Sentenza 45/2025 (ECLI:IT:COST:2025:45)
Giudizio: GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA PRINCIPALE
Presidente: AMOROSO - Redattore: BUSCEMA
Udienza Pubblica del 26/02/2025;    Decisione  del 27/02/2025
Deposito del 17/04/2025;   Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate: Art. 1, c. 494°, 497°, 533°, 534° e 535°, della legge 30/12/2023, n. 213.
Massime: 
Massime: 
Atti decisi: ric. 11/2024


Pronuncia

SENTENZA N. 45

ANNO 2025


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da: Presidente: Giovanni AMOROSO; Giudici : Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Massimo LUCIANI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,


ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 494, 497, 533, 534 e 535, della legge 30 dicembre 2023, n. 213 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2024 e bilancio pluriennale per il triennio 2024-2026), promosso dalla Regione Liguria con ricorso notificato il 28 febbraio 2024, depositato in cancelleria il successivo 5 marzo 2024, iscritto al n. 11 del registro ricorsi 2024 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell’anno 2024.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 26 febbraio 2025 il Giudice relatore Angelo Buscema;

uditi l’avvocato Pietro Piciocchi per la Regione Liguria e gli avvocati dello Stato Enrico De Giovanni ed Emanuele Feola per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 27 febbraio 2025.


Ritenuto in fatto

1.– La Regione Liguria, su sollecitazione del Consiglio delle autonomie locali della medesima Regione (art. 5 della legge della Regione Liguria 1° febbraio 2011, n. 1, recante «Disciplina del Consiglio delle Autonomie Locali»), ha impugnato l’art. 1, commi 494, 497, 533, 534 e 535, della legge 30 dicembre 2023, n. 213 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2024 e bilancio pluriennale per il triennio 2024-2026), in riferimento agli artt. 3, 5, 114, 119, commi primo, terzo, quarto e quinto, e 120, secondo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione al principio di leale collaborazione.

1.1.– Con la prima questione, la Regione ricorrente lamenta che le disposizioni di cui ai commi 494 e 497 dell’art. 1 della legge n. 213 del 2023, spostando, in asserita attuazione della sentenza di questa Corte n. 71 del 2023, risorse dal Fondo di solidarietà comunale (d’ora innanzi: FSC) al neoistituito «Fondo per l’equità del livello dei servizi» (d’ora in avanti: FELS), non avrebbero considerato, da un lato, se tali risorse siano adeguatamente dimensionate ai fabbisogni di spesa da finanziare, come imposto dal principio di correlazione tra risorse e funzioni, di cui all’art. 119, quarto comma, Cost.; nonché, dall’altro, se tali risorse siano effettivamente congrue rispetto all’esigenza di evitare regressioni nell’attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP).

Asserisce la ricorrente che, con la richiamata sentenza n. 71 del 2023, questa Corte aveva auspicato un riassetto del FSC basato su due pilastri: da un lato, il già citato principio di correlazione tra risorse e funzioni e, dall’altro, la congruenza di tale riorganizzazione rispetto alla definizione dei LEP. La Regione Liguria sostiene che il legislatore statale, all’indomani della sentenza n. 71 del 2023, con le disposizioni impugnate non si sarebbe limitato a eliminare i vincoli di destinazione precedentemente apposti al FSC, ma avrebbe ridotto l’entità di quest’ultimo degli importi soggetti a tali vincoli, riallocando le somme presso un fondo di nuova istituzione, il FELS, che avrà vigenza dal 2025 al 2030, destinato a sviluppare l’erogazione di servizi sociali comunali, servizi educativi per l’infanzia e servizi per trasporto di studenti disabili. Le disposizioni impugnate, dunque, nel finanziare il FELS con la “componente verticale” del FSC, violerebbero lo stesso principio di “perequazione verticale” dato che la principale fonte di finanziamento di quest’ultimo non sarebbero più risorse statali, ma «prelievi forzosi» sulle entrate tributarie derivanti dall’Imposta municipale propria (IMU), vale a dire la sua “componente orizzontale”.

La soluzione adottata dal legislatore con la legge di bilancio, peraltro, continuerebbe ad affidare il finanziamento dei LEP a un sistema di perequazione speciale, con vincoli di destinazione, del tutto distonico rispetto a quello prefigurato dal testo costituzionale, che prevederebbe – come ribadito anche dalla giurisprudenza costituzionale – l’istituzione di strumenti perequativi e risorse adeguate «a garantire agli enti locali l’effettiva possibilità di svolgere le funzioni ad essi attribuite dalla legge senza mortificarne l’autonomia finanziaria». Sarebbero pertanto violati gli artt. 5, 114, 119, commi primo, terzo, quarto e quinto, e 120, secondo comma, Cost.

1.2.– Con la seconda questione la ricorrente impugna i commi da 533 a 535 dell’art. 1 della legge n. 213 del 2023 i quali, nell’imporre un “taglio lineare” a valere sulle risorse del fondo di solidarietà comunale, determinerebbero la violazione dell’autonomia finanziaria degli enti locali riconosciuta dagli artt. 5, 114 e 119, commi primo, terzo e quarto, Cost., precluderebbero la piena erogazione dei LEP e violerebbero, altresì, il principio di leale collaborazione di cui all’art. 120, secondo comma, Cost., poiché verrebbe disatteso quanto pattuito nell’intesa sottoscritta in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali il 30 gennaio 2020.

Le disposizioni impugnate, a detta della Regione, dovrebbero essere lette «in correlazione con le precedenti manovre di spending review» e, in particolare, con quella disposta dall’art. 47, comma 8, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, nella legge 23 giugno 2014, n. 89, che aveva previsto una decurtazione di euro 563,5 milioni a carico del fondo di solidarietà comunale fino all’anno 2019, momento in cui si era stabilita – mediante un «faticoso accordo politico con l’[Associazione nazionale dei comuni italiani] (ANCI)» – una sua progressiva reintegrazione, da raggiungersi nel 2024 (art. 1, comma 849, della legge 27 dicembre 2019, n. 160, recante «Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022»). Tuttavia, per effetto delle disposizioni impugnate, il taglio lineare introdotto nel 2014, anziché terminare nel 2024, verrebbe protratto per altri quattro anni (fino al 2028) portando la stagione dei tagli lineari a una durata di 14 anni.

Queste misure, peraltro, dovrebbero essere valutate unitamente «ad altre che operano contestualmente (come spending review c.d. ex informatica e sottrazione sistematica di risorse per effetto dell’implementazione del sistema di perequazione) e che in una fase storica caratterizzata da un significativo incremento del costo della vita rischiano di pregiudicare l’equilibrio di bilancio, già precario, di molte amministrazioni locali e, soprattutto, di compromettere la capacità di erogare i servizi ai cittadini, in primis i livelli essenziali delle prestazioni».

La lesione dei suddetti principi costituzionali non sarebbe esclusa neppure dalla previsione secondo cui il “taglio” in questione dovrebbe essere ripartito in proporzione agli impegni di “spesa corrente”, facendo salva, come previsto dal comma 533, la spesa relativa alla Missione 12, «Diritti sociali, politiche sociali e famiglia», in quanto mancherebbe una complessiva valutazione d’impatto della misura. Da tanto, l’asserita violazione anche del «divieto di non regredire nell’attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni sancito nella [già citata] sentenza n. 71 del 2023».

1.3.– In subordine, la ricorrente impugna il menzionato comma 533 sotto un ulteriore e concorrente profilo, nella parte in cui esenta dal contributo alla finanza pubblica gli enti in dissesto e in procedura di riequilibrio, nonché quelli che hanno sottoscritto accordi di risanamento finanziario con il Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell’art. 1, comma 572, della legge 30 dicembre 2021, n. 234 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2022 e bilancio pluriennale per il triennio 2022-2024) e dell’art. 43, comma 2, del decreto-legge 17 maggio 2022, n. 50 (Misure urgenti in materia di politiche energetiche nazionali, produttività delle imprese e attrazione degli investimenti, nonché in materia di politiche sociali e di crisi ucraina), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2022, n. 91, ma non anche gli enti che hanno sottoscritto i medesimi accordi ai sensi del successivo comma 8 del già citato art. 43. La disposizione in esame, dunque, è censurata laddove esenta dall’applicazione del taglio una serie di comuni che si trovano in condizioni precarie e sono oggetto di speciali misure di riequilibrio finanziario, il cui effetto, evidentemente, sarebbe pregiudicato nel caso in cui dovessero anch’essi concorrere agli obiettivi di finanza pubblica, ma non anche i comuni, come quello di Genova, che abbiano sottoscritto i medesimi patti ai sensi del richiamato comma 8 dell’art. 43 e che necessitano di un «percorso di riequilibrio strutturale».

Rappresenta la difesa regionale che le disposizioni statali che hanno introdotto il nuovo istituto dell’accordo tra il Presidente del Consiglio dei ministri e i sindaci di comuni che abbiano deciso di avviare un determinato percorso di risanamento finanziario prevedono, contestualmente, l’utilizzo della leva fiscale attraverso l’incremento delle addizionali all’imposta sul reddito delle persone fisiche, in deroga al limite ordinario, ovvero mediante l’istituzione di un’addizionale ai diritti di imbarco portuale o aeroportuale fino a 3 euro a passeggero. Tali enti, al tempo stesso, dovrebbero obbligarsi a conseguire specifici obiettivi di miglioramento delle loro performance di riscossione, a incrementare la redditività del proprio patrimonio, nonché ad attuare misure organizzative che consentano una razionalizzazione dei servizi e un contenimento della spesa. A fronte di tali impegni, costantemente monitorati dal Ministero dell’interno, viene riconosciuto dallo Stato un contributo finanziario in loro favore (art. 1, commi 572 e 573, della legge n. 234 del 2021 e art. 43, comma 2, del d.l. n. 50 del 2022, come convertito).

Più precisamente, afferma la ricorrente che la misura in esame è stata dapprima prevista dall’art. 1, comma 573 (recte: art. 1, comma 567), della legge n. 234 del 2021 in favore dei soli comuni capoluoghi sede di città metropolitana con disavanzo pro capite pari a 700 euro a cui, a fronte della sottoscrizione dell’accordo, è stato assicurato un contributo di euro 2 miliardi e 670 milioni dall’anno 2022 all’anno 2042, destinato al finanziamento del ripiano annuale del disavanzo di amministrazione. Successivamente, l’art. 43, commi 2 e 8, del d.l. n. 50 del 2022, come convertito, avrebbe esteso l’istituto dell’accordo, con la possibilità di attivare le relative misure tributarie, in un primo tempo senza contributo, ai comuni capoluogo di provincia con disavanzo pro capite pari ad euro 500 (comma 2) e ai comuni sede di città metropolitana in una condizione di equilibrio di amministrazione ma con debito pro capite superiore ad euro 1000 «che intendano avviare un percorso di riequilibrio strutturale». L’art. 1, comma 470, della legge n. 213 del 2023 ha, infine, previsto un contributo da parte dello Stato anche in favore di questi comuni, pari a euro 50 milioni, per ciascuno degli anni dal 2024 al 2033, da ripartire in proporzione delle quote del disavanzo da ripianare per i comuni in disavanzo (comma 2 dell’art. 43) e del debito da restituire per i comuni in sovraindebitamento (comma 8 dell’art. 43).

La Regione Liguria afferma che, a oggi, sarebbero 13 i comuni italiani che hanno aderito agli accordi, di cui quattro (Napoli, Torino, Palermo e Reggio Calabria) rientrano nella previsione di cui all’art. 1, comma 572, della legge n. 234 del 2021, mentre nove (Salerno, Potenza, Vibo Valenzia, Lecce, Alessandria, Genova, Avellino, Brindisi e Venezia) sarebbero riconducibili alle fattispecie di cui al d.l. n. 50 del 2022, come convertito: di questi ultimi, solo Genova e Venezia ricadrebbero nel comma 8 del citato art. 43, essendo Comuni in equilibrio di bilancio, ma bisognosi di un percorso di consolidamento strutturale a motivo dell’elevato debito pro-capite; tutti gli altri, essendo enti in disavanzo di amministrazione, rientrerebbero nella previsione del comma 2 della medesima disposizione.

La Regione Liguria deduce l’illegittimità costituzionale della disposizione impugnata perché introdurrebbe una irragionevole disparità di trattamento fra i comuni di cui al comma 2 e quelli di cui al comma 8, che sarebbero stati invece assimilati dallo stesso legislatore statale nel citato art. 1, comma 470, della legge n. 213 del 2023, che, come già ricordato, ha accordato un sostegno finanziario annuale pari a euro 50 milioni ai comuni che abbiano sottoscritto un accordo con il Presidente del Consiglio dei ministri, che si trovino tanto nelle condizioni di cui al comma 2 dell’art. 43, quanto in quelle indicate dal successivo comma 8.

La disposizione impugnata sarebbe, dunque, irragionevole perché «non si coglie, sotto tale aspetto, come sia logicamente possibile, da un lato prevedere l’erogazione di un contributo a sostegno del virtuoso percorso intrapreso da questi Comuni, dall’altro sottrarre risorse ai medesimi Comuni per effetto del taglio generale, così vanificando, almeno in parte, l’efficacia del primo contributo». Di qui la violazione – ad avviso della ricorrente – del principio di ragionevolezza desumibile dall’art. 3 Cost. nonché dell’autonomia finanziaria degli enti riconosciuta dagli artt. 5, 114, 119, commi primo, terzo e quarto, e 120, secondo comma, Cost.

2.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo l’inammissibilità e, comunque, la non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale.

2.1.– La difesa statale eccepisce, anzitutto, l’inammissibilità della prima questione, perché sarebbe volta a censurare le modalità con cui lo Stato, nell’esercizio della propria discrezionalità, ha dato attuazione alla richiamata sentenza n. 71 del 2023, con la quale questa Corte ha affermato che la rimodulazione del FSC auspicata dalla Regione Liguria in quel giudizio non rappresenta l’unica possibilità di rispondere all’esigenza di conformare tale fondo alla previsione dell’art. 119, terzo comma, Cost., sicché, dato il ventaglio delle soluzioni possibili, «il compito di adeguare il diritto vigente alla tutela costituzionale riconosciuta all’autonomia finanziaria comunale non può che spettare al legislatore».

2.2.– Quanto al merito, il ricorso sarebbe, comunque, non fondato.

Premette l’Avvocatura generale che il comma 496 dell’art. 1 della legge n. 213 del 2023 – disposizione non oggetto di impugnazione – ha istituito presso il Ministero dell’interno il FELS con una dotazione pari a euro 858.923.000 per l’anno 2025, a euro 1.069.923.000 per l’anno 2026, a euro 1.808.923.000 per l’anno 2027, a euro 1.876.923.000 per l’anno 2028, a euro 725.923.000 per l’anno 2029 e a euro 763.923.000 per l’anno 2030.

Sempre ai sensi del comma 496, la destinazione delle suddette risorse ai comuni delle regioni a statuto ordinario, della Regione siciliana e della Regione autonoma Sardegna, sarebbe suddivisa in tre macroaree, corrispondenti a: a) contributi destinati al finanziamento e allo sviluppo dei servizi sociali comunali, allocati tra i beneficiari in proporzione del rispettivo coefficiente di riparto del fabbisogno standard calcolato per la funzione «Servizi sociali», in modo che sia gradualmente raggiunto, entro il 2026, un rapporto tra assistenti sociali e popolazione residente pari a 1 a 6.500; b) contributi destinati all’incremento in percentuale del numero di posti nei servizi educativi per l’infanzia, sino al raggiungimento di un livello minimo che ciascun comune o bacino territoriale è tenuto a garantire; infine, c) contributi destinati all’incremento del numero di studenti disabili frequentanti la scuola dell’infanzia, la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado, cui viene fornito il trasporto per raggiungere la sede scolastica.

