Sentenza 65/2024 (ECLI:IT:COST:2024:65)
Giudizio: GIUDIZIO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE TRA POTERI DELLO STATO
Presidente: BARBERA - Redattore: VIGANÒ
Udienza Pubblica del 19/03/2024;    Decisione  del 19/03/2024
Deposito del 19/04/2024;   Pubblicazione in G. U. 24/04/2024  n. 17
Norme impugnate: Sentenze della Corte di Cassazione, sezioni unite civili, 12/05/2022, n. 15236, e del Consiglio di Stato, sezione quinta, 31/05/2021, n. 4150.
Massime: 
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Atti decisi: confl. pot. mer. 4/2023


Pronuncia

SENTENZA N. 65

ANNO 2024


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da: Presidente: Augusto Antonio BARBERA; Giudici : Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,


ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito delle sentenze della Corte di cassazione, sezioni unite civili, 12 maggio 2022, n. 15236, e del Consiglio di Stato, sezione quinta, 31 maggio 2021, n. 4150, promosso dalla Camera dei deputati, con ricorso notificato il 22 settembre 2023, depositato in cancelleria il 9 ottobre 2023, iscritto al n. 4 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2023 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2023, fase di merito.

Visti l’atto di costituzione del Consiglio di Stato e l’atto di intervento del Senato della Repubblica;

udito nell’udienza pubblica del 19 marzo 2024 il Giudice relatore Francesco Viganò;

uditi gli avvocati Massimo Luciani per la Camera dei deputati, Francesco Saverio Marini e Vinicio Settimio Nardo per il Senato della Repubblica;

deliberato nella camera di consiglio del 19 marzo 2024.


Ritenuto in fatto

1.– Con il ricorso indicato in epigrafe, la Camera dei deputati ha promosso confitto di attribuzione fra poteri dello Stato nei confronti della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato in riferimento alle sentenze, rispettivamente, delle sezioni unite civili, 12 maggio 2022, n. 15236, e della sezione quinta, 31 maggio 2021, n. 4150.

1.1.– Riferisce la ricorrente che nel 2017 l’amministrazione della Camera dei deputati aveva avviato una procedura ristretta di rilievo comunitario per l’appalto di diversi servizi di monitoraggio di contratti Information and Communication Technology (ICT). La graduatoria finale della procedura, quale risultante al termine delle attività della commissione giudicatrice, vedeva classificarsi al primo posto il raggruppamento temporaneo di imprese (RTI) costituito da P. srl e H. spa. Tuttavia, con provvedimento dell’11 ottobre 2019 il Servizio amministrazione della Camera, rilevate talune anomalie nell’offerta, deliberava l’esclusione di detto RTI dalla procedura.

Il provvedimento di esclusione, così come i verbali e documenti che motivavano tale esclusione e il provvedimento di aggiudicazione conclusivo della procedura, venivano quindi impugnati congiuntamente dalle due società facenti parte del RTI innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio.

Di fronte al giudice amministrativo si costituiva l’amministrazione della Camera dei deputati, che formulava in via pregiudiziale eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo nonché di ogni altro giudice esterno alla Camera stessa, stante l’esclusiva competenza a conoscere della controversia del Consiglio di giurisdizione della Camera, quale organo di autodichia. In particolare, la Camera rilevava che il «Regolamento per la tutela giurisdizionale relativa agli atti di amministrazione della Camera dei deputati non concernente i dipendenti», approvato in attuazione dell’art. 12, comma 3, lettera f), del regolamento della Camera dei deputati 18 febbraio 1971 e s.m.i., di cui all’art. 64, primo comma, della Costituzione, attribuisce all’organo di autodichia il compito di decidere in primo grado sui «ricorsi e qualsiasi impugnativa, anche presentata da soggetti esterni alla Camera, avverso gli atti di amministrazione della Camera medesima» (art. 1).

Con sentenza del 24 aprile 2020, n. 4183, il TAR Lazio respingeva nel merito il ricorso, ma contesualmente rigettava l’eccezione di inammissibilità formulata dall’amministrazione della Camera, affermando la propria giurisdizione. Richiamate le sentenze n. 120 del 2014 e n. 262 del 2017 di questa Corte, infatti, il giudice amministrativo rilevava che «[a]lla luce delle suddette pronunce deve ritenersi che la previsione regolamentare invocata non possa estendersi alle controversie in materia di appalti, le quali hanno la loro disciplina in atti di normazione statale e comunitaria e non riguardano questioni interne all’organo costituzionale».

Nel giudizio di appello instaurato dalle società soccombenti innanzi il Consiglio di Stato si costituiva l’amministrazione della Camera dei deputati, chiedendo il rigetto del ricorso e proponendo appello incidentale nei confronti della sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo.

Con la sentenza n. 4150 del 2021 il Consiglio di Stato respingeva l’appello incidentale della Camera e accoglieva il ricorso delle società appellanti in via principale. In particolare, il giudice amministrativo affermava che la giurisdizione domestica della Camera dovesse essere limitata «alle controversie che abbiano per oggetto non qualsiasi atto di amministrazione della Camera dei deputati ma esclusivamente quegli atti adottati in una materia in ordine alla quale, all’organo costituzionale, è costituzionalmente riconosciuta una sfera di autonomia normativa». Le altre controversie – fra cui, come nel caso di specie, quelle aventi a oggetto l’affidamento a terzi di contratti di lavori, servizi e forniture – sarebbero invece sottoposte, «secondo la “grande regola” dello Stato di diritto ed il conseguente regime giurisdizionale al quale sono normalmente sottoposti, nel nostro sistema costituzionale, tutti i beni giuridici e tutti i diritti (artt. 24, 112 e 113 della Costituzione)», alla giurisdizione comune.

Avverso tale pronuncia, la Camera proponeva ricorso per cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, lamentando in particolare la lesione delle proprie attribuzioni costituzionali e affermando che le norme regolamentari che escludono la giurisdizione di qualsiasi giudice esterno alla Camera stessa sulle controversie come quella in esame possiedono rango primario, equiparato a quello delle norme di legge, e non possono pertanto essere disapplicate da parte di un giudice esterno alla Camera. Il Consiglio di Stato avrebbe pertanto dovuto prendere atto dell’autodichia della Camera e dichiarare l’inammissibilità del ricorso introduttivo, o in alternativa, sollevare conflitto di attribuzione innanzi a questa Corte.

Con la sentenza n. 15236 del 2022, la Corte di cassazione, sezioni unite civili, respingeva il ricorso della Camera, affermando che «[r]iconoscendo la propria giurisdizione e decidendo il fondo della controversia, il Consiglio di Stato non ha disapplicato i Regolamenti parlamentari, ma ne ha solo interpretato la portata, correttamente escludendo che le disposizioni da esse recate giustificassero l’attrazione, nell’ambito della cognizione dell’Organo di autodichia, dell’impugnazione del provvedimento, adottato dal Servizio Amministrazione della Camera, di esclusione dell’offerta del costituendo raggruppamento dalla procedura di gara di rilievo comunitario per l’affidamento dell’appalto».

1.2.– Tanto premesso, la Camera promuove ricorso per conflitto di attribuzione nei confronti della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato, in riferimento alle menzionate sentenze, chiedendo a questa Corte di «dichiarare che non spettava al Consiglio di Stato e alla Corte di cassazione, in quanto organi della giurisdizione comune, giudicare della controversia descritta in narrativa, con conseguente annullamento» di entrambe le sentenze.

Esse avrebbero infatti affermato la giurisdizione del giudice amministrativo in luogo di quella dell’organo di autodichia della Camera «con sostanziale medesimezza di argomentazioni», risultando pertanto entrambe lesive delle attribuzioni costituzionali della Camera. Precisa inoltre la ricorrente che il ricorso in esame «non intende certo rivendicare la sottrazione a qualsivoglia sindacato giurisdizionale esterno, bensì […] ottenere la puntuale definizione dei confini fra le giurisdizioni, rimuovendo le ragioni di incertezza derivanti da alcuni punti rimasti in ombra» nei precedenti arresti di questa Corte. E ciò anche «nell’interesse generale del sistema istituzionale».

1.2.1.– Dopo aver ampiamente argomentato in ordine all’ammissibilità del ricorso, nel merito la ricorrente rileva anzitutto che le sentenze oggetto del conflitto avrebbero leso la sfera di attribuzione riservata alla Camera dall’art. 64, primo comma, Cost., il quale prevede che «[c]iascuna Camera adotta il proprio regolamento a maggioranza assoluta dei suoi componenti», nonché gli artt. 55 e seguenti Cost., che «attribuiscono specifiche funzioni e una posizione di particolare indipendenza alle Camere», asseritamente violata dalle sentenze in questione.

Rammenta la ricorrente che l’autodichia «designa il potere attribuito agli organi costituzionali di esercitare la funzione giudicante relativamente a particolari tipologie di controversie che direttamente o indirettamente coinvolgono l’esercizio delle loro funzioni», e dunque il potere di «giurisdizione domestica» che consiste «nel decidere direttamente, tramite articolazioni organizzative interne, ogni controversia interferente con l’esercizio delle funzioni proprie, senza che organi giurisdizionali esterni siano abilitati a esercitare forme di sindacato o di controllo». Tale potere si giustificherebbe in relazione alla «esigenza di tutelare l’indipendenza e il buon andamento degli organi costituzionali, garantendo la non intromissione degli altri poteri dello Stato nella loro organizzazione».

In quest’ottica, l’autonomia normativa garantita alle Camere dall’art. 64, primo comma, Cost., non si limiterebbe alla sola disciplina del procedimento legislativo, ma riguarderebbe anche l’organizzazione interna (sono citate le sentenze n. 262 del 2017 e n. 120 del 2014 di questa Corte). Coerentemente con tali principi, l’art. 12, comma 3, regol. Camera dispone che «[l]’Ufficio di Presidenza adotta i regolamenti e le altre norme concernenti: […] e) i criteri per l’affidamento a soggetti estranei alla Camera di attività non direttamente strumentali all’esercizio delle funzioni parlamentari […]», e «f) […] i ricorsi e qualsiasi impugnativa, anche presentata da soggetti estranei alla Camera, avverso gli altri atti di amministrazione della Camera medesima». La ricorrente ricorda che questa Corte ha più volte affermato che l’autonomia degli organi costituzionali «non si esaurisce nella normazione, bensì comprende – coerentemente – il momento applicativo delle norme stesse, incluse le scelte riguardanti la concreta adozione delle misure atte ad assicurarne l’osservanza» (così la sentenza n. 129 del 1981), precisamente in tale momento applicativo esprimendosi l’autodichia degli organi costituzionali stessi.

Ricostruita quindi l’evoluzione della giurisprudenza costituzionale sul tema, la ricorrente rileva che la legge 28 gennaio 2016, n. 11 (Deleghe al Governo per l’attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture) dispone, all’art. 1, comma 7, che «[g]li organi costituzionali stabiliscono nei propri ordinamenti modalità attuative dei princìpi e criteri direttivi previsti dalla presente legge nell’ambito delle prerogative costituzionalmente riconosciute».

In armonia con tale disposizione, nonché con il citato art. 12, comma 3, lettera e), del regol. Camera, l’Ufficio di Presidenza ha adottato – osserva la ricorrente – il «Regolamento di amministrazione e contabilità della Camera dei deputati». Quest’ultimo, agli artt. 39 e seguenti, disciplina le «procedure di selezione dei contraenti e [le] altre attività amministrative della Camera in materia di contratti di lavori, servizi e forniture». Lo stesso art. 39, poi, prevede espressamente che ad esse si applichino «le norme dell’Unione europea con diretta efficacia vincolante» e, solo «per quanto non diversamente stabilito dal presente regolamento, le disposizioni di legge in vigore per i contratti dello Stato».

È in tale contesto che si inquadrerebbe il bando oggetto della gara de qua, il quale ribadisce l’applicabilità delle norme del suddetto regolamento (art. 7, comma 1, del capitolato d’oneri) e la giurisdizione del Consiglio di giurisdizione della Camera dei deputati su ogni ricorso o impugnativa avverso gli atti amministrativi della Camera concernenti tale procedura (art. 7, comma 2, del capitolato d’oneri e, analogamente, punto VI.4.1 del bando).

La ricorrente rammenta, quindi, una recente pronuncia del Consiglio di Stato in cui si è affermato non solo che la Camera è pienamente legittimata a adottare norme in materia di appalti pubblici, ma anche che esse prevalgono su quelle dell’ordinamento generale, ove contrastanti (è citata Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenza 15 marzo 2021, n. 2173), osservando che «[i]l Giudice (quale che esso sia) deve necessariamente applicare (e, in primis, interpretare) tali fonti per risolvere ogni controversia attinente a qualsivoglia procedura di affidamento di servizi bandita dalla Camera dei deputati. Pertanto, stante il nesso con l’autonomia normativa, sulle suddette controversie non può che sussistere la giurisdizione del Consiglio di giurisdizione; giurisdizione che il Consiglio di Stato, decidendo nel merito la controversia, ha invaso, col successivo avallo della Corte di cassazione».

Tutto ciò troverebbe conferma nella sentenza del Consiglio di Stato, sezione quinta (recte: quarta), 18 novembre 2014, n. 5657, in cui il giudice amministrativo ha sì affermato la sussistenza della propria giurisdizione sugli atti di una procedura di gara indetta dal Segretariato generale della Presidenza della Repubblica per l’affidamento del servizio di cassa ed annesso sportello interno al Segretariato, ma sul presupposto che, nel caso di specie, la Presidenza della Repubblica non avrebbe esercitato il suo potere di normazione in materia, «diversamente da quanto hanno disposto, con specifici regolamenti, Camera e Senato».

1.2.2.– La Camera sottolinea inoltre che gli atti oggetto di impugnazione di fronte al TAR hanno pacificamente natura amministrativa e sarebbero in quanto tali oggetto della riserva di autodichia in forza dell’art. 12, commi 3, lettera f), e 6, del regol. Camera, in attuazione dei quali è stato adottato il già citato «Regolamento per la tutela giurisdizionale relativa agli atti di amministrazione della Camera dei deputati non concernente i dipendenti». Quest’ultimo, agli artt. 1 e 2, prevede infatti che il Consiglio di giurisdizione è competente a decidere in primo grado sui «ricorsi e qualsiasi impugnativa, anche presentata da soggetti estranei alla Camera, avverso gli atti di amministrazione della Camera medesima».

1.2.3.– La sottrazione delle controversie in esame alla cognizione del giudice amministrativo non violerebbe, d’altra parte, il diritto alla tutela giurisdizionale effettiva dei terzi, poiché quest’ultimo sarebbe pienamente rispettato dagli organi di autodichia, come avrebbe affermato anche questa Corte nella sentenza n. 262 del 2017. Né al Consiglio di giurisdizione difetterebbero i poteri del giudice amministrativo, potendo esso tanto annullare gli atti dell’amministrazione della Camera, quanto disapplicarli qualora ne sussistano i presupposti, in particolare in caso di contrasto con il diritto dell’Unione, quanto, infine, sollevare questione di legittimità costituzionale.

1.2.4.– Né potrebbe obiettarsi che, facendo derivare l’autodichia dall’autonomia normativa, la Camera sarebbe autorizzata a estendere a dismisura l’ambito di applicazione della giurisdizione domestica, attraverso un uso «largheggiante» del potere regolamentare. Ciò in quanto tale potere normativo dovrebbe sempre essere esercitato in osservanza della Costituzione, sicché un suo uso strumentale potrebbe essere sindacato da questa Corte, nelle forme del giudizio per conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato (è citata la sentenza n. 120 del 2014).

1.2.5.– Contestando le argomentazioni svolte dalla Corte di cassazione nella pronuncia che ha dato origine al conflitto, la Camera evidenzia poi che il provvedimento di esclusione impugnato di fronte al TAR Lazio «si colloca nella fase pubblicistica della procedura, finalizzata all’individuazione del contraente», spettante alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, e non in quella privatistica, che vede attribuite al giudice ordinario le controversie relative all’esecuzione del contratto.

Al riguardo, la ricorrente sottolinea come la Camera non si sia mai sottratta alla giurisdizione del giudice ordinario per le controversie in materia di esecuzione di contratti di appalto o di fornitura di servizi, stipulati a seguito di gara pubblica, essendo «assolutamente pacifico che competa al giudice comune (nella specie, ordinario) conoscere delle controversie in materia di esecuzione dei contratti stipulati tra la Camera stessa e i soggetti individuati a seguito dell’aggiudicazione di una gara pubblica e che, dunque, nella fase di esecuzione del contratto non vi sia alcuno spazio per l’autodichia». Il presente conflitto, pertanto, atterrebbe invece «alla diversa e autonoma fase pubblicistica che precede la stipula del contratto». In questa fase, la competenza a conoscere delle controversie relative a procedure di evidenza pubblica bandite dalla Camera, regolate dalle fonti di autonomia, apparterebbe unicamente al Consiglio di giurisdizione della Camera medesima anziché al TAR, riunendosi dopo la conclusione del contratto in capo al giudice ordinario.

A tal proposito, la Camera afferma che la stessa Corte di cassazione, a sezioni unite, in altra occasione avrebbe dato «per scontato che le controversie che a tali atti si riferiscono siano attratte alla giurisdizione domestica» (è citata Corte di cassazione, sezioni unite, sentenza [recte: ordinanza] 10 novembre 2020, n. 25211).

Quanto al passaggio della sentenza n. 262 del 2017 di questa Corte, che annovera fra le controversie escluse dalla giurisdizione domestica quelle «relative ad appalti e forniture di servizi prestati a favore delle amministrazioni degli organi costituzionali», la ricorrente ritiene che con tale affermazione questa Corte abbia inteso riferirsi «proprio alle controversie in materia di esecuzione dei contratti di appalto e forniture di servizi». Comparando la diversa formulazione dell’art. 133, comma 1, lettera e), numero 1), del codice del processo amministrativo – il quale discorre di «e) […] controversie: 1) relative a procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti» al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica – la Camera ritiene infatti che, qualora questa Corte «avesse inteso far riferimento […] alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo nella fase pubblicistica precedente la stipula del contratto, avrebbe parlato di controversie relative a procedure svolte dagli organi costituzionali e non già di controversie relative ad appalti e forniture di servizi prestati in favore di questi ultimi». Da ciò la conclusione secondo cui, nella sentenza n. 262 del 2017, questa Corte avrebbe «semplicemente attestato l’esistenza di un dato (l’assenza di spazi di autodichia nella fase di esecuzione dei contratti stipulati dagli organi costituzionali a seguito di procedura di evidenza pubblica) che […] anche per l’odierna ricorrente è pacifico».

1.2.6.– A ulteriore sostegno della illegittimità costituzionale della pretesa di assoggettare alla giurisdizione del giudice amministrativo gli atti della Camera dei deputati adottati nella fase pubblicistica dell’affidamento, la ricorrente rileva che l’art. 133, comma 1, lettera e), cod. proc. amm. estende tale giurisdizione anche «alla dichiarazione di inefficacia del contratto a seguito di annullamento dell’aggiudicazione ed alle sanzioni alternative», così in ipotesi consentendo al giudice amministrativo di «annullare un’aggiudicazione disposta dalla Camera dei deputati, dichiarare inefficace il contratto da quest’ultima stipulato e obbligarla alla stipula con un altro soggetto», ciò che la ricorrente reputa incompatibile con le prerogative di autonomia di un organo costituzionale.

La ricorrente sottolinea inoltre che il giudice amministrativo, quando è chiamato a stabilire se dichiarare l’inefficacia del contratto, ai sensi degli artt. 121 e 122 cod. proc. amm. «gode di un notevole potere discrezionale, giacché finisce per effettuare direttamente una comparazione tra gli interessi pubblici e quelli privati in gioco». Tale potere, se ben può essere esercitato nei confronti delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 7 cod. proc. amm., inciderebbe invece in maniera eccessiva sull’autonomia costituzionalmente garantita alla Camera.

1.2.7.– La ricorrente si sofferma quindi sul rapporto fra giurisdizione concernente il personale e giurisdizione concernente le gare, rilevando come non possa affermarsi che nelle controversie sulle gare non siano in gioco apparati serventi delle Camere. Ciò si evincerebbe dalla sentenza n. 129 del 1981 di questa Corte, nonché da molte norme vigenti che danno testimonianza del fatto che le pubbliche amministrazioni operano impiegando un complesso di risorse finanziarie, umane e strumentali, tutte necessarie al perseguimento dei loro scopi istituzionali.

La tesi secondo cui il concorrente in gara rimane “terzo” assoggettato alla giurisdizione comune fin quando non si aggiudichi il contratto sarebbe chiaramente in contraddizione con la pacifica soggezione all’autodichia dei concorrenti nelle procedure assunzionali, i quali ugualmente sarebbero meri “aspiranti” al rapporto d’impiego, e che pure non potrebbero agire innanzi al giudice comune.

Non fondata sarebbe peraltro anche la tesi, fatta propria dalla sentenza della Corte di cassazione oggetto del presente conflitto, secondo cui l’applicazione del diritto comune degli appalti (e, con esso, la sottoposizione del contenzioso alla giurisdizione amministrativa) non sarebbe «suscettibile di intaccare il pieno e libero svolgimento da parte della Camera della sua alta funzione né di interferire negativamente sull’amministrazione dei servizi interni». Secondo la ricorrente, infatti, «[i]l fondamento dell’autonomia normativa, organizzativa e contabile delle Camere si rinviene nell’esigenza di consentire agli organi costituzionali di dettare (e vedere applicate) le norme più opportune (non solo per garantire una corretta gestione delle somme loro affidate, ma anche) per consentire un libero ed efficiente esercizio delle funzioni, assicurando in tal modo la loro indipendenza da altri poteri dello Stato». Il che sarebbe stato riconosciuto da questa Corte nella stessa sentenza n. 262 del 2017, attraverso il richiamo alla precedente sentenza n. 129 del 1981.

1.2.8.– Infine, la Camera si confronta estesamente con il passaggio motivazionale della sentenza n. 262 del 2017, nel quale questa Corte avrebbe, secondo il Consiglio di Stato e la Corte di cassazione, escluso dalla giurisdizione domestica le controversie in materia di appalti. La ricorrente contesta, in particolare, la tesi espressa dalla Corte di cassazione nella pronuncia che ha dato origine al conflitto, secondo cui rispetto alle sentenze di questa Corte la «distinzione tra ratio decidendi e obiter dictum perde di significato, giacché le affermazioni di principio contenute nelle motivazioni di quelle pronunce, da considerare sempre nella loro totalità, hanno di mira la tutela di norme, di valori e di attribuzioni costituzionali, in una continua dialettica tra astratto e concreto».

Secondo la Camera, dovrebbe innanzitutto considerarsi che anche questa Corte è vincolata al rispetto del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato, sicché a passare in giudicato sarebbero soltanto «le statuizioni giudiziali che hanno strettamente a che fare con l’oggetto della lite», mentre tutte «le considerazioni eventualmente svolte nello sviluppo della motivazione, incidentali, esemplificative, ad abudantiam, di richiamo storico o ricostruttivo, per loro stessa natura non possono passare in giudicato e sono comunemente dette obiter dicta».

Inoltre, l’affermazione della indistinguibilità fra ratio decidendi e obiter dictum nelle sentenze di questa Corte sarebbe contraddetta da altre affermazioni di segno opposto della Corte di cassazione (sono citate Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 17 maggio 2018, n. 12108 e ordinanza 30 maggio 2018, n. 13678).

Infine, nella stessa giurisprudenza costituzionale sarebbero rinvenibili pronunce in cui questa Corte, relativamente a proprie sentenze, distingue fra obiter dicta e rationes decidendi, sia escludendo il carattere di obiter dictum di talune statuizioni (sono richiamate le sentenze n. 191 del 2006, n. 7 del 1982 e n. 62 del 1981), sia derubricando a mero obiter dictum ciò che le difese delle parti costituite in giudizio avevano considerato ratio decidendi (sono richiamate la sentenza n. 102 del 1986 e l’ordinanza n. 397 del 2000).

Nel caso di specie, il passaggio controverso contenuto nella sentenza n. 262 del 2017 di questa Corte dovrebbe per l’appunto considerarsi quale mero obiter dictum, che «non [potrebbe] certo significare abbandono di un consolidato indirizzo giurisprudenziale e nemmeno [valere] come autentico precedente».

2.− Con ordinanza n. 179 del 2023, questa Corte ha ritenuto sussistenti i presupposti soggettivi e oggettivi del conflitto e lo ha dichiarato ammissibile ai sensi dell’art. 37, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 del 1953 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), dispondendo la notificazione del ricorso introduttivo e dell’ordinanza di ammissibilità al Consiglio di Stato, alla Corte di cassazione e al Senato della Repubblica.

L’ordinanza e il ricorso sono stati tempestivamente e ritualmente notificati.

3.– Con atto depositato il 9 novembre 2023, si è costituito in giudizio il Consiglio di Stato, in persona del Presidente pro tempore; lo stesso, nel proprio atto di costituzione e controdeduzioni, dichiara di rimettersi alle determinazioni di questa Corte, formulando osservazioni in questa sede nella mera «qualità di amicus curiae».

3.1.– Il Consiglio di Stato ricostruisce la giurisprudenza di questa Corte (sono richiamate le sentenze n. 262 del 2017, n. 120 del 2014 e n. 154 del 1985), osservando come le sue più recenti statuizioni avrebbero consentito di individuare un punto di equilibrio tra autodichia e tutela giurisdizionale del diritto inviolabile alla difesa. Dalla più recente sentenza citata, il Consiglio di Stato deduce che il «primo e fondamentale principio» in materia sia costituito dalla «connessione biunivoca che deve sussistere tra autonomia normativa (autocrinia) e autodichia», osservando che «l’autodichia è la logica conseguenza dell’autocrinia: dato il potere normativo di disciplinare un assetto di rapporti, ne consegue il potere di dirimere le controversie che possono insorgere nell’ambito di quei rapporti tra i soggetti interni all’organo, risultando la sottrazione alla giurisdizione comune una conseguenza logica del potere normativo».

Il Consiglio di Stato, dunque, rimette alla valutazione di questa Corte l’interrogativo se «l’autodichia possa far escludere la sussistenza della giurisdizione “comune”» e se «le Camere siano abilitate a disciplinare i rapporti con i terzi nella materia degli appalti pubblici».

3.2.– Da parte sua, il Consiglio di Stato rammenta di aver ritenuto, nella propria sentenza alla base del conflitto, che «la materia dell’affidamento a terzi dei contratti di lavori, servizi e forniture – pur involgendo l’acquisizione, da parte dell’amministrazione della Camera, di beni e servizi per lo svolgimento delle sue funzioni – non può rientrare nella sfera di autonomia normativa costituzionalmente riconosciuta, dovendo le relative controversie rimanere sottratte alla giurisdizione domestica». Infatti, come evidenziato anche dalle Sezioni unite della Corte di cassazione, il provvedimento all’origine del giudizio afferirebbe ad una procedura per la scelta del contraente privato che trova la sua disciplina prevalentemente nella normativa nazionale ed europea. Tale contraente privato, nella fase di gara, non sarebbe inserito negli apparati serventi dell’organo costituzionale, ma aspirerebbe a diventarlo, qualificandosi dunque «alla stregua di “terzo” non ancora legato alla Camera da un rapporto di servizio».

3.3.– Nel risolvere la questione in esame, questa Corte sarebbe dunque chiamata a tracciare un corretto bilanciamento del potere di autodichia con gli altri valori costituzionali (costituiti dal diritto inviolabile alla difesa in giudizio, dal diritto a non essere distolti dal giudice naturale precostituito per legge e dal principio di uguaglianza), nonché con i vincoli derivanti dall’ordinamento unionale. A tale ultimo riguardo, il Consiglio di Stato richiama anzitutto la direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2007, che modifica le direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE del Consiglio, per quanto riguarda il miglioramento dell’efficacia delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici. Tale atto normativo obbligherebbe gli Stati membri ad assicurare «una tutela giurisdizionale effettiva ed omogenea su tutto il territorio dell’Unione, in relazione a tutti gli operatori economici, nazionali o comunitari, che partecipano ad una procedura ad evidenza pubblica», stabilendo «le condizioni minime ed indispensabili affinché la tutela giurisdizionale in tema di appalti pubblici possa essere esercitata in maniera piena, effettiva e celere, su tutto il territorio dell’Unione».

Il legislatore italiano avrebbe dato attuazione a quanto disposto dall’ordinamento dell’Unione europea attraverso il codice del processo amministrativo, e in particolare attraverso le previsioni degli articoli da 120 a 123 cod. proc. amm., prevedendo «una tutela cautelare e di merito piena e tendenzialmente “immediata” in tema di procedure ad evidenza pubblica», «un’articolata disciplina che consente al giudice amministrativo di pronunciare la dichiarazione di inefficacia del contratto e di comminare sanzioni alternative», nonché una tutela cautelare monocratica ed ante causam.

La peculiare conformazione del rito in materia di appalti e gli specifici poteri conferiti in tale ambito al giudice rappresenterebbero un elemento caratterizzante della sola giurisdizione amministrativa, non rinvenendosi strumenti analoghi di tutela in altre giurisdizioni, ivi compresa quella esercitata dal Consiglio di giurisdizione della Camera, che si esplica attraverso le forme del relativo regolamento. Ne conseguirebbe che l’attrazione del contenzioso sugli appalti pubblici alla giurisdizione del giudice amministrativo rappresenterebbe uno strumento irrinunciabile di tutela per tutti gli operatori economici dell’Unione.

4.– L’8 novembre 2023 il Senato della Repubblica, in persona del Presidente pro tempore, ha depositato un atto di intervento, chiedendo a questa Corte di accogliere il ricorso depositato dalla Camera dei deputati, «dichiarando che non spettava al Consiglio di Stato e alla Corte di Cassazione, in quanto organi della giurisdizione comune, giudicare della controversia descritta nel citato ricorso con il quale è stato promosso il presente conflitto di attribuzione, con conseguente annullamento delle sentenze della Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, 12 maggio 2022, n. 15236, e del Consiglio di Stato, Sezione V, 31 maggio 2021, n. 4150».

Il 26 febbraio 2024 il Senato della Repubblica ha depositato una memoria nella quale ha illustrato le ragioni a sostegno della fondatezza del ricorso presentato dalla Camera dei deputati.

4.1.– Il Senato chiarisce anzitutto che i propri regolamenti prevedono, con riguardo alle procedure di appalto, norme del tutto corrispondenti a quelle poste dalla Camera alla base del ricorso, così che i due organi si trovano in una posizione costituzionale identica rispetto alla questione sottoposta a questa Corte.

4.2.– Sottolinea poi il Senato che una prima «lesione del potere, costituzionalmente garantito, di autonomia normativa delle Camere» deriverebbe «già, sotto il profilo processuale (e ancor prima della questione di merito relativa alla loro legittimità in relazione alle disposizioni costituzionali che ne delimitano la sfera di competenza)» dalla circostanza che la giurisdizione comune abbia disapplicato i regolamenti parlamentari – costituenti «“fonti dell’ordinamento generale della Repubblica” (sent. n. 120/2014) e, pertanto, di rango primario» – senza sollevare essa stessa un conflitto di attribuzione davanti a questa Corte.

4.3.– Tanto premesso, il Senato ricorda che l’autonomia normativa, e di conseguenza l’autodichia, investe «anche gli aspetti organizzativi, ricomprendendovi ciò che riguarda il funzionamento degli apparati amministrativi “serventi”, che consentono agli organi costituzionali di adempiere liberamente, e in modo efficiente, alle proprie funzioni costituzionali» (è citata la sentenza n. 129 del 1981 di questa Corte).

In quest’ottica, non potrebbe dubitarsi dell’estensione di tali prerogative costituzionali anche alle «procedure di selezione e di affidamento di appalti di lavori, servizi e forniture, posto che per natura l’indizione di una procedura di affidamento presuppone la preventiva individuazione di un bisogno da parte dell’Amministrazione finalizzato al migliore esercizio delle proprie funzioni e all’assolvimento dei propri compiti istituzionali». «Del pari» – prosegue l’interveniente – «la disciplina relativa alla procedura da utilizzare, ai criteri e alle modalità di valutazione dei candidati, o alla qualificazione dei commissari, ecc., in altri termini la fase “pubblicistica” relativa all’affidamento all’esterno di lavori, servizi e forniture attraverso contratti di appalto, rimane prettamente interna all’organo costituzionale ed è funzionale a garantire l’efficiente soddisfacimento dell’esigenza pubblicistica manifestata con la decisione di indire la procedura di affidamento. La scelta degli organi costituzionali di disciplinare le procedure di appalto si conferma quindi pienamente funzionale alla più completa garanzia della relativa autonomia, nei termini ammessi dalla giurisprudenza di questa Corte».

Da ciò deriverebbe la piena sussistenza del «corrispondente potere» delle Camere «di attrarre alla giurisdizione domestica le controversie relative alla suddetta fase pubblicistica concernente lo svolgimento della procedura di affidamento». L’autodichia costituirebbe infatti «un corollario indispensabile dell’autonomia normativa, giacché garantisce, al pari di essa, l’indipendenza da poteri esterni, e nello specifico garantisce la non interferenza degli organi giurisdizionali esterni quanto all’interpretazione e all’applicazione delle norme interne di organizzazione» (sono citate le sentenze n. 379 del 1996 e n. 129 del 1981 di questa Corte).

4.4.– Il Senato si confronta quindi con il passaggio della sentenza n. 262 del 2017 di questa Corte relativo agli appalti, sostenendo che esso si riferisca «alla disciplina della fase contrattuale e paritetica del rapporto giuridico, dunque, alla fase esecutiva di rapporti giuridici già conclusi, e non alla precedente fase pubblicistica di selezione del soggetto con cui contrattare»: fase, questa, caratterizzata dall’esercizio di poteri lato sensu «autoritativi e pubblicistici», e pertanto senz’altro attinente «all’esercizio delle funzioni dell’organo costituzionale, essendo funzionale a detto esercizio», rimanendo «prettamente interna all’organo stesso, diversamente dalla fase esecutiva del contratto stipulato, in cui le parti sono in posizione paritetica (e l’affidatario dell’appalto rimane esterno all’organico dell’organo costituzionale)».

Il riconoscimento dell’autonomia normativa e, dunque, della giurisdizione domestica in relazione alla fase pubblicistica di svolgimento della procedura di affidamento, si giustificherebbe in definitiva «anche in ragione del fatto che l’organo costituzionale esercita, in questa fase, poteri autoritativi e pubblicistici, dunque poteri senz’altro più vicini alla funzione svolta, e quindi certamente esercizio della propria autonomia».

A tal proposito il Senato, al pari della Camera, sostiene di non essersi mai sottratto alla giurisdizione comune con riferimento a controversie sorte per la fase esecutiva dei contratti di appalto.

4.5.– D’altronde, che non possa ritenersi decisivo il criterio della terzietà sarebbe dimostrato dal fatto che anche chi partecipa ad una procedura di selezione del personale, fino alla presa di servizio, resterebbe un soggetto esterno alle Camere. Del tutto irragionevole sarebbe quindi distinguere queste due ipotesi, che avrebbero evidenti analogie sia dal punto di vista soggettivo sia dal punto di vista oggettivo.

4.6.– Infine, la possibilità di scegliere tra esternalizzazione di un servizio attraverso un appalto e assunzione di personale sarebbe un presupposto essenziale dell’autonomia dell’organo costituzionale. Tale autonomia sarebbe tuttavia condizionata dal «regime giuridico dell’impugnazione», con la prospettata conseguenza che «la possibilità per il concorrente di ricorrere ad un giudice comune piuttosto che agli organi di autodichia, fisiologicamente rappresenterà un forte (e poco giustificabile) disincentivo per le Camere a esternalizzare i propri servizi, in controtendenza rispetto alle normali dinamiche che si vanno sviluppando nel mercato del lavoro e a detrimento della funzionalità degli organi e dei costi dei servizi».

5.– Il 27 febbraio 2024 ha depositato una memoria anche la ricorrente Camera dei deputati, al fine di «effettuare doverose precisazioni» in relazione ad alcune considerazioni rassegnate dal Consiglio di Stato nel suo atto di costituzione.

5.1.– Chiarisce anzitutto la Camera che il ricorso non chiederebbe in alcun modo a questa Corte di operare un revirement nella sua giurisprudenza, ma meramente di delucidare ulteriormente il contenuto dei precedenti rispetto ad un tema finora non apertamente e specificamente affrontato.

5.2.– Nella memoria si riprende e si approfondisce quanto già contenuto nel ricorso in relazione alla disciplina sostanziale che i regolamenti della Camera riservano alla materia degli appalti, ribadendo il rapporto biunivoco tra autonomia normativa e autodichia giurisdizionale sulla base della giurisprudenza della Corte costituzionale che ha affermato come l’interpretazione delle norme tanto regolamentari quanto sub-regolamentari «non può che essere affidata in via esclusiva alle Camere stesse» (è citata la sentenza n. 120 del 2014).

5.3.– Si osserva poi, in risposta alle affermazioni del Consiglio di Stato, che il concorrente della gara di appalto sarebbe in una situazione del tutto equivalente a quella dei soggetti che partecipino a procedure concorsuali per l’assunzione nei ruoli della Camera, per i quali si riconosce pacificamente l’autodichia.

5.4.– La memoria si sofferma, infine, sul livello di tutela assicurato ai privati dagli organi di autodichia, osservando come questi ultimi dispongano di tutti i poteri previsti dalla direttiva 2007/66/CE richiamata dal Consiglio di Stato, che risultano a loro volta «esattamente coincidenti con quelli del giudice amministrativo», sì da rendere indubitabile la pienezza della tutela assicurata ai privati medesimi dagli organi della giurisdizione domestica.


Considerato in diritto

1.– Con il ricorso indicato in epigrafe, la Camera dei deputati ha promosso conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato nei confronti della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato in riferimento alle sentenze, rispettivamente, delle sezioni unite civili, n. 15236 del 2022, e della sezione quinta, n. 4150 del 2021.

Come dettagliatamente riferito nel Ritenuto in fatto, la Camera sostiene anzitutto che la menzionata sentenza del Consiglio di Stato abbia leso le proprie attribuzioni costituzionali, confermando una precedente statuizione del TAR Lazio che aveva ritenuto la giurisdizione del giudice amministrativo in una controversia concernente un provvedimento dell’amministrazione della Camera medesima, con il quale un raggruppamento temporaneo di imprese era stato escluso da una procedura di rilievo comunitario per un appalto di servizi bandito dalla stessa Camera.

Identica lesione sarebbe stata causata dalla successiva sentenza delle sezioni unite civili della Corte di cassazione che, rigettando il ricorso della Camera, aveva ribadito la giurisdizione del giudice amministrativo in quella controversia.

Ad avviso della ricorrente, tali statuizioni avrebbero disconosciuto il potere di autodichia costituzionalmente spettante alla Camera dei deputati nelle controversie relative all’assegnazione di appalti di servizi a terzi.

Tale potere – deducibile, secondo la ricorrente, dalla posizione di indipendenza da ogni altro potere riconosciuta alla Camera dagli artt. 55 e seguenti Cost., e in particolare dalla sfera di autonomia garantitale dall’art. 64, primo comma, Cost. – sarebbe stato in concreto esercitato tramite gli artt. 1 e 2 del «Regolamento per la tutela giurisdizionale relativa agli atti di amministrazione della Camera dei deputati non concernente i dipendenti», che attribuiscono – in via, secondo la ricorrente, esclusiva – al Consiglio di giurisdizione della Camera il compito di decidere in primo grado sui «ricorsi e qualsiasi impugnativa, anche presentata da soggetti esterni alla Camera, avverso gli atti di amministrazione della Camera medesima» (diversi da quelli concernenti i dipendenti, per i quali è applicabile un distinto regolamento). Tale organo di autodichia è composto da tre deputati in carica, che siano in possesso di determinati requisiti professionali attestanti la loro preparazione in materie giuridiche e che non facciano parte dell’Ufficio di Presidenza. Contro le sue decisioni è ammesso ricorso avanti al Collegio d’appello, a sua volta composto da cinque deputati in carica, aventi i medesimi requisiti.

Il regolamento in questione sarebbe stato adottato, secondo la ricorrente, in attuazione dell’art. 12, comma 3, lettera f), regol. Camera (a sua volta approvato nelle forme direttamente previste dall’art. 64, primo comma, Cost.), che attribuisce all’Ufficio di Presidenza il potere di adottare regolamenti concernenti, tra l’altro, «i ricorsi e qualsiasi impugnativa, anche presentata da soggetti estranei alla Camera, avverso gli altri atti di amministrazione della Camera medesima».

Conseguentemente, la ricorrente chiede a questa Corte di dichiarare «che non spettava al Consiglio di Stato e alla Corte di cassazione, in quanto organi della giurisdizione comune, giudicare della controversia descritta in narrativa, con conseguente annullamento» di entrambe le sentenze controverse.

2.– In via preliminare, va anzitutto confermata, ai sensi dell’art. 37 della legge n. 87 del 1953, l’ammissibilità del presente conflitto, per le ragioni già esposte nell’ordinanza n. 179 del 2023, qui da intendersi integralmente richiamate.

3.– Sempre in via preliminare, è necessario precisare il thema decidendum deferito a questa Corte mediante il ricorso introduttivo.

Innanzi a questa Corte la ricorrente lamenta direttamente il mancato riconoscimento, da parte del Consiglio di Stato e poi della Corte di cassazione, del proprio potere – a suo avviso, costituzionalmente garantito – di esercitare l’autodichia in materia di controversie relative all’affidamento di appalti pubblici, escludendo la giurisdizione amministrativa; e conseguentemente sollecita una pronuncia che faccia chiarezza su questo tema.

Intervenendo nel presente giudizio, peraltro, il Senato sostiene che una prima «lesione del potere, costituzionalmente garantito, di autonomia normativa delle Camere» deriverebbe già, sotto il profilo processuale, dalla circostanza che la giurisdizione comune abbia disapplicato i regolamenti in questione – costituenti fonti dell’ordinamento generale della Repubblica e, pertanto, di rango primario – senza sollevare essa stessa un conflitto di attribuzione davanti a questa Corte.

La medesima doglianza era stata dedotta dalla Camera dei deputati nelle proprie difese innanzi alla giurisdizione amministrativa e, poi, innanzi alle sezioni unite della Corte di cassazione, ove la ricorrente aveva parimenti sottolineato che le proprie norme regolamentari possiedono rango primario e non possono, pertanto, essere meramente disapplicate dal giudice.

In effetti, tali principi sono stati ripetutamente affermati dalla giurisprudenza di questa Corte. Da un lato si è costantemente esclusa la sindacabilità dei regolamenti parlamentari nell’ambito del giudizio incidentale di legittimità costituzionale (a partire almeno dalla sentenza n. 154 del 1985, punto 5.1. del Considerato in diritto, seguita dalle sentenze n. 120 del 2014, punto 4.2. del Considerato in diritto e n. 237 del 2022, punto 5.2.5. del Considerato in diritto). Dall’altro lato, questa Corte ha sottolineato come ciò non comporti la loro sottrazione al controllo di compatibilità con la Costituzione, che ben può essere effettuato nella «sede naturale in cui trovano soluzione le questioni relative alla deliminazione degli ambiti di competenza» degli organi costituzionali, e cioè nel conflitto tra i poteri dello Stato (sentenza n. 120 del 2014, punto 4.4. del Considerato in diritto).

È infatti in tale sede che questa Corte è in grado di assicurare – anche con riferimento al concreto esercizio del potere regolamentare attribuito alle Camere dalla Costituzione – il rispetto del corretto confine tra «i due distinti valori (autonomia delle Camere, da un lato, e legalità-giurisdizione, dall’altro)», su impulso del «potere che si ritenga leso o menomato dall’attività dell’altro» (così la sentenza n. 379 del 1996, punto 7 del Considerato in diritto, citata dalla sentenza n. 120 del 2014).

Ciò che, invece, non può ammettersi è che la giurisdizione comune semplicemente ignori, o comunque disapplichi, la disciplina posta dai regolamenti delle Camere nella decisione delle controversie sottoposte al suo esame (sentenza n. 126 del 2023, punti 4 e 6 del Considerato in diritto), trattandosi di fonti di rango primario. E ciò tanto con riferimento ai regolamenti (cosiddetti “maggiori”, o “generali”) disciplinati direttamente dall’art. 64, primo comma, Cost., quanto con riferimento a quelli cosiddetti “minori” – come, appunto, il «Regolamento per la tutela giurisdizionale relativa agli atti di amministrazione della Camera dei deputati non concernente i dipendenti» –, i quali «trovano in quelli maggiori la propria fonte di legittimazione» (sentenza n. 237 del 2022, punto 5.2.2. del Considerato in diritto).

Le stesse sezioni unite della Corte di cassazione, nella sentenza che ha dato origine al presente conflitto, dichiarano la loro piena adesione allo schema procedurale appena rammentato. Proprio muovendo da tali condivise premesse, esse ritengono tuttavia che il Consiglio di Stato – contrariamente a quanto lamentato dalla Camera nel ricorso per cassazione – non abbia in realtà disapplicato, né tenuto in non cale il regolamento “minore” controverso, ma ne abbia fornito semplicemente una interpretazione restrittiva (e costituzionalmente orientata, alla luce della sentenza n. 262 del 2017 di questa Corte), ritenendo che dal suo campo di applicazione restino escluse le controversie relative agli affidamenti dei contratti pubblici. Controversie che dovrebbero intendersi come sottratte alla giurisdizione domestica della Camera, ricadendo così nella fisiologica giurisdizione del giudice amministrativo.

La questione se una tale interpretazione delle Sezioni unite sia, o meno, corretta esula però dal thema decidendum del presente giudizio, che è unicamente fissato dal ricorso per conflitto di attribuzione promosso dalla Camera dei deputati. A differenza di quanto argomentato dal Senato nel proprio atto di intervento ad adiuvandum, la Camera non individua, infatti, la lesione delle proprie attribuzioni costituzionali nella sostanziale disapplicazione dei propri regolamenti da parte del potere giurisdizionale – e conseguentemente nell’omessa proposizione, da parte dello stesso potere, di un conflitto avente a oggetto un asseritamente improprio esercizio del potere regolamentare da parte della Camera –. In sede di udienza pubblica, la difesa della Camera ha, anzi, precisato sul punto di non avere interesse a una ipotetica pronuncia che, in via preliminare, si limitasse ad accertare la violazione delle proprie attribuzioni costituzionali in conseguenza del mancato riconoscimento, da parte della giurisdizione comune, del rango di fonte primaria dei propri regolamenti.

Pertanto, questa Corte – in un processo di parti come il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, come tale strettamente vincolato al principio generale della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato – è ora chiamata a pronunciarsi esclusivamente sul profilo del mancato riconoscimento alla Camera dei deputati, da parte del Consiglio di Stato e della Corte di cassazione, del potere di esercitare l’autodichia in materia di controversie relative all’affidamento di appalti pubblici.

4.– Il ricorso non è fondato.

4.1.– La costante giurisprudenza di questa Corte afferma che l’autodichia «costituisce manifestazione tradizionale della sfera di autonomia riconosciuta agli organi costituzionali, a quest’ultima strettamente legata nella concreta esperienza costituzionale» (sentenza n. 262 del 2017, punto 7.1. del Considerato in diritto).

Tale sfera di autonomia ha, per quanto concerne le Camere, una base costituzionale espressa nell’art. 64, primo comma, Cost., e ha fondamento costituzionale implicito per quanto riguarda il Presidente della Repubblica (sentenze n. 129 del 1981, punto 4 del Considerato in diritto, nonché, ancora, n. 262 del 2017, punto 7.2. del Considerato in diritto) e la stessa Corte costituzionale. Il potere regolamentare degli organi costituzionali – si è ulteriormente precisato – «logicamente investe anche gli aspetti organizzativi, ricomprendendovi ciò che riguarda il funzionamento degli apparati amministrativi “serventi”, che consentono agli organi costituzionali di adempiere liberamente, e in modo efficiente, alle proprie funzioni costituzionali» (sentenza n. 262 del 2017, punto 7.2. del Considerato in diritto).

Autonomia significa, anzitutto, potestà dell’organo costituzionale di produrre norme relative al proprio funzionamento. A tale potestà è tradizionalmente associata quella di autodichia, e cioè quella di giudicare direttamente, attraverso propri organi, delle controversie relative all’applicazione di tali norme; potestà che la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente riconosciuto agli organi costituzionali all’interno delle rispettive sfere di autonomia, allo scopo di sottrarre a qualsiasi ingerenza esterna – in particolare del potere giudiziario – non solo la disciplina, ma anche la concreta gestione dei loro apparati serventi (ancora, sentenza n. 262 del 2017, punto 7.3. del Considerato in diritto, e ivi ulteriori precedenti).

4.2.– Nella più volte menzionata sentenza n. 262 del 2017, questa Corte ha peraltro sottolineato che il fondamento dell’autonomia – la tutela dell’indipendenza degli organi costituzionali da ogni altro potere, a sua volta strumentale alla garanzia del libero ed efficiente esercizio delle loro funzioni – «ne rappresenta anche il confine: giacché, se è consentito agli organi costituzionali disciplinare il rapporto di lavoro con i propri dipendenti, non spetta invece loro, in via di principio, ricorrere alla propria potestà normativa, né per disciplinare rapporti giuridici con soggetti terzi, né per riservare agli organi di autodichia la decisione di eventuali controversie che ne coinvolgano le situazioni soggettive (si pensi, ad esempio, alle controversie relative ad appalti e forniture di servizi prestati a favore delle amministrazioni degli organi costituzionali). Del resto, queste ultime controversie, pur potendo avere ad oggetto rapporti non estranei all’esercizio delle funzioni dell’organo costituzionale, non riguardano in principio questioni puramente interne ad esso e non potrebbero perciò essere sottratte alla giurisdizione comune» (punto 7.2. del Considerato in diritto).

La Camera dei deputati dà conto puntualmente di queste affermazioni; e tuttavia sollecita questa Corte a una rimeditazione della questione, sulla base di quattro essenziali argomenti.

In primo luogo, le affermazioni in parola costituirebbero meri obiter dicta nel contesto della sentenza n. 262 del 2017, che si occupava non già di controversie relative ad appalti e forniture di servizi (come nel caso oggi all’esame), ma di controversie relative ai dipendenti degli organi costituzionali, rispetto alle quali la decisione è stata nel senso di confermare la sussistenza del potere di autodichia degli organi medesimi.

In secondo luogo, la Camera ritiene che il riferimento testuale di questa Corte alle «controversie relative ad appalti e forniture di servizi prestati a favore delle amministrazioni degli organi costituzionali» debba intendersi come circoscritto alle controversie in materia di esecuzione dei contratti medesimi, per le quali la ricorrente dichiara di riconoscere la giurisdizione del giudice civile. Con esclusione, dunque, di quelle (che invece vengono qui in considerazione) relative alla fase pubblicistica delle procedure di affidamento di lavori o servizi, fase che è in via generale sottoposta alla giurisdizione amministrativa (art. 133, comma 1, lettera e, numero 1, cod. proc. amm.), e che dovrebbe invece considerarsi esclusivamente affidata alla giurisdizione domestica delle Camere per quanto riguarda le procedure da esse bandite.

In terzo luogo, la Camera lamenta che il riconoscimento della giurisdizione amministrativa sulle controversie in esame comporterebbe necessariamente la sottoposizione della Camera stessa a significative ingerenze da parte del potere giudiziario nelle scelte relative alla gestione dei propri servizi. Tali ingerenze sarebbero incompatibili con la ratio di tutela dell’indipendenza e del libero ed efficiente svolgimento delle funzioni dell’organo costituzionale, sulla quale questa Corte ha fondato il riconoscimento dei poteri di autonomia e di autodichia in relazione alle controversie relative ai dipendenti.

In quarto e ultimo luogo, queste stesse esigenze di tutela sussisterebbero in egual misura tanto rispetto alle controversie relative ai dipendenti, quanto rispetto a quelle in materia di scelta dei contraenti nelle procedure pubbliche per l’appalto di lavori o servizi bandite dalle Camere, giacché anche tali lavori e servizi risulterebbero essenziali per il buon funzionamento dell’organo costituzionale. L’argomento è ulteriormente corroborato dalla difesa del Senato della Repubblica, la quale rileva, da un lato, che la negazione dell’autodichia delle Camere in materia di selezione dei contraenti nelle procedure relative ad appalti finirebbe per incentivare le Camere medesime a servirsi di propri dipendenti anche per la gestione di servizi che ordinarie esigenze di funzionalità e contenimento dei costi consiglierebbero invece di “esternalizzare”; e, dall’altro, che il criterio discretivo fondato sulla “terzietà” dell’impresa che aspiri all’aggiudicazione di un appalto, in contrapposizione alla “posizione interna” del dipendente, non è logicamente sostenibile, dal momento che anche chi partecipa a una procedura di selezione del personale è (ancora) estraneo, e dunque “terzo”, rispetto all’organo costituzionale che abbia bandito la procedura.

4.3.– Questa Corte, tuttavia, non condivide tali argomenti.

4.3.1.– Va anzitutto osservato che le affermazioni contenute nel punto 7.2. del Considerato in diritto della sentenza n. 262 del 2017 sono, a ben guardare, intimamente connesse alla sua ratio decidendi: che era quella di preservare uno spazio per l’esercizio dell’autodichia da parte degli organi costituzionali – in deroga rispetto ai principi, di rango costituzionale, che affidano la tutela dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi dei singoli alla giurisdizione civile o amministrativa – nei soli limiti in cui ciò risultasse necessario a consentire agli stessi organi costituzionali di adempiere liberamente, e in modo efficiente, alle proprie funzioni costituzionali. Obiettivo il cui conseguimento, secondo la sentenza n. 262 del 2017, «dipende in misura decisiva dalle modalità con le quali è selezionato, normativamente disciplinato, organizzato e gestito il personale», ma non comporta – per converso – la necessità di «riservare agli organi di autodichia la decisione di eventuali controversie che […] coinvolgano le situazioni soggettive» di soggetti terzi, come gli aspiranti all’aggiudicazione di appalti.

4.3.2.– La considerazione che precede inficia, d’altra parte, anche l’argomento secondo cui la sentenza n. 262 del 2017 avrebbe inteso riferirsi soltanto alle controversie relative all’esecuzione di appalti già affidati, rispetto ai quali è competente il giudice ordinario, e non già a quelle relative alla fase pubblicistica della procedura, avente a oggetto l’affidamento dell’appalto. Il riferimento testuale della sentenza alla posizione di “terzi”, infatti, si attaglia alla fase di selezione dei contraenti, piuttosto che a quella di eventuali controversie tra la stazione appaltante e l’appaltatore. In questa successiva fase, infatti, l’appaltatore non è più – a rigore – un qualsiasi “terzo” rispetto all’amministrazione, bensì la sua controparte contrattuale.

4.3.3.– Quanto poi all’allegata esigenza di tutela della posizione costituzionale delle Camere contro ingerenze del giudice (in particolare amministrativo) nelle scelte relative alla gestione dei propri servizi, occorre sottolineare come le esigenze di tutela degli interessi legittimi – anch’esse fondate sulla Costituzione, e in particolare sull’art. 103 – implichino sempre, per forza di cose, significative limitazioni dei poteri pubblici con i quali essi si trovino a interagire: sia che si tratti della generalità delle pubbliche amministrazioni, sia che si tratti di organi costituzionali, come nel caso ora all’esame.

Tant’è vero che né la Camera né il Senato sostengono di dover restare immuni, sul piano sostanziale, da tali possibili limitazioni, assumendo però che esse debbano poter essere operate soltanto da organi di giurisdizione domestica, come tali “interni” allo stesso organo costituzionale. Ma l’argomento diviene, a questo punto, scivoloso: giacché, come meglio si dirà (infra, punto 4.3.4.), l’imperativo costituzionale di effettiva tutela degli interessi legittimi (e dei diritti soggettivi) contro condotte non conformi alla legge e agli stessi regolamenti interni da parte dell’amministrazione delle Camere esige a sua volta un elevato grado di indipendenza degli organi di giurisdizione domestica.

Per converso, tanto la Camera quanto il Senato dichiarano di considerare non problematici i possibili interventi del giudice civile a tutela dei diritti soggettivi degli aggiudicatari degli appalti, rispetto alle controversie insorte con le relative amministrazioni nella fase dell’esecuzione dei contratti: mostrando così (giustamente) di considerare come fisiologiche, in uno stato di diritto, le “ingerenze” del potere giudiziario sull’attività di qualsiasi amministrazione pubblica.

4.3.4.– Quanto, infine, agli invocati profili di analogia tra la posizione dei dipendenti (già assunti, o meramente aspiranti tali) e quella delle imprese che aspirino all’aggiudicazione di appalti, occorre qui ribadire – e anzi sottolineare con particolare enfasi – il carattere eccezionale del riconoscimento di una sfera di autodichia agli organi costituzionali con riferimento alle controversie concernenti i propri dipendenti, rispetto alla «“grande regola” dello Stato di diritto ed [al] conseguente regime giurisdizionale al quale sono normalmente sottoposti, nel nostro sistema costituzionale, tutti i beni giuridici e tutti i diritti (artt. 24, 112 e 113 della Costituzione)» (sentenza n. 379 del 1996, punto 7 del Considerato in diritto): “grande regola” evocata anche dalla sentenza n. 120 del 2014 proprio in materia di autodichia (punto 4.4. del Considerato in diritto), e che si sostanzia, anzitutto, nel diritto inviolabile di ciascuno di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi, davanti a un giudice “indipendente” e “naturale”.

Tali principi sono, oggi, affermati con particolare incisività anche dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea e della Corte europea dei diritti dell’uomo, le quali insistono in particolare sull’assoluta centralità, nell’ambito dei rispettivi ordinamenti, dell’obbligo a carico di ciascuno Stato di assicurare a tutti una «tutela giurisdizionale effettiva» (art. 19, paragrafo 1, del Trattato sull’Unione europea), da attuarsi mediante la garanzia del diritto all’accesso di ogni persona a un giudice «indipendente» (art. 47, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, certamente applicabile alle controversie in materia di appalti; art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo) (Corte di giustizia UE, grande sezione, sentenza 27 febbraio 2018, in causa C-64/16, Associação Sindical dos Juízes Portugueses, paragrafo 32 e seguenti; Corte EDU, grande camera, sentenza 15 marzo 2022, Grzęda contro Polonia, paragrafo 301; grande camera, sentenza 1° dicembre 2020, Gudmundur Andri Ástrádsson contro Islanda, paragrafo 239). Indipendenza che richiede, tra l’altro, «l’equidistanza [del giudice] dalle parti della controversia e dai loro rispettivi interessi riguardo all’oggetto di quest’ultima» (Corte di giustizia UE, grande sezione, sentenza 24 giugno 2019, in causa C-619/18, Commissione europea contro Polonia, paragrafi 73 e 74).

Su questo sfondo, il mantenimento della tradizionale giurisdizione domestica degli organi costituzionali rispetto alle controversie concernenti i propri dipendenti è stato considerato da questa Corte non in contrasto con la Costituzione, in quanto necessario per garantire la tutela dell’indipendenza dell’organo e il libero ed efficiente esercizio delle sue funzioni costituzionali. Il che è, in effetti, predicabile rispetto a questa peculiare tipologia di controversie, che coinvolgono persone “interne” all’amministrazione dell’organo costituzionale (o che comunque aspirano a diventarlo). Ciò, peraltro, alla condizione – sulla quale già ha posto l’accento la sentenza n. 262 del 2017 – che gli organi di giurisdizione interna «risult[i]no costituiti secondo regole volte a garantire la loro indipendenza ed imparzialità» (punto 7.4. del Considerato in diritto), nonché la loro stessa apparenza di indipendenza e imparzialità rispetto all’organo costituzionale nel cui ambito hanno il compito di assicurare a ogni persona una tutela giurisdizionale effettiva (Corte EDU, sezione seconda, sentenza 21 febbraio 2023, Catană contro Moldavia, paragrafo 77 e giurisprudenza ivi citata, nonché – con riferimento specifico agli organi di autodichia del Presidente della Repubblica italiana – sezione prima, sentenza 23 settembre 2021, Varano contro Italia, paragrafo 43).

Estendere, tuttavia, tale deroga oltre la sfera dei soggetti “interni” (o aspiranti tali) agli organi costituzionali, sino a comprendere le imprese che concorrano per aggiudicarsi un appalto bandito dagli organi stessi, comporterebbe un sacrificio sproporzionato al diritto a una tutela giurisdizionale effettiva, nel senso ampio appena precisato, a carico di soggetti del tutto estranei alla struttura organizzativa degli organi costituzionali stessi, e titolari come qualsiasi altro soggetto del diritto di accedere al giudice “naturale” stabilito dall’ordinamento, sulla base dei principi costituzionali.

Né vale in proposito obiettare, come fanno la Camera e il Senato nelle rispettive difese, che anche i servizi oggetto di appalto possono in concreto risultare essenziali per il buon funzionamento degli organi costituzionali, e addirittura per lo svolgimento di funzioni esse stesse di immediata rilevanza costituzionale. Ferma restando, infatti, l’ovvia possibilità per le relative amministrazioni di provvedere a tali funzioni attraverso il proprio personale (soggetto come tale alla giurisdizione domestica), una volta che l’organo costituzionale abbia, invece, liberamente scelto di avvalersi di persone esterne all’amministrazione per lo svolgimento di determinati servizi, esso dovrà necessariamente anche assumersi il relativo onere di tollerare i fisiologici controlli di legittimità da parte della giurisdizione amministrativa. E ciò in doveroso omaggio alle contrapposte istanze di tutela, a loro volta di immediato rilievo costituzionale, degli interessi legittimi e dei diritti dei soggetti interessati.

4.4.– Quanto sin qui argomentato non esclude, infine, che la corrispondenza tra autonomia e autodichia degli organi costituzionali debba essere intesa come mero criterio di massima, potendo gli organi costituzionali esercitare poteri di autonormazione, attraverso appositi regolamenti, anche in ambiti – come l’affidamento di appalti pubblici – rispetto ai quali non spetti loro alcun potere di autodichia.

Ciò, in particolare, con riferimento a esigenze di rilievo organizzativo, in relazione alle quali non sussistano vincoli discendenti dal diritto dell’Unione europea o dai principi costituzionali, le quali possono in concreto giustificare la sottoposizione delle procedure in parola a regole più snelle rispetto a quelle vigenti per la generalità delle pubbliche amministrazioni, e comunque più adeguate alle peculiarità delle funzioni e del modus operandi del singolo organo costituzionale. Regole la cui interpretazione e applicazione resterà così affidata alla stessa giurisdizione amministrativa.

Il che riflette, del resto, quanto lo stesso legislatore oggi espressamente riconosce all’art. 224, comma 7, del decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36 (Codice dei contratti pubblici in attuazione dell’articolo 1 della legge 21 giugno 2022, n. 78, recante delega al Governo in materia di contratti pubblici), secondo cui «[g]li organi costituzionali adeguano i propri ordinamenti ai principi e criteri di cui al presente codice nell’ambito della propria autonomia organizzativa e delle prerogative ad essi costituzionalmente riconosciute» (ma già, in senso analogo, l’art. 1, comma 7, della legge n. 11 del 2016).

4.5.– Da tutto quanto precede discende che le sentenze della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato che hanno dato origine al presente conflitto non hanno determinato una lesione della sfera di attribuzioni della Camera dei deputati nel riconoscere la giurisdizione del giudice comune (nella specie, il giudice amministrativo) nella controversia da cui origina il presente conflitto.

Il ricorso promosso dalla Camera dei deputati deve, pertanto, essere rigettato.


per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che spettava alla Corte di cassazione e al Consiglio di Stato affermare, con le sentenze indicate in epigrafe, la giurisdizione del giudice comune nella controversia da cui origina il presente conflitto.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 marzo 2024.

F.to:

Augusto Antonio BARBERA, Presidente

Francesco VIGANÒ, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 19 aprile 2024

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA


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