SENTENZA N. 210
ANNO 2024
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da:
Presidente: Augusto Antonio BARBERA; Giudici : Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 2 (recte: comma 1), lettera v), numero 2), e 65, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 2 dicembre 2019, n. 12 (Codice del commercio), promosso dal Consiglio di Stato, sesta sezione, nel procedimento vertente tra Comune di Bolzano e Lintner Bau srl e altri, con ordinanza dell’8 febbraio 2024, iscritta al n. 64 del registro ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell’anno 2024.
Visto l’atto di intervento della Provincia autonoma di Bolzano;
udito nella camera di consiglio del 15 ottobre 2024 il Giudice relatore Giovanni Pitruzzella;
deliberato nella camera di consiglio del 15 ottobre 2024.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza dell’8 febbraio 2024, reg. ord. n. 64 del 2024, il Consiglio di Stato, sesta sezione, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2 (recte: comma 1), lettera v), numero 2), e dell’art. 65 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 2 dicembre 2019, n. 12 (Codice del commercio). La prima disposizione censurata stabilisce che per «somministrazione» si intende, «nell’ambito dell’attività di commercio su aree pubbliche, il consumo immediato dei prodotti stessi, con esclusione del servizio assistito di somministrazione e con l’osservanza delle norme vigenti in materia igienico-sanitaria». La seconda disposizione censurata (come sostituita dall’art. 12, comma 7, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 13 ottobre 2020, n. 12, recante «Variazioni al bilancio di previsione della Provincia autonoma di Bolzano per gli esercizi 2020, 2021 e 2022 e altre disposizioni») statuisce che, «[t]enuto conto di quanto disposto dall’articolo 181, comma 4-bis, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, […] le concessioni di posteggio per l’esercizio del commercio su aree pubbliche con scadenza al 31 dicembre 2020 di cui all’articolo 22, comma 1, lettera a), sono rinnovate per la durata di dodici anni […]».
Con riferimento alla prima norma censurata, il rimettente prospetta la violazione degli artt. 4, 5 e 9 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige). Con riferimento alla seconda norma, il giudice a quo prospetta la violazione degli artt. 3, 41, 97, 117, secondo comma, lettere a), e), e q), della Costituzione.
2.– La vicenda trae origine da un ricorso proposto da diversi soggetti davanti al Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige, sezione autonoma per la Provincia di Bolzano, per ottenere l’annullamento di alcune proroghe di concessioni di posteggio per il commercio su area pubblica, rilasciate a loro favore dal Comune di Bolzano per l’esercizio dell’attività di ristoro in chioschi siti su suolo pubblico in diverse zone del territorio comunale, nella parte in cui la durata dei menzionati provvedimenti era stata determinata in tre anziché in dodici anni.
Il giudice a quo riferisce che il TRGA di Bolzano ha accolto il ricorso, ritenendo, da un lato, che i ricorrenti non accompagnassero la somministrazione degli alimenti con il servizio assistito ai tavoli, dall’altro che – se anche questo servizio fosse stato svolto – il Comune avrebbe comunque dovuto disporre il rinnovo dodicennale delle concessioni di occupazione di suolo pubblico per i chioschi dei ricorrenti.
Il rimettente riferisce che tale decisione è stata appellata in via principale dal Comune di Bolzano e in via incidentale dai ricorrenti in primo grado. Con sentenza non definitiva 22 dicembre 2023, n. 11121, il giudice a quo ha accolto il primo motivo dell’appello principale e riservato la decisione sul secondo motivo dell’appello principale e sull’appello incidentale, ritenendo non necessaria la previa verifica, da parte del Comune, dell’effettività o meno della somministrazione degli alimenti con il servizio assistito ai tavoli. Secondo il Collegio, una volta rilevato che gli originari ricorrenti ricadevano in astratto nella categoria dei soggetti concessionari di posteggio pubblico legittimati all’esercizio della somministrazione degli alimenti con il servizio assistito ai tavoli, il Comune di Bolzano non poteva che disporre, secondo la normativa provinciale di riferimento, la proroga della concessione per soli tre anni.
3.– Con riferimento alla prima norma censurata (art. 3, comma 1, lettera v, numero 2, della legge prov. Bolzano n. 12 del 2019), il rimettente prospetta un contrasto con l’art. 27, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), che definisce il «commercio sulle aree pubbliche» come «l’attività di vendita di merci al dettaglio e la somministrazione di alimenti e bevande effettuate sulle aree pubbliche, comprese quelle del demanio marittimo o sulle aree private delle quali il comune abbia la disponibilità, attrezzate o meno, coperte o scoperte». Poiché la definizione statale di «commercio su aree pubbliche» rappresenterebbe un principio di cui deve tener conto il legislatore provinciale, «trattandosi di un elemento che definisce l’ambito stesso di esercizio del potere legislativo», la norma censurata violerebbe l’art. 9 dello statuto speciale, che attribuisce alle Province autonome competenza legislativa concorrente in materia di commercio.
Con riferimento alla seconda norma censurata (art. 65 della legge prov. Bolzano n. 12 del 2019), il rimettente rileva che essa applicherebbe il rinnovo dodicennale previsto dall’art. 181, comma 4-bis, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2020, n. 77, alle sole concessioni di posteggio su area pubblica implicanti l’attività di commercio su area pubblica così come definita dalla legge prov. Bolzano n. 12 del 2019, ossia «con l’esclusione del servizio assistito di somministrazione». Ciò comporterebbe un contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera q), Cost., che assegna allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di profilassi internazionale. Infatti, il citato art. 181 farebbe espresso riferimento all’emergenza epidemiologica da COVID-19, «tanto da far ritenere che il legislatore nazionale abbia voluto esercitare la sua potestà legislativa anche con riferimento alla profilassi internazionale».
Il censurato art. 65, inoltre, violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. L’esclusione del servizio assistito di somministrazione dalla definizione di commercio su aree pubbliche e la conseguente mancata applicazione alle relative concessioni del rinnovo dodicennale determinerebbero uno «sconfinamento del legislatore provinciale nella materia della tutela della concorrenza», rientrante nella competenza legislativa esclusiva statale. Avendo quest’ultima carattere trasversale, la Provincia autonoma non potrebbe esercitare la propria competenza legislativa in materia di commercio in contrasto con la norma statale sul rinnovo delle concessioni, dettata nella materia della tutela della concorrenza.
La disciplina provinciale contrasterebbe anche con il principio di parità di trattamento di cui all’art. 3 Cost., «poiché potrebbe tradursi in una palese disparità di trattamento tra gli esercenti della Provincia autonoma di Bolzano e quelli del restante territorio nazionale, violando contestualmente l’art. 41 Costituzione ponendo un limite ingiustificato all’iniziativa economica privata, nonché l’art. 97 Costituzione secondo il quale la pubblica amministrazione deve essere imparziale».
Infine, le norme in questione violerebbero la libertà di stabilimento e la libera prestazione di servizi di cui agli artt. 49 e 56 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, «con ciò che ne consegue in termini di violazione dell’art. 117, comma 2, lett. a), Cost., in quanto potrebbero ritenersi imporre delle restrizioni non giustificate da superiori esigenze di pubblici interessi quali l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza e la sanità pubblica».
4.– Con atto depositato il 13 maggio 2024, il Presidente della Provincia autonoma di Bolzano è intervenuto in giudizio, eccependo l’inammissibilità delle questioni sotto diversi profili.
In primo luogo, il giudice a quo non avrebbe spiegato perché «le norme provinciali […] avrebbero dovuto rispettare norme nazionali che derogano a principi costituzionali oltre che euro-unitari» e perché lo stesso giudice «non abbia disapplicato le suddette norme nazionali che derogano a principi euro-unitari». La Provincia autonoma menziona la segnalazione AS 1721 dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) del 15 febbraio 2021, secondo la quale la disciplina delle concessioni di posteggio per l’esercizio del commercio su aree pubbliche rientrerebbe nell’ambito di applicazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno (cosiddetta direttiva servizi o Bolkestein): dunque, secondo l’AGCM, l’art. 1, comma 686, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), e l’art. 181, comma 4-bis, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, che hanno derogato alla direttiva servizi, si porrebbero in contrasto con le «disposizioni costituzionali ed eurounitarie, poste a presidio della libertà di iniziativa economica e a tutela della concorrenza […], in quanto idonee a restringere indebitamente l’accesso e l’esercizio di un’attività economica», e dovrebbero essere disapplicati dalle autorità nazionali. L’AGCM ricorda anche che la sentenza di questa Corte n. 291 del 2012 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una disposizione regionale che sottraeva il commercio su aree pubbliche all’applicazione dell’art. 16 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno). Dunque, secondo la Provincia autonoma, il rimettente avrebbe dovuto spiegare perché il settore delle concessioni di posteggio su aree pubbliche per commercio al dettaglio sarebbe legittimamente sottratto al raggio d’azione dell’ordinamento europeo ed in particolare ai principi della libera concorrenza, della gara pubblica e del divieto di rinnovo della concessione senza gara pubblica.
