Sentenza 14/2025 (ECLI:IT:COST:2025:14)
Giudizio: GIUDIZIO SULL'AMMISSIBILITÀ DEI REFERENDUM
Presidente: AMOROSO - Redattrice: SCIARRONE ALIBRANDI
Camera di Consiglio del 20/01/2025;    Decisione  del 20/01/2025
Deposito del 07/02/2025;   Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate: D.lgs. 15 giugno 2015, n. 81 avente ad oggetto “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell'articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183” limitatamente alle seguenti parti: Articolo 19, comma 1, limitatamente alle parole “non superiore a dodici mesi. Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque”, alle parole “in presenza di almeno una delle seguenti condizioni”, alle parole “in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 31 dicembre 2024, per esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva individuate dalle parti;” e alle parole “b bis)”; comma 1-bis, limitatamente alle parole “di durata superiore a dodici mesi” e alle parole “dalla data di superamento del termine di dodici mesi”; comma 4, limitatamente alle parole “, in caso di rinnovo,” e alle parole “solo quando il termine complessivo eccede i dodici mesi”; Articolo 21, comma 01, limitatamente alle parole “liberamente nei primi dodici mesi e, successivamente”».
Massime: 
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Atti decisi: ref. 185


Pronuncia

SENTENZA N. 14

ANNO 2025


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da: Presidente: Giovanni AMOROSO; Giudici : Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,


ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell’art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1 (Norme integrative della Costituzione concernenti la Corte costituzionale), della richiesta di referendum popolare per l’abrogazione del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81 (Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183), limitatamente alle seguenti parti:

– art. 19, comma 1, limitatamente alle parole «non superiore a dodici mesi. Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque», alle parole «in presenza di almeno una delle seguenti condizioni», alle parole «in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 31 dicembre 2024, per esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva individuate dalle parti»; e alle parole «b-bis)»;

– art. 19, comma 1-bis, limitatamente alle parole «di durata superiore a dodici mesi» e alle parole «dalla data di superamento del termine di dodici mesi»;

– art. 19, comma 4, limitatamente alle parole «, in caso di rinnovo,» e alle parole «solo quando il termine complessivo eccede i dodici mesi»;

– art. 21, comma 01, limitatamente alle parole «liberamente nei primi dodici mesi e, successivamente,»;

giudizio iscritto al n. 185 del registro ammissibilità referendum.

Vista l’ordinanza del 12 dicembre 2024 con la quale l’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha dichiarato conforme a legge la richiesta;

udita nella camera di consiglio del 20 gennaio 2025 la Giudice relatrice Antonella Sciarrone Alibrandi;

uditi gli avvocati Amos Andreoni e Vittorio Angiolini per Luigi Giove, Ivano Gualerzi, Federico Bozzanca e Lorenzo Fassina, nella qualità di promotori;

deliberato nella camera di consiglio del 20 gennaio 2025.


Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 12 dicembre 2024, l’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione a norma dell’art. 12 della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo), ha dichiarato conforme alle disposizioni di legge la richiesta di referendum abrogativo proposto, ai sensi dell’art. 75 della Costituzione, da cinquecentomila elettori (con annuncio n. 24A01936, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, serie generale, n. 87, del 13 aprile 2024), sul seguente quesito: «Volete voi che sia abrogato il d. lgs. 15 giugno 2015, n. 81 avente ad oggetto “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183” limitatamente alle seguenti parti: Articolo 19, comma 1, limitatamente alle parole “non superiore a dodici mesi. Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque”, alle parole “in presenza di almeno una delle seguenti condizioni”, alle parole “in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 31 dicembre 2024, per esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva individuate dalle parti;” e alle lettere “b bis)”; comma 1-bis, limitatamente alle parole “di durata superiore a dodici mesi” e alle parole “dalla data di superamento del termine di dodici mesi”; comma 4, limitatamente alle parole “, in caso di rinnovo,” e alle parole “solo quando il termine complessivo eccede i dodici mesi”; Articolo 21, comma 01, limitatamente alle parole “liberamente nei primi dodici mesi e, successivamente,”?» e con la seguente denominazione: «Abrogazione parziale di norme in materia di apposizione di termine al contratto di lavoro subordinato, durata massima e condizioni per proroghe e rinnovi».

2.– L’Ufficio centrale ha dato atto che il 19 luglio 2024 si sono presentati quattro promotori della raccolta delle firme a sostegno del suddetto referendum, i quali hanno depositato, ai sensi e per gli effetti dell’art. 28 della legge n. 352 del 1970: n. 259 scatole (su ciascuna delle quali è stato, poi, apposto il timbro della Corte di cassazione e una etichetta autoadesiva riportante la dicitura «Quesito 3 – Lavoro a termine – Deposito del 19 luglio 2024), che hanno affermato contenere complessivamente n. 871.051 firme di cittadini (in 40.850 moduli), apposte su fogli predisposti con le modalità indicate dall’art. 27 della predetta legge, regolarmente autenticate e accompagnate dalla certificazione di iscrizione nelle liste elettorali; un hard disk esterno, che hanno affermato contenere il duplicato informatico, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lettera i-quinquies), del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell’amministrazione digitale), di n. 98.198 firme raccolte elettronicamente, accompagnate dal duplicato informatico dei certificati d’iscrizione nelle liste elettorali acclusi ai messaggi di posta elettronica certificata ricevuti dalle amministrazioni comunali; una pen drive contenente il duplicato informatico dei certificati d’iscrizione nelle liste elettorali, acclusi ai messaggi di posta elettronica certificata, relativi alle sottoscrizioni contenute nella scatola n. 259.

Inoltre, con ordinanza interlocutoria del 2 dicembre 2024, l’Ufficio centrale ha rilevato che: a) il quesito referendario propone l’abrogazione parziale delle disposizioni relative alle ultime modifiche apportate all’art. 19, comma 1, del d.lgs. n. 81 del 2015, dall’art. 24, comma 1, del decreto-legge 4 maggio 2023, n. 48 (Misure urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro), convertito, con modificazioni, nella legge 3 luglio 2023, n. 85, in tema di lavoro a termine; b) le norme oggetto del quesito sono contenute in un atto normativo avente natura ed efficacia di legge e sono ancora in vigore, non essendo intervenuti atti di abrogazione, anche parziale, o pronunce di illegittimità costituzionale; c) non sussistono i presupposti, fissati dall’art. 32, comma 7, della legge n. 352 del 1970, per procedere alla concentrazione della richiesta di referendum abrogativo di cui si discute con quelle, del pari depositate il 19 luglio 2024, denominate «Reintegro licenziamenti», «Piccole imprese licenziamenti», «Tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro», in quanto non sono ravvisate uniformità o analogie di materia fra la richiesta in esame e le altre.

Con la medesima ordinanza non definitiva l’Ufficio centrale ha ritenuto opportuno, con l’assenso dei promotori, integrare il quesito con l’indicazione separata degli articoli in esso richiamati – e cioè degli artt. 19 e 21 del d.lgs. n. 81 del 2015 – e dei rispettivi commi in cui sono contenute le disposizioni di cui è richiesta la parziale abrogazione, nonché riformulare la denominazione in «Abrogazione parziale di norme in materia di apposizione di termine al contratto di lavoro subordinato, durata massima e condizioni per proroghe e rinnovi», allo scopo di consentire l’immediata comprensione del risultato perseguito dai promotori del referendum e delle conseguenze che si determinerebbero nell’ordinamento ove la richiesta venisse approvata.

3.‒ Il Presidente della Corte costituzionale, ricevuta comunicazione dell’ordinanza dell’Ufficio centrale per il referendum, ha fissato, per la conseguente deliberazione, la camera di consiglio del 20 gennaio 2025, disponendo che ne fosse data comunicazione ai presentatori e al Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell’art. 33, secondo comma, della legge n. 352 del 1970.

4.– In data 8 gennaio 2025 i promotori hanno depositato memoria, nella quale chiedono che il quesito venga dichiarato ammissibile.

Anzitutto, essi sottolineano che la richiesta referendaria mira all’abrogazione della previsione della possibilità di stipulare un primo contratto di lavoro di dodici mesi senza alcuna causa giustificativa, nonché di prorogarlo o rinnovarlo entro il limite di ventiquattro mesi, ovvero di stipularne direttamente uno per un periodo superiore ad un anno, ma inferiore a due, in presenza della condizione della sussistenza di «esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti» (art. 19, comma 1, lettera b, del d.lgs. n. 81 del 2015) in assenza delle previsioni dei contratti collettivi di cui all’art. 51 del medesimo decreto legislativo.

L’obiettivo perseguito con tale quesito sarebbe quello di riportare l’utilizzo dei contratti a termine entro limiti più coerenti con la funzione che essi, in armonia con la direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999 relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, dovrebbero assolvere: garantire la soddisfazione di esigenze temporanee dell’impresa, nonché restituire alla contrattazione collettiva, demandata alle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, attraverso la definizione delle causali che ne consentono la stipulazione, il compito di controllare il rispetto del corretto impiego di tale tipo di contratti da parte delle imprese, anche al fine di ridurre la precarietà dei rapporti di lavoro.

In sostanza, il quesito in esame tenderebbe a reintrodurre la possibilità di stipulare contratti individuali di lavoro a tempo determinato, di prorogarli e rinnovarli, esclusivamente nei casi tipizzati dal contratto collettivo e nel rispetto del termine massimo di ventiquattro mesi.

Secondo i promotori il quesito avrebbe, dunque, una matrice rigorosamente unitaria, tendendo univocamente a restringere entro precisi margini i casi di utilizzo del lavoro a termine.

Infine, esso non altererebbe il tessuto normativo in cui si inseriscono le disposizioni di cui si chiede l’abrogazione, considerato che il termine di durata massima di ventiquattro mesi era già presente nella normativa medesima, né si introdurrebbero norme in discontinuità con la trama di insieme del testo.

Il quesito sarebbe, in definitiva, ammissibile in quanto binario, in sé compiuto, chiaro e omogeneo.


Considerato in diritto

1.– La richiesta di referendum abrogativo su cui questa Corte deve pronunciarsi in base all’art. 75, secondo comma, Cost., dichiarata conforme a legge con ordinanza del 12 dicembre 2024 dell’Ufficio centrale per il referendum, riguarda frammenti delle disposizioni di cui ai commi 1, 1-bis e 4 dell’art. 19, e al comma 01 dell’art. 21 del d.lgs. n. 81 del 2015, in tema di apposizione del termine, durata, proroghe e rinnovi del contratto di lavoro subordinato.

2.– In via preliminare, occorre rilevare che, nella camera di consiglio del 20 gennaio 2025, questa Corte ha consentito l’illustrazione orale delle memorie depositate dai soggetti presentatori del referendum ai sensi dell’art. 33, terzo comma, della legge n. 352 del 1970.

A partire dal giudizio di ammissibilità deciso con la sentenza n. 16 del 1978, questa Corte, riunita in camera di consiglio per la decisione, ha, infatti, ammesso che gli avvocati – rappresentanti dei delegati o dei presentatori o del Presidente del Consiglio dei ministri – pur non assumendo il ruolo di parti, illustrino le memorie, instaurando così una prassi che, pur non prevista dalla legge e quindi, di per sé, non obbligatoria, è conforme all’esigenza di dare accesso a ulteriori argomentazioni rilevanti ai fini del decidere (da ultimo, sentenze numeri 60, 59, 58, 57, 56, 51, 50 e 49 del 2022), «in un procedimento, come quello in questione, teso a far valere i limiti obiettivi di ammissibilità del referendum risultanti dalla Costituzione, e non a giudicare su posizioni soggettive di parte» (sentenza n. 31 del 2000).

3.– Occorre, inoltre, precisare che l’oggetto della richiesta referendaria è costituito da alcuni frammenti delle disposizioni di cui agli artt. 19 e 21 del d.lgs. n. 81 del 2015, che agevolano, al ricorrere di certe condizioni, l’impiego dei contratti di lavoro a tempo determinato.

Le indicate previsioni, infatti, consentono la stipulazione di tali contratti: in assenza di qualsiasi causale giustificativa, nel caso di durata del rapporto di lavoro inferiore a dodici mesi (o anche di proroga o di rinnovo non oltre tale termine); nel caso di durata superiore a dodici mesi, ma compresa nel termine di ventiquattro mesi già previsto, anche per «esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti», «nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 31 dicembre 2024» (termine prorogato al 31 dicembre 2025 dall’art. 14, comma 3, del decreto-legge 27 dicembre 2024, n. 202, recante «Disposizioni urgenti in materia di termini normativi»), pur in assenza di indicazioni contenute nei contratti collettivi di cui all’art. 51 del medesimo decreto legislativo, vale a dire nei «contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e [ne]i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria».

Ciò, dunque, anche al di fuori dell’ipotesi di «sostituzione di altri lavoratori» prevista dal medesimo art. 19, comma 1, lettera b-bis), del d.lgs. n. 81 del 2015.

Premesso, quindi, che la richiesta abrogativa mira a espungere previsioni che favoriscono il lavoro temporaneo, per accertare più chiaramente la portata e l’incidenza dell’eventuale loro abrogazione sul tessuto normativo vigente, occorre richiamare il contesto in cui esse si collocano.

3.1.– La disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato è stata oggetto di numerosi interventi legislativi, che si sono susseguiti e sovrapposti negli anni, di segno non sempre coerente.

Fin dall’originaria formulazione dell’art. 2097 del codice civile (poi abrogato dall’art. 9 della legge 18 aprile 1962, n. 230, recante «Disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato») si è affermato il principio secondo cui «[i]l contratto di lavoro si reputa a tempo indeterminato, se il termine non risulta dalla specialità del rapporto o da atto scritto».

Questo principio è stato, nella sostanza, confermato nel tempo, dapprima dalla indicata legge n. 230 del 1962, che ha individuato tassativamente i casi, riferiti a situazioni particolari (come la sostituzione temporanea di lavoratori assenti, l’incremento temporaneo dell’attività produttiva) in cui era possibile apporre un termine alla durata del contratto di lavoro, e poi dall’art. 23 della legge 28 febbraio 1987, n. 56 (Norme sull’organizzazione del mercato del lavoro), che ha esteso ai contratti collettivi stipulati con i sindacati nazionali o locali aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative la possibilità di individuare ulteriori ipotesi di ammissibilità del termine.

Successivamente, con il decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 (Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES), si è affermata, in linea con la direttiva europea, la necessità di «ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo», da dover specificare per iscritto ai fini della legittima apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro, in ogni caso mai superiore a trentasei mesi. Con le successive modifiche, si è ulteriormente ribadito che «il contratto di lavoro subordinato è stipulato di regola a tempo indeterminato» (comma 01 dell’art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001, come introdotto dall’art. 1, comma 39, della legge 24 dicembre 2007, n. 247, recante «Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l’equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale»).

Sebbene con formulazione diversa, tale ultima affermazione si rinviene anche nei successivi interventi riformatori in cui, pur nel riconoscimento che «[i]l contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro» (art. 1, comma 01, del d.lgs. n. 368 del 2001, come modificato dall’art. 1, comma 9, lettera a, della legge 28 giugno 2012, n. 92, recante «Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita»; nello stesso senso, art. 1 del d.lgs. n. 81 del 2015), si è, tuttavia, inaugurata la possibilità di stipulare contratti a tempo determinato senza alcuna causale giustificativa. Ciò, dapprima con riguardo ai soli contratti di durata inferiore ai dodici mesi (art. 1, comma 9, lettera b, della legge n. 92 del 2012), poi in riferimento a tutti i contratti di lavoro, purché stipulati entro il termine massimo di trentasei mesi e nel rispetto di specifiche soglie percentuali (art. 23 del d.lgs. n. 81 del 2015).

In seguito, l’indicata “liberalizzazione” dell’uso del contratto di lavoro a termine è stata oggetto di ulteriori interventi.

In particolare, il legislatore si è orientato nel segno di un temperamento di tale uso, con la reintroduzione della previsione dell’obbligo di indicare le specifiche «esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, ovvero [le] esigenze di sostituzione di altri lavoratori», nonché le eventuali «esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria» idonee a giustificare la stipulazione dei contratti di lavoro a tempo determinato di durata superiore a dodici mesi, anche se compresa entro il termine massimo, ridotto a ventiquattro mesi (così l’art. 19 del d.lgs. n. 81 del 2015, come modificato dall’art. 1 del decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87, recante «Disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese», convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2018, n. 96). Previsione, questa, successivamente estesa anche alle ulteriori specifiche esigenze individuate nei contratti collettivi di cui all’art. 51 del d.lgs. n. 81 del 2015.

Ancora, la formulazione degli artt. 19 e 21 del d.lgs. n. 81 del 2015 in tema di apposizione del termine e di durata massima del contratto di lavoro subordinato, nonché di proroghe e rinnovi dello stesso, in cui si collocano le disposizioni di cui si chiede l’abrogazione, ha subìto un ulteriore mutamento per effetto delle modifiche apportate dall’art. 24 del d.l. n. 48 del 2023, come convertito.

Secondo la disciplina attualmente in vigore, la stipulazione (ma anche la proroga o il rinnovo, come stabilito dall’art. 21) di un contratto a tempo determinato è consentita liberamente per una durata massima di dodici mesi, mentre, in caso di durata superiore a dodici mesi, ma comunque compresa entro ventiquattro mesi, è subordinata ad alcune condizioni. Fra di esse: che sia necessaria una «sostituzione di altri lavoratori» (art. 19, comma 1, lettera b-bis, del d.lgs. n. 81 del 2015); che ricorrano i «casi previsti dai contratti collettivi di cui all’articolo 51» (art. 19, comma 1, lettera a, del decreto legislativo citato); infine, che, in assenza delle previsioni dei contratti collettivi di cui all’art. 51 del medesimo decreto legislativo, sussistano «esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti» nei contratti individuali o «nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 31 dicembre 2024» (termine prorogato, come detto al punto 3, al 31 dicembre 2025).

L’esito della richiesta referendaria mira dunque – al contempo – alla riespansione dell’obbligo della causale giustificativa anche per i contratti (e i rapporti) di lavoro di durata inferiore ai dodici mesi, e all’esclusione del potere delle parti di individuare giustificazioni, a fondamento della stipulazione (o della proroga o del rinnovo) di tali contratti, diverse da quelle indicate dalla legge o dai contratti collettivi di lavoro stipulati dai sindacati maggiormente rappresentativi.

4.– Così delineato il contesto normativo di riferimento in cui si inseriscono le disposizioni oggetto della richiesta referendaria, questa Corte è chiamata a giudicarne l’ammissibilità «alla luce, sia dei criteri desumibili dall’art. 75, secondo comma, della Costituzione, sia del complesso dei “valori di ordine costituzionale, riferibili alle strutture od ai temi delle richieste referendarie” (sentenza n. 16 del 1978)» (sentenza n. 60 del 2022). Secondo l’ormai costante giurisprudenza costituzionale, infatti, «[n]on solo […] la richiesta referendaria non può investire le leggi indicate nell’art. 75 Cost. o comunque riconducibili ad esse, ma il quesito da sottoporre al giudizio del corpo elettorale deve consentire una scelta libera e consapevole, richiedendosi che esso presenti i caratteri della chiarezza, dell’omogeneità, dell’univocità, nonché una matrice razionalmente unitaria» (sentenza n. 56 del 2022).

Inoltre, deve anche evitarsi che il referendum abrogativo si trasformi «– insindacabilmente – in un distorto strumento di democrazia rappresentativa, mediante il quale si vengano in sostanza a proporre plebisciti o voti popolari di fiducia, nei confronti di complessive inscindibili scelte politiche dei partiti o dei gruppi organizzati che abbiano assunto e sostenuto le iniziative referendarie» (sentenza n. 16 del 1978, richiamata nella sentenza n. 56 del 2022), trattandosi di «un’ipotesi non ammessa dalla Costituzione, perché il referendum non può “introdurre una nuova statuizione, non ricavabile ex se dall’ordinamento” (sentenza n. 36 del 1997)» (sentenza n. 56 del 2022).

4.1.– Alla luce dei richiamati criteri, la richiesta referendaria in esame è ammissibile.

4.1.1.– Anzitutto, non sussiste alcuna delle cause di inammissibilità indicate nell’art. 75 Cost., o da esso ricavabili in via sistematica. Le disposizioni oggetto del quesito – inerenti alla disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato, in specie con riguardo alle condizioni previste per la sua stipulazione (e anche per le proroghe e i rinnovi) – non sono riconducibili ad alcuna delle tipologie di leggi ivi elencate, neppure a quelle ricavabili in via di interpretazione logico-sistematica.

4.1.2.– Sono inoltre rispettati i requisiti di chiarezza, omogeneità e univocità del quesito, nonché della matrice razionalmente unitaria dello stesso, costantemente ritenuti da questa Corte necessari affinché il corpo elettorale possa esercitare una scelta libera e consapevole.

Le singole parti delle disposizioni oggetto del quesito (artt. 19, commi 1, 1-bis e 4, e 21, comma 01, del d.lgs. n. 81 del 2015, come successivamente modificato) – in virtù dei quali è possibile la stipulazione (o anche la proroga o il rinnovo) di un contratto di lavoro a tempo determinato senza alcuna causale giustificativa per i primi dodici mesi e, nel caso di una durata superiore, anche per «esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva» non riconducibili né alle previsioni della legge, né ai contratti collettivi di lavoro siglati dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale, ma individuate dalle parti nel contratto individuale – sono palesemente avvinte da una eadem ratio, che è quella di favorire il ricorso al contratto di lavoro temporaneo, tramite il ridimensionamento della portata dell’obbligo della causale giustificativa.

L’obiettivo dei sottoscrittori del referendum, desumibile dalla «finalità incorporata nel quesito» (sentenza n. 24 del 2011), vale a dire dalla «finalità obiettivamente ricavabile in base alla sua formulazione e all’incidenza del referendum sul quadro normativo di riferimento» (sentenze n. 59 e n. 50 del 2022, che richiamano la sentenza n. 24 del 2011) risulta, pertanto, chiaro.

L’elettore, in altri termini, è posto dinanzi a un’alternativa secca: da un lato, la riespansione dei vincoli al ricorso al lavoro temporaneo, nella forma della generalizzazione dell’obbligo di giustificazione dell’apposizione del termine al contratto, senza eccezioni con riguardo alla durata del rapporto e in riferimento alle sole ipotesi previste dalla legge o dai contratti collettivi; dall’altro, la conservazione della normativa vigente, che, all’opposto, ne agevola l’impiego.

4.1.3.– Occorre, infine, rilevare che la proposta referendaria, pur utilizzando la tecnica del ritaglio di frammenti normativi, non contraddice la natura abrogativa dell’istituto.

Questa Corte ha già avuto occasione di affermare che l’uso della tecnica del ritaglio non è di per sé causa di inammissibilità della richiesta referendaria, allorquando quest’ultima sia diretta ad «abrogare parzialmente la disciplina stabilita dal legislatore, senza sostituirne una estranea allo stesso contesto normativo […] (sentenze n. 34 del 2000 e n. 36 del 1997)» (sentenza n. 26 del 2011).

Nella specie ricorre questa ipotesi.

Attraverso l’abrogazione dei frammenti di disposizioni – di cui ai commi 1, 1-bis e 4 dell’art. 19 e al comma 01 dell’art. 21 del d.lgs. n. 81 del 2015 – si mira a realizzare un effetto meramente ablatorio delle specifiche previsioni che consentono la stipulazione (nonché la proroga e il rinnovo) del contratto a tempo determinato o senza alcuna causale giustificativa, purché con durata massima di dodici mesi, o con una causale giustificativa individuata dalle parti, entro il 31 dicembre 2025, al di fuori delle ipotesi previste dalla legge e dai contratti collettivi di lavoro stipulati dai sindacati maggiormente rappresentativi a livello nazionale.

In altri termini, la proposta di abrogazione non opera alcuna manipolazione del testo, tale da dar vita a una disciplina «assolutamente diversa ed estranea al contesto normativo» (sentenza n. 38 del 2000), ma si limita a «sottrarre dall’ordinamento un certo contenuto normativo […] affinché esso venga sostituito con quanto sopravvive all’abrogazione, per effetto della “fisiologica espansione delle norme residue” (sentenza n. 36 del 1997)» (sentenza n. 59 del 2022). Norme residue che, in linea con il principio secondo cui «[i]l contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro» (art. 1 del d.lgs. n. 81 del 2015), subordinano, senza eccezioni temporali, la possibilità del ricorso a contratti di lavoro a tempo determinato, nel limite della durata massima di ventiquattro mesi, a una delle specifiche giustificazioni, previste dalla legge o dai contratti collettivi di cui all’art. 51 del d.lgs. n. 81 del 2015.

Ciò, peraltro, in armonia con la disciplina che ha contraddistinto, sin da epoca risalente, come si è ricordato, il lavoro temporaneo.

5.– In definitiva, non ostandovi alcuna ragione di ordine costituzionale, la richiesta di referendum deve essere dichiarata ammissibile.


per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara ammissibile la richiesta di referendum popolare per l’abrogazione del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81 (Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183), limitatamente alle seguenti parti:

– art. 19, comma 1, limitatamente alle parole «non superiore a dodici mesi. Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque», alle parole «in presenza di almeno una delle seguenti condizioni», alle parole «in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 31 dicembre 2024, per esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva individuate dalle parti»; e alle lettere «b-bis)»;

– art. 19, comma 1-bis, limitatamente alle parole «di durata superiore a dodici mesi» e alle parole «dalla data di superamento del termine di dodici mesi»;

– art. 19, comma 4, limitatamente alle parole «, in caso di rinnovo,» e alle parole «solo quando il termine complessivo eccede i dodici mesi»;

– art. 21, comma 01, limitatamente alle parole «liberamente nei primi dodici mesi e, successivamente,»;

richiesta dichiarata conforme a legge, con ordinanza pronunciata il 12 dicembre 2024, dall’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 gennaio 2025.

F.to:

Giovanni AMOROSO, Presidente

Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Redattrice

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 7 febbraio 2025

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA