisca nel risultato di Amministrazione, quale quota di maggior recupero del disavanzo».
Sarebbe questa l’unica modalità costituzionalmente compatibile, dal momento che il riversamento per cassa al bilancio dello Stato rappresenterebbe, per un ente già in piano di rientro da disavanzo, un esproprio del proprio patrimonio, in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte (sono richiamate le sentenze n. 101 del 2018 e n. 247 del 2017).
1.1.7.– Da ultimo, il ricorso lamenta che l’impugnato comma 527 violerebbe, in modo contraddittorio e quindi lesivo dell’art. 3 Cost., l’autonomia finanziaria regionale, garantita dall’art. 119 Cost., nella parte in cui prevede che, in caso di mancato versamento del contributo da parte delle regioni nel termine stabilito, si provveda «al recupero mediante corrispondente riduzione delle risorse a qualsiasi titolo spettanti a ciascuna regione».
Infatti, consentendo la riduzione di risorse spettanti a qualsiasi titolo, la norma «contraddi[rebbe] l’intero impianto» della disposizione in esame, in particolare laddove, nel terzo periodo, «distingue le spese connesse ai diritti sociali e alla tutela della salute».
In tal modo si produrrebbe un pregiudizio irrimediabile alla collettività, introducendo un principio «di fatto “sanzionatorio”», idoneo a incidere su diritti fondamentali della persona, che il legislatore, nel citato terzo periodo, invece, «[avrebbe] inteso escludere dai potenziali canali di finanziamento della compartecipazione regionale alla finanza statale».
1.2.– Il secondo motivo di ricorso impugna l’art. 1, comma 557, della legge n. 213 del 2023, nella parte in cui non prevede che sia adottato d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano il decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, che individua i criteri e le modalità di riparto, nonché il sistema di monitoraggio dell’impiego delle somme, del «Fondo per i test di Next-Generation Sequencing per la diagnosi delle malattie rare», istituito ai sensi del precedente comma 556 nello stato di previsione del Ministero della salute con una dotazione pari a 1 milione di euro per l’anno 2024.
Escludendo qualsiasi coinvolgimento delle regioni nella determinazione dei criteri e delle modalità di accesso al fondo, la disposizione violerebbe gli artt. 117, terzo comma, 118 e 119 Cost. nonché il principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost., ledendo le attribuzioni regionali nella materia di competenza legislativa concorrente «tutela della salute».
2.– Preliminarmente all’esame del primo motivo vanno richiamati i due interventi legislativi, relativi all’impugnato art. 1, comma 527, della legge n. 213 del 2023, adottati dopo la notifica del ricorso, avvenuta il 28 febbraio 2024.
2.1.– Anzitutto, l’art. 3, comma 12-octies (introdotto in sede di conversione ed entrato in vigore il 29 febbraio 2024), del decreto-legge 30 dicembre 2023, n. 215 (Disposizioni urgenti in materia di termini normativi), convertito, con modificazioni, nella legge 23 febbraio 2024, n. 18, da un lato, ha ridotto, per il solo anno 2024, a 305 milioni di euro il contributo a carico delle regioni a statuto ordinario; dall’altro lato, ha differito di un mese i tre termini previsti dal richiamato comma 527, rispettivamente: a) per effettuare il riparto, in sede di autocoordinamento tra le regioni; b) per l’intervento in via sostitutiva da parte dello Stato; c) per provvedere al versamento del relativo importo.
Il secondo intervento legislativo – originato dal superamento dei suddetti termini senza che sia stato effettuato il riparto, neanche da parte dello Stato, né, conseguentemente, che sia stato versato il contributo per l’anno 2024 – è stato operato dall’art. 19 del decreto-legge 9 agosto 2024, n. 113 (Misure urgenti di carattere fiscale, proroghe di termini normativi ed interventi di carattere economico), convertito, con modificazioni, nella legge 7 ottobre 2024, n. 143.
Il citato art. 19 ha modificato l’impugnato comma 527 e inserito i commi da 527-bis a 527-quinquies, apportando le seguenti modifiche alla disciplina del contributo alla finanza pubblica: a) per il solo anno 2024 è stato eliminato l’obbligo del versamento diretto del contributo all’entrata del bilancio dello Stato e, per lo stesso anno, le regioni in disavanzo di amministrazione al 31 dicembre 2023 – compreso il disavanzo da debito autorizzato e non contratto – corrispondono il contributo iscrivendo, nel bilancio di previsione dell’esercizio 2024, un fondo pari all’importo direttamente determinato dallo stesso legislatore per ciascuna regione (mediante l’Allegato VI-bis di cui al comma 1, lettera c, del richiamato art. 19), fermo restando il rispetto dell’equilibrio di bilancio di parte corrente (comma 527-ter, primo periodo); b) su tale fondo non è possibile disporre impegni, con l’effetto che, alla fine dell’esercizio 2024, esso «costituisce un’economia che concorre al ripiano del disavanzo di amministrazione, da effettuare per un importo pari a quello previsto nel bilancio di previsione per l’esercizio 2024 incrementato dal suddetto fondo» (comma 527-ter, terzo periodo); c) qualora, in sede di approvazione del rendiconto 2024, il disavanzo di amministrazione non sia migliorato nella misura di tale incremento, la regione deve iscrivere le quote non recuperate nel primo esercizio del bilancio di previsione in corso di gestione, aggiungendole a quelle del recupero previste dai piani di rientro in corso con riferimento al medesimo esercizio (comma 527-quater, primo periodo); d) alla luce della eliminazione del suddetto obbligo di versamento diretto per l’anno 2024, è stata data copertura di spesa nel bilancio dello Stato in termini di saldo netto da finanziare, mentre le modifiche descritte non hanno determinato alcun effetto sui saldi relativi all’indebitamento netto e al fabbisogno (comma 527-quinquies).