In secondo luogo, il giudice a quo non avrebbe spiegato perché non abbia disapplicato la disciplina statale sopravvenuta, «nella parte che prevede l’assoggettamento ai principi ed alle norme euro-unitarie, nelle assegnazioni di posteggi su aree pubbliche, solamente dal 1° gennaio 2024 anziché retroattivamente». La Provincia autonoma rileva che, prima dell’ordinanza di rimessione, è sopraggiunto l’art. 11 della legge 30 dicembre 2023, n. 214 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2022), che ha fatto venir meno l’inapplicabilità della direttiva servizi al commercio su aree pubbliche, ma solo per il futuro. Infatti, il comma 5 dell’art. 11 stabilisce che «[i] procedimenti tesi al rinnovo dei titoli concessori indicati all’articolo 181, comma 4-bis, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, che alla data di entrata in vigore della medesima legge n. 77 del 2020 erano in scadenza al 31 dicembre 2020 e che alla data di entrata in vigore della presente legge non risultano ancora conclusi per qualsiasi causa, compresa l’eventuale inerzia dei comuni, sono conclusi secondo le disposizioni di cui al citato articolo 181 e nel rispetto del termine di durata del rinnovo ivi previsto […]». Il giudice a quo non darebbe atto di questo ius superveniens, che comproverebbe l’illegittimità delle norme statali di deroga alla direttiva servizi, e non giustificherebbe la mancata disapplicazione della previsione di irretroattività della stessa disciplina sopravvenuta.
In terzo luogo, le questioni sollevate sarebbero inammissibili per difetto di rilevanza e contraddittorietà, in relazione alla già citata sentenza non definitiva n. 11121 del 2023. Il rimettente non spiegherebbe come tale decisione parziale (sul primo motivo di appello del Comune) «possa coordinarsi con la futura decisione sul secondo motivo dell’appello principale e sull’appello incidentale», dato che la prima avrebbe già applicato quelle norme che, in caso di accoglimento delle questioni sollevate, il rimettente non potrebbe poi applicare nel decidere sulla parte residua della causa.
In quarto luogo, le questioni sollevate sarebbero inammissibili per difetto di rilevanza o, in subordine, insufficiente motivazione sulla stessa. Il rimettente argomenterebbe sulla rilevanza limitandosi a riprodurre le norme censurate, senza prospettare alcuna interpretazione delle stesse, «coordinate fra loro». In particolare, non spiegherebbe perché la disciplina provinciale non si sottragga ai dubbi di illegittimità costituzionale «nell’applicazione che ne ha fatto sia il Comune di Bolzano, nel decidere sulle istanze di rinnovo, sia il Giudice amministrativo di primo grado, nel ritenere manifestamente non illegittima la normativa provinciale de qua […]».
In quinto luogo, le questioni sollevate sarebbero inammissibili per difetto del requisito della non manifesta infondatezza o, in subordine, insufficiente motivazione sullo stesso. In relazione alla prima norma censurata, il Consiglio di Stato non avrebbe chiarito sotto quale profilo sussisterebbe il preteso contrasto tra la norma provinciale e l’art. 27, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 114 del 1998, «né che rilevanza avrebbe detto preteso contrasto ai fini del decidere sul secondo motivo dell’appello principale del Comune di Bolzano e/o sull’appello incidentale». Inoltre, il rimettente menziona l’art. 28 del medesimo d.lgs. n. 114 del 1998 ma non ne preciserebbe la «parte “calzante”».
Quanto alla seconda norma censurata, il giudice a quo non spiegherebbe perché l’art. 65 della legge prov. Bolzano n. 12 del 2019 applicherebbe il rinnovo dodicennale delle concessioni di posteggio su area pubblica alle sole attività non implicanti il servizio assistito, «ancorché né l’art. 65 né l’art. 22, comma 1, lett. a) della L.P. n. 12/2019 […] alcunché dicano in proposito». Ancora, il rimettente non chiarirebbe perché l’art. 181, comma 4-bis, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, farebbe riferimento all’emergenza da COVID-19 e quale relazione sussista tra tale emergenza e un rinnovo dodicennale, «fuori da ogni emergenza epidemiologica», che comunque non giustificherebbe la deroga alle norme europee sulla concorrenza.
