Reg. ord. n. 117 del 2024 pubbl. su G.U. del 26/06/2024 n. 26

Ordinanza del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana  del 14/05/2024

Tra: Giuseppa Garrone C/ Comune di Ragusa



Oggetto:

Edilizia e urbanistica – Titoli edilizi – Norme della Regione Siciliana – Previsione la quale stabilisce che le disposizioni di cui all’art. 15, primo comma, lettera a), della legge regionale n. 78 del 1976, che impongono, tra l’altro, l’arretramento delle costruzioni di 150 metri dalla battigia, devono intendersi, “anziché sono”, direttamente ed immediatamente efficaci anche nei confronti dei privati – Previsione che dispone l’immediata efficacia di tali disposizioni, anziché dalla data di entrata in vigore della legge regionale n. 15 del 1991 – Denunciata introduzione di un vincolo di inedificabilità assoluta, retroattivamente imposto nel 1991 e con effetto dal 1976, incompatibile con il tenore delle parole utilizzate dal legislatore regionale del 1976 e con la sua intenzione – Violazione del principio di proporzionalità e ragionevolezza, per travalicamento dei limiti connaturati alla retroattività delle leggi – Lesione del contenuto minimo essenziale del diritto di proprietà privata – Previsione retroattiva di una causa ostativa al rilascio di un condono edilizio che, escludendo a posteriori l’operatività di una causa di estinzione del reato di abusivismo edilizio già verificatasi, riestende la punibilità a fatti già esclusi dalla legge statale – Violazione del principio della riserva assoluta della legge statale in materia penale – Riespansione della sussistenza di un reato estinto, in virtù di un intervento normativo successivo alla commissione del fatto – Lesione del principio di irretroattività della norma penale incriminatrice – Violazione dei principi di certezza dei rapporti giuridici, di imparzialità e buon andamento, di uguaglianza e di affidamento.


- Legge della Regione Siciliana 30 aprile 1991, n. 15, art. 2, comma 3.


- Costituzione, artt. 3, 25, secondo comma, 42 e 97, secondo comma.


In via subordinata: Edilizia e urbanistica – Titoli edilizi – Norme della Regione Siciliana – Condizioni di applicabilità della sanatoria – Previsione che restano escluse dalla concessione o autorizzazione in sanatoria le costruzioni eseguite in violazione dell'art. 15, lettera a), della legge regionale n. 78 del 1976, ad eccezione di quelle iniziate prima dell'entrata in vigore della medesima legge e le cui strutture essenziali siano state portate a compimento entro il 31 dicembre 1976 – Denunciata previsione che esclude dalla condonabilità eccezionale beni che vi erano stati fatti inizialmente rientrare e comunque passibili di sanatoria ordinaria – Violazione degli obblighi internazionali, che garantiscono la protezione della proprietà e il diritto di ogni persona fisica o giuridica al rispetto dei suoi beni - Contrasto con il principio generale dell’ordinamento nazionale che non considera preclusivi della condonabilità eccezionale i vincoli apposti in data successiva all’ultimazione della costruzione abusiva – Compressione irragionevolmente differenziata del diritto di proprietà privata – Travalicamento dei limiti di un ragionevole affidamento dei consociati sulla razionalità e proporzionalità della legislazione – Violazione del legittimo affidamento al rispetto e alla tutela della proprietà privata immobiliare e della ricchezza da essa profusa – Contrasto con i principi di certezza giuridica e di uguaglianza – Lesione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza. 


- [Legge 28 febbraio, n. 47] art. 32-33, comma 11 (già 10), ultima proposizione, introdotto in Sicilia dall’art. 23 della legge regionale 10 agosto 1985, n. 37.


- Costituzione, artt. 3, 10, 42, 44, 47 e 117, primo comma; protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, art. 1; decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, artt. 13 e 36.



Norme impugnate:

legge della Regione siciliana  del 30/04/1991  Num. 15  Art.  Co.  in via subordinata

legge  del 28/02/1985  Num. 47  Art. 32   Co. 11 

legge  del 28/02/1985  Num. 47  Art. 33   Co. 11   introdotto dalla

legge della Regione siciliana  del 10/08/1985  Num. 37  Art. 23 



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art.

Costituzione  Art. 25   Co.

Costituzione  Art. 42 

Costituzione  Art. 97   Co.  in via subordinata

Costituzione  Art.

Costituzione  Art. 10 

Costituzione  Art. 42 

Costituzione  Art. 44 

Costituzione  Art. 47 

Costituzione  Art. 117   Co.

Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia diritti dell'uomo e libertà fondamentali  Art.

decreto del Presidente della Repubblica  del 06/06/2001  Num. 380  Art. 13 

decreto del Presidente della Repubblica  del 06/06/2001  Num. 380  Art. 36 



Udienza Pubblica del 25 marzo 2025 rel. D'ALBERTI


Testo dell'ordinanza

N. 117 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 maggio 2024

Ordinanza  del  14   maggio   2024   del   Consiglio   di   giustizia
amministrativa per la  Regione  Siciliana  sul  ricorso  proposto  da
Giuseppa Garrone contro Comune di Ragusa. 
 
Edilizia e  urbanistica  -  Titoli  edilizi  -  Norme  della  Regione
  Siciliana - Previsione la quale stabilisce che le  disposizioni  di
  cui all'art. 15, primo comma, lettera a), della legge regionale  n.
  78 del 1976,  che  impongono,  tra  l'altro,  l'arretramento  delle
  costruzioni  di  150  metri  dalla  battigia,  devono   intendersi,
  "anziche' sono", direttamente ed immediatamente efficaci anche  nei
  confronti  dei  privati  -  Previsione  che   dispone   l'immediata
  efficacia di tali disposizioni, anziche' dalla data di  entrata  in
  vigore della legge regionale n. 15 del 1991. 
- Legge della Regione Siciliana 30 aprile 1991, n. 15 (Nuove norme in
  materia di controllo dell'attivita' urbanistico-edilizia,  riordino
  urbanistico e sanatoria delle opere abusive), art. 2, comma 3. 
In via subordinata: Edilizia e urbanistica - Titoli edilizi  -  Norme
  della  Regione  Siciliana  -  Condizioni  di  applicabilita'  della
  sanatoria - Previsione che  restano  escluse  dalla  concessione  o
  autorizzazione in sanatoria le costruzioni eseguite  in  violazione
  dell'art. 15, lettera a), della legge regionale n. 78 del 1976,  ad
  eccezione di quelle iniziate prima  dell'entrata  in  vigore  della
  medesima legge e le cui strutture essenziali siano state portate  a
  compimento entro il 31 dicembre 1976. 
- [Legge 28 febbraio 1985, n.  47  (Norme  in  materia  di  controllo
  dell'attivita' urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria
  delle opere edilizie)], art. 32-33,  comma  11  (gia'  10),  ultima
  proposizione,  introdotto  in  Sicilia  dall'art.  23  della  legge
  regionale 10  agosto  1985,  n.  37  (Nuove  norme  in  materia  di
  controllo dell'attivita' urbanistico-edilizia, riordino urbanistico
  e sanatoria delle opere abusive). 


(GU n. 26 del 26-06-2024)

 
  Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA 
                       Sezione giurisdizionale 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 450 del 2021, proposto da: 
      Giuseppa Garrone, rappresentata e difesa dall'avvocato  Giorgio
Assenza, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; 
    contro Comune di Ragusa, in persona del legale rappresentante pro
tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Sergio Boncoraglio, con
domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; 
    per  la  riforma  della  sentenza  del  Tribunale  amministrativo
regionale per  la  Sicilia,  Sezione  staccata  di  Catania  (Sezione
Terza), n. 02465/2020, resa tra le parti, reiettiva del  ricorso  per
l'annullamento  del  provvedimento  di  diniego   della   concessione
edilizia in sanatoria richiesta dalla parte qui appellante. 
    Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; 
    Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Ragusa; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 giugno 2023 il Cons.
Sara Raffaella Molinaro e  uditi  per  le  parti  gli  avvocati  come
specificato nel verbale; 
    Vista la sentenza non definitiva di questo Consiglio  25  gennaio
2024, n. 65, che, non definitivamente  pronunciando  sull'appello  di
cui in epigrafe, ha respinto tutti gli altri motivi di  gravame  (ivi
compiutamente scrutinati) riservando alla presente separata ordinanza
la proposizione dell'incidente di costituzionalita' di cui infra. 
 
                                Fatto 
 
    1. La controversia  riguarda  un  immobile  sito  nel  Comune  di
Ragusa, censito al foglio di mappa A/226, particella 791. 
    2. La proprietaria dell'immobile, signora  Giuseppa  Garrone,  ha
presentato istanza di condono, in data 30 settembre  1986,  ai  sensi
della legge n. 47 del 1985. 
    3. Il Comune appellato, con  provvedimento  14  luglio  2015,  n.
58927/XI, ha respinto l'istanza. 
    4. Con ricorso al Tar Sicilia, l'odierna appellante ha  impugnato
il predetto diniego. 
    5. Il Tar, con sentenza 8 ottobre 2020, n. 2465, ha  respinto  il
ricorso. 
    6. La parte gia' ricorrente ha quindi appellato tale sentenza con
l'odierno gravame. 
    7. All'udienza del 20 giugno 2023 la causa e' stata trattenuta in
decisione. 
    8. In esito a tale udienza, questo Consiglio, con la sentenza non
definitiva di cui in epigrafe, ha  respinto  l'appello  per  tutti  i
motivi e profili ivi  scrutinati;  riservando,  nondimeno,  all'esito
delle questioni di legittimita' costituzionale che si  sollevano  con
la presente ordinanza la  trattazione  delle  censure  alla  sentenza
gravata nella parte in cui, respingendo nel caso di specie i  profili
di asserita violazione dell'art. 15, comma 1, lettera a), della legge
regionale  n.  78  del  1976,  essa  ha  ritenuto  assolutamente  non
sanabili, in base al c.d. primo condono edilizio del 1985,  anche  le
opere realizzate a distanza inferiore a 150 metri dalla  battigia  in
un'epoca che - cosi' com'e' stato accertato, dalla  ridetta  sentenza
parziale, per l'opera di cui qui trattasi - pur se successiva al 1976
e' stata tuttavia anteriore al 1° ottobre 1983. 
    10.  Sicche',  onde  poter  svolgere  l'ulteriore  e   definitivo
scrutinio del presente appello, certamente rilevano le  questioni  di
legittimita' costituzionale che qui si sollevano. 
 
                               Diritto 
 
    1. Il Collegio, ai fini dell'ulteriore e definitivo scrutinio del
presente appello per i suoi residui profili di cui si e' detto  nella
narrativa in fatto che precede, sottopone alla Corte costituzionale -
ritenendola rilevante e non manifestamente infondata -  la  questione
di legittimita' costituzionale: 
      a) dell'art. 2, comma 3, della  legge  regionale  siciliana  30
aprile 1991, n. 15, quanto alle relative parole  «devono  intendersi»
(anziche' «sono»); e, comunque, di detto comma 3 nella parte  in  cui
esso pone la retroazione  del  precetto  -  di  diretta  e  immediata
efficacia anche nei confronti dei privati delle «disposizioni di  cui
all'art. 15, prima comma, lettera a, ...  della  legge  regionale  12
giugno 1976, n. 78» - sin dalla data di entrata in  vigore  di  detta
legge regionale n. 78 del 1976, anziche' dalla  data  di  entrata  in
vigore della stessa legge n. 15 del 1991, perle  ragioni  di  seguito
esposte; 
      b) nonche' - in via subordinata e condizionatamente all'esegesi
che se ne dia - dell'art. 23 (ossia dell'art. 32-33 della legge n. 47
del 1985 per quale recepita in Sicilia), comma 11 (gia'  10),  ultima
proposizione, della legge regionale siciliana 10 agosto 1985, n. 37 -
laddove tale  norma  afferma  che  «restano  altresi'  escluse  dalla
concessione o autorizzazione in sanatoria le costruzioni eseguite  in
violazione dell'art. 15, lettera a) della legge regionale  12  giugno
1976, n. 78, ad eccezione di quelle iniziate  prima  dell'entrata  in
vigore della medesima legge e le cui strutture essenziali siano state
portate a compimento entro il 31 dicembre 1976» - per violazione  dei
principi di proporzionalita' e  ragionevolezza  di  cui  all'art.  3,
comma 1, della Costituzione (c.d. eccesso di potere legislativo). 
    In   sostanza,   il   Collegio   dubita   della    compatibilita'
costituzionale   dell'imposizione,   nel   1991,   del   vincolo   di
inedificabilita' assoluta nei 150 metri dalla  battigia  direttamente
efficace anche per i privati con effetto retroattivo  sin  dal  1976;
anziche' con effetto  solo  per  l'avvenire,  ossia  dall'entrata  in
vigore della cit. legge n. 15 del 1991. 
    L'accoglimento della questione sollevata  avrebbe,  praticamente,
l'effetto - ma solo limitatamente a quei comuni che non avevano  dato
attuazione al precetto di cui al cit. art. 15, primo  comma,  lettera
a), della legge regionale n. 78 del 1976 - di  includere  nel  novero
delle opere condonabili ai sensi del c.d. primo condono,  quello  del
1985, non solo «quelle iniziate prima dell'entrata  in  vigore  della
medesima legge [n. 78 del 1976] e le cui strutture  essenziali  siano
state portate a compimento entro  il  31  dicembre  1976»,  ma  anche
quelle realizzate, parimenti nei 150 metri dalla battigia, fino al 1°
ottobre 1983. 
    Ne resterebbero  invece  comunque  escluse  -  oltre  alle  opere
realizzate dopo il 1976 nei comuni che avevano  attuato  il  precetto
loro rivolto dal cit. art. 15, lettera a) - tutte le  opere  ultimate
successivamente al 1° ottobre 1983, perche' ex  se  non  condonabili,
ratione temporis, in base alla legge  n.  47  del  1985;  cosi'  come
neppure in base al c.d. secondo condono, quello  del  1994,  giacche'
esso e' sopravvenuto successivamente all'entrata in vigore della cit.
legge regionale n. 15 del 1991, che - pur se solo a  decorrere  dalla
data della sua entrata in vigore,  ma  non  gia'  retroattivamente  -
senza dubbio ha legittimamente reso  «direttamente  e  immediatamente
efficaci anche nei confronti dei privati»  «le  disposizioni  di  cui
all'art. 15, primo comma, lettera a, ...  della  legge  regionale  12
giugno 1976, n. 78», cui il relativo art. 2, comma 3, si riferisce. 
    In via subordinata - ossia solo per  l'inverosimile  eventualita'
che, all'opposto  di  quanto  questo  Collegio  opina,  si  ritenesse
possibile affermare che l'esclusione dal condono del 1985 non  derivi
dall'interpretazione autentica recata dal cit. art. 2, comma 3, legge
regionale n. 15 del 1991, bensi' dallo  stesso  art.  23,  comma  XI,
della legge regionale n. 37 del 1985 - questo Consiglio reputa dubbia
la legittimita' costituzionale di detta norma legislativa  regionale,
nella parte in cui si potesse ritenere che essa abbia  escluso  dalla
condonabilita' «speciale» di cui alla legge n. 47 del 1985 un'ipotesi
che (in difetto di preventivo inserimento di detto vincolo nei  piani
regolatori generali dei singoli comuni,  destinatari  dell'originario
precetto della legge regionale  n.  78  del  1976)  sarebbe  comunque
passibile di ordinario accertamento di conformita' ai sensi dell'art.
36 del T.U. n. 380 del 2001 (ex art. 13 della legge statale n. 47 del
1985). 
    2.  Piu'  dettagliatamente,  tali  sollevate  questioni   possono
illustrarsi come segue. 
    - L'art. 32-33 della legge regionale siciliana 10 agosto 1985, n.
37 - nel testo unificato con cui, ai sensi del relativo art. 23, sono
state recepite in Sicilia le pertinenti norme della legge statale  28
febbraio 1985, n. 47 (ossia i suoi articoli 32 e 33, ivi separati)  -
con il suo XI comma stabilisce, per quanto viene qui in rilievo,  che
«restano altresi'  escluse  dalla  concessione  o  autorizzazione  in
sanatoria le costruzioni eseguite in violazione dell'art. 15, lettera
a) della legge regionale 12 giugno  1976,  n.  78,  ad  eccezione  di
quelle iniziate prima dell'entrata in  vigore  della  medesima  legge
[ossia prima del 16 giugno 1976] e le cui strutture essenziali  siano
state portate a compimento entro il 31 dicembre 1976». 
    Alla data del recepimento in Sicilia del primo  condono  edilizio
(ossia al momento dell'entrata in vigore della cit.  legge  regionale
10 agosto 1985, n. 37), l'art.  15,  lettera  a),  della  cit.  legge
regionale 12 giugno 1976, n.  15,  stabiliva  che  «[a]i  fini  della
formazione degli  strumenti  urbanistici  generali  comunali  debbono
osservarsi, in tutte le zone omogenee ad eccezione delle zone A e  B,
in aggiunta alle disposizioni vigenti, le seguenti  prescrizioni:  a)
le costruzioni debbono arretrarsi di metri 150 dalla battigia;  entro
detta fascia sono consentite opere ed impianti destinati alla diretta
fruizione  del  mare,  nonche'  la  ristrutturazione  degli   edifici
esistenti senza alterazione dei volumi gia' realizzati». 
    Si  osserva,  in  proposito,  che  le  costruzioni  che  «debbono
arretrarsi» in forza di tale disposizione sono, necessariamente, solo
quelle future, e non anche quelle gia'  esistenti,  per  una  duplice
ineludibile considerazione: 
      a) sul piano fattuale, perche' le costruzioni  sono  «immobili»
per definizione normativa (art. 812 del codice civile) e, come  tali,
non si muovono, ne', dunque, potrebbero «arretrarsi»; 
      b) sul piano giuridico, perche' e' lo stesso  art.  15  cit.  a
stabilire  che  e'  consentita  «la  ristrutturazione  degli  edifici
esistenti», evidentemente in situ: con  l'ovvio  corollario  che  gli
edifici esistenti, ristrutturati o no, sono certamente eccettuati  da
ogni obbligo di arretramento. 
    Per quanto siffatta considerazione appaia (ed effettivamente sia)
lapalissiana, essa tuttavia serve a questo Consiglio  per  trarre  un
ulteriore corollario esegetico circa il combinato disposto  dei  cit.
articoli 32-33 legge regionale n. 37/1985 e  15  legge  regionale  n.
78/1976: ossia che il richiamo di  quest'ultima  legge  regionale  da
parte della prima non possa - sul piano logico e  sistematico  -  che
riferirsi alla norma espressa  dalla  (necessaria)  integrazione  tra
l'incipit di detto art. 15 e  la  relativa  lettera  a);  escludendo,
invece, le altre norme espresse  dall'integrazione  tra  il  medesimo
incipit e le ulteriori lettere b), c), d) ed e). 
    Ossia, siccome le costruzioni che «debbono  arretrarsi  di  metri
150 dalla  battigia»  sono  solo  quelle  future,  cioe'  quelle  che
verranno realizzate dopo l'imposizione negli  «strumenti  urbanistici
generali comunali» della prescrizione di  non  edificazione  (in  tal
guisa dovendosi necessariamente intendere l'obbligo di «arretramento»
previsto dal cit. art. 15) nei 150 metri dalla battigia, ecco che  il
rinvio operato dal comma XI del cit. art. 32-33 della legge regionale
n. 37/1985 non puo' che avere a oggetto l'intera norma espressa dalla
(ivi citata) lettera a) dell'art. 15 in discorso:  norma  che  nessun
senso avrebbe se avulsa dal contenuto dell'incipit dello stesso  art.
15. 
    Ulteriore  conferma  di  tale  esegesi  si  rinviene  sul   piano
grammaticale: giacche' il primo comma dell'art.  15  si  compone,  in
effetti, non gia' di sei proposizioni (una  per  ciascuna  delle  sue
cinque  lettere  piu'  una  costituita   dall'incipit),   bensi',   e
ineludibilmente,   soltanto   da   cinque   proposizioni   di   senso
grammaticalmente  compiuto,  ciascuna  delle  quali   e'   costituita
dall'integrazione dello stesso incipit con  ognuna  delle  successive
lettere da a) a  e):  cosi'  come  del  resto  accade,  nella  lingua
italiana, per  tutti  gli  elenchi  di  concetti  introdotti  da  una
locuzione comune e separati tra loro da virgole; ovvero (com'e' nella
specie) introdotti da una locuzione comune che (in ragione della piu'
complessa articolazione delle varie ipotesi) e' separata con il segno
dei due punti (":") dal successivo elenco concettuale,  ciascuno  dei
cui elementi e' separato da quello successivo con il segno del  punto
e virgola (";") anziche' con la virgola (fino all'ultimo di essi, che
conclude con il "." l'unico periodo complesso). 
    Anche sul piano storico, analogamente, non si era  mai  dubitato,
prima del 1991, che il vincolo  di  inedificabilita'  nei  150  metri
dalla  battigia  sussistesse  solo  mediatamente  al   suo   doveroso
inserimento negli «strumenti urbanistici generali comunali». 
    Il che, peraltro, aveva una sua specifica e  sensatissima  ragion
d'essere - e, astrattamente, avrebbe continuato ad averla anche  dopo
il 1991, se il legislatore di quell'anno  non  l'avesse  pretermessa:
ma, si opina, potendolo legittimamente fare solo per il futuro e  non
anche de praeterito  -  che  era  insita  nel  fatto  che  i  comuni,
nell'inserire nei loro strumenti urbanistici il vincolo in  discorso,
evidentemente dovrebbero previamente verificare  (l'esistenza  e)  la
corretta perimetrazione, negli stessi strumenti, «delle zone A  e  B»
(ossia di quelle aree in cui, a  causa  dell'effettiva  articolazione
del tessuto urbano, il vincolo non avrebbe operato). 
    Attivita' senza la quale -  com'e'  poi  effettivamente  accaduto
allorche' una forzatura interpretativa, per far retroagire il vincolo
a prima della sua introduzione normativa erga omnes (avvenuta appunto
solo nel 1991), ne ha voluto prescindere - si  e'  poi  (inutilmente)
sviluppato tutto il contenzioso volto a sostenere che, in  fatto,  il
singolo edificio, sebbene formalmente non ricompreso nelle zone A e B
(magari solo perche' mal perimetrate), ricada comunque in un'area che
ne abbia tutte le caratteristiche sostanziali. 
    Sotto un altro e opposto profilo, non puo'  neanche  rilevare  la
circostanza sociologica (e percio' non giuridica)  che  tale  sistema
possa  talora  aver  forse  stimolato  una  perfino  piu'   sollecita
edificazione nella fascia di rispetto, prima che i singoli comuni  la
vietassero mediante il doveroso inserimento (ma, come  si  e'  detto,
auspicabilmente  solo  dopo   aver   correttamente   perimetrato,   o
riperimetrato, le proprie  zone  A  e  B)  del  vincolo  costiero  di
inedificabilita' assoluta nel proprio piano regolatore. 
    Sul piano sociologico e' un fenomeno abbastanza  diffuso  che  la
mera prospettazione normativa della  successiva  introduzione  di  un
vincolo possa  dar  luogo  a  effetti  pratici  perversi;  ma  questo
(ipotetico)  risultato  della  tecnica   normativa   utilizzata   dal
legislatore regionale - della quale  peraltro  si  e'  pure  riferita
l'esigenza effettivamente sottostante - di sicuro non puo' costituire
argomento per l'interprete (che legislatore non e',  ne'  deve  voler
essere) per forzare l'esegesi della norma leggendovi cio' che in essa
oggettivamente non c'e' scritto. 
    3. Muovendo da queste premesse sistematiche, si puo' ricapitolare
il contesto normativo in cui si colloca la questione che qui viene in
rilievo come segue: 
      a) nel 1976  e'  stato  introdotto  nell'ordinamento  regionale
siciliano l'obbligo, solo per  i  comuni  (e  si  e'  anche  chiarito
perche'  sia  stato  razionale  imporre  cio'  solo  ai  comuni),  di
introdurre, nei propri strumenti urbanistici generali, un vincolo  di
inedificabilita' assoluta nei 150 metri dalla battigia; vincolo  che,
si badi bene, nel 1976 anticipava -  in  una  piu'  ristretta  fascia
costiera, ma in termini di assolutezza - quello,  invece  derogabile,
che sarebbe stato successivamente previsto, ma  in  una  fascia  piu'
ampia,  dall'art.  1  del  decreto-legge  27  giugno  1985,  n.  312,
convertito in legge,  con  modificazioni,  dall'art.  1  della  legge
statale, c.d. Galasso, 8 agosto 1985, n. 431 (pur se in  realta',  ma
ormai sotto un velo di diffuso oblio, dai  lavori  preparatori  della
legge regionale n. 78 del 1976 risulta che  l'intenzione  storica  di
quel legislatore non avesse di mira  tanto  la  tutela  di  interessi
paesaggistici, quanto la  volonta'  di  riservare  l'uso  delle  zone
costiere  primariamente  alla  realizzazione  o  implementazione  dei
grandi insediamenti industriali, forieri di incrementi occupazionali:
come a Gela, a Termini Imerese, nella rada di Augusta, etc.); 
      b) indubbiamente il legislatore regionale ben avrebbe potuto  -
tuttavia non certamente in modo piu' ragionevole, date le  potenziali
frizioni che, come si e' visto, ne sarebbero scaturite rispetto  alle
situazioni di non corretta o aggiornata perimetrazione delle zone A e
B nei piani regolatori dei singoli comuni - introdurre detto  vincolo
con efficacia  diretta  e  immediata  per  tutti  i  consociati;  ma,
altrettanto indubitabilmente, non lo ha fatto; 
      c) nel 1985 il legislatore regionale, nel recepire  in  Sicilia
il condono edilizio di cui alla legge 28 febbraio  1985,  n.  47,  ha
escluso dalla condonabilita' «le costruzioni eseguite  in  violazione
dell'art. 15, primo comma,  lettera  a),  della  legge  regionale  12
giugno 1976, n. 78» (con l'eccezione di quelle ultimate entro  il  31
dicembre 1976). 
    Se   fin   qui   non   si   intravedono   possibili   alternative
interpretative del quadro normativo, esse invece si possono profilare
allorche' si tratti di stabilire se la prefata «violazione  dell'art.
15,  lettera  a)»,  della  legge  regionale  n.  78  del  1976  debba
intendersi  riferita  (unicamente)  agli  immobili  realizzati  nella
fascia costiera «di metri 150 dalla battigia» solo in quei comuni che
(tra il 16 giugno 1976 e il 17 agosto 1985: salvo poi a  valutarsi  -
ma con risposta,  si  opina,  tendenzialmente  positiva  -  se  abbia
rilievo, o meno, l'eventuale anteriorita' della costruzione  rispetto
all'introduzione  del  precetto  in  discorso  nel  P.R.G.)   abbiano
introdotto tale vincolo di inedificabilita' nel  proprio  territorio;
ovvero  se,  invece,  detta  violazione  -  e  la   conseguente   non
condonabilita' ai sensi della legge regionale n. 37 del 1985 -  possa
riguardare (anche) ogni costruzione realizzata nella  prefata  fascia
costiera, del tutto  a  prescindere  dall'avvenuta  introduzione  del
vincolo nello strumento edilizio  del  Comune  in  cui  la  specifica
costruzione e' stata realizzata (dopo il 31 dicembre 1976). 
    Si e' gia' detto che, ad avviso del Collegio remittente, solo  la
prima opzione interpretativa e'  coerente  con  il  quadro  normativo
vigente alla data  del  recepimento  in  Sicilia  del  primo  condono
edilizio (agosto 1985); e cio' per le ragioni esegetiche che si  sono
gia' esposte supra. 
    Nondimeno, riconoscendosi che  non  puo'  escludersi  un  qualche
minimo margine di opinabilita' rispetto a tale conclusione - di  cui,
tuttavia, deve rivendicarsi la competenza in capo al giudice  a  quo:
vieppiu' allorche' esso sia quello di ultimo grado  della  pertinente
giurisdizione  e  si  tratti  di   una   vicenda   normativamente   e
geograficamente limitata alla sola Regione siciliana, per la quale la
nomofilachia e'  di  esclusiva  competenza  di  questo  Consiglio  di
giustizia amministrativa - ad abundantiam ci  si  fara'  carico,  per
fugare ogni dubbia circa la rilevanza della sottoposta  questione  di
legittimita'  costituzionale,  anche  dell'opposta  (e  pur  se   non
condivisa) ipotesi esegetica. 
    4. Se il quadro normativo fosse rimasto quello sin qui esposto  e
analizzato, si avrebbe che  in  Sicilia  il  primo  condono  edilizio
sarebbe certamente applicabile: 
      I)per l'interprete che  aderisca  alla  prima  delle  suesposte
opzioni interpretative: 
        a) anche agli immobili realizzati, entro il 1° ottobre  1983,
nella fascia costiera dei 150 metri dalla  battigia,  in  tutti  quei
comuni che non abbiano, fino alla predetta data, inserito il  vincolo
di inedificabilita' costiera nel proprio strumento generale; 
        b) non invece agli immobili, ultimati  dopo  il  31  dicembre
1976, nei comuni che, entro il  1°  ottobre  1983  (o,  comunque,  in
qualsiasi data precedente all'entrata in vigore della legge regionale
10 agosto 1985, n. 37,  con  cui  detto  condono  edilizio  e'  stato
recepito in Sicilia), abbiano recepito tale vincolo nel proprio piano
regolatore (o almeno, come si e' accennato, agli immobili  realizzati
dopo  il  recepimento  del  vincolo  nello  strumento  edilizio:   lo
specifico profilo si puo' non approfondire, perche' non rilevante  ai
fini della decisione  del  caso  in  esame  giacche'  il  vincolo  in
discorso non risulta essere stato mai recepito  nello  strumento  del
Comune in epigrafe); 
      II) Per l'interprete che, invece, aderisse alla  seconda  delle
suesposte  opzioni  interpretative,  il  condono   sarebbe   comunque
precluso per tutti  gli  immobili  realizzati  nei  150  metri  dalla
battigia e ultimati dopo il 31 dicembre 1976; e  cio'  in  forza  del
secondo periodo del comma XI dell'art. 32-33 della legge regionale 10
agosto 1985, n. 37, ove interpretato  come  rinviante  esclusivamente
alla locuzione di cui alla ivi citata  lettera  a)  del  primo  comma
dell'art. 15 della legge regionale n. 78 del 1976, ma  non  anche  al
relativo incipit,  ne'  soprattutto  alla  norma  che  tale  articolo
esprime nella  combinazione,  grammaticale  e  giuridica,  della  sua
lettera a) con l'incipit dello stesso comma. 
    Nondimeno,  il  Collegio  dubita  altresi'  -  come  si  e'  gia'
anticipato  e  si   dira'   meglio   infra   -   della   legittimita'
costituzionale del cit. comma XI, ove mai  esso  fosse  passibile  di
essere interpretato nel  senso  teste'  indicato  (al  punto  II  del
presente § 4). 
    5. E' superfluo ribadire come il Collegio certamente  non  ignori
la tesi dogmatica secondo cui il legislatore  regionale,  mentre  (in
sede di suo recepimento) non potrebbe estendere il  condono  edilizio
previsto dalla legge statale al di la' dei casi  e  limiti  che  essa
contempla,  ben  potrebbe  invece  ulteriormente   circoscriverlo   o
restringerlo. 
    Il primo assunto si fonda, in buona parte,  sul  rilievo  che  il
condono edilizio reca in se' l'effetto estintivo del reato  commesso,
effetto che resta precluso alla Regione  di  ulteriormente  estendere
perche' essa e' priva di ogni potesta' normativa in ambito penale,  e
cio' quand'anche sia dotata, come  lo  e'  la  Sicilia,  di  potesta'
legislativa primaria per le materie dell'urbanistica e del paesaggio. 
    Si specifica che in questa sede si puo' (e si vuole)  prescindere
dal rilievo che  tale  assunto  parrebbe  poggiare  sull'indimostrato
postulato della necessaria coincidenza tra liceita'/illiceita' penale
e  legittimita'/illegittimita'  urbanistica  (pur   se   il   condono
sopravviene solo a posteriori, sicche' non sembrerebbe affatto  certo
che esso debba necessariamente implicare l'estinzione dei reati  gia'
commessi), la scissione tra le quali da' invece argomento  alla  tesi
che la legislazione regionale primaria (spettante solo alle regioni a
statuto speciale), lasciando  intonsa  la  prima,  possa  variare  in
qualsiasi senso la seconda  (cfr.,  in  proposito,  C.G.A.R.S.,  sez.
riun., adunanza 31 gennaio 2012, parere n. 291/2010). 
    Il secondo assunto, viceversa,  si  basa  sulla  asserita  natura
eccezionale delle leggi di condono, che  si  postulano  passibili  di
essere ulteriormente specificate  (solo)  in  senso  restrittivo  dal
legislatore regionale. 
    Tale concetto di eccezionalita' e' politicamente molto  chiaro  -
da parte d'un interprete che, mal tollerando scelte  del  legislatore
che  non  condivide,  s'ingegna  di  considerarle  tali  -   pur   se
giuridicamente possa invece risultare quantomeno asimmetrico  che  (a
onta  dei  postulati  dogmatici  teste'  accennati)  al   legislatore
regionale  si  riconosca  di  ridefinire  in  senso   restrittivo   i
presupposti applicativi della causa di estinzione del reato  edilizio
introdotti dalla legge statale di condono, con l'effetto  pratico  di
consentirgli di estendere  le  condotte  concretamente  passibili  di
sanzione penale nel  proprio  territorio:  cio'  che,  rispetto  alla
riserva assoluta di legge statale  ex  art.  25  della  Costituzione,
sembrerebbe essere invece un effetto piu'  grave  di  quello  che  si
sostanziasse, all'opposto, in una concreta restrizione dell'area  del
rilievo penale (giacche' e' facile  convenire  sull'affermazione  che
una parziale relativizzazione della riserva di legge statale  sarebbe
costituzionalmente piu' compatibile ove  operante  in  bonam  partem,
piuttosto che in malam partem). 
    In proposito si osserva  come  siffatto  concetto  giuridico  sia
stato condiviso, almeno in una occasione,  pure  dalla  stessa  Corte
costituzionale:  che  (anche  se  forse  con  un   orientamento   non
esattamente  monolitico  nel  tempo)  ha  affermato  -  e  proprio  a
proposito di una legge regionale siciliana  in  materia  urbanistica,
del tutto analoga a quella di cui qui trattasi - che «l'ambito» delle
«cause d'estinzione del reato ... , individuato in una legge statale,
non puo' esser illegittimamente esteso o ristretto ad opera di  leggi
regionali  (neppure  di  quelle  che  dispongono  in   materie   c.d.
"esclusive")», percio' dichiarando «costituzionalmente illegittimo il
primo comma dell'art. 3 della legge regionale  siciliana  n.  26  del
1986» (Corte costituzionale 25 ottobre 1989, n. 487). 
    6. Nondimeno - in disparte tutte tali  osservazioni  critiche,  e
anche a voler ammettere (con la tesi dominante)  che  il  legislatore
regionale  ben  possa  discrezionalmente  restringere,  in  sede   di
recepimento della  legge  statale  di  condono,  l'ambito  della  sua
effettiva applicabilita' nel territorio regionale - resta  certamente
vero  che  l'esercizio,  in  concreto,  di  tale  potere  legislativo
regionale, ove sussistente, debba pur sempre  espletarsi  nei  limiti
dei principi costituzionali di proporzionalita' e ragionevolezza che,
se travalicati, danno luogo al c.d. eccesso  di  potere  legislativo,
passibile di censurabilita'  costituzionale:  sotto  il  profilo  del
contrasto, per violazione di  detti  principi,  con  l'art.  3  della
Costituzione,  nella   piu'   lata   accezione   ormai   generalmente
riconosciuta. 
    Ebbene, il Collegio, in proposito, ritiene che: 
      1) l'art. 32-33, comma XI, secondo periodo, legge regionale  n.
37 del 1985 abbia escluso dalla condonabilita'  solo  le  costruzioni
realizzate nella fascia di  150  metri  dalla  battigia  dopo  il  31
dicembre 1976 nei comuni che, in esecuzione del precetto  legislativo
loro rivolto dall'art. 15, lettera a), della legge  regionale  n.  78
del 1976, abbiano recepito nel proprio strumento urbanistico generale
il vincolo di inedificabilita' assoluta in detta fascia  costiera;  e
cio' in quanto il richiamo operato da detto comma XI  non  possa  che
essere inteso come riferito, unitariamente, alla norma espressa dalla
ivi citata lettera a) dell'art. 15  legge  regionale  n.  78/1976  in
indissolubile combinazione con l'incipit dello stesso primo comma, in
cui la lettera a) si colloca indubitabilmente; 
      2) solo in via  assolutamente  subordinata,  ossia  qualora  si
reputasse possibile (e, dunque, compatibile con il  ricordato  quadro
normativo) ritenere  che  il  richiamo  operato  da  detto  comma  XI
concerna esclusivamente le  parole  contenute  nella  ivi  richiamata
lettera a) («le costruzioni debbono arretrarsi  di  metri  150  dalla
battigia»: a onta del fatto che esse siano, come si e' gia' rilevato,
«immobili») e non anche  il  contenuto  del  relativo  incipit  (che,
preclaramente, riferisce le prescrizioni di inedificabilita' nei  150
metri dal mare unicamente «ai fini della formazione  degli  strumenti
urbanistici  generali  comunali»,  senza  dunque  alcuna  diretta   e
immediata  efficacia  anche  nei  confronti  dei   soggetti   privati
proprietari di aree site all'interno di tale  fascia  costiera)  -  e
fermo restando che non e' dato  comprendere  quale  possa  essere  la
ragione giuridica (laddove invece quella politica e' preclara) di una
siffatta considerazione, certamente  «mozzata»,  del  richiamo  della
norma  pregressa  -  qui  si  solleva   questione   di   legittimita'
costituzionale del secondo periodo di detto comma XI per  eccesso  di
potere     legislativo,     irragionevolezza,     inadeguatezza     e
improporzionalita',  e  dunque  per  contrasto  con  l'art.  3  della
Costituzione e con i ricordati principi che esso  implica  e  che  ne
sono   ricavati:    assumendosi    a    tertium    comparationis    -
dell'irragionevolezza della norma risultante alla  stregua  di  tale,
qui  non  condivisa,  esegesi  -  l'istituto   dell'accertamento   di
conformita', di cui all'art. 13 della legge 28 febbraio 1985, n.  47,
ora trasfuso nell'art. 36 del T.U. dell'edilizia di  cui  al  decreto
del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380. 
    Il Collegio ritiene, infatti, che sarebbe del  tutto  irrazionale
detto comma XI, ove esso fosse appunto interpretato nel senso di aver
escluso in Sicilia dalla condonabilita'  straordinaria  di  cui  alla
legge statale n. 47 del 1985 le costruzioni realizzate  nella  fascia
costiera di 150 metri dalla battigia, pur in assenza  (all'epoca)  di
alcun vincolo di P.R.G. che fosse  stato  introdotto  (anteriormente,
almeno, all'entrata in vigore di detto art. 32-33 legge regionale  n.
37 del 1985) dal Comune di ubicazione del singolo immobile. 
    L'irragionevolezza di una tale  esclusione  dal  condono  risulta
insita, specificamente, nell'incongruenza di precludere la piu' ampia
e generale sanatoria edilizia una tantum, di cui al condono  ex  lege
n. 47 del 1985, rispetto a immobili che, sia  prima  e  sia  dopo  la
scadenza del termine per la loro riconduzione al c.d.  primo  condono
(1° ottobre 1983), avrebbero  comunque  potuto,  possono  e  potranno
(almeno fino al 1991) ottenere il titolo  edilizio  in  sanatoria  ai
sensi dei citati articoli 13 e 36: e cio'  perche',  non  sussistendo
(fino, appunto, al 1991) alcun vincolo efficace  (non  solo  verso  i
comuni, ma anche verso i privati proprietari della  costruzione),  la
distanza  dalla  battigia  inferiore  ai  150  metri,  cerebrinamente
assunta (in tesi) dal legislatore del 1985 a elemento preclusivo  del
condono edilizio,  non  sarebbe  pero'  idonea  a  elidere  la  (c.d.
«doppia») conformita' dell'immobile «alla disciplina  urbanistica  ed
edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia
al momento della  presentazione  della  domanda»  (di  sanatoria,  ex
articoli 13 e 36 cit.). 
    La  regolarizzazione  dell'immobile  (che,  in  tesi,  non  fosse
condonabile alla stregua di questa esegesi della legge  regionale  n.
37/1985),  per   effetto   dell'accertamento   della   sua   (doppia)
conformita' avrebbe continuato  a  esser  possibile,  infatti,  anche
oltre il 30 novembre 1985 (termine legale per la presentazione  delle
domande di condono) e fino all'entrata in  vigore  della  cit.  legge
regionale 30 aprile 1991, n. 15: che, ponendo per la prima  volta  il
vincolo anche per i privati, ha fatto venir meno il  requisito  della
doppia  conformita'   impedendo,   solo   per   il   futuro   dunque,
l'accertamento di conformita'. 
    Siccome non v'e' alcun elemento che possa far dubitare che - alla
stregua della normativa vigente anteriormente  al  1991  -  anche  le
costruzioni realizzate all'interno della fascia costiera in  discorso
(nei  comuni  che  non  avessero  recepito   nei   propri   strumenti
urbanistici generali il vincolo indicatogli dal  cit.  art.  15:  ivi
incluso quello nel cui territorio insiste l'immobile per cui  qui  e'
causa) ben potessero (in difetto di ulteriori  ragioni  ostative,  di
cui non consta ex actis l'esistenza nella vicenda in esame) risultare
conformi,  doppiamente,  sia  alla  normativa   urbanistica   vigente
all'epoca della loro edificazione,  sia  anche  a  quella  in  vigore
successivamente (e, appunto, fino al 30 novembre 1985 o, anche  dopo,
fino al 1991), e' da ritenere che (anche) esse fossero  passibili  di
sanatoria, c.d. ordinaria, in base ai  cit.  art.  13  (prima)  e  36
(dopo). 
    Rispetto a tale situazione, sarebbe stata una  scelta  del  tutto
irrazionale,   sproporzionata,   iniqua   o,   come    suol    dirsi,
manifestamente irragionevole quella che il legislatore regionale,  in
sede di recepimento del condono edilizio straordinario  di  cui  alla
legge n. 47 del 1985, avrebbe fatto, se avesse  escluso  dalla  forma
piu' ampia di sanatoria eccezionale - e, non di poco conto,  solo  in
Sicilia: dunque pure  in  modo  disallineato  e  contrastante  con  i
principi generali  dell'ordinamento  nazionale,  per  come  creati  e
declinati dalla cit. legge n. 47 del 1985 (che,  se  per  consolidata
giurisprudenza costituzionale integra e delimita una «grande  riforma
economico-sociale della Repubblica», non  puo'  non  vincolare  anche
sotto questo profilo la legittimita' dell'esercizio della  normazione
attuativa e di recepimento della Regione siciliana) - proprio  quelle
vicende che, pur se davvero fossero cosi' state escluse  dal  condono
straordinario,  sarebbero  state  comunque  passibili  di   sanatoria
ordinaria, ex articoli 13 e 36 cit. 
    Siffatta  discrasia  e'  stata  chiaramente   prospettata   anche
nell'unica decisione di questo Consiglio  rinvenuta  in  argomento  e
anteriore al 30 aprile 1991 (C.G.A.R.S. 26 marzo  1991,  n.  99),  la
quale (non ostante venga di solito citata a sostegno della tesi della
non condonabilita', eccessivamente valorizzandosene un obiter  dictum
che in realta' e' del tutto estraneo alla ratio decidendi)  ha  pero'
respinto gli appelli  dell'Amministrazione  (Comune  e  Regione)  che
erano volti a far riformare una decisione del  T.A.R.  favorevole  al
proprietario ricorrente (in dettaglio: il T.A.R. aveva  annullato  un
diniego di concessione edilizia,  «in  variante»  di  una  precedente
concessione del 1978, che era stata richiesta nel 1983 e denegata dal
Comune di Catania nel 1986 perche' riferita a un immobile ubicato nei
150 metri dalla costa); detta sentenza d'appello e' giunta infatti  a
questo risultato proprio ritenendo infondate le tesi,  sostenute  dal
Comune appellante, «che l'art. 23, 10 co. [ora comma XI], della legge
regionale 10 agosto 1985,  n.  37  esclude  dalla  sanatoria  ...  le
costruzioni eseguite in violazione dell'art.  15,  lettera  a)  della
legge regionale 12 giugno 1976, n. 78», e «che quest'ultima norma  (e
non gia' il successivo  strumento  urbanistico  in  attuazione  della
norma) istituisce immediatamente il vincolo di inedificabilita' entro
la fascia di 150 m. dalla battigia»; e affermando,  invece,  che  "«a
non sanabilita' di edifici abusivi realizzati in violazione del  cit.
art. 15 non  comporta  la  immediata  applicabilita'  di  questo  nei
confronti dei privati, e quindi non vieta il rilascio di  concessioni
edilizie fino a  quando  i  comuni  non  abbiano  inserito  nei  loro
strumenti urbanistici i divieti e le  limitazioni  posti  dallo  art.
15». 
    Emerge chiaramente  da  tale  sentenza  come  non  possa  affatto
escludersi la doppia conformita', nella vigenza  dell'art.  15  della
legge regionale n. 78 del 1976 (e  prima  della  sua  interpretazione
autentica operatane dalla legge regionale n. 15 del 1991), anche  per
gli immobili «abusivi, per tali  intendendosi  quelli  eseguiti,  tra
l'altro, in  mancanza  di  concessione  edilizia»,  realizzati  nella
prefata fascia costiera  (limitatamente,  s'intende,  a  quelli  «non
difformi rispetto alla disciplina urbanistica»). 
    Anche tali ultimi virgolettati sono tratti dalla cit. sentenza n.
99 del 1991 di questo Consiglio, la cui lettura tuttavia e' stata poi
«piegata» a giustificazione di  tutt'altre  tesi:  probabilmente,  si
opina, per dare  una  qualche  spiegazione  postuma  alla  (efficacia
retroattiva  della)   qui   controversa   interpretazione   autentica
(sopravvenuta  nel  1991,  invero   solo   pochi   giorni   dopo   la
pubblicazione  della  sentenza)  che,  diversamente,  sarebbe   stata
all'evidenza   giuridicamente   insostenibile   quanto    alla    sua
compatibilita' costituzionale. 
    Sicche' - allorche' se ne sfrondino, come qui  si  vuol  fare,  i
foscoliani allori - tale compatibilita' sembra in  effetti  a  questo
Collegio del tutto insostenibile. 
    Riprendendo le fila del nostro discorso, e' proprio  la  pacifica
circostanza che, fino al 30 aprile 1991,  gli  immobili  in  discorso
(ossia quelli realizzati nei 150 metri dalla battigia nei comuni  che
nessun vincolo  avessero  ancora  previsto  in  tale  zona  costiera)
potessero esser sanati ai sensi dell'art. 13 della legge  n.  47  del
1985 - perche', per unanime  considerazione,  l'art.  15  della  cit.
legge del 1976, sia testualmente  sia  sistematicamente,  non  poneva
alcun  precetto  direttamente  efficace  nei  confronti  dei  privati
proprietari - quella su cui  si  radica  l'incostituzionalita'  (ove,
difformemente da quanto opina questo Collegio, si ritenesse di  poter
interpretare il comma XI dell'art. 32-33 della legge regionale n.  37
del 1985 in tali sensi) della scelta di precludere, solo in Sicilia e
diversamente  dal  resto  d'Italia,  il   condono   straordinario   a
fattispecie   eo   tempore   comunque    passibili    di    rientrare
nell'accertamento  di  conformita'  (c.d.  sanatoria  ordinaria,  per
distinguerla da quella straordinaria e una tantum del condono). 
    Il fatto stesso che risulti possibile ottenere una concessione in
sanatoria, ma non un condono, rende ex se irragionevole  l'esclusione
di quest'ultimo nei casi di costruzione nei 150 metri dalla  battigia
(laddove, come nel caso in esame, non vi  fosse  un  PRG  che  avesse
previamente recepito il vincolo di inedificabilita'). 
    La ratio del  condono  e'  infatti  quella  di  rendere  sanabili
attivita' edilizie che non possano ottenere, ex post, la  concessione
in sanatoria; ne', ex ante, il titolo edilizio: giacche', altrimenti,
non avrebbe senso  ancorare  a  una  precisa  finestra  temporale  la
possibilita' di richiedere il condono. 
    Essenzialmente, nella sanatoria ex articoli 13, o 36,  citt.  non
rileva tanto la volonta' del richiedente di estinguere l'illecito con
il pagamento di una (maggiore) somma di denaro - come  accade  invece
per l'oblazione penalistica ex articoli  162  e  162-bis  del  codice
penale - quanto piuttosto  «la  mancanza  d'un  disvalore  oggettivo»
(cosi' Corte costituzionale 9 gennaio 2019, n 2; Id. 31  marzo  1988,
n. 370) nell'aver realizzato un'opera doppiamente conforme  (nunc  et
tunc)  alla  pianificazione  urbanistica  (c.d.  illecito   meramente
formale). 
    E  cio'  si  distingue  radicalmente  dalle  ipotesi  di  condono
edilizio, in cui la legge - solo in via straordinaria e con regole ad
hoc - consente di sanare situazioni di abuso, se  perpetrate  fino  a
una certa data, che hanno pero' natura sostanziale, perche'  difformi
(ora  e  allora)   dalla   disciplina   urbanistico-edilizia   (Corte
costituzionale 16 marzo 2023, n. 42); e, infatti, il condono edilizio
«ha quale effetto la sanatoria non solo formale ma anche  sostanziale
dell'abuso, a prescindere dalla conformita'  delle  opere  realizzate
alla disciplina urbanistica ed edilizia (sentenza n.  50  del  2017)»
(Corte costituzionale 5 aprile 2018, n. 68; Id. 8 novembre  2017,  n.
232). 
    In  tale  prospettiva  non  si  riuscirebbe  ad   apprezzare   la
ragionevolezza   dell'ipotizzata   (ma,   appunto,   tutt'altro   che
letteralmente   necessaria;   e,   comunque,   sistematicamente   non
convincente) interpretazione, che ritenesse non consentito, ai  sensi
dell'art. 32-33, comma XI, ultima proposizione, della legge regionale
n. 37/1985, l'utilizzo dello strumento condonistico per  il  caso  di
realizzazione di un manufatto nei 150  metri  dalla  battigia  in  un
periodo pur successivo all'entrata  in  vigore  dell'art.  15,  primo
comma, lettera a), della legge regionale n. 78 del 1976, ma  comunque
precedente sia al 1° ottobre 1983 e sia al recepimento del vincolo di
inedificabilita' nel PRG del Comune interessato. 
    Nel 1985 detto abuso, in assenza di altri profili  di  violazione
edilizia e urbanistica (non configurati nella vicenda in esame),  era
infatti  suscettibile  di  essere  sanato  con  un  accertamento   di
conformita', giacche', finche' il  vincolo  non  sia  stato  recepito
nello strumento comunale (e fino all'entrata in  vigore  della  nuova
disposizione di cui alla legge regionale  n.  15  del  1991),  l'aver
costruito nella  fascia  dei  150  metri  dalla  costa  integrava  un
illecito edilizio meramente formale, non violando  alcuna  disciplina
urbanistica o edilizia e non configurandosi percio' ostacoli di sorta
alla valutazione (positiva) della doppia conformita' ex art. 13  cit.
(ratione temporis vigente). 
    Non e' dato percio' rinvenire alcuna ragione  giustificativa  per
cui la legge regionale n. 37 del 1985 possa non consentire il ricorso
all'istituto di sanatoria straordinaria  (condono),  laddove  l'abuso
sia comunque sanabile con la  sanatoria  ordinaria  (accertamento  di
conformita', ex art. 13 cit.); diversamente risultando  assai  dubbia
la ragionevolezza di tale scelta normativa (ove  mai  la  si  potesse
ritenere implicata dal cit. art. 32-33). 
    Merita  evidenziarsi,  in  proposito,  che  la   valutazione   di
ragionevolezza della scelta  del  legislatore  debba  svolgersi  alla
stregua  dei   parametri   normativi   presenti,   a   quella   data,
nell'ordinamento  giuridico  (e  non,   ovviamente,   per   la   mera
considerazione, estetica e metagiuridica, che «le coste sono belle  e
percio' vanno tutelate»): il quale, alla data del 10 agosto 1985, non
aveva ancora introdotto alcun vincolo assoluto  sulle  zone  costiere
(in particolare: nessun  vincolo  a  livello  regionale;  nonche',  a
livello nazionale e dal 30 giugno 1985,  solo  quello  relativo  -  e
percio' condonabile secondo i parametri nazionali di cui  alla  legge
n. 47/1985, pur se condizionatamente al rilascio di  un  c.d.  «nulla
osta postumo» - di cui al decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312). 
    Cio' induce a escludere la ragionevolezza della scelta con cui  -
secondo una qui non condivisa opzione  esegetica:  che,  in  realta',
sembra unicamente volta a far  retroagire  al  1976,  «con  qualsiasi
mezzo», quei vincoli di tutela paesaggistica regionali che poi furono
effettivamente introdotti solo nel 1991 - il  legislatore  regionale,
nel recepire nel 1985  il  condono  nazionale,  abbia  introdotto  ex
nihilo (e senza neanche dirlo espressamente) sulla fascia costiera un
nuovo vincolo, assoluto e retroattivo, che non  esisteva  secondo  la
legge regionale n. 78/1976 (che, come si  e'  gia'  detto,  aveva  in
realta' tutt'altre finalita'; e  che,  comunque,  certamente  non  lo
introdusse in via diretta). 
    In sintesi, il Collegio ritiene che il legislatore regionale  del
1985 cio' non fece (furono semmai alcuni interpreti a sostenere  poi,
ma fallacemente, la tesi che l'avesse fatto);  ma  che,  ove  davvero
l'avesse fatto, la scelta in tal senso compiuta sarebbe  comunque  da
considerare costituzionalmente illegittima per c.d. eccesso di potere
legislativo, alla stregua delle considerazioni svolte. 
    Risulta  infatti  corretta,  agevole  e,  percio',   direttamente
doverosa  per  ogni  interprete  un'esegesi  conforme  al   parametro
costituzionale - cioe' tale da non incorrere  nella  incongruenza  di
precludere il condono edilizio straordinario del 1985 anche in quegli
stessi casi in cui, invece, la costruzione sarebbe stata sanabile  in
via ordinaria ai sensi del cit. art. 13 - ossia  quella  di  ritenere
esclusi dalla condonabilita', ex art. 32-33, XI  comma,  della  legge
regionale n. 37/1985, solo gli  immobili  realizzati  nei  150  metri
dalla battigia in quei comuni che, anteriormente al 1° ottobre  1983,
avessero introdotto nei loro strumenti generali  il  vincolo  di  cui
all'art. 15, lettera a), della cit. legge regionale  n.  78/1976;  e,
all'opposto, continuando a considerare invece sanabili, peraltro come
in tutto il resto d'Italia, le costruzioni  realizzate  (come  quella
per cui qui e' causa) bensi' nei 150  metri  dalla  battigia,  ma  in
comuni diversi da quelli che avessero introdotto detto vincolo. 
    Per le ragioni che si  sono  esposte,  il  Collegio  ritiene  che
questa sarebbe stata (e sia) l'unica esegesi conforme a  Costituzione
(nonche', come si  e'  chiarito,  anche  al  tenore  letterale  della
legislazione regionale di recepimento) fino al 30 aprile 1991: con il
corollario che il ricorso  in  appello  qui  in  trattazione  avrebbe
trovato    necessario    accoglimento,    conseguente    annullamento
dell'impugnato  diniego  di  condono   e   restituzione   dell'affare
all'amministrazione comunale per l'ulteriore istruttoria dell'istanza
di condono, esclusa e annullata  la  sua  reiezione  per  la  pretesa
ostativita' della clausola di esclusione  del  condono  asseritamente
recata  dal  secondo  periodo  dell'XI  comma  del  cit.  art.  32-33
introdotto dall'art. 23 della legge regionale n. 37 del 1985. 
    7. Con la  sopravvenienza  dell'art.  2,  comma  3,  della  legge
regionale 30 aprile 1991, n. 15 - ai sensi del quale «Le disposizioni
di cui all'art. 15, primo comma, lettera a), d)  ed  e)  della  legge
regionale 12 giugno 1976, n. 78, devono  intendersi  direttamente  ed
immediatamente  efficaci  anche  nei  confronti  dei  privati.   Esse
prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali  e
dei regolamenti edilizi» - il quadro normativo primario cambia invece
radicalmente, divenendo ostativo alla possibilita' di  condonare  gli
immobili ubicati nei 150 metri dalla battigia. 
    8.  Nulla  quaestio  per  quanto  riguarda  l'efficacia  di  tale
modifica normativa  per  il  futuro:  con  il  corollario  che  resta
certamente preclusa ogni possibilita' di avvalersi del  c.d.  secondo
condono (quello di cui alla legge 23 dicembre 1994, n.  724)  per  le
costruzioni realizzate in Sicilia nella fascia costiera di 150  metri
dalla battigia (non gia' entro il 1° ottobre 1983, bensi')  entro  il
31 dicembre 1993. 
    9.  La  questione  di  legittimita'  costituzionale  che  qui  si
rassegna riguarda invece, unicamente, le  costruzioni  realizzate  in
Sicilia in detta fascia costiera (dopo il 31 dicembre 1976  e)  entro
il 1° ottobre 1983, e comunque soltanto nel territorio dei comuni che
non  abbiano  introdotto  il  vincolo  costiero  nel  proprio  P.R.G.
anteriormente a tale ultima data (nonche',  ovviamente,  ove  non  vi
siano ulteriori e diversi vincoli  assoluti  di  inedificabilita':  i
quali pero', ex art.  34,  comma  2,  c.p.a.,  resterebbero  comunque
estranei al presente giudizio): tra cui rientra l'opera  edilizia  di
cui qui trattasi. 
    10. Tali costruzioni - sanabili, per come si e' gia' detto,  alla
stregua della normativa vigente alla data di scadenza del termine  di
presentazione  della  domanda  di  condono  del  30  novembre   1985,
nonostante qualsiasi diversa  determinazione  amministrativa  -  sono
oggettivamente divenute  insanabili  per  effetto  della  cit.  legge
regionale n. 15 del 1991, per avere essa autenticamente interpretato,
in senso totalmente ostativo, l'art. 15,  primo  comma,  lettera  a),
della legge regionale n. 78 del  1976,  creando  retroattivamente  un
vincolo di inedificabilita' assoluta «direttamente e  immediatamente»
efficace «anche nei confronti dei privati». 
    11. Piu' esattamente, il legislatore del 1991 - nella  verosimile
consapevolezza  che  l'imposizione   retroattiva   del   vincolo   di
inedificabilita' assoluta sarebbe stata incompatibile con i  principi
costituzionali del  nostro  ordinamento  (pur  se  in  generale  esso
consente entro certi limiti, ma in altri ambiti, la retroazione delle
disposizioni normative) per le ragioni che si esporranno infra  -  ha
cercato di far passare per interpretativa una disposizione che invece
tale non era affatto, non rientrando nel novero di quelle compatibili
con il tenore  letterale  (ne'  con  la  ratio,  ne'  con  il  quadro
sistematico) della norma asseritamente interpretata. 
    Per quanto riguarda le ragioni per cui quella qui controversa non
abbia affatto natura di interpretazione  autentica  (correttamente  e
legittimamente identificabile come tale) si fa  rinvio  a  quanto  si
esporra' infra, nel successivo § 13. 
    12.  Ritiene  dunque  questo  Collegio  che  l'introduzione   del
vincolo, che trae origine senza alcun dubbio dalla legge regionale n.
15  del  1991,  evidenzi  rilevanti   profili,   non   manifestamente
infondati, di incostituzionalita': 
      1) perche' retroattivamente imposto nel 1991 e con effetto  dal
1976 (art. 3 della Costituzione); 
      2)  in  modo  certamente  incompatibile  con  la   legislazione
previgente: della  quale,  soprattutto  con  riferimento  alla  legge
regionale n. 78 del 1976, oggettivamente non  poteva  costituire  uno
dei significati compatibili con il tenore delle parole utilizzate dal
legislatore  regionale  del  1976,  ne'  con  l'intenzione  di   quel
legislatore (art. 3 della Costituzione); 
      3) neppure potendosi opinare - come in una certa fase  storica,
poi peraltro superata, fu ipotizzato dalla giurisprudenza  di  questo
Consiglio - che si sia trattato di un'interpretazione autentica  (non
gia' dell'art. 15, lettera a, della legge regionale n. 15  del  1976,
bensi') dell'art. 23, comma X (ora XI), della legge regionale  n.  37
del 1985: sia perche' l'art. 2, comma 3, legge regionale  n.  15  del
1991 e' preclaro nel riferirsi alle «disposizioni di cui all'art. 15,
primo comma, lettera a, d ed e della legge regionale 12 giugno  1976,
n. 78»; sia, in via dirimente, perche' tale (peraltro ovvio)  oggetto
dell'interpretazione autentica ha successivamente  trovato  ulteriore
conferma  normativa   (una   sorta   di   interpretazione   autentica
dell'interpretazione autentica) nell'art. 6,  comma  1,  della  legge
regionale 31 maggio 1994, n. 17, che, nel novellare l'art.  22  della
legge regionale 27 dicembre 1978, n. 71, al relativo comma 2, lettera
e), ha ribadito che l'oggetto dell'interpretazione (autentica) di cui
all'art. 2 della legge regionale 30 aprile 1991,  n.  15,  e'  stato,
appunto, proprio l'art. 15 della legge regionale 12 giugno  1976,  n.
78 (e non, dunque, l'art. 23, comma XI, della legge regionale  n.  37
del 1985); 
      4) perche' l'introduzione retroattiva di un  vincolo  (peraltro
assoluto: e diversamente da quello, relativo, gia' previsto nel resto
d'Italia dalla legge,  c.d.  Galasso,  8  agosto  1985,  n.  431)  di
inedificabilita' appare lesiva del contenuto  minimo  essenziale  del
diritto di proprieta' privata, ponendosi percio' in  contrasto  anche
con l'art. 42 della Costituzione; 
      5) perche' l'introduzione retroattiva di una causa ostativa  al
rilascio del condono edilizio, escludendo a posteriori l'operativita'
di una causa di estinzione del  reato  di  abusivismo  edilizio  gia'
verificatasi, da un lato  ri-estende  la  punibilita'  a  fatti  gia'
esclusi da essa dalla legge statale (violando la riserva assoluta  di
legge  statale  in  materia  penale)  e  dall'altro   ri-espande   la
sussistenza di  un  reato  estinto  merce'  un  intervento  normativo
successivo alla commissione del fatto (in violazione dell'art. 25, II
comma, della  Costituzione):  profili,  questi,  che  sussisterebbero
anche nel caso, che pur va escluso per le ragioni gia'  esposte,  che
l'interpretazione autentica recata dalla legge regionale  n.  15  del
1991 avesse riguardato (non gia' l'art. 15 della legge  regionale  n.
78 del 1976, bensi') l'art. 23, comma XI, della legge regionale n. 37
del 1985 (e quand'anche  la  si  ritenesse,  diversamente  da  questo
Collegio, aver imposto uno dei  possibili  significati  letterali  di
quest'ultima norma); 
      6) perche' i principi di civilta' giuridica che permeano, anche
a livello di vincoli costituzionali,  il  nostro  ordinamento  -  non
foss'altro che per la sua adesione alla C.E.D.U. (art. 117, I  comma,
della  Costituzione,  con  particolare  riferimento  all'art.  1  del
Protocollo addizionale n. 1 C.E.D.U., «Protezione della  proprieta'»,
per cui «ogni persona fisica o giuridica ha diritto al  rispetto  dei
suoi beni»), oltre che per il vincolo di conformazione,  ex  art.  10
della Costituzione, ai  principi  fondamentali  comuni  alle  nazioni
civili  -  non  sembrano   poter   consentire   al   legislatore,   e
nell'ordinamento  italiano  men  che  mai  a  quello  regionale,   di
escludere dalla condonabilita' eccezionale ex lege  n.  47/1985  beni
che vi erano stati fatti inizialmente rientrare, e cio' vieppiu' dopo
il decorso di un termine irragionevolmente lungo (oltre  cinque  anni
dal 1985 al 1991, ossia ben piu' del termine per  la  formazione  del
silenzio-assenso sulla domanda di condono, ex art. 35,  XVIII  comma,
della legge n. 47/1985; nonche' quasi 15 anni dal 1976 al 1991);  ne'
di escludere dalla condonabilita' eccezionale  (ex  lege  cit.)  beni
passibili di sanatoria ordinaria (ex articoli 13 e 36 cit.); 
      7)  perche'   l'introduzione   postuma   di   un   vincolo   di
inedificabilita' assoluta, nonche' la connessa  esclusione,  solo  in
Sicilia, dalla condonabilita' eccezionale di cui alla legge n. 47 del
1985 per le opere eseguite in violazione di detto vincolo,  ma  prima
che esso fosse stato effettivamente imposto, parrebbero contrastare -
per  compressione  irragionevolmente  differenziata  (art.  3   della
Costituzione) del  diritto  di  proprieta'  privata  (art.  42  della
Costituzione) - con il principio generale dell'ordinamento  nazionale
(e di cui alla legge di grande riforma economica e sociale n. 47  del
1985)  che  non  considera   preclusivi   di   detta   condonabilita'
eccezionale i vincoli apposti in una data successiva  all'ultimazione
della costruzione abusiva (nonche', a  fortiori,  alla  scadenza  del
termine per la presentazione della domanda di condono edilizio); 
      8) perche' la violazione, da parte della legislazione regionale
in  esame,  del  principio  generale  dell'ordinamento  statale   del
rilievo, ai fini della preclusione del  condono,  esclusivamente  dei
vincoli effettivamente posti (e conseguentemente resi conoscibili  ai
privati)  anteriormente  alla  realizzazione  della  costruzione   da
condonare (nonche', altresi', alla  presentazione  della  domanda  di
condono)  sembra  aver  travalicato  i  limiti  di   un   ragionevole
affidamento dei  consociati  sulla  razionalita'  e  proporzionalita'
della  legislazione  (nella  specie:  regionale),  ex  art.  3  della
Costituzione, anche in punto di legittimo affidamento al  rispetto  e
alla tutela della proprieta' privata immobiliare e della ricchezza in
essa profusa (ex articoli 42, 44 e 47 della Costituzione); 
      9)  perche',  nella  specie,  potrebbero  risultare  violati  i
principi generali (di cui alle  stesse  norme  costituzionali  teste'
citate) di certezza dei rapporti  giuridici,  di  ragionevolezza,  di
uguaglianza e di affidamento  nella  certezza  e  stabilita'  per  il
passato della legge (sub specie di non  retroattivita'  irragionevole
della legislazione: art. 3 della  Costituzione):  in  ordine  a  tali
limiti, cfr. quelli indicati  da  Corte  costituzionale  22  novembre
2000, n. 525, e 4 aprile 1990, n. 155. 
    13.  Fu  dunque  nel  1991  che,  in  effetti,  venne  introdotta
nell'ordinamento siciliano una nuova norma, che pose  erga  omnes  il
vincolo di inedificabilita' assoluta nella fascia di 150 metri  dalla
riva del mare; e, volendolo introdurre anche per le costruzioni  gia'
esistenti - forse pure per porre rimedio, ex post,  alla  riscontrata
inerzia diffusa tra i comuni isolani nel  recepimento  del  precetto,
solo a loro rivolto, del 1976 - si cerco' di  strutturarla  come  una
disposizione interpretativa(perche', se tale, avrebbe avuto ben  piu'
ampi margini di legittima interferenza retroattiva nell'ordinamento). 
    Negli anni successivi l'interpretazione giudiziaria di tale norma
- pur essendovi consapevolezza  dell'impossibilita'  di  considerarla
(una delle possibili alternative esegetiche della norma  interpretata
e, percio',) interpretativa della cit. legge  regionale  del  1976  -
cerco' in ogni modo di salvarla: sia,  in  una  certa  fase  storica,
postulandone  la  natura  interpretativa   della   successiva   legge
regionale del 1985; sia poi, allorche'  fu  assodato  come  cio'  non
fosse assolutamente  possibile  (per  le  ragioni  gia'  esposte  nel
precedente § 12, sub n. 3), semplicemente accantonando il problema  e
dando per scontato che dal combinato disposto delle tre  disposizioni
di cui si sta trattando (quelle  del  1976,  del  1985  e  del  1991)
risultasse un precetto che non avesse mai consentito a chiunque,  sin
dal 1976, ne' di costruire in tale fascia costiera  (senza  ulteriori
condizioni), ne' di condonare in  qualsiasi  modo  (ne'  ex  articoli
32-33 cit., ne' 13 e 36 cit.) quanto edificato. 
    E, infatti, la giurisprudenza piu' recente  di  questo  Consiglio
tralatiziamente afferma (ormai senza particolari approfondimenti) che
«l'art. 2  legge  regionale  30  aprile  1991,  n.  15  ha  efficacia
retroattiva,  avendo  operato  un'interpretazione   autentica   delle
previsioni dell'art. 15 legge reg. n. 78 cit.»  (cosi',  e  pluribus,
Cgars, 26 maggio 2021, n. 476; Id., 22 febbraio 2021, n. 134). 
    In sostanza,  alla  stregua  dell'orientamento  giurisprudenziale
odierno si ritiene, piu' o meno esplicitamente, che  la  legittimita'
costituzionale della valenza retroattiva dell'art. 2, comma 3,  della
legge regionale n. 15 del  1991  sia  ancorata  alla  possibilita'  -
invero a ben vedere insussistente - di qualificare la disposizione in
termini di norma di interpretazione autentica. 
    Essendo (testualmente)  escluso  (dallo  stesso  legislatore:  v.
supra, al § 12,  sub  n.  3),  come  si  e'  gia'  detto,  che  detta
interpretazione autentica possa aver riguardato  l'art.  32-33  della
legge regionale n. 37 del 1985, e' altresi'  agevole  verificare  che
quella del 1991 nemmeno puo' considerarsi, a  ben  vedere,  norma  di
interpretazione autentica della legge regionale n. 78 del 1976. 
    In base alla giurisprudenza costituzionale,  e'  disposizione  di
interpretazione autentica quella che: 
      e' «qualificata formalmente tale dallo stesso legislatore»; 
      «esprime, anche nella sostanza, un significato  appartenente  a
quelli  riconducibili  alla  previsione  interpretata   secondo   gli
ordinari criteri dell'interpretazione della legge»: «si crea cosi' un
rapporto duale tra le disposizioni, tale che  il  sopravvenire  della
norma  interpretativa  non  fa  venir  meno,  ne'   sostituisce,   la
disposizione interpretata, ma l'una e l'altra si saldano dando  luogo
ad un precetto normativo unitario»  (Corte  costituzionale  6  luglio
2020, n. 133). 
    In altre parole, perche' si tratti di  interpretazione  autentica
occorre che la norma interpretata sia «originariamente  connotata  da
un certo tasso di polisemia e quindi sia potenzialmente  suscettibile
di  esprimere  piu'  significati  secondo  gli  ordinari  criteri  di
interpretazione della legge»; solo cosi' «la norma che risulta  dalla
saldatura della disposizione interpretativa con  quella  interpretata
ha quel contenuto fin dall'origine  e  in  questo  senso  puo'  dirsi
retroattiva». 
    Pur essendo ricorrente  nella  giurisprudenza  costituzionale  il
principio  secondo  cui  il  legislatore  puo'  adottare  norme   che
precisino il significato di altre disposizioni, anche in mancanza  di
contrasti giurisprudenziali, occorre pero' che «la  scelta  «imposta»
dalla legge interpretativa rientri tra le possibili varianti di senso
del testo originario» (e pluribus: Corte costituzionale n.  133/2020,
cit.; 20 luglio 2018, n. 167; 30 gennaio 2018,  n.  15;  22  novembre
2000, n. 525). 
    Invece nel caso di specie non c'e' alcun dubbio  che  difetti  in
apicibus ogni incertezza circa  la  formulazione  della  disposizione
interpretata - ossia l'art. 15, I  comma,  lettera  a),  della  legge
regionale n. 78 del 1976 - giacche' essa, per quanto concerne i  suoi
destinatari (che erano certamente solo i comuni e non i privati), non
presenta alcun tasso di polisemia atto a consentirne, sul punto,  una
legittima interpretazione autentica. 
    Infatti, la  previsione  del  vincolo  («le  costruzioni  debbono
arretrarsi di metri 150 dalla battigia»), contenuto appunto nella sua
lettera a), e' preceduta  dalla  preclara  precisazione  secondo  cui
detta prescrizione e' stata dettata  esclusivamente  «Ai  fini  della
formazione  degli  strumenti  urbanistici  generali   comunali»:   il
precetto e' quindi  rivolto  solo  ai  comuni  e  certamente  non  ai
privati. 
    Depone  in  tal  senso  anche  la  giurisprudenza:   cfr.,   gia'
all'epoca, la ricordata sentenza di questo Consiglio 26  marzo  1991,
n. 99 (che e' l'unica rinvenibile pubblicata anteriormente alla legge
regionale 30 aprile 1991, n. 15), nel senso che l'art. 15 della legge
regionale n. 78 del 1976 abbia «una chiarissima  portata  letterale»,
che «non pone un diretto ed immediato vincolo di inedificabilita'  (o
di non modificabilita' anche qualitativa degli edifici  preesistenti)
nei pressi delle coste marine, ma vincola i  Comuni  a  conformarvisi
nella redazione dei futuri strumenti urbanistici»  (siffatta  esegesi
e' poi stata sempre ribadita: cfr. C.G.A.R.S., 2 giugno 1994, n. 171,
e 2 luglio 1997, n. 250). 
    Neppure potrebbe invocarsi  come  argomento  in  senso  contrario
quella  successiva  giurisprudenza  che  considera  scontato  che  la
disposizione del 1991 abbia valenza interpretativa dell'art. 15 della
legge regionale n. 78 del 1976 (come  gia'  C.G.A.R.S.,  21  febbraio
2000, n. 70,  e  25  maggio  2000,  n.  250,  e  quindi  varie  altre
successive), giacche' essa si limita a considerare il  (mero)  tenore
letterale dell'art.  2  della  legge  regionale  n.  15  del  1991  -
riferito, infatti, all'art. 15 della legge regionale n. 78 del  1976,
e non all'art. 32-33 della  legge  regionale  n.  37  del  1985:  «Le
disposizioni di cui all'art. 15, primo comma, lettera a), d),  ed  e)
della legge regionale 12 giugno 1976, n. 78, devono intendersi [...]»
- senza farsi (piu') carico di identificare quei sintomi di polisemia
della formulazione dell'art. 15, lettera a), della legge regionale n.
78  del  1976  che,  unicamente,  avrebbero   potuto   implicare   la
conformita' ai principi di un intervento di interpretazione autentica
(ossa  la  scelta  di  privilegiare  uno  dei  possibili  significati
oggettivamente insiti nella norma; mentre la pluralita' di  essi  qui
non c'era). 
    Paradigmatica, in tal senso, e' - conformemente a tutta  la  piu'
recente giurisprudenza -  l'apoditticita'  dell'affermazione  secondo
cui si tratta di un'interpretazione autentica  semplicemente  perche'
cosi'  (effettivamente!)  c'e'  scritto  nella   norma:   «E'   ormai
consolidato, quindi,  l'arresto  giurisprudenziale  secondo  cui  "Il
divieto di edificazione nella fascia di rispetto di 150  metri  dalla
battigia sancito dall'art. 15 legge regionale 12 giugno 1976, n.  78,
ha come destinatari, in  base  alle  successive  legge  regionale  30
aprile 1991, n. 15 (art. 2) e 31 maggio 1994, n.  17  (art.  6),  non
soltanto le amministrazioni comunali  in  sede  di  formazione  degli
strumenti urbanistici, ma anche i privati che intendano  procedere  a
lavori di  costruzione  entro  tale  fascia»  (cfr.  T.A.R.  Sicilia,
Palermo, Sez. III, 20 luglio 2009, n. 1328; Sez. III, 4 gennaio 2008,
n. 1; Sez. I, 9 ottobre 2008, n. 1251; Sez. III, 18 aprile  2007,  n.
1130; Sez. III, 4 ottobre 2006, n. 2019; Sez. I, 11 novembre 2002, n.
3817;  Sez.  I,   10   dicembre   2001,   n.   1854;   C.G.A.,   Sez.
Giurisdizionale, 19 marzo 2002, n.  158;  31  gennaio  1995,  n.  10"
(cosi', per tutti, C.G.A.R.S., 23 luglio 2018, n.  436  e  9  ottobre
2018, n. 554). 
    Non e' dato infatti trovare nella  giurisprudenza  piu'  recente,
pure di questo Consiglio,  alcuna  lettura  piu'  approfondita  della
portata letterale e sistematica dell'art. 15, lettera a), della legge
regionale n. 78 del 1976, atta a dar conto di quella  polisemia  che,
unicamente, potrebbe costituire il  presupposto  per  la  (legittima)
introduzione d'una norma di sua  interpretazione  autentica,  che  ne
giustifichi cioe' la portata retroattiva; all'opposto, anzi, nei casi
in cui detta indagine viene compiuta, la  giurisprudenza,  ancora  in
tempi piu' recenti, riconosce che, secondo la formulazione letterale,
«si tratta di una legge che quando fu approvata  intendeva  orientare
l'attivita' di pianificazione anche dei Comuni "sprovvisti" di  piani
regolatori, impartendo una direttiva "ai fini della formazione  degli
strumenti urbanistici"» (Cgars, 9 ottobre 2018, n. 554). 
    Nella maggior parte dei casi la giurisprudenza si limita peraltro
a tenere conto del solo dato normativo contenuto  nell'art.  2  della
legge regionale n. 15 del 1991, al fine di assicurare sin dall'inizio
la portata precettiva verso i privati, e non  solo  verso  i  comuni,
della prescrizione di cui alla lettera a) dell'art.  15  della  legge
regionale n. 78 del 1976. Ancora  recentemente  questo  Consiglio  ha
infatti ribadito che il divieto di edificazione  entro  i  150  metri
dalla battigia e' stato posto per la prima volta con l'art. 15  della
legge regionale 78/1976 ritenendo che pero' esso, «in base alla legge
regionale 30 aprile 1991, n. 15 (art. 2) e 31 maggio 1994 n. 17 (art.
6),  aveva   fin   dall'inizio   come   destinatari   non   solo   le
amministrazioni  comunali  in  sede  di  formazione  degli  strumenti
urbanistici ma anche i privati che intendevano procedere a lavori  di
costruzione entro detta fascia di rispetto» (Cgars, 26  maggio  2021,
n. 476; e, fra le molte altre, 22 febbraio 2021, n. 134). 
    Insomma, la giurisprudenza recente continua a interpretare l'art.
15, lettera a), della legge regionale n. 78 del 1976  nel  senso  che
esso vieti, rivolgendosi direttamente ai privati,  ogni  edificazione
nei 150 metri dalla battigia  (ma  sempre  facendo  perno  su  quanto
disposto dall'art. 2 della legge regionale n.  15  del  1991,  e  non
sulla formulazione della norma del 1976). 
    E, se non v'e' dubbio alcuno che tale divieto sussista,  continua
pero' a esser obliterata  la  spiegazione  (sia  in  chiave  di  mera
esegesi, sia in chiave di legittimita'  costituzionale)  del  come  e
perche' tale divieto possa applicarsi  retroattivamente  rispetto  al
1991. 
    14. Un ulteriore dato testuale e sistematico conferma la  lettura
prospettata, circa l'insostenibilita' delle tesi secondo  cui  l'art.
15, lettera a), della primigenia  legge  regionale  n.  78  del  1976
potesse avere come destinatari non solo i comuni, ma anche i privati. 
    Si e' gia' visto come l'art. 15 di detta legge  regionale  n.  78
del 1976 contenga cinque precetti - quelli di cui  alle  lettere  a),
b), c), d), ed e) - a cui corrispondono altrettante limitazioni:  sia
in termini di obblighi di arretramento (cfr. lettere a), d), e),  sia
in termini di limiti alla densita' territoriale (cfr. lettera b), c). 
    E si e' anche chiarito che, in  termini  grammaticali  e  logici,
ciascuno di  tali  precetti  sia  intrinsecamente  e  necessariamente
integrato dall'incipit dell'unico comma dell'art. 15. 
    Orbene, la legge n. 15 del 1991, mentre interpreta le clausole di
cui alle lettere a), d) ed e),  lascia  inalterate  quelle  contenute
nelle lettere b) («entro la profondita' di mt  500  a  partire  dalla
battigia l'indice di densita' territoriale massima e' determinati  in
0,75 mc/mq») e c) («nella fascia comprensiva tra i 500 e i  1.000  m.
dalla battigia l'indice di densita' edilizia territoriale massima, e'
determinata in 1,50 mc/mq»). 
    Cio', astrattamente, potrebbe significare o che anche  le  ultime
due disposizioni fossero originariamente rivolte ai  privati;  o  che
queste due disposizioni fossero efficaci solo  per  i  comuni  e  che
l'intervento, pretesamente interpretativo, del legislatore  del  1991
abbia voluto mantenere tale (piu' limitata) efficacia soggettiva. 
    Senonche' la prima di  tali  interpretazioni  (ossia  l'efficacia
diretta e immediata verso i privati) e' certamente  da  escludere  in
ragione del  fatto  che  nelle  aree  non  regolate  dagli  strumenti
urbanistici e al di fuori dei centri abitati,  l'indice  di  cubatura
ammessa e' di 0.03 mc./mq. (ai sensi dell'art. 4, ultimo comma, della
legge n. 10 del 1977). 
    Sicche' gli indici previsti dalle lettere b) e  c)  dell'art.  15
non   possono   che   considerarsi   operanti   come   limiti    alle
amministrazioni   comunali    nella    pianificazione    urbanistica:
necessariamente derivandone che i divieti contemplati in questa parte
dell'art. 15 (lettere b e c) sono rivolti ai soli enti locali,  senza
possibilita' di loro immediata efficacia verso i privati. 
    Quale ulteriore  corollario  di  cio',  e'  dunque  evidente  che
l'unitaria formulazione dell'art. 15 non  consente  di  ritenere  che
alcuni dei  divieti  stabiliti  dall'art.  15  fossero  (in  origine)
rivolti ai Comuni, e altri (lettere a, d, e) potessero esserlo  anche
ai privati. Sarebbe infatti assurdo postulare che - alla stregua  del
testo originario della legge regionale n. 78 del 1976  (ossia  quello
anteriore alla c.d. interpretazione autentica forzatamente  operatane
dalla legge regionale n. 15 del 1991) - solo per la relativa  lettera
a) si potesse giungere a conclusione opposta, in  punto  di  soggetti
destinatari del precetto, rispetto alle altre lettere contenute nello
stesso comma (tutte, lo si ripete, soggette al medesimo incipit). 
    Sicche' si deve riconoscere  come  l'intero  art.  15  fosse  (in
origine) indirizzato solo agli enti locali (come da incipit: «Ai fini
della formazione degli strumenti urbanistici generali») e che solo in
conseguenza dell'intervento del legislatore  del  1991  (e,  percio',
dopo di allora) una parte di esso abbia acquisito  efficacia  diretta
nei riguardi dei privati. 
    - L'art. 15 della legge  regionale  n.  78  del  1976  prescrive,
dunque,  ai  soli  comuni  di  recepire  nei  P.R.G.  il  vincolo  di
inedificabilita' assoluta nei 150 metri dalla battigia, dato che  "il
contenuto precettivo  di  una  legge  deve  anzitutto  evincersi  dal
«significato proprio delle parole secondo la  connessione  di  esse»,
anche alla luce dei lavori preparatori, in quanto utili a ricostruire
l'«intenzione   del   legislatore»   (art.   11   Preleggi)"   (Corte
costituzionale 5 giugno 2023 n. 110): e si e' gia' visto  che,  nella
specie, i lavori preparatori - come il tenore letterale della  norma;
e, anzi, ancor piu' di esso - dimostrano  l'originaria  insussistenza
di ogni vincolo per i soggetti privati. 
    Nell'ambito  delle   varianti   di   senso   della   disposizione
interpretata non puo' dunque rientrare -  poiche'  ivi  mancava  ogni
riferimento, sia letterale, sia teleologico, in tale direzione  -  il
significato  che  la  disposizione  interpretativa  ha   cercato   di
attribuirle. 
    L'art. 2, comma 3, della legge regionale  n.  15  del  1991  reca
infatti una scelta del tutto nuova, cioe' quella che  il  vincolo  di
inedificabilita' nei 150  metri  dalla  battigia  sia  rivolto  anche
direttamente al privato, cio' che  non  rientrava  fra  le  possibili
varianti di senso del testo originario: mancando cosi' il presupposto
per poter qualificare detto art. 2, comma 3, in termini di  norma  di
legittima interpretazione autentica dell'art. 15, lettera  a),  della
legge regionale n.  78  del  1976,  che  potesse  avere,  come  tale,
efficacia  retroattiva  legittima  (cfr.  Corte  costituzionale   nn.
133/2020, 167/2018, 15/2018 e 525/2000, citt.). 
    15. L'art. 2, comma 3, in quanto privo dei caratteri di legge  di
interpretazione autentica, deve dunque considerarsi alla  stregua  di
una norma innovativa, che  abbia  inteso  auto-attribuirsi  efficacia
retroattiva (ma illegittimamente, come si vedra' infra). 
    Come  gia'  detto,  infatti,  l'art.  2,  comma  3,  della  legge
regionale n. 15 del 1991 dispone che le cit.  disposizioni  del  1976
introduttive del vincolo «devono intendersi» -  retroattivamente,  si
e' voluto affermare - come rivolte  «direttamente  e  immediatamente»
anche ai privati. 
    Invero, pero', tale efficacia diretta verso i privati la norma di
cui alla lettera a) non puo' che averla acquisita dal  1991,  giammai
retroattivamente e sin dal 1976; giacche' la norma  sopravvenuta  nel
1991 ha aggiunto, a quella che pretenderebbe di aver interpretato, un
significato  nuovo,  incompatibile  con  quelli  che  essa  aveva  in
origine. 
    Cio' perche' la disposizione interpretanda  non  era,  come  gia'
visto, originariamente connotata, in proposito,  da  alcun  tasso  di
polisemia; giacche' essa non aveva piu' significati,  uno  dei  quali
potesse essere imposto dalla disposizione interpretativa. 
    16. La circostanza che una  disposizione  retroattiva  non  abbia
natura interpretativa puo' essere sintomo di un uso  improprio  della
funzione legislativa di interpretazione autentica; il che, se non  la
rende per cio' solo incostituzionale, incide pero' sull'ampiezza  del
sindacato che codesta Corte deve svolgere sulla norma a  causa  della
sua retroattivita'. 
    Cio' in quanto, da un lato, un'interpretazione adeguatrice sembra
possibile e corretta; nonche',  dall'altro  lato,  perche'  non  v'e'
dubbio che le norme incostituzionali - quale il Collegio ritiene  che
sia  quella  conseguente  all'efficacia  retroattiva  del   combinato
disposto delle due pluricitate leggi regionali del 1976 e  del  1991,
come postulata dalla giurisprudenza consolidata - sono  vigenti  solo
apparentemente (o, comunque, solo precariamente), perche' destinate a
essere caducate (retroattivamente, per i numerosi rapporti  giuridici
non ancora esauriti) nella competente Sede che qui si evoca. 
    17. Una volta  chiarito  che  l'art.  2,  comma  3,  della  legge
regionale n. 15 del 1991 non esprime alcun significato oggettivamente
incluso tra quelli ricompresi nella (o riconducibili alla) previsione
originariamente recata dall'art. 15 della legge regionale n.  78  del
1976, per totale difetto di ogni polisemia circa  i  destinatari  del
precetto di tale  ultