Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 12 dicembre 2024, l’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, a norma dell’art. 12 della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo), ha dichiarato conforme alle disposizioni di legge la richiesta di referendum popolare abrogativo proposto, ai sensi dell’art. 75 della Costituzione, rispettivamente da cinquecentomila elettori, nonché dai Consigli regionali delle Regioni Campania, Emilia-Romagna, Puglia, Toscana e dalla Regione autonoma Sardegna, denominato «Legge 26 giugno 2024, n. 86, Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione: abrogazione totale».
2.– Al fine di «dare più completa e fedele descrizione dell’oggetto della consultazione popolare», tenendo conto delle osservazioni degli stessi promotori, l’Ufficio centrale per il referendum ha ritenuto opportuno integrare il quesito, originario «Volete voi che sia abrogata la legge 26 giugno 2024, n. 86, “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione», aggiungendovi l’espressione «, come risultante a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 192/2024».
È stata pertanto dichiarata conforme alle disposizioni di legge la richiesta di referendum popolare abrogativo sul seguente quesito unificato: «Volete voi che sia abrogata la legge 26 giugno 2024, n. 86, “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Cost., come risultante a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 192/2024”?».
3.– Il Presidente di questa Corte, ricevuta comunicazione dell’ordinanza dell’Ufficio centrale per il referendum, ha fissato, per la conseguente deliberazione, la camera di consiglio del 20 gennaio 2025, disponendo che ne fosse data comunicazione ai presentatori e al Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell’art. 33, secondo comma, della legge n. 352 del 1970.
4.– In data 8 gennaio 2025, la Regione Veneto ha depositato atto denominato “di intervento” nel quale ha chiesto che il quesito sia dichiarato inammissibile.
Innanzitutto, la difesa regionale evidenzia che – in considerazione del «carattere profondamente demolitorio» della sentenza n. 192 del 2024 – il voto sul referendum in esame finirebbe per avere a oggetto disposizioni residue vigenti, ancorché inapplicabili, e «disposizioni non vigenti, che (eventualmente) verranno alla luce», ma di cui allo stato sarebbe ignoto il contenuto.
Il referendum abrogativo, ribadisce la Regione Veneto, «[n]on può riguardare, piuttosto che disposizioni, interpretazioni di enunciati e, men che meno, vuoti normativi». Il quesito in esame sarebbe dunque privo dei caratteri dell’omogeneità, della chiarezza e dell’intelligibilità. In realtà, esso sarebbe volto a colpire l’art. 116, terzo comma, Cost., obiettivo non perseguibile con lo strumento del referendum, bensì con la procedura di cui all’art. 138 Cost.
5.– In data 7 gennaio 2025, il Comitato nazionale caccia e natura, la Federazione italiana della caccia, l’Unione nazionale enalcaccia pesca e tiro, l’Associazione nazionale libera caccia, l’ARCI caccia nazionale, l’Associazione dei migratoristi italiani per la conservazione dell’ambiente naturale (ANUU Migratoristi) e l’Associazione italiana della caccia – Italcaccia hanno depositato atto denominato “di intervento” in cui è stato richiesto che questa Corte dichiari l’inammissibilità della richiesta di referendum abrogativo in esame e che sollevi, per quanto occorra, dinanzi a sé questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 341, della legge 30 dicembre 2020, n. 178 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023), come novellato dall’art. 38-quater del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77 (Governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure), convertito, con modificazioni, nella legge 29 luglio 2021, n. 108, per violazione degli artt. 1 e 75 Cost.
Ad avviso di tali soggetti, l’istituzione della piattaforma telematica per la raccolta delle sottoscrizioni avrebbe determinato un’eccessiva semplificazione delle modalità di accesso al referendum abrogativo, facendo venir meno «il filtro di serietà della richiesta referendaria, insito nella previsione ad opera dell’art. 75 Cost. di una soglia minima di sottoscrittori pari a 500.000 elettori, col rischio concreto di proliferazione incontrollata di quesiti referendari» e, soprattutto, di snaturare l’essenza dell’istituto che, da eccezionale strumento di democrazia diretta, rischierebbe di diventare un ordinario (ma distorto) strumento di democrazia rappresentativa, «mediante il quale si vengano in sostanza a proporre plebisciti o voti popolari di fiducia, nei confronti di complessive inscindibili scelte politiche dei partiti o dei gruppi organizzati che abbiano assunto e sostenuto le iniziative referendarie» (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 16 del 1978).
6.– In data 8 gennaio 2025, il Comitato dei promotori ha depositato una memoria in cui ha chiesto che il quesito venga dichiarato ammissibile.
Dopo avere evidenziato le ragioni della chiarezza e unitarietà del quesito, avente ad oggetto l’abrogazione dell’intera legge n. 86 del 2024, la difesa dei promotori esclude che la stessa legge possa ritenersi a contenuto costituzionalmente vincolato o costituzionalmente necessaria. Infatti, rileva il Comitato, l’art. 116, terzo comma, Cost. conterrebbe una disciplina suscettibile di autonoma applicazione, anche solo in forza di singole «deroghe all’ordinaria ripartizione delle funzioni», da attivarsi per ciascuno specifico caso per il tramite di legge rinforzata. Ciò escluderebbe la necessità di una legge generale che disciplini l’attuazione dell’istituto dell’autonomia differenziata per consentirne il concreto funzionamento.
Ad avviso del Comitato, il quesito referendario sarebbe ammissibile anche sotto il profilo della sua omogeneità e della matrice unitaria dello stesso. La richiesta di abrogazione totale della legge n. 86 del 2024 manifesterebbe «la volontà complessiva e unidirezionale di abrogare l’intera legge che, con lo scopo di rendere più agevole l’iter procedurale diretto alla formulazione delle singole intese e alla successiva approvazione delle singole leggi rinforzate, mette il governo al centro di un processo politico avente come esito finale quello di accentuare lo spirito “competitivo” del regionalismo».
Infine, la difesa del Comitato promotore deduce l’assenza di alcun collegamento della legge n. 86 del 2024 con leggi di bilancio, escluse dall’ambito del referendum ai sensi dell’art. 75, secondo comma, Cost.
7.– Il Presidente del Consiglio dei ministri non è intervenuto nel giudizio di ammissibilità.
Considerato in diritto
1.– La richiesta di referendum su cui questa Corte deve pronunciarsi in base all’art. 75, secondo comma, Cost., dichiarata conforme a legge con ordinanza del 12 dicembre 2024 dell’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, riguarda l’abrogazione della legge n. 86 del 2024, come risultante all’esito della sentenza n. 192 del 2024 di questa Corte.
A seguito del procedimento svoltosi di fronte all’Ufficio centrale per il referendum, il quesito unificato è il seguente: «Volete voi che sia abrogata la legge 26 giugno 2024, n. 86, “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Cost., come risultante a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 192/2024”?». Ad esso è stata attribuita la seguente denominazione: «Legge 26 giugno 2024, n. 86, Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione: abrogazione totale».
2.– In via preliminare, occorre rilevare che, nella camera di consiglio del 20 gennaio 2025, è stato consentito – come più volte avvenuto in passato (da ultimo, sentenze n. 60, n. 59, e n. 56 del 2022) – l’illustrazione orale delle memorie depositate dai soggetti presentatori del referendum ai sensi dell’art. 33, terzo comma, della legge n. 352 del 1970, nonché brevi integrazioni orali degli scritti presentati da soggetti diversi da quelli contemplati dalla disposizione citata e tuttavia interessati alla decisione sull’ammissibilità della richiesta di referendum (nel caso di specie la Regione Veneto e le associazioni e i comitati indicati al punto 5 del Ritenuto in fatto).
3.– Ancora in via preliminare, non può essere accolta la sollecitazione rivolta a questa Corte dal Comitato nazionale caccia e natura e altri, affinché sia oggetto di autorimessione la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 341, della legge n. 178 del 2020, come modificato dall’art. 38-quater del d.l. n. 77 del 2021, come convertito.
Infatti, la disposizione cui si rivolgono le censure di tali soggetti disciplina le modalità di raccolta telematica delle sottoscrizioni e attiene, dunque, ad una fase del procedimento referendario diversa e precedente rispetto a quella in esame, che è volta alla verifica dell’ammissibilità del quesito.
Ai sensi dell’art. 32, secondo comma, della legge n. 352 del 1970, la valutazione della legittimità degli atti compiuti nella fase di raccolta delle sottoscrizioni compete all’Ufficio centrale per il referendum. Peraltro, quest’ultimo, nell’ordinanza del 12 dicembre 2024, ha espressamente esaminato le eccezioni di illegittimità costituzionale formulate dagli stessi soggetti e le ha ritenute manifestamente infondate. Del resto, dalla stessa ordinanza si evince che il quorum previsto dall’art. 75, primo comma, Cost., è stato comunque raggiunto indipendentemente dalle sottoscrizioni telematiche.
4.– Occorre, inoltre, precisare che l’oggetto originario della richiesta referendaria in esame era costituito dalla legge n. 86 del 2024, adottata in dichiarata «attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione». Al fine di «dare più completa e fedele descrizione dell’oggetto della consultazione popolare», il quesito unificato – come già rilevato – è stato integrato dall’Ufficio centrale per il referendum mediante il richiamo alla sopravvenuta sentenza n. 192 del 2024 di questa Corte.
Infatti, l’impianto originario della legge n. 86 del 2024 è stato profondamente modificato dalla sentenza predetta, con interventi di tipo caducatorio, sostitutivo e additivo, nonché con decisioni interpretative di rigetto (per l’analisi di tali interventi si rinvia ai successivi punti 7 e 8).
5.– Per costante giurisprudenza costituzionale, il giudizio sull’ammissibilità della richiesta referendaria è volto a «verificare che non sussistano eventuali ragioni di inammissibilità sia indicate, o rilevabili in via sistematica, dall’art. 75, secondo comma, della Costituzione, attinenti alle disposizioni oggetto del quesito referendario; sia relative ai requisiti concernenti la formulazione del quesito referendario, come desumibili dall’interpretazione logico-sistematica della Costituzione (sentenze n. 174 del 2011, n. 137 del 1993, n. 48 del 1981 e n. 70 del 1978): omogeneità, chiarezza e semplicità, completezza, coerenza, idoneità a conseguire il fine perseguito, rispetto della natura ablativa dell’operazione referendaria» (sentenze n. 59 del 2022 e n. 17 del 2016).
6.– Occorre in proposito rilevare che non sussiste alcuna delle cause di inammissibilità indicate nell’art. 75, secondo comma, Cost., poiché l’oggetto del quesito non è riconducibile alle categorie di leggi ivi elencate, neppure in via di interpretazione logico-sistematica.
6.1.– In particolare, non è ravvisabile il limite delle leggi tributarie.
Invero, «con la dizione “leggi tributarie” contenuta nell’art. 75, secondo comma, della Costituzione, il legislatore costituente [ha] fatto riferimento a tutte quelle disposizioni che disciplinano il rapporto tributario nel suo insieme. In essa rientrano, pertanto, sia le norme che riguardano il momento costitutivo dell’imposizione, sia quelle che disciplinano gli aspetti dinamici del rapporto, e cioè il suo svolgimento nell’accertamento e nell’applicazione del tributo con la riscossione dello stesso» (tra le molte, sentenza n. 51 del 2000).
In effetti, la legge n. 86 del 2024, all’art. 5, disciplina una particolare destinazione delle entrate fiscali, prevedendo che le funzioni oggetto di conferimento siano finanziate attraverso la compartecipazione al gettito di uno o più tributi erariali maturato nel territorio della regione interessata. Si tratta, tuttavia, di disposizioni che non attengono né al momento costitutivo, né a quello attuativo di una fattispecie impositrice, bensì alla individuazione delle modalità di finanziamento delle funzioni conferite.
6.2.– La legge n. 86 del 2024 neppure può essere ricompresa nella categoria delle leggi di bilancio.
La legge in esame contiene, effettivamente, all’art. 3, commi 1, 9 e 10, alcuni riferimenti alla manovra di finanza pubblica 2023, in particolare ai commi da 791 a 801-bis dell’art. 1 della legge 19 dicembre 2022, n. 197 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025). Tuttavia, queste disposizioni sono state dichiarate costituzionalmente illegittime dalla sentenza n. 192 del 2024; e, comunque, nel testo originario erano richiamate ai soli fini della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP).
Va inoltre evidenziato che nelle disposizioni dell’art. 9 della legge n. 86 del 2024 – che prevedono l’invarianza finanziaria conseguente all’applicazione delle singole intese, individuano le modalità di finanziamento dei LEP e impongono alle regioni differenziate di concorrere agli obiettivi di finanza pubblica – non è ravvisabile quello stretto collegamento genetico, strutturale e funzionale con la procedura di bilancio, che è richiesto per qualificare una legge sottoposta a richiesta referendaria come appartenente alla categoria in esame (tra le molte, sentenze n. 12 del 1995 e n. 2 del 1994).
6.3.– La giurisprudenza di questa Corte, altresì, ha ritenuto preclusa al referendum l’abrogazione di leggi costituzionalmente necessarie od obbligatorie (sentenze n. 57, n. 56 e n. 50 del 2022, n. 10 del 2020, n. 15 e 16 del 2008, n. 49 del 2000 e n. 35 del 1997).
Nel caso in esame, va escluso che la legge n. 86 del 2024 sia costituzionalmente necessaria ai fini dell’attuazione dell’art. 116, terzo comma, Cost.
La stessa sentenza n. 192 del 2024 ha, invero, riconosciuto l’opportunità – e non la necessità – della suddetta legge, al fine di “guidare” e dare ordine al processo di attuazione del regionalismo differenziato (punto 7.2. del Considerato in diritto).
7.– Restano da esaminare i limiti di ammissibilità che riguardano il quesito referendario.
La richiesta referendaria in esame presenta caratteri peculiari, in quanto l’originaria disciplina contenuta nella legge n. 86 del 2024 è stata profondamente incisa dalla sentenza n. 192 del 2024, sopravvenuta alla presentazione della stessa richiesta.
Tale pronuncia, infatti, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di molteplici disposizioni della predetta legge; ha dichiarato l’illegittimità costituzionale consequenziale di altre disposizioni della medesima e di altra legge (legge n. 197 del 2022); ha fornito l’interpretazione costituzionalmente orientata di ulteriori disposizioni.
A fronte di questo intervento, l’Ufficio centrale presso la Corte di cassazione – chiamato a decidere sulla necessità di arrestare la procedura referendaria, ovvero di trasferire l’oggetto del referendum sulla legge n. 86 del 2024, «come risultante a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 192/2024» – ha ritenuto che, nonostante il «massiccio effetto demolitorio» determinato da tale pronuncia, fosse ancora vigente un «fondo regolativo» idoneo «a concretare la permanenza [della] materia referendaria».
8.– Spetta ora a questa Corte valutare se – nonostante il «massiccio effetto demolitorio» – la permanenza del suddetto «fondo regolativo», ritenuto sufficiente ad assicurare la conformità a legge della richiesta referendaria, costituisca una condizione altrettanto sufficiente a consentire l’ammissibilità del referendum, quanto alla possibilità di esprimere un voto libero e consapevole.
È necessario, in sostanza, interrogarsi se l’elettore sia posto nelle condizioni di comprendere quale sia l’oggetto della richiesta di abrogazione, quali le sue conseguenze e quali le finalità che con essa si intendono perseguire.
Occorre rammentare che è il principio di libertà del voto e, dunque, il rispetto degli artt. 1 e 48 Cost., a imporre la chiarezza del quesito referendario. Al riguardo, questa Corte ha affermato che «[i]l referendum nel suo significato, prima ancora che nella sua disciplina, nella sua collocazione e valore nel sistema, consiste in una scelta […]. Ora, la possibilità di scelta, cioè il proprium dell’istituto referendario, viene meno quando la libertà di voto dell’elettore venga coartata. Ed essa è coartata, non già solo, ovviamente, nel caso limite della violenza fisica, come in quelli, meno irreali, più subdoli e multiformi di violenza morale, ma altresì nei casi di formulazione, né semplice, né chiara. […] Nelle consultazioni popolari, e perciò anche in quelle referendarie, in cui non è concepibile una risposta articolata, la nettezza della scelta postula la nettezza del quesito, la sua semplicità, cioè essenzialità, la sua chiarezza, cioè la sua inconfondibilità» (sentenza n. 27 del 1981). Per questi motivi è stata esclusa l’ammissibilità della richiesta allorché «il quesito, creando disorientamento, risulta privo di quella chiarezza, che assicura l’espressione di un voto consapevole» (sentenza n. 28 del 1987).
9.– Ciò premesso, il giudizio di ammissibilità sul quesito referendario deve tenere in considerazione molteplici aspetti, al fine di evitare usi impropri – e irragionevoli – di un importante strumento di democrazia.
Il quesito qui in esame appare formalmente lineare, poiché consiste nel richiedere se si voglia abrogare integralmente la legge n. 86 del 2024, non più nel suo contenuto originario, ma per quanto risulta dalla sentenza n. 192 del 2024 di questa Corte.
Occorrono, tuttavia, valutazioni anche in ordine all’oggetto e alla finalità del quesito.
Nella giurisprudenza costituzionale, infatti, è stato precisato che il quesito deve essere chiaro e univoco quanto al suo oggetto (sentenza n. 49 del 2022). E, inoltre, che chiarezza e univocità sono «desumibili dalla finalità incorporata nel quesito, cioè dalla finalità obiettivamente ricavabile in base alla sua formulazione e all’incidenza del referendum sul quadro normativo di riferimento» (sentenza n. 59 del 2022; nello stesso senso sentenze n. 28 del 2017, n. 17 del 2016 e n. 24 del 2011). Tutto ciò per garantire la libera e consapevole espressione del voto da parte dell’elettore, al fine di assicurare il rispetto degli artt. 1 e 48 Cost.
10.– Il quesito in esame si dimostra – sotto il profilo sostanziale – privo di chiarezza quanto al suo oggetto, che, come più volte sottolineato, riguarda l’abrogazione della legge n. 86 del 2024, quale risultante a seguito della sentenza n. 192 del 2024.
10.1.– Questa sentenza, innanzitutto, ha stabilito che l’attribuzione di ulteriore autonomia alle regioni debba riguardare «specifiche funzioni» e non «materie o ambiti di materie» e che la richiesta di funzioni debba essere adeguatamente motivata dalle regioni.
Il fondamento di tale decisione relativa all’oggetto della devoluzione risiede soprattutto nell’interpretazione sistematica dell’art. 116, terzo comma, Cost., letto alla luce del principio di sussidiarietà. Questa Corte, in particolare, ha stabilito che «l’art. 116, terzo comma, Cost., richiede che il trasferimento riguardi specifiche funzioni, di natura legislativa e/o amministrativa, e sia basato su una ragionevole giustificazione, espressione di un’idonea istruttoria, alla stregua del principio di sussidiarietà».
10.2.– La sentenza n. 192 del 2024 ha poi ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di gran parte dell’art. 3 della legge n. 86 del 2024, che disciplina l’individuazione dei LEP, censurando sia la delega legislativa per la determinazione dei LEP sulla base di “nuovi” criteri non specificati, sia i criteri vigenti alla data di entrata in vigore della stessa legge, ossia quelli previsti dalla precedente legge n. 197 del 2022. Per effetto di tale duplice dichiarazione di illegittimità costituzionale non c’è modo, attualmente, di individuare i LEP di cui alla suddetta legge n. 86 del 2024: i “nuovi” criteri non ci sono e quelli vigenti non hanno più efficacia.
Altrimenti detto, la richiamata sentenza n. 192 del 2024 – avendo dichiarato l’illegittimità costituzionale sia dei commi dell’indicato art. 3 che riguardavano l’individuazione, futura e a regime, dei LEP, sia del comma che faceva salva transitoriamente l’individuazione dei LEP secondo i criteri e il procedimento di cui alla legge n. 197 del 2022 – comporta che allo stato non è possibile individuare i “nuovi” LEP e che il “vecchio” criterio di determinazione dei LEP non è più applicabile.
Residuano – è vero – le materie “no-LEP”. Ma in realtà anche queste sono incise dall’interpretazione fornita dalla sentenza n. 192 del 2024, là dove ha affermato che «[a]lla luce delle considerazioni sopra esposte, cioè della necessità di determinare il relativo LEP (e costo standard) qualora si trasferisca una funzione attinente ad un diritto civile o sociale, l’art. 3, comma 3, va interpretato in senso conforme a Costituzione: nel momento in cui il legislatore qualifica una materia come “no-LEP”, i relativi trasferimenti non potranno riguardare funzioni che attengono a prestazioni concernenti i diritti civili e sociali. Se, invece, lo Stato intende accogliere una richiesta regionale relativa a una funzione rientrante in una materia ‘‘no-LEP” e incidente su un diritto civile o sociale, occorrerà la previa determinazione del relativo LEP (e costo standard)».
Questa Corte ha inoltre rilevato «che vi sono delle materie, cui pure si riferisce l’art. 116, terzo comma, Cost., alle quali afferiscono funzioni il cui trasferimento è, in linea di massima, difficilmente giustificabile secondo il principio di sussidiarietà. Vi sono, infatti, motivi di ordine sia giuridico che tecnico o economico, che ne precludono il trasferimento». Tra queste materie non trasferibili ve ne sono anche due “no-LEP”: il «commercio con l’estero» e le «professioni».
Pertanto vi è stato: a) il trasversale ridimensionamento dell’oggetto di qualsiasi possibile trasferimento (solo specifiche funzioni e non già materie); b) la paralisi – fino ad un futuro intervento del legislatore – dell’individuazione dei LEP di cui alla suddetta legge n. 86 del 2024; c) la conseguente impossibilità di trasferire specifiche funzioni relative a “materie LEP”, nonché – per la stessa ragione – relative a materie “no-LEP”, là dove esse incidono su diritti civili e sociali; d) l’individuazione di un catalogo di materie nelle quali il trasferimento di funzioni è difficile da giustificare, tra cui due materie “no-LEP” («commercio con l’estero» e «professioni»).
Rimane unicamente la possibilità di trasferire specifiche funzioni concernenti alcune materie “no-LEP”, a condizione che esse non incidano su un diritto civile o sociale e che l’iniziativa regionale sia «giustificata alla luce del principio di sussidiarietà».
In definitiva, la sentenza n. 192 del 2024 ha eliminato gran parte del disposto normativo di cui alla legge n. 86 del 2024, incisa nella sua architettura essenziale, lasciando in vita un contenuto minimo. Tale contenuto è di difficile individuazione e ciò si riflette sulla comprensibilità del quesito da parte del corpo elettorale, oltreché sul fine ultimo, o ratio, della stessa richiesta referendaria.
10.3.– Di conseguenza, risulta obiettivamente oscuro per l’elettore l’oggetto del quesito, che originariamente riguardava la legge n. 86 del 2024 nel suo testo iniziale e ora riguarda quel che resta della legge a seguito delle numerose e complesse modifiche apportate dalla citata sentenza di questa Corte. Un oggetto sostanzialmente non decifrabile.
L’elettore si verrebbe a trovare in una condizione di disorientamento, rispetto sia ai contenuti, sia agli effetti di quel che resta della legge n. 86 del 2024. Con la conseguenza che tale disorientamento impedirebbe l’espressione di un voto libero e consapevole, che la chiarezza e la semplicità del quesito mirano ad assicurare.
Come rilevato da tempo, «quando il quesito non risulti contrassegnato dalla semplicità, chiarezza e coerenza, è illusorio credere che la campagna referendaria valga a rendere veramente e pienamente semplice quello che è complesso, chiaro quello che è oscuro, coerente quello che è contraddittorio. Infatti, […] la possibilità di scelta degli elettori può apparire fittizia, non essendo in realtà ad essi data altra possibilità di scelta, che o esprimere un voto non genuino, o scegliere di non scegliere» (sentenza n. 27 del 1981; nello stesso senso anche le sentenze n. 49 del 2022 e n. 26 del 1987).
11.– Il quesito è inoltre privo di chiarezza quanto alla sua finalità.
Questa Corte ha sempre sottolineato che occorre considerare non la finalità soggettiva dei promotori, bensì quella obiettiva della richiesta referendaria (da ultimo, sentenze n. 59 e n. 51 del 2022).
Al riguardo, è necessario ripartire da ciò che è divenuto l’oggetto del quesito, che concerne la legge n. 86 del 2024, come risultante dalla sentenza n. 192 del 2024. Quel che resta della legge dopo questa pronuncia – lo si è detto – è obiettivamente oscuro per l’elettore.
Dall’oscurità dell’oggetto del quesito deriva un’insuperabile incertezza sulla stessa finalità obiettiva del referendum. Con il rischio che esso si risolva in altro: nel far esercitare un’opzione popolare non già su una legge ordinaria modificata da una sentenza di questa Corte, ma a favore o contro il regionalismo differenziato. La consultazione referendaria verrebbe ad avere una portata che trascende quel che i Costituenti ritennero fondamentale, cioè l’uso corretto – e ragionevole – di questo importante strumento di democrazia. Deve infatti evitarsi che il referendum abrogativo si trasformi «in un distorto strumento di democrazia rappresentativa, mediante il quale si vengano in sostanza a proporre plebisciti o voti popolari di fiducia, nei confronti di complessive inscindibili scelte politiche dei partiti o dei gruppi organizzati che abbiano assunto e sostenuto le iniziative referendarie» (sentenza n. 16 del 1978, richiamata anche dalla sentenza n. 56 del 2022).
Se si ammettesse la richiesta in esame, si avrebbe una radicale polarizzazione identitaria sull’autonomia differenziata come tale, e in definitiva sull’art. 116, terzo comma, Cost., che non può essere oggetto di referendum abrogativo, ma solo di revisione costituzionale.
12.– La richiesta referendaria, pertanto, deve dichiararsi inammissibile.