In relazione alla censura basata sull’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., la Provincia autonoma osserva che il giudice a quo non spiega perché ritiene che la legge provinciale abbia previsto l’esclusione delle attività implicanti il servizio assistito di somministrazione dalla definizione di commercio su aree pubbliche, mentre l’art. 3 della legge prov. Bolzano n. 12 del 2019 avrebbe «escluso il servizio assistito dalla definizione di somministrazione ivi contenuta e non da quella di commercio su aree pubbliche». Non sarebbe chiaro, inoltre, perché il rimettente ritiene che la mancata applicazione del rinnovo dodicennale delle concessioni determini la lesione della competenza legislativa statale in materia di tutela della concorrenza, senza soffermarsi sulla compatibilità tra tale rinnovo e le norme europee sulla concorrenza.
La motivazione sarebbe lacunosa anche in relazione alle questioni basate sugli artt. 3, 41 e 97 Cost. e sugli artt. 49 e 56 TFUE. Da un lato, il giudice a quo non indicherebbe la norma specificamente contrastante con l’art. 3 Cost. (e il profilo censurato), dall’altro gli artt. 49 e 56 TFUE «mai […] potrebbero avallare rinnovi automatici, per lungo periodo, senza gara pubblica, in favore dei concessionari uscenti, come invece vogliono le norme statali che il Consiglio di Stato pretenderebbe di applicare nel territorio provinciale».
In sesto luogo, le questioni sollevate sarebbero inammissibili (ancora) per difetto del requisito della non manifesta infondatezza o, in subordine, insufficiente motivazione sullo stesso. La Provincia autonoma rileva che, in base all’art. 28, comma 7, del d.lgs. n. 114 del 1998, «[l]’autorizzazione all’esercizio dell’attività di vendita sulle aree pubbliche dei prodotti alimentari abilita anche alla somministrazione dei medesimi se il titolare risulta in possesso dei requisiti prescritti per l’una e l’altra attività. L’abilitazione alla somministrazione deve risultare da apposita annotazione sul titolo autorizzatorio». Il rimettente non chiarirebbe se tale abilitazione sia stata annotata sull’autorizzazione dei ricorrenti. Se così non fosse, la questione sarebbe manifestamente infondata perché essa ha «specifico ed esclusivo riguardo all’ipotesi di autorizzazione alla somministrazione di cibo su aree pubbliche». La Provincia autonoma, oltre ad eccepire l’inammissibilità, lamenta una «carenza istruttoria» e ipotizza la restituzione degli atti al giudice a quo.
5.– Nel merito, l’interveniente sostiene la non fondatezza delle questioni sollevate.
La disciplina statale che il giudice a quo vorrebbe applicare in provincia di Bolzano sarebbe in contrasto con norme europee, come chiarito dalla citata segnalazione dell’AGCM del 15 febbraio 2021. Dunque, rispetto alle questioni di legittimità costituzionale delle norme provinciali censurate sarebbe pregiudiziale l’accertamento se le norme statali siano compatibili con il diritto europeo e, se del caso, la rimessione della relativa questione pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea. La Provincia autonoma richiama la sentenza del Consiglio di Stato, sezione settima, 19 ottobre 2023, n. 9104, che ha avallato la scelta di un’amministrazione locale di disapplicare la disciplina statale sulla proroga delle concessioni in questione, ritenendo che il commercio su area pubblica rientri nell’ambito di applicazione della direttiva servizi.
Inoltre, la prima norma censurata (art. 3, comma 1, lettera v, numero 2, della legge prov. Bolzano n. 12 del 2019) non violerebbe l’art. 27, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 114 del 1998 (che non esclude il servizio assistito ai tavoli dal concetto di commercio su area pubblica). La Provincia autonoma rileva che essa ricalcherebbe l’art. 3 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto 2006, n. 248, in base al quale «le attività commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e di somministrazione di alimenti e bevande sono svolte senza i seguenti limiti e prescrizioni: […] f-bis) il divieto o l’ottenimento di autorizzazioni preventive per il consumo immediato dei prodotti di gastronomia presso l’esercizio di vicinato, utilizzando i locali e gli arredi dell’azienda con l’esclusione del servizio assistito di somministrazione e con l’osservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie». La Provincia autonoma richiama, in relazione all’interpretazione di tale disposizione, alcune pronunce del giudice amministrativo (Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione seconda ter, sentenza 28 settembre 2020, n. 9847; Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenze 31 dicembre 2019, n. 8923, e 8 aprile 2019, n. 2280), rilevando che il rimettente non ha considerato né l’art. 3 del d.l. n. 223 del 2006, come convertito, né le citate pronunce.
Infine, la seconda norma censurata (art. 65 della legge prov. Bolzano n. 12 del 2019) non si porrebbe in contrasto con l’art. 181, comma 4-bis, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, in quanto, dato l’art. 3 del citato d.l. n. 223 del 2006, come convertito, l’esercizio del commercio su aree pubbliche non comprenderebbe il servizio assistito di somministrazione. Dunque, il citato art. 65 contemplerebbe legittimamente il rinnovo dodicennale delle sole concessioni di posteggio che non implicano il servizio assistito di somministrazione.
Considerato in diritto
1.– Il Consiglio di Stato, sezione sesta, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, lettera v), numero 2), e dell’art. 65 della legge prov. Bolzano n. 12 del 2019. La prima disposizione censurata stabilisce che per «somministrazione» si intende, «nell’ambito dell’attività di commercio su aree pubbliche, il consumo immediato dei prodotti stessi, con esclusione del servizio assistito di somministrazione e con l’osservanza delle norme vigenti in materia igienico-sanitaria». La seconda disposizione censurata (come sostituita dall’art. 12, comma 7, della legge prov. Bolzano n. 12 del 2020) statuisce che, «[t]enuto conto di quanto disposto dall’articolo 181, comma 4-bis, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, […] le concessioni di posteggio per l’esercizio del commercio su aree pubbliche con scadenza al 31 dicembre 2020 di cui all’articolo 22, comma 1, lettera a), sono rinnovate per la durata di dodici anni […]».
Secondo il rimettente, la prima norma violerebbe l’art. 9 dello statuto speciale, che attribuisce alle Province autonome competenza legislativa concorrente in materia di commercio, in quanto contrasterebbe con l’art. 27, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 114 del 1998, che definisce il «commercio sulle aree pubbliche».
Quanto alla seconda norma censurata, essa violerebbe: a) l’art. 117, secondo comma, lettera q), Cost., che assegna allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di profilassi internazionale, in quanto applicherebbe il rinnovo dodicennale previsto dall’art. 181, comma 4-bis, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, alle sole concessioni di posteggio su area pubblica non implicanti il servizio assistito di somministrazione; b) l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in quanto la Provincia autonoma non potrebbe esercitare la propria competenza legislativa in materia di commercio in contrasto con la norma statale sul rinnovo delle concessioni, dettata nella materia della tutela della concorrenza; c) gli artt. 3, 41 e 97 Cost., «poiché potrebbe tradursi in una palese disparità di trattamento tra gli esercenti della Provincia autonoma di Bolzano e quelli del restante territorio nazionale, violando contestualmente l’art. 41 Costituzione ponendo un limite ingiustificato all’iniziativa economica privata, nonché l’art. 97 Costituzione secondo il quale la pubblica amministrazione deve essere imparziale»; d) l’art. 117, secondo comma, lettera a), Cost., in quanto lederebbe la libertà di stabilimento e la libera prestazione di servizi di cui agli artt. 49 e 56 TFUE, imponendo «restrizioni non giustificate da superiori esigenze di pubblici interessi quali l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza e la sanità pubblica».
2.– La prima questione, concernente l’art. 3, comma 1, lettera v), numero 2), della legge prov. Bolzano n. 12 del 2019, non è fondata.
Il rimettente lamenta la violazione dell’art. 27, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 114 del 1998, che definisce il commercio su aree pubbliche («Ai fini del presente titolo si intendono: a) per commercio sulle aree pubbliche, l’attività di vendita di merci al dettaglio e la somministrazione di alimenti e bevande effettuate sulle aree pubbliche, comprese quelle del demanio marittimo o sulle aree private delle quali il comune abbia la disponibilità, attrezzate o meno, coperte o scoperte») senza escludere da tale ambito la somministrazione di alimenti e bevande con servizio assistito ai tavoli. La norma statale esprimerebbe un principio fondamentale della materia, vincolante per la competenza legislativa concorrente spettante alle Province autonome in materia di commercio (art. 9, numero 3, dello statuto speciale).
Il giudice a quo, però, non considera la riforma del Titolo V della Costituzione, a seguito della quale le regioni ordinarie hanno acquisito potestà residuale in materia di commercio, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost. (in questo senso, sentenze n. 187 del 2022, n. 195 e n. 164 del 2019). Questa Corte, applicando la cosiddetta clausola di maggior favore di cui all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), ha esteso alle autonomie speciali la competenza legislativa residuale in materia di commercio spettante alle regioni ordinarie: tale estensione ha riguardato sia le regioni speciali dotate di potestà statutaria primaria in materia di commercio (come la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia: sentenze n. 98 del 2017, punto 6.4. del Considerato in diritto, e n. 165 del 2007) sia, a fortiori, quelle titolari di competenza concorrente nella stessa materia, come le Province autonome. Esplicita sul punto è la sentenza n. 183 del 2012: «Posto che tale ultima disposizione costituzionale [art. 117, quarto comma, Cost.] rende il commercio oggetto di potestà legislativa residuale, non è dubbio che essa trovi applicazione a vantaggio della Provincia autonoma, con esclusione della meno favorevole disciplina statutaria (ex plurimis, sentenze n. 18 del 2012, n. 150 del 2011 e n. 247 del 2010; ordinanza n. 199 del 2006)». Si può poi ricordare che, riguardo alla Regione autonoma Sardegna, la sentenza n. 18 del 2012 formula un riferimento alla «materia del commercio, riservata alla potestà legislativa residuale delle Regioni».
La questione basata sulla violazione di un principio fondamentale statale, limite della (asserita) competenza legislativa concorrente provinciale, non tiene conto della spettanza, alle Province autonome, di una competenza più ampia, sulla base dell’art. 117, quarto comma, Cost. e della clausola di maggior favore.
Con riferimento specifico alla materia del commercio, dalla giurisprudenza di questa Corte risulta che, dopo il 2001, il d.lgs. n. 114 del 1998 ha acquisito carattere cedevole e, dunque, si applica solo alle regioni che non abbiano adottato una propria legislazione nella materia del commercio (sentenze n. 187 del 2022, n. 164 del 2019 e n. 98 del 2017). Nel giudicare su una questione analoga a quella ora in esame (era censurata una legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia per contrasto con il d.lgs. n. 114 del 1998), questa Corte l’ha dichiarata non fondata ritenendo non più vincolante, dopo il 2001, il d.lgs. n. 114 del 1998 (sentenza n. 98 del 2017).
Tali considerazioni esimono dal verificare l’effettivo contrasto tra la norma provinciale censurata (che esclude il servizio assistito ai tavoli dal concetto di somministrazione nel commercio su aree pubbliche) e il quadro normativo statale, nel quale l’art. 3, comma 1, lettera f-bis), del d.l. n. 223 del 2006, come convertito, contiene analoga esclusione, seppur non con riferimento specifico al commercio su aree pubbliche.
3.– Le questioni concernenti l’art. 65 della legge prov. Bolzano n. 12 del 2019 sono inammissibili per incompleta ricostruzione del quadro normativo.
3.1.– L’art. 65 della legge prov. Bolzano n. 12 del 2019 è censurato in quanto limiterebbe l’ambito del rinnovo dodicennale delle concessioni di posteggio su area pubblica (previsto dall’art. 181, comma 4-bis, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito), circoscrivendolo alle sole concessioni non implicanti il servizio assistito di somministrazione. Il giudice a quo lamenta la violazione di diversi parametri costituzionali, ma tutte le censure fanno leva sul contrasto con il citato art. 181, comma 4-bis, norma interposta. Dunque, la norma provinciale è contestata là dove escluderebbe, in modo implicito, il rinnovo in determinati casi.
Il giudice a quo non tiene conto, nella sua argomentazione, della direttiva 2006/123/CE.
Come noto, tale direttiva stabilisce le disposizioni generali che permettono di agevolare l’esercizio della libertà di stabilimento dei prestatori nonché la libera circolazione dei servizi (art. 1), intendendosi per «“servizio”: qualsiasi attività economica non salariata di cui all’articolo 50 del trattato fornita normalmente dietro retribuzione» (art. 4).
Tale direttiva è stata recepita in Italia con il d.lgs. n. 59 del 2010, che inizialmente aveva incluso il commercio su aree pubbliche nel proprio ambito di applicazione (ad esso era dedicato l’art. 70).
Poco dopo, questa Corte si è trovata a giudicare di una disposizione di una legge toscana che escludeva l’applicazione dell’art. 16 del medesimo d.lgs. n. 59 del 2010 al commercio su aree pubbliche. In base all’art. 16, «[n]elle ipotesi in cui il numero di titoli autorizzatori disponibili per una determinata attività di servizi sia limitato per ragioni correlate alla scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche disponibili, le autorità competenti applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali ed assicurano la predeterminazione e la pubblicazione, nelle forme previste dai propri ordinamenti, dei criteri e delle modalità atti ad assicurarne l’imparzialità, cui le stesse devono attenersi» (comma 1). Nei casi di cui al comma 1, «il titolo è rilasciato per una durata limitata e non può essere rinnovato automaticamente, né possono essere accordati vantaggi al prestatore uscente o ad altre persone, ancorché giustificati da particolari legami con il primo» (comma 4). La sentenza n. 291 del 2012 di questa Corte ha dichiarato la disposizione della legge toscana costituzionalmente illegittima, per violazione della direttiva servizi e della competenza legislativa statale in materia di concorrenza. In seguito, l’applicabilità della direttiva servizi al commercio su aree pubbliche ha trovato ulteriori conferme (sentenze n. 239 e n. 39 del 2016, n. 165 e n. 49 del 2014 e n. 98 del 2013).
Ciononostante, l’art. 1, comma 686, della legge n. 145 del 2018 ha poi modificato in più punti il d.lgs. n. 59 del 2010, escludendo l’applicazione dello stesso decreto (e, dunque, della direttiva servizi) al commercio su aree pubbliche. In particolare, nell’art. 7 del d.lgs. n. 59 del 2010, relativo ai servizi esclusi, è stato aggiunto il riferimento al «commercio al dettaglio sulle aree pubbliche» (lettera f-bis); nell’art. 16 è stato aggiunto il comma 4-bis («Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano al commercio su aree pubbliche di cui all’articolo 27 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114») e, infine, è stato abrogato l’art. 70 del d.lgs. n. 59 del 2010. Successivamente, l’art. 181, comma 4-bis, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, fra le diverse misure di sostegno alle attività economiche nel periodo della pandemia, ha rinnovato le concessioni di posteggio per l’esercizio del commercio su aree pubbliche «aventi scadenza entro il 31 dicembre 2020 […] per la durata di dodici anni». L’art. 181, comma 4-bis, è stato attuato dal decreto del Ministro dello sviluppo economico 25 novembre 2020 (Linee guida per il rinnovo delle concessioni di aree pubbliche).
L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, nella segnalazione AS 1721 del 15 febbraio 2021, censurava le citate disposizioni della legge n. 145 del 2018 e del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, auspicandone la modifica e aggiungendo che, in assenza di modifiche, gli operatori avrebbero dovuto disapplicarle. La necessità di procedure concorrenziali nel settore del commercio su aree pubbliche, in attuazione della direttiva servizi, era già stata affermata più volte dall’AGCM (ad esempio, segnalazione AS 1335 del 15 dicembre 2016) ed è stata poi ribadita (segnalazione AS 1785 del 6 agosto 2021).
Anche la giurisprudenza amministrativa ha confermato la soggezione del commercio su aree pubbliche alla direttiva servizi e la possibilità di disapplicare le norme statali censurate dall’AGCM (si vedano Consiglio di Stato, sezione settima, sentenze 9 maggio 2024, n. 4163, e 19 ottobre 2023, n. 9104; TAR Lazio, sezione seconda-ter, sentenza 17 giugno 2022, n. 8136).
Tale posizione risulta coerente con il sopra citato art. 4 della direttiva servizi e con l’art. 2, che elenca i settori esclusi, senza menzionare il commercio. Inoltre, la CGUE ha statuito che «[l]’articolo 4, punto 1, della direttiva 2006/123 deve essere interpretato nel senso che l’attività di vendita al dettaglio di prodotti costituisce un “servizio” ai fini dell’applicazione di tale direttiva» (CGUE, grande sezione, sentenza 30 gennaio 2018, nelle cause riunite C-360/15 e C-31/16, paragrafo 97), e che «[l]’articolo 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123 deve essere interpretato nel senso che: l’obbligo, per gli Stati membri, di applicare una procedura di selezione imparziale e trasparente tra i candidati potenziali, nonché il divieto di rinnovare automaticamente un’autorizzazione rilasciata per una determinata attività sono enunciati in modo incondizionato e sufficientemente preciso da poter essere considerati disposizioni produttive di effetti diretti» (CGUE, terza sezione, sentenza 20 aprile 2023, in causa C-348/22, AGCM).
Da ultimo, l’art. 11 della legge n. 214 del 2023 ha regolato le «Modalità di assegnazione delle concessioni per il commercio su aree pubbliche», abrogando le norme (introdotte nel d.lgs. n. 59 del 2010 dalla legge n. 145 del 2018) che sottraevano il commercio su aree pubbliche all’ambito di applicazione dello stesso d.lgs. n. 59 del 2010 e stabilendo che, «[a] decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, le concessioni di posteggio per l’esercizio del commercio su aree pubbliche sono rilasciate, per una durata di dieci anni, sulla base di procedure selettive […]». L’art. 11 ha però fatto salva – nei commi 4 e 5 – la proroga già disposta fino al 2032 dall’art. 181, comma 4-bis, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito.
3.2.– Il rimettente non prende posizione sul quadro normativo sopra esposto, che avrebbe fatto emergere le possibili vie da percorrere. Dal momento che l’art. 181, comma 4-bis, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito (oltre all’art. 11 della legge n. 214 del 2023, che ha fatto salva la proroga già disposta fino al 2032), appare in contrasto con l’art. 12 della direttiva servizi (sul quale si vedano, di recente, l’ordinanza n. 161 e la sentenza n. 109 del 2024 di questa Corte), norma considerata self-executing dalla CGUE, il giudice avrebbe potuto disapplicare tali norme nell’ambito della causa di sua competenza. In alternativa alla disapplicazione, però, avrebbe potuto altresì rimettere a questa Corte la questione di legittimità costituzionale concernente le norme sul rinnovo dodicennale delle concessioni (art. 181, comma 4-bis, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, e art. 11 della legge n. 214 del 2023), dato che tali norme componevano il quadro normativo rilevante nel suo giudizio, rappresentando il fondamento della pretesa dei concessionari.
Come precisato di recente da questa Corte, quello che conta per legittimarne l’intervento è la denuncia della violazione di una norma europea (contenuta nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nei trattati o anche di diritto derivato, come nel caso di specie) che presenti un nesso con interessi o principi di rilievo costituzionale (sentenza n. 181 del 2024; si vedano anche le sentenze n. 15 del 2024, n. 44 e n. 11 del 2020 e n. 20 del 2019), in modo che sia assicurato il “tono costituzionale” della questione.
Il giudice, ove ravvisi l’incompatibilità del diritto nazionale con il diritto dell’Unione dotato di efficacia diretta, non applica la normativa interna, all’occorrenza previo rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia (art. 267 TFUE), ovvero solleva una questione di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.
La competenza di questa Corte non può in alcun modo ostacolare o limitare il potere dei giudici comuni di proporre un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia e di non applicare la legge statale incompatibile con il diritto dell’Unione (CGUE, grande sezione, sentenza 22 giugno 2010, in cause riunite C-188-10 e C-189/10, Melki e Abdeli; CGUE, grande sezione, sentenza 22 febbraio 2022, in causa C-430/21, RS). In definitiva, è il giudice comune a decidere, in relazione alle caratteristiche del caso concreto, se disapplicare la legge oppure sollevare una questione di legittimità costituzionale, ferma restando la possibilità di proporre un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, ex art. 267 TFUE. Rinvio pregiudiziale che potrà essere proposto anche da parte di questa Corte, investita della questione di legittimità costituzionale, allorché esistano dei dubbi sull’interpretazione del diritto dell’Unione. Infatti, la Corte di giustizia ha il compito di assicurare, con la sua interpretazione, l’uniforme applicazione del diritto dell’Unione, garantendo così l’eguaglianza degli Stati membri davanti a tale diritto (art. 2 TUE). La “comunità delle Corti” e il “dialogo” che si svolge tra le stesse, improntato al principio della leale collaborazione, promuovono la piena attuazione del principio del primato del diritto europeo e assicurano il buon funzionamento delle interdipendenze tra i diversi sistemi giuridici, nazionali ed eurounitario.
Il sistema è improntato a un concorso di rimedi, destinato ad assicurare la piena effettività del diritto dell’Unione e, per definizione, ad escludere ogni preclusione. Il sindacato accentrato di costituzionalità non si pone in antitesi con un meccanismo diffuso di attuazione del diritto europeo, ma con esso coopera a costruire tutele sempre più integrate. Sarà il giudice a scegliere il rimedio più appropriato, ponderando le peculiarità della vicenda sottoposta al suo esame. L’interlocuzione «con questa Corte, chiamata a rendere una pronuncia erga omnes, si dimostra particolarmente proficua, qualora l’interpretazione della normativa vigente non sia scevra di incertezze o la pubblica amministrazione continui ad applicare la disciplina controversa o le questioni interpretative siano foriere di un impatto sistemico, destinato a dispiegare i suoi effetti ben oltre il caso concreto, oppure qualora occorra effettuare un bilanciamento tra princìpi di carattere costituzionale» (sentenza n. 181 del 2024).
4.– Le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla Provincia autonoma di Bolzano sono assorbite.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, lettera v), numero 2), della legge della Provincia autonoma di Bolzano 2 dicembre 2019, n. 12 (Codice del commercio), sollevata, in riferimento agli artt. 4, 5 e 9 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), dal Consiglio di Stato, sezione sesta, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 65 della legge prov. Bolzano n. 12 del 2019, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 41, 97, 117, secondo comma, lettere a), e) e q), della Costituzione, dal Consiglio di Stato, sezione sesta, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 ottobre 2024.
F.to:
Augusto Antonio BARBERA, Presidente
Giovanni PITRUZZELLA, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 19 dicembre 2024
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA