N. 102 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 marzo 2021
Ordinanza del 26 marzo 2021 del Collegio arbitrale di Vicenza
nell'arbitrato in corso tra Officine Meccaniche ANI spa contro
Consorzio Energia Assindustria Vicenza - ENERGINDUSTRIA.
Imposte e tasse - Rimborsi dell'accisa - Previsione che qualora, al
termine di un procedimento giurisdizionale, il soggetto obbligato
al pagamento dell'accisa sia condannato alla restituzione a terzi
di somme indebitamente percepite a titolo di rivalsa, il rimborso
e' richiesto dal soggetto obbligato, a pena di decadenza, entro
novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza.
- Decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 (Testo unico delle
disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e
sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative), art. 14,
comma 4.
(GU n. 28 del 14-07-2021)
IL COLLEGIO ARBITRALE
composto dai signori:
dott. Giuseppe Rebecca, Presidente;
avv. Roberto Roberti, componente;
avv. Claudio Solinas, componente;
ha pronunciato la seguente ordinanza nella procedura di arbitrato
rituale instaurata tra Officine Meccaniche ANI S.p.a. (C.F.
00152030243), con sede legale in Chiampo, via Arzignano 190, in
persona del legale rappresentante pro tempore signora Taglier
Mariangela, assistita e rappresentata dall'avv. Elena Schiavon (C.F.
SCHLNE67H53L840W), con domicilio eletto in Vicenza, Contra'
Muschieria n. 26, pec: elena.schiavon@ordineavvocativicenza.it e
Consorzio Energia Assindustria Vicenza - Energindustria (C.F.
02785440245), con sede legale in Vicenza, Piazza Castello 3, in
persona del legale rappresentante pro tempore dott. Carlo Brunetti,
assistito e rappresentato dall'avv. Claudio Toniolo (C.F.
TNLCLD54S20D933C), pec: claudio.toniolo@ordineavvocativicenza.it
dall'avv. Caterina Basso (C.F. BSSCRN71S48L840L), pec:
caterina.basso@ordineavvocativicenza.it e dall'avv. Giulia Toniolo
(C.F. TNLGLI81P65E970U), pec: giulia.toniolo@ordineavvocativicenza.it
con domicilio eletto in Vicenza, Contra' XX Settembre n. 37, in
punto: rimborso delle somme pagate nell'anno 2011 a titolo di
addizionale provinciale all'accisa all'energia elettrica.
Il Collegio arbitrale (nominato con atto di compromesso del 6
novembre 2020, costituito nella riunione del 9 novembre 2020, con
sede presso lo studio del Presidente dott. Giuseppe Rebecca in
Vicenza, Contra' Lodi n. 31, pec
giuseppe.rebecca@odcec.vicenza.legalmail.it), ritenuta la
controversia in decisione con ordinanza del 12 febbraio 2021, espone
quanto segue.
Svolgimento del procedimento arbitrale.
La vicenda arbitrale trova origine nella richiesta avanzata dalla
societa' Officine Meccaniche ANI S.p.a. al Consorzio Energia
Assindustria Vicenza - Energindustria di rimborso dell'addizionale
provinciale all'accisa all'energia elettrica che detto Consorzio le
aveva addebitato in fattura nell'anno 2011 per la somma complessiva
di euro 16.436,44.
Negli anni 2010-2011 il Consorzio Energia Assindustria Vicenza -
Energindustria aveva posto in essere una particolare iniziativa
consortile di approvvigionamento e di vendita diretta di energia
elettrica a favore di un gruppo di consorziati forti consumatori
(i.e. Energy Trading), tra i quali figurava anche la societa'
Officine Meccaniche ANI S.p.a., e - in forza della normativa allora
vigente - aveva applicato in fattura l'addizionale provinciale
all'accisa all'energia elettrica (Nel periodo a tutto il 31 dicembre
2011, le bollette elettriche per consumi non domestici fino a 200.000
kwh di consumi mensili per punto di prelievo sono state gravate da
una addizionale provinciale all'accisa all'energia elettrica, con una
aliquota variabile da un minimo di euro 9,30 ad un massimo di euro
11,40 su mille Kwh, a seconda delle delibere provinciali adottate),
che aveva poi riversata all'Erario.
Sulla scorta dell'orientamento giurisprudenziale costante della
Corte di cassazione (che a partire dalla decisione n. 27101/2019 del
23 ottobre 2019, ha statuito che la addizionale provinciale alle
accise sull'energia elettrica si pone in contrasto con il diritto
comunitario e pertanto deve essere disapplicata, con il conseguente
diritto degli utenti non domestici al recupero delle somme versate
quale indebito oggettivo, nel termine prescrizionale ordinario di
dieci anni dalla data dei vari pagamenti), con richiesta del 5 agosto
2020 (doc. 2 del proprio fascicolo) la societa' Officine Meccaniche
ANI S.p.a. ha intimato al Consorzio il rimborso integrale delle somme
indebitamente versate a titolo di addizionale provinciale alle accise
sull'energia elettrica negli anni 2010 e 2011 per l'importo
complessivo di euro 16.436,44, o nei diversi importi eventualmente
spettanti, oltre agli interessi di legge maturati e maturandi.
Con comunicazione del 7 agosto 2020 (doc. 3 del fascicolo di
Officine Meccaniche ANI S.p.a.) il Consorzio Energia Assindustria
Vicenza - Energindustria respingeva la richiesta di rimborso.
Stante l'impossibilita' (per le ragioni in seguito evidenziate)
di un accordo bonario, le parti in data 6 novembre 2020 stipulavano
un atto di compromesso per arbitrato, chiamato a decidere secondo
diritto con le formalita' proprie dell'arbitrato rituale, che
prevedeva di sottopone al Collegio arbitrale i seguenti quesiti:
«Accertare e dichiarare se sussista o meno il diritto della
societa' Officine Meccaniche ANI S.p.a. - quale cliente - a ripetere
dal Consorzio Energia Assindustria Vicenza - quale fornitore - le
somme corrisposte a titolo di addizionale provinciale all'accisa
all'energia elettrica e, in conseguenza di tale accertamento,
condannare o meno il Consorzio fornitore a rimborsare al Consorziato
- cliente le somme richieste e accertate come dovute, con gli
interessi di legge».
«Accertare o meno la rilevanza e la non manifesta
infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art.
14 decreto legislativo n. 504/1995 con le norme costituzionali di cui
all'art. 41, 3, 24 e 25 della Costituzione, con l'adozione dei
provvedimenti conseguenti ed inerenti di rigetto o di accoglimento
della istanza presentata».
Il Collegio arbitrale, costituito nella riunione del 9 novembre
2020, assegnava termini di difesa alle parti:
sino al 2 dicembre 2020, alla societa' Officine Meccaniche
ANI S.p.a., e sino al 23 dicembre 2020 al Consorzio Energindustria,
per il deposito di memorie contenenti le rispettive domande,
eccezioni e le relative istanze, anche istruttorie, con deposito dei
documenti che si intendono esibire al Collegio, e comunque degli
elementi di cui ai punti 2, 3, 4 e 5 e 6 dell'art. 163 c.p.c.;
sino all'11 gennaio 2021 alla societa' Officine Meccaniche
ANI S.p.a., e sino al 25 gennaio 2021 al Consorzio Energindustria,
per il deposito di rispettive ed eventuali memorie di replica e
controreplica;
fissando per la comparizione delle parti la riunione del giorno 8
febbraio 2021 ad ore 14,30.
Nella memoria di costituzione di data 2 dicembre 2020 la societa'
Officine Meccaniche ANI S.p.a. ha chiesto al Collegio arbitrale
l'accoglimento delle seguenti domande:
«accertare e dichiarare che l'art. 6 comma 1 del
decreto-legge n. 511/1988 convertito, con modificazioni, dalla legge
n. 20/1989 si pone in contrasto con l'art. 3, par. 2 della direttiva
92/12/CEE, e con l'art. 2008/118/CE, art. 1, par. 2 e, di
conseguenza, deve essere disapplicato»;
«in conseguenza di tale disapplicazione accertare e
dichiarare che le somme pagate a titolo di addizionale all'accisa
all'energia elettrica, in contrasto con la normativa comunitaria,
costituiscono indebito oggettivo e devono essere rimborsate»;
«accertare e dichiarare che le somme pagate a titolo di
addizionale all'accisa all'energia elettrica dalla societa' Officine
Meccaniche ANI S.p.a. nei confronti del Consorzio Energia
Assindustria Vicenza ammontano complessivamente in euro 16.436,44 a
titolo di capitale»;
«condannare il Consorzio Energia Assindustria Vicenza -
Energindustria a corrispondere alla societa' Officine Meccaniche ANI
S.p.a. la somma di euro 16.438,47 pagata a titolo di addizionale
all'accisa all'energia elettrica oltre agli ulteriori interessi
maturati dai singoli pagamenti sino al saldo»;
«con rifusione delle spese di procedura e oneri di difesa a
favore della societa' Officine Meccaniche ANI S.p.a.».
Nella memoria di costituzione di data 23 dicembre 2020 il
Consorzio Energia Assindustria Vicenza - Energindustria ha dedotto,
tra l'altro:
che l'art. 14 decreto legislativo n. 504/1995 stabilisce:
«Qualora, al termine di un procedimento giurisdizionale, il soggetto
obbligato al pagamento dell'accisa sia condannato alla restituzione a
terzi di somme indebitamente percepite a titolo di rivalsa
dell'accisa, il rimborso e' richiesto dal predetto soggetto
obbligato, a pena di decadenza, entro novanta giorni dal passaggio in
giudicato della sentenza che impone la restituzione delle somme»;
che «l'art. 14 decreto legislativo n. 504/1995 pone a carico
del Consorzio un onere finanziario complessivo insostenibile a mera
tutela dei soli interessi dell'Erario:
oltre quattro milioni e mezzo di euro, se valutato nei
confronti di tutti i potenziali creditori;
oltre un milione e mezzo di euro, di debito certo ed
attuale, se valutato nei confronti dei clienti che hanno interrotto
il termine prescrizionale con la presentazione delle istanze di
rimborso e che stanno minacciando in concorso le azioni giudiziarie;
centinaia di migliaia di euro, per spese giudiziali alle
quali il Consorzio non puo' sottrarsi»;
che gli oneri imposti a mera tutela degli interessi
dell'Erario ledono il proprio diritto alla liberta' di impresa,
previsti dagli articoli 16 (i.e. Liberta' di impresa) e 52, primo
comma (i.e. Portata dei diritti garantiti) della Carta dei Diritti
Fondamentali dell'Unione europea, perche' «non rispettano il
contenuto essenziale» di tale diritto e priva il Consorzio delle
risorse finanziarie necessarie alla sua esistenza e alla sua
attivita', con un forte rischio di insolvenza e di estinzione;
che l'art. 14 decreto legislativo n. 504/1995, si pone in
contrasto non solo con la Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione
europea, ma anche con gli articoli 3 e 41 della Costituzione;
che, in particolare, la norma si manifesta irragionevole
(art. 3) perche' impone all'attivita' di impresa oneri arbitrari e
misure palesemente incongrui e non proporzionali, atti a condizionare
le scelte imprenditoriali in grado cosi' elevato da indurre la
funzionalizzazione dell'attivita' economica, sacrificandone le
opzioni di fondo, restringendone in rigidi confini lo spazio e
l'oggetto delle scelte organizzative (art. 41);
che, oltretutto, anche qualora ritenesse fondata la richiesta
di rimborso avanzata dai propri consorziati in quanto imposizione
fiscale illegittima e come tale abrogata, il Consorzio non puo'
aderire spontaneamente alla richiesta di rimborso, ma ha l'onere di
essere parte in un procedimento giurisdizionale di condanna alla
restituzione delle somme percepite a titolo di accisa (o addizionale
all'accisa) che e' imposto come necessario per poter far valere il
suo diritto al successivo rimborso da parte dell'amministrazione
finanziaria;
che per effetto di tale norma, non potendo il fornitore
adempiere all'obbligo restitutorio di propria iniziativa (pena la
perdita del diritto al rimborso nei confronti dell'Erario) il cliente
si trova obbligato a radicare un procedimento giurisdizionale e il
venditore ha l'onere di attendere la definitivita' della sentenza di
condanna; una spontanea restituzione dell'accisa indebitamente
riscossa o una definizione transattiva non consentono al venditore di
ottenere dall'Erario il rimborso di quanto eventualmente restituito.
Il Consorzio Energia Assindustria Vicenza - Energindustria ha
quindi richiesto al Collegio di sollevare la questione di
incostituzionalita' dell'art. 14 decreto legislativo n. 504/1995 ed
ha formulato le seguenti domande:
«In via principale tutelare il diritto alla liberta' di
impresa di cui all'art. 16 della Carta dei Diritti Fondamentali
dell'Unione europea e conseguentemente, previa disapplicazione
diretta della normativa nazionale di cui all'art. 14 decreto
legislativo n. 504/1995 in contrasto con la superiore normativa
comunitaria, rigettare la domanda di accertamento e condanna proposte
perche' infondate».
«In subordine, ritenere e dichiarare che la questione di
incompatibilita' dell'art. 14 decreto legislativo n. 504/1995 con gli
articoli 3, 41 e 117 della Costituzione, come sollevata in atti, e'
rilevante e non manifestamente infondata; e previa sospensione del
presente giudizio, rimettere gli atti alla Corte costituzionale per
il conseguente giudizio di legittimita' in via incidentale».
«Spese di lite integralmente rifuse».
«In ulteriore subordine, nella denegata ipotesi di
soccombenza, disporre la compensazione delle spese di lite,
considerato l'obbligo disposto per legge a carico del consorzio
resistente di essere parte del giudizio, ai sensi e per gli effetti
di cui all'art. 14 decreto legislativo n. 504/1995.
Il 12 febbraio 2021, sciolta la riserva dell'8 febbraio 2021,
riunione nella quale era stato esperito inutilmente il tentativo di
conciliazione, il Collegio arbitrale tratteneva la vertenza in
decisione.
Legittimazione del Collegio arbitrale costituito a sollevare
questione incidentale di legittimita' costituzionale ex art. 23 della
legge 11 marzo 1953, n. 87.
In via preliminare, il Collegio arbitrale afferma la propria
legittimazione a sollevare questione incidentale di legittimita'
costituzionale in quanto Collegio chiamato a decidere un Arbitrato
rituale.
Infatti, nell'atto di compromesso, le parti hanno convenuto
espressamente che:
«L'arbitrato sara' rituale, non amministrato, e il Collegio
arbitrale decidera' secondo diritto nel rispetto delle norme
inderogabili degli articoli 806 e ss. del codice di procedura civile,
pervenendo ad un lodo suscettibile di essere reso esecutivo e di
produrre gli effetti di cui all'art. 825 c.p.c.
Al Collegio arbitrale viene riconosciuta la facolta' di
regolare lo svolgimento del giudizio nel modo ritenuto piu' opportuno
dallo stesso. In ogni caso il Collegio arbitrale dovra' attuare il
diritto del contraddittorio, concedendo alle parti ragionevoli ed
equivalenti possibilita' di difesa».
Sulla base del contenuto del compromesso arbitrale sottoscritto
tra le parti, e sulla base dello svolgimento del procedimento come
sopra richiamato, risulta chiara e incontestabile la natura rituale
del procedimento arbitrale e la conseguente legittimazione del
Collegio, come nel caso specifico, a rimettere alla Corte
costituzionale una questione di legittimita' costituzionale ai sensi
dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
Disapplicazione dell'addizionale provinciale alle accise sull'energia
elettrica di cui al decreto-legge n. 511 del 1988, art. 6.
Rispetto alle possibili questioni di legittimita' costituzionale,
ed agli effetti del giudizio di rilevanza, appare pregiudiziale la
valutazione incidentale della fondatezza o meno della richiesta
avanzata dalla societa' Officine Meccaniche ANI S.p.a. di
disapplicazione dell'addizionale provinciale alle accise sull'energia
elettrica di cui al decreto-legge n. 511 del 1988, art. 6.
L'art. 6 comma 1 del decreto-legge n. 511/1988 convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 20/1989, ha istituito un'addizionale
all'accisa sul consumo di energia elettrica il cui gettito era
destinato a finanziare i bilanci delle province.
Per effetto di tale normativa, nel periodo a tutto il 31 dicembre
2011, le bollette elettriche per consumi non domestici fino a 200.000
kwh di consumi mensili per punto di prelievo sono state gravate da
una addizionale provinciale, con una aliquota variabile da un minimo
di euro 9,30 ad un massimo di euro 11,40 su mille Kwh, a seconda
delle delibere provinciali adottate.
L'addizionale veniva addebitata in fattura dal venditore al
cliente e riscossa contestualmente al corrispettivo della fornitura.
L'addizionale riscossa veniva poi riversata dal venditore all'Agenzia
delle dogane contestualmente all'accisa.
L'addizione provinciale e' stata abrogata dall'art. 4, comma 10,
decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 «A decorrere dal 1° aprile 2012».
Il contrasto della normativa nazionale con il diritto comunitario
- ravvisato dallo stesso legislatore - e' stato ripetutamente
dichiarato dalla Corte di cassazione, investita della questione a
seguito dei ricorsi di numerose societa': con orientamento costante a
partire dalla pronuncia n. 27101/2019 del 23 ottobre 2019, la Suprema
Corte ha statuito che l'addizionale provinciale alle accise
sull'energia elettrica deve essere disapplicata e che le somme pagate
a tale titolo costituiscono un indebito oggettivo, con il conseguente
diritto degli utenti non domestici al rimborso delle medesime, nel
termine prescrizionale di dieci anni dalla data di pagamento, per le
seguenti motivazioni (vedasi, da ultimo, Cassazione sentenza n. 10690
del 5 giugno 2020):
«perche' le addizionali provinciali siano legittime ai sensi
della direttiva 2008/118/CE occorre il cumulativo riscontro di due
requisiti, cioe': 1) il rispetto delle regole di imposizione
dell'Unione applicabili ai fini delle accise o dell'IVA per la
determinazione della base imponibile, il calcolo, l'esigibilita' e il
controllo dell'imposta; 2) la sussistenza di una finalita'
specifica»;
la seconda condizione non e' rispettata «in quanto ne' la
disposizione di cui al decreto 11 giugno 2007, art. 6, del capo del
Dipartimento per le politiche fiscali del Ministero dell'economia e
delle finanze, previsto dal medesimo articolo, comma 2, chiariscono
in alcun modo le specifiche finalita' che le addizionali dovrebbero
soddisfare, non essendo in armonia con il diritto unionale la
destinazione di tali addizionali a semplici finalita' di bilancio»;
«in particolare, tenuto conto delle sentenze della Corte di
giustizia sopra richiamate, non puo' essere ritenuta finalita'
specifica la destinazione (evincibile dalla premessa del
decreto-legge n. 511 del 1988) delle imposte addizionali ad
"assicurare le necessarie risorse agli enti della finanza regionale e
locale, al fine di garantire l'assolvimento dei compili
istituzionali", non essendo tale finalita' realmente distinta dalla
generica finalita' di bilancio»;
«altrettanto deve dirsi per quanto riguarda i riferimenti
alla legge 8 giugno 1990, n. 142, art. 54, al decreto legislativo 18
agosto 2000, n. 267, art. 149 (Testo unico delle leggi
sull'ordinamento degli enti locali, T.U.E.L.) ovvero all'art. 19
T.U.E.L.: le indicazioni che si traggono da tali norme sono infatti
del tutto generiche e non in grado di distinguere la finalita'
specifica cui l'addizionale provinciale intende soddisfare»;
«la circostanza che in tema di bilancio degli enti locali non
sia possibile destinare o vincolare a spese analiticamente
individuate i proventi dell'addizionale, da un lato, non giustifica
la violazione del diritto unionale e, dall'altro, non impedisce al
legislatore di individuare una finalita' specifica che i proventi
dell'addizionale debbano soddisfare, indipendentemente dalla diretta
correlazione tra entrata e spesa in sede di bilancio»;
«Nemmeno e' possibile trarre argomenti dal decreto-legge 29
dicembre 2010, n. 225, art. 2, comma 2-bis, conv. con modif. nella
legge 26 febbraio 2011, n. 10 (norma, peraltro, introdotta solo in
sede di conversione e con decorrenza 27 febbraio 2011), e ritenere
che le addizionali provinciali sull'energia elettrica vadano a
copertura dei "costi diretti e indiretti dell'intero ciclo di
gestione dei rifiuti": la disposizione richiamata si esprime in
termini potenziali (la gestione dei rifiuti "puo' essere assicurata")
e l'Agenzia delle dogane e dei monopoli non ha affatto provato che
detta addizionale sia stata, nel caso di specie, effettivamente
destinata alla copertura di quei costi»;
«ne consegue che il decreto-legge n. 511 del 1988, art. 6,
comma 2, indipendentemente da qualsiasi questione sul carattere
self-executing della direttiva 2008/112/CE, peraltro integralmente
recepita dalla normativa interna, va disapplicato in ossequio al
ricevuto principio per cui l'interpretazione del diritto comunitario
fornita dalla Corte di giustizia U.E. e' immediatamente applicabile
nell'ordinamento interno e impone al giudice nazionale di
disapplicare le disposizioni di tale ordinamento che, sia pure
all'esito di una corretta interpretazione, risultino in contrasto o
incompatibili con essa (Corte costituzionale, 8 giugno 1984, n. 170 e
successive, C.G.U.E., 22 giugno 1989, in causa C103/88, Fratelli
Costanzo, punti 30 e 31; in materia tributaria, Sez. U, 12 aprile
1996, n. 3458)»;
«le imposte addizionali in questione non sono dunque dovute,
con conseguente infondatezza del motivo di ricorso, dovendosi
pertanto affermare il seguente principio di diritto: "l'addizionale
provinciale alle accise sull'energia elettrica di cui al
decreto-legge n. 511 del 1988, art. 6, nella sua versione,
applicabile ratione temporis, successiva alle modifiche introdotte
dal decreto legislativo n. 26 del 2007, art. 5, comma 1, va
disapplicata per contrasto con la direttiva 2008/118/CE, art. 1, par.
2, per come interpretato dalla Corte di giustizia U.E. con le
sentenze 5 marzo 2015, in causa C-553/13, e 25 luglio 2018, in causa
C-103/17».
Alla luce della costante giurisprudenza della Suprema Corte
ritiene il Collegio arbitrale, agli effetti del giudizio di rilevanza
ed in via incidentale, di condividere ed applicare il suesposto
principio di diritto e dunque che l'addizionale provinciale alle
accise sull'energia elettrica di cui al decreto-legge n. 511 del
1988, art. 6, nella sua versione, applicabile ratione temporis,
successiva alle modifiche introdotte dal decreto legislativo n. 26
del 2007, art. 5, comma 1, vada disapplicata come richiesto dalla
societa' Officine Meccaniche ANI S.p.a., con conseguente sussistenza
del dedotto indebito oggettivo.
Si tratta quindi di valutare se, nel caso di addebito delle
accise (e relativa addizionale) al consumatore finale, quest'ultimo
debba esercitare l'azione civilistica di ripetizione di indebito
direttamente nei confronti del fornitore, se il diritto al rimborso
spettante al fornitore richieda quale condizione necessaria che il
consumatore finale abbia esercitato vittoriosamente nei suoi
confronti azione di ripetizione di indebito e se la normativa vigente
in ordine al rimborso dell'accisa indebitamente versata sia conforme
ai precetti costituzionali.
Quadro normativo di riferimento in cui va collocata la disposizione
(censurata) che disciplina il rimborso di accise (e/o relative
addizionali) indebitamente corrisposte.
Secondo il Testo unico accise (decreto legislativo 26 ottobre
1995, n. 504 e successive modificazioni), nella versione applicabile
ratione temporis, per i prodotti sottoposti ad accisa (ed alla
relativa addizionale) l'obbligazione tributaria sorge al momento
della loro fabbricazione ovvero della loro importazione (art. 2,
comma 1); sono obbligati al pagamento dell'accisa il titolare del
deposito fiscale dal quale avviene l'immissione in consumo e gli
altri soggetti nei cui confronti si verificano i presupposti per
l'esigibilita' dell'imposta (comma 4).
Gli obbligati al pagamento dell'accisa sull'energia elettrica
sono «i soggetti che procedono alla fatturazione dell'energia
elettrica ai consumatori finali, di seguito indicati come venditori»
(art. 53, comma 1, lettera a), mentre «i crediti vantati dai soggetti
passivi dell'accisa verso i cessionari dei prodotti per i quali i
soggetti stessi hanno assolto tale tributo possono essere addebitati
a titolo di rivalsa» (art. 16, comma 3); all'art. 56 si precisa,
altresi', che le societa' fornitrici «hanno diritto di rivalsa sui
consumatori finali» (art. 56, comma 1).
Ai sensi dell'art. 14 TUA (nella versione applicabile ratione
temporis alla presente procedura arbitrale, inalterata rispetto a
quella dell'epoca - anno 2011 - della riscossione dell'addizionale
all'accisa di cui si discute), «l'accisa e' rimborsata quando risulta
indebitamente pagata», ma il rimborso - previsto in via generale
dall'art. 9, p. 2, della direttiva n. 2008/118/CE, che fa riferimento
alle modalita' stabilite dai singoli Stati membri - «deve essere
richiesto, a pena di decadenza, entro due anni dalla data del
pagamento» e che «Qualora, al termine di un procedimento
giurisdizionale, il soggetto obbligato al pagamento dell'accisa sia
condannato alla restituzione a terzi di somme indebitamente percepite
a titolo di rivalsa dell'accisa, il rimborso e' richiesto dal
predetto soggetto obbligato, a pena di decadenza, entro novanta
giorni dal passaggio in giudicato della sentenza che impone la
restituzione delle somme».
Il diritto al rimborso dell'accisa e', dunque, regolato, in via
generale, dall'art. 14 TUA, mentre il decreto-legge 30 settembre
1982, n. 688, art. 19, comma 1, conv. con modif. nella legge 27
novembre 1982, n. 873, secondo cui «chi ha indebitamente corrisposto
diritti doganali all'importazione, imposte di fabbricazione, imposte
di consumo o diritti erariali (...) ha diritto al rimborso delle
somme pagate quando prova documentalmente che l'onere non e' stato in
qualsiasi modo trasferito su altri soggetti, salvo il caso di errore
materiale», risulta applicabile unicamente «quando i tributi riscossi
non rilevano per l'ordinamento comunitario» (legge 29 dicembre 1990,
n. 428, art. 29, comma 3).
Per il rimborso dei tributi rilevanti per l'ordinamento
comunitario dispone la legge n. 428 del 1990, art. 29, comma 2, il
quale stabilisce che: «I diritti doganali all'importazione, le
imposte di fabbricazione, le imposte di consumo, il sovrapprezzo
dello zucchero e i diritti erariali riscossi in applicazione di
disposizioni nazionali incompatibili con norme comunitarie sono
rimborsati a meno che il relativo onere non sia stato trasferito su
altri soggetti, circostanza che non puo' essere assunta dagli uffici
tributari a mezzo di presunzioni».
Dal combinato disposto delle menzionate disposizioni emerge che
il primo soggetto passivo del rapporto tributario e' il fornitore di
energia, tenuto verso il fisco per il pagamento dell'accisa ovvero
della relativa addizionale. Egli puo' ribaltarne l'onere rivalendosi
nei confronti dell'utente secondo la caratterizzazione tipologica
delle accise; il che postula, per poter risultare efficace e
garantire un gettito costante all'Erario, la concentrazione del
controllo su pochi soggetti, ossia i produttori o gli importatori dei
prodotti (Cassazione sentenza n. 17627 del 6 agosto 2014).
Per costoro, in sostanza, l'accisa e' un costo sostenuto prima
della cessione del bene, tale da farlo rientrare, ad esempio, nella
base imponibile dell'IVA (Cassazione sentenza n. 24015 del 3 ottobre
2018).
Per altro verso, «la configurabilita' della rivalsa come oggetto
di un diritto e non come elemento connaturale ed ineludibile della
fisionomia del tributo esclude la configurabilita' del rapporto di
sostituzione d'imposta e, per conseguenza, l'autonoma rilevanza del
sostituito, ossia del consumatore finale» (Cassazione sentenza n.
9567 del 2013).
Le superiori conclusioni trovano conferma nella giurisprudenza
della Corte di cassazione: sia pure con riferimento al gas metano, e'
stato, infatti, affermato che «il rapporto tributario inerente al
pagamento dell'imposta si svolge solo tra la amministrazione
finanziaria ed i soggetti che forniscono direttamente il gas metano
ai consumatori e ad esso e' del tutto estraneo l'utente consumatore»
(Cassazione S.U. sentenza 25 maggio 2009, n. 11987), sicche' «il solo
soggetto obbligato verso l'amministrazione finanziaria e' l'ente
comunale che immette in consumo il gas e riscuote l'accisa inglobata
nel prezzo (e' una peculiarita' che non incide sulla natura del
tributo che resta distinto dal prezzo del gas) (...)» (Cassazione
S.U. sentenza 19 marzo 2009, n. 6589).
Uno schema del tutto analogo e' seguito per il versamento delle
imposte addizionali di cui al decreto-legge n. 511 del 1988, art. 6,
comma 3 (nel testo applicabile ratione temporis), secondo cui dette
imposte sono dovute, dai soggetti obbligati di cui all'art. 53 TUA
(societa' fornitrici), al momento della fornitura dell'energia
elettrica ai consumatori finali e che «le addizionali sono liquidate
e riscosse con le stesse modalita' dell'accisa sull'energia
elettrica».
In buona sostanza, l'imposta (e la sua addizionale) e' dovuta dai
soggetti che forniscono direttamente il prodotto ai consumatori, di
guisa che soggetto passivo dell'imposta e' il fornitore del prodotto;
quanto al consumatore, l'onere corrispondente all'imposta e' su di
lui traslato in virtu' e nell'ambito di un fenomeno meramente
economico. Ne deriva che il rapporto tributario inerente al pagamento
dell'imposta si svolge soltanto tra l'amministrazione finanziaria ed
i soggetti che forniscono direttamente i prodotti, essendo ad esso
estraneo l'utente consumatore.
Come e' stato rilevato sia in dottrina che in giurisprudenza, «i
due rapporti, quello fra fornitore ed amministrazione finanziaria e
quello fra fornitore e consumatore, si pongono quindi su due piani
diversi: il primo ha rilievo tributario, il secondo civilistico»
(cfr. Cassazione sentenza n. 9567 del 2013).
E' stato ancora precisato, sia pure con riferimento all'IVA di
rivalsa (Cassazione sentenza n. 23288 del 27 settembre 2018) ma con
evidente estensibilita' ad altre ipotesi (come in tema di accise),
che dal compimento dell'operazione imponibile scaturiscono tre
rapporti (cfr. Cassazione S.U. sentenza n. 26437 del 20 luglio 2017):
uno, tra l'amministrazione finanziaria e il cedente, relativo al
pagamento dell'imposta; un secondo, tra il cedente e il cessionario,
concernente la rivalsa; un terzo, tra l'amministrazione e il
cessionario, relativo alla detrazione dell'imposta assolta in via di
rivalsa.
