REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da:
Presidente: Giovanni AMOROSO; Giudici : Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1-bis, comma 1, del decreto-legge 18 ottobre 2023, n. 145 (Misure urgenti in materia economica e fiscale, in favore degli enti territoriali, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili), convertito, con modificazioni, nella legge 15 dicembre 2023, n. 191, promosso dal Tribunale ordinario di Milano, in funzione di giudice del lavoro, nel procedimento vertente tra L. A. e altri e Ministero dell’economia e delle finanze - Ragioneria territoriale dello Stato di Milano/Monza e Brianza e altri, con ordinanza del 29 maggio 2024, iscritta al n. 134 del registro ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell’anno 2024.
Visti l’atto di costituzione di L. A. e altri, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udita nell’udienza pubblica del 10 dicembre 2024 la Giudice relatrice Antonella Sciarrone Alibrandi;
uditi l’avvocato Domenico Menorello per L. A. e altri e l’avvocato dello Stato Gianni De Bellis per il Presidente del Consiglio dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio dell’11 dicembre 2024.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 29 maggio 2024 (reg. ord. n. 134 del 2024), il Tribunale ordinario di Milano, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1-bis, comma 1, del decreto-legge 18 ottobre 2023, n. 145 (Misure urgenti in materia economica e fiscale, in favore degli enti territoriali, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili), convertito, con modificazioni, nella legge 15 dicembre 2023, n. 191, limitatamente all’inciso «e scomputando, per il personale dell’Ispettorato nazionale del lavoro, dalle somme da riconoscere per l’anno 2022 l’indennità una tantum di cui all’articolo 32-bis del decreto-legge 17 maggio 2022, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2022, n. 91», per contrasto con gli artt. 3 e 39 della Costituzione.
2.– Il rimettente riferisce che L. A. e altri sedici ricorrenti, dipendenti dell’Ispettorato nazionale del lavoro (d’ora innanzi: Ispettorato), hanno chiesto l’accertamento del diritto alla piena equiparazione del trattamento economico rispetto ai dipendenti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con particolare riferimento alla perequazione dell’indennità di amministrazione per questi ultimi operata dall’art. 56 del contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) del personale del comparto Funzioni centrali, sottoscritto il 9 maggio 2022 per il triennio 2019-2021, in forza della previsione di cui all’art. 1, comma 143, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022), e del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 dicembre 2021 (Riparto delle risorse del fondo per la progressiva armonizzazione dei trattamenti economici accessori del personale appartenente alle aree professionali e del personale dirigenziale dei Ministeri). I ricorrenti hanno anche richiesto la condanna del Ministero dell’economia e delle finanze, in quanto ente pagatore, e/o dell’Ispettorato, quale datore di lavoro, al pagamento delle somme dovute a titolo di arretrati per gli anni dal 2020 al 2022, oltre rivalutazione e interessi.
3.– Il giudice a quo, in primo luogo, ricostruisce la normativa concernente l’istituzione dell’Ispettorato, avvenuta in forza dell’art. 1 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 149 (Disposizioni per la razionalizzazione e la semplificazione dell’attività ispettiva in materia di lavoro e legislazione sociale, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183), allo scopo di integrare i servizi ispettivi del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) e dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) in vista della loro razionalizzazione in un’unica struttura, che potesse meglio coordinarsi con i servizi ispettivi delle aziende sanitarie locali e delle agenzie regionali per la protezione ambientale.
Ricorda, quindi, che l’art. 6 del d.lgs. n. 149 del 2015 ha disposto il trasferimento alle dipendenze dell’Ispettorato del personale ispettivo di ruolo già in servizio presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali (comma 6, lettera b), prevedendo altresì l’applicazione al suddetto personale della contrattazione collettiva del comparto Ministeri (comma 1, ultimo periodo).
Non a caso, evidenzia ancora il rimettente, il contratto collettivo nazionale quadro per la definizione dei comparti e delle aree di contrattazione collettiva nazionale, sottoscritto il 3 agosto 2021 per il triennio 2019-2021, prevede espressamente (art. 3) che «[i]l comparto di contrattazione collettiva delle Funzioni Centrali» comprende il personale non dirigente dipendente dall’Ispettorato.
A tale ultima disposizione contrattuale, del resto, rinvia espressamente l’art. 1 del CCNL del personale del comparto Funzioni centrali per il triennio 2019-2021, che non introduce alcuna distinzione – quanto al trattamento economico – tra il personale appartenente all’Ispettorato e i dipendenti di ruolo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Ne deriverebbe la piena applicabilità, anche al personale dell’Ispettorato, dell’art. 56 del contratto collettivo da ultimo citato, il quale fissa i criteri per la corresponsione dell’indennità di amministrazione incrementata all’esito della sua armonizzazione rispetto agli altri dipendenti delle amministrazioni statali, secondo proporzioni indicate dalla Tabella G allegata al medesimo contratto collettivo.