Infine, intervenendo sul comma 527, l’art. 19 del d.l. n. 113 del 2024, come convertito, proroga i termini per definire il riparto del contributo dovuto per gli anni dal 2025 al 2028 in sede di autocoordinamento (entro il 20 settembre 2024) o, in assenza di accordo, in via sostitutiva (entro il 20 ottobre 2024).
2.2.– Non vi è dubbio che le modifiche apportate dal d.l. n. 215 del 2023, come convertito, essendo limitate a una riduzione dell’importo del contributo alla finanza pubblica, per il solo anno 2024, nonché alla rimodulazione dei termini per la definizione del riparto del contributo medesimo e per il versamento allo Stato, non siano satisfattive per la ricorrente e abbiano, comunque, carattere marginale.
Pertanto, «in forza “del principio di effettività della tutela costituzionale delle parti nei giudizi in via d’azione”» (sentenza n. 220 del 2021), le questioni promosse debbono essere trasferite sulla nuova norma, essendo questa «sostanzialmente coincidente con quella impugnata» (sentenza n. 141 del 2016).
Al contrario, il secondo gruppo di modifiche, operate dal d.l. n. 113 del 2024, come convertito, pur incidendo soltanto sul primo anno del quinquennio di vigenza del contributo a carico delle regioni a statuto ordinario, e comunque confermandone la cogenza, ha modificato in maniera significativa la modalità con la quale il contributo deve essere corrisposto, in quanto sostituisce l’obbligo del versamento diretto con le nuove specifiche previsioni che vanno ad integrare quella impugnata.
Di conseguenza, la novella apportata dal richiamato intervento ha carattere innovativo, ciò che preclude la possibilità del trasferimento delle questioni (sentenza n. 40 del 2016). Nondimeno, le modifiche si dimostrano però parzialmente satisfattive, rispetto alla censura avanzata in via subordinata (sulla quale, infra, punto 9.1.) con la sesta questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 527, della legge n. 213 del 2023, promossa in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost.
3.– Ancora in via preliminare, il ricorso ha sufficientemente motivato sulla ridondanza delle asserite violazioni di parametri estranei al Titolo V della Parte II della Costituzione sul riparto di attribuzioni, in particolare, richiamando l’incidenza della norma impugnata sulla specifica situazione finanziaria della Regione Campania. Di qui, l’ammissibilità, sotto questo profilo, delle relative doglianze.
4.– Con il primo ordine di censure (punto 1.1.1.) la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 3, 5, 117, terzo comma, 119 e 120 Cost., in quanto, nella materia di competenza legislativa concorrente «coordinamento della finanza pubblica», la norma impugnata prevederebbe un contributo regionale alla finanza pubblica: a) imponendo «una specifica modalità di contribuzione», ossia «il riversamento del risparmio regionale conseguito al bilancio statale», così introducendo «limiti precisi e stringenti» all’autonomia finanziaria e organizzativa delle regioni e b) senza rispettare «il requisito della temporaneità», sovrapponendosi «al contributo già in essere», dovuto dal 2023 al 2025, ed estendendosi «ulteriormente sino al 2028».
I due profili possono essere affrontati congiuntamente, concernendo entrambi la verifica della sussistenza, o meno, dei caratteri per potere qualificare la norma impugnata come espressiva di un principio fondamentale nella materia del coordinamento della finanza pubblica.
Entrambe le censure non sono fondate.
4.1.– Con riferimento alla prima occorre ricordare che secondo la costante giurisprudenza di questa Corte «norme statali che fissano limiti alla spesa delle Regioni e degli enti locali possono qualificarsi principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica alla condizione, tra l’altro, che si limitino a prevedere un contenimento complessivo della spesa corrente dal carattere transitorio» (ex plurimis, sentenza n. 103 del 2018).
In linea con tale giurisprudenza, il legislatore statale, con le norme impugnate, ha inteso perseguire l’esigenza di contenimento della spesa pubblica del sottosettore delle amministrazioni regionali limitandosi a determinare l’importo complessivo del contributo richiesto alle regioni a statuto ordinario, lasciando alle stesse adeguati margini di autonomia sulle voci di spesa cui applicare i risparmi.
Fermo restando l’apporto globale da assicurare alla finanza pubblica, il relativo riparto tra le regioni è infatti espressamente rimesso all’accordo che queste raggiungano in sede di autocoordinamento, lasciando così anche ampi spazi di libertà in riferimento agli ambiti su cui intervenire.
Peraltro, anche in assenza di tale accordo entro il termine indicato dalla norma, l’intervento in via sostitutiva dell’autorità statale si limita a quantificare gli importi complessivamente dovuti da ciascuna regione, senza aggiungere vincoli in ordine ai settori sui quali concentrare i contenimenti di spesa, salvo escludere quelli maggiormente inerenti ai diritti sociali e alla sanità.
L’art. 1, comma 527, della legge n. 213 del 2023, al terzo periodo, stabilisce, infatti, che, per l’ipotesi in cui le regioni a statuto ordinario non definiscano il riparto del contributo complessivamente previsto a loro carico, questo «è effettuato […], con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, in proporzione agli impegni di spesa corrente al netto delle spese relative alla missione 12, Diritti sociali, politiche sociali e famiglia, e alla missione 13, Tutela della salute, degli schemi di bilancio delle regioni, come risultanti dal rendiconto generale 2022 o, in caso di mancanza, dall’ultimo rendiconto approvato».
In questi termini, la modalità prescelta dal legislatore presenta caratteri di forte novità rispetto alle precedenti manovre di contenimento della spesa regionale ed evidenzia la volontà di non far gravare il contributo alla finanza pubblica richiesto alle regioni a statuto ordinario sulla spesa corrente relativa ai due ambiti indicati.
Infatti, alle spese destinate a fornire prestazioni inerenti ai diritti sociali, alle politiche sociali e alla famiglia, nonché alla tutela della salute, viene riconosciuta una preferenza qualitativa, idonea a distinguerle da quelle rilevanti ai fini del riparto del contributo.
Tale norma si pone in linea con la giurisprudenza di questa Corte che, in reazione ad una prassi legislativa troppo incline a effettuare pesanti «tagli lineari» (sentenze n. 63 del 2024 e n. 220 del 2021) anche sulla sanità (sentenza n. 154 del 2017, punto 4.6.2.1. del Considerato in diritto), ha introdotto a partire dalla sentenza n. 169 del 2017, la nozione di «spesa costituzionalmente necessaria» (ripresa poi nelle sentenze n. 220 del 2021, n. 197 del 2019 e n. 87 del 2018), funzionale a evidenziare che, in un contesto di risorse scarse, per fare fronte a esigenze di contenimento della spesa pubblica dettate anche da vincoli euro unitari, devono essere prioritariamente ridotte le altre spese indistinte, rispetto a quella che si connota come funzionale a garantire il «fondamentale» diritto alla salute di cui all’art. 32 Cost., che chiama in causa imprescindibili esigenze di tutela anche delle fasce più deboli della popolazione, non in grado di accedere alla spesa sostenuta direttamente dal cittadino, cosiddetta out of pocket.
4.1.1.– Una volta esclusa la fondatezza del primo profilo di censura, occorre verificare se la previsione del versamento diretto possa configurarsi come norma puntuale e non di principio, in violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in riferimento alla materia concorrente del coordinamento della finanza pubblica.
Al riguardo, questa Corte ha ripetutamente affermato che possono essere ricondotte nell’ambito di tale materia anche norme puntuali, quando le stesse sono adottate dal legislatore per realizzare in concreto la «finalità» del coordinamento finanziario (sentenza n. 78 del 2020): è, infatti, «il finalismo» (sentenza n. 38 del 2016) insito in tale genere di disposizioni che porta ad escludere che possa invocarsi il ricorrere di una norma di dettaglio, qualora queste risultino legate da un evidente rapporto di coessenzialità e di necessaria integrazione ai medesimi principi di coordinamento (ex plurimis, sentenza n. 137 del 2018).
Considerato da questa prospettiva, il meccanismo che richiede alla regione di versare l’importo dovuto al bilancio statale si dimostra funzionale a conseguire con certezza, nello stesso anno in cui il contributo è contabilizzato, l’obiettivo di contenimento della spesa pubblica ai fini dei saldi di finanza pubblica.
Il versamento richiesto alle regioni a statuto ordinario, infatti, determina, da un lato, una corrispondente compressione della spesa regionale nello stesso esercizio finanziario; dall’altro lato, nel bilancio dello Stato esso viene rilevato anche secondo i criteri della contabilità nazionale. A questi fini, l’operazione produce una riduzione dell’indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni, come emerge dalla documentazione a corredo della manovra di bilancio 2024: nella specie, i prospetti che accompagnano il disegno di legge di bilancio attestano questa contabilizzazione per ognuno dei tre esercizi gestiti dal bilancio.
La norma impugnata è, quindi, idonea a perseguire l’obiettivo finalistico sotteso ai principi fondamentali del coordinamento dinamico della finanza pubblica, lasciando, allo stesso tempo, all’autonomia regionale una adeguata facoltà di individuare su quali ambiti gestionali e specifici interventi ridurre gli stanziamenti di spesa.
4.2.– Nemmeno fondato è il profilo di censura incentrato sulla violazione del requisito della temporaneità, sul presupposto che il contributo impugnato si sovrapporrebbe a quello già in essere, dovuto dal 2023 al 2025, estendendosi ulteriormente sino al 2028.
Per un verso, la giurisprudenza costituzionale ha già escluso che il presunto carattere non transitorio di uno specifico contributo possa ritenersi provato dalla circostanza che tale misura «si aggiunga agli effetti delle precedenti manovre di finanza pubblica» (sentenze n. 103 del 2018 e n. 154 del 2017).
Per altro verso, la determinazione della durata quinquennale del contributo introdotto dal legislatore nella legge di bilancio 2024 si ricollega al quadro normativo definito dalla nuova governance economica europea, che, determinando il superamento della versione iniziale del Patto di stabilità e crescita, è destinata a entrare in vigore nel corso dello stesso 2024 e, dunque, a influenzare la manovra di bilancio.
L’esigenza di un tale adeguamento traspare, peraltro, dalla stessa formulazione della disposizione impugnata, espressamente posta «nelle more della definizione delle nuove regole della governance economica europea», con ciò prospettando una diversa conformazione del contributo nel contesto degli adeguamenti dell’ordinamento interno alle nuove regole.
Tra le innovazioni delle nuove regole fiscali europee vi è, infatti, la necessità, per gli Stati membri con parametri di debito e deficit rispetto al prodotto interno lordo (PIL) superiori agli indici di riferimento, di predisporre un Piano strutturale di bilancio, che abbia durata pari a quella della legislatura nazionale e sia in grado di porre o mantenere il rapporto debito/PIL su un sentiero plausibilmente discendente e comunque prudente.
Pertanto, il requisito della temporaneità dei contributi alla finanza pubblica richiesti agli enti territoriali, finora correlato dalla giurisprudenza di questa Corte alla estensione triennale della legge di bilancio, appare destinato, nel mutato contesto regolatorio, a coordinarsi alla durata del suddetto Piano strutturale di bilancio, che abbraccia il quinquennio.
In questi termini, la durata del contributo a carico delle regioni a statuto ordinario, complessivamente stabilito dal 2024 al 2028, non risulta contraddire il canone della transitorietà.
4.2.1.– Ciò posto, bisogna comunque ricordare che questa Corte ha stigmatizzato la prassi della «sostanziale estensione dell’ambito temporale di precedenti manovre», perché questa «potrebbe sottrarre al confronto parlamentare la valutazione degli effetti complessivi e sistemici di queste ultime in un periodo più lungo» (sentenze n. 103 del 2018 e n. 169 del 2017, nonché, nello stesso senso, sentenza n. 154 del 2017).
In tal modo la giurisprudenza di questa Corte ha voluto, in sostanza, affermare la necessità, da parte dello Stato che è «custode della finanza pubblica allargata» (ex plurimis, sentenza n. 103 del 2017) anche in relazione alla corretta applicazione dei vincoli euro unitari dei quali è responsabile, di acquisire adeguati elementi istruttori sulla sostenibilità dell’importo del contributo da parte degli enti ai quali viene richiesto.
Tale valutazione è dunque funzionale a scongiurare l’adozione di “tagli al buio”, i quali oltre a poter risultare non sostenibili dalle autonomie territoriali, con imprevedibili ricadute sui servizi offerti alla popolazione, non consentirebbero nemmeno una trasparente ponderazione in sede parlamentare.
In relazione a questa esigenza e nella prospettiva della nuova governance economica europea, che prevede, come detto, anche l’allungamento temporale delle misure di contenimento della spesa netta menzionate nel Piano strutturale di bilancio, si palesa vieppiù la necessità di un ossequio sostanziale, e non meramente formale, al principio di leale collaborazione. A tale fine questa Corte ritiene opportuno sollecitare il legislatore a non trascurare il coinvolgimento delle sedi già appositamente contemplate e presenti, a tale fine, nell’ordinamento, come la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, di cui l’art. 5 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione) ha previsto la istituzione nell’ambito della Conferenza unificata, per concorrere, soprattutto con funzioni istruttorie, «alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica per comparto» (comma 1, lettera a), e anche per mettere «a disposizione del Senato della Repubblica, della Camera dei deputati, dei Consigli regionali e di quelli delle province autonome tutti gli elementi informativi raccolti» (comma 1, lettera f).
Tale Conferenza, istituita dall’art. 33 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario), che la definisce «quale organismo stabile di coordinamento della finanza pubblica fra comuni, province, città metropolitane, regioni e Stato» è stata strutturata, del resto, sul modello del Consiglio di pianificazione finanziaria tedesco (Finanzplanungsrat), che assume, in quell’ordinamento, una fondamentale importanza al fine della corretta e trasparente gestione delle relazioni finanziarie tra Federazione e Länder.
Tale forma di coinvolgimento, peraltro, è stata espressamente auspicata nell’audizione della delegazione della Conferenza delle regioni e delle province autonome, del 5 novembre 2024, sul disegno di legge recante «Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2025 e bilancio pluriennale per il triennio 2025-2027» (A.C. 2112) presso le Commissioni bilancio, riunite, della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
5.– Non è fondato neppure il secondo ordine di censure (punto 1.1.2.), promosso in riferimento agli artt. 114 e 119 Cost., sull’assunto che il previsto riversamento per cassa al bilancio dello Stato, «sottraendo ogni spazio di autonomia decisionale alla Regione», violerebbe il principio di autonomia finanziaria garantito dagli artt. 114 e 119, primo e secondo comma, Cost., nonché «sovvert[irebbe] del tutto la logica di attuazione» dei principi di solidarietà territoriale di cui all’art. 119, terzo e quinto comma, Cost., dal momento che comporterebbe da parte dello Stato «l’accertamento di una nuova entrata» senza che sia indicata la «destinazione di tali risorse».