Si tratta di rapporti che, pur essendo collegati, non
interferiscono tra loro e soltanto il cedente ha titolo ad agire per
il rimborso nei confronti dell'amministrazione, la quale, pertanto,
essendo estranea al rapporto tra cedente e cessionario, non puo'
essere tenuta a rimborsare direttamente a quest'ultimo quanto dallo
stesso versato in via di rivalsa (Cassazione sentenza n. 14933 del 6
luglio 2011; Cassazione sentenza n. 17169 del 26 agosto 2015).
Al riguardo, la Corte di giustizia ha ripetutamente sottolineato
(tra le tante, CGUE 27 aprile 2017, causa C-564/15, Farkas) che, in
mancanza di disciplina dell'Unione in materia di domande di rimborso
delle imposte, spetta all'ordinamento giuridico interno di ciascuno
Stato membro stabilire i requisiti al ricorrere dei quali tali
domande possono essere presentate, purche' i requisiti in questione
rispettino i principi di equivalenza e di effettivita', vale a dire,
non siano meno favorevoli di quelli che riguardano reclami analoghi
basati su norme di natura interna e non siano congegnati in modo da
rendere praticamente impossibile l'esercizio dei diritti conferiti
dall'ordinamento giuridico dell'Unione (in termini, CGUE 15 marzo
2007, causa C-35/05, punto 37, Reemtsma Cigarettenfabriken).
E quindi rispetta i principi di neutralita' e di effettivita'
(consentendo all'acquirente, gravato dell'imposta erroneamente
fatturata, di ottenere il rimborso delle somme indebitamente versate)
un sistema nel quale, da un lato, il venditore del bene che ha
versato erroneamente alle autorita' tributarie l'IVA puo' chiederne
il rimborso e, dall'altro, l'acquirente di tale bene puo' esercitare
un'azione civilistica di ripetizione dell'indebito nei confronti di
tale venditore (CGUE 15 marzo 2007, causa C-35/05, cit., punti 38 e
39 e giurisprudenza ivi citata).
E' quindi compito degli Stati membri prevedere gli strumenti e le
modalita' procedurali necessari per consentire a detto acquirente di
recuperare l'imposta indebitamente fatturata, in modo da rispettare
il principio di effettivita'; sicche' soltanto se il rimborso risulti
impossibile o eccessivamente difficile, il principio di effettivita'
puo' imporre che l'acquirente del bene in questione sia legittimato
ad agire per il rimborso direttamente nei confronti delle autorita'
tributarie (come nel caso di fallimento del venditore: CGUE 27 aprile
2017, causa C-564/15, cit.; conf., CGUE 31 maggio 2018, cause C660 e
661/16, KollroB e Wirti, punto 66).
Il fruitore dei beni o dei servizi puo' dunque ottenere il
rimborso dell'imposta illegittimamente versata esperendo nei
confronti del cedente o del prestatore un'azione di ripetizione
d'indebito di rilevanza civilistica (vedi, in tema di IVA, CGUE 15
dicembre 2011, causa C-427/10, Banca Popolare Antoniana veneta, punto
42; e, in tema di accise, CGUE 20 ottobre 2011, causa C-94/10,
Danfoss) ed eccezionalmente un'azione diretta nei confronti
dell'Erario, ove venga dedotta in relazione all'azione nei confronti
del fornitore la violazione del principio di effettivita'.
L'impossibilita' o l'eccessiva difficolta' di cui sopra non sono
di per se' ravvisabili per il fatto che la natura indebita del
pagamento dell'imposta discenda dalla contrarieta' di una norma
nazionale a una direttiva, ma sono correlate alla situazione del
soggetto passivo (nel caso in questione, del fornitore) e non gia' a
quella del consumatore finale.
Puo' quindi affermarsi, con specifico riferimento alla materia
delle accise e delle addizionali, che secondo la normativa vigente
(TUA):
obbligato al pagamento delle accise (e relativa addizionale)
nei confronti dell'amministrazione doganale e' unicamente il
fornitore;
il fornitore puo' addebitare integralmente le accise (e
relativa addizionale) pagate al consumatore finale;
i rapporti tra fornitore e amministrazione doganale e
fornitore e consumatore finale sono autonomi e non interferiscono tra
loro;
in ragione della menzionata autonomia, il consumatore finale,
anche in caso di addebito del tributo da parte del fornitore, non ha
diritto a chiedere direttamente all'amministrazione finanziaria il
rimborso delle accise (e/o relativa addizionale) indebitamente
corrisposte;
il diritto al rimborso spetta unicamente al fornitore, che
puo' esercitarlo nei confronti dell'amministrazione finanziaria: a)
nel caso in cui non abbia addebitato l'imposta al consumatore finale,
entro due anni dalla data del pagamento; b) nel caso in cui il
consumatore finale abbia esercitato vittoriosamente nei suoi
confronti azione di ripetizione di indebito, entro novanta giorni dal
passaggio in giudicato della relativa sentenza;
nel caso di addebito delle accise (e relativa addizionale) al
consumatore finale, quest'ultimo puo' esercitare l'azione civilistica
di ripetizione di indebito direttamente nei confronti del fornitore,
salvo chiedere eccezionalmente il rimborso anche nei confronti
dell'amministrazione finanziaria allorquando alleghi che l'azione
esperibile nei confronti del fornitore si riveli oltremodo gravosa
(come accade, ad esempio, nell'ipotesi di fallimento del fornitore).
In buona sostanza, secondo la normativa vigente:
le imposte addizionali sul consumo di energia elettrica di
cui al decreto-legge n. 511 del 1988, art. 6, comma 3 (nel testo
applicabile ratione temporis) sono dovute, al pari delle accise, dal
fornitore al momento della fornitura dell'energia elettrica al
consumatore finale e, nel caso di pagamento indebito, unico soggetto
legittimato a presentare istanza di rimborso all'amministrazione
finanziaria ai sensi del decreto legislativo n. 504 del 1995, art. 14
e della legge n. 428 del 1990, art. 29, comma 2, e' il fornitore;
il consumatore finale dell'energia elettrica, a cui sono
state addebitate le imposte addizionali sul consumo di energia
elettrica di cui al decreto-legge n. 511 del 1988, art. 6, comma 3
(nel testo applicabile ratione temporis) da parte del fornitore, puo'
agire nei confronti di quest'ultimo con l'ordinaria azione di
ripetizione di indebito e, solo nel caso in cui tale azione si riveli
impossibile o eccessivamente difficile con riferimento alla
situazione in cui si trova il fornitore, puo' eccezionalmente
chiedere il rimborso nei confronti dell'amministrazione finanziaria,
nel rispetto del principio unionale di effettivita' e previa
allegazione e dimostrazione delle circostanze di fatto che
giustificano tale legittimazione straordinaria;
solo una volta che sia stata esercitata vittoriosamente da
parte del consumatore finale l'azione di rimborso nei confronti del
fornitore, quest'ultimo ha novanta giorni dal passaggio in giudicato
della sentenza per far valere il diritto al rimborso nei confronti
dell'amministrazione finanziaria.
Dubbi di costituzionalita' del quarto comma dell'art. 14 decreto
legislativo n. 504/1995.
Il Consorzio Energia Assindustria Vicenza - Energindustria ha
evidenziato:
di aver incassato dai clienti negli anni 2010 e 2011, a
titolo di addizionale provinciale all'accisa sull'energia elettrica,
la somma complessiva di euro 6.011.045,80, che poi ha riversato
all'Erario nella sua veste di debitore di imposta;
che, al momento della costituzione del Collegio arbitrale,
oggetto di potenziale rimborso per indebito comunitario non era tutta
la somma incassata a titolo di addizionale provinciale all'accisa
sull'energia elettrica nel biennio 2010/2011, in quanto parte
dell'indebito risultava prescritta;
che al momento della costituzione del Collegio arbitrale il
potenziale onere di rimborso a carico del Consorzio per indebiti non
prescritti poteva essere valutato in circa quattro milioni e mezzo di
euro (come da elenchi e schede contabili prodotte);
che, alla data di radicazione del procedimento
arbitrale, trentatre' clienti avevano presentato istanza di rimborso
per le somme versate a titolo di addizionale provinciale all'energia
elettrica negli anni 2010/2011, per un importo complessivo richiesto
pari ad euro 1.537.261,72, intimando il pagamento e minacciando
l'azione giudiziaria;
di avere l'onere, ai sensi dell'art. 14 decreto legislativo
n. 504/1995, di sostenere un procedimento giurisdizionale per
giungere ad una sentenza di condanna che gli consenta successivamente
di richiedere all'Erario le somme (per addizionale provinciale)
rimborsate ai clienti;
che all'importo capitale degli indebiti andrebbero quindi
aggiunti i costi di difesa (quantificati in oltre un milione di euro
per il solo giudizio di primo grado se tutti i clienti creditori
agissero in giudizio ed in oltre 170.000 euro per i soli trentatre'
potenziali giudizi di primo grado relativi alle istanze di rimborso
gia' ricevute, salvi i gradi successivi) e i realistici oneri legali
di soccombenza;
che, anche a voler limitare l'onere ai trentatre' giudizi
potenziali conseguenti alle istanze di rimborso gia' presentate, il
Consorzio sarebbe chiamato a allocare in bilancio un fondo per oneri
di lite futuri che comprenda anche un importo non inferiore ad euro
170.000,00, senza considerare le ulteriori somme eventualmente dovute
per oneri di soccombenza;
che sebbene la societa' Officine Meccaniche ANI richieda il
rimborso della somma di soli euro 16.436,44 in linea capitale
(importo il cui pagamento non comporta pregiudizio irreversibile o
onere finanziario insostenibile) nell'ipotesi di rimborso
generalizzato per indebito comunitario la valorizzazione dell'onere
restitutorio e delle lesioni del diritto costituzionale e comunitario
non devono essere valutati in senso atomistico, con riferimento
limitato al singolo rimborso;
che quindi, imponendo l'art. 14 decreto legislativo n.
504/1995 un obbligo generale di rimborso dell'indebito comunitario,
deve essere valutata la complessiva idoneita' di tale obbligo
generale ad incidere sfavorevolmente, ed in modo irreversibile, nella
sfera giuridica patrimoniale del soggetto gravato dal rimborso;
che la valutazione del peso dell'obbligo e della sua
irragionevolezza non deve essere rapportata alla manifestazione di un
singolo fatto (i.e. pagamento singolo e puntuale), ma deve essere
svolta sullo stato di soggezione, da intendersi negli effetti
complessivi che l'obbligo imposto dalla norma esplica nella sfera
giuridica del Consorzio;
che l'Organo amministrativo del Consorzio ha l'obbligo di
adottare idonee misure e politiche di bilancio e di programmazione
della propria attivita' atte a coprire gli oneri e le passivita'
sopraindicate quanto meno per un importo non inferiore ad euro
1.800.000,00 (debito restitutorio certo oltre ad oneri di giustizia e
di soccombenza), con accantonamento minimo (limitato alle sole
istanze gia' pervenute) di pari importo;
di essere verosimilmente nell'impossibilita' di far fronte
all'onere restitutorio imposto dalla legge ed agli oneri conseguenti,
come si puo' desumere dal bilancio al 31 dicembre 2019 in atti, dal
quale emergono: un valore della produzione di euro 1.376.435,00,
costi della produzione per euro 1.263.763,00, un risultato prima
delle imposte di euro 115.801,00, un utile di esercizio di euro
12.774,00, un netto patrimoniale di euro 981.589,00;
di non essere in grado di assicurare la costituzione di alcun
fondo ne' di fronteggiare il debito restitutorio se non ricorrendo a
misure di politica aziendale e di bilancio straordinarie che
comporterebbero il congelamento della liquidita', lo stravolgimento
della politica consortile in ordine a iniziative e sviluppi futuri,
il forte rischio (o pericolo serio, concreto ed attuale) di non
essere in grado di gestire la normale e ordinaria attivita', in
ordine ai debiti correnti, ivi compreso il trattamento di fine
rapporto ai dipendenti, il pericolo della messa in liquidazione del
Consorzio e della sua insolvenza;
che la presenza del debito restitutorio comporta che
l'attivita' del Consorzio non sia piu' finalizzata a perseguire lo
scopo consortile per cui e' stato costituito, ma che venga
monopolizzata, per un tempo al momento indefinito, dalla necessita'
di fronteggiare il debito stesso, sorto a causa di un comportamento
non proprio, ma del legislatore, con rimborso differito nel tempo
nell'esclusivo interesse dell'Erario;
che sussiste il rischio concreto e attuale di non essere in
grado di far fronte all'onere restitutorio, con il pericolo della
messa in liquidazione del Consorzio e della sua insolvenza, con
conseguente estinzione;
che alla luce della situazione concreta che si e' venuta a
creare appare fondato il dubbio che la norma di legge di cui all'art.
14 decreto legislativo n. 504/1995, con riferimento alla fattispecie
di indebito comunitario, si ponga in contrasto sia con gli articoli 3
e 41 della Costituzione, sia con l'art. 117 della Costituzione, in
via mediata, per violazione degli articoli 16 e 52 della Carta
Fondamentale dei Diritti dell'Unione europea;
che in questo caso, persistendo comunque in radice un dubbio
di legittimita' in presenza di una doppia pregiudizialita', si rende
necessario il rinvio pregiudiziale alla Corte costituzionale, come
dalla stessa evidenziato in varie pronunce (1) (2) , anche perche'
al Collegio arbitrale e' preclusa la strada collaborativa con il
giudice comunitario del rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE.
Il Collegio arbitrale ritiene che sussistano dubbi di
costituzionalita' del quarto comma dell'art. 14 decreto legislativo
n. 504/1995 sia sotto i profili evidenziati dal Consorzio Energia
Assindustria Vicenza - Energindustria sia sotto gli ulteriori profili
di seguito esposti.
Violazione degli articoli 41 e 3 della Costituzione.
Sul punto del diritto alla liberta' della iniziativa economica
previsto dall'art. 41 della Carta costituzionale e sui suoi limiti la
giurisprudenza della Corte costituzionale e' chiara, pacifica e
costante:
la tutela costituzionale della sfera dell'autonomia privata
non e' assoluta;
il legislatore puo' imporre oneri all'attivita' di impresa:
pertanto non e' configurabile una lesione della liberta' d'iniziativa
economica allorche' l'apposizione di limiti di ordine generale al suo
esercizio corrisponda all'utilita' sociale;
le limitazioni o gli oneri imposti alla attivita' di impresa
non devono essere arbitrari (3) ;
le misure in concreto adottate non devono essere palesemente
incongrue;
l'intervento legislativo non deve essere tale da condizionare
le scelte imprenditoriali in grado cosi' elevato da indurre la
funzionalizzazione dell'attivita' economica, sacrificandone le
opzioni di fondo, restringendone in rigidi confini lo spazio e
l'oggetto delle stesse scelte organizzative» (4) .
Ad avviso del Collegio arbitrale la norma di cui al quarto comma
dell'art. 14 del decreto legislativo n. 504/1992, con riferimento
alle modalita' imposte al venditore per la restituzione delle
addizionali provinciali all'accisa all'energia elettrica quale
indebito oggettivo comunitario e per il successivo recupero
dell'addizionale, non e' conforme ai principi costituzionali
delineati dall'art. 41, ma pone un limite illegittimo, irragionevole
e non proporzionato al diritto alla liberta' di iniziativa economica
posto che:
l'onere imposto dalla legge al venditore (nella specie il
Consorzio Energia Assindustria Vicenza - Energindustria) di
rimborsare un indebito per violazione del diritto comunitario priva
lo stesso delle risorse economiche necessarie allo svolgimento della
propria attivita', con il rischio di insolvenza e conseguente
estinzione, per un fatto o inadempimento non imputabile allo stesso,
ma al legislatore dello Stato membro, cosi' arrecando pregiudizio al
contenuto essenziale del diritto costituzionale alla libera
iniziativa economica;
l'onere di «anticipare» le somme percepite indebitamente in
virtu' di una sentenza provvisoriamente esecutiva, con la
possibilita' di recuperare le somme solo dopo anni (divergenza
temporale tra sentenza provvisoriamente esecutiva, che obbliga il
venditore a corrispondere l'indebito comunitario, e passaggio in
giudicato della sentenza che legittima la richiesta di restituzione
delle somme anticipate), comporta uno sbilancio finanziario
irragionevole ed inaccettabile, che pregiudica l'attivita' di impresa
propria del venditore (nella specie il Consorzio Energia Assindustria
Vicenza - Energindustria);
l'obbligo di sostenere una difesa giudiziale, per una
moltitudine diffusa di procedimenti, con costi ingenti a proprio
esclusivo carico senza alcuna possibilita' di rimborso, appare del
tutto irragionevole ed arbitrario, specie quando il diritto del
cliente al rimborso appare chiaro e delineato alla luce della
condivisibile giurisprudenza della Corte di cassazione;
proprio la presenza di un obbligo restitutorio generalizzato
di una accisa o addizionale per indebito comunitario comporta che
l'attivita' del Consorzio non sia piu' finalizzata a perseguire lo
scopo per cui e' stato costituito, ma venga monopolizzata, per un
tempo indefinito al momento, dalla necessita' di fronteggiare il
debito stesso, sorto - come detto - a causa dell'emanazione di
normativa in contrasto con il diritto comunitario.
L'onere imposto dall'art. 14 decreto legislativo n. 504/1995 a
carico del fornitore di energia appare illegittimo anche perche'
sproporzionato e si manifesta insopportabile e spropositato, con
conseguente violazione dell'art. 3 della Costituzione.
Per poter rispondere ai principi di proporzionalita' e di
ragionevolezza, le misure adottate dal legislatore nazionale devono
infatti essere idonee al conseguimento degli obiettivi legittimi
prefissati, non devono superare i limiti di quanto risulti necessario
per conseguire tali obiettivi (tanto che qualora esistano diverse
alternative sul piano regolamentare si deve ricorrere a quella meno
restrittiva) e gli inconvenienti causati non devono essere
sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti.
Nel caso in esame appare evidente la sproporzione e la totale
mancanza di bilanciamento degli interessi contrapposti, con il
sacrificio del diritto alla liberta' di impresa a favore dell'Erario.
Va infatti considerato che il quarto comma dell'art. 14 decreto
legislativo n. 504/1995 disciplina due fattispecie tra loro ben
diverse, e cioe':
sia l'ipotesi di indebito singolo e specifico per erronea
applicazione dell'accisa o della sua addizionale;
sia l'indebito per violazione di normativa comunitaria (pur
dovendosi ritenere che la predetta norma non sia sorta con la
finalita' di disciplinare tale indebito).
E che si tratti di fattispecie ben diverse tra loro e'
evidenziato dal fatto che:
a) l'indebito singolo e specifico per erronea applicazione
dell'accisa:
colpisce in modo limitato pochi comportamenti, posti in
essere in carenza o violazione dei presupposti richiesti dalla norma;
e' frutto di un errore posto in essere dal venditore o dal
cliente;
e' conosciuto in concreto dalle sole parti del rapporto
contrattuale;
genera un onere finanziario limitato, del tutto sostenibile
da parte del venditore;
b) l'indebito per violazione di normativa comunitaria, per
contro:
colpisce la generalita' dei soggetti potenzialmente
interessati all'accisa;
e' conseguenza di un comportamento illegittimo del
legislatore nazionale, cui competerebbe l'obbligo di porvi rimedio
senza nessun concorso delle parti contrattuali;
non e' conseguenza di un comportamento errato delle parti,
le quali hanno dato corretta esecuzione ad una norma di legge vigente
all'epoca dell'applicazione dell'accisa o sua addizionale;
non richiede l'opportunita' che la verifica della debenza o
meno del diritto al rimborso venga devoluto al soggetto che, in
concreto e senza colpa, ha addebitato l'accisa ma puo' essere
valutato direttamente dall'Erario, effettivo destinatario delle
somme, sulla base della prova del pagamento indebito;
genera un onere molto elevato, spropositato ed
insostenibile da parte del soggetto passivo dell'accisa.
La lettera dell'art. 14 decreto legislativo n. 504/1995, che non
opera distinzioni tra i due diversi tipi di indebito, va cosi'
irragionevolmente a disciplinare in modo identico fattispecie diverse
tra loro, e cioe' sia l'indebito dovuto a errore limitato e non
generalizzato, commesso dal venditore o dall'acquirente nel corso del
rapporto contrattuale, sia l'indebito comunitario, conseguente
all'illegittimita' dell'addizionale provinciale all'accisa
all'energia elettrica, determinando cosi' conseguenze insostenibili
per il venditore nell'ipotesi di indebito generalizzato comunitario;
la violazione dell'art. 3 della Costituzione appare,
nell'applicazione della predetta norma all'indebito comunitario, del
tutto evidente.
Violazione dell'art. 117 della Costituzione, in via mediata, per
violazione degli articoli 16 e 52 della Carta Fondamentale dei
Diritti dell'Unione europea.
Alla luce della situazione concreta sulla quale il Collegio
arbitrale e' chiamato a pronunciarsi, appare fondato il dubbio che la
norma di legge di cui all'art. 14 decreto legislativo n. 504/1995,
quarto comma, si ponga in contrasto anche con gli articoli 16 e 52
della Carta Fondamentale dei Diritti dell'Unione europea, e pertanto,
con l'art. 117 della Carta costituzionale.
Va evidenziato al riguardo:
che la fattispecie in esame e' assoggettata alla disciplina
della direttiva 2008/118/CE del Consiglio del 16 dicembre 2008, per
la cui attuazione e' stato novellato l'art. 14 del decreto
legislativo n. 504/1995;
che, in particolare, l'art. 9 di tale direttiva dispone: «Le
condizioni di esigibilita' e l'aliquota dell'accisa da applicare sono
quelle in vigore alla data in cui l'accisa diviene esigibile nello
Stato membro nel quale ha luogo l'immissione in consumo. L'accisa
viene applicata e riscossa e, se del caso, e' oggetto di rimborso o
sgravio secondo le modalita' stabilite da ciascuno Stato membro. Gli
Stati membri applicano le medesime modalita' ai prodotti nazionali e
ai prodotti provenienti dagli altri Stati membri»;
che l'art. 14 del decreto legislativo n. 504/1995 costituisce
l'adeguamento dell'ordinamento nazionale alla normativa comunitaria e
quindi norma di derivazione comunitaria;
che gli articoli 16 e 52 della Carta Fondamentale dei Diritti
dell'Unione europea dispongono:
«Art. 16 (Liberta' di impresa). - E' riconosciuta la
liberta' d'impresa, conformemente al diritto dell'Unione e alle
legislazioni e prassi nazionali»;
«Art. 52 (Portata dei diritti garantiti). - Eventuali
limitazioni all'esercizio dei diritti e delle liberta' riconosciuti
dalla presente Carta devono essere previste dalla legge e rispettare
il contenuto essenziale di detti diritti e liberta'. Nel rispetto del
principio di proporzionalita', possono essere apportate limitazioni
solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalita'
di interesse generale riconosciute dall'Unione o all'esigenza di
proteggere i diritti e le liberta' altrui»;
che le citate norme sono state interpretate dalla
giurisprudenza della Corte di giustizia nel senso che:
la liberta' di impresa implica la liberta' di esercitare
un'attivita' economica o commerciale, la liberta' contrattuale e la
libera concorrenza (5) ;
il diritto alla liberta' d'impresa comprende segnatamente
il diritto di ogni impresa di poter disporre liberamente, nei limiti
della responsabilita' per le proprie azioni, delle risorse
economiche, tecniche e finanziarie di cui dispone (6) ;
la liberta' d'impresa non costituisce una prerogativa
assoluta, e puo' essere soggetta a interventi dei poteri pubblici
suscettibili di stabilire, nell'interesse generale, limiti
all'esercizio dell'attivita' economica;
ai sensi dell'art. 52, paragrafo 1, della Carta, eventuali
limitazioni all'esercizio dei diritti e delle liberta' riconosciute
da quest'ultima devono essere previste dalla legge, rispettare il
contenuto essenziale di tali diritti e liberta' e, nel rispetto del
principio di proporzionalita', essere necessarie e rispondere
effettivamente a finalita' di interesse generale riconosciute
dall'Unione europea o all'esigenza di proteggere i diritti e le
liberta' altrui (7) ;
che se e' pur vero che gli Stati membri dispongono di un
ampio margine discrezionale nella scelta degli oneri imposti per
conseguire un fine di interesse pubblico «siffatto margine
discrezionale non puo' giustificare che siano lesi i diritti che i
soggetti dell'ordinamento ricavano dalle disposizioni del Trattato
che sanciscono le loro liberta' fondamentali. Inoltre le limitazioni
apportate al libero esercizio dei diritti e delle liberta'
fondamentali garantite dalla Carta, nella fattispecie alla liberta'
di impresa sancita dall'art. 16 di quest'ultima, devono del pari
rispettare il contenuto essenziale di tali diritti e liberta'»
(Sentenza del 21 dicembre 2016, AGET Iralklis, C-201/15, punti 81 e
82);
che, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, il
controllo di proporzionalita' consiste nell'esaminare la
corrispondenza tra gli obiettivi prefissi e le misure scelte per
conseguirli e che, per poter rispondere al principio di
proporzionalita', le misure adottate devono essere idonee al
conseguimento degli obiettivi legittimi prefissati, non devono
superare i limiti di quanto risulti necessario per conseguire tali
obiettivi (qualora esistano diverse alternative sul piano
regolamentare si deve ricorrere a quella meno restrittiva) e gli
inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto agli
scopi perseguiti (bilanciamento interno o proporzionalita' strictu
sensu). (C-101/12, Schaible EU:C:2013:661, punto 29), o (C-528/13,
Leger, EU:C:2015:288, punto 58).
Orbene, alla luce del fatto che il Consorzio Energia Assindustria
Vicenza - Energindustria ha comprovato, con la produzione di idonea
documentazione, l'entita' degli oneri di rimborso ai cessionari della
addizionale e dei costi necessari di giustizia, ritiene il Collegio
arbitrale che tale rimborso:
vada ad inibire (o fortemente limitare) al Consorzio
l'esercizio ordinario della propria attivita', privandolo delle
disponibilita' patrimoniali e finanziarie necessarie per il suo
funzionamento;
comporti per la societa' l'incapacita' di far fronte ad un
rimborso generalizzato, al quale sarebbe obbligato a seguito di
sentenze di accertamento e di condanna;
comporti per la societa' il forte pericolo di insorgenza di
uno stato di insolvenza con il rischio della sua estinzione,
e che, conseguentemente, l'incidenza dell'onere imposto comporti
la compressione e la conseguente estinzione del diritto di liberta'
di impresa, con conseguente violazione del precetto comunitario di
cui all'art. 52, secondo il quale «le limitazioni ... devono
rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e liberta'».
Come in precedenza esposto, l'entita' del debito restitutorio
comporta che l'attivita' della societa' non sia piu' finalizzata a
perseguire l'attivita' propria di impresa, che viene compromessa, per
un tempo al momento indefinito, dalla necessita' di fronteggiare un
debito restitutorio causato dal legislatore.
L'onere imposto, oltre a comprimere e non rispettare il contenuto
essenziale del diritto della liberta' di impresa, viola anche il
requisito del principio di proporzionalita' richiesto nel secondo
periodo del primo comma dell'art. 52 della Carta; appare infatti del
tutto evidente la sproporzione e la totale mancanza di bilanciamento
degli interessi contrapposti (l'utilita' sociale voluta dal
legislatore con il diritto alla liberta' di impresa tutelato dalla
Carta dei Diritti Fondamentali), con il sacrificio totale del diritto
a vantaggio di una mera utilita' a favore dell'Erario (che mantiene
per tempo irragionevole la disponibilita' di importi incassati in
forza di tributo illegittimo), bilanciamento che potrebbe essere
perseguito diversamente (ad esempio assimilando l'ipotesi di indebito
comunitario all'ipotesi di legittimazione diretta del cessionario nei
confronti dell'Erario prevista nel caso di impossibilita' o eccessiva
difficolta' di conseguire dal fornitore il rimborso dell'imposta
indebitamente pagata).
Va evidenziato che il Collegio arbitrale ritiene di non poter
disapplicare direttamente la norma nazionale in quanto:
la giurisprudenza comunitaria esistente non fornisce i
chiarimenti necessari per una chiara e pacifica disapplicazione della
norma nazionale;
il Collegio arbitrale non ha la possibilita' di adire la
Corte di giustizia in via pregiudiziale e di collaborazione;
sussiste nel caso in esame una questione di doppia
pregiudizialita' (controversie che possono dare luogo a questioni di
illegittimita' costituzionale e, simultaneamente, a questioni di
compatibilita' con il diritto dell'Unione).
Ulteriori profili di incostituzionalita' in ordine alla normativa
dedotta in controversia e suo presupposto.
La disposizione legislativa (art. 14, quarto comma, del decreto
legislativo 26 ottobre 1995, n. 504) che il Collegio arbitrale
sospetta d'incostituzionalita' viola inoltre gli articoli 3, 24, 111
e 117, primo comma della Costituzione, sotto i seguenti profili.
Ad avviso del Collegio arbitrale sussiste ulteriore violazione
dell'art. 3 della Costituzione perche' la norma censurata (art. 14,
quatto comma, del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504):
imponendo al fornitore di energia elettrica (che abbia
esercitato la rivalsa sul consumatore finale dell'accisa e
dell'addizionale) l'onere (a pena della perdita del diritto al
rimborso dell'accisa e/o dell'addizionale provinciale all'accisa) di
subire una pronuncia di condanna nel giudizio (ordinario o arbitrale
rituale) promosso dal cessionario che reclami la restituzione
dell'accisa o addizionale indebitamente traslata,
e, inoltre, gravando il cessionario dell'onere di una
procedura giudiziale per il recupero dell'indebito in quanto il
fornitore non puo' effettuare spontaneamente il rimborso a pena della
perdita del diritto al recupero dell'indebito nei confronti
dell'Agenzia delle dogane, non rispetta i principi generali di
eguaglianza e ragionevolezza (stabiliti dall'art. 3 della
Costituzione), senza alcuna ragionevole giustificazione e per
molteplici profili e concretizza un inammissibile sbilanciamento tra
i diritti di fornitore e cessionario, da una parte, e le esigenze
della finanza pubblica, dall'altra.
La violazione del principio di uguaglianza sancito dall'art. 3
della Costituzione appare evidente ove si consideri la diversa
disciplina di rimborso in ambito accise rispetto ad altre procedure
di rimborso di indebito nei confronti dell'amministrazione
finanziaria; ad esempio, sussiste violazione del principio di
uguaglianza:
1) tra cessionario in ambito di accisa e di addizionale
provinciale all'accisa (illecitamente applicata) e cessionario in
ambito di IVA (illecitamente applicata), posto che solo nella prima
ipotesi il cessionario e' gravato dall'onere di una procedura
giudiziale per il recupero dell'indebito in quanto il fornitore non
puo' effettuare spontaneamente il rimborso a pena della perdita del
diritto al recupero dell'indebito nei confronti dell'Agenzia delle
dogane;
2) tra cessionario in ambito di accisa e di addizionale
provinciale all'accisa illecitamente applicata da fornitore nei cui
confronti l'ordinaria azione di ripetizione di indebito si riveli
impossibile o eccessivamente difficile e cessionario in ambito di
accisa o addizionale provinciale illecitamente applicata da fornitore
nei cui confronti l'ordinaria azione di ripetizione di indebito si
riveli possibile o non eccessivamente difficile, posto che solo nella
prima ipotesi il cessionario e' gravato dall'onere di una procedura
giudiziale di accertamento (e condanna) per il recupero
dell'indebito, con l'anticipazione di spese (quanto meno il
contributo unificato e la marca di iscrizione a ruolo) e dilatazione
dei tempi di recupero dell'indebito;
3) tra fornitore di energia elettrica (gravata di accisa e di
addizionale provinciale) e fornitore di beni e servizi (assoggettati
ad IVA), in quanto solo nella prima ipotesi il fornitore - per non
precludersi la possibilita' di recuperare l'accisa (e l'addizionale
provinciale) che e' tenuto a rimborsare al cessionario - si vede
gravato da una procedura giudiziale, degli oneri della propria difesa
in giudizio, degli oneri di lite, dell'imposta di registrazione della
sentenza o del lodo di condanna; oneri tutti di cui non ha titolo al
successivo rimborso e che portano in sostanza alla decurtazione
dell'importo che andra' a recuperare dall'Agenzia delle dogane, con
violazione dei principi di neutrahta' e di effettivita'.
La disposizione legislativa (art. 14, quarto comma, del decreto
legislativo 26 ottobre 1995, n. 504), che il Collegio arbitrale
sospetta d'incostituzionalita' viola inoltre il principio di
ragionevolezza.
La procedura di rimborso dell'accisa (e dell'addizionale
provinciale), inasprita dal filtro dell'azione giudiziaria (l'art. 14
TUA, comma 4, considera l'azione di rimborso come un posterius della
vittoriosa azione proposta nei confronti del fornitore dal
consumatore definitivamente inciso dal peso economico dell'imposta),
non puo' trovare giustificazione (se non meramente apparente) nella
«esigenza di evitare un ingiustificato arricchimento in favore del
fornitore (Cassazione n. 19618 del 1° ottobre 2015; Cassazione n.
11224 del 16 maggio 2007; Cassazione n. 10939 del 24 maggio 2005)»
(vedasi Cassazione sentenza n. 3233/2020) che trattenga l'accisa e
l'addizionale provinciale rimborsategli o nell'esigenza di evitare
comportamenti fraudolenti; va infatti considerato:
che la sentenza (o lodo reso all'esito di arbitrato rituale)
definitiva di accertamento e condanna alla restituzione dell'indebito
ottenuta dal cessionario nei confronti del fornitore ha efficacia
solo inter partes e non vincola in alcun modo l'amministrazione
finanziaria, che per procedere al rimborso al fornitore dell'accisa o
addizionale provinciale indebitamente versatele dovra' comunque
svolgere autonoma istruttoria per verificare la fondatezza della
richiesta;
che, anche ai fini del rispetto dei principi di equivalenza
ed effettivita' del diritto al rimborso (vedasi CGUE 15 marzo 2007,
causa C-35/05, punto 37), il legislatore deve scegliere modalita'
procedurali idonee ad evitare inutili e dispendiose procedure, specie
ove possa evitare un ingiustificato arricchimento del fornitore o
condizionando il rimborso (oltre che alla prova del credito) alla
prova (ad esempio con bonifico «parlante» su conto del cessionario,
che l'amministrazione finanziaria puo' monitorare) dell'avvenuta
rifusione dell'indebito al cessionario (momento dal quale far
decorrere il termine di decadenza del diritto a richiedere il
rimborso), oppure prevedendo che il rimborso spettante al fornitore
vada accreditato sul conto indicato dal cessionario (pure facilmente
verificabile dall'amministrazione finanziaria), fermo restando che
soltanto il cedente ha titolo ad agire per il rimborso nei confronti
dell'amministrazione;
che (nel caso di disponibilita' alla definizione
stragiudiziale della pretesa del cessionario) e' del tutto
irragionevole imporre un'azione giudiziaria per consentire il
recupero di una addizionale illegittimamente disposta dal legislatore
e successivamente abrogata, con aggravio procedimentale ed economico
inutilmente complesso.
E la previsione del citato art. 14 non puo' trovare
giustificazione neppure nella dichiarata (vedasi relazione
illustrativa del decreto legislativo n. 48/2010 di modifica dell'art.
14 del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504) esigenza di
annullare gli effetti negativi derivanti agli operatori interessati
dalla coesistenza di due termini (l'uno, decennale, di prescrizione e
l'altro, biennale, di decadenza) concessi rispettivamente al
consumatore finale per ottenere la restituzione delle somme
indebitamente pagate a titolo di accisa e all'operatore per
richiedere il rimborso delle medesime somme da parte
dell'amministrazione finanziaria; fatte salve altre soluzioni,
sarebbe stato sufficiente prevedere che il diritto al rimborso
spettante all'operatore sorgesse solo al momento della rifusione
dell'indebito al consumatore finale.
Sussiste inoltre, ad avviso del Collegio arbitrale la violazione
dell'art. 24 della Costituzione, sotto il profilo del diritto di
difesa, laddove l'art. 14 del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n.
504, imponendo al fornitore di energia elettrica (che abbia
esercitato la rivalsa sul consumatore finale dell'accisa e
dell'addizionale) l'onere (a pena della perdita del diritto al
rimborso dell'addizionale provinciale dell'accisa) di una resistenza
«suicida» in giudizio, con i relativi oneri processuali e di difesa,
va a trasformare il diritto di difesa in un obbligo che va
inevitabilmente a ledere l'effettivita' del diritto al rimborso (dati
i costi processuali ed accessori); non puo' sottacersi che il diritto
di difesa ricomprende necessariamente anche il diritto di scegliere
di evitare il contenzioso mediante un adempimento spontaneo che eviti
inutili oneri.
La disposizione legislativa (art. 14, quarto comma, del decreto
legislativo 26 ottobre 1995, n. 504) che il Collegio arbitrale
sospetta d'incostituzionalita' si pone, altresi', in contrasto con
gli articoli 111 e 117 della Costituzione, per flagrante violazione
del diritto fondamentale ad un «processo equo» ed alla effettivita'
della tutela giurisdizionale, trasposto in termini di «giusto
processo», secondo il significato a tal espressione attribuito
dall'art. 111 della Costituzione;
ed invero:
non puo' infatti essere considerato «equo» un processo non
necessario, inutilmente imposto sia al soggetto passivo dell'accisa
sia al consumatore finale, che ben potrebbero definire bonariamente
in via stragiudiziale il diritto di quest'ultimo al rimborso
dell'accisa (e/o addizionale all'accisa) indebitamente pagata al
fornitore, e che porta all'unico risultato pratico di spostare in
avanti nel tempo il momento in cui l'Erario dovra' rimborsare
l'accisa (e/o addizionale all'accisa) indebitamente incassata, sempre
che i costi della procedura in rapporto all'effettivo recupero
dell'accisa o addizionale non inducano il fornitore a rinunciare al
diritto al rimborso vantato nei confronti dell'Erario e a definire
stragiudizialmente il rapporto con il cessionario (con evidente
arricchimento per l'Erario);
non puo' essere considerato «equo» un processo che comunque,
in ragione degli oneri ad esso connessi, va a ledere l'effettivita' e
la piena tutela del diritto al rimborso (dell'accisa e/o addizionale
all'accisa indebitamente applicata) o per il fornitore di energia
elettrica o per il consumatore;
non puo' essere considerato «equo» un processo che, stante la
sua inutilita', va ingiustamente a procrastinare nel tempo il diritto
al rimborso dell'indebito;
non puo' essere considerato «equo» un processo che, stante la
sua inutilita', va ad «ingolfare» il meccanismo della giustizia
civile.
Come detto, la condanna definitiva del fornitore al rimborso
dell'indebita addizionale all'accisa (che non fa stato nei confronti
del terzo amministrazione finanziaria) non apporta alcuna utilita' in
termini di tutela dell'esigenza di evitare un ingiustificato
arricchimento in favore del fornitore (posto che pagamento spontaneo
lo impedirebbe) ne' dell'esigenza di evitare comportamenti
fraudolenti (dato che la sentenza definitiva di condanna del
fornitore non elimina l'istruttoria da parte dell'amministrazione
finanziaria sulla fondatezza della richiesta di rimborso).
Ne', sotto diverso profilo, puo' ritenersi che sia solo la
definitivita' della sentenza di condanna a dare certezza alla data di
decorrenza del dies a quo dal quale far decorrere il termine per la
richiesta all'Erario del rimborso da parte del fornitore dell'accisa
e/o addizionale all'accisa indebitamente versata; il fornitore puo'
adeguatamente documentare l'avvenuto rimborso dell'indebito al
consumatore mediante operazioni bancarie tracciate, puo' fornire al
riguardo dichiarazioni sostitutive dell'atto di notorieta' e puo'
subire il controllo di dette operazioni bancarie da parte
dell'amministrazione finanziaria.
Rilevanza della questione di costituzionalita' dell'art. 14, quarto
comma, del decreto legislativo 14 ottobre 1995, n. 504.
Ad avviso del Collegio arbitrale, sgombrato il campo dalla
questione della disapplicazione dell'addizionale provinciale alle
accise sull'energia elettrica di cui al decreto-legge n. 511 del
1988, art. 6, la rilevanza ex art. 23 della legge n. 87 del 1953
della prospettata questione di costituzionalita' discende da un lato
dall'inesistenza di altre eccezioni preliminari o pregiudiziali
sollevate dalle parti o rilevabili d'ufficio che siano preordinate
sotto il profilo logico rispetto alla questione di costituzionalita'
e, dall'altro, dalla diretta applicabilita' al caso in esame della
norma la cui costituzionalita' e' messa in discussione.
La norma che disciplina il diritto al rimborso, e di cui il
Collegio arbitrale ha il dubbio di lesione costituzionale, e'
contenuta all'attuale quarto comma dell'art. 14 del decreto
legislativo n. 504/1995, secondo cui: «Qualora, al termine di un
procedimento giurisdizionale, il soggetto obbligato al pagamento
dell'accisa sia condannato alla restituzione a terzi di somme
indebitamente percepite a titolo di rivalsa dell'accisa, il rimborso
e' richiesto dal predetto soggetto obbligato, a pena di decadenza,
entro novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza che
impone la restituzione delle somme» (In assenza di ulteriori
precisazioni, il richiamo all'art. 14 decreto legislativo n. 504/1995
contenuto nella presente ordinanza si deve intendersi riferito alla
disposizione sopra richiamata).
Va rilevato al riguardo:
che la societa' Officine Meccaniche ANI S.p.a. espressamente
dichiara che l'azionato «diritto al rimborso e' disciplinato
dall'art. 14 legge n. 504/1995» (pagina 6 della memoria di
costituzione);
che il Consorzio Energia Assindustria Vicenza -
Energindustria eccepisce che l'art. 14 del decreto legislativo n.
504/1995 deve essere disapplicato in quanto in contrasto con il
diritto comunitario (articoli 16 e 52, primo comma, della Carta dei
Diritti Fondamentali dell'Unione europea) ed in contrasto con gli
articoli 3, 41 e 117 della Costituzione;
che l'art. 14 del decreto legislativo n. 504/1995 disciplina
proprio il rapporto giuridico del rimborso di una accisa (o
addizionale provinciale) indebitamente corrisposta;
che l'art. 14 del decreto legislativo n. 504/1995 impone al
cliente che intende agire per il rimborso dell'accisa indebitamente
versata di agire in via giurisdizionale nei confronti del proprio
fornitore;
che l'art. 14 del decreto legislativo n. 504/1995 impone
l'assoggettamento del venditore all'obbligo di corrispondere le somme
pagate indebitamente dai clienti a titolo di addizionale all'accisa;
che l'art. 14 del decreto legislativo n. 504/1995 prevede la
possibilita' per il cliente di conseguire il rimborso anche in
presenza di una sentenza non definitiva, ma provvisoriamente
esecutiva; mentre il fornitore di energia puo' conseguire il rimborso
dall'erario delle somme pagate al cliente solamente in presenza di
una sentenza definitiva di condanna;
che l'onere imposto dall art. 14 del decreto legislativo n.
504/1995 al fornitore di energia elettrica (che voglia conservare il
diritto al rimborso dell'addizionale all'accisa indebitamente
versata) di subire una condanna alla restituzione dell'addizionale al
cessionario si ripercuote sull'addebito al fornitore degli oneri di
lite, con evidente violazione dell'effettivita' del suo diritto al
rimborso (che verrebbe falcidiato dagli oneri stessi), violazione che
si verificherebbe invece in capo al cessionario nell'ipotesi di
compensazione di detti oneri.
Ad avviso del Collegio arbitrale la norma di cui all'art. 14
decreto legislativo n. 504/1995 trova necessaria applicazione nel
giudizio in corso, ponendosi in un rapporto di rigorosa e necessaria
strumentalita' tra la soluzione della questione sollevata e il
progredire verso la decisione della controversia, che non puo' essere
risolta senza l'applicazione della norma, oggetto di dubbio di
costituzionalita'.
Il giudizio arbitrale non puo' quindi essere definito
indipendentemente dall'applicazione della norma invocata e dalla
conseguente risoluzione delle prospettate questioni di legittimita'
costituzionale, si' che appare evidente la sussistenza del requisito
pregiudiziale della rilevanza.
Impossibilita' di un'interpretazione costituzionalmente orientata.
Ritiene il Collegio arbitrale che vada risolta con esito negativo
la verifica di praticabilita' di una esegesi costituzionalmente
orientata dalla normativa denunciata, per l'ostacolo che trova nella
lettera della normativa stessa, che prevede:
l'assoggettamento del fornitore di energia all'obbligo di
rimborsare le somme pagate indebitamente dai clienti a titolo di
addizionale all'accisa;
l'obbligo per il cliente di ripetere le somme esclusivamente
nei confronti del fornitore di energia;
che per poter richiedere il rimborso all'amministrazione
finanziaria, il soggetto obbligato al pagamento dell'accisa sia
previamente condannato alla restituzione a terzi di somme
indebitamente percepite a titolo di rivalsa dell'accisa (o
addizionale provinciale).
La chiara disposizione della norma, non consente di procedere ad
una interpretazione adeguatrice della disposizione censurata, diversa
da quanto traspare dalla lettera della norma e dalla chiara
interpretazione resa dalla Corte di cassazione con numerose sentenze
sul punto, successive alla decisione n. 27101/2019 del 23 ottobre
2019.
Considerazioni conclusive
Ad avviso del Collegio arbitrale appaiono dunque rilevanti e non
manifestamente infondate in riferimento agli articoli della
Costituzione n. 3, 24, 41, 111, primo e secondo comma, e 117, primo
comma, anche in via mediata per violazione degli articoli 16 e 52
della Carta Fondamentale dei Diritti dell'Unione europea, le sopra
specificate questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 14 del
decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 nella parte in cui
prevede che: «Qualora, al termine di un procedimento giurisdizionale,
il soggetto obbligato al pagamento dell'accisa sia condannato alla
restituzione a terzi di somme indebitamente percepite a titolo di
rivalsa dell'accisa, il rimborso e' richiesto dal predetto soggetto
obbligato, a pena di decadenza, entro novanta giorni dal passaggio in
giudicato della sentenza che impone la restituzione delle somme».
(1) «Questa Corte ritiene che, laddove una legge sia oggetto di dubbi
di illegittimita' tanto in riferimento ai diritti protetti dalla
Costituzione italiana, quanto in relazione a quelli garantiti
dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea in
ambito di rilevanza comunitaria, debba essere sollevata la
questione di legittimita' costituzionale, fatto salvo il ricorso,
al rinvio pregiudiziale per le questioni di interpretazione o di
invalidita' del diritto dell'Unione, ai sensi dell'art. 267 del
TFUE.» (Corte Costituzionale, sentenza n. 269/2017).
(2) 3.1.- «Questa Corte ha ribadito anche di recente la propria
competenza a sindacare gli eventuali profili di contrasto delle
disposizioni nazionali con i principi enunciati dalla Carta
(ordinanza n. 117 del 2019, punto 2. del Considerato in diritto).
Quando e' lo stesso giudice rimettente a sollevare una questione
di legittimita' costituzionale che investe anche le norme della
Carta, questa Corte non puo' esimersi dal valutare se la
disposizione censurata infranga, in pari tempo, i principi
costituzionali e le garanzie sancite dalla Carta (sentenza n. 63
del 2019, punto 4.3. del Considerato in diritto). L'integrarsi
delle garanzie della Costituzione con quelle sancite dalla Carta
determina, infatti, "un concorso di rimedi giurisdizionali,
arricchisce gli strumenti di tutela dei diritti fondamentali e,
per definizione, esclude ogni preclusione" (sentenza n. 20 del
2019, punto 2.3. del Considerato in diritto)» (Corte
Costituzionale, sentenza n. 182 del 30 luglio 2020)
(3) «Non e' configurabile una lesione della liberta' d'iniziativa
economica allorche' l'apposizione di limiti di ordine generale al
suo esercizio corrisponda all'utilita' sociale, come sancito
dall'art. 41, secondo comma, Cost., purche', per un verso,
l'individuazione di quest'ultima non appaia arbitraria e, per
altro verso, gli interventi del legislatore non la perseguano
mediante misure palesemente incongrue (ex plurimis, sentenze n.
56 del 2015, n. 247 e n. 152 del 2010 e n. 167 del 2009)» (ex
plurimis, sentenza n. 203 del 2016). (Corte Costituzionale 7
maggio 2020 n. 85, e sentenze richiamate).
(4) Vi e' lesione del principio costituzionale di liberta' della
iniziativa economica allorquando il limite apposto sia «atto a
condizionare le scelte imprenditoriali in grado cosi' elevato da
indurre la funzionalizzazione dell'attivita' economica,
sacrificandone le opzioni di fondo, restringendone in rigidi
confini lo spazio e l'oggetto delle stesse scelte organizzative»
(Corte Costituzionale sentenza n. 47/2018; n. 56/2015; n.
388/1992; n. 548/ 1990).
(5) Sentenza del 16 luglio 2020, C-686/18, Adusbef e altri, punto 82;
Sentenza del 12 luglio 2018, C-540/16, Spika e altri, punto 34;
Sentenza del 21 dicembre 2016, AGET Iralklis, C-201/15, punto 67;
Sentenza del 17 ottobre 2013, C-101/12, Schaible, punto 25;
Sentenza del 22 gennaio 2013, C-283/11 Sky Österreich, punto 42.
(6) Sentenza del 30 giugno 2016, C-134/15, Lidl GmbH & Co. KG, punto
27; Sentenza del 27 marzo 2014, C-314/12, UPC Telekabel Wien,
punto 49.
(7) Sentenza del 24 settembre 2020, C-223/19, Ys, punto 88; Sentenza
del 16 luglio 2020, C-686/18, Adusbef e altri, punto 86; Sentenza
26 ottobre 2017, C-534/16, BB construct s. r. o., punto 36;
Sentenza del 30 giugno 2016, C-134/15, Lidl GmbH & Co. KG, punto
30; Sentenza del 4 maggio 2016, C-477/14, Pillbox 38, punti da
157 a 160, Sentenza del 17 ottobre 2013 C-101/12, Schaible, punto
28; Sentenza del 22 gennaio 2013, C-283/11, Sky Österreich, punti
45 e 46.
P. Q. M.
Il Collegio arbitrale, come sopra composto, considerata la natura
rituale del proprio arbitrato e la conseguente propria legittimazione
a sollevare questione incidentale di legittimita' costituzionale,
visti gli articoli 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 819-bis,
primo comma, n. 3 del codice di procedura civile, per i motivi
indicati nella presente ordinanza dichiara rilevanti e non
manifestamente infondate, con riferimento agli articoli della
Costituzione 3, 24, 41, 111, primo e secondo comma, e 117 primo
comma, anche in via mediata per violazione degli articoli 16 e 52
della Carta Fondamentale dei Diritti dell'Unione europea, le sopra
specificate questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 14 del
decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 nella parte in cui
prevede che «Qualora, al termine di un procedimento giurisdizionale,
il soggetto obbligato al pagamento dell'accisa sia condannato alla
restituzione a terzi di somme indebitamente percepite a titolo di
rivalsa dell'accisa, il rimborso e' richiesto dal predetto soggetto
obbligato, a pena di decadenza, entro novanta giorni dal passaggio in
giudicato della sentenza che impone la restituzione delle somme».
Sospende, per l'effetto, il presente giudizio arbitrale.
Dispone la notifica della presente ordinanza alle parti
costituite, al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonche' la
comunicazione ai Presidenti del Senato e della Camera dei Deputati.
Dispone la trasmissione della presente ordinanza e degli atti del
procedimento arbitrale alla Corte costituzionale, unitamente alla
prova delle notificazioni e comunicazioni prescritte.
Delega il Presidente del Collegio arbitrale agli incombenti di
rito.
Cosi' deciso in Vicenza nella riunione del 26 marzo 2021.
Il Collegio arbitrale
Il Presidente: Rebecca
I componenti: Roberti - Solinas