Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 22 febbraio 2024, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Vicenza ha sollevato, con riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 8-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), «nella parte in cui prevede il medesimo trattamento sanzionatorio sia per il delitto di utilizzo di documenti contraffatti o alterati, sia per quelli di contraffazione o alterazione di documenti descritti nella stessa norma, e non invece trattamenti sanzionatori differenziati, non prevedendo in particolare che la pena edittale per il delitto di utilizzo di documenti contraffatti o alterati sia determinata riducendo di un terzo la pena prevista per le condotte di contraffazione o alterazione dei documenti medesimi, analogamente a quanto disposto dall’art. 489 c.p.».
1.1.– Il rimettente espone di dover statuire, con rito abbreviato, sulla responsabilità penale di O. E., imputato del delitto previsto dalla disposizione censurata per avere utilizzato, inviandolo all’Ufficio immigrazione della Questura di Vicenza, un certificato di conoscenza della lingua italiana apparentemente a lui rilasciato dall’Università di Perugia, poi risultato contraffatto in quanto rilasciato in realtà ad altro soggetto; e ciò al fine di ottenere il rilascio del permesso di soggiorno per cittadini di altro Stato membro dell’Unione europea soggiornanti di lungo periodo.
Tuttavia, il giudice a quo – su eccezione della difesa dell’imputato – dubita della legittimità costituzionale della pena edittale prevista dalla disposizione censurata.
1.2.– Un primo profilo di censura concerne l’intrinseca irragionevolezza dell’equiparazione sanzionatoria tra le condotte di contraffazione o alterazione di documenti e quelle consistenti nel mero uso di tali documenti, tutte punite con l’unico compasso edittale da uno a sei anni di reclusione.
Ad avviso del rimettente, le due tipologie di condotte presupporrebbero «modalità esecutive e coefficiente psicologico affatto diversi, a loro volta indicativi di una diversa attitudine del soggetto attivo di porsi in contrasto con l’ordinamento: capacità tecnica, abilità manuale, destinazione di risorse materiali e di tempo alla realizzazione dell’illecito da una parte, mera ricezione ed utilizzo dell’atto contraffatto dall’altra».
Inoltre, mentre le condotte di confezionamento dell’atto contraffatto o alterato «non di rado» poggerebbero «sull’inserimento del soggetto attivo in un circuito dal quale provengono i supporti documentali e gli strumenti necessari alla realizzazione del falso», la condotta di uso dell’atto falso sarebbe «azione unisussistente del soggetto beneficiato dalla contraffazione».
Da tali considerazioni discenderebbe il contrasto tanto con l’art. 3 Cost., quanto con il principio di proporzionalità della pena desumibile dall’art. 27 Cost.
1.3.– In secondo luogo, sarebbe irragionevole la disparità di trattamento sanzionatorio tra le condotte descritte dalla disposizione censurata e quelle di falsità documentale previste dal codice penale. Rispetto a queste ultime, l’art. 489 del codice penale dispone la riduzione di un terzo della pena prevista per i delitti di falsità materiale commessi dai privati in favore di chi, senza essere concorso nella falsità, faccia semplicemente uso di un atto falso. La disposizione censurata, che pure contempla una pena sensibilmente più grave di quella stabilita per le comuni fattispecie di falso, non terrebbe adeguato conto della differenza di disvalore tra le due tipologie di aggressione.
1.4.– Quanto infine alla rilevanza delle questioni, il rimettente osserva che essa «discende dalla richiesta formulata dall’imputato di ammissione al rito abbreviato, formulata nel corso dell’udienza preliminare dopo una prima richiesta di messa alla prova che non prendeva avvio a seguito della mancata produzione all’UEPE della documentazione richiesta per l’elaborazione del programma di trattamento».
Dovendo a questo punto il giudice a quo provvedere a determinare la pena da applicare all’imputato, sarebbe necessario chiarire se l’attuale cornice edittale unitaria sia compatibile con i parametri costituzionali evocati.
2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate manifestamente inammissibili o, comunque, infondate.
2.1.– La manifesta inammissibilità deriverebbe dalla natura «prematura, ipotetica ed eventuale» delle questioni, ciò che ne determinerebbe il difetto di rilevanza. Il rimettente non avrebbe infatti chiarito se la richiesta di giudizio abbreviato sia stata effettivamente accolta. Inoltre, egli non avrebbe escluso espressamente, come avrebbe dovuto, la sussistenza di cause di non punibilità ai sensi dell’art. 129 del codice di procedura penale.
2.2.– Quanto al merito, premesso che la disposizione censurata avrebbe natura speciale rispetto a quelle codicistiche che configurano i reati di falsità documentale, essendo posta a tutela – oltre che della pubblica fede – della «regolarità degli ingressi di soggiorno», l’interveniente nega che la fabbricazione o alterazione di documenti falsi sia in via generale più grave rispetto alla condotta di chi semplicemente utilizzi tali documenti. Ciò sarebbe attestato dalla natura plurioffensiva del reato previsto dalla disposizione in esame, a fronte della natura monoffensiva di quelli stabiliti dalle disposizioni assunte a tertia comparationis; il che escluderebbe «alcuna manifesta sproporzione della scelta sanzionatoria massima o minima», così come «una manifesta sproporzione rispetto alla gravità oggettiva e soggettiva del reato considerato anche in relazione alle altre ipotesi delittuose contemplate dalla norma denunziata».
Né sarebbe sussistente alcuna irragionevole disparità di trattamento rispetto ai comuni reati di falso previsti dal codice penale, i quali costituirebbero tertia comparationis disomogenei, «solo parzialmente coincidenti nella tutela del bene giuridico protetto». La specialità dell’oggetto di tutela della disposizione censurata legittimerebbe «aspetti differenziali nella costruzione della fattispecie penale e del trattamento sanzionatorio rispetto ai reati comuni, seppur commessi con analoghe condotte materiali».
Manifestamente infondato sarebbe, infine, il richiamo all’art. 27 Cost., non avendo il rimettente chiarito, «se non in modo apodittico e di principio, per quale specifica ragione la pena prevista sia tale da violare» la garanzia costituzionale in parola.
3.– Si è costituito in giudizio l’imputato nel giudizio a quo tramite il proprio difensore, chiedendo che le questioni sollevate siano dichiarate fondate.
3.1.– La parte osserva, anzitutto, che questioni identiche a quelle ora all’esame erano state sollevate dallo stesso giudice nell’ambito del medesimo procedimento, e che questa Corte aveva, con l’ordinanza n. 72 del 2023, restituito gli atti al giudice rimettente per una nuova valutazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza delle questioni stesse. Le questioni erano state all’epoca prospettate con riferimento all’effetto preclusivo, determinato dalla cornice edittale stabilita dalla disposizione censurata, rispetto alla richiesta di ammissione alla messa alla prova formulata dall’imputato.
La preclusione era venuta meno in seguito alle modifiche normative operate dall’art. 32, comma 1, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari). Tuttavia, avendo la difesa dell’imputato rinunciato nel processo a quo alla propria precedente richiesta di sospensione del processo con messa alla prova, la questione sarebbe ora rilevante, dal momento che il giudice dovrebbe fare applicazione della disposizione censurata nel giudizio abbreviato, richiesto nel frattempo dall’imputato.
3.2.– Nel merito, richiamata diffusamente la giurisprudenza di questa Corte relativa al controllo sulla legittimità costituzionale delle cornici edittali, la parte riconosce anzitutto che la previsione, da parte del testo unico sull’immigrazione, di ipotesi di reato speciali caratterizzate da un trattamento sanzionatorio più severo rispetto alle corrispondenti fattispecie generali non pare «esorbitare dai legittimi confini della discrezionalità politica consentita al Legislatore», in relazione alla loro ratio di tutela del bene giuridico della «gestione dei flussi migratori» e dell’«interesse dello Stato alla regolarità degli ingressi».
Tuttavia, l’offensività astratta delle diverse ipotesi di reato contemplate dalla disposizione censurata sarebbe «assolutamente differenziata», risultando in particolare ingiustificata l’assimilazione, sul piano sanzionatorio, del disvalore proprio delle condotte (a) «di chi produce un titolo di soggiorno falso (e, cioè, un atto pubblico)», (b) «di chi produce un documento falso finalizzato all’ottenimento del titolo (nella maggior parte dei casi un certificato, se non addirittura una scrittura privata)», e (c) «di chi si limita a farne uso senza essere concorso nella falsità». Il disvalore di ciascuna di tali ipotesi sarebbe diverso, perché «diversa è la progressione criminosa delle condotte; diversa è la connotazione organizzativa che interessa la produzione del falso rispetto al suo mero utilizzo (e, dunque, al maggiore allarme sociale della prima rispetto al secondo); diverso è il grado di lesione della fede pubblica».
L’equiparazione ai fini sanzionatori delle tre condotte condurrebbe, allora, a due distinti profili di illegittimità costituzionale della disciplina censurata.
In primo luogo, essa contrasterebbe con l’art. 3 Cost., sotto il profilo della irragionevolezza («tanto intrinseca quanto estrinseca») della disposizione, nella misura in cui non prevede una «graduazione sanzionatoria alle tre fattispecie tipiche». Ciò si tradurrebbe in un vulnus al principio di uguaglianza, per effetto della previsione di un trattamento uguale, senza giustificazione per situazioni diverse, nonché rispetto ai tertia comparationis individuati dall’ordinanza di rimessione – le disposizioni codicistiche in materia di delitti di falso – che, invece, prevederebbero «un trattamento sanzionatorio progressivo e proporzionato rispetto alle singole condotte». La disparità di trattamento rispetto ai tertia finirebbe, allora, per determinare una inaccettabile differenziazione tra «cittadini rei di delitti contro la fede pubblica per ogni tipo di atto, che possono beneficiare della graduazione punitiva proporzionata al fatto prevista dal codice» e «stranieri rei di falso materiale o utilizzo di atto falso per i titoli di soggiorno, cui detta graduazione è preclusa».
Né varrebbe a sanare tali vulnera il richiamo all’ampia discrezionalità di cui il legislatore dispone in materia di politica sanzionatoria, dal momento che nel caso all’esame sussisterebbe una situazione di manifesta illogicità delle scelte del legislatore stesso, che avrebbe individuato tre distinte fattispecie astratte contrassegnate da diverso disvalore, omettendo però di determinare le pene in misura proporzionale alla loro diversa gravità.
Né, ancora, l’equiparazione sanzionatoria in esame potrebbe essere giustificata in relazione alla natura plurioffensiva dei delitti previsti dalla disciplina censurata, giacché anche i comuni delitti di falso tutelerebbero beni giuridici “finali” diversi dal bene – “strumentale” o “intermedio” – della fede pubblica; ciò che assicurerebbe l’idoneità di tali reati a essere assunti come altrettanti tertia comparationis.
In secondo luogo, la mancata considerazione della gradualità criminosa insita nelle fattispecie descritte dalla disposizione censurata vulnererebbe la finalità rieducativa della pena di cui all’art. 27 Cost.
4.– In prossimità dell’udienza, la parte ha depositato memoria illustrativa, nella quale ha replicato alle argomentazioni dell’Avvocatura generale dello Stato, insistendo per l’accoglimento delle questioni sollevate.
In particolare quanto all’eccezione di irrilevanza delle questioni per il loro carattere prematuro, ipotetico ed eventuale, la parte osserva che il giudizio abbreviato sarebbe stato ritualmente ammesso su sua richiesta, come risulterebbe dal verbale dell’udienza anteriore a quella in cui è stata pronunciata l’ordinanza di rimessione degli atti a questa Corte, oltre che dallo stesso atto di promovimento (in cui il giudice a quo afferma di dover sollevare le questioni di legittimità costituzionale «[p]rima di assumere la decisione»: espressione che dovrebbe intendersi come riferita alla decisione sul merito del processo).
Né meriterebbe accoglimento l’eccezione secondo cui il rimettente non avrebbe dato conto della insussistenza delle cause di non punibilità previste dall’art. 129 cod. proc. pen., eccezione che sottintenderebbe un obbligo del giudice di manifestare il proprio convincimento, in violazione dell’art. 37 cod. proc. pen., sui fatti oggetto dell’imputazione prima di poter sollevare una questione di legittimità costituzionale sulle previsioni in punto di trattamento sanzionatorio per il reato contestato all’imputato. La giurisprudenza di questa Corte, d’altra parte, avrebbe più volte affermato che, ai fini della rilevanza di una siffatta questione di legittimità costituzionale, sarebbe sufficiente la circostanza che il giudice a quo sia chiamato a fare applicazione della norma incriminatrice la cui violazione è contestata nel capo di imputazione (sono citate le sentenze n. 63 del 2022 e n. 236 del 2016).
Considerato in diritto
1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il GUP del Tribunale di Vicenza ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 8-bis, t.u. immigrazione, «nella parte in cui prevede il medesimo trattamento sanzionatorio sia per il delitto di utilizzo di documenti contraffatti o alterati, sia per quelli di contraffazione o alterazione di documenti descritti nella stessa norma, e non invece trattamenti sanzionatori differenziati, non prevedendo in particolare che la pena edittale per il delitto di utilizzo di documenti contraffatti o alterati sia determinata riducendo di un terzo la pena prevista per le condotte di contraffazione o alterazione dei documenti medesimi, analogamente a quanto disposto dall’art. 489 c.p.».
L’art. 5, comma 8-bis, primo periodo, t.u. immigrazione, nella versione applicabile nel processo a quo, recita: «[c]hiunque contraffà o altera un visto di ingresso o reingresso, un permesso di soggiorno, un contratto di soggiorno o una carta di soggiorno, ovvero contraffà o altera documenti al fine di determinare il rilascio di un visto di ingresso o di reingresso, di un permesso di soggiorno, di un contratto di soggiorno o di una carta di soggiorno oppure utilizza uno di tali documenti contraffatti o alterati, è punito con la reclusione da uno a sei anni».
Il rimettente deve giudicare, con rito abbreviato, della responsabilità penale dell’imputato per il delitto previsto da tale disposizione, della cui compatibilità con gli artt. 3 e 27 Cost. dubita sulla base di un duplice ordine di argomenti.
Da un lato, la previsione, da parte del legislatore, di un’unica e indifferenziata cornice sanzionatoria per fattispecie che già in astratto sono caratterizzate da un diverso disvalore sarebbe incompatibile con il principio di uguaglianza, sotto il profilo dell’irragionevole eguale trattamento di situazioni differenziate.
Dall’altro, la mancata previsione di una diminuzione di pena per la fattispecie di mero uso di un documento contraffatto o alterato, da parte di chi non sia concorso nella contraffazione o nell’alterazione, creerebbe una irragionevole disparità di trattamento rispetto alla disciplina sanzionatoria dei reati comuni di falso contenuta nel codice penale; disciplina che prevede per le fattispecie di mero uso del documento contraffatto o alterato, ai sensi dell’art. 489 cod. pen., la riduzione di un terzo della pena rispetto ai delitti di falsità materiale contemplati dagli articoli precedenti.
Da ciascuno di tali profili discenderebbe altresì la violazione del principio di proporzionalità della pena, fondato sugli artt. 3 e 27 Cost., in quanto il giudice si troverebbe costretto a commisurare la pena all’interno di un unitario compasso edittale, senza poter tenere conto del diverso disvalore della condotta di mero utilizzo rispetto a quelle di contraffazione o di alterazione del documento.
2.– Preliminarmente, occorre osservare che la disposizione censurata – rispetto alla formulazione in vigore al momento del fatto contestato all’imputato – è stata modificata dall’art. 16, comma 1, lettera b), numero 2), della legge 23 dicembre 2021, n. 238 (Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea – Legge europea 2019-2020) e dall’art. 18, comma 1, lettera b), del decreto-legge 13 giugno 2023, n. 69 (Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi derivanti da atti dell’Unione europea e da procedure di infrazione e pre-infrazione pendenti nei confronti dello Stato italiano), convertito, con modificazioni, nella legge 10 agosto 2023, n. 103.
Tali modifiche hanno progressivamente aggiunto nuove tipologie di documenti al già nutrito elenco contenuto nella disposizione in vigore al momento del fatto addebitato all’imputato, risalente al luglio 2019. Tuttavia, trattandosi di modifiche estensive della punibilità, esse certamente non potrebbero trovare applicazione nel processo a quo; e comunque non hanno inciso sul trattamento sanzionatorio previsto dalla disposizione censurata, che costituisce unico oggetto delle questioni sottoposte a questa Corte.
Deve, pertanto, escludersi che sia necessaria la restituzione degli atti al giudice a quo per una nuova valutazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza delle questioni alla luce dello ius superveniens.
3.– L’Avvocatura generale dello Stato eccepisce l’irrilevanza delle questioni in quanto premature, ipotetiche ed eventuali, non avendo il giudice a quo chiarito se la richiesta di giudizio abbreviato sia stata effettivamente accolta. Inoltre, il rimettente avrebbe omesso di valutare l’eventuale sussistenza di cause di non punibilità ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.
L’eccezione non è fondata.
3.1.– Nel motivare la rilevanza delle questioni, il rimettente dà conto espressamente della «richiesta formulata dall’imputato di ammissione al rito abbreviato»: richiesta che il giudice dell’udienza preliminare, in presenza delle condizioni stabilite dall’art. 438, commi 2 e 3, cod. proc. pen., è tenuto ad accogliere, salvo che ricorrano le eccezioni stabilite tassativamente dallo stesso art. 438, commi 1-bis e 5, cod. proc. pen.
Lo stesso giudice a quo afferma, poche righe più innanzi, di reputare necessario – «[p]rima di assumere la decisione» – sollevare questioni di legittimità costituzionale sulla disposizione che egli sarebbe tenuto ad applicare: con evidente riferimento, come giustamente sottolineato dalla parte, alla «decisione» dello stesso giudizio abbreviato. Giudizio, peraltro, che il rimettente risulta avere effettivamente disposto con ordinanza pronunciata all’udienza dell’11 gennaio 2024, come da verbale presente nel fascicolo d’ufficio.
Il rimettente si trova, dunque, a giudicare con rito abbreviato della responsabilità penale dell’imputato per il reato contestato: e pertanto ad applicare nel processo la disposizione penale della cui compatibilità con la Costituzione dubita.
3.2.– Deve, per altro verso, escludersi che, nel sollevare una questione sulla legittimità costituzionale della cornice sanzionatoria prevista del legislatore, il giudice penale sia tenuto a fornire una motivazione puntuale di tutti gli elementi dai quali dipende l’an della responsabilità penale dell’imputato, anticipando in questo modo valutazioni che hanno la propria sede naturale nella sentenza che concluderà il processo.
Naturalmente, se il giudice rilevasse sin dall’inizio del processo la sussistenza, ictu oculi, di cause che determinano la non punibilità o la non procedibilità del reato, egli sarebbe tenuto a pronunciare immediatamente sentenza di assoluzione o di proscioglimento ai sensi dell’art. 129, comma 1, cod. proc. pen.: ciò che renderebbe irrilevante una questione di legittimità costituzionale concernente il solo frammento della disposizione incriminatrice concernente il trattamento sanzionatorio, che sarebbe certamente destinato a non trovare applicazione nel caso concreto. Tuttavia, sarebbe eccessivo ritenere che, per dare conto della rilevanza di una simile questione, il giudice a quo sia tenuto a motivare espressamente sull’assenza di cause di non punibilità o non procedibilità rilevabili ai sensi dell’art. 129, comma 1, cod. proc. pen. Il suo (legittimo) silenzio in proposito non può che essere inteso da questa Corte come indicativo del mancato riconoscimento, allo stato, di simili condizioni negative della responsabilità penale dell’imputato.
4.– Nel merito, le questioni non sono fondate.
4.1.– Il rimettente non contesta la scelta legislativa di prevedere un trattamento sanzionatorio più severo, rispetto a quello dei delitti di falso previsti dal codice penale, per le fattispecie di falsità documentale descritte nella disposizione censurata; e la stessa difesa dell’imputato riconosce la compatibilità con i principi costituzionali qui evocati di una simile scelta, connessa alla particolare dimensione offensiva di tali delitti rispetto all’interesse all’ordinata gestione dei flussi migratori, che questa Corte ha già riconosciuto come legittimamente tutelabile dal legislatore penale (sentenze n. 63 del 2022, punto 4.2. del Considerato in diritto, e n. 250 del 2010, punto 6.3. del Considerato in diritto, e ulteriori precedenti ivi citati).
In discussione non è, dunque, una ipotetica (manifesta) sproporzionalità intrinseca della cornice edittale in quanto tale, né – in particolare – il minimo di un anno di reclusione da essa prevista.
Oggetto di censura è, invece, la mancata previsione di una cornice edittale differenziata per le singole fattispecie astratte previste dalla disposizione incriminatrice, e in particolare la mancata previsione di una pena ridotta di un terzo per la fattispecie meno grave, che il rimettente individua in quella di mera utilizzazione del documento da altri contraffatto o alterato. Il rimettente fa discendere da ciò la violazione del principio di uguaglianza, sotto il duplice profilo dell’irragionevole eguale trattamento di situazioni diverse, e dell’irragionevole disparità di trattamento rispetto ai tertia comparationis ricavabili dalla disciplina dei delitti di falsità documentale previsti dal codice penale.
4.2.– In merito al primo profilo di censura, occorre anzitutto rammentare che, effettivamente, la giurisprudenza di questa Corte ritiene vulnerato il principio di uguaglianza in materia di discipline sanzionatorie non solo nelle ipotesi di irragionevoli disparità di trattamento tra situazioni simili, ma anche nel caso di irragionevoli equiparazioni di trattamento tra situazioni tra loro dissimili (sentenze n. 197 del 2023, punto 5.5.1. del Considerato in diritto, e n. 26 del 1979, punto 1 del Considerato in diritto, quest’ultima relativa alla previsione, giudicata irragionevole, dell’unica pena dell’ergastolo per l’omicidio consumato e per quello solo tentato contro un superiore militare).
Il vulnus determinato dalla previsione di un’unica cornice edittale per fattispecie astratte di reato dal disvalore marcatamente differenziato, d’altra parte, non può essere considerato sanato dalla particolare ampiezza della cornice stessa, come quella delineata dalla disposizione censurata (che spazia dal minimo di un anno al massimo di sei anni di reclusione). L’argomento, che spesso in passato è stato utilizzato anche da questa Corte (sentenze n. 23 del 2016, punto 2.4. del Considerato in diritto, e n. 250 del 2010, punto 7 del Considerato in diritto), secondo cui spetterebbe al giudice far emergere la differenza di disvalore delle diverse condotte tramite la graduazione della pena tra il minimo e il massimo edittale, trascura in effetti di considerare che dalla previsione di un determinato minimo e, soprattutto, di un determinato massimo edittale dipendono spesso conseguenze, diverse dalla pena, ma parimenti suscettibili di produrre significative ricadute sui diritti fondamentali della persona sottoposta a indagini o imputata: dalla possibilità di fruire dell’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis, primo comma, cod. pen.) o di accedere alla sospensione del processo con messa alla prova (art. 168-bis, primo comma, cod. pen.), alla durata del termine della prescrizione del reato (art. 157, primo comma, cod. pen.), alla possibilità di disporre misure cautelari coercitive e in particolare la custodia cautelare in carcere (art. 280, primo e secondo comma, cod. proc. pen.), alla possibilità di sottoporre l’indagato a intercettazioni telefoniche o ambientali (art. 266, primo e secondo comma, cod. proc. pen.) ovvero ad arresto o fermo (artt. 380, 381 e 384 cod. proc. pen.), e così via.
È dunque essenziale, onde assicurare un’applicazione proporzionata di tutti questi istituti, che la medesima cornice edittale non abbracci fattispecie che, già nella loro configurazione astratta, siano connotate da un disvalore macroscopicamente inferiore rispetto alle altre alle quali trova applicazione la medesima cornice.
4.3.– Tuttavia, questa Corte non è persuasa che la disposizione ora all’esame comprenda fattispecie che, già nella loro dimensione astratta, siano evidentemente connotate da disvalore tanto differente, da rendere necessaria la previsione di diverse cornici edittali.
L’art. 5, comma 8-bis, primo periodo, t.u. immigrazione sottopone all’unica cornice edittale che spazia da uno a sei anni di reclusione tre tipologie di condotte: (a) la contraffazione o alterazione di un titolo di soggiorno o di ingresso; (b) la contraffazione o alterazione di un diverso documento al fine di determinare il rilascio di un documento di soggiorno o di ingresso; nonché (c) l’utilizzazione di uno dei documenti contraffatti o alterati appartenenti alle categorie (a) e (b).
Secondo il rimettente e la difesa della parte, le prime due fattispecie sarebbero necessariamente connotate da un maggiore disvalore rispetto alla condotta di mera utilizzazione del documento, sia perché la falsificazione materiale di un documento presupporrebbe capacità tecniche e risorse materiali che sono normalmente possedute da un’organizzazione criminale piuttosto che da singoli individui – ciò che connoterebbe di maggiore capacità criminale chi si renda responsabile di tali condotte rispetto a chi si limiti a ricevere il documento contraffatto o alterato e a utilizzarlo –; sia perché, in particolare secondo la difesa della parte, le condotte riconducibili alle tre categorie indicate si porrebbero in diverso rapporto di progressione criminosa rispetto al bene giuridico tutelato dell’ordinata gestione dei flussi migratori.
Al primo argomento è, tuttavia, possibile replicare che – rispetto alla specifica tipologia di documenti cui la disposizione censurata si riferisce – l’utilizzazione del documento presuppone, nella generalità dei casi, un previo concorso, quanto meno morale, dell’utilizzatore nella falsificazione del documento stesso, che normalmente contiene i dati identificativi dello straniero: dati che soltanto lo stesso interessato è in grado di comunicare a chi compie la condotta materiale di falsificazione. Di talché non appare irragionevole che il legislatore, muovendo da tale implicito presupposto, abbia ritenuto di sottoporre alla medesima cornice edittale tutte e tre le condotte descritte dalla disposizione censurata, consentendo così alla pubblica accusa di ottenere una condanna sulla base della prova, alternativamente, di una sola di esse.
Quanto poi all’asserito diverso grado di progressione criminosa che connoterebbe le tre fattispecie, è semmai vero il contrario: la condotta di contraffazione o alterazione di un documento al fine di ottenere un permesso di soggiorno costituisce, a ben guardare, condotta preparatoria rispetto a quella di presentazione del documento da parte dell’interessato alle autorità di polizia, essendo proprio quest’ultima condotta (che integra l’ipotesi criminosa di “utilizzazione” prevista dalla disposizione all’esame) a creare un immediato pericolo per il bene giuridico protetto. E ciò in quanto è soltanto mediante tale condotta che si determina la possibilità di rilascio di un titolo di soggiorno in assenza delle condizioni previste dalla legge, con conseguente pregiudizio all’interesse all’ordinata gestione dei flussi migratori, cui la disposizione censurata intende offrire tutela.
4.4.– Neppure sussiste, ad avviso di questa Corte, una violazione del principio di uguaglianza sotto il profilo della disparità di trattamento tra la disposizione censurata e i tertia comparationis evocati dal rimettente, con particolare riferimento alla riduzione di un terzo della pena prevista, per le ipotesi di mero uso dell’atto falso, dall’art. 489 cod. pen.
La peculiare natura dei documenti cui si riferisce la disposizione censurata rende non utilmente invocabile il tertium rappresentato dall’art. 489 cod. pen., su cui fa perno l’argomentazione svolta nell’ordinanza di rimessione, e il suo stesso petitum. Le ragioni che hanno indotto il legislatore del 1930 a prevedere una generale riduzione di pena per chi abbia semplicemente usato l’atto falso, senza essere concorso nella sua falsità, non paiono a questa Corte necessariamente sussistenti anche con riferimento agli speciali documenti cui si riferisce la disposizione censurata, rispetto ai quali, come si è appena osservato, non è agevole ipotizzare, già sul piano fattuale, una loro utilizzazione in assenza di un previo concorso nella loro falsificazione; e rispetto ai quali, comunque, è proprio il momento dell’utilizzazione a creare un immediato pericolo per l’interesse che il legislatore intende tutelare.
4.5.– Dalla non fondatezza delle censure sollevate in riferimento al principio di uguaglianza discende anche la non fondatezza di quelle relative alla funzione rieducativa della pena, del resto svolte dal rimettente in chiave meramente ancillare rispetto alle prime.