Quanto al primo aspetto, si è già dimostrato che il meccanismo approntato dalla norma impugnata riveste il carattere di principio fondamentale nell’ambito del coordinamento dinamico della finanza pubblica: la limitazione all’autonomia finanziaria regionale, conseguente alla imposizione del vincolo, risponde quindi all’esigenza che anche le regioni concorrano al raggiungimento dell’obiettivo di contenimento della spesa complessiva delle amministrazioni pubbliche.
Quanto al secondo profilo, la ricorrente denuncia un trasferimento di risorse dal bilancio delle regioni a quello dello Stato, per di più senza che quest’ultimo indichi la destinazione di tali entrate.
La censura, argomentata dal richiamo alla sentenza n. 176 del 2012 di questa Corte, è priva di consistenza.
Infatti, la pronuncia evocata ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 119 Cost., di una previsione statale che consentiva ad alcune regioni la spendita di fondi integrativi dei contributi comunitari in deroga alle prescrizioni del patto di stabilità, attribuendone però le conseguenze finanziarie allo Stato e alle altre regioni; essendo presente una clausola di invarianza complessiva dei tetti di spesa, la ridistribuzione dei maggiori oneri finiva, infatti, per incidere sulla sfera di autonomia finanziaria delle regioni “più virtuose”, che pur non avvalendosi della suddetta facoltà avrebbero visto un aggravio del proprio bilancio e una conseguente rimodulazione più onerosa dei rispettivi patti di stabilità.
Nella specie, invece, la norma struttura un vero e proprio contributo alla finanza pubblica, ripartito in maniera uniforme su tutte le regioni a statuto ordinario.
Non conducente è anche il rilievo dell’assenza di una destinazione espressa assegnata dallo Stato alle risorse trasferite dalle regioni: nel bilancio statale il contributo in questione è infatti contabilizzato considerandone gli effetti in termini di indebitamento netto, e dunque registrandone direttamente l’incidenza positiva ai fini dei saldi di finanza pubblica, in coerenza con l’obiettivo di coordinamento finanziario espresso dalla disposizione.
6.– Non sono fondate le questioni promosse con il terzo ordine di censure (punto 1.1.3.), incentrate sulla mancata esclusione dall’assoggettamento al contributo delle regioni impegnate in un piano di rientro dal disavanzo di amministrazione.
In particolare, la Regione Campania ritiene violati gli artt. 3, 81, 97, 117, terzo comma, 118 e 119 Cost., perché il contributo di finanza pubblica è imposto anche alle regioni in piano di rientro, con «vincoli irragionevolmente rigidi», che non terrebbero conto della concreta situazione di tali enti, ledendo le prerogative e l’autonomia finanziaria regionale circa i modi di perseguire l’obiettivo programmato di finanza pubblica.
Tale impostazione, laddove assume che la priorità dell’obiettivo di ripianare il bilancio dell’ente dovrebbe, in sostanza, giustificare l’esonero della regione dal concorso alla finanza pubblica, non può essere seguita.
L’obbligo di evitare la produzione di disavanzi e, comunque, di ripianarli in termini contenuti, secondo le modalità declinate dalle regole statali dell’armonizzazione contabile, consegue, da un lato, ai principi di buona amministrazione, di copertura delle spese e dell’equilibrio di bilancio.
Dall’altro, riguardando la situazione finanziaria del singolo ente, tale obbligo risponde anche al principio di responsabilità nell’amministrazione delle risorse della collettività territoriale.
Pertanto, a fronte degli obblighi euro unitari che gravano su tutti gli enti della finanza pubblica allargata, non pare certamente opponibile, in via di principio, la contingente situazione dell’ente territoriale in disavanzo di amministrazione: risulterebbe altrimenti negato il principio di responsabilità finanziaria.
D’altro canto, nell’ordinamento non si rinviene una indicazione nel senso prospettato dalla ricorrente, potendosi, anzi, rilevare che l’art. 9 della legge n. 243 del 2012, dopo avere previsto, al comma 1, che i bilanci degli enti territoriali devono assicurare l’equilibrio conseguendo un saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali, al successivo comma 5 consente alla legge statale, «al fine di assicurare il rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea [di] prevedere ulteriori obblighi a carico degli enti di cui al comma 1 in materia di concorso al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica del complesso delle amministrazioni pubbliche».
Con quest’ultima norma, dunque, la legge rinforzata indicata non ha inteso limitare la possibilità di chiamare al concorso nella riduzione della spesa pubblica gli enti in disavanzo.
7.– La ricorrente ritiene poi, con il quarto ordine di censure (punto 1.1.4.), che la disposizione impugnata si ponga in contrasto con l’art. 3 Cost., nonché con gli artt. 97, 117, terzo comma, e 119 Cost., in quanto avrebbe realizzato una illegittima sottrazione e appropriazione di risorse regionali da parte dello Stato.
L’assunto è suggestivo e richiede un adeguato approfondimento.
In effetti, qualora il contributo statale incidesse sui gettiti di imposte regionali (addizionale sulle imposte sui redditi delle persone fisiche, IRPEF, e sull’imposta regionale sulle attività produttive, IRAP), cioè su risorse propriamente regionali, in quanto relative a tributi che i contribuenti riconducono a una azione impositiva della regione, si potrebbe realizzare una contraddizione dell’essenza stessa dell’autonomia tributaria regionale, qualora l’autonomo sforzo fiscale regionale venisse sottratto all’ente territoriale dallo Stato, perché tale manovra finirebbe per compromettere i principi cardine del federalismo fiscale.
Tuttavia, diversamente da quanto sostenuto dalla Regione Campania, questo specifico effetto non è ascrivibile alla norma impugnata.
Infatti, in base al quinto periodo dell’impugnato comma 527, qualora il versamento dell’importo dovuto dalla regione «non sia effettuato entro il termine previsto», ossia il 30 giugno di ciascuno degli anni dal 2025 al 2028, «il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato provvede al recupero mediante corrispondente riduzione delle risorse a qualsiasi titolo spettanti a ciascuna regione».
Secondo il meccanismo approntato, in sostanza, la compressione della spesa regionale conseguente all’adempimento spontaneo all’obbligo di versamento del contributo è alternativa ed equivalente a quella derivante dalla decurtazione dei trasferimenti statali al bilancio regionale per l’ipotesi del mancato versamento.
Il meccanismo incide quindi sui trasferimenti statali e non sui gettiti dei tributi regionali.
Rileva, a tale proposito, soprattutto la mancata attuazione della previsione di cui all’art. 7 del d.lgs. n. 68 del 2011, che in ottemperanza a quanto previsto dall’art. 8, comma 1, lettera f), della legge n. 42 del 2009, ha disposto la soppressione e la contemporanea fiscalizzazione dei trasferimenti statali alle regioni a statuto ordinario: la operatività di tale processo, inizialmente fissata dal 2013, è stata, infatti, rinviata di anno in anno e da ultimo posticipata al 2027 o al 2026 secondo il cronoprogramma del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), che prevede il completamento del federalismo fiscale di cui alla legge n. 42 del 2009 come contenuto della Riforma 1.14 (Riforma del quadro fiscale subnazionale), Missione 1, Componente 1.
L’ammontare dei trasferimenti che lo Stato continua ad erogare alle regioni, alimentando quindi una finanza derivata ormai difficilmente compatibile con l’autonomia finanziaria di cui all’art. 119 Cost. – per cui questa Corte non può che sollecitare il legislatore statale all’attuazione della norma citata –, è pari a circa 10 miliardi di euro, secondo le recenti stime dell’Ufficio parlamentare di bilancio (documento depositato alla Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale, in occasione della audizione del 29 maggio 2024).
Solo per il trasporto pubblico locale, che rappresenta una voce cospicua di tali trasferimenti, nell’anno 2022 sono stati erogati alle regioni circa 5 miliardi di euro e di questi la quota a favore della Regione Campania è stata pari a 541 milioni di euro.
Posto quindi che, come risulta dal riparto contenuto nell’Allegato VI-bis, di cui all’art. 19, comma 1, lettera c), del d.l. n. 113 del 2024, come convertito, il concorso richiesto alla Regione ricorrente è pari a 32.146.518,41 euro, si deve escludere che si sia realizzata la prospettata sottrazione di risorse propriamente regionali, nel senso prima descritto, da parte dello Stato, e quindi la violazione degli artt. 3, 97, 117, terzo comma, e 119 Cost.
8.– Privo di pregio si presenta anche il quinto profilo di censura (punto 1.1.5.), con cui, per sostenere la disparità di trattamento e l’irragionevolezza che penalizzerebbero le regioni in piano di rientro, si evidenzia la diversa scelta che il legislatore ha compiuto, nello stesso contesto della legge di bilancio 2024, escludendo dal concorso alla finanza pubblica previsto, in via generale, a carico degli enti locali, quelli: a) in dissesto finanziario, o b) in procedura di riequilibrio finanziario, o c) che abbiano sottoscritto specifici accordi con lo Stato per ottenere uno speciale contributo statale.
Si tratta, con tutta evidenza, di situazioni diverse e non comparabili a quella del disavanzo di amministrazione che una regione sta ripianando; la dichiarazione di dissesto certifica, infatti, la situazione dell’ente che non può garantire l’assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili, ovvero che non può far fronte ai crediti vantati dai terzi con le ordinarie modalità di risanamento del bilancio.
Anche la condizione di ente in procedura di riequilibrio finanziario pluriennale è omogenea alla precedente, ricorrendo in presenza di squilibri strutturali del bilancio in grado di provocare il dissesto finanziario ossia di una situazione molto più articolata rispetto alla mera sussistenza di un disavanzo di amministrazione.
In entrambi i casi si tratta di discipline speciali che impattano fortemente sull’autonomia degli enti: il dissesto, infatti, comporta la perdita da parte degli amministratori dei poteri di gestione sui rapporti anteriori alla sua dichiarazione (affidati a un organo straordinario di liquidazione) e forti limitazioni per l’attività gestoria successiva; l’attuazione del piano di riequilibrio finanziario pluriennale implica, a sua volta, che gli organi dell’ente siano sottoposti a serie limitazioni dei poteri di gestione.
Quanto alla terza ipotesi di esonero, essa è del tutto speciale riguardando soltanto i comuni sede di capoluogo di città metropolitana o di provincia che stiano ripianando un disavanzo di amministrazione di importo consistente (superiore a un determinato importo pro capite) e che abbiano sottoscritto accordi con lo Stato comportanti specifici impegni volti al più efficace rientro dal disavanzo e a limitare i poteri di gestione degli amministratori.
La censura regionale non è quindi fondata perché pretende di assimilare situazioni diverse, dal momento che il legislatore ha preso in considerazione discipline speciali, applicabili solo agli enti locali e non alle regioni; va inoltre considerato che non sono, invece, esonerati dall’obbligo del contributo gli enti locali che abbiano in corso piani di rientro regolati in maniera uniforme a quelli delle regioni.
9.– La Regione Campania ritiene, con il sesto profilo di censura (punto 1.1.6.), che la norma statale contrasti con gli artt. 3 e 97 Cost., anche sotto un ulteriore profilo: essa non consentirebbe alle regioni in piano di rientro, in luogo del riversamento per cassa a favore dello Stato, di iscrivere il contributo alla finanza pubblica dovuto in uno specifico capitolo di spesa del proprio bilancio, sul quale non è possibile impegnare risorse, «con la conseguenza che, al termine dell’esercizio, il relativo stanziamento confluisca nel risultato di Amministrazione, quale quota di maggior recupero del disavanzo».
9.1.– Su questa censura produce un effetto, per quanto limitato al primo dei cinque anni di vigenza della norma, la nuova disciplina risultante dall’art. 19 del d.l. n. 113 del 2024, come convertito, descritta in precedenza (supra, punto 2.1.).
Per l’anno 2024, infatti, il legislatore ha previsto che l’importo del contributo dovuto dalla regione non debba essere versato all’entrata del bilancio dello Stato, ma corrisposto con una modalità sostanzialmente coincidente con quella auspicata dal ricorso all’esito dell’accoglimento della censura in esame.
La modifica sopravvenuta risulta pertanto satisfattiva delle ragioni avanzate dalla ricorrente con questa specifica doglianza, sebbene soltanto per quanto attiene all’importo dovuto per l’anno 2024, come ha confermato all’udienza la difesa regionale, senza opposizione da parte dell’Avvocatura dello Stato.
Altrettanto pacifica è la circostanza che, sempre in riferimento all’anno 2024, non ha trovato applicazione l’originaria previsione impugnata, nella parte in cui imponeva l’obbligo di versamento all’erario, e ciò in quanto fino all’entrata in vigore dello ius superveniens non era ancora intervenuto il riparto del contributo tra le regioni a statuto ordinario, necessario per l’adempimento dell’obbligo stesso.
Sussistendo entrambe le condizioni richieste dalla giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, sentenza n. 109 del 2024), va, pertanto, dichiarata la cessazione della materia del contendere, limitatamente all’anno 2024, in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 527, della legge n. 213 del 2023, promossa, in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost.
9.2.– La stessa questione, concernente l’operatività della norma impugnata negli anni dal 2025 al 2028, è, comunque, non fondata.
Essa è diretta a ottenere una pronuncia manipolativa, nel senso di consentire alle regioni in piano di rientro una specifica modalità con cui corrispondere all’obiettivo di coordinamento finanziario e, precisamente, mediante un “autovincolo” sull’importo del contributo che, anziché essere versato allo Stato, verrebbe mantenuto nel bilancio regionale e finalizzato al maggiore recupero del disavanzo.
La doglianza regionale mira a introdurre, quanto meno per la specifica categoria delle regioni con disavanzo in corso di ripiano, una modalità attuativa del contributo alla finanza pubblica diversa dalla struttura configurata in via generale dal legislatore statale.
Può convenirsi con la ricorrente sul fatto che, anche nella forma ipotizzata, il contributo avrebbe gli stessi effetti positivi in termini di indebitamento netto sui saldi di finanza pubblica; del resto, la modifica di recente apportata alla disciplina impugnata va, come si è visto, nella direzione suggerita dalla ricorrente, benché limitatamente all’anno 2024.
Tuttavia, la scelta operata per gli anni successivi non pare irragionevole ove si consideri che il legislatore sembra avere privilegiato, quanto meno nelle more del completo adeguamento alla nuova governance economica europea, la finalità di un certo e tempestivo conseguimento dell’obiettivo richiesto a ciascuna regione.
Sotto questo profilo è evidente che il meccanismo propugnato dalla Regione Campania implica necessariamente che il conseguimento dell’obiettivo sia dimostrato nel rendiconto regionale, la cui approvazione, però, avviene necessariamente nell’anno successivo a quello in cui l’obiettivo deve essere raggiunto.
Non risulta poi pertinente il richiamo alle sentenze n. 101 del 2018 e n. 247 del 2017 con le quali questa Corte ha affermato, tra l’altro, il principio della piena disponibilità dell’avanzo di amministrazione da parte dell’ente che lo ha maturato. In quelle occasioni venivano in rilievo regole generali relative alla modalità di conseguimento dell’equilibrio di bilancio, l’interpretazione delle quali, secondo tali pronunce, non poteva porsi in contrasto con l’autonomia finanziaria dell’ente.
Nella specie, invece, il tema della “intangibilità” dell’avanzo accertato non incide sulla operatività della norma impugnata, la quale mira a contenere la spesa pubblica nel suo complesso, nell’ottica della riduzione dell’indebitamento netto, e non considera la provenienza delle risorse che, indirettamente, risultano compresse.
10.– L’ultimo profilo di censura (punto 1.1.7.) sull’art. 1, comma 527, della legge n. 213 del 2023 ritiene, infine, che il quinto periodo di tale disposizione violi gli artt. 3 e 119 Cost., prevedendo che, in caso di mancato versamento del contributo da parte delle regioni nel termine stabilito, si provvede «al recupero mediante corrispondente riduzione delle risorse a qualsiasi titolo spettanti a ciascuna regione».
La prospettazione dalla ricorrente fa leva sulla non implausibile interpretazione letterale di tale ultimo periodo dell’impugnato comma 527, che consentirebbe allo Stato di recuperare l’importo del contributo, non versato tempestivamente da una regione, anche riducendo le risorse destinate al finanziamento dei Servizi sanitari regionali e alle politiche sociali e della famiglia; ciò nonostante il terzo periodo del medesimo comma, per l’ipotesi in cui le regioni a statuto ordinario non definiscano il riparto del contributo complessivamente previsto a loro carico, stabilisca che questo «è effettuato […], con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, in proporzione agli impegni di spesa corrente al netto delle spese relative alla missione 12, Diritti sociali, politiche sociali e famiglia, e alla missione 13, Tutela della salute, degli schemi di bilancio delle regioni, come risultanti dal rendiconto generale 2022 o, in caso di mancanza, dall’ultimo rendiconto approvato».
In effetti, in questi termini la previsione assume carattere intrinsecamente contraddittorio, finendo per disconoscere, in contrasto con il terzo periodo appena richiamato, il carattere differenziato della spesa costituzionalmente necessaria, alla quale questa Corte, come detto (supra, punto 4.1.), riconosce particolare rilievo, e ciò determina senza dubbio la fondatezza della censura regionale in riferimento all’art. 3 Cost., con assorbimento dell’altro parametro evocato.
Ne consegue che nemmeno nel caso in cui la regione non abbia versato la propria quota del contributo alla finanza pubblica, lo Stato può “rispondere” tagliando risorse destinate alla spesa costituzionalmente necessaria, tra cui quella sanitaria – già, peraltro, in grave sofferenza per l’effetto, come si è visto, delle precedenti stagioni di arditi tagli lineari – dovendo quindi agire su altri versanti che non rivestono il medesimo carattere.
Questa Corte, del resto, ha affermato che «[è] la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione» (sentenza n. 275 del 2016); da questo principio deriva che tali diritti, e in particolare il diritto alla salute, coinvolgendo primarie esigenze della persona umana, non possono essere sacrificati fintanto che esistono risorse che il decisore politico ha la disponibilità di utilizzare per altri impieghi che non rivestono la medesima priorità.
11.– Fondato è anche il secondo motivo di ricorso, avente ad oggetto la questione di legittimità costituzionale del comma 557 dell’art. 1 della legge n. 213 del 2023.
La ricorrente correttamente evoca a proprio sostegno la sentenza n. 40 del 2022 di questa Corte, che ha scrutinato una questione dai termini analoghi, avente anch’essa ad oggetto il finanziamento della diagnostica molecolare, mediante uno stanziamento di spesa nello stato di previsione del Ministero della salute da destinare per il potenziamento dei test di Next-Generation Sequencing di profilazione genomica dei tumori.
Priva di fondamento è invece la tesi dell’Avvocatura generale – così come la connessa eccezione di inammissibilità per carenza di interesse – per cui il «dato letterale» dell’impugnato comma 557 non escluderebbe «il coinvolgimento delle regioni nelle successive fasi normative di dettaglio della disposizione».
Questa Corte non può quindi che ribadire quanto già affermato nel richiamato precedente, ovvero, in particolare, che anche nell’odierno caso le previsioni impugnate afferiscono alla materia di competenza legislativa concorrente «tutela della salute» e che «solo attraverso una leale collaborazione orientata al bene comune che il modello pluralistico riconosciuto dalla Costituzione può dunque svilupparsi, “in una prospettiva generativa” (sentenza n. 168 del 2021), verso la migliore tutela del diritto alla salute» (sentenza n. 40 del 2022; in senso analogo, sentenza n. 87 del 2024).
Va quindi dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 557, della legge n. 213 del 2023, nella parte in cui non prevede che il decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sia adottato d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano.