Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso depositato il 16 marzo 2022 (reg. ric. n. 28 del 2022), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato l’art. 4, comma 10, della legge della Provincia di Bolzano 10 gennaio 2022, n. 1 (Disposizioni collegate alla legge di stabilità provinciale per l’anno 2022), in riferimento all’art. 117, commi secondo, lettera m), e terzo, della Costituzione, nonché agli artt. 4 e 8 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige).
1.1.– Il ricorrente premette che la disposizione impugnata sostituisce integralmente l’art. 94 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 10 luglio 2018, n. 9 (Territorio e paesaggio), relativo agli interventi edilizi eseguiti sulla base di un titolo abilitativo poi annullato.
Per tale caso, detto articolo prevede, al comma 1, che «qualora in base a motivata valutazione non sia possibile la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o il ripristino dello stato dei luoghi, anche in considerazione dell’esigenza di bilanciamento con i contrapposti interessi di salvaguardia delle attività legittimamente espletate, l’autorità preposta alla vigilanza applica una sanzione pecuniaria, tenuto conto del danno urbanistico arrecato dalla trasformazione del territorio. L’ammontare della sanzione pecuniaria varia in ragione della gravità degli abusi da 0,8 a 2,5 volte l’importo del costo di costruzione […]». Se quest’ultimo non è determinabile, la sanzione è calcolata in base all’importo delle opere eseguite.
Il successivo comma 2 aggiunge che «[n]el caso in cui, al momento dell’irrogazione della sanzione pecuniaria di cui al comma 1 o prima del versamento dell’ultima rata di cui al comma 5, le opere eseguite in base al titolo annullato risultino conformi al quadro normativo e alle previsioni urbanistiche a tale momento vigenti, l’autorità preposta alla vigilanza dispone la riduzione della sanzione pecuniaria di cui al comma 1, commisurandola alla durata dell’abuso, e la restituzione senza interessi delle somme eventualmente versate in eccesso […]». In ogni caso, la sanzione ridotta non può essere inferiore a quella prevista dall’art. 95, comma 3, della medesima legge prov. Bolzano n. 9 del 2018 per l’ipotesi di sanatoria di interventi realizzati in assenza o difformità dal titolo abilitativo, pari al contributo sul costo di costruzione in misura doppia.
Il comma 3 prevede poi che «[l’]integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata, anche nella misura ridotta di cui al comma 2, produce i medesimi effetti dell’accertamento di conformità di cui all’articolo 95» della legge prov. Bolzano n. 9 del 2018.
1.2.– Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, la disposizione impugnata, nel disciplinare le sanzioni da applicare ai casi di interventi eseguiti in base ad un titolo abilitativo annullato, contrasterebbe con la normativa dettata dagli artt. 36 e 38 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia. (Testo A)», alterando «in modo sostanziale la ratio sottesa all’impianto sanzionatorio del Testo unico dell’edilizia».
Anzitutto, verrebbe introdotto un criterio valutativo – quello riferito alla «esigenza di bilanciamento con i contrapposti interessi di salvaguardia delle attività legittimamente espletate» – non rinvenibile a livello nazionale, che «di fatto amplia le ipotesi in cui è possibile escludere la riduzione in pristino» rendendo la sanzione reale meramente «residuale» rispetto a quella pecuniaria, in contrasto con quanto stabilito dal legislatore statale con l’art. 38 t.u. edilizia. Inoltre, poiché la corresponsione della sanzione pecuniaria produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria ai sensi di quanto previsto all’art. 94, comma 3, della legge prov. Bolzano n. 9 del 2018, la disposizione provinciale introdurrebbe, secondo il ricorrente, una «ipotesi di sanatoria» estranea al campo applicativo degli artt. 36 e 38 t.u. edilizia.
La norma impugnata differirebbe dalla disciplina statale anche con riguardo alla portata della sanzione pecuniaria, «molto meno afflittiva» rispetto a quella stabilita dal t.u. edilizia, in quanto commisurata al costo di costruzione, anziché al valore venale delle opere abusive.
1.3.– Il ricorrente assume che la Provincia autonoma di Bolzano sia priva di potestà normativa in materia di regime sanzionatorio degli illeciti edilizi, in quanto, in base all’art. 8 dello statuto di autonomia, essa ha competenza legislativa primaria in materia di «urbanistica e piani regolatori» (numero 5), di «edilizia comunque sovvenzionata» (numero 10) e di «edilizia scolastica» (numero 28). Conseguentemente, con riguardo alla materia dell’edilizia, la Provincia autonoma godrebbe della sola competenza legislativa concorrente in tema di governo del territorio di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., soggetta, come tale, al limite dei principi fondamentali della legge statale, cui sono riconducibili gli artt. 36 e 38 t.u. edilizia (sono richiamate, a tal riguardo, le sentenze n. 245 e n. 2 del 2021, n. 125 del 2017, n. 49 del 2016 e n. 309 del 2011 di questa Corte).
1.4.– In ogni caso, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, l’intera disciplina delle sanzioni edilizie atterrebbe alle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica (sono citate le sentenze n. 24 del 2022, n. 198 del 2018, n. 229 del 2017, n. 170 del 2001, n. 477 del 2000 e n. 323 del 1998 di questa Corte), al cui rispetto la Provincia autonoma sarebbe tenuta anche se la si ritenesse dotata di competenza statutaria primaria sulla materia dell’edilizia. Ne seguirebbe, in tal caso, la lesione degli artt. 4 e 8 dello statuto speciale.
1.5.– Ancora, poiché il trattamento sanzionatorio degli illeciti edilizi, in ragione della stretta compenetrazione tra valori ambientali, paesaggistici e di tutela del patrimonio culturale cui la relativa disciplina è connaturata, deve essere uniforme a livello nazionale, la normativa provinciale violerebbe anche l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., in quanto inciderebbe, riducendoli, sui livelli essenziali delle prestazioni, la cui definizione è riservata esclusivamente allo Stato.
1.6.– Infine, il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che, con riguardo al comma 2 dell’art. 94 della legge prov. Bolzano n. 9 del 2018, come introdotto dalla disposizione impugnata, il legislatore provinciale abbia adottato una previsione normativa che sfugge al principio di «doppia conformità urbanistica», espresso dall’art. 36 t.u. edilizia. Nella fattispecie provinciale, si è infatti previsto che la sola conformità al quadro normativo e alle previsioni urbanistiche vigenti al tempo dell’irrogazione della sanzione sia sufficiente a determinare un’ulteriore riduzione della sanzione pecuniaria, di importo minimo corrispondente a quello richiesto a titolo di oblazione per il rilascio del permesso in sanatoria.
2.– Nel giudizio si è costituita la Provincia autonoma di Bolzano, chiedendo che le questioni promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri siano dichiarate inammissibili ovvero non fondate.
2.1.– La difesa resistente evidenzia come «da quasi un ventennio» la Provincia percorra una via legislativa diversa da quella statale in materia di annullamento dei titoli edilizi, in linea con gli ordinamenti tedesco e austriaco, come la solleciterebbe a fare il principio di tutela delle minoranze linguistiche. La disposizione impugnata sarebbe infatti analoga alla norma di cui all’art. 88 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 11 agosto 1997, n. 13 (Legge urbanistica provinciale), poi modificato dall’art. 32, comma 15, della legge della Provincia di Bolzano 8 aprile 2004, n. 1, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione per l’anno finanziario 2004 e per il triennio 2004-2006 e norme legislative collegate (legge finanziaria 2004)» e da ultimo sostituito dall’art. 9, comma 29, della legge della Provincia di Bolzano 10 giugno 2008, n. 4 (Modifiche di leggi provinciali in vari settori e altre disposizioni). L’attuale disciplina sarebbe comunque più severa, atteso che la precedente prevedeva, per i casi di annullamento dell’allora concessione edilizia, la riduzione in pristino solo nelle aree vincolate e la escludeva nelle ipotesi di mera violazione di norme urbanistiche.
In ogni caso – evidenzia più volte la resistente – il legislatore provinciale, anche estendendo la forbice del quantum della sanzione, espressamente ancorata al danno urbanistico effettivamente arrecato dalla trasformazione del territorio, avrebbe inteso «applicare il principio di proporzionalità nella decisione amministrativa che segue l’annullamento di un titolo edilizio, riconoscendo la necessità di salvaguardare le attività legittimamente espletate, necessità da considerare nel giudizio di bilanciamento che deve precedere la determinazione della qualità e della quantità della sanzione».
2.2.– La resistente riconduce quindi la disposizione impugnata alla propria competenza legislativa primaria in materia di «urbanistica e piani regolatori», che incontra il solo limite delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali; competenza fatta salva dall’art. 1 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive) e dall’art. 2 del d.P.R. n. 380 del 2001, che postula l’esercizio della potestà legislativa esclusiva delle regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, nel rispetto degli statuti di autonomia. Purché nel rispetto di detti limiti, il legislatore provinciale sarebbe perciò competente a disciplinare gli illeciti edilizi e le relative sanzioni.
La Provincia autonoma ricorda, inoltre, come, in base alla giurisprudenza costituzionale, la competenza a disciplinare le sanzioni amministrative non configurerebbe una materia autonoma, bensì accederebbe alle materie sostanziali (in tal senso, richiama le sentenze n. 361 del 2003, n. 187, n. 85 e n. 28 del 1996, n. 115 del 1995 e n. 60 del 1993), con conseguente spettanza al legislatore provinciale della disciplina sanzionatoria amministrativa in materia urbanistica.
2.3.– Con specifico riguardo all’art. 38 t.u. edilizia, la Provincia esclude poi che questo esprima una norma fondamentale di riforma economico-sociale, poiché, diversamente da quanto affermato nella sentenza n. 24 del 2022 di questa Corte in riferimento agli artt. 15, 34-bis e 36 del medesimo testo normativo, tale disposizione non sarebbe di «cruciale importanza nella disciplina edilizia», ovvero ai fini di «un ordinato governo del territorio, che non può tollerare difformità tra Regioni». La resistente rileva che la disciplina oggi espressa dal citato art. 38 risale, nella sostanza, all’art. 13 della legge 6 agosto 1967, n. 765 (Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150), sostitutivo dell’art. 41 della legge urbanistica, ed è stata poi modificata con l’art. 15 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme per la edificabilità dei suoli) e con l’art. 11 della legge n. 47 del 1985. Da tale complesso normativo si ricaverebbe che la norma fondamentale vincolante per la legislazione provinciale sia quella per cui, a fronte di una abusività «“sopravvenuta”» (vale a dire, ingenerata dall’annullamento del titolo edilizio), l’amministrazione è tenuta ad applicare una sanzione pecuniaria ove la riduzione in pristino non sia possibile. Spetterebbe, invece, alla Provincia autonoma graduare la sanzione rispetto alla gravità dell’abuso, tenuto conto del danno urbanistico arrecato e del legittimo affidamento riposto sul titolo poi annullato. Tali elementi permetterebbero, perciò, di escludere la riduzione in pristino, non solo ove materialmente impossibile, ma anche a fronte di «lesioni urbanistiche lievi», come previsto dalla disposizione impugnata. In tal modo, aggiunge la Provincia, si invererebbero i principi di proporzionalità e collaborazione, secondo buona fede, con il cittadino, nell’ambito di un territorio segnato da una lievissima incidenza di illeciti edilizi e nel quale, perciò, si tratterebbe solo di salvaguardare «limitatissime situazioni» ingenerate da «incertezze interpretative» e di «scegliere la soluzione economicamente migliore, quella frutto del bilanciamento» oggetto di censura.
2.4.– Infine, ad avviso della resistente, non sarebbero condivisibili neppure le critiche rivolte al comma 2 dell’attuale art. 94 della legge prov. Bolzano n. 9 del 2018, che «costituisce un istituto nuovo, […] a metà strada tra l’annullamento del permesso di costruire e l’accertamento di conformità», volto a permettere di rideterminare in melius la sanzione pecuniaria irrogata nel caso di ius superveniens. Né sarebbe pertinente il richiamo al principio della doppia conformità urbanistica, che attiene agli abusi edilizi originari e non già sopravvenuti a seguito dell’annullamento del titolo illegittimo sul quale si è fondata l’attività edilizia.
3.– Con memoria depositata in data 21 gennaio 2025, il Presidente del Consiglio dei ministri ha insistito per l’accoglimento delle questioni promosse.
Considerato in diritto
1.– Con il ricorso in epigrafe, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 4, comma 10, della legge prov. Bolzano n. 1 del 2022, integralmente sostitutivo dell’art. 94 della legge prov. Bolzano n. 9 del 2018, concernente la disciplina degli interventi edilizi eseguiti in base a un titolo abilitativo poi annullato.
Per tale caso, detto articolo prevede, al comma 1, che qualora non sia possibile la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o il ripristino dello stato dei luoghi, «anche in considerazione dell’esigenza di bilanciamento con i contrapposti interessi di salvaguardia delle attività legittimamente espletate, l’autorità preposta alla vigilanza applica una sanzione pecuniaria, tenuto conto del danno urbanistico arrecato dalla trasformazione del territorio», di ammontare variabile «da 0,8 a 2,5 volte l’importo del costo di costruzione». Il successivo comma 2 consente poi la riduzione della sanzione pecuniaria per l’ipotesi di modifiche normative sopravvenute che rendano i lavori già eseguiti conformi al quadro normativo urbanistico. In ogni caso, la sanzione ridotta non può essere inferiore a quella prevista dall’art. 95, comma 3, della medesima legge provinciale, relativo alla sanatoria di interventi realizzati in assenza o difformità dal titolo abilitativo, ossia di meri abusi formali. L’integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata, anche nella predetta misura ridotta, produce, ai sensi del comma 3 dell’art. 94, i medesimi effetti di sanatoria dell’accertamento di conformità di cui all’art. 95.
1.2.– Ad avviso del ricorrente, la disciplina provinciale altererebbe «in modo sostanziale la ratio sottesa all’impianto sanzionatorio» come delineato dagli artt. 36 e 38 t.u. edilizia. In particolare, l’art. 94, comma 1, sarebbe in contrasto con il citato art. 38, nel prevedere: un ulteriore criterio valutativo – quello riferito alla «esigenza di bilanciamento con i contrapposti interessi di salvaguardia delle attività legittimamente espletate» – che «di fatto amplia le ipotesi in cui è possibile escludere la riduzione in pristino»; una sanzione pecuniaria che, in quanto parametrata al costo di costruzione anziché al valore venale dell’immobile, risulta «molto meno afflittiva» rispetto a quella stabilita a livello nazionale. Inoltre, il comma 2 della medesima disposizione differirebbe dal citato art. 36 nel prevedere la possibilità di un’ulteriore riduzione dell’importo della sanzione nell’ipotesi di sopravvenuta conformità urbanistica dell’opera abusiva.
Non essendo la materia edilizia totalmente riconducibile – secondo quanto sostenuto dalla difesa erariale – alla potestà legislativa primaria della Provincia autonoma, bensì alla potestà concorrente in materia di governo del territorio, di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., la disposizione impugnata sarebbe costituzionalmente illegittima per contrasto con gli artt. 36 e 38 t.u. edilizia, costituenti principi fondamentali della materia.
In ogni caso, rileva il ricorrente, anche ove la Provincia disponesse di potestà legislativa primaria «estesa all’intera materia edilizia», risulterebbero violati gli artt. 4 e 8 dello statuto speciale, poiché tale potestà dovrebbe esercitarsi entro i limiti statutari, che impongono il rispetto delle «norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica», qualificazione spettante anche ai summenzionati artt. 36 e 38.
1.3.– Infine, la normativa provinciale violerebbe anche l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., in quanto inciderebbe, riducendoli, sui livelli essenziali delle prestazioni, la cui definizione è riservata esclusivamente allo Stato.
2.– Preliminarmente, la resistente eccepisce che la normativa censurata risulta analoga alla precedente disciplina, non impugnata, contenuta nella legge urbanistica provinciale n. 13 del 1997. Tale circostanza, tuttavia, non è ostativa all’esame delle questioni promosse dallo Stato nel presente giudizio, data la non operatività dell’istituto dell’acquiescenza nei giudizi in via principale, «atteso che la norma impugnata, anche se riproduttiva, in tutto o in parte, di una norma anteriore non impugnata, ha comunque l’effetto di reiterare la lesione da cui deriva l’interesse a ricorrere» (sentenza n. 56 del 2020; nello stesso senso, da ultimo, sentenza n. 151 del 2024).
3.– L’esame del merito delle censure deve essere preceduto dall’individuazione del titolo di competenza cui ricondurre la disposizione impugnata.
In base all’art. 8, numero 5), dello statuto speciale, la Provincia autonoma di Bolzano è titolare di competenza legislativa primaria nella materia «urbanistica e piani regolatori», la quale deve essere esercitata, ai sensi dell’art. 4 del medesimo statuto, «[i]n armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e con il rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali […] nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica».
È a detta competenza primaria che va ascritta la disciplina in esame che delinea due fattispecie di sanatoria di illeciti edilizi, in linea con quanto già più volte affermato da questa Corte con riguardo ad analoghe normative provinciali (sentenze n. 125 del 2024, n. 209 del 2010 e n. 231 del 1993).
Il riscontro della potestà legislativa primaria nella materia urbanistica e la riconducibilità della disposizione impugnata a tale titolo competenziale rendono dunque inconferente e, pertanto inammissibile (sentenza n. 142 del 2024), la censura di violazione dei princìpi fondamentali nella materia «governo del territorio» di cui all’art. 117, comma terzo, Cost., che attiene al diverso ambito della potestà legislativa concorrente.
3.1.– La potestà legislativa primaria in materia urbanistica abbraccia anche il tema delle sanzioni amministrative, trattandosi di competenza che, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, «non costituisce materia a sé stante, ma “accede alle materie sostanziali” […] alle quali le sanzioni si riferiscono, spettando dunque la loro previsione all’ente “nella cui sfera di competenza rientra la disciplina la cui inosservanza costituisce l’atto sanzionabile» (da ultimo, sentenza n. 19 del 2024).
La Provincia autonoma di Bolzano è dunque legittimata, secondo il principio del parallelismo (sentenza n. 137 del 2019), a prevedere le relative sanzioni, pur sempre entro i limiti cui è soggetta la potestà legislativa primaria, tra cui, come visto, il rispetto delle norme fondamentali di riforma economico-sociale.
4.– Così delineato il perimetro competenziale in cui la disciplina impugnata si inserisce, questa Corte è ora chiamata a verificare la conformità della medesima rispetto alle norme fondamentali di riforma economico-sociale contenute nel t.u. edilizia.
In più occasioni, invero, la giurisprudenza costituzionale ha affermato che la disciplina statale inerente ai titoli abilitativi di cui al t.u. edilizia «deve […] qualificarsi come espressione di norme fondamentali di riforma economico-sociale, in quanto tale condizionante la potestà legislativa primaria delle regioni a statuto speciale» (sentenza n. 147 del 2023), condividendo di queste «“le caratteristiche salienti” che vanno individuate “nel contenuto riformatore e nell’attinenza a settori o beni della vita economico-sociale di rilevante importanza” (sentenza n. 24 del 2022). Esse, d’altro canto, “rispond[o]no complessivamente ad un interesse unitario ed esig[o]no, pertanto, un’attuazione su tutto il territorio nazionale” (sentenza n. 198 del 2018)» (sentenza n. 90 del 2023).
La suddetta qualificazione, tuttavia, «non può essere attribuita, immediatamente ed indistintamente, a tutte le disposizioni di tale decreto legislativo, ma deve essere valutata di volta in volta, alla luce della loro ratio» (sentenza n. 198 del 2018).
4.1.– Tale qualificazione è stata già più volte attribuita da questa Corte all’art. 36 t.u. edilizia, che detta il principio della cosiddetta “doppia conformità” (da ultimo, sentenza n. 125 del 2024).
Esso impone, ai fini della sanatoria delle opere realizzate in assenza del titolo edilizio o in difformità dal medesimo, «l’assoluto rispetto delle relative prescrizioni “durante tutto l’arco temporale compreso tra la realizzazione dell’opera e la presentazione dell’istanza” (da ultimo, sentenze n. 24 del 2022, n. 77 del 2021, n. 68 del 2018 e n. 232 del 2017), con la conseguenza che risultano sanabili i soli abusi formali (opere realizzate in difetto di, o in difformità dal, titolo edilizio), che non arrecano danno urbanistico-edilizio (sentenza n. 165 del 2022)» (sentenza n. 93 del 2023; più di recente, nello stesso senso, sentenza n. 125 del 2024).
Proprio in ragione della rilevanza degli interessi tutelati dall’art. 36 t.u. edilizia, questa Corte ha ritenuto che tale disposizione «mira ad assicurare sull’intero territorio nazionale l’uniformità dei requisiti e delle condizioni in base alle quali possono essere ricondotti a legittimità gli abusi edilizi: ciò, a tutela dell’effettività della disciplina urbanistica ed edilizia e, quindi, indipendentemente dalla concreta estensione del fenomeno dell’abusivismo nei singoli contesti territoriali. Pertanto, non può assumere alcun rilievo, ai fini della concreta applicazione del requisito della cosiddetta “doppia conformità”, il fatto che, nel territorio provinciale, l’abusivismo edilizio sarebbe di dimensioni “contenute”, soprattutto se comparato con altre realtà regionali» (ancora, sentenza n. 125 del 2024).
Si è quindi affermato che il principio della doppia conformità, «“nel delimitare presupposti e limiti della sanatoria, riveste importanza cruciale nella disciplina edilizia e, in quanto riconducibile alle norme fondamentali di riforma economico-sociale”, vincola anche la potestà legislativa di regioni ad autonomia speciale a cui sia riconosciuta, a livello statutario, una competenza primaria in materia urbanistica (sentenza n. 24 del 2022; nello stesso senso, sentenza n. 232 del 2017)» (ancora, sentenza n. 125 del 2024).
4.2.– Quanto all’art. 38 t.u. edilizia, anch’esso partecipa della medesima natura di norma fondamentale di riforma economico-sociale giacché, al pari dell’art. 36, introduce un contenuto riformatore diretto ad incidere nella vita della comunità giuridica nazionale, con riferimento ad un settore – quello della sanatoria degli abusi edilizi – la cui disciplina mira a proteggere interessi di primaria importanza e di segno complessivamente unitario (in quanto correlati al governo del territorio e alla tutela del paesaggio e dell’ambiente), con conseguente necessità di attuazione uniforme su tutto il territorio nazionale.
La disposizione in esame detta infatti il regime sanzionatorio dei cosiddetti “abusi edilizi sopravvenuti” – ossia realizzati in conformità a un titolo edilizio originariamente rilasciato dall’amministrazione (o formatosi ai sensi di legge), ma in seguito annullato –, prevedendo in particolare che, qualora non sia possibile procedere alla «rimozione dei vizi delle procedure» o alla «restituzione in pristino», l’amministrazione, in base a motivata valutazione, applichi, in luogo della demolizione, «una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite» (cosiddetta “fiscalizzazione dell’abuso”).
Questo particolare meccanismo di ripristino della legalità violata, che consente a determinate condizioni di irrogare una sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria, risulta ispirato ad una logica di minor rigore anche in considerazione dell’affidamento del privato sulla bontà di un titolo, poi rivelatosi illegittimo e quindi annullato. La peculiarità del trattamento sanzionatorio si giustifica, infatti, prima di tutto in ragione della differenza di animus tra colui che realizza un’opera conforme a un titolo edilizio rivelatosi poi invalido e colui che viola scientemente la disciplina vigente, realizzando fin dall’origine un’opera abusiva.
Attraverso detto meccanismo, il legislatore statale ha quindi individuato un ben preciso punto di equilibrio tra interessi antagonisti: ossia, da una parte, quello del costruttore che abbia legittimamente confidato nella regolarità dell’intervento realizzato in conformità al titolo abilitativo ottenuto; dall’altra, l’interesse pubblico al corretto sviluppo urbanistico ed edilizio, nonché quello dell’eventuale terzo danneggiato dalla realizzazione dell’opera abusiva. Composizione di opposti interessi che nell’ottica del t.u. edilizia è realizzata «per il tramite di una “compensazione” monetaria di valore pari “al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite”» (Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenza 7 settembre 2020, n. 17), il cui pagamento integrale produce ex lege i medesimi effetti sananti del permesso di costruire in sanatoria di cui all’art. 36 t.u. edilizia.
«Proprio perché costituente eccezionale deroga al principio di necessaria repressione a mezzo demolizione degli abusi edilizi» (Cons. Stato, ad. plen., n. 17 del 2020), l’art. 38 t.u. edilizia subordina, però, la fiscalizzazione dell’abuso al ricorrere di determinate condizioni che l’amministrazione deve puntualmente accertare ed esplicitare sulla scorta di una motivata valutazione. In particolare, la disciplina statale, sul presupposto dell’intervenuto annullamento (giudiziale o amministrativo) del titolo edilizio, richiede: i) l’impossibilità di procedere alla rimozione di vizi delle procedure amministrative; ii) l’impossibilità di procedere alla restituzione in pristino dell’opera abusiva.
Quanto alla prima condizione, consolidata giurisprudenza amministrativa ritiene che i vizi cui fa riferimento l’art. 38 t.u. edilizia siano esclusivamente quelli che riguardano forma e procedura che, alla luce di una valutazione in concreto operata dall’amministrazione, risultino di impossibile convalida (in tal senso, ancora Cons. Stato, ad. plen., n. 17 del 2020 e giurisprudenza successiva).
Questa Corte ha peraltro già avallato detta interpretazione, giudicando della legittimità costituzionale di una norma provinciale di interpretazione autentica della previgente disposizione di cui all’art. 88 della legge prov. Bolzano n. 13 del 1997, tesa ad estendere la fiscalizzazione ai vizi sostanziali. Nella sentenza n. 209 del 2010, si è infatti evidenziato come «l’espressione “vizi delle procedure amministrative” non si presta ad una molteplicità di significati, tale da abbracciare i “vizi sostanziali”, che esprimono invece un concetto ben distinto da quello di vizi procedurali e non in quest’ultimo potenzialmente contenuto, con la conseguenza di escludere la sanatoria nelle ipotesi di violazioni diverse da quelle formali-procedurali».
Con riguardo alla seconda condizione, per giurisprudenza amministrativa maggioritaria (ex multis, di recente, Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 11 novembre 2024, n. 9004) l’impossibilità di riduzione in pristino è da intendere in una accezione squisitamente tecnico-costruttiva, dovendo quindi risultare impraticabile «alla luce di una valutazione tecnica e non di una ponderazione dei vari interessi in gioco, fra cui l’affidamento del privato nella legittimità delle opere» (Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione quinta-ter, sentenza 16 aprile 2024, n. 7506).
Nella trama dell’art. 38 t.u. edilizia, quindi, entrambe le condizioni che presidiano la possibilità di compensazione monetaria, così come l’individuazione dell’oggetto di tale compensazione nel valore venale dell’opera abusiva altrimenti da demolire, costituiscono elementi determinanti di quel punto di equilibrio tra opposti interessi, che il legislatore statale ha ritenuto essenziale per un ordinato governo del territorio.
4.3.– Nell’impianto sanzionatorio del t.u. edilizia, gli artt. 36 e 38 devono dunque essere letti congiuntamente, non solo perché, per volontà del legislatore, il pagamento integrale della sanzione pecuniaria prevista dalla seconda disposizione ha la medesima efficacia sanante del permesso in sanatoria di cui alla prima, ma soprattutto in quanto espressivi dei medesimi principi.
Entrambe le norme invero, laddove derogano all’ordinaria disciplina di governo del territorio introducendo ipotesi di sanatoria, realizzano un contemperamento di contrapposti interessi incidenti sul territorio, idoneo a garantire la tutela del paesaggio e dell’ambiente, di primaria importanza per la vita sociale ed economica. Esse presentano perciò una dimensione nazionale che non può subire differenziazioni regionali, meritando di essere qualificate alla stregua di norme fondamentali di riforma economico-sociale in quanto tali idonee a vincolare la potestà legislativa primaria regionale e provinciale (in senso analogo, sentenza n. 118 del 2019).
5.– In tale ottica, la nozione di impossibilità di ripristino (nella sua accezione tecnica, secondo la giurisprudenza amministrativa consolidata) e la commisurazione della sanzione al valore venale dell’opera abusivamente eseguita costituiscono criteri fondamentali delineati dall’art. 38 t.u. edilizia. Al legislatore provinciale non è dato pertanto introdurre elementi valutativi ulteriori della suddetta impossibilità, né sostituire la misura individuata quale “prezzo” da pagare per mantenere un immobile che andrebbe altrimenti demolito, né, infine, graduare la sanzione in funzione della gravità del danno urbanistico arrecato dalla trasformazione del territorio.
5.1.– L’art. 94 della legge prov. Bolzano n. 9 del 2018, come sostituito dalla disposizione impugnata, viola, invece, sotto plurimi profili, i tratteggiati principi che sorreggono il disegno riformatore del legislatore statale.
Innanzitutto, il comma 1, richiedendo di tenere in considerazione l’esigenza di bilanciamento con i contrapposti interessi di salvaguardia delle attività legittimamente espletate, introduce nuovi elementi valutativi, così in sostanza ammettendo che l’amministrazione possa operare, in sede di individuazione della sanzione (reale o pecuniaria), una nuova ponderazione con l’esigenza di tutela dell’affidamento del privato sulla bontà del titolo edilizio, fino a consentire addirittura di escludere del tutto la riduzione in pristino a fronte di lesioni urbanistiche lievi. Ma, come si è detto, una tale esigenza è estranea alla dinamica interna del citato art. 38 t.u. edilizia, essendo già stata presa in considerazione a monte dal legislatore statale nella definizione della stessa fattispecie e potendo semmai ulteriormente rilevare, a valle, solo in sede di azione risarcitoria del privato nei confronti dell’amministrazione.
Inoltre, la medesima disposizione provinciale nel riferirsi al costo di costruzione dell’opera anziché al suo valore venale, va ad incidere su un elemento essenziale della stessa fattispecie sanante, il cui effetto si produce, appunto, solo con l’integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata. La determinazione di quest’ultima, dunque, non è affatto “indifferente” rispetto alla cornice dei limiti alla potestà legislativa primaria della Provincia autonoma di Bolzano. Ciò tanto più alla luce del fatto che il legislatore provinciale introduce altresì un ancora più eccentrico (per quanto appena detto) meccanismo di graduazione della sanzione medesima (da 0,8 a 2,5 volte l’importo del costo di costruzione), in funzione della gravità del danno urbanistico arrecato dalla trasformazione del territorio.
Infine, il comma 2 dell’art. 94, là dove consente la riduzione della sanzione pecuniaria (fino ad un importo che può essere nel suo limite minimo pari a quello previsto per l’oblazione per il permesso in sanatoria) in considerazione della sola sopravvenuta conformità urbanistica dell’opera – evidentemente abusiva per vizio sostanziale –, sortisce l’effetto di reintrodurre quella «sorta di condono amministrativo affidato alla valutazione dell’amministrazione» che prescinde dal requisito della doppia conformità ex art. 36 t.u. edilizia e che l’Adunanza Plenaria con la sentenza n. 17 del 2020 ha voluto scongiurare.
5.2.– Deve quindi essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 10, della legge prov. Bolzano n. 1 del 2022, per violazione degli artt. 4 e 8 dello statuto speciale.
6.– Resta assorbita l’ulteriore censura formulata con riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.