REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da:
Presidente: Giovanni AMOROSO; Giudici : Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell’art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1 (Norme integrative della Costituzione concernenti la Corte costituzionale), della richiesta di referendum popolare per l’abrogazione dell’art. 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604 (Norme sui licenziamenti individuali), come sostituito dall’art. 2, comma 3, della legge 11 maggio 1990, n. 108 (Disciplina dei licenziamenti individuali), limitatamente alle parole «compreso tra un», alle parole «ed un massimo di 6» e alle parole «La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro», giudizio iscritto al n. 184 del registro ammissibilità referendum.
Vista l’ordinanza del 12 dicembre 2024, depositata il successivo 13 dicembre, con la quale l’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, ha dichiarato conforme a legge detta richiesta;
udita nella camera di consiglio del 20 gennaio 2025 la Giudice relatrice Maria Rosaria San Giorgio;
uditi gli avvocati Amos Andreoni e Vittorio Angiolini per Luigi Giove, Ivano Gualerzi, Federico Bozzanca e Lorenzo Fassina, nella qualità di promotori;
deliberato nella camera di consiglio del 20 gennaio 2025.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 12 dicembre 2024, depositata il successivo 13 dicembre, l’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, a norma dell’art. 12 della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo), ha dichiarato conforme a legge la richiesta di referendum popolare abrogativo, proposto ai sensi dell’art. 75 della Costituzione da oltre cinquecentomila elettori, sul seguente quesito: «Volete voi l’abrogazione dell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, recante “Norme sui licenziamenti individuali”, come sostituito dall’art. 2, comma 3, della legge 11 maggio 1990, n. 108, limitatamente alle parole: “compreso tra un”, alle parole “ed un massimo di 6” e alle parole “La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro”?», avente la seguente denominazione sintetica: «Piccole imprese-Licenziamenti e relativa indennità: abrogazione parziale».
Nell’ordinanza, l’Ufficio centrale per il referendum ha dato atto che è stata promossa l’iniziativa di referendum popolare, ai sensi dell’art. 75 Cost., di cui al verbale della cancelleria della Corte di cassazione del 12 aprile 2024, con relativa comunicazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale - serie generale n. 87 del 13 aprile 2024, avente a oggetto il quesito indicato.
Nell’ordinanza si è dato altresì conto del fatto che i promotori, in data 19 luglio 2024 (e quindi «entro tre mesi dalla data del timbro apposto sui fogli medesimi a norma dell’articolo 7, ultimo comma»), hanno depositato presso la medesima cancelleria tutti i fogli contenenti le firme e i certificati elettorali dei sottoscrittori, al contempo dichiarando a verbale il numero dei cittadini che appoggiano la richiesta referendaria, pari complessivamente a n. 875.844 sottoscrizioni, apposte su fogli predisposti con le modalità di cui all’art. 27 della legge n. 352 del 1970. L’ordinanza ha aggiunto che i medesimi promotori hanno depositato un hard disk, contenente il duplicato informatico di 99.099 firme raccolte elettronicamente, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lettera i-quinquies), del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell’amministrazione digitale), insieme ai relativi certificati di iscrizione nelle liste elettorali, oltre a una pen drive contenente il duplicato informatico dei certificati di iscrizione relativi alle sottoscrizioni contenute nella scatola n. 259.
L’ordinanza, di seguito, ha riferito circa lo svolgimento delle operazioni di verifica della regolare raccolta di almeno cinquecentomila firme, ai sensi dell’art. 75, primo comma, Cost., dando conto sia delle sottoscrizioni acquisite da moduli cartacei, sia di quelle digitali.
Infine, l’ordinanza ha rilevato che la normativa sottoposta a referendum «rientra nella previsione dell’art. 75 Cost.» e, quanto alla verifica della sua attuale vigenza, ha richiamato l’art. 1, comma 1, del decreto legislativo 1° dicembre 2009, n. 179 (Disposizioni legislative statali anteriori al 1° gennaio 1970, di cui si ritiene indispensabile la permanenza in vigore, a norma dell’articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246), il quale, in combinato disposto con l’Allegato 1 al medesimo decreto, ha dichiarato indispensabile la permanenza in vigore delle disposizioni di cui agli artt. da 1 a 10, 11, secondo comma, 12, 13 e 14 della legge n. 604 del 1966. Ha inoltre ricordato che questa Corte, con sentenza n. 41 del 2003, aveva già dichiarato ammissibile la richiesta di referendum popolare per l’abrogazione, nelle parti ivi indicate, delle seguenti disposizioni: art. 18, commi primo, secondo e terzo, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), nel testo modificato dall’art. 1 della legge 11 maggio 1990, n. 108 (Disciplina dei licenziamenti individuali); artt. 2, comma 1, e 4, comma 1, secondo periodo, della legge n. 108 del 1990; art. 8 della legge n. 604 del 1966, come sostituito dall’art. 2, comma 3, della legge n. 108 del 1990. Tale referendum è stato indetto con decreto del Presidente della Repubblica 9 aprile 2003 e, successivamente, con comunicato del 14 luglio 2003, la Presidenza del Consiglio dei ministri ha reso noto che alla votazione indetta non ha partecipato la maggioranza degli aventi diritto, come richiesto dall’art. 75, quarto comma, Cost.
Ha aggiunto, sul punto, l’Ufficio centrale che non sussiste la condizione ostativa prevista dall’art. 38 della legge n. 352 del 1970, quanto alla riproposizione del referendum sull’art. 8 della legge n. 604 del 1966, come sostituito dall’art. 2, comma 3, della legge n. 108 del 1990, essendo trascorsi ormai più di cinque anni dalla precedente consultazione referendaria.
2.– Con memoria depositata l’8 gennaio 2025, i promotori hanno svolto difese a sostegno dell’ammissibilità della richiesta referendaria.
Vengono richiamati il «contesto europeo» di riferimento e l’art. 24 della Carta sociale europea, insieme alla decisione del Comitato europeo dei diritti sociali (CEDS) resa all’esito del reclamo collettivo n. 158 del 2017 (promosso con atto dell’11 febbraio 2020). Secondo quest’ultima decisione, un tetto massimo che, senza un carattere sufficientemente dissuasivo, svincoli l’indennità dal danno subìto «è, in linea di principio, contrario alla Carta» (punto 96). Nella medesima direzione è richiamata anche la decisione n. 106 del 2014, dello stesso CEDS, resa nel caso Finnish Society of Social Rights contro Finlandia, richiamato anche da questa Corte nella sentenza n. 194 del 2018. A giudizio dei promotori, sulla scorta delle richiamate decisioni, dovrebbe concludersi che «il rimedio compensatorio, qualora previsto in via alternativa rispetto al rimedio reintegratorio, può essere considerato adeguata forma di riparazione soltanto quando sia di entità tale da garantire al lavoratore un ristoro tendenzialmente integrale del danno sofferto in conseguenza del licenziamento, e quindi tale da assorbire l’equivalente economico del valore del posto di lavoro illegittimamente perduto, senza esaurirsi necessariamente in esso».
Nel descritto contesto, secondo i promotori, risulterebbe «trasparente» il senso dell’odierno referendum che, con la cancellazione del limite massimo di indennità stabilito dall’art. 8 della legge n. 604 del 1966, garantirebbe «una finalità di utile ed equo ristoro e di deterrenza verso il datore di lavoro, rimettendo la legge italiana in linea con la disciplina europea». Il quesito, dunque, avrebbe i requisiti della chiarezza e della omogeneità, né incontrerebbe alcun limite ex art. 75 Cost.
Considerato in diritto
1.– Questa Corte è chiamata a pronunciarsi sull’ammissibilità della descritta richiesta di referendum popolare, avente a oggetto l’abrogazione dell’art. 8 della legge n. 604 del 1966, limitatamente alle parole «compreso tra un», alle parole «ed un massimo di 6» e alle parole «La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro».
La richiesta, dichiarata conforme a legge dall’Ufficio centrale per il referendum, istituito presso la Corte di cassazione, mira ad eliminare il tetto massimo che l’art. 8 della legge n. 604 del 1966 impone per la liquidazione dell’indennità da licenziamento illegittimo, fissato in «6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto», anche se maggiorabile (in base a quanto prevede l’ultimo periodo, anch’esso oggetto del quesito referendario) in funzione dell’anzianità del lavoratore e sempre a condizione che il datore di lavoro occupi più di quindici prestatori di lavoro.
L’obiettivo perseguito, come si ricava dalla denominazione assegnata al quesito, è quello di incidere sulla misura della predetta indennità, che riguarda esclusivamente i lavoratori assunti presso le «piccole imprese», per tali dovendosi intendere quelle che non raggiungono la dimensione occupazionale attualmente indicata dall’art. 18, ottavo comma, della legge n. 300 del 1970.
2.– Preliminare alla valutazione sull’ammissibilità del quesito è la disamina dell’odierno raggio di applicazione dell’art. 8 della legge n. 604 del 1966, dopo che la materia dei licenziamenti illegittimi e della relativa indennità è stata interessata, negli ultimi anni, da numerosi «interventi normativi stratificati» (sentenza n. 183 del 2022).
Occorre precisare che, sin da quando è stata introdotta, nel 1966, la tutela indennitaria, la fissazione in via legislativa di un tetto massimo per la liquidazione dell’indennità da licenziamento illegittimo, insieme alla sua articolazione a seconda del requisito dimensionale del datore di lavoro, rappresenta un dato costante. Essa, infatti, si rinviene all’indomani dell’entrata in vigore dello statuto dei lavoratori, di cui alla legge n. 300 del 1970, che, all’art. 18, ha introdotto la tutela reintegratoria al fianco di quella solo indennitaria. Parimenti essa è presente nell’attuale cornice del cosiddetto contratto di lavoro a tutele crescenti, di cui al decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183): riforma, quest’ultima, che ha a sua volta ridisegnato il regime indennitario, per i lavoratori assunti a partire dal 7 marzo 2015, nella forma piena e in quella ridotta (rispettivamente, artt. 3, comma 1, e 4), e che, in modo non dissimile dalle previsioni dell’art. 8 della legge n. 604 del 1966, ne ha diversificato la misura massima a seconda delle dimensioni occupazionali del datore di lavoro (art. 9).
Proprio la riforma del 2015 segna l’odierno, residuo margine di applicazione, ratione temporis, dell’art. 8 della legge n. 604 del 1966. Esso, infatti, risulta ormai limitato a quei lavoratori che siano stati assunti prima dell’entrata in vigore, in data 7 marzo 2015, del nuovo sistema sanzionatorio (sentenze n. 7 e n. 44 del 2024).
Altra importante delimitazione applicativa è data dalla dimensione occupazionale del datore di lavoro. La disposizione oggetto del quesito referendario, infatti, riguarda solo i lavoratori assunti alle dipendenze di datori di lavoro che non raggiungono la soglia dimensionale indicata dall’art. 18, ottavo comma, della legge n. 300 del 1970: fino a quindici dipendenti nelle singole unità produttive o nell’ambito dello stesso comune (cinque, se si tratta di impresa agricola), o fino a sessanta dipendenti nel complesso dell’azienda. Si tratta, come è noto, del «requisito dimensionale unico» (sentenza n. 44 del 2024) che segna, già nella disciplina introdotta a partire dalla legge n. 108 del 1990, il discrimine tra la tutela reintegratoria e quella solo indennitaria, lasciando quest’ultima alle cosiddette imprese di “piccole dimensioni” (come contrapposte a quelle di dimensioni “medio grandi”).
In definitiva, l’odierno quesito referendario è destinato a incidere su una previsione (la fissazione del tetto massimo, pari a sei mensilità, maggiorabile fino a quattordici, per la liquidazione dell’indennità da licenziamento illegittimo) che, nella sua attuale vigenza – espressamente confermata, come rilevato dall’Ufficio centrale, dal combinato disposto tra l’art. 1, comma 1, e l’Allegato 1 del d.lgs. n. 179 del 2009 –, riguarda esclusivamente i lavoratori assunti presso datori di lavoro di “piccole” dimensioni prima del 7 marzo 2015.
3.– Tanto premesso, la richiesta referendaria è ammissibile.
3.1.– Non è anzitutto ravvisabile alcuna preclusione proveniente dai divieti posti dall’art. 75, secondo comma, Cost., né si apprezzano profili attinenti a disposizioni a contenuto costituzionalmente obbligato.
3.2.– Sotto altro profilo, il quesito risponde poi ai requisiti di chiarezza, univocità e omogeneità.
Con esclusivo riguardo alla categoria di lavoratori poc’anzi precisata, esso mira ad eliminare il tetto, fissato in sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, seppure maggiorabile fino a quattordici, che attualmente delimita la misura massima dell’indennità liquidabile per licenziamento illegittimo. L’obiettivo viene perseguito con la tecnica del ritaglio sulle parole, senza tuttavia che ciò determini uno stravolgimento dell’originaria ratio e struttura della disposizione, tale da comportare l’introduzione di una nuova statuizione estranea all’originario contesto normativo (effetti, questi ultimi, che, per costante giurisprudenza di questa Corte, rendono inammissibile la richiesta di referendum popolare: ex plurimis, sentenze n. 26 del 2017, n. 46 del 2003, n. 50 e n. 38 del 2000 e n. 36 del 1997). Viene infatti proposta l’abrogazione di quelle sole parole che si riferiscono al citato tetto massimo. La normativa di risulta, in caso di esito positivo della consultazione referendaria, comporterebbe, per la menzionata categoria di lavoratori, il mantenimento della soglia minima (pari a 2,5 mensilità) e consentirebbe una liquidazione affidata al prudente apprezzamento del giudice che, nel quantificare un ristoro equo e dotato di un congruo effetto deterrente, non troverebbe più l’ostacolo dell’attuale limite massimo. Va aggiunto che la determinazione dell’indennità rimane, comunque, legata all’applicazione dei criteri indicati dallo stesso art. 8 della legge n. 604 del 1966, non incisi dal quesito, che si riferiscono «al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell’impresa, all’anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti».
L’elettore è, pertanto, chiaramente posto nell’alternativa di mantenere ferma l’attuale disciplina prevista dall’art. 8 della legge n. 604 del 1966, ovvero di depurarla seccamente del profilo anzidetto, lasciandone per il resto intatte le ulteriori previsioni (sentenza n. 27 del 2017).
4.– In definitiva, non ostandovi alcuna ragione di ordine costituzionale, la richiesta di referendum deve essere dichiarata ammissibile (ex plurimis, sentenze n. 60 del 2022 e n. 27 del 2017).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara ammissibile la richiesta di referendum popolare per l’abrogazione dell’art. 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604 (Norme sui licenziamenti individuali), come sostituito dall’art. 2, comma 3, della legge 11 maggio 1990, n. 108 (Disciplina dei licenziamenti individuali), limitatamente alle parole: «compreso tra un», alle parole «ed un massimo di 6» e alle parole «La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro», richiesta dichiarata conforme a legge dall’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, con ordinanza del 12 dicembre 2024.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 gennaio 2025.
F.to:
Giovanni AMOROSO, Presidente
Maria Rosaria SAN GIORGIO, Redattrice
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 7 febbraio 2025
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA