N. 115 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 maggio 2024
Ordinanza del 14 maggio 2024 del Consiglio di giustizia
amministrativa per la Regione Siciliana sul ricorso proposto da
Vincenzo Corrao e Alessandra Corrao c/Comune di Carini..
Edilizia e urbanistica - Titoli edilizi - Norme della Regione
Siciliana - Previsione la quale stabilisce che le disposizioni di
cui all'art. 15, primo comma, lettera a), della legge regionale n.
78 del 1976, che impongono, tra l'altro, l'arretramento delle
costruzioni di 150 metri dalla battigia, devono intendersi,
"anziche' sono", direttamente ed immediatamente efficaci anche nei
confronti dei privati - Previsione che dispone l'immediata
efficacia di tali disposizioni, anziche' dalla data di entrata in
vigore della legge regionale n. 15 del 1991.
- Legge della Regione Siciliana 30 aprile 1991, n. 15 (Nuove norme in
materia di controllo dell'attivita' urbanistico-edilizia, riordino
urbanistico e sanatoria delle opere abusive), art. 2, comma 3.
In via subordinata: Edilizia e urbanistica - Titoli edilizi - Norme
della Regione Siciliana - Condizioni di applicabilita' della
sanatoria - Previsione che restano escluse dalla concessione o
autorizzazione in sanatoria le costruzioni eseguite in violazione
dell'art. 15, lettera a), della legge regionale n. 78 del 1976, ad
eccezione di quelle iniziate prima dell'entrata in vigore della
medesima legge e le cui strutture essenziali siano state portate a
compimento entro il 31 dicembre 1976.
- [Legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo
dell'attivita' urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria
delle opere edilizie)], art. 32-33, comma 11 (gia' 10), ultima
proposizione, introdotto in Sicilia dall'art. 23 della legge
regionale 10 agosto 1985, n. 37 (Nuove norme in materia di
controllo dell'attivita' urbanistico-edilizia, riordino urbanistico
e sanatoria delle opere abusive).
(GU n. 25 del 19-06-2024)
IL CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA
PER LA REGIONE SICILIANA
Sezione giurisdizionale
Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di
registro generale 1045 del 2020, proposto da Vincenzo Corrao,
Alessandra Corrao, rappresentati e difesi dagli avvocati Giovanni
Immordino, Giuseppe Immordino, con domicilio digitale come da PEC da
Registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio Giovanni
Immordino in Palermo, viale Liberta' n. 171;
Contro il Comune di Carini, non costituito in giudizio;
Per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo
regionale per la Sicilia (Sezione terza) n. 00491/2020, resa tra le
parti, con la quale e' stato rigettato il ricorso numero di registro
generale 3403 del 1995 riassunto dagli odierni appellanti, e volto
all'annullamento:
del provvedimento del 5 giugno 1995 del Sindaco del Comune di
Carini di diniego della domanda di concessione edilizia in sanatoria
presentata dalla ricorrente in data 28 marzo 1986, protocollata al n.
640, relativa ad un fabbricato sito nel Comune di Carini, via C.
Colombo, n. 425, identificato in catasto al foglio n. 07, part. n.
1821, nonche' dell'ordinanza n. 300 del 15 giugno 1995 di demolizione
del suddetto fabbricato e, occorrendo, del parere negativo del 30
maggio 1995 della locale Commissione per il recupero edilizio e degli
atti tutti presupposti, connessi e consequenziali.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 giugno 2023 il Cons.
Sara Raffaella Molinaro e uditi per le parti gli avvocati come
specificato nel verbale;
Vista la sentenza non definitiva di questo Consiglio 25 gennaio
2024, n. 58, che, non definitivamente pronunciando sull'appello di
cui in epigrafe, ha respinto tutti gli altri motivi di gravame (ivi
compiutamente scrutinati) riservando alla presente separata ordinanza
la proposizione dell'incidente di costituzionalita' di cui infra;
Fatto
1. La controversia riguarda un fabbricato sito nel Comune di
Carini, Via C. Colombo, n. 425, catastalmente identificato al foglio
numero 7, particella 1821.
2. La signora Fantauzzo Rosa Guida, de cuius degli odierni
appellanti, ha presentato istanza di condono ai sensi della legge n.
47 del 1985.
3. Il Comune appellato, con provvedimento del 5 giugno 1995 del
Sindaco, ha respinto l'istanza.
4. La signora Fantauzzo Rosa Guida ha impugnato tale diniego e la
successiva ordinanza di demolizione n. 300 del 15 giugno 1995, con
ricorso al Tribunale amministrativo regionale Sicilia. Col medesimo
ricorso ha altresi' impugnato il presupposto parere negativo del 30
maggio 1995 della locale II Commissione per il recupero edilizio.
5. A seguito del decesso della ricorrente nelle more del primo
grado del giudizio e della conseguente interruzione del processo, gli
eredi hanno riassunto il ricorso; quindi, a causa del documentato
decesso della co-ricorrente Corrao Maria Cristina - e della
conseguente interruzione del processo - i signori Vincenzo Corrao e
Alessandra Corrao hanno riassunto il processo.
6. Il TAR, con sentenza 30 marzo 2020, n. 491, ha respinto il
ricorso.
7. La parte gia' ricorrente ha quindi appellato tale sentenza con
l'odierno gravame.
8. All'udienza del 20 giugno 2023 la causa e' stata trattenuta in
decisione.
9. In esito a tale udienza, questo Consiglio, con la sentenza non
definitiva di cui in epigrafe, ha respinto l'appello per tutti i
motivi e profili ivi scrutinati; riservando, nondimeno, all'esito
delle questioni di legittimita' costituzionale che si sollevano con
la presente ordinanza la trattazione delle censure alla sentenza
gravata nella parte in cui, respingendo nel caso di specie i profili
di asserita violazione dell'art. 15, comma 1, lettera a), della legge
regionale n. 78 del 1976, essa ha ritenuto assolutamente non
sanabili, in base al c.d. primo condono edilizio del 1985, anche le
opere realizzate a distanza inferiore a 150 metri dalla battigia in
un'epoca che - cosi' com'e' stato accertato, dalla ridetta sentenza
parziale, per l'opera di cui qui trattasi - pur se successiva al 1976
e' stata tuttavia anteriore al 1° ottobre 1983.
10. Sicche', onde poter svolgere l'ulteriore e definitivo
scrutinio del presente appello, certamente rilevano le questioni di
legittimita' costituzionale che qui si sollevano.
Diritto
1. Il Collegio, ai fini dell'ulteriore e definitivo scrutinio del
presente appello per i suoi residui profili di cui si e' detto nella
narrativa in fatto che precede, sottopone alla Corte costituzionale -
ritenendola rilevante e non manifestamente infondata - la questione
di legittimita' costituzionale:
a) dell'art. 2, comma 3, della legge regionale siciliana 30
aprile 1991, n. 15, quanto alle relative parole «devono intendersi»
(anziche' «sono»); e, comunque, di detto comma 3 nella parte in cui
esso pone la retroazione del precetto - di diretta e immediata
efficacia anche nei confronti dei privati delle «disposizioni di cui
all'art. 15, primo comma, lettera a, ... della legge regionale 12
giugno 1976, n. 78» - sin dalla data di entrata in vigore di detta
legge regionale n. 78 del 1976, anziche' dalla data di entrata in
vigore della stessa legge n. 15 del 1991, per le ragioni di seguito
esposte;
b) nonche' - in via subordinata e condizionatamente
all'esegesi che se ne dia - dell'art. 23 (ossia dell'art. 32-33 della
legge n. 47 del 1985 per quale recepita in Sicilia), comma 11 (gia'
10), ultima proposizione, della legge regionale siciliana 10 agosto
1985, n. 37 - laddove tale norma afferma che «restano altresi'
escluse dalla concessione o autorizzazione in sanatoria le
costruzioni eseguite in violazione dell'art. 15, lettera a), della
legge regionale 12 giugno 1976, n. 78, ad eccezione di quelle
iniziate prima dell'entrata in vigore della medesima legge e le cui
strutture essenziali siano state portate a compimento entro il 31
dicembre 1976» - per violazione dei principi di proporzionalita' e
ragionevolezza di cui all'art. 3, comma 1, della Costituzione (c.d.
eccesso di potere legislativo).
In sostanza, il Collegio dubita della compatibilita'
costituzionale dell'imposizione, nel 1991, del vincolo di
inedificabilita' assoluta nei 150 metri dalla battigia direttamente
efficace anche per i privati con effetto retroattivo sin dal 1976;
anziche' con effetto solo per l'avvenire, ossia dall'entrata in
vigore della cit. legge n. 15 del 1991.
L'accoglimento della questione sollevata avrebbe, praticamente,
l'effetto - ma solo limitatamente a quei comuni che non avevano dato
attuazione al precetto di cui al cit. art. 15, primo comma, lettera
a), della legge regionale n. 78 del 1976 - di includere nel novero
delle opere condonabili ai sensi del c.d. primo condono, quello del
1985, non solo «quelle iniziate prima dell'entrata in vigore della
medesima legge [n. 78 del 1976] e le cui strutture essenziali siano
state portate a compimento entro il 31 dicembre 1976», ma anche
quelle realizzate, parimenti nei 150 metri dalla battigia, fino al 1°
ottobre 1983.
Ne resterebbero invece comunque escluse - oltre alle opere
realizzate dopo il 1976 nei comuni che avevano attuato il precetto
loro rivolto dal cit. art. 15, lettera a) - tutte le opere ultimate
successivamente al 1° ottobre 1983, perche' ex se non condonabili,
ratione temporis, in base alla legge n. 47 del 1985; cosi' come
neppure in base al c.d. secondo condono, quello del 1994, giacche'
esso e' sopravvenuto successivamente all'entrata in vigore della cit.
legge regionale n. 15 del 1991, che - pur se solo a decorrere dalla
data della sua entrata in vigore, ma non gia' retroattivamente -
senza dubbio ha legittimamente reso «direttamente e immediatamente
efficaci anche nei confronti dei privati» «le disposizioni di cui
all'art. 15, primo comma, lettera a, ... della legge regionale 12
giugno 1976, n. 78», cui il relativo art. 2, comma 3, si riferisce.
In via subordinata - ossia solo per l'inverosimile eventualita'
che, all'opposto di quanto questo Collegio opina, si ritenesse
possibile affermare che l'esclusione dal condono del 1985 non derivi
dall'interpretazione autentica recata dal cit. art. 2, comma 3, legge
regionale n. 15 del 1991, bensi' dallo stesso art. 23, comma XI,
della legge regionale n. 37 del 1985 - questo Consiglio reputa dubbia
la legittimita' costituzionale di detta norma legislativa regionale,
nella parte in cui si potesse ritenere che essa abbia escluso dalla
condonabilita' «speciale» di cui alla legge n. 47 del 1985 un'ipotesi
che (in difetto di preventivo inserimento di detto vincolo nei piani
regolatori generali dei singoli comuni, destinatari dell'originario
precetto della legge regionale n. 78 del 1976) sarebbe comunque
passibile di ordinario accertamento di conformita' ai sensi dell'art.
36 del testo unico n. 380 del 2001 (ex art. 13 della legge statale n.
47 del 1985).
2. Piu' dettagliatamente, tali sollevate questioni possono
illustrarsi come segue.
L'art. 32-33 della legge regionale siciliana 10 agosto 1985, n.
37 - nel testo unificato con cui, ai sensi del relativo art. 23, sono
state recepite in Sicilia le pertinenti norme della legge statale 28
febbraio 1985, n. 47 (ossia i suoi articoli 32 e 33, ivi separati) -
con il suo XI comma stabilisce, per quanto viene qui in rilievo, che
«restano altresi' escluse dalla concessione o autorizzazione in
sanatoria le costruzioni eseguite in violazione dell'art. 15, lettera
a), della legge regionale 12 giugno 1976, n. 78, ad eccezione di
quelle iniziate prima dell'entrata in vigore della medesima legge
[ossia prima del 16 giugno 1976] e le cui strutture essenziali siano
state portate a compimento entro il 31 dicembre 1976».
Alla data del recepimento in Sicilia del primo condono edilizio
(ossia al momento dell'entrata in vigore della cit. legge regionale
10 agosto 1985, n. 37), l'art. 15, lettera a), della cit. legge
regionale 12 giugno 1976, n. 15, stabiliva che «[a]i fini della
formazione degli strumenti urbanistici generali comunali debbono
osservarsi, in tutte le zone omogenee ad eccezione delle zone A e B,
in aggiunta alle disposizioni vigenti, le seguenti prescrizioni: a)
le costruzioni debbono arretrarsi di metri 150 dalla battigia; entro
detta fascia sono consentite opere ed impianti destinati alla diretta
fruizione del mare, nonche' la ristrutturazione degli edifici
esistenti senza alterazione dei volumi gia' realizzati».
Si osserva, in proposito, che le costruzioni che «debbono
arretrarsi» in forza di tale disposizione sono, necessariamente, solo
quelle future, e non anche quelle gia' esistenti, per una duplice
ineludibile considerazione:
a) sul piano fattuale, perche' le costruzioni sono «immobili»
per definizione normativa (art. 812, codice civile) e, come tali, non
si muovono, ne', dunque, potrebbero «arretrarsi»;
b) sul piano giuridico, perche' e' lo stesso art. 15 cit. a
stabilire che e' consentita «la ristrutturazione degli edifici
esistenti», evidentemente in situ: con l'ovvio corollario che gli
edifici esistenti, ristrutturati o no, sono certamente eccettuati da
ogni obbligo di arretramento.
Per quanto siffatta considerazione appaia (ed effettivamente sia)
lapalissiana, essa tuttavia serve a questo Consiglio per trarre un
ulteriore corollario esegetico circa il combinato disposto dei cit.
articoli 32-33, legge regionale n. 37/1985 e 15, legge regionale n.
78/1976: ossia che il richiamo di quest'ultima legge regionale da
parte della prima non possa - sul piano logico e sistematico - che
riferirsi alla norma espressa dalla (necessaria) integrazione tra
l'incipit di detto art. 15 e la relativa lettera a); escludendo,
invece, le altre norme espresse dall'integrazione tra il medesimo
incipit e le ulteriori lettere b), c), d) ed e).
Ossia, siccome le costruzioni che «debbono arretrarsi di metri
150 dalla battigia» sono solo quelle future, cioe' quelle che
verranno realizzate dopo l'imposizione negli «strumenti urbanistici
generali comunali» della prescrizione di non edificazione (in tal
guisa dovendosi necessariamente intendere l'obbligo di «arretramento»
previsto dal cit. art. 15) nei 150 metri dalla battigia, ecco che il
rinvio operato dal comma XI del cit. art. 32-33 della legge regionale
n. 37/1985 non puo' che avere a oggetto l'intera norma espressa dalla
(ivi citata) lettera a) dell'art. 15 in discorso: norma che nessun
senso avrebbe se avulsa dal contenuto dell'incipit dello stesso art.
15.
Ulteriore conferma di tale esegesi si rinviene sul piano
grammaticale: giacche' il primo comma dell'art. 15 si compone, in
effetti, non gia' di sei proposizioni (una per ciascuna delle sue
cinque lettere piu' una costituita dall'incipit), bensi', e
ineludibilmente, soltanto da cinque proposizioni di senso
grammaticalmente compiuto, ciascuna delle quali e' costituita
dall'integrazione dello stesso incipit con ognuna delle successive
lettere da a) a e): cosi' come del resto accade, nella lingua
italiana, per tutti gli elenchi di concetti introdotti da una
locuzione comune e separati tra loro da virgole; ovvero (com'e' nella
specie) introdotti da una locuzione comune che (in ragione della piu'
complessa articolazione delle varie ipotesi) e' separata con il segno
dei due punti («:») dal successivo elenco concettuale, ciascuno dei
cui elementi e' separato da quello successivo con il segno del punto
e virgola («;») anziche' con la virgola (fino all'ultimo di essi, che
conclude con il «.» l'unico periodo complesso).
Anche sul piano storico, analogamente, non si era mai dubitato,
prima del 1991, che il vincolo di inedificabilita' nei 150 metri
dalla battigia sussistesse solo mediatamente al suo doveroso
inserimento negli «strumenti urbanistici generali comunali».
Il che, peraltro, aveva una sua specifica e sensatissima ragion
d'essere - e, astrattamente, avrebbe continuato ad averla anche dopo
il 1991, se il legislatore di quell'anno non l'avesse pretermessa:
ma, si opina, potendolo legittimamente fare solo per il futuro e non
anche de praeterito - che era insita nel fatto che i comuni,
nell'inserire nei loro strumenti urbanistici il vincolo in discorso,
evidentemente dovrebbero previamente verificare (l'esistenza e) la
corretta perimetrazione, negli stessi strumenti, «delle zone A e B»
(ossia di quelle aree in cui, a causa dell'effettiva articolazione
del tessuto urbano, il vincolo non avrebbe operato).
Attivita' senza la quale - com'e' poi effettivamente accaduto
allorche' una forzatura interpretativa, per far retroagire il vincolo
a prima della sua introduzione normativa erga omnes (avvenuta appunto
solo nel 1991), ne ha voluto prescindere - si e' poi (inutilmente)
sviluppato tutto il contenzioso volto a sostenere che, in fatto, il
singolo edificio, sebbene formalmente non ricompreso nelle zone A e B
(magari solo perche' mal perimetrate), ricada comunque in un'area che
ne abbia tutte le caratteristiche sostanziali.
Sotto un altro e opposto profilo, non puo' neanche rilevare la
circostanza sociologica (e percio' non giuridica) che tale sistema
possa talora aver forse stimolato una perfino piu' sollecita
edificazione nella fascia di rispetto, prima che i singoli comuni la
vietassero mediante il doveroso inserimento (ma, come si e' detto,
auspicabilmente solo dopo aver correttamente perimetrato, o
riperimetrato, le proprie zone A e B) del vincolo costiero di
inedificabilita' assoluta nel proprio piano regolatore.
Sul piano sociologico e' un fenomeno abbastanza diffuso che la
mera prospettazione normativa della successiva introduzione di un
vincolo possa dar luogo a effetti pratici perversi; ma questo
(ipotetico) risultato della tecnica normativa utilizzata dal
legislatore regionale - della quale peraltro si e' pure riferita
l'esigenza effettivamente sottostante - di sicuro non puo' costituire
argomento per l'interprete (che legislatore non e', ne' deve voler
essere) per forzare l'esegesi della norma leggendovi cio' che in essa
oggettivamente non c'e' scritto.
3. Muovendo da queste premesse sistematiche, si puo' ricapitolare
il contesto normativo in cui si colloca la questione che qui viene in
rilievo come segue:
a) nel 1976 e' stato introdotto nell'ordinamento regionale
siciliano l'obbligo, solo per i comuni (e si e' anche chiarito
perche' sia stato razionale imporre cio' solo ai comuni), di
introdurre, nei propri strumenti urbanistici generali, un vincolo di
inedificabilita' assoluta nei 150 metri dalla battigia; vincolo che,
si badi bene, nel 1976 anticipava - in una piu' ristretta fascia
costiera, ma in termini di assolutezza - quello, invece derogabile,
che sarebbe stato successivamente previsto, ma in una fascia piu'
ampia, dall'art. 1 del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312,
convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1 della legge
statale, c.d. Galasso, 8 agosto 1985, n. 431 (pur se in realta', ma
ormai sotto un velo di diffuso oblio, dai lavori preparatori della
legge regionale n. 78 del 1976 risulta che l'intenzione storica di
quel legislatore non avesse di mira tanto la tutela di interessi
paesaggistici, quanto la volonta' di riservare l'uso delle zone
costiere primariamente alla realizzazione o implementazione dei
grandi insediamenti industriali, forieri di incrementi occupazionali:
come a Gela, a Termini Imerese, nella rada di Augusta, etc.);
b) indubbiamente il legislatore regionale ben avrebbe potuto
- tuttavia non certamente in modo piu' ragionevole, date le
potenziali frizioni che, come si e' visto, ne sarebbero scaturite
rispetto alle situazioni di non corretta o aggiornata perimetrazione
delle zone A e B nei piani regolatori dei singoli comuni - introdurre
detto vincolo con efficacia diretta e immediata per tutti i
consociati; ma, altrettanto indubitabilmente, non lo ha fatto;
c) nel 1985 il legislatore regionale, nel recepire in Sicilia
il condono edilizio di cui alla legge 28 febbraio 1985, n. 47, ha
escluso dalla condonabilita' «le costruzioni eseguite in violazione
dell'art. 15, [primo comma,] lettera a), della legge regionale 12
giugno 1976, n. 78» (con l'eccezione di quelle ultimate entro il 31
dicembre 1976).
Se fin qui non si intravedono possibili alternative
interpretative del quadro normativo, esse invece si possono profilare
allorche' si tratti di stabilire se la prefata «violazione dell'art.
15, lettera a)», della legge regionale n. 78 del 1976 debba
intendersi riferita (unicamente) agli immobili realizzati nella
fascia costiera «di metri 150 dalla battigia» solo in quei comuni che
(tra il 16 giugno 1976 e il 17 agosto 1985: salvo poi a valutarsi -
ma con risposta, si opina, tendenzialmente positiva - se abbia
rilievo, o meno, l'eventuale anteriorita' della costruzione rispetto
all'introduzione del precetto in discorso nel P.R.G.) abbiano
introdotto tale vincolo di inedificabilita' nel proprio territorio;
ovvero se, invece, detta violazione - e la conseguente non
condonabilita' ai sensi della legge regionale n. 37 del 1985 - possa
riguardare (anche) ogni costruzione realizzata nella prefata fascia
costiera, del tutto a prescindere dall'avvenuta introduzione del
vincolo nello strumento edilizio del Comune in cui la specifica
costruzione e' stata realizzata (dopo il 31 dicembre 1976).
Si e' gia' detto che, ad avviso del Collegio remittente, solo la
prima opzione interpretativa e' coerente con il quadro normativo
vigente alla data del recepimento in Sicilia del primo condono
edilizio (agosto 1985); e cio' per le ragioni esegetiche che si sono
gia' esposte supra.
Nondimeno, riconoscendosi che non puo' escludersi un qualche
minimo margine di opinabilita' rispetto a tale conclusione - di cui,
tuttavia, deve rivendicarsi la competenza in capo al giudice a quo:
vieppiu' allorche' esso sia quello di ultimo grado della pertinente
giurisdizione e si tratti di una vicenda normativamente e
geograficamente limitata alla sola Regione Siciliana, per la quale la
nomofilachia e' di esclusiva competenza di questo Consiglio di
giustizia amministrativa - ad abundantiam ci si fara' carico, per
fugare ogni dubbia circa la rilevanza della sottoposta questione di
legittimita' costituzionale, anche dell'opposta (e pur se non
condivisa) ipotesi esegetica.
4. Se il quadro normativo fosse rimasto quello sin qui esposto e
analizzato, si avrebbe che in Sicilia il primo condono edilizio
sarebbe certamente applicabile:
I) per l'interprete che aderisca alla prima delle suesposte
opzioni interpretative:
a) anche agli immobili realizzati, entro il 1° ottobre
1983, nella fascia costiera dei 150 metri dalla battigia, in tutti
quei comuni che non abbiano, fino alla predetta data, inserito il
vincolo di inedificabilita' costiera nel proprio strumento generale;
b) non invece agli immobili, ultimati dopo il 31 dicembre
1976, nei comuni che, entro il 1° ottobre 1983 (o, comunque, in
qualsiasi data precedente all'entrata in vigore della legge regionale
10 agosto 1985, n. 37, con cui detto condono edilizio e' stato
recepito in Sicilia), abbiano recepito tale vincolo nel proprio piano
regolatore (o almeno, come si e' accennato, agli immobili realizzati
dopo il recepimento del vincolo nello strumento edilizio: lo
specifico profilo si puo' non approfondire, perche' non rilevante ai
fini della decisione del caso in esame giacche' il vincolo in
discorso non risulta essere stato mai recepito nello strumento del
Comune in epigrafe);
II) Per l'interprete che, invece, aderisse alla seconda delle
suesposte opzioni interpretative, il condono sarebbe comunque
precluso per tutti gli immobili realizzati nei 150 metri dalla
battigia e ultimati dopo il 31 dicembre 1976; e cio' in forza del
secondo periodo del comma XI dell'art. 32-33 della legge regionale 10
agosto 1985, n. 37, ove interpretato come rinviante esclusivamente
alla locuzione di cui alla ivi citata lettera a) del primo comma
dell'art. 15 della legge regionale n. 78 del 1976, ma non anche al
relativo incipit, ne' soprattutto alla norma che tale articolo
esprime nella combinazione, grammaticale e giuridica, della sua
lettera a) con l'incipit dello stesso comma.
Nondimeno, il Collegio dubita altresi' - come si e' gia'
anticipato e si dira' meglio infra - della legittimita'
costituzionale del cit. comma XI, ove mai esso fosse passibile di
essere interpretato nel senso teste' indicato (al punto II del
presente § 4).
5. E' superfluo ribadire come il Collegio certamente non ignori
la tesi dogmatica secondo cui il legislatore regionale, mentre (in
sede di suo recepimento) non potrebbe estendere il condono edilizio
previsto dalla legge statale al di la' dei casi e limiti che essa
contempla, ben potrebbe invece ulteriormente circoscriverlo o
restringerlo.
Il primo assunto si fonda, in buona parte, sul rilievo che il
condono edilizio reca in se' l'effetto estintivo del reato commesso,
effetto che resta precluso alla Regione di ulteriormente estendere
perche' essa e' priva di ogni potesta' normativa in ambito penale, e
cio' quand'anche sia dotata, come lo e' la Sicilia, di potesta'
legislativa primaria per le materie dell'urbanistica e del paesaggio.
Si specifica che in questa sede si puo' (e si vuole) prescindere
dal rilievo che tale assunto parrebbe poggiare sull'indimostrato
postulato della necessaria coincidenza tra liceita'/illiceita' penale
e legittimita'/illegittimita' urbanistica (pur se il condono
sopravviene solo a posteriori, sicche' non sembrerebbe affatto certo
che esso debba necessariamente implicare l'estinzione dei reati gia'
commessi), la scissione tra le quali da' invece argomento alla tesi
che la legislazione regionale primaria (spettante solo alle regioni a
statuto speciale), lasciando intonsa la prima, possa variare in
qualsiasi senso la seconda (cfr., in proposito, C.G.A.R.S., sez.
riun. , adunanza 31 gennaio 2012, parere n. 291/2010).
Il secondo assunto, viceversa, si basa sulla asserita natura
eccezionale delle leggi di condono, che si postulano passibili di
essere ulteriormente specificate (solo) in senso restrittivo dal
legislatore regionale.
Tale concetto di eccezionalita' e' politicamente molto chiaro -
da parte d'un interprete che, mal tollerando scelte del legislatore
che non condivide, s'ingegna di considerarle tali - pur se
giuridicamente possa invece risultare quantomeno asimmetrico che (a
onta dei postulati dogmatici teste' accennati) al legislatore
regionale si riconosca di ridefinire in senso restrittivo i
presupposti applicativi della causa di estinzione del reato edilizio
introdotti dalla legge statale di condono, con l'effetto pratico di
consentirgli di estendere le condotte concretamente passibili di
sanzione penale nel proprio territorio: cio' che, rispetto alla
riserva assoluta di legge statale ex art. 25 Cost., sembrerebbe
essere invece un effetto piu' grave di quello che si sostanziasse,
all'opposto, in una concreta restrizione dell'area del rilievo penale
(giacche' e' facile convenire sull'affermazione che una parziale
relativizzazione della riserva di legge statale sarebbe
costituzionalmente piu' compatibile ove operante in bonam partem,
piuttosto che in malam partem).
In proposito si osserva come siffatto concetto giuridico sia
stato condiviso, almeno in una occasione, pure dalla stessa Corte
costituzionale: che (anche se forse con un orientamento non
esattamente monolitico nel tempo) ha affermato - e proprio a
proposito di una legge regionale siciliana in materia urbanistica,
del tutto analoga a quella di cui qui trattasi - che «l'ambito» delle
«cause d'estinzione del reato ... , individuato in una legge statale,
non puo' esser illegittimamente esteso o ristretto ad opera di leggi
regionali (neppure di quelle che dispongono in materie c.d.
«esclusive»)», percio' dichiarando «costituzionalmente illegittimo il
primo comma dell'art. 3 della legge regionale siciliana n. 26 del
1986» (Corte Cost. 25 ottobre 1989, n. 487).
6. Nondimeno - in disparte tutte tali osservazioni critiche, e
anche a voler ammettere (con la tesi dominante) che il legislatore
regionale ben possa discrezionalmente restringere, in sede di
recepimento della legge statale di condono, l'ambito della sua
effettiva applicabilita' nel territorio regionale - resta certamente
vero che l'esercizio, in concreto, di tale potere legislativo
regionale, ove sussistente, debba pur sempre espletarsi nei limiti
dei principi costituzionali di proporzionalita' e ragionevolezza che,
se travalicati, danno luogo al c.d. eccesso di potere legislativo,
passibile di censurabilita' costituzionale: sotto il profilo del
contrasto, per violazione di detti principi, con l'art. 3 Cost.,
nella piu' lata accezione ormai generalmente riconosciuta.
Ebbene, il Collegio, in proposito, ritiene che:
1) l'art. 32-33, comma XI, secondo periodo, legge regionale
n. 37 del 1985 abbia escluso dalla condonabilita' solo le costruzioni
realizzate nella fascia di 150 metri dalla battigia dopo il 31
dicembre 1976 nei comuni che, in esecuzione del precetto legislativo
loro rivolto dall'art. 15, lettera a), della legge regionale n. 78
del 1976, abbiano recepito nel proprio strumento ubanistico generale
il vincolo di inedificabilita' assoluta in detta fascia costiera; e
cio' in quanto il richiamo operato da detto comma XI non possa che
essere inteso come riferito, unitariamente, alla norma espressa dalla
ivi citata lettera a) dell'art. 15, legge regionale n. 78/1976 in
indissolubile combinazione con l'incipit dello stesso primo comma, in
cui la lettera a) si colloca indubitabilmente;
2) solo in via assolutamente subordinata, ossia qualora si
reputasse possibile (e, dunque, compatibile con il ricordato quadro
normativo) ritenere che il richiamo operato da detto comma XI
concerna esclusivamente le parole contenute nella ivi richiamata
lettera a) («le costruzioni debbono arretrarsi di metri 150 dalla
battigia»: a onta del fatto che esse siano, come si e' gia' rilevato,
«immobili») e non anche il contenuto del relativo incipit (che,
preclaramente, riferisce le prescrizioni di inedificabilita' nei 150
metri dal mare unicamente «ai fini della formazione degli strumenti
urbanistici generali comunali», senza dunque alcuna diretta e
immediata efficacia anche nei confronti dei soggetti privati
proprietari di aree site all'interno di tale fascia costiera) - e
fermo restando che non e' dato comprendere quale possa essere la
ragione giuridica (laddove invece quella politica e' preclara) di una
siffatta considerazione, certamente «mozzata», del richiamo della
norma pregressa - qui si solleva questione di legittimita'
costituzionale del secondo periodo di detto comma XI per eccesso di
potere legislativo, irragionevolezza, inadeguatezza e
improporzionalita', e dunque per contrasto con l'art. 3 Cost. e con i
ricordati principi che esso implica e che ne sono ricavati:
assumendosi a tertium comparationis - dell'irragionevolezza della
norma risultante alla stregua di tale, qui non condivisa, esegesi -
l'istituto dell'accertamento di conformita', di cui all'art. 13 della
legge 28 febbraio 1985, n. 47, ora trasfuso nell'art. 36 del testo
unico dell'edilizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica
6 giugno 2001, n. 380.
Il Collegio ritiene, infatti, che sarebbe del tutto irrazionale
detto comma XI, ove esso fosse appunto interpretato nel senso di aver
escluso in Sicilia dalla condonabilita' straordinaria di cui alla
legge statale n. 47 del 1985 le costruzioni realizzate nella fascia
costiera di 150 metri dalla battigia, pur in assenza (all'epoca) di
alcun vincolo di P.R.G. che fosse stato introdotto (anteriormente,
almeno, all'entrata in vigore di detto art. 32-33, legge regionale n.
37 del 1985) dal Comune di ubicazione del singolo immobile.
L'irragionevolezza di una tale esclusione dal condono risulta
insita, specificamente, nell'incongruenza di precludere la piu' ampia
e generale sanatoria edilizia una tantum, di cui al condono ex lege
n. 47 del 1985, rispetto a immobili che, sia prima e sia dopo la
scadenza del termine per la loro riconduzione al c.d. primo condono
(1° ottobre 1983), avrebbero comunque potuto, possono e potranno
(almeno fino al 1991) ottenere il titolo edilizio in sanatoria ai
sensi dei citati art. 13 e 36: e cio' perche', non sussistendo (fino,
appunto, al 1991) alcun vincolo efficace (non solo verso i comuni, ma
anche verso i privati proprietari della costruzione), la distanza
dalla battigia inferiore ai 150 metri, cerebrinamente assunta (in
tesi) dal legislatore del 1985 a elemento preclusivo del condono
edilizio, non sarebbe pero' idonea a elidere la (c.d. «doppia»)
conformita' dell'immobile «alla disciplina urbanistica ed edilizia
vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al
momento della presentazione della domanda» (di sanatoria, ex articoli
13 e 36 cit.).
La regolarizzazione dell'immobile (che, in tesi, non fosse
condonabile alla stregua di questa esegesi della legge regionale n.
37/1985), per effetto dell'accertamento della sua (doppia)
conformita' avrebbe continuato a esser possibile, infatti, anche
oltre il 30 novembre 1985 (termine legale per la presentazione delle
domande di condono) e fino all'entrata in vigore della cit. legge
regionale 30 aprile 1991, n. 15: che, ponendo per la prima volta il
vincolo anche per i privati, ha fatto venir meno il requisito della
doppia conformita' impedendo, solo per il futuro dunque,
l'accertamento di conformita'.
Siccome non v'e' alcun elemento che possa far dubitare che - alla
stregua della normativa vigente anteriormente al 1991 - anche le
costruzioni realizzate all'interno della fascia costiera in discorso
(nei comuni che non avessero recepito nei propri strumenti
urbanistici generali il vincolo indicatogli dal cit. art. 15: ivi
incluso quello nel cui territorio insiste l'immobile per cui qui e'
causa) ben potessero (in difetto di ulteriori ragioni ostative, di
cui non consta ex actis l'esistenza nella vicenda in esame) risultare
conformi, doppiamente, sia alla normativa urbanistica vigente
all'epoca della loro edificazione, sia anche a quella in vigore
successivamente (e, appunto, fino al 30 novembre 1985 o, anche dopo,
fino al 1991), e' da ritenere che (anche) esse fossero passibili di
sanatoria, c.d. ordinaria, in base ai cit. art. 13 (prima) e 36
(dopo).
Rispetto a tale situazione, sarebbe stata una scelta del tutto
irrazionale, sproporzionata, iniqua o, come suol dirsi,
manifestamente irragionevole quella che il legislatore regionale, in
sede di recepimento del condono edilizio straordinario di cui alla
legge n. 47 del 1985, avrebbe fatto, se avesse escluso dalla forma
piu' ampia di sanatoria eccezionale - e, non di poco conto, solo in
Sicilia: dunque pure in modo disallineato e contrastante con i
principi generali dell'ordinamento nazionale, per come creati e
declinati dalla cit. legge n. 47 del 1985 (che, se per consolidata
giurisprudenza costituzionale integra e delimita una «grande riforma
economico-sociale della Repubblica», non puo' non vincolare anche
sotto questo profilo la legittimita' dell'esercizio della normazione
attuativa e di recepimento della Regione Siciliana) - proprio quelle
vicende che, pur se davvero fossero cosi' state escluse dal condono
straordinario, sarebbero state comunque passibili di sanatoria
ordinaria, ex articoli 13 e 36 cit.
Siffatta discrasia e' stata chiaramente prospettata anche
nell'unica decisione di questo Consiglio rinvenuta in argomento e
anteriore al 30 aprile 1991 (C.G.A.R.S. 26 marzo 1991, n. 99), la
quale (non ostante venga di solito citata a sostegno della tesi della
non condonabilita', eccessivamente valorizzandosene un obiter dictum
che in realta' e' del tutto estraneo alla ratio decidendi) ha pero'
respinto gli appelli dell'Amministrazione (Comune e Regione) che
erano volti a far riformare una decisione del Tribunale
amministrativo regionale favorevole al proprietario ricorrente (in
dettaglio: il Tribunale amministrativo regionale aveva annullato un
diniego di concessione edilizia, «in variante» di una precedente
concessione del 1978, che era stata richiesta nel 1983 e denegata dal
Comune di Catania nel 1986 perche' riferita a un immobile ubicato nei
150 metri dalla costa); detta sentenza d'appello e' giunta infatti a
questo risultato proprio ritenendo infondate le tesi, sostenute dal
Comune appellante, «che l'art. 23, comma 10 [ora comma XI], della
legge regionale 10 agosto 1985, n. 37 esclude dalla sanatoria ... le
costruzioni eseguite in violazione dell'art. 15 lettera a), della
legge regionale 12 giugno 1976, n. 78», e «che quest'ultima norma (e
non gia' il successivo strumento urbanistico in attuazione della
norma) istituisce immediatamente il vincolo di inedificabilita' entro
la fascia di 150 m. dalla battigia»; e affermando, invece, che «la
non sanabilita' di edifici abusivi realizzati in violazione del cit.
art. 15 non comporta la immediata applicabilita' di questo nei
confronti dei privati, e quindi non vieta il rilascio di concessioni
edilizie fino a quando i comuni non abbiano inserito nei loro
strumenti urbanistici i divieti e le limitazioni posti dallo art.
15».
Emerge chiaramente da tale sentenza come non possa affatto
escludersi la doppia conformita', nella vigenza dell'art. 15 della
legge regionale n. 78 del 1976 (e prima della sua interpretazione
autentica operatane dalla legge regionale n. 15 del 1991), anche per
gli immobili «abusivi, per tali intendendosi quelli eseguiti, tra
l'altro, in mancanza di concessione edilizia», realizzati nella
prefata fascia costiera (limitatamente, s'intende, a quelli «non
difformi rispetto alla disciplina urbanistica»).
Anche tali ultimi virgolettati sono tratti dalla cit. sentenza n.
99 del 1991 di questo Consiglio, la cui lettura tuttavia e' stata poi
«piegata» a giustificazione di tutt'altre tesi: probabilmente, si
opina, per dare una qualche spiegazione postuma alla (efficacia
retroattiva della) qui controversa interpretazione autentica
(sopravvenuta nel 1991, invero solo pochi giorni dopo la
pubblicazione della sentenza) che, diversamente, sarebbe stata
all'evidenza giuridicamente insostenibile quanto alla sua
compatibilita' costituzionale.
Sicche' - allorche' se ne sfrondino, come qui si vuol fare, i
foscoliani allori - tale compatibilita' sembra in effetti a questo
Collegio del tutto insostenibile.
Riprendendo le fila del nostro discorso, e' proprio la pacifica
circostanza che, fino al 30 aprile 1991, gli immobili in discorso
(ossia quelli realizzati nei 150 metri dalla battigia nei comuni che
nessun vincolo avessero ancora previsto in tale zona costiera)
potessero esser sanati ai sensi dell'art. 13 della legge n. 47 del
1985 - perche', per unanime considerazione, l'art. 15 della cit.
legge del 1976, sia testualmente sia sistematicamente, non poneva
alcun precetto direttamente efficace nei confronti dei privati
proprietari - quella su cui si radica l'incostituzionalita' (ove,
difformemente da quanto opina questo Collegio, si ritenesse di poter
interpretare il comma XI dell'art. 32-33 della legge regionale n. 37
del 1985 in tali sensi) della scelta di precludere solo in Sicilia e
diversamente dal resto d'Italia, il condono straordinario a
fattispecie eo tempore comunque passibili di rientrare
nell'accertamento di conformita' (c.d. sanatoria ordinaria, per
distinguerla da quella straordinaria e una tantum del condono).
Il fatto stesso che risulti possibile ottenere una concessione in
sanatoria, ma non un condono, rende ex se irragionevole l'esclusione
di quest'ultimo nei casi di costruzione nei 150 metri dalla battigia
(laddove, come nel caso in esame, non vi fosse un PRG che avesse
previamente recepito il vincolo di inedificabilita').
La ratio del condono e' infatti quella di rendere sanabili
attivita' edilizie che non possano ottenere, ex post, la concessione
in sanatoria; ne', ex ante, il titolo edilizio: giacche', altrimenti,
non avrebbe senso ancorare a una precisa finestra temporale la
possibilita' di richiedere il condono.
Essenzialmente, nella sanatoria ex articoli 13, o 36, citt. non
rileva tanto la volonta' del richiedente di estinguere l'illecito con
il pagamento di una (maggiore) somma di denaro - come accade invece
per l'oblazione penalistica ex articoli 162 e 162-bis codice penale -
quanto piuttosto «la mancanza d'un disvalore oggettivo» (cosi' Corte
costituzionale 9 gennaio 2019, n 2; Id. 31 marzo 1988, n. 370)
nell'aver realizzato un'opera doppiamente conforme (nunc et tunc)
alla pianificazione urbanistica (c.d. illecito meramente formale).
E cio' si distingue radicalmente dalle ipotesi di condono
edilizio, in cui la legge - solo in via straordinaria e con regole ad
hoc - consente di sanare situazioni di abuso, se perpetrate fino a
una certa data, che hanno pero' natura sostanziale, perche' difformi
(ora e allora) dalla disciplina urbanistico-edilizia (Corte Cost. 16
marzo 2023, n. 42); e, infatti, il condono edilizio «ha quale effetto
la sanatoria non solo formale ma anche sostanziale dell'abuso, a
prescindere dalla conformita' delle opere realizzate alla disciplina
urbanistica ed edilizia (sentenza n. 50 del 2017)» (Corte Cost. 5
aprile 2018, n. 68; Id. 8 novembre 2017, n. 232).
In tale prospettiva non si riuscirebbe ad apprezzare la
ragionevolezza dell'ipotizzata (ma, appunto, tutt'altro che
letteralmente necessaria; e, comunque, sistematicamente non
convincente) interpretazione, che ritenesse non consentito, ai sensi
dell'art. 32-33, comma XI, ultima proposizione, della legge regionale
n. 37/1985, l'utilizzo dello strumento condonistico per il caso di
realizzazione di un manufatto nei 150 metri dalla battigia in un
periodo pur successivo all'entrata in vigore dell'art. 15, primo
comma, lettera a), della legge regionale n. 78 del 1976, ma comunque
precedente sia al 1° ottobre 1983 e sia al recepimento del vincolo di
inedificabilita' nel PRG del Comune interessato.
Nel 1985 detto abuso, in assenza di altri profili di violazione
edilizia e urbanistica (non configurati nella vicenda in esame), era
infatti suscettibile di essere sanato con un accertamento di
conformita', giacche', finche' il vincolo non sia stato recepito
nello strumento comunale (e fino all'entrata in vigore della nuova
disposizione di cui alla legge regionale n. 15 del 1991), l'aver
costruito nella fascia dei 150 metri dalla costa integrava un
illecito edilizio meramente formale, non violando alcuna disciplina
urbanistica o edilizia e non configurandosi percio' ostacoli di sorta
alla valutazione (positiva) della doppia conformita' ex art. 13 cit.
(ratione temporis vigente).
Non e' dato percio' rinvenire alcuna ragione giustificativa per
cui la legge regionale n. 37 del 1985 possa non consentire il ricorso
all'istituto di sanatoria straordinaria (condono), laddove l'abuso
sia comunque sanabile con la sanatoria ordinaria (accertamento di
conformita', ex art. 13 cit.); diversamente risultando assai dubbia
la ragionevolezza di tale scelta normativa (ove mai la si potesse
ritenere implicata dal cit. art. 32-33).
Merita evidenziarsi, in proposito, che la valutazione di
ragionevolezza della scelta del legislatore debba svolgersi alla
stregua dei parametri normativi presenti, a quella data,
nell'ordinamento giuridico (e non, ovviamente, per la mera
considerazione, estetica e metagiuridica, che «le coste sono belle e
percio' vanno tutelate»): il quale, alla data del 10 agosto 1985, non
aveva ancora introdotto alcun vincolo assoluto sulle zone costiere
(in particolare: nessun vincolo a livello regionale; nonche', a
livello nazionale e dal 30 giugno 1985, solo quello relativo - e
percio' condonabile secondo i parametri nazionali di cui alla legge
n. 47/1985, pur se condizionatamente al rilascio di un c.d. «nulla
osta postumo» - di cui al decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312).
Cio' induce a escludere la ragionevolezza della scelta con cui -
secondo una qui non condivisa opzione esegetica: che, in realta',
sembra unicamente volta a far retroagire al 1976, «con qualsiasi
mezzo», quei vincoli di tutela paesaggistica regionali che poi furono
effettivamente introdotti solo nel 1991 - il legislatore regionale,
nel recepire nel 1985 il condono nazionale, abbia introdotto ex
nihilo (e senza neanche dirlo espressamente) sulla fascia costiera un
nuovo vincolo, assoluto e retroattivo, che non esisteva secondo la
legge regionale n. 78/1976 (che, come si e' gia' detto, aveva in
realta' tutt'altre finalita'; e che, comunque, certamente non lo
introdusse in via diretta).
In sintesi, il Collegio ritiene che il legislatore regionale del
1985 cio' non fece (furono semmai alcuni interpreti a sostenere poi,
ma fallacemente, la tesi che l'avesse fatto); ma che, ove davvero
l'avesse fatto, la scelta in tal senso compiuta sarebbe comunque da
considerare costituzionalmente illegittima per c.d. eccesso di potere
legislativo, alla stregua delle considerazioni svolte.
Risulta infatti corretta, agevole e, percio', direttamente
doverosa per ogni interprete un'esegesi conforme al parametro
costituzionale - cioe' tale da non incorrere nella incongruenza di
precludere il condono edilizio straordinario del 1985 anche in quegli
stessi casi in cui, invece, la costruzione sarebbe stata sanabile in
via ordinaria ai sensi del cit. art. 13 - ossia quella di ritenere
esclusi dalla condonabilita', ex art. 32-33, XI comma, della legge
regionale n. 37/1985, solo gli immobili realizzati nei 150 metri
dalla battigia in quei comuni che, anteriormente al 1° ottobre 1983,
avessero introdotto nei loro strumenti generali il vincolo di cui
all'art. 15, lettera a), della cit. legge regionale n. 78/1976; e,
all'opposto, continuando a considerare invece sanabili, peraltro come
in tutto il resto d'Italia, le costruzioni realizzate (come quella
per cui qui e' causa) bensi' nei 150 metri dalla battigia, ma in
comuni diversi da quelli che avessero introdotto detto vincolo.
Per le ragioni che si sono esposte, il Collegio ritiene che
questa sarebbe stata (e sia) l'unica esegesi conforme a Costituzione
(nonche', come si e' chiarito, anche al tenore letterale della
legislazione regionale di recepimento) fino al 30 aprile 1991: con il
corollario che il ricorso in appello qui in trattazione avrebbe
trovato necessario accoglimento, con conseguente annullamento
dell'impugnato diniego di condono e restituzione dell'affare
all'amministrazione comunale per l'ulteriore istruttoria dell'istanza
di condono, esclusa e annullata la sua reiezione per la pretesa
ostativita' della clausola di esclusione del condono asseritamente
recata dal secondo periodo dell'XI comma del cit. art. 32-33
introdotto dall'art. 23 della legge regionale n. 37 del 1985.
7. Con la sopravvenienza dell'art. 2, comma 3, della legge
regionale 30 aprile 1991, n. 15 - ai sensi del quale «Le disposizioni
di cui all'art. 15, primo comma, lettere a, d ed e della legge
regionale 12 giugno 1976, n. 78, devono intendersi direttamente ed
immediatamente efficaci anche nei confronti dei privati. Esse
prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e
dei regolamenti edilizi» - il quadro normativo primario cambia invece
radicalmente, divenendo ostativo alla possibilita' di condonare gli
immobili ubicati nei 150 metri dalla battigia.
8. Nulla quaestio per quanto riguarda l'efficacia di tale
modifica normativa per il futuro: con il corollario che resta
certamente preclusa ogni possibilita' di avvalersi del c.d. secondo
condono (quello di cui alla legge 23 dicembre 1994, n. 724) per le
costruzioni realizzate in Sicilia nella fascia costiera di 150 metri
dalla battigia (non gia' entro il 1° ottobre 1983, bensi') entro il
31 dicembre 1993.
9. La questione di legittimita' costituzionale che qui si
rassegna riguarda invece, unicamente, le costruzioni realizzate in
Sicilia in detta fascia costiera (dopo il 31 dicembre 1976 e) entro
il 1° ottobre 1983, e comunque soltanto nel territorio dei comuni che
non abbiano introdotto il vincolo costiero nel proprio P.R.G.
anteriormente a tale ultima data (nonche', ovviamente, ove non vi
siano ulteriori e diversi vincoli assoluti di inedificabilita': i
quali pero', ex art. 34, comma 2, c.p.a., resterebbero comunque
estranei al presente giudizio): tra cui rientra l'opera edilizia di
cui qui trattasi.
10. Tali costruzioni - sanabili, per come si e' gia' detto, alla
stregua della normativa vigente alla data di scadenza del termine di
presentazione della domanda di condono del 30 novembre 1985,
nonostante qualsiasi diversa determinazione amministrativa - sono
oggettivamente divenute insanabili per effetto della cit. legge
regionale n. 15 del 1991, per avere essa autenticamente interpretato,
in senso totalmente ostativo, l'art. 15, primo comma, lettera a),
della legge regionale n. 78 del 1976, creando retroattivamente un
vincolo di inedificabilita' assoluta «direttamente e immediatamente»
efficace «anche nei confronti dei privati».
11. Piu' esattamente, il legislatore del 1991 - nella verosimile
consapevolezza che l'imposizione retroattiva del vincolo di
inedificabilita' assoluta sarebbe stata incompatibile con i principi
costituzionali del nostro ordinamento (pur se in generale esso
consente entro certi limiti, ma in altri ambiti, la retroazione delle
disposizioni normative) per le ragioni che si esporranno infra - ha
cercato di far passare per interpretativa una disposizione che invece
tale non era affatto, non rientrando nel novero di quelle compatibili
con il tenore letterale (ne' con la ratio, ne' con il quadro
sistematico) della norma asseritamente interpretata.
Per quanto riguarda le ragioni per cui quella qui controversa non
abbia affatto natura di interpretazione autentica (correttamente e
legittimamente identificabile come tale) si fa rinvio a quanto si
esporra' infra, nel successivo § 13.
12. Ritiene dunque questo Collegio che l'introduzione del
vincolo, che trae origine senza alcun dubbio dalla legge regionale n.
15 del 1991, evidenzi rilevanti profili, non manifestamente
infondati, di incostituzionalita':
1) perche' retroattivamente imposto nel 1991 e con effetto
dal 1976 (art. 3 Cost.);
2) in modo certamente incompatibile con la legislazione
previgente: della quale, soprattutto con riferimento alla legge
regionale n. 78 del 1976, oggettivamente non poteva costituire uno
dei significati compatibili con il tenore delle parole utilizzate dal
legislatore regionale del 1976, ne' con l'intenzione di quel
legislatore (art. 3 Cost.);
3) neppure potendosi opinare - come in una certa fase
storica, poi peraltro superata, fu ipotizzato dalla giurisprudenza di
questo Consiglio - che si sia trattato di un'interpretazione
autentica (non gia' dell'art. 15, lettera a, della legge regionale n.
15 del 1976, bensi') dell'art. 23, comma X (ora XI), della legge
regionale n. 37 del 1985: sia perche' l'art. 2, comma 3, legge
regionale n. 15 del 1991 e' preclaro nel riferirsi alle «disposizioni
di cui all'art. 15, primo comma, lettere a, d ed e della legge
regionale 12 giugno 1976, n. 78»; sia, in via dirimente, perche' tale
(peraltro ovvio) oggetto dell'interpretazione autentica ha
successivamente trovato ulteriore conferma normativa (una sorta di
interpretazione autentica dell'interpretazione autentica) nell'art.
6, comma 1, della legge regionale 31 maggio 1994, n. 17, che, nel
novellare l'art. 22 della legge regionale 27 dicembre 1978, n. 71, al
relativo comma 2, lettera e), ha ribadito che l'oggetto
dell'interpretazione (autentica) di cui all'art. 2 della legge
regionale 30 aprile 1991, n. 15, e' stato, appunto, proprio l'art. 15
della legge regionale 12 giugno 1976, n. 78 (e non, dunque, l'art.
23, comma XI, della legge regionale n. 37 del 1985);
4) perche' l'introduzione retroattiva di un vincolo (peraltro
assoluto: e diversamente da quello, relativo, gia' previsto nel resto
d'Italia dalla legge, c.d. Galasso, 8 agosto 1985, n. 431) di
inedificabilita' appare lesiva del contenuto minimo essenziale del
diritto di proprieta' privata, ponendosi percio' in contrasto anche
con l'art. 42 Cost.;
5) perche' l'introduzione retroattiva di una causa ostativa
al rilascio del condono edilizio, escludendo a posteriori
l'operativita' di una causa di estinzione del reato di abusivismo
edilizio gia' verificatasi, da un lato ri-estende la punibilita' a
fatti gia' esclusi da essa dalla legge statale (violando la riserva
assoluta di legge statale in materia penale) e dall'altro ri-espande
la sussistenza di un reato estinto merce' un intervento normativo
successivo alla commissione del fatto (in violazione dell'art. 25, II
comma, Cost.): profili, questi, che sussisterebbero anche nel caso,
che pur va escluso per le ragioni gia' esposte, che l'interpretazione
autentica recata dalla legge regionale n. 15 del 1991 avesse
riguardato (non gia' l'art. 15 della legge regionale n. 78 del 1976,
bensi') l'art. 23, comma XI, della legge regionale n. 37 del 1985 (e
quand'anche la si ritenesse, diversamente da questo Collegio, aver
imposto uno dei possibili significati letterali di quest'ultima
norma);
6) perche' i principi di civilta' giuridica che permeano,
anche a livello di vincoli costituzionali, il nostro ordinamento -
non foss'altro che per la sua adesione alla C.E.D.U. (art. 117, I
comma, Cost., con particolare riferimento all'art. 1 del Protocollo
addizionale n. 1 C.E.D.U., «Protezione della proprieta'», per cui
«ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi
beni»), oltre che per il vincolo di conformazione, ex art. 10 Cost.,
ai principi fondamentali comuni alle nazioni civili - non sembrano
poter consentire al legislatore, e nell'ordinamento italiano men che
mai a quello regionale, di escludere dalla condonabilita' eccezionale
ex lege n. 47/1985 beni che vi erano stati fatti inizialmente
rientrare, e cio' vieppiu' dopo il decorso di un termine
irragionevolmente lungo (oltre 5 anni dal 1985 al 1991, ossia ben
piu' del termine per la formazione del silenzio-assenso sulla domanda
di condono, ex art. 35, XVIII comma, della legge n. 47/1985; nonche'
quasi 15 anni dal 1976 al 1991); ne' di escludere dalla
condonabilita' eccezionale (ex lege cit.) beni passibili di sanatoria
ordinaria (ex articoli 13 e 36 cit.);
7) perche' l'introduzione postuma di un vincolo di
inedificabilita' assoluta, nonche' la connessa esclusione, solo in
Sicilia, dalla condonabilita' eccezionale di cui alla legge n. 47 del
1985 per le opere eseguite in violazione di detto vincolo, ma prima
che esso fosse stato effettivamente imposto, parrebbero contrastare -
per compressione irragionevolmente differenziata (art. 3 Cost.) del
diritto di proprieta' privata (art. 42 Cost.) - con il principio
generale dell'ordinamento nazionale (e di cui alla legge di grande
riforma economica e sociale n. 47 del 1985) che non considera
preclusivi di detta condonabilita' eccezionale i vincoli apposti in
una data successiva all'ultimazione della costruzione abusiva
(nonche', a fortiori, alla scadenza del termine per la presentazione
della domanda di condono edilizio);
8) perche' la violazione, da parte della legislazione
regionale in esame, del principio generale dell'ordinamento statale
del rilievo, ai fini della preclusione del condono, esclusivamente
dei vincoli effettivamente posti (e conseguentemente resi conoscibili
ai privati) anteriormente alla realizzazione della costruzione da
condonare (nonche', altresi', alla presentazione della domanda di
condono) sembra aver travalicato i limiti di un ragionevole
affidamento dei consociati sulla razionalita' e proporzionalita'
della legislazione (nella specie: regionale), ex art. 3 Cost., anche
in punto di legittimo affidamento al rispetto e alla tutela della
proprieta' privata immobiliare e della ricchezza in essa profusa (ex
articoli 42, 44 e 47 Cost.);
9) perche', nella specie, potrebbero risultare violati i
principi generali (di cui alle stesse norme costituzionali teste'
citate) di certezza dei rapporti giuridici, di ragionevolezza, di
uguaglianza e di affidamento nella certezza e stabilita' per il
passato della legge (sub specie di non retroattivita' irragionevole
della legislazione: art. 3 Cost.): in ordine a tali limiti, cfr.
quelli indicati da Corte costituzionale 22 novembre 2000, n. 525, e 4
aprile 1990, n. 155.
13. Fu dunque nel 1991 che, in effetti, venne introdotta
nell'ordinamento siciliano una nuova norma, che pose erga omnes il
vincolo di inedificabilita' assoluta nella fascia di 150 metri dalla
riva del mare; e, volendolo introdurre anche per le costruzioni gia'
esistenti - forse pure per porre rimedio, ex post, alla riscontrata
inerzia diffusa tra i comuni isolani nel recepimento del precetto,
solo a loro rivolto, del 1976 - si cerco' di strutturarla come una
disposizione interpretativa (perche', se tale, avrebbe avuto ben piu'
ampi margini di legittima interferenza retroattiva nell'ordinamento).
Negli anni successivi l'interpretazione giudiziaria di tale norma
- pur essendovi consapevolezza dell'impossibilita' di considerarla
(una delle possibili alternative esegetiche della norma interpretata
e, percio',) interpretativa della cit. legge regionale del 1976 -
cerco' in ogni modo di salvarla: sia, in una certa fase storica,
postulandone la natura interpretativa della successiva legge
regionale del 1985; sia poi, allorche' fu assodato come cio' non
fosse assolutamente possibile (per le ragioni gia' esposte nel
precedente § 12, sub n. 3), semplicemente accantonando il problema e
dando per scontato che dal combinato disposto delle tre disposizioni
di cui si sta trattando (quelle del 1976, del 1985 e del 1991)
risultasse un precetto che non avesse mai consentito a chiunque, sin
dal 1976, ne' di costruire in tale fascia costiera (senza ulteriori
condizioni), ne' di condonare in qualsiasi modo (ne' ex articoli
32-33 cit., ne' 13 e 36 cit.) quanto edificato.
E, infatti, la giurisprudenza piu' recente di questo Consiglio
tralatiziamente afferma (ormai senza particolari approfondimenti) che
«l'art. 2, legge regionale 30 aprile 1991 n. 15, ha efficacia
retroattiva, avendo operato un'interpretazione autentica delle
previsioni dell'art. 15, legge regionale n. 78 cit.» (cosi', e
pluribus, Cgars, 26 maggio 2021, n. 476; Id., 22 febbraio 2021, n.
134).
In sostanza, alla stregua dell'orientamento giurisprudenziale
odierno si ritiene, piu' o meno esplicitamente, che la legittimita'
costituzionale della valenza retroattiva dell'art. 2, comma 3, della
legge regionale n. 15 del 1991 sia ancorata alla possibilita' -
invero a ben vedere insussistente - di qualificare la disposizione in
termini di norma di interpretazione autentica.
Essendo (testualmente) escluso (dallo stesso legislatore: v.
supra, al § 12, sub n. 3), come si e' gia' detto, che detta
interpretazione autentica possa aver riguardato l'art. 32-33 della
legge regionale n. 37 del 1985, e' altresi' agevole verificare che
quella del 1991 nemmeno puo' considerarsi, a ben vedere, norma di
interpretazione autentica della legge regionale n. 78 del 1976.
In base alla giurisprudenza costituzionale, e' disposizione di
interpretazione autentica quella che:
e' «qualificata formalmente tale dallo stesso legislatore»;
«esprime, anche nella sostanza, un significato appartenente a
quelli riconducibili alla previsione interpretata secondo gli
ordinari criteri dell'interpretazione della legge»: si crea cosi' un
rapporto duale tra le disposizioni, tale che il sopravvenire della
norma interpretativa non fa venir meno, ne' sostituisce, la
disposizione interpretata, ma l'una e l'altra si saldano dando luogo
ad un precetto normativo unitario» (Corte Cost. 6 luglio 2020, n.
133).
In altre parole, perche' si tratti di interpretazione autentica
occorre che la norma interpretata sia «originariamente connotata da
un certo tasso di polisemia e quindi sia potenzialmente suscettibile
di esprimere piu' significati secondo gli ordinari criteri di
interpretazione della legge»; solo cosi' «la norma che risulta dalla
saldatura della disposizione interpretativa con quella interpretata
ha quel contenuto fin dall'origine e in questo senso puo' dirsi
retroattiva».
Pur essendo ricorrente nella giurisprudenza costituzionale il
principio secondo cui il legislatore puo' adottare norme che
precisino il significato di altre disposizioni, anche in mancanza di
contrasti giurisprudenziali, occorre pero' che «la scelta "imposta"
dalla legge interpretativa rientri tra le possibili varianti di senso
del testo originario» (e pluribus: Corte costituzionale n. 133/2020,
cit.; 20 luglio 2018, n. 167; 30 gennaio 2018, n. 15; 22 novembre
2000, n. 525).
Invece nel caso di specie non c'e' alcun dubbio che difetti in
apicibus ogni incertezza circa la formulazione della disposizione
interpretata - ossia l'art. 15, I comma, lettera a), della legge
regionale n. 78 del 1976 - giacche' essa, per quanto concerne i suoi
destinatari (che erano certamente solo i comuni e non i privati), non
presenta alcun tasso di polisemia atto a consentirne, sul punto, una
legittima interpretazione autentica.
Infatti, la previsione del vincolo («le costruzioni debbono
arretrarsi di metri 150 dalla battigia»), contenuto appunto nella sua
lettera a), e' preceduta dalla preclara precisazione secondo cui
detta prescrizione e' stata dettata esclusivamente «Ai fini della
formazione degli strumenti urbanistici generali comunali»: il
precetto e' quindi rivolto solo ai comuni e certamente non ai
privati.
Depone in tal senso anche la giurisprudenza: cfr., gia'
all'epoca, la ricordata sentenza di questo Consiglio 26 marzo 1991,
n. 99 (che e' l'unica rinvenibile pubblicata anteriormente alla legge
regionale 30 aprile 1991, n. 15), nel senso che l'art. 15 della legge
regionale n. 78 del 1976 abbia «una chiarissima portata letterale»,
che «non pone un diretto ed immediato vincolo di inedificabilita' (o
di non modificabilita' anche qualitativa degli edifici preesistenti)
nei pressi delle coste marine, ma vincola i Comuni a conformarvisi
nella redazione dei futuri strumenti urbanistici» (siffatta esegesi
e' poi stata sempre ribadita: cfr. C.G.A.R.S., 2 giugno 1994, n. 171,
e 2 luglio 1997, n. 250).
Neppure potrebbe invocarsi come argomento in senso contrario
quella successiva giurisprudenza che considera scontato che la
disposizione del 1991 abbia valenza interpretativa dell'art. 15 della
legge regionale n. 78 del 1976 (come gia' C.G.A.R.S., 21 febbraio
2000, n. 70, e 25 maggio 2000, n. 250, e quindi varie altre
successive), giacche' essa si limita a considerare il (mero) tenore
letterale dell'art. 2 della legge regionale n. 15 del 1991 -
riferito, infatti, all'art. 15 della legge regionale n. 78 del 1976,
e non all'art. 32-33 della legge regionale n. 37 del 1985: «Le
disposizioni di cui all'art. 15, primo comma, lettere a, d, ed e
della legge regionale 12 giugno 1976, n. 78, devono intendersi [...]»
- senza farsi (piu') carico di identificare quei sintomi di polisemia
della formulazione dell'art. 15, lettera a), della legge regionale n.
78 del 1976 che, unicamente, avrebbero potuto implicare la
conformita' ai principi di un intervento di interpretazione autentica
(ossa la scelta di privilegiare uno dei possibili significati
oggettivamente insiti nella norma; mentre la pluralita' di essi qui
non c'era).
Paradigmatica, in tal senso, e' - conformemente a tutta la piu'
recente giurisprudenza - l'apoditticita' dell'affermazione secondo
cui si tratta di un'interpretazione autentica semplicemente perche'
cosi' (effettivamente!) c'e' scritto nella norma: «E' ormai
consolidato, quindi, l'arresto giurisprudenziale secondo cui «Il
divieto di edificazione nella fascia di rispetto di 150 metri dalla
battigia sancito dall'art. 15, legge regionale 12 giugno 1976, n. 78,
ha come destinatari, in base alle successive legge regionale 30
aprile 1991, n. 15 (art. 2) e 31 maggio 1994, n. 17 (art. 6), non
soltanto le amministrazioni comunali in sede di formazione degli
strumenti urbanistici, ma anche i privati che intendano procedere a
lavori di costruzione entro tale fascia» (cfr. Tribunale
amministrativo regionale Sicilia, Palermo, Sez. III, 20 luglio 2009,
n. 1328; Sez. III, 4 gennaio 2008, n. 1; Sez. I, 9 ottobre 2008, n.
1251; Sez. III, 18 aprile 2007, n. 1130; Sez. III, 4 ottobre 2006, n.
2019; Sez. I, 11 novembre 2002, n. 3817; Sez. I, 10 dicembre 2001, n.
1854; C.G.A., Sez. Giurisdizionale, 19 marzo 2002, n. 158; 31 gennaio
1995, n. 10» (cosi', per tutti, C.G.A.R.S., 23 luglio 2018, n. 436 e
9 ottobre 2018, n. 554).
Non e' dato infatti trovare nella giurisprudenza piu' recente,
pure di questo Consiglio, alcuna lettura piu' approfondita della
portata letterale e sistematica dell'art. 15, lettera a), della legge
regionale n. 78 del 1976, atta a dar conto di quella polisemia che,
unicamente, potrebbe costituire il presupposto per la (legittima)
introduzione d'una norma di sua interpretazione autentica, che ne
giustifichi cioe' la portata retroattiva; all'opposto, anzi, nei casi
in cui detta indagine viene compiuta, la giurisprudenza, ancora in
tempi piu' recenti, riconosce che, secondo la formulazione letterale,
«si tratta di una legge che quando fu approvata intendeva orientare
l'attivita' di pianificazione anche dei Comuni «sprovvisti» di piani
regolatori, impartendo una direttiva «ai fini della formazione» degli
strumenti urbanistici (Cgars, 9 ottobre 2018, n. 554).
Nella maggior parte dei casi la giurisprudenza si limita peraltro
a tenere conto del solo dato normativo contenuto nell'art. 2 della
legge regionale n. 15 del 1991, al fine di assicurare sin dall'inizio
la portata precettiva verso i privati, e non solo verso i comuni,
della prescrizione di cui alla lettera a) dell'art. 15 della legge
regionale n. 78 del 1976.
Ancora recentemente questo Consiglio ha infatti ribadito che il
divieto di edificazione entro i 150 metri dalla battigia e' stato
posto per la prima volta con l'art. 15 della legge regionale n.
78/1976 ritenendo che pero' esso, «in base alla legge regionale 30
aprile 1991, n. 15 (art. 2) e 31 maggio 1994 n. 17 (art. 6), aveva
fin dall'inizio come destinatari non solo le amministrazioni comunali
in sede di formazione degli strumenti urbanistici ma anche i privati
che intendevano procedere a lavori di costruzione entro detta fascia
di rispetto» (Cgars, 26 maggio 2021, n. 476; e, fra le molte altre,
22 febbraio 2021, n. 134).
Insomma, la giurisprudenza recente continua a interpretare l'art.
15, lettera a), della legge regionale n. 78 del 1976 nel senso che
esso vieti, rivolgendosi direttamente ai privati, ogni edificazione
nei 150 metri dalla battigia (ma sempre facendo perno su quanto
disposto dall'art. 2 della legge regionale n. 15 del 1991, e non
sulla formulazione della norma del 1976).
E, se non v'e' dubbio alcuno che tale divieto sussista, continua
pero' a esser obliterata la spiegazione (sia in chiave di mera
esegesi, sia in chiave di legittimita' costituzionale) del come e
perche' tale divieto possa applicarsi retroattivamente rispetto al
1991.
14. Un ulteriore dato testuale e sistematico conferma la lettura
prospettata, circa l'insostenibilita' delle tesi secondo cui l'art.
15, lettera a), della primigenia legge regionale n. 78 del 1976
potesse avere come destinatari non solo i comuni, ma anche i privati.
Si e' gia' visto come l'art. 15 di detta legge regionale n. 78
del 1976 contenga cinque precetti - quelli di cui alle lettere a),
b), c), d), ed e) - a cui corrispondono altrettante limitazioni: sia
in termini di obblighi di arretramento (cfr. lettera a, d, e), sia in
termini di limiti alla densita' territoriale (cfr. lettera b, c).
E si e' anche chiarito che, in termini grammaticali e logici,
ciascuno di tali precetti sia intrinsecamente e necessariamente
integrato dall'incipit dell'unico comma dell'art. 15.
Orbene, la legge n. 15 del 1991, mentre interpreta le clausole di
cui alle lettere a), d) ed e), lascia inalterate quelle contenute
nelle lettere b) («entro la profondita' di mt 500 a partire dalla
battigia l'indice di densita' territoriale massima e' determinati in
0,75 mc/mq») e c) («nella fascia comprensiva tra i 500 e i 1.000 m.
dalla battigia l'indice di densita' edilizia territoriale massima, e'
determinata in 1,50 mc/mq»).
Cio', astrattamente, potrebbe significare o che anche le ultime
due disposizioni fossero originariamente rivolte ai privati; o che
queste due disposizioni fossero efficaci solo per i comuni e che
l'intervento, pretesamente interpretativo, del legislatore del 1991
abbia voluto mantenere tale (piu' limitata) efficacia soggettiva.
Senonche' la prima di tali interpretazioni (ossia l'efficacia
diretta e immediata verso i privati) e' certamente da escludere in
ragione del fatto che nelle aree non regolate dagli strumenti
urbanistici e al di fuori dei centri abitati, l'indice di cubatura
ammessa e' di 0.03 mc./mq. (ai sensi dell'art. 4, ultimo comma, della
legge n. 10 del 1977).
Sicche' gli indici previsti dalle lettere b) e c) dell'art. 15
non possono che considerarsi operanti come limiti alle
amministrazioni comunali nella pianificazione urbanistica:
necessariamente derivandone che i divieti contemplati in questa parte
dell'art. 15 (lettere b e c) sono rivolti ai soli enti locali, senza
possibilita' di loro immediata efficacia verso i privati.
Quale ulteriore corollario di cio', e' dunque evidente che
l'unitaria formulazione dell'art. 15 non consente di ritenere che
alcuni dei divieti stabiliti dall'art. 15 fossero (in origine)
rivolti ai Comuni, e altri (lettere a, d, e) potessero esserlo anche
ai privati.
Sarebbe infatti assurdo postulare che - alla stregua del testo
originario della legge regionale n. 78 del 1976 (ossia quello
anteriore alla c.d. interpretazione autentica forzatamente operatane
dalla legge regionale n. 15 del 1991) - solo per la relativa lettera
a) si potesse giungere a conclusione opposta, in punto di soggetti
destinatari del precetto, rispetto alle altre lettere contenute nello
stesso comma (tutte, lo si ripete, soggette al medesimo incipit).
Sicche' si deve riconoscere come l'intero art. 15 fosse (in
origine) indirizzato solo agli enti locali (come da incipit: «Ai fini
della formazione degli strumenti urbanistici generali») e che solo in
conseguenza dell'intervento del legislatore del 1991 (e, percio',
dopo di allora) una parte di esso abbia acquisito efficacia diretta
nei riguardi dei privati.
L'art. 15 della legge regionale n. 78 del 1976 prescrive, dunque,
ai soli comuni di recepire nei P.R.G. il vincolo di inedificabilita'
assoluta nei 150 metri dalla battigia, dato che «il contenuto
precettivo di una legge deve anzitutto evincersi dal "significato
proprio delle parole secondo la connessione di esse", anche alla luce
dei lavori preparatori, in quanto utili a ricostruire l'"intenzione
del legislatore" (art. 11 Preleggi)» (Corte cost. 5 giugno 2023 n.
110): e si e' gia' visto che, nella specie, i lavori preparatori -
come il tenore letterale della norma; e, anzi, ancor piu' di esso -
dimostrano l'originaria insussistenza di ogni vincolo per i soggetti
privati.
Nell'ambito delle varianti di senso della disposizione
interpretata non puo' dunque rientrare - poiche' ivi mancava ogni
riferimento, sia letterale, sia teleologico, in tale direzione - il
significato che la disposizione interpretativa ha cercato di
attribuirle.
L'art. 2, comma 3, della legge regionale n. 15 del 1991 reca
infatti una scelta del tutto nuova, cioe' quella che il vincolo di
inedificabilita' nei 150 metri dalla battigia sia rivolto anche
direttamente al privato, cio' che non rientrava fra le possibili
varianti di senso del testo originario: mancando cosi' il presupposto
per poter qualificare detto art. 2, comma 3, in termini di norma di
legittima interpretazione autentica dell'art. 15, lettera a), della
legge regionale n. 78 del 1976, che potesse avere, come tale,
efficacia retroattiva legittima (cfr. Corte costituzionale numeri
133/2020, 167/2018, 15/2018 e 525/2000, citt.).
15. L'art. 2, comma 3, in quanto privo dei caratteri di legge di
interpretazione autentica, deve dunque considerarsi alla stregua di
una norma innovativa, che abbia inteso auto-attribuirsi efficacia
retroattiva (ma illegittimamente, come si vedra' infra).
Come gia' detto, infatti, l'art. 2, comma 3, della legge
regionale n. 15 del 1991 dispone che le cit. disposizioni del 1976
introduttive del vincolo «devono intendersi» - retroattivamente, si
e' voluto affermare - come rivolte «direttamente e immediatamente»
anche ai privati.
Invero, pero', tale efficacia diretta verso i privati la norma di
cui alla lettera a) non puo' che averla acquisita dal 1991, giammai
retroattivamente e sin dal 1976; giacche' la norma sopravvenuta nel
1991 ha aggiunto, a quella che pretenderebbe di aver interpretato, un
significato nuovo, incompatibile con quelli che essa aveva in
origine.
Cio' perche' la disposizione interpretanda non era, come gia'
visto, originariamente connotata, in proposito, da alcun tasso di
polisemia; giacche' essa non aveva piu' significati, uno dei quali
potesse essere imposto dalla disposizione interpretativa.
16. La circostanza che una disposizione retroattiva non abbia
natura interpretativa puo' essere sintomo di un uso improprio della
funzione legislativa di interpretazione autentica; il che, se non la
rende per cio' solo incostituzionale, incide pero' sull'ampiezza del
sindacato che codesta Corte deve svolgere sulla norma a causa della
sua retroattivita'.
Cio' in quanto, da un lato, un'interpretazione adeguatrice sembra
possibile e corretta; nonche', dall'altro lato, perche' non v'e'
dubbio che le norme incostituzionali - quale il Collegio ritiene che
sia quella conseguente all'efficacia retroattiva del combinato
disposto delle due pluricitate leggi regionali del 1976 e del 1991,
come postulata dalla giurisprudenza consolidata - sono vigenti solo
apparentemente (o, comunque, solo precariamente), perche' destinate a
essere caducate (retroattivamente, per i numerosi rapporti giuridici
non ancora esauriti) nella competente sede che qui si evoca.
17. Una volta chiarito che l'art. 2, comma 3, della legge
regionale n. 15 del 1991 non esprime alcun significato oggettivamente
incluso tra quelli ricompresi nella (o riconducibili alla) previsione
originariamente recata dall'art. 15 della legge regionale n. 78 del
1976, per totale difetto di ogni polisemia circa i destinatari del
precetto di tale ultima disposizione, resta solo da spiegare -
esclusane la legittimita' di un'interpretazione autentica - che essa
neppure potesse essere fatta oggetto di legittima modificazione
retroattiva.
E' certamente ben noto come, anche fuori dal campo
dell'interpretazione autentica, l'ordinamento costituzionale in
astratto non precluda al legislatore in modo assoluto (se non che
nella materia penale: e, anche li', essenzialmente solo in malam
partem) di legificare retroattivamente: eppero' tali ipotesi sono
assoggettate al c.d. «scrutinio stretto» della loro compatibilita'
costituzionale, il quale non e' limitato cioe' alla verifica della
«mera assenza di scelte normative manifestamente irragionevoli, ma
[postula] ... l'effettiva sussistenza di giustificazioni ragionevoli
dell'intervento legislativo» retroattivo (cosi' Corte costituzionale
13 giugno 2022, n. 145; nonche', e plurimis, 9 maggio 2019, n. 108, e
13 luglio 2017, n. 173).
Orbene, al Collegio pare preclaro che nella concreta e specifica
vicenda giuridica in esame - mediante l'introduzione, nel 1991, di un
nuovo precetto (oggettivamente non riconducibile a un'effettiva
vicenda di legittima interpretazione autentica) che in sostanza ha
istituito retroattivamente un vincolo assoluto sulle zone costiere
della Sicilia (che invece, fino al 1991, certamente non erano
vincolate in tal guisa) - il legislatore regionale abbia travalicato,
e dunque violato, i limiti costituzionali di una legittima
retroazione delle sopravvenute disposizioni legislative.
Invero, il divieto di retroattivita' della legge posto dall'art.
11 delle disposizioni preliminari al codice civile, pur integrando un
fondamentale principio di civilta' giuridica, non ha tuttavia
nell'ordinamento quella tutela privilegiata che l'art. 25 Cost. gli
riserva nella materia penale.
Ne consegue che il legislatore, nel rispetto di tale disposizione
costituzionale, puo' approvare anche disposizioni con efficacia
retroattiva, purche' la retroattivita' trovi adeguata giustificazione
nell'esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo
costituzionale (e plurimis, Corte costituzionale 4 luglio 2013, n.
170).
I valori costituzionali che si impongono, pero', sono quelli di
tutela dell'affidamento dei consociati e di certezza dei loro
rapporti giuridici.
L'interpretazione imposta dal legislatore, assegnando alla
disposizione interpretata un significato in essa non contenuto -
ossia travalicando i limiti dell'effettiva e legittima
interpretazione autentica - esige, in particolare, un piu' stringente
sindacato sull'apprezzamento sia della sua ragionevolezza, sia della
configurabilita' di una lesione dell'affidamento dei destinatari
(Corte Cost. n. 108 del 2019, cit., e 12 aprile 2017, n. 73).
Le leggi retroattive devono infatti trovare «adeguata
giustificazione sul piano della ragionevolezza attraverso un puntuale
bilanciamento tra le ragioni che ne hanno motivato la previsione e i
valori, costituzionalmente tutelati, al contempo potenzialmente lesi
dall'efficacia a ritroso della norma adottata» (Corte Cost. n. 73 del
2017, cit.).
Tra i limiti che la giurisprudenza costituzionale ha individuato
all'ammissibilita' di leggi con effetto retroattivo in questa sede
rileva particolarmente - nell'ambito dei principi e interessi incisi
dall'efficacia retroattiva dell'intervento legislativo regionale in
questione - l'affidamento legittimamente sorto nei soggetti
interessati alla stabile applicazione della disciplina che si
vorrebbe retroattivamente modificare.
Tale legittimo affidamento, che fa perno sul valore della
certezza del diritto, trova copertura costituzionale nell'art. 3
Cost. ed e' ritenuto «principio connaturato allo Stato di diritto»
(Corte Cost. n. 73 del 2017, n. 170 del 2013, citt., 27 giugno 2013,
n. 160, 5 aprile 2012, n. 78, e 11 giugno 2010, n. 209).
Su tali premesse, pare difficilmente superabile lo scrutinio di
ragionevolezza con riguardo a una legge regionale (appunto l'art. 2,
comma 3, della legge regionale n. 15 del 1991) che, non essendo
rettamente qualificabile come interpretativa di quella previgente,
abbia inteso introdurre retroattivamente un vincolo di
inedificabilita' assoluta anteriormente inesistente: tale scrutinio,
infatti, «impone un grado di ragionevolezza complessiva ben piu'
elevato di quello che, di norma, e' affidato alla mancanza di
arbitrarieta'» (Corte Cost. n. 108 del 2019, cit.).
Come si e' gia' detto, sarebbe richiesta non gia' la mera assenza
di scelte normative manifestamente arbitrarie, ma l'effettiva
sussistenza di giustificazioni ragionevoli dell'intervento
legislativo, poiche' la normativa retroattiva incide sulla «certezza
dei rapporti preteriti», nonche' sul legittimo affidamento dei
soggetti interessati (Corte Cost. 23 dicembre 1997, n. 432).
Un tale rigoroso controllo dovrebbe verificare, in primo luogo,
se sussistano solide motivazioni che hanno guidato il legislatore
regionale; e se esse trovino, comunque, «adeguata giustificazione sul
piano della ragionevolezza» (e plurimis, Corte costituzionale n. 73
del 2017, cit., 10 giugno 2016, n. 132, e 2 aprile 2014, n. 69),
anche in considerazione delle circostanze di fatto e di contesto
entro cui l'intervento legislativo e' maturato.
E allora, pur senza pretermettere la doverosa considerazione del
grande rilievo delle esigenze di tutela delle coste siciliane - ma,
come si e' gia' visto (supra, al § 3), neppure era questa la
finalita' dichiaratamente perseguita in origine dal legislatore
siciliano del 1976 - risulta palese che il risultato dell'intervento
legislativo del 1991 sia comunque trasmodato in una regolazione
arbitrariamente retroattiva di situazioni soggettive gia' sorte,
cosi' violando il legittimo affidamento dei destinatari della
disciplina originaria (ossia quella ininterrottamente in essere dal
1976 al 1991) e percio', anche sotto questo profilo, l'art. 3 Cost.
Se e' vero che nessun legittimo affidamento puo' vantare colui
che realizzi un'opera sine titulo, deve ritenersi che tale legittimo
affidamento per contro sorga allorquando venga introdotta una
normativa condonistica: dovendo il soggetto che presenti una domanda
di condono, e la relativa controparte contrattuale, essere in grado
di comprendere se l'istanza sia suscettibile o meno di accoglimento,
con un giudizio di prognosi postuma, sulla base della normativa
vigente al momento dell'entrata in vigore di tale normativa
condonistica, o al piu' di quella vigente al momento della
presentazione della domanda.
Ancor piu' opinabile, poi, e' la compatibilita' costituzionale di
una norma retroattiva (e preclusiva della condonabilita') che sia
introdotta - com'e' accaduto nella specie - addirittura dopo lo
spirare del termine di legge per la formazione del silenzio- assenso
sulle istanze di condono gia' presentate (ex art. 35, XVIII comma,
legge n. 47 del 1985).
Percio' il Collegio ritiene che la disciplina retroattiva de qua
abbia inciso in modo costituzionalmente illegittimo sull'affidamento
dei destinatari della regolazione originaria, anche considerando gli
elementi ai quali la giurisprudenza costituzionale attribuisce
rilievo al fine appunto di scrutinarne la legittimita', ossia: il
tempo trascorso dal momento della definizione dell'assetto
regolatorio originario a quello in cui tale assetto viene mutato con
efficacia retroattiva (Corte Cost. 26 aprile 2018, n. 89, 1° dicembre
2017, n. 250, n. 108 del 2016, cit., 5 novembre 2015, n. 216, e 31
marzo 2015, n. 56), cio' che chiama in causa il grado di
consolidamento della situazione soggettiva originariamente
riconosciuta e poi travolta dall'intervento retroattivo; la
prevedibilita' della modifica retroattiva stessa (Corte Cost. 24
gennaio 2017, n. 16, e n. 160 del 2013, cit.); la proporzionalita'
dell'intervento legislativo che eventualmente lo comprima (in
particolare, Corte costituzionale 20 maggio 2016, n. 108).
Nel caso di specie va debitamente considerato che la norma
interpretata e' del 1976 e la norma di interpretazione autentica e'
invece del 1991.
L'imprevedibilita' del contenuto della disposizione di pretesa
interpretazione sconta il (gia' rimarcato) preclaro tenore letterale
(di segno palesemente opposto) della disposizione interpretanda.
Inoltre, la proporzionalita' della retroazione insita
nell'intervento legislativo del 1991 necessita di essere misurata
anche rispetto alle facolta' edificatorie dei privati, ivi incluse
quelle rinvenienti dalla conseguibilita', nella specie (e fino al
1991), del titolo edilizio postumo, ex art. 13 legge n. 47 del 1985.
Nella specie, la retroattivita' della disposizione censurata,
conseguente alla dichiarata (ma solo apparente) sua natura di norma
di interpretazione autentica, svela piuttosto l'intrinseco difetto di
ragionevolezza di essa, nella misura in cui stabilisce che un
precetto, evidentemente destinato in origine solo ai comuni, sia poi
rivolto ex tunc anche ai privati, rimasti del tutto ignari, fino alla
legge di pretesa interpretazione autentica, dell'obbligo di osservare
la prescrizione vincolistica anche nei comuni rimasti inerti. Cio'
che e' tanto piu' rilevante se si considera come gli effetti
dell'inadempimento di detto obbligo assumano caratteri di gravita'
sulle sorti dell'attivita' edificatoria e, ancor piu', sulla
successiva commerciabilita' dei cespiti (a condono pendente e, ancor
piu', a silenzio-assenso gia' formatosi).
Nel caso di specie, in altre parole, emerge non gia' la ricerca
di una variante di senso compatibile con il tenore letterale del
testo interpretato, bensi' la volonta' legislativa di elidere
retroattivamente, e imprevedibilmente, l'area dell'attivita' edilizia
sulle coste siciliane (in origine sostanzialmente legittima, giacche'
solo formalmente illegittima).
Il succedersi di frammentarie e contraddittorie modifiche
legislative di testi normativi, nella specie a distanza di molti
anni, rende «la legislazione caotica e di difficile intellegibilita'
per i cittadini e per ogni operatore giuridico (in termini analoghi,
gia' la sentenza n. 76 del 2023), con possibili ricadute sulla
ragionevolezza stessa delle disposizioni, se "foriere di
intollerabile incertezza nella loro applicazione concreta"» (Corte
cost. 5 giugno 2023, n. 110).
«Il che e' ancor piu' allarmante in materie - quali quella
dell'edilizia e dell'urbanistica - che non solo hanno un chiaro
rilievo sul piano economico, ma hanno altresi' ricadute su altri
interessi costituzionali di primario rilievo, quali l'ambiente e il
paesaggio» (Corte cost. 18 luglio 2023, n. 147).
Vi sono infatti requisiti minimi di intelligibilita' e
prevedibilita' del precetto che rappresentano presupposti basilari di
razionalita' dell'azione legislativa. Nel caso di specie, la
previsione di cui all'art. 2, comma 3, della legge regionale n. 15
del 1991 introduce nella formulazione letterale della disposizione
interpretanda un elemento di (imprevedibile) novita' circa i soggetti
destinatari del vincolo di inedificabilita', rispetto all'opposto
contesto normativo in cui la disposizione era stata originariamente
introdotta, che rende incerta la condotta dei privati: con
conseguente pregiudizio della sicurezza giuridica del cittadino, di
ogni affidamento del commercio giuridico (si ricordi che il cespite
e' certamente alienabile in pendenza di una domanda di condono: la
quale, peraltro, dal 1985 al 1991 - ossia ove fosse stata scrutinata
nei termini di legge - avrebbe ben dovuto essere accolta e, anzi, nel
1991, essa risultava gia' normativamente accolta per silentium) e,
dunque, in violazione di quei canoni di coerenza delle norme che sono
anche estrinsecazione del principio di uguaglianza di cui all'art. 3
della Costituzione (Corte cost. 5 giugno 2023, n. 110).
Il susseguirsi delle disposizioni normative richiamate, con il
connotato di (oggettiva) novita' introdotto con la disposizione del
1991, pone infatti il suo destinatario «nell'impossibilita' di
rendersi conto del comportamento doveroso cui attenersi per evitare
di soggiacere alle conseguenze della sua inosservanza» (Corte cost. 5
giugno 2023, n. 110).
L'esigenza di rispetto di standard minimi di intelligibilita' del
significato delle proposizioni normative, e conseguentemente di
ragionevole prevedibilita' della loro applicazione, va certo
assicurata - non solo e con particolare rigore nella materia penale,
dove e' in gioco la liberta' personale del consociato, nonche' piu'
in generale allorche' la legge conferisca all'autorita' pubblica il
potere di limitare i suoi diritti fondamentali, come nella materia
delle misure di prevenzione - ma anche rispetto alle norme che
regolano la generalita' dei rapporti tra la pubblica amministrazione
e i cittadini, ovvero i rapporti reciproci tra questi ultimi:
«[a]nche in questi ambiti, ciascun consociato ha un'ovvia aspettativa
a che la legge definisca ex ante, e in maniera ragionevolmente
affidabile, i limiti entro i quali i suoi diritti e interessi
legittimi potranno trovare tutela, si' da poter compiere su quelle
basi le proprie libere scelte d'azione» (Corte cost. 5 giugno 2023,
n. 110).
Non e' quindi manifestamente infondato, oltre a essere rilevante,
il dubbio di costituzionalita' dell'art. 2, comma 3, della legge
regionale n. 15 del 1991, nella parte in cui retroattivamente reca il
contenuto innovativo di cui si e' detto, per contrasto con il
principio costituzionale fondamentale di ragionevolezza, di cui
all'art. 3, comma 1, Cost.
18. Gia' Corte costituzionale 22 novembre 2000, n. 525, aveva
chiarito che i limiti alla retroattivita' delle norme vanno
individuati non solo nella materia penale, ma anche nei principi
generali di ragionevolezza e di uguaglianza, in quello di tutela
dell'affidamento posto nella certezza (e, si vorrebbe aggiungere,
nella stabilita' e coerenza) dell'ordinamento giuridico: la stessa
Corte, con specifico riferimento al principio di affidamento del
cittadino nella sicurezza giuridica, ha riconosciuto che tale
principio, in quanto «elemento essenziale dello Stato di diritto, non
puo' essere leso da norme con effetti retroattivi che incidano
irragionevolmente su situazioni regolate da leggi precedenti».
Infine, Corte costituzionale 10 marzo 2022, n. 61, ha evidenziato
(con riferimento a una legge regionale siciliana in materia
elettorale) come la vincolante attribuzione alla norma (pretesamente)
interpretata di un significato non desumibile dal suo testo
originario, che dia adito alla mera produzione di effetti regolatori
retroattivi e alla conseguente violazione dell'affidamento dei
cittadini, determini l'illegittimita' costituzionale, per
irragionevolezza, della norma asseritamente interpretativa.
19. Sta di fatto, per quanto qui rileva, che dal 1991 non e' mai
stata sollevata - ma, si ritiene, in difetto di un adeguato
approfondimento esplicito della tematica - l'odierna questione di
legittimita' costituzionale: come se, all'opposto di quanto opina
questo Collegio, non fosse dato dubitare della conformita' a
Costituzione di un vincolo nato nel 1991, ma riferito agli immobili
realizzati dopo il 1976; ne' di un'esclusione dal condono tombale del
1985 di quanto era stato costruito in aree (allora) non vincolate;
ne' di scrivere nel 1991 come debba leggersi la legge del 1976
(letteralmente preclara, ma in senso opposto).
Seppure finora mai sottoposta al giudizio del giudice delle leggi
- subliminalmente, forse, per l'idea che avrebbe dovuto altrimenti
essere accolta - la questione a volte fu elusa mediante soluzioni
particolari, che pero' esprimono l'insoddisfazione per la draconiana
tesi dominante: dall'onere della prova dell'epoca di ultimazione, a
quello della distanza dalla battigia; dalla rilevanza
dell'urbanizzazione di fatto dell'area (con cui si e' cercato di
supplire ai difetti di corrette perimetrazioni delle zone A e B di
PRG, normativamente estranee al vincolo come si e' gia' chiarito), al
difetto di lesione paesaggistica promanante dagli edifici (ubicati
entro i 150 metri, ma) realizzati in seconda, terza o ulteriore fila
dal mare rispetto ad altri gia' condonati.
Viceversa, ritiene il Collegio che la via maestra da seguire sia
quella di rimettere alla Corte costituzionale di far chiarezza sulla
legittimita' di un vincolo di inedificabilita' assoluta
retroattivamente imposto: perche', scevra da ogni espediente
argomentativo, questa si ritiene essere la sostanza giuridica e
sociologica della tematica in discorso.
20. In conclusione, il giudizio d'appello va sospeso, ai sensi e
per gli effetti di cui agli articoli 79 e 80 c.p.a. e 295 c.p.c., per
rimettere alla Corte costituzionale, previa declaratoria di loro
rilevanza e non manifesta infondatezza, le questioni di legittimita'
costituzionale illustrate supra e di cui in dispositivo.
21. E' riservata al definitivo ogni ulteriore statuizione in
rito, in merito e sulle spese.
P. Q. M.
Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione
Siciliana, in sede giurisdizionale:
1) dichiara rilevante e non manifestamente infondata la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 3, della
legge regionale siciliana 30 aprile 1991, n. 15 - quanto alle parole
«devono intendersi» (anziche' «sono»); e, comunque, nella parte in
cui detto comma 3 estende anche al periodo anteriore alla sua entrata
in vigore l'efficacia dell'interpretazione autentica da esso dettata,
ossia impone la retroazione del precetto di diretta e immediata
efficacia anche nei confronti dei privati delle «disposizioni di cui
all'art. 15, prima comma, lettera a, ... della legge regionale 12
giugno 1976, n. 78» sin dalla data di entrata in vigore di detta
legge regionale n. 78 del 1976, anziche' dalla data di entrata in
vigore della stessa legge n. 15 del 1991 - per travalicamento dei
limiti connaturati alla retroattivita' delle leggi e per violazione
dei principi di proporzionalita' e ragionevolezza di cui all'art. 3,
comma 1, e dell'art. 97, comma 2, della Costituzione, oltre che per
gli ulteriori profili indicati in parte motiva (e ivi,
specificamente, al § 12);
2) in via subordinata, dichiara rilevante e non
manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 32-33, comma 11 (gia' 10), ultima proposizione, introdotto
in Sicilia dall'art. 23 della legge regionale siciliana 10 agosto
1985, n. 37, per violazione dei principi di proporzionalita' e
ragionevolezza di cui all'art. 3, comma 1, della Costituzione, nei
sensi di cui in motivazione e per gli ulteriori profili ivi indicati;
3) sospende il presente giudizio, ai sensi dell'art. 79,
comma 1, c.p.a.;
4) riserva all'esito della questione di legittimita'
costituzionale, sollevata in via incidentale con la presente
ordinanza, ogni statuizione in rito, in merito e sulle spese
(ulteriore a quelle assunte con la sentenza non definitiva di cui in
epigrafe);
5) ordina alla segreteria l'immediata trasmissione degli atti
alla Corte costituzionale;
6) ordina alla segreteria di notificare la presente ordinanza
a tutte le parti in causa, di comunicarla al Presidente della Regione
Siciliana, al Presidente dell'Assemblea regionale siciliana, al
Presidente del Consiglio dei ministri, al Presidente del Senato della
Repubblica e al Presidente della Camera dei deputati.
Cosi' deciso in Palermo nella Camera di consiglio del giorno 20
giugno 2023, con l'intervento dei magistrati:
Ermanno de Francisco, Presidente, estensore;
Sara Raffaella Molinaro, consigliere;
Giuseppe Chine', consigliere;
Giovanni Ardizzone, consigliere;
Antonino Caleca, consigliere.
Il Presidente, estensore: de Francisco