Tale disposizione contrattuale, infatti, avrebbe attuato la finalità perseguita dall’art. 1, comma 143, della legge n. 160 del 2019, che, in un’ottica di progressiva armonizzazione dei trattamenti economici accessori del personale dei ministeri, ha previsto l’istituzione di un apposito fondo, le cui risorse – nella misura del novanta per cento – sono appunto destinate «alla graduale armonizzazione delle indennità di amministrazione del personale appartenente alle aree professionali dei Ministeri al fine di ridurne il differenziale».
L’appena citato art. 1, comma 143, rammenta ancora il giudice a quo, ha poi rimesso a un apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri la ripartizione delle risorse del fondo tra le amministrazioni centrali, anche tenendo conto del suddetto differenziale, nonché la rideterminazione delle indennità di amministrazione, prevedendo le relative coperture finanziarie.
Il rimettente rileva che il d.P.C.m. 23 dicembre 2021, nel dare attuazione alla suddetta previsione di legge, non ha incluso il personale dell’Ispettorato nell’elencazione contenuta nelle allegate Tabelle 1 e 2, di fatto escludendolo dagli incrementi dell’indennità di amministrazione ivi previsti, corrisposti al solo personale di ruolo dei ministeri, a partire dal mese di maggio del 2022, con gli arretrati per le annualità a partire dal 2020.
Di qui, la proposizione dei ricorsi nel giudizio a quo.
Ciò premesso, il rimettente riferisce che, nelle more del giudizio, è entrato in vigore l’art. 1-bis, comma 1, del d.l. n. 145 del 2023, come convertito, il quale, al fine di armonizzare i trattamenti economici accessori anche del «personale delle Aree dell’Ispettorato nazionale del lavoro», ha riconosciuto, per le tre annualità oggetto di causa, l’indennità di amministrazione «tenendo conto degli importi attribuiti per le medesime annualità al personale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali».
A giudizio del rimettente, tuttavia, la materia del contendere deve ritenersi cessata solo relativamente alle annualità 2020 e 2021.
Per l’annualità 2022, infatti, la medesima disposizione di legge ha imposto di scomputare, per il personale dell’Ispettorato, «dalle somme da riconoscere per l’anno 2022», l’indennità una tantum corrisposta ai sensi dell’art. 32-bis del decreto-legge 17 maggio 2022, n. 50 (Misure urgenti in materia di politiche energetiche nazionali, produttività delle imprese e attrazione degli investimenti, nonché in materia di politiche sociali e di crisi ucraina), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2022, n. 91.
Proprio questa porzione normativa si esporrebbe, a parere del giudice a quo, a censure di contrarietà ai parametri costituzionali evocati.
4.– In punto di rilevanza, il giudice a quo ricorda che, già con l’art. 1, commi da 334 a 337, della legge 29 dicembre 2022, n. 197 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025), il legislatore avrebbe sostanzialmente riconosciuto, ai fini della necessaria perequazione dei trattamenti economici accessori, l’equiparazione tra i dipendenti dell’Ispettorato e il personale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, prevedendo che, «a decorrere dall’anno 2023», anche ai primi fosse riconosciuta «l’indennità di amministrazione nelle misure spettanti al personale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali appartenente alle Aree, come rideterminate secondo i criteri stabiliti dal contratto collettivo nazionale di lavoro 2019-2021 – comparto Funzioni centrali».
Per il triennio precedente (2020-2022) avrebbe provveduto, invece, l’art. 1-bis, comma 1, del d.l. n. 145 del 2023, come convertito.
Al pagamento integrale di quanto spettante anche per l’anno 2022, come richiesto dai ricorrenti nel giudizio principale, sarebbe però di ostacolo la disposizione censurata, che impone lo scomputo, proprio dalle somme da corrispondere per l’anno 2022, dell’indennità una tantum di cui all’art. 32-bis del d.l. n. 50 del 2022, come convertito, già corrisposta ai dipendenti dell’Ispettorato.
Solo la declaratoria di fondatezza delle questioni sollevate, dunque, consentirebbe di accogliere integralmente la domanda avanzata in giudizio, non essendo la disposizione censurata «altrimenti interpretabile».
5.– Quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente, richiamando giurisprudenza costituzionale (è citata la sentenza n. 145 del 2022), ricostruisce, in primo luogo, genesi, natura e funzione dell’indennità di amministrazione oggetto di causa, rammentando che essa venne istituita con la prima tornata di contrattazione collettiva successiva all’art. 72 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421).
Ricorda, quindi, che tale indennità costituisce una voce del trattamento accessorio della retribuzione, collegata alla presenza in servizio e commisurata ai compensi mensili percepiti, corrisposta a tutti i dipendenti in misura fissa e per dodici mensilità.
Evidenzia, altresì, che l’art. 32-bis, comma 1, del d.l. n. 50 del 2022, come convertito, ha previsto, in favore dei soli dipendenti dell’Ispettorato e limitatamente all’anno 2022, la corresponsione di una indennità una tantum per una finalità specifica, ossia per «dare riconoscimento all’impegno straordinario richiesto per il contrasto del lavoro sommerso, per la vigilanza sul rispetto della normativa in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro e per l’attuazione delle misure previste nel PNRR».
A giudizio del rimettente, quindi, a differenza dell’indennità di amministrazione, intesa quale voce retributiva, l’indennità una tantum di cui all’art. 32-bis del d.l. n. 50 del 2022, come convertito, sarebbe un emolumento «a carattere straordinario e privo di qualsivoglia caratteristica di periodicità e continuatività» e, in particolare, una voce «di natura indennitaria e/o premiale», in quanto attribuita ai dipendenti dell’Ispettorato per il solo anno 2022 e per la specifica finalità innanzi indicata.
5.1.– Tanto premesso, la disposizione censurata lederebbe innanzitutto l’art. 3 Cost.
5.1.1.– Sotto un primo profilo, il personale dell’Ispettorato si vedrebbe corrispondere, in sede di armonizzazione del trattamento economico spettante per l’anno 2022, un incremento solo parziale dell’indennità di amministrazione.
Inoltre, la “compensazione” imposta dalla disposizione censurata annullerebbe «ex post ogni beneficio economico derivante dalla previsione di cui all’art. 32bis D.L. 50/2022».
L’effetto sarebbe contrario al canone della ragionevolezza, «trattandosi di operazione effettuata su emolumenti aventi natura e funzione affatto diverse».
Infine, il meccanismo disegnato dal legislatore, non sarebbe giustificabile neppure in applicazione del principio di onnicomprensività del trattamento economico dei pubblici dipendenti, posto che lo stesso riguarderebbe gli elementi principali e accessori della retribuzione «in relazione ai compiti rientranti nelle mansioni dell’ufficio ricoperto», non potendo pertanto determinare «l’assorbimento di una voce indennitaria e/o premiale».
5.1.2.– Sotto altra angolatura, il meccanismo di compensazione censurato è sospettato di essere «duplicemente discriminatorio».
In primo luogo, in spregio alla generale finalità di armonizzazione dei trattamenti economici accessori per tutto il personale del comparto Ministeri, tale compensazione sarebbe stata prevista per i trattamenti economici accessori del solo personale dell’Ispettorato, «con evidente trattamento differenziato di posizioni analoghe».
In secondo luogo, il giudice a quo rileva che la disposizione censurata è stata emanata per trovare applicazione «nell’ambito di un contenzioso già instaurato che, in assenza della suddetta previsione, si sarebbe ragionevolmente concluso con l’accoglimento integrale della domanda anche per l’annualità 2022».
5.2.– Per il rimettente, sarebbe leso anche l’art. 39 Cost., essendo ravvisabile una «violazione della riserva di contrattazione in materia di retribuzioni».
Relativamente all’anno 2022, infatti, la disposizione censurata sarebbe destinata a incidere sul trattamento retributivo del personale dell’Ispettorato, la cui determinazione – secondo la giurisprudenza costituzionale richiamata dal rimettente (sono citate le sentenze n. 178 del 2015 e n. 215 del 2012) – sarebbe invece interamente rimessa alla contrattazione collettiva, tenuta a operare esclusivamente nel rispetto del limite della compatibilità con le finanze pubbliche.
Nel caso di specie, inoltre, lo scomputo sarebbe previsto esclusivamente per il personale dell’Ispettorato e «per una sola annualità tra quelle ivi contemplate», con una compensazione che opererebbe «tra emolumenti oggetto di autonomi e separati stanziamenti»: quand’anche si volesse ravvisare una legittima finalità di contenimento della spesa pubblica, residuerebbe comunque la violazione dell’art. 3 Cost., «poiché l’equilibrio finanziario verrebbe garantito con il sacrificio del solo personale» dipendente dall’Ispettorato.
6.– Si sono costituiti i ricorrenti nel giudizio a quo, i quali, dopo aver condiviso le argomentazioni spese dall’ordinanza di rimessione, hanno evidenziato la «perfetta equivalenza circa la disciplina lavoristica applicabile al personale ministeriale e a quello del neo Ispettorato».
Hanno anch’essi illustrato, in termini sovrapponibili alla ricostruzione offerta dal rimettente, le vicende normative della “armonizzazione” dell’indennità di amministrazione disposta dall’art. 1, commi 143 e 144, della legge n. 160 del 2019, al fine di superare le differenze tra i trattamenti accessori riservati ai dipendenti delle amministrazioni statali, chiedendo l’accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Milano.
«In via subordinata», hanno prospettato la violazione dell’art. 36 Cost., dal momento che, a loro giudizio, se le «straordinarie incombenze del periodo Covid ed ex PNRR» hanno indotto il legislatore a corrispondere al personale dell’Ispettorato una indennità una tantum, quest’ultima dovrebbe essere considerata parte integrante del «livello retributivo congruo ai sensi dell’art. 36 della Costituzione in quella particolare circostanza storica considerata», sicché la sostanziale «ablazione di tale misura», per effetto del meccanismo disegnato dalla disposizione censurata, lederebbe il parametro costituzionale da ultimo evocato.
Sarebbero poi lesi anche gli artt. 2, 3 e 97 Cost., in quanto verrebbe in rilievo una modifica retroattiva e peggiorativa di diritti acquisiti (corrispondenti a importi già corrisposti), non giustificata dall’esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti «motivi imperativi di interesse generale», ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo: una norma retroattiva, dunque, lesiva dei principi del legittimo affidamento e della coerenza e certezza dell’ordinamento giuridico.
7.– Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni sollevate siano dichiarate non fondate.
Per la difesa erariale, non vi sarebbero motivi per ritenere irragionevole la compensazione effettuata dal legislatore tra due diverse indennità, in considerazione del fatto che esse sarebbero «ispirate all’identica finalità di remunerare – l’una in via ordinaria, l’altra in via straordinaria – l’attività amministrativa svolta». Inoltre, sarebbe errata la tesi del rimettente, secondo cui il principio di onnicomprensività del trattamento economico dei pubblici dipendenti non consentirebbe l’assorbimento di voci indennitarie o premiali, le quali, così ragionando, dovrebbero considerarsi escluse anche dai tetti retributivi previsti dal legislatore.
Neppure sarebbe violato il parametro di cui all’art. 39 Cost., dal momento che l’indennità di amministrazione viene riconosciuta ai dipendenti dell’Ispettorato proprio come rideterminata con i criteri fissati dal CCNL del personale del comparto Funzioni centrali per il triennio 2019-2021: lo scomputo, per il solo anno 2022, dell’indennità una tantum prevista dall’art. 32-bis del d.l. n. 50 del 2022, come convertito, sarebbe stato imposto, per un verso, dal rispetto dei vincoli di bilancio e, per altro verso, proprio dalla necessità di perequare il trattamento economico complessivamente spettante al personale dell’Ispettorato – che per il 2022 aveva già ottenuto un «beneficio economico aggiuntivo» – con quello spettante ai dipendenti ministeriali, evitando, in tal modo, una «sperequazione» al contrario.
Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, infatti, la giustificazione del riconoscimento dell’indennità una tantum per il 2022, «risiedeva (anche) nell’assenza degli “incrementi dell’indennità di amministrazione”», e ciò giustificherebbe il riassorbimento della prima nell’indennità di amministrazione, in applicazione delle previsioni di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), che prevedono la cessazione dell’efficacia degli incrementi retributivi riconosciuti dalla legge a far data dai successivi rinnovi contrattuali.
Infine, l’Avvocatura segnala che l’accoglimento delle questioni sollevate determinerebbe «oneri aggiuntivi per le finanze pubbliche, da dover coprire mediante apposita disposizione normativa».
8.– In data 30 luglio 2024, ai sensi dell’art. 6 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, l’Unione italiana lavoratori pubblica amministrazione (UILPA), quale amicus curiae, ha depositato un’opinione scritta, ammessa con decreto presidenziale del 17 ottobre 2024.
L’atto ricalca, sostanzialmente, il contenuto dell’atto di costituzione delle parti ricorrenti nel giudizio principale.
9.– In prossimità dell’udienza pubblica, le parti hanno depositato una memoria, con la quale hanno ulteriormente illustrato gli argomenti esposti nell’atto di costituzione e hanno replicato a quanto dedotto dall’Avvocatura generale dello Stato.
In particolare, hanno sostenuto che l’indennità una tantum percepita dai dipendenti dell’Ispettorato nel 2022 sarebbe stata giustificata dall’aumento dei compiti attribuiti agli ispettori del lavoro con il decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146 (Misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili), convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2021, n. 215, e quindi dalla «“eccezionalità” di nuove attività oggettivamente richieste agli ispettori specie dalle incombenze del PNRR».
10.– Ai sensi dell’art. 10, comma 3, delle Norme integrative sono stati formulati quesiti alle parti, che vi hanno dato risposta nel corso dell’udienza pubblica, insistendo, al termine dei propri interventi, per l’accoglimento delle conclusioni formulate nei rispettivi atti.
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale di Milano, in funzione di giudice del lavoro, solleva questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1-bis, comma 1, ultimo periodo, del d.l. n. 145 del 2023, come convertito.
Nella sua prima parte, il suddetto comma, al dichiarato fine di perseguire l’armonizzazione dei trattamenti economici accessori anche in relazione agli anni 2020, 2021 e 2022, riconosce al «personale delle Aree» dell’Ispettorato nazionale del lavoro – oltre che dell’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro e dell’Agenzia italiana per la gioventù – «il beneficio» di cui all’art. 1, comma 334, della legge n. 197 del 2022, ossia l’indennità di amministrazione nelle misure spettanti al personale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali «appartenente alle Aree» e, dunque, incrementata secondo i criteri stabiliti dal CCNL del personale del comparto Funzioni centrali per il triennio 2019-2021.
Tuttavia, l’ultimo periodo – che è la disposizione specificamente censurata – dispone che «per il personale dell’Ispettorato nazionale del lavoro» l’indennità una tantum di cui all’art. 32-bis del d.l. n. 50 del 2022, come convertito, debba essere scomputata dalle somme da riconoscere per l’anno 2022.
2.– Il giudizio principale sorge dal ricorso proposto da diciassette dipendenti dell’Ispettorato volto a ottenere il pagamento delle somme corrispondenti agli incrementi dell’indennità di amministrazione già riconosciuti ai dipendenti di ruolo del Ministero del lavoro, a titolo di arretrati per gli anni dal 2020 al 2022, oltre rivalutazione e interessi.
Il rimettente riferisce che, nelle more del giudizio, è entrato in vigore l’art. 1-bis, comma 1, del d.l. n. 145 del 2023, come convertito, il quale ha riconosciuto, per le tre annualità oggetto di causa, l’indennità di amministrazione «tenendo conto degli importi attribuiti per le medesime annualità al personale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali».
Ciò ha determinato, per il rimettente, la cessazione della materia del contendere solo per le annualità 2020 e 2021, giacché, per il 2022, la medesima disposizione ha introdotto il meccanismo di “scomputo” censurato in questa sede.
3.– Il Tribunale di Milano ravvisa il contrasto con gli artt. 3 e 39 Cost.
3.1.– Osserva, in particolare, che l’indennità una tantum di cui all’art. 32-bis del d.l. n. 50 del 2022, come convertito, è stata corrisposta per una specifica finalità espressamente enunciata dallo stesso legislatore: premiare lo straordinario impegno richiesto ai dipendenti dell’Ispettorato «per il contrasto del lavoro sommerso, per la vigilanza sul rispetto della normativa in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro e per l’attuazione delle misure previste nel PNRR».
Una funzione totalmente diversa da quella propria dell’indennità di amministrazione, intesa quale voce continuativa del trattamento economico accessorio.
Compensare le due elargizioni, quindi, produrrebbe l’effetto di incrementare solo parzialmente l’indennità di amministrazione, in manifesta violazione del canone della ragionevolezza, presidiato dall’art. 3 Cost., «trattandosi di operazione effettuata su emolumenti aventi natura e funzione affatto diverse».
La disposizione censurata, inoltre, determinerebbe un duplice effetto «discriminatorio».
In primo luogo, tale compensazione sarebbe stata prevista per i trattamenti economici accessori del solo personale dell’Ispettorato e non anche per le analoghe posizioni del restante personale del comparto.
Inoltre, la disposizione censurata sarebbe stata emanata per trovare applicazione «nell’ambito di un contenzioso già instaurato che, in assenza della suddetta previsione, si sarebbe ragionevolmente concluso con l’accoglimento integrale della domanda anche per l’annualità 2022».
Infine, quand’anche si volesse giustificare il meccanismo di scomputo evocando finalità di contenimento della spesa pubblica, «l’equilibrio finanziario verrebbe garantito con il sacrificio del solo personale» dipendente dall’Ispettorato.
3.2.– Per il rimettente sarebbe leso anche l’art. 39 Cost., essendo ravvisabile una «violazione della riserva di contrattazione in materia di retribuzioni».
La disposizione censurata altererebbe il trattamento retributivo dei ricorrenti determinato dalla contrattazione collettiva, da ritenere fonte esclusiva di disciplina, con il solo limite della compatibilità con le finanze pubbliche.
4.– Prima di affrontare il merito delle questioni sollevate, va definito correttamente il thema decidendum.
Nel giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale, non possono essere presi in esame questioni o profili di costituzionalità dedotti solo dalle parti e diretti quindi ad ampliare o modificare il contenuto dell’ordinanza di rimessione (ex plurimis, sentenze n. 144, n. 140 e n. 112 del 2024). Lo stesso vale, a maggior ragione, per le ulteriori questioni proposte dagli amici curiae (sentenze n. 138 del 2024 e n. 180 del 2021).
Nel caso in esame, le parti ricorrenti nel giudizio principale e l’amicus curiae hanno prospettato, «in via subordinata», la violazione dell’art. 36 Cost. e degli artt. 2, 3 e 97 Cost.
Si tratta di profili che il giudice a quo non ha inteso sottoporre allo scrutinio di costituzionalità, sicché essi, in quanto diversi da quelli evocati dall’ordinanza di rimessione, non devono essere oggetto di valutazione da parte di questa Corte.
5.– Ancora in via preliminare, è utile procedere a una sintetica ricostruzione dell’evoluzione della disciplina normativa e contrattuale afferente all’indennità di amministrazione, ossia all’emolumento dal quale la disposizione censurata ha imposto, per l’anno 2022, lo scomputo dell’indennità una tantum di cui si discute nel presente giudizio.
5.1.– Nel contesto della privatizzazione dei rapporti di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione, l’art. 72 del d.lgs. n. 29 del 1993 stabilì che, contestualmente alla sottoscrizione dei primi contratti collettivi successivi, fosse abrogata la congerie di disposizioni che prevedevano automatismi e trattamenti economici accessori a favore di dipendenti pubblici, nel contempo affidando alla medesima contrattazione collettiva la salvezza dei trattamenti corrisposti con carattere di generalità e continuità per ciascuna amministrazione o ente.
Con il primo CCNL del comparto Ministeri per il quadriennio 1994-1997, firmato il 16 maggio 1995, venne perciò istituita l’indennità di amministrazione, «sorta come trattamento accessorio della retribuzione, collegata alla presenza in servizio e commisurata ai compensi mensili percepiti» (sentenza n. 145 del 2022).
Il CCNL del comparto Ministeri per il quadriennio 1998-2001, firmato il 16 febbraio 1999, come integrato dal CCNL del 16 maggio 2001, configurò definitivamente l’indennità di amministrazione «quale voce retributiva, corrisposta a tutti i dipendenti ministeriali in misura fissa e per dodici mensilità, utile ai fini del calcolo dell’indennità di buonuscita, del TFR e dell’indennità di preavviso (art. 33)» (così, ancora, sentenza n. 145 del 2022).
Se ne desume che l’indennità di amministrazione venne introdotta come contropartita della eliminazione degli svariati emolumenti previsti dalle plurime norme di settore concernenti i differenti trattamenti accessori dei dipendenti pubblici.
Con particolare riferimento al comparto ministeriale, a seguito di ripetuti interventi legislativi che hanno prodotto frequenti processi di accorpamento e conseguenti cospicui fenomeni di mobilità del personale, si è resa necessaria un’operazione, almeno tendenziale, di armonizzazione delle diverse indennità di amministrazione percepite negli enti di provenienza, anche al fine di evitare possibili contenziosi provocati da disparità di trattamento.
Proprio in ragione di ciò, già il CCNL per il quadriennio 1998-2001, nel prevedere aumenti dell’indennità di amministrazione negli importi di cui alla Tabella G ad esso allegata, aveva sottolineato lo scopo di «favorire il processo di perequazione delle retribuzioni complessivamente spettanti al personale del comparto» (art. 33).
La contrattazione collettiva successiva ha proseguito nella medesima direzione, con interventi sull’indennità di amministrazione per aumentarne gli importi, anche a fini perequativi.
L’indennità in esame, dunque, per espressa previsione della contrattazione collettiva, che costituisce «imprescindibile fonte» di disciplina in materia, non fa parte del trattamento economico fondamentale (ex multis, sentenze n. 153 del 2021, n. 232 del 2019 e n. 178 del 2015). Tuttavia, per i caratteri di generalità e continuità che la stessa contrattazione collettiva ha inteso ugualmente attribuirle, essa è stata corrisposta a titolo di compenso incentivante collegato alla mera presenza in servizio, senza alcun riferimento, quindi, al raggiungimento di specifici obiettivi o alle particolari condizioni di svolgimento del rapporto di lavoro.
A seguito della sentenza n. 178 del 2015 di questa Corte, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni che avevano previsto, a partire dal 2010, il “blocco” della contrattazione collettiva nel settore pubblico, lo stesso legislatore ha incentivato la ripresa del processo di graduale perequazione dei trattamenti economici accessori del personale delle amministrazioni pubbliche.
E così l’art. 23, comma 1, del decreto legislativo 25 maggio 2017 n. 75, recante «Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l), m), n), o), q), r), s) e z), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», ha stabilito che la contrattazione collettiva nazionale opera, per la finalità suddetta, «la graduale convergenza dei medesimi trattamenti anche mediante la differenziata distribuzione, distintamente per il personale dirigenziale e non dirigenziale, delle risorse finanziarie destinate all’incremento dei fondi per la contrattazione integrativa di ciascuna amministrazione».
Dal canto suo, con particolare riferimento al personale ministeriale, l’art. 1, comma 143, della legge n. 160 del 2019, ha previsto l’istituzione di un apposito fondo, le cui risorse – nella misura del novanta per cento – sono state specificamente destinate «alla graduale armonizzazione delle indennità di amministrazione del personale appartenente alle aree professionali dei Ministeri al fine di ridurne il differenziale».
L’appena citato art. 1, comma 143, disponendo le relative coperture finanziarie, ha poi rimesso a un apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri la ripartizione delle risorse del fondo tra le amministrazioni centrali, anche tenendo conto del suddetto differenziale di partenza, e la rideterminazione delle relative indennità di amministrazione.
A dare attuazione a tale previsione ha provveduto il d.P.C.m. 23 dicembre 2021, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’11 marzo 2022, n. 59, che, tuttavia, nelle Tabelle 1 e 2 a esso allegate, non menziona espressamente il personale dell’Ispettorato fra i destinatari degli incrementi degli importi delle indennità in discorso.
Di conseguenza, i dipendenti dell’Ispettorato sono rimasti esclusi dalla percezione di tali maggiorazioni – da distribuire secondo i criteri dettati dall’art. 56 del CCNL del personale del comparto Funzioni centrali, sottoscritto il 9 maggio 2022 per il triennio 2019-2021 –, che sono state invece corrisposte dagli uffici di ragioneria, come documentato dalle parti private, al solo personale di ruolo dei ministeri, a partire dal mese di maggio del 2022, con gli arretrati per le annualità dal 2020 al 2022.
5.2.– Alla luce di tale ricostruzione, non erra il giudice rimettente nel considerare del tutto ingiustificata l’esclusione dei dipendenti dell’Ispettorato dal novero dei destinatari degli aumenti dell’indennità di amministrazione previsti dal d.P.C.m. 23 dicembre 2021. È, infatti, incontestabile – e, per la verità, incontestata dalle parti del giudizio a quo – l’applicabilità anche in loro favore della contrattazione collettiva del comparto Funzioni centrali, in virtù del quadro normativo e contrattuale ricostruito nell’ordinanza di rimessione e illustrato al punto 3 del Ritenuto in fatto, al quale si rinvia.
Del resto, è la stessa evoluzione legislativa successiva a confermare tale assunto.
L’art. 1, commi da 334 a 337, della legge n. 197 del 2022 ha sostanzialmente ribadito, ai fini della perequazione dei trattamenti economici accessori, la necessaria equiparazione tra i dipendenti dell’Ispettorato e il personale ministeriale, prevedendo, sebbene solo «a decorrere dall’anno 2023», che anche ai primi fosse riconosciuta «l’indennità di amministrazione nelle misure spettanti al personale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali appartenente alle Aree, come rideterminate secondo i criteri stabiliti dal contratto collettivo nazionale di lavoro 2019-2021 – comparto Funzioni centrali».
È poi intervenuto l’art. 1-bis, comma 1, del d.l. n. 145 del 2023, come convertito, per “coprire” anche il triennio precedente (2020-2022), durante il quale gli incrementi dell’indennità di amministrazione erano già stati corrisposti ai soli dipendenti di ruolo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con l’effetto di innescare un cospicuo contenzioso, analogo a quello oggetto del giudizio principale, spesso con esiti favorevoli ai ricorrenti (come documentato nel presente giudizio costituzionale dalle parti private e dall’amicus curiae).
L’intervento del legislatore del 2023 contiene, però, nell’ultimo periodo, la previsione censurata nel presente giudizio, che impone lo scomputo, dalle somme da corrispondere per l’anno 2022, dell’indennità una tantum di cui all’art. 32-bis del d.l. n. 50 del 2022, come convertito, già corrisposta ai dipendenti dell’Ispettorato.
6.– Tanto premesso, la questione sollevata in riferimento all’art. 3 Cost. è fondata.
L’art. 32-bis del d.l. n. 50 del 2022, come convertito, al comma 1, dispone: «[a]l fine di dare riconoscimento all’impegno straordinario richiesto per il contrasto del lavoro sommerso, per la vigilanza sul rispetto della normativa in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro e per l’attuazione delle misure previste nel PNRR, ai dipendenti dell’Ispettorato nazionale del lavoro è attribuita, per l’anno 2022, un’indennità una tantum nelle misure e secondo i criteri da stabilire con decreto del direttore del medesimo Ispettorato nazionale del lavoro, adottato sentite le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative e nei limiti delle risorse di cui al secondo periodo. A tale fine i fondi per le risorse decentrate del personale delle aree e per la retribuzione di posizione e di risultato del personale dirigenziale dell’Ispettorato nazionale del lavoro sono incrementati, rispettivamente, di euro 10.455.680 e di euro 781.783 per l’anno 2022».
Per espresso dettato normativo, dunque, l’indennità in parola non ha inteso compensare l’ordinaria attività del personale dell’Ispettorato, bensì «dare riconoscimento» – evidentemente in funzione premiale – all’impegno straordinario richiesto a tale categoria di lavoratori nell’anno 2022.
Tale aggravio di lavoro trova riscontro, in effetti, nelle disposizioni di cui al d.l. n. 146 del 2021, come convertito.
L’art. 13, comma 1, lettera c), numero 1), di tale provvedimento ha, infatti, modificato il comma 1 dell’art. 13 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 (Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro), rendendo di carattere generale anche la competenza dell’Ispettorato, accanto a quella delle aziende sanitarie locali, a esercitare la vigilanza sull’applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. In precedenza, invece, il comma 2 dell’art. 13 t.u. sicurezza sul lavoro – contestualmente abrogato – affidava all’Ispettorato, in via esclusiva, la competenza a esercitare tale vigilanza solo in determinati settori, quali quelli delle costruzioni edili o di genio civile, dei lavori mediante cassoni in aria compressa e subacquei e delle «ulteriori attività lavorative comportanti rischi particolarmente elevati».
Con la ricordata novella legislativa, tale vigilanza è ora esercitata in tutti i settori sia dall’Ispettorato sia dalle aziende sanitarie locali, in coordinamento tra loro (come emerge da taluni dei decreti dell’Ispettorato nazionale del lavoro adottati nel corso del 2022 e depositati dalle parti in risposta a uno degli specifici quesiti formulati da questa Corte ai sensi dell’art. 10, comma 3, delle Norme integrative).
I nuovi compiti, peraltro, risultano attribuiti in un contesto di ripresa economica in settori – quale, ad esempio, quello dell’edilizia – in precedenza particolarmente colpiti dagli effetti della pandemia da COVID-19 e rispetto ai quali cospicui sono stati gli interventi statali di sostegno finanziario, anche in attuazione delle misure previste nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Tali incentivi economici hanno appunto stimolato un notevole incremento di attività, generando, per converso, un altrettanto imponente aumento degli oneri di vigilanza sul rispetto della normativa in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, anche per contrastare il fenomeno del lavoro sommerso.
Consapevole di ciò, del resto, lo stesso legislatore, con il comma 2 dell’art. 13 del d.l. n. 146 del 2021, come convertito, espressamente «[i]n funzione dell’ampliamento delle competenze di cui al comma 1, lettera c), numero 1)», ha autorizzato l’Ispettorato a bandire procedure concorsuali pubbliche e, di conseguenza, ad assumere con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato – con corrispondente incremento della vigente dotazione organica – un contingente di personale ispettivo pari a 1.024 unità, da inquadrare proprio nell’Area terza, alla quale appartengono i ricorrenti nel giudizio principale.
Considerato che, dalla documentazione esibita in udienza dalla stessa Avvocatura generale dello Stato, in risposta ai quesiti formulati da questa Corte, emerge che «l’effettiva integrazione del nuovo personale è avvenuta principalmente nell’ultimo quadrimestre del 2022», è plausibile ritenere che, per il solo anno 2022, vi sia stato un temporaneo e straordinario aumento dell’impegno richiesto ai dipendenti già in servizio dell’Ispettorato.
Ne consegue che l’indennità una tantum, per il solo anno 2022, prevista dall’art. 32-bis del d.l. n. 50 del 2022, come convertito, costituisce effettivamente un emolumento premiale che – a differenza dell’indennità di amministrazione, corrisposta in misura fissa, in via generale e continuativa, e dunque a prescindere dal raggiungimento di risultati specifici e dalle eventuali condizioni disagiate di svolgimento del lavoro – trova la sua causa giustificativa nella necessità di compensare attività extra ordinem.
A fronte, dunque, di un emolumento una tantum corrisposto nel 2022 in ragione di carichi di lavoro momentaneamente più gravosi (in quanto da svolgersi prima del programmato aumento di organico) e ulteriori rispetto a quelli “ordinari”, che giustificano invece la corresponsione dell’indennità di amministrazione, risulta manifestamente irragionevole prevedere lo scomputo di tale emolumento dagli incrementi dovuti per quest’ultima.
L’emolumento premiale rappresenta, infatti, una remunerazione non continuativa bensì di carattere occasionale (non a caso prevista per il solo 2022 invece che per l’intero triennio 2020-2022) e, come tale, non riassorbibile in aumenti retributivi successivi, come invece sostenuto dalla difesa erariale.
L’erogazione di tale indennità, del resto, non ha determinato alcuna discriminazione “al contrario” rispetto agli altri dipendenti ministeriali, proprio perché essa, come da espresso enunciato normativo, ha compensato un «impegno straordinario» richiesto ai soli dipendenti dell’Ispettorato.
All’opposto, l’irragionevole compensazione tra emolumenti di natura assai disomogenea condurrebbe ad un’ingiustificata disparità di trattamento, in danno dei soli dipendenti dell’Ispettorato, proprio sul piano della perequazione dell’indennità di amministrazione, che solo per essi non risulterebbe più integrale per l’anno 2022. Una compensazione di tal fatta evidenzierebbe, quindi, una palese contraddizione rispetto alla finalità di armonizzazione dei trattamenti economici accessori pure dichiaratamente perseguita dall’art. 1-bis, comma 1, del d.l. n. 145 del 2023, come convertito. Tale conclusione non è smentita né dal fatto che l’art. 32-bis del d.l. n. 50 del 2022, come convertito, nell’indicare la copertura finanziaria dell’indennità premiale, abbia disposto un incremento dei fondi per le risorse decentrate, né dalla relazione tecnica di accompagnamento, che, a fronte dell’espediente contabile di assumere come semplice parametro di calcolo la misura media dell’indennità di amministrazione già corrisposta al personale ministeriale, si è limitata a verificare positivamente l’adeguatezza dei fondi indicati.
Va dunque dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1-bis, comma 1, del d.l. n. 145 del 2023, come convertito, limitatamente all’inciso «e scomputando, per il personale dell’Ispettorato nazionale del lavoro, dalle somme da riconoscere per l’anno 2022 l’indennità una tantum di cui all’articolo 32-bis del decreto-legge 17 maggio 2022, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2022, n. 91».
7.– Restano assorbiti ulteriori profili e questioni prospettati dall’ordinanza di rimessione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1-bis, comma 1, del decreto-legge 18 ottobre 2023, n. 145 (Misure urgenti in materia economica e fiscale, in favore degli enti territoriali, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili), convertito, con modificazioni, nella legge 15 dicembre 2023, n. 191, limitatamente all’inciso «e scomputando, per il personale dell’Ispettorato nazionale del lavoro, dalle somme da riconoscere per l’anno 2022 l’indennità una tantum di cui all’articolo 32-bis del decreto-legge 17 maggio 2022, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2022, n. 91».
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 dicembre 2024.
F.to:
Giovanni AMOROSO, Presidente
Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Redattrice
Igor DI BERNARDINI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 23 gennaio 2025
Il Cancelliere
F.to: Igor DI BERNARDINI
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