I contributi, gli obiettivi di servizio e le modalità di monitoraggio sono stabiliti entro il 30 novembre dell’anno precedente a quello di riferimento, sulla base di un’istruttoria condotta dalla Commissione tecnica per i fabbisogni standard integrata con esperti di settore e previa intesa in Conferenza Stato-città e autonomie locali (lettera a), tenendo conto dei costi standard per la funzione “Asili nido”, approvati dalla medesima Commissione tecnica (lettera b).

2.2.1.– La ridefinizione finanziaria del fondo speciale in questione, secondo l’Avvocatura generale, darebbe piena attuazione alla menzionata sentenza n. 71 del 2023, che aveva invitato il legislatore statale a intervenire sulla disciplina del FSC, al fine di rimuovere dal suo ambito di intervento le risorse assegnate ai comuni con un preciso vincolo di destinazione.

Precisa, altresì, il Presidente del Consiglio dei ministri che, a partire dal 2029, il FSC verrebbe reintegrato delle risorse stanziate dalle leggi di bilancio 2021-2022, posto che tali disposizioni avrebbero autorizzato contributi permanenti per il potenziamento dei servizi in questione (art. 1, comma 495, lettera d, della legge n. 213 del 2023). Sicché, una volta conseguiti da parte di tutti i comuni gli obiettivi di servizio di cui ai commi da 496 a 501, le risorse in esame perderebbero la loro natura di interventi speciali, ai sensi dell’art. 119, quinto comma, Cost. e potrebbero, quindi, confluire nuovamente nel FSC, destinato alla perequazione “generale”.

Il fondo speciale, infatti, cesserebbe di funzionare definitivamente a decorrere dall’anno 2031, data fissata per il raggiungimento dei LEP per le tre funzioni individuate.

Quanto alle modalità di copertura del predetto fondo speciale, asserisce l’Avvocatura generale che – stanti i vincoli di bilancio cui sono soggette tutte le pubbliche amministrazioni ai sensi degli artt. 81 e 97, primo comma, Cost. – esso non poteva che essere finanziato con quella parte delle risorse del FSC che già in precedenza erano state destinate alla realizzazione dei menzionati interventi perequativi “speciali”. Peraltro, la disciplina del nuovo fondo garantirebbe l’effettiva adeguatezza delle risorse stanziate alla realizzazione degli obiettivi prefissati, demandando l’attività istruttoria relativa alla ripartizione dei contributi e al monitoraggio sull’utilizzo delle risorse a organi tecnici composti da rappresentanti dello Stato e del sistema delle autonomie, opportunamente integrati da esperti di settore (comma 496); nonché, predisponendo un articolato meccanismo sanzionatorio per porre rimedio ad eventuali inadempienze da parte dei beneficiari (commi da 498 a 501).

Quanto, poi, all’adeguatezza delle risorse che residuano nel FSC a garantire lo svolgimento delle funzioni proprie di cui all’art. 119, quarto comma, Cost., l’intervento normativo impugnato non determinerebbe alcuna violazione del principio di corrispondenza tra funzioni e risorse, posto che esso avrebbe «semplicemente estrapolato dalla sua complessiva dotazione finanziaria le risorse che già precedentemente erano soggette agli “specifici” vincoli di destinazione ora gravanti sul nuovo fondo speciale». Avendo rideterminato anche il novero degli interventi cui esso era precedentemente destinato, sarebbe stata piuttosto mantenuta un’esatta corrispondenza tra risorse economiche e funzioni da finanziare.

2.2.2.– Quanto alla seconda questione, anch’essa sarebbe anzitutto inammissibile, perché la Regione Liguria non avrebbe adeguatamente dimostrato né l’impatto finanziario del contributo alla finanza pubblica sulla possibilità di svolgere le funzioni assegnate agli enti locali, né la sua concreta ricaduta sull’autonomia finanziaria dell’ente stesso. Ricorda la difesa statale che, per costante giurisprudenza costituzionale, l’autonomia finanziaria costituzionalmente garantita agli enti territoriali non comporterebbe una rigida garanzia quantitativa e sarebbero, quindi, sempre ammesse riduzioni delle risorse disponibili, «purché tali diminuzioni non rendano impossibile lo svolgimento delle funzioni attribuite agli enti territoriali medesimi» (sono citate le sentenze n. 155 del 2020 e n. 83 del 2019). Precisa altresì l’Avvocatura generale dello Stato che, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, graverebbe sulla parte ricorrente l’onere di dimostrare «l’irreparabile pregiudizio lamentato» motivando sulla «incidenza della misura introdotta dal legislatore statale sulle risorse destinate a tali funzioni» (sono citate le sentenze n. 76 del 2020 e n. 137 del 2018).

Nel merito, la questione sarebbe comunque non fondata, perché il contributo alla finanza pubblica imposto agli enti locali, inserendosi nel contesto di riforme previste dalla nuova governance economica europea, perseguirebbe l’obiettivo di ridurre la spesa corrente degli enti locali per garantire un progressivo miglioramento del saldo del conto economico delle amministrazioni pubbliche, in linea con le proposte legislative formulate dalla Commissione europea e con i vincoli derivanti – per l’ordinamento interno – dagli artt. 81 e 97, primo comma, Cost.

Precisa altresì l’Avvocatura generale che le disposizioni impugnate introducono un contributo alla finanza pubblica limitato all’arco temporale 2024-2028, «in coincidenza con la durata quadriennale del “Piano nazionale strutturale di bilancio a medio termine”», presentato dall’Italia alla Commissione europea, sulla base delle nuove regole della governance economica europea. Inoltre, tale misura sarebbe idonea a incidere esclusivamente sulla spesa corrente, al fine di non pregiudicare le politiche di investimento degli enti locali e, comunque, al netto della spesa relativa alla indicata Missione 12, “Diritti sociali, politiche sociali e famiglia”, in modo da salvaguardare l’erogazione dei LEP.

Infine, osserva l’Avvocatura generale che tale contributo si inserisce nell’ambito di numerosi interventi che, negli anni, hanno incrementato le risorse a disposizione degli enti territoriali e, segnatamente: a) gli stanziamenti previsti, durante l’emergenza epidemiologica da COVID-19, dall’art. 106 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2020, n. 77, che ha istituito un fondo per destinare risorse aggiuntive agli enti locali per il finanziamento delle funzioni fondamentali; b) gli ulteriori incrementi stanziati, dapprima, con l’art. 39 del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104 (Misure urgenti per il sostegno e il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, nella legge 13 ottobre 2020, n. 126; successivamente, con l’art. 1, commi 822 e 823, della legge 30 dicembre 2020, n. 178 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023); con l’art. 23 del decreto-legge 22 marzo 2021, n. 41 (Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 21 maggio 2021, n. 69; con l’art. 13 del decreto-legge 27 gennaio 2022, n. 4 (Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da COVID-19, nonché per il contenimento degli effetti degli aumenti dei prezzi nel settore elettrico), convertito, con modificazioni, nella legge 28 marzo 2022, n. 25; con l’art. 37-ter del decreto-legge 21 marzo 2022, n. 21 (Misure urgenti per contrastare gli effetti economici e umanitari della crisi ucraina), convertito, con modificazioni, nella legge 20 maggio 2022, n. 51 e, infine, con l’art. 40 del d.l. n. 50 del 2022, come convertito; c) l’istituzione del Fondo di cui all’art. 25, comma 1, del d.l. n. 41 del 2021, come convertito, per compensare le riduzioni di gettito dell’imposta di soggiorno, ulteriormente incrementato dall’art. 12 del d.l. n. 4 del 2022, come convertito; d) le risorse destinate agli enti locali in virtù del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), approvato con decisione di esecuzione del Consiglio dell’Unione europea del 13 luglio 2021, così come modificato dalla successiva decisione dell’8 dicembre 2023, assegnate a ciascun ente, ai sensi dell’art. 1, commi 1043 e seguenti, della legge n. 178 del 2020; e) nonché i contributi destinati ai comuni per la realizzazione di investimenti in opere pubbliche dall’art. 1, commi 29 e 29-bis, della legge n. 160 del 2019.

La legge di bilancio impugnata, peraltro, stanzierebbe all’art. 1, comma 508, ulteriori risorse per gli enti locali, prevedendo l’istituzione di un nuovo fondo nello stato di previsione del Ministero dell’interno pari a euro 113 milioni per ciascuno degli anni dal 2024 al 2027, per complessivi euro 452 milioni, da destinare in quote costanti nel quadriennio 2024-2027 agli enti locali per fronteggiare ulteriormente gli effetti negativi generati dall’emergenza epidemiologica da COVID-19, tanto sui fabbisogni di spesa quanto sulle minori entrate. Il medesimo comma 508 prevede, altresì, che le disponibilità residue del fondo siano comunque assegnate, per ciascun anno, ai comuni, alle province e alle città metropolitane, con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare previa intesa in Conferenza Stato-città e autonomie locali, sulla base dei criteri e delle modalità individuati nel decreto stesso. Le disposizioni impugnate si inserirebbero dunque – analogamente a quanto già rilevato nella sentenza n. 220 del 2021 di questa Corte – in un contesto «caratterizzato dal tendenziale ripristino dei trasferimenti erariali in favore degli enti locali, sovvenendo – sia pure in parte – ai tagli imposti dalla crisi finanziaria».

Comunque, non ci sarebbe alcuna possibilità di pregiudizio ai LEP, dal momento che le disposizioni impugnate espressamente escludono dal taglio le spese destinate a finanziare la Missione 12, «Diritti sociali, politiche sociali e famiglia».

2.2.3.– Infine, sarebbe parimenti inammissibile la terza questione di legittimità costituzionale, promossa dalla Regione in via subordinata, poiché la ricorrente assumerebbe quale parametro di riferimento non la disciplina generale, che assoggetta tutti gli enti locali al contributo, bensì quella che, per ragioni “peculiari”, sottrae ad essa taluni comuni e che – proprio in quanto norma “eccezionale” – non consentirebbe alcuna utile comparazione, ai fini del giudizio sulla violazione del principio di eguaglianza. L’Avvocatura dello Stato evidenzia che questa Corte, da tempo risalente, ha affermato che «per aversi utile comparazione ai fini del giudizio sulla violazione del principio di eguaglianza, è necessario che il tertium comparationis risponda ad un principio o ad una regola generale, rispetto ai quali la disciplina denunciata rivesta un carattere ingiustificatamente derogatorio» (è citata la sentenza n. 1064 del 1988).

Nel merito la questione sarebbe comunque non fondata per l’asserita evidente differenza fra i soggetti individuati dal comma 8 dell’art. 43 del d.l. n. 50 del 2022, come convertito – ossia i comuni sede di città metropolitana o capoluoghi di provincia con un debito pro-capite superiore ad euro 1000, sulla base del rendiconto dell’anno 2020, che intendono avviare un percorso di riequilibrio strutturale – e quelli individuati non solo dall’art. 243-bis del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, recante «Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali», ossia enti in dissesto o in procedura di riequilibrio, ma anche dal comma 2 dell’art. 43 del citato d.l. n. 50 del 2022, come convertito, ossia comuni capoluogo di provincia con un disavanzo di amministrazione pro capite, sulla base del rendiconto dell’anno 2020, superiore a 500 euro.

3.– L’Avvocatura generale dello Stato ha depositato, il 23 gennaio 2025, una memoria, con la quale ha ribadito le considerazioni in ordine all’inammissibilità e alla non fondatezza del ricorso esposte nell’atto di costituzione, allegando altresì ad essa documentazione idonea, in assunto, a dimostrare, da un lato, che le risorse aggiuntive precedentemente destinate agli obiettivi di servizio confluiscono nel nuovo fondo speciale; dall’altro, e al contempo, che la legge n. 213 del 2023 avrebbe piuttosto disposto in prospettiva l’incremento delle risorse del fondo di solidarietà comunale, prevedendo che le risorse correlate ai suddetti obiettivi di servizio confluiscano in tale fondo una volta che i comuni sotto obiettivo abbiano assicurato i LEP inerenti ai servizi sociali comunali, agli asili nido e al trasporto degli alunni con disabilità.

La memoria ribadisce altresì la non fondatezza della terza questione a fronte della differenza sostanziale fra i comuni esclusi dal contributo alla finanza pubblica e quelli non esclusi, posto che mentre i primi sarebbero caratterizzati da un elevato disavanzo di amministrazione, i comuni di cui al comma 8 dell’art. 43 del d.l. n. 50 del 2022, come convertito, non avrebbero alcun disavanzo di amministrazione ma solo una situazione di elevato debito pro-capite, frutto di scelte di investimento che genererebbero in prospettiva effetti positivi per la comunità di riferimento.

4.– Anche la Regione Liguria ha depositato, il 5 febbraio 2025, una ulteriore memoria illustrativa, in cui sostiene che le disposizioni impugnate con il ricorso sarebbero idonee a penalizzare maggiormente gli enti locali che siano stati più intraprendenti nell’attivarsi per ottenere le risorse del PNRR. Il riparto del contributo alla finanza pubblica disposto con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, del 30 settembre 2024 avrebbe, infatti, maggiormente penalizzato gli enti che, alla data del 31 dicembre 2023, risultavano assegnatari di risorse PNRR: esso avrebbe infatti prefigurato un meccanismo di tipo proporzionale, esplicitato nella nota metodologica allegata al decreto, per cui maggiore è l’investimento, maggiore sarebbe il taglio. L’incoerenza del meccanismo spiegherebbe anche la ragione del mancato raggiungimento dell’intesa sullo schema di decreto in Conferenza Stato-città e autonomie locali, con atto del 27 giugno 2024, n. 816.

A dimostrazione dell’incidenza dei tagli sull’esercizio delle funzioni dei comuni, rappresenta altresì la ricorrente che il comma 788 dell’art. 1 della legge 30 dicembre 2024, n. 207 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2025 e bilancio pluriennale per il triennio 2025-2027) avrebbe imposto un ulteriore contributo alla finanza pubblica, «aggiuntivo rispetto a quello previsto a legislazione vigente», pari a euro 140 milioni per l’anno 2025, a euro 290 milioni per ciascuno degli anni dal 2026 al 2028 e a euro 490 milioni per l’anno 2029, di cui a carico dei comuni euro 130 milioni per l’anno 2025, euro 260 milioni per ciascuno degli anni dal 2026 al 2028 ed euro 440 milioni per l’anno 2029.

Asserisce la Regione Liguria che l’importo complessivo della decurtazione di risorse per i comuni per effetto delle norme richiamate – di cui sono impugnate solo quelle introdotte dalla legge di bilancio per il 2024 – ammonterebbe a euro 430 milioni per il 2025, di cui «100 milioni di spending review informatica, 200 in forza della legge di bilancio del 2024 e 130 per il nuovo contributo», 460 milioni per gli anni dal 2026 al 2028 e 440 milioni nel 2029.


Considerato in diritto

1.– La Regione Liguria, su sollecitazione del Consiglio delle autonomie locali della medesima Regione (art. 5 della legge reg. Liguria n. 1 del 2011), ha impugnato l’art. 1, commi 494, 497, 533, 534 e 535, della legge n. 213 del 2023, in riferimento agli artt. 3, 5, 114, 119, commi primo, terzo, quarto e quinto, e 120, secondo comma, Cost., quest’ultimo in relazione al principio di leale collaborazione.

Il comma 494 modifica la dotazione finanziaria del FSC precedentemente prevista dall’art. 1, comma 448, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019), disponendo che «[i]n attuazione della sentenza della Corte costituzionale n. 71 del 14 aprile 2023» le parole «in euro 7.619.513.365 per l’anno 2025, in euro 7.830.513.365 per l’anno 2026, in euro 8.569.513.365 per l’anno 2027, in euro 8.637.513.365 per l’anno 2028, in euro 8.706.513.365 per l’anno 2029 e in euro 8.744.513.365 annui a decorrere dall’anno 2030» sono sostituite dalle seguenti: «in euro 6.760.590.365 per ciascuno degli anni dal 2025 al 2028, in euro 7.980.590.365 per l’anno 2029, in euro 7.908.608.365 per l’anno 2030 e in euro 8.672.531.365 annui a decorrere dall’anno 2031».

Il comma 497 individua la copertura finanziaria del FELS, istituito dal precedente comma 496, stabilendo che ai relativi oneri economici si provvede mediante l’utilizzo delle «risorse rivenienti dalle modifiche degli importi del Fondo di solidarietà comunale di cui al comma 494».

Il comma 533 istituisce un contributo alla finanza pubblica da parte degli enti locali, prevedendo che: «[a]i fini della tutela dell’unità economica della Repubblica, in considerazione delle esigenze di contenimento della spesa pubblica e nel rispetto dei princìpi di coordinamento della finanza pubblica, nelle more della definizione delle nuove regole della governance economica europea, i comuni, le province e le città metropolitane delle regioni a statuto ordinario, della Regione siciliana e della Regione Sardegna assicurano un contributo alla finanza pubblica pari a 250 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2024 al 2028, di cui 200 milioni di euro annui a carico dei comuni e 50 milioni di euro annui a carico delle province e delle città metropolitane, ripartito in proporzione agli impegni di spesa corrente al netto della spesa relativa alla missione 12, Diritti sociali, politiche sociali e famiglia, degli schemi di bilancio degli enti locali, come risultanti dal rendiconto di gestione 2022 o, in caso di mancanza, dall’ultimo rendiconto approvato e tenuto conto delle risorse del PNRR, approvato con decisione di esecuzione del Consiglio Ecofin dell’Unione europea del 13 luglio 2021, come modificato ai sensi della decisione di esecuzione del Consiglio Ecofin dell’Unione europea dell’8 dicembre 2023, assegnate a ciascun ente alla data del 31 dicembre 2023, così come risultanti dal sistema informativo di cui all’articolo 1, comma 1043, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, nonché delle risorse assegnate ai sensi dell’articolo 1, commi 29 e 29-bis, della legge 27 dicembre 2019, n. 160. Sono esclusi dal concorso di cui al periodo precedente gli enti locali in dissesto finanziario, ai sensi dell’articolo 244 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, o in procedura di riequilibrio finanziario, ai sensi dell’articolo 243-bis del medesimo testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, alla data del 1° gennaio 2024 o che abbiano sottoscritto gli accordi di cui all’articolo 1, comma 572, della legge 30 dicembre 2021, n. 234, e di cui all’articolo 43, comma 2, del decreto-legge 17 maggio 2022, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2022, n. 91».

Il comma 534 rinvia per la determinazione del contributo di ciascun ente locale a un «decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare entro il 31 marzo 2024, previa intesa in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali», precisando che «[i]n caso di mancata intesa entro venti giorni dalla data di prima iscrizione all’ordine del giorno della Conferenza Stato-città ed autonomie locali della proposta di riparto delle riduzioni di cui al periodo precedente, il decreto è comunque adottato».

Infine, il comma 535 stabilisce che il contributo alla finanza pubblica a carico di ciascun ente locale è «trattenuto dal Ministero dell’interno a valere sulle somme spettanti a titolo di Fondo di solidarietà comunale di cui all’articolo 1, comma 380, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, per i comuni, e sulle somme spettanti a titolo di fondo unico distinto per le province e le città metropolitane di cui all’articolo 1, comma 783, della legge 30 dicembre 2020, n. 178».

1.1.– Con la prima questione, la Regione ricorrente impugna le disposizioni di cui ai commi 494 e 497 dell’art. 1 della legge n. 213 del 2023 che, in asserita attuazione della sentenza di questa Corte n. 71 del 2023, nello spostare risorse dal FSC al neoistituito FELS, non avrebbero considerato, da un lato, se tali risorse siano adeguatamente dimensionate ai fabbisogni da finanziare, come imposto dal principio di correlazione tra risorse e funzioni, di cui all’art. 119, quarto comma, Cost.; dall’altro, se tali risorse siano effettivamente congrue rispetto all’esigenza di evitare regressioni nell’attuazione dei LEP. Le disposizioni impugnate, inoltre, nel finanziare il Fondo per l’equità del livello dei servizi con la “componente verticale” del FSC, violerebbero lo stesso principio di “perequazione verticale”, in quanto la principale fonte di finanziamento di tale fondo non sarebbe più rappresentata da risorse statali, ma da «prelievi forzosi» sulle entrate tributarie derivanti dall’IMU, vale a dire nella sua “componente orizzontale”. Sarebbero pertanto violati gli artt. 5, 114, 119, commi primo, terzo, quarto e quinto, e 120, secondo comma, Cost.

1.2.– La seconda questione si appunta sulle disposizioni di cui ai commi da 533 a 535 dell’art. 1 della legge n. 213 del 2023, le quali, nell’imporre un “taglio lineare” a valere sulle risorse del FSC, comprimerebbero l’autonomia finanziaria degli enti locali, mettendo a rischio la garanzia dei LEP, violando così gli artt. 5, 114, 119, commi primo, terzo e quarto, Cost., nonché il principio di leale collaborazione di cui all’art. 120, secondo comma, Cost.

Secondo la ricorrente verrebbe disatteso quanto pattuito nell’intesa sottoscritta in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali il 30 gennaio 2020 poiché la contrazione di risorse del FSC introdotta nel 2014, anziché terminare nel 2024, verrebbe prolungata per altri quattro anni (fino al 2028).

La lesione dei suddetti principi costituzionali non sarebbe esclusa neppure dalla previsione che il taglio in questione dovrebbe essere ripartito in proporzione agli impegni di spesa corrente, facendo salva la spesa relativa alla Missione 12, «Diritti sociali, politiche sociali e famiglia», in quanto mancherebbe una complessiva valutazione d’impatto della misura.

1.3.– In subordine, con la terza questione la ricorrente impugna la disposizione di cui al menzionato comma 533 per un ulteriore profilo, nella parte in cui esenta dal contributo alla finanza pubblica gli enti in dissesto e in procedura di riequilibrio, nonché quelli che hanno sottoscritto accordi di risanamento finanziario con il Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell’art. 1, comma 572, della legge n. 234 del 2021 e dell’art. 43, comma 2, del d.l. n. 50 del 2022, come convertito, ma non anche gli enti che hanno sottoscritto i medesimi accordi ai sensi del successivo comma 8 del citato art. 43.

La disposizione in esame, infatti, è censurata laddove esenta dall’applicazione del taglio una serie di comuni che si trovano in condizioni precarie e sono oggetto di speciali misure di riequilibrio finanziario, il cui effetto, evidentemente, sarebbe pregiudicato nel caso in cui dovessero anch’essi concorrere agli obiettivi di finanza pubblica, ma non anche i comuni, come quello di Genova, che abbiano sottoscritto i medesimi patti ai sensi del richiamato comma 8 dell’art. 43, e che necessitano di un «percorso di riequilibrio strutturale». Tale esclusione determinerebbe la violazione degli artt. 3, 5, 114, 119, commi primo, terzo e quarto, e 120, secondo comma, Cost. poiché irragionevole, discriminatoria e lesiva dell’autonomia finanziaria degli enti stessi.

2.– Devono essere anzitutto disattese le eccezioni d’inammissibilità sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri.

2.1.– L’Avvocatura generale dello Stato eccepisce l’inammissibilità della prima questione perché sarebbe volta a censurare le modalità con cui lo Stato, nell’esercizio della propria discrezionalità, ha dato attuazione alla sentenza n. 71 del 2023.

L’eccezione non è fondata.

Nella richiamata sentenza è stato affermato che la rimodulazione del FSC auspicata dalla Regione Liguria in quel giudizio non rappresentava l’unica possibilità di rispondere alle esigenze della ricorrente, sicché, dato il ventaglio di soluzioni possibili, «il compito di adeguare il diritto vigente alla tutela costituzionale riconosciuta all’autonomia finanziaria comunale […] non può che spettare al legislatore» (sentenza n. 71 del 2023).

Il riconoscimento dell’ampia possibilità di scelta rimessa alla discrezionalità del legislatore non esclude affatto che, una volta che tale discrezionalità sia stata esercitata, la soluzione normativa adottata possa presentare vizi di legittimità costituzionale, suscettibili di accertamento da parte di questa Corte.

In effetti, oggetto di impugnazione da parte della Regione Liguria sono le disposizioni di cui ai commi 494 e 497 dell’art. 1 della legge n. 213 del 2023 che, in attuazione della sentenza n. 71 del 2023, prevedono la riduzione delle risorse del Fondo di solidarietà comunale, destinando le risorse rivenienti da tale riduzione al finanziamento del FELS.

Il petitum, dunque, risulta sufficientemente definito e l’eventuale accoglimento della questione rappresenterebbe la naturale conseguenza del controllo di costituzionalità che questa Corte è tenuta a svolgere. Per tali ragioni l’eccezione è priva di fondamento.

2.2.– A parere del Presidente del Consiglio dei ministri, anche la seconda questione sarebbe inammissibile, perché la Regione Liguria non avrebbe adeguatamente dimostrato né l’impatto finanziario del contributo alla finanza pubblica sulla possibilità di svolgere le funzioni assegnate agli enti locali, né la sua concreta ricaduta sull’autonomia finanziaria dell’ente stesso.

L’eccezione è priva di fondamento.

Per costante giurisprudenza costituzionale, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, grava sulla parte ricorrente l’onere di dimostrare «“l’irreparabile pregiudizio lamentato”» (ex multis, sentenza n. 76 del 2020) allo svolgimento delle funzioni dell’ente territoriale, motivando sulla «“incidenza della misura introdotta dal legislatore statale sulle risorse destinate a tali funzioni”» (ex multis, sentenze n. 130 del 2024 e n. 220 del 2021).

Nel caso di specie, il pregiudizio lamentato dalla ricorrente deriva dalla combinazione di più norme oggetto di impugnazione: la riduzione della quota verticale del fondo di solidarietà comunale (confluita nel fondo speciale) e il contestuale contributo alla finanza pubblica imposto ai comuni (a valere proprio sui trasferimenti del FSC).

La dedotta contrazione delle risorse trasferite dallo Stato, unitamente all’imposizione del contributo alla finanza pubblica, sono elementi di per sé in grado di sostenere le potenzialità lesive delle disposizioni impugnate in relazione allo svolgimento delle funzioni assegnate e quindi di consentire l’esame nel merito della questione secondo la giurisprudenza di questa Corte (ex multis, sentenze n. 220 del 2021 e n. 137 del 2018).

2.3.– Anche l’ultima eccezione di inammissibilità, relativa alla terza questione, è destituita di fondamento, poiché la valutazione sull’idoneità della norma assunta a tertium comparatonis a fungere da termine di raffronto ai fini del giudizio di violazione del principio di eguaglianza, attiene al merito, e non all’ammissibilità.

3.– Deve, invece, rilevarsi d’ufficio l’inammissibilità di singoli motivi di impugnazione per assenza di motivazione (da ultimo, sentenza n. 192 del 2024, punto 8.2. del Considerato in diritto), in quanto il ricorso si limita a menzionare i parametri costituzionali senza fornire alcuna argomentazione quanto alla loro violazione.

Segnatamente, sono inammissibili: la prima questione di legittimità costituzionale, nella parte riferita agli artt. 5, 114 e 120, secondo comma, Cost.; la seconda questione, nella parte riferita agli artt. 5 e 114 Cost.; la terza questione posta in via subordinata, nella parte riferita agli artt. 5, 114 e 120, secondo comma, Cost.

4.– Sempre in via preliminare, deve osservarsi che il ricorso, benché impugni formalmente le disposizioni di cui ai commi da 533 a 535 dell’art. 1 della legge n. 213 del 2023, limita l’intero apparato motivazionale alla norma che prevede il contributo a carico dei comuni contenuta nel comma 533, senza spendere alcuna valutazione in merito alle modalità di determinazione degli importi da ripartire (comma 534), né sulle modalità di attuazione di tale contributo, ossia mediante trattenuta del Ministero dell’interno a valere sulle somme spettanti a titolo di FSC (comma 535).

Alla luce dei motivi dell’impugnativa deve, pertanto, circoscriversi il thema decidendum della seconda questione al solo comma 533 (ex multis, sentenze n. 147 del 2023 e n. 147 del 2022).

5.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 494 e 497, della legge n. 213 del 2023, proposta in riferimento all’art. 119, commi primo, terzo, quarto e quinto, Cost., non è fondata.

La ricorrente ritiene che le disposizioni impugnate, nel trasferire risorse dal FSC al FELS, riducendo così la composizione del primo in favore del secondo, renderebbe impossibile lo svolgimento delle funzioni fondamentali, precluderebbe il finanziamento dei LEP e ridurrebbe la componente verticale del fondo stesso.

5.1.– Questa Corte ha avuto modo di intervenire a più riprese sulle caratteristiche del sistema perequativo ricavabile dall’art. 119 Cost. dopo la riforma del Titolo V, sottolineando che «[a]i sensi dell’art. 119, quarto comma, Cost., le funzioni degli enti territoriali devono essere assicurate in concreto mediante le risorse menzionate ai primi tre commi del medesimo art. 119 Cost., attraverso un criterio perequativo trasparente e ostensibile, in attuazione dei principi fissati dall’art. 17, comma 1, lettera a), della legge n. 42 del 2009» (sentenza n. 220 del 2021).

Con la recente sentenza n. 71 del 2023, nel rilevare che «all’interno del FSC e in aggiunta alla tradizionale perequazione ordinaria – strutturata, fin dalla sua istituzione, secondo i canoni del terzo comma dell’art. 119 Cost. e quindi senza alcun vincolo di destinazione – è stata […] progressivamente introdotta, a partire dal 2021, una componente perequativa speciale, non più diretta a colmare le differenze di capacità fiscale, ma puntualmente vincolata a raggiungere determinati livelli essenziali e obiettivi di servizio», si è sottolineato che una simile «ibridazione [è] estranea al disegno costituzionale dell’autonomia finanziaria, il quale, a tutela dell’autonomia degli enti territoriali, mantiene necessariamente distinte le due forme di perequazione».

L’intervento del legislatore statale (commi da 494 a 497 dell’art. 1 della legge n. 213 del 2023) – solo in parte contestato nel presente giudizio – ha riallocato le risorse vincolate dal FSC (dove, evidentemente, in ragione del vincolo, non potevano figurare, come chiarito con la sentenza n. 71 del 2023) facendole confluire in un fondo ad hoc, speciale e con vincolo di destinazione: il FELS, appunto, individuando come destinatari i comuni che ancora non abbiano raggiunto i livelli essenziali o gli obiettivi di servizio relativi a servizi sociali, asili nido e trasporto di alunni disabili (art. 1, comma 496, lettere a, b e c, della legge n. 213 del 2023).

Tale scelta, espressiva della discrezionalità del legislatore, recepisce il monito formulato da questa Corte con la richiamata sentenza n. 71 del 2023, in cui si è affermato che l’art. 120, secondo comma, Cost. abilita il potere sostitutivo dello Stato come rimedio all’inadempienza dell’ente territoriale, ove lo richieda «la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali». Questa previsione «fa sistema» con l’art. 119, quinto comma, Cost. ed è quindi all’interno dei fondi perequativi speciali, correttamente strutturati ai sensi del richiamato quinto comma dell’art. 119 Cost., che «sarebbe possibile trarre le coerenti e necessarie implicazioni in caso di mancato impegno delle risorse statali vincolate a favore dei LEP […] giungendo a prevedere, quando necessario, opportune forme di commissariamento degli enti inadempienti» (sentenza n. 71 del 2023).

Deve quindi ribadirsi che, se nell’unico fondo perequativo relativo ai comuni, ai sensi dell’art. 119, terzo comma, Cost., non possono tollerarsi quote “vincolate”, altre «componenti perequative riconducibili al quinto comma della medesima disposizione […] devono, invece, trovare distinta, apposita e trasparente collocazione in altri fondi a ciò dedicati, con tutte le conseguenti implicazioni, anche in termini di rispetto, quando necessario, degli ambiti di competenza regionali» (ancora sentenza n. 71 del 2023).

La questione sull’attuale composizione del FSC si palesa non fondata anche in considerazione della complessiva disciplina del fondo speciale istituito dal comma 496 dell’art. 1 della legge n. 213 del 2023.

Deve rilevarsi, infatti, che ai sensi della lettera d) del comma 495 dell’art. 1 della legge n. 213 del 2023, a partire dal 2029, il FSC sarà progressivamente reintegrato delle risorse stanziate dalle leggi di bilancio 2021-2022 e finalizzate al potenziamento dei servizi sociali comunali, degli asili nido e del trasporto di studenti disabili (art. 1, commi 791 e 792, della legge n. 178 del 2020 e art. 1, commi 172, 174, 563 e 564, della legge n. 234 del 2021). In altri termini, una volta conseguiti, da parte di tutti i comuni, i LEP e gli obiettivi di servizio di cui ai commi da 496 a 501, le risorse in esame perderanno la loro natura di interventi speciali di cui all’art. 119, quinto comma, Cost., e confluiranno, quindi, quale componente verticale nel FSC, destinato alla perequazione generale.

5.2.– Neppure è fondata la questione per il profilo dell’insufficienza del FSC a finanziare le funzioni fondamentali degli enti locali.

Con una recente pronuncia, relativamente alla composizione del FSC, questa Corte ha ricordato che gli interventi legislativi che incidono sull’assetto finanziario degli enti territoriali non devono essere valutati «in maniera atomistica, ma nel contesto delle altre disposizioni di carattere finanziario» (sentenza n. 63 del 2024).

Occorre considerare che negli ultimi anni lo Stato ha trasferito ingenti risorse ai comuni non solo per fronteggiare gli effetti negativi della pandemia da COVID-19 e della crisi ucraina, ma anche per la realizzazione dei progetti legati al PNRR.

In particolare, durante l’emergenza da COVID-19, è stato istituito un fondo per destinare risorse aggiuntive agli enti locali per il finanziamento delle funzioni proprie (art. 106 del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, e successive modifiche e integrazioni); in conseguenza del conflitto russo-ucraino, poi, sono state adottate ulteriori misure per compensare gli effetti economici della crisi energetica (art. 37-ter del d.l. n. 21 del 2022, come convertito, e successive modifiche e integrazioni); in attuazione degli impegni assunti con il PNRR, poi, sono state stanziate ulteriori risorse (art. 1, commi 1043 e seguenti, della legge n. 178 del 2020) anche specificamente destinate alla realizzazione di investimenti in opere pubbliche (art. 1, commi 29 e 29-bis, della legge n. 160 del 2019). La stessa legge n. 213 del 2023, peraltro, all’art. 1, comma 508, ha previsto l’istituzione di un nuovo fondo nello stato di previsione del Ministero dell’interno pari a euro 113 milioni per ciascuno degli anni dal 2024 al 2027, per complessivi euro 452 milioni, da destinare, in quote costanti nel quadriennio 2024-2027, agli enti locali per fronteggiare ulteriormente gli effetti negativi generati dall’emergenza epidemiologica da COVID-19, tanto sui fabbisogni di spesa, quanto sulle minori entrate. Il medesimo comma 508 prevede altresì che le disponibilità residue del fondo siano comunque assegnate, per ciascun anno, ai comuni, alle province e alle città metropolitane, con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare previa intesa in Conferenza Stato-città e autonomie locali, sulla base dei criteri e delle modalità individuati nel decreto stesso.

5.3.– Quanto, infine, alla provenienza delle risorse e, quindi, alla natura verticale od orizzontale dei fondi perequativi (ossia, rispettivamente, alla fonte statale o meramente comunale), questa Corte ha affermato che il modello di perequazione esclusivamente verticale è «espressamente imposto solo dall’art. 119, quinto comma, Cost., il quale attribuisce chiaramente allo “Stato” il compito di destinare “risorse aggiuntive” e di effettuare interventi speciali a favore di “determinati” enti territoriali, quando lo richiedano, tra l’altro, gli obiettivi di promuovere lo sviluppo economico, di coesione e solidarietà sociale, di rimuovere gli squilibri economici e sociali, o infine, di garantire l’effettivo esercizio dei diritti della persona» (sentenza n. 63 del 2024).

Nel rigettare la questione, questa Corte non può tuttavia esimersi dal rilevare che lo Stato continua a generare un sistema di finanza locale derivata, alimentata da trasferimenti veicolati da fondi settoriali, così allontanandosi dal modello di autonomia finanziaria delineato dall’art. 119 Cost., la cui attuazione è stata ripetutamente sollecitata dalla Corte stessa (da ultimo, sentenza n. 195 del 2024). Emblematico, in proposito, è il fatto che la componente ristorativa per il riparto del FSC, nel 2025, anziché confluire nel FSC, sia stata dirottata in un ennesimo fondo vincolato (comma 754 dell’art. 1 della legge n. 207 del 2024).

6.– La seconda questione si appunta sul contributo alla finanza pubblica a carico dei comuni per gli anni dal 2024 al 2028, pari a euro 200 milioni, «ripartito in proporzione agli impegni di spesa corrente al netto della spesa relativa alla missione 12, Diritti sociali, politiche sociali e famiglia, degli schemi di bilancio degli enti locali, come risultanti dal rendiconto di gestione 2022» (art. 1, comma 533, della legge n. 213 del 2023).

Secondo la ricorrente, tale disposizione, nell’imporre un “taglio lineare”, contravvenendo a quanto stabilito nell’intesa sottoscritta in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali il 30 gennaio 2020 – con cui lo Stato si era impegnato a ripristinare progressivamente la componente verticale del FSC – determinerebbe la violazione dell’autonomia finanziaria degli enti locali riconosciuta dall’art. 119, commi primo, terzo e quarto, Cost., precluderebbe la piena erogazione dei LEP e violerebbe altresì il principio di leale collaborazione di cui all’art. 120, secondo comma, Cost.

La questione non è fondata.

6.1.– Per costante giurisprudenza costituzionale, «la finanza delle Regioni, delle Province autonome e degli enti locali è “parte della finanza pubblica allargata” […], pertanto, “il legislatore statale può, con una disciplina di principio, legittimamente imporre alle Regioni e agli enti locali, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all’autonomia di spesa degli enti territoriali” (sentenza n. 44 del 2014 […])» (sentenza n. 64 del 2016).

Tali vincoli, tuttavia, perché possano considerarsi rispettosi dell’autonomia delle Regioni e degli enti locali, «devono riguardare “l’entità del disavanzo di parte corrente oppure – ma solo ‘in via transitoria ed in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale’ – la crescita della spesa corrente”. In altri termini, la legge statale può stabilire solo un “limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa” (sentenze n. 417 del 2005 e n. 36 del 2004 […])» (sentenza n. 43 del 2016).

Il legislatore statale, con la disposizione impugnata, ha inteso perseguire l’esigenza di contenimento della spesa pubblica per il comparto degli enti locali, analogamente a quanto previsto per le regioni, in considerazione degli impegni assunti in sede europea con la sottoscrizione del nuovo Piano strutturale di bilancio, di durata settennale, che vincola il Paese a rispettare una traiettoria di spesa netta (nuova governance economica europea).

Per le amministrazioni comunali (e provinciali) la disposizione impugnata si limita a definire l’importo complessivo del contributo richiesto, lasciando dunque un significativo margine di autonomia alle regioni e agli enti locali in merito alle materie/voci di bilancio relativamente alle quali effettuare i risparmi e, soprattutto, escludendo dal calcolo delle spese quelle concernenti il finanziamento dei diritti sociali.

Deve infatti ricordarsi che questa Corte, nel decidere questioni promosse dalla Regione Campania su un analogo contributo imposto alle regioni, prevedendo che si escludessero dal calcolo le spese per le politiche sociali, la famiglia e la sanità, ha osservato che «la modalità prescelta dal legislatore presenta caratteri di forte novità rispetto alle precedenti manovre di contenimento della spesa regionale», perché ha attribuito alle spese destinate a fornire prestazioni inerenti ai diritti sociali, alle politiche sociali e alla famiglia, nonché alla tutela della salute «una preferenza qualitativa, idonea a distinguerle da quelle rilevanti ai fini del riparto del contributo» (sentenza n. 195 del 2024).

Anche in questa sede deve pertanto rilevarsi che il criterio individuato dal legislatore è volto ad attuare il principio della spesa costituzionalmente necessaria (evocato a partire dalla sentenza n. 169 del 2017 e ripreso poi nelle sentenze n. 195 del 2024, n. 220 del 2021, n. 197 del 2019 e n. 87 del 2018), prevedendo che, in un contesto di risorse scarse, devono essere prioritariamente ridotte le altre spese indistinte, rispetto a quelle che si connotano come funzionali a garantire la tutela dei diritti sociali, delle politiche sociali e della famiglia.

6.2.– Parimenti non fondato è il profilo di censura incentrato sulla violazione del requisito della temporaneità, posto che la determinazione della durata quinquennale del contributo introdotto dal legislatore nella legge di bilancio 2024 deve ricollegarsi al quadro normativo definito dalla nuova governance economica europea, destinata a entrare in vigore nel corso dello stesso 2024 e, dunque, a influenzare la manovra di bilancio.

6.3.– Infine, quanto al profilo di censura relativo alla violazione del principio di leale collaborazione, in quanto il contributo alla finanza pubblica imposto ai comuni finirebbe per ledere l’accordo del 2020 sulla ricostituzione della quota verticale del FSC, la questione è parimenti non fondata, perché le modalità di riparto del contributo previsto dalla disposizione impugnata sono stabilite con decreto del Ministro dell’interno previa intesa in Conferenza Stato-città ed autonomie locali (intesa peraltro superabile in caso di mancato accordo, disposizione non oggetto di impugnazione).

L’intesa, cui fa riferimento la ricorrente, ha portato allo stanziamento di risorse aggiuntive, confluite oggi nel fondo speciale, FELS, e che rientreranno nel FSC a partire dal 2029, una volta raggiunti gli obiettivi di servizio e i LEP previsti dal comma 496 dell’art. 1 della legge n. 213 del 2023.

6.3.1.– Ciò posto, occorre ribadire che sono da evitare sostanziali estensioni dell’ambito temporale di precedenti manovre perché tale prassi «potrebbe sottrarre al confronto parlamentare la valutazione degli effetti complessivi e sistemici di queste ultime in un periodo più lungo» (sentenze n. 195 del 2024 e n. 169 del 2017).

Questa Corte ha già affermato la necessità, da parte dello Stato, «custode della finanza pubblica allargata» (ex multis, sentenze n. 195 del 2024 e n. 103 del 2017), di acquisire adeguati elementi istruttori sulla sostenibilità dell’importo del contributo da parte degli enti ai quali viene richiesto, al fine di «scongiurare l’adozione di “tagli al buio”, i quali, oltre a poter risultare non sostenibili dalle autonomie territoriali, con imprevedibili ricadute sui servizi offerti alla popolazione, non consentirebbero nemmeno una trasparente ponderazione in sede parlamentare» (sentenza n. 195 del 2024).

In relazione a questa esigenza e nella prospettiva della nuova governance economica europea, che prevede, come detto, anche l’allungamento temporale delle misure di contenimento della spesa netta menzionate nel Piano strutturale di bilancio, si palesa vieppiù la necessità di un ossequio sostanziale, e non meramente formale, al principio di leale collaborazione, mediante il coinvolgimento delle sedi già appositamente contemplate nell’ordinamento, come la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, di cui l’art. 5 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione) (da ultimo, sentenza n. 195 del 2024).

7.– Con l’ultima questione, promossa in via subordinata, la ricorrente lamenta che l’art. 1, comma 533, della legge n. 213 del 2023 sarebbe discriminatorio e irragionevole nel non prevedere che siano esentati dal contributo alla finanza pubblica i comuni – come quello di Genova – che, pur mantenendo il bilancio in equilibrio, presentino un elevato debito pro capite, quando invece la disposizione esclude dal concorso alla finanza pubblica i comuni in dissesto finanziario o in procedura di riequilibrio finanziario (cosiddetto pre-dissesto) o che a fronte di un elevato disavanzo pro capite abbiano sottoscritto specifici accordi con lo Stato per ottenere uno speciale contributo statale. Di qui l’asserita violazione del principio di ragionevolezza desumibile dall’art. 3 Cost. nonché dell’autonomia finanziaria degli enti locali di cui all’art. 119, commi primo, terzo e quarto, Cost.

Anche tale questione non è fondata.

Le esenzioni individuate dal legislatore attengono, con tutta evidenza, a situazioni diverse e non comparabili a quella del comune che presenti un (anche elevato) debito pro capite, né a quella del comune che stia ripianando un normale disavanzo di amministrazione con apposito piano di rientro, ai sensi dell’art. 188 del d.lgs. n. 267 del 2000, nel corso dell’esercizio, ovvero negli esercizi successivi considerati nel bilancio di previsione e, in ogni caso, non oltre la durata della consiliatura.

La dichiarazione di dissesto certifica, infatti, la situazione dell’ente che non può garantire l’assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili ovvero che non può far fronte ai crediti vantati dai terzi con le ordinarie modalità di risanamento del bilancio (art. 244 TUEL).

Anche la condizione di ente in procedura di riequilibrio finanziario pluriennale è omogenea alla precedente, ricorrendo in presenza di squilibri strutturali del bilancio in grado di provocare il dissesto finanziario, ossia di una situazione molto più articolata rispetto alla mera sussistenza di un disavanzo di amministrazione (art. 243-bis TUEL).

In entrambi i casi, si tratta di discipline speciali che comportano, quanto al dissesto, la perdita da parte degli amministratori dei poteri di gestione sui rapporti anteriori alla dichiarazione di dissesto (affidati a un organo straordinario di liquidazione) e forti limitazioni per l’attività gestoria successiva. Anche per quanto attiene all’attuazione del piano di riequilibrio finanziario pluriennale gli organi dell’ente sono sottoposti a limitazioni dei poteri di gestione.

Quanto alla terza ipotesi di esonero, essa è del tutto speciale, riguardando soltanto i comuni sede di capoluogo di città metropolitana o di provincia che stiano ripianando un disavanzo di amministrazione di importo consistente (superiore a euro 500 o euro 700 pro capite) e che abbiano sottoscritto accordi con lo Stato comportanti specifici impegni volti al più efficace rientro dal disavanzo e a limitare i poteri di gestione degli amministratori (art. 1, commi 572 e 573, della legge n. 234 del 2021 e art. 43, comma 2, del d.l. n. 50 del 2022, come convertito).

La censura regionale non è quindi fondata, perché pretende di assimilare situazioni obiettivamente diverse: il legislatore statale ha preso in considerazione ipotesi speciali e non ha, invece, esonerato i comuni che presentino un elevato debito pro capite, contratto per spese di investimento e che abbiano in corso “ordinari” piani di rientro dal disavanzo di amministrazione (in senso analogo, da ultimo, sentenza n. 195 del 2024).


per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 494 e 497, della legge 30 dicembre 2023, n. 213 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2024 e bilancio pluriennale per il triennio 2024-2026), promossa, in riferimento agli artt. 5, 114 e 120, secondo comma, della Costituzione, dalla Regione Liguria con il ricorso indicato in epigrafe;

2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 533, della legge n. 213 del 2023, promosse, in riferimento agli artt. 5, 114 e 120, secondo comma, Cost., dalla Regione Liguria con il ricorso indicato in epigrafe;

3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 494 e 497, della legge n. 213 del 2023, promossa, in riferimento all’art. 119, commi primo, terzo, quarto e quinto, Cost., dalla Regione Liguria con il ricorso indicato in epigrafe;

4) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 533, della legge n. 213 del 2023, promosse, in riferimento agli artt. 3, 119, commi primo, terzo e quarto, e 120, secondo comma, Cost., dalla Regione Liguria con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 febbraio 2025.

F.to:

Giovanni AMOROSO, Presidente

Angelo BUSCEMA, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 17 aprile 2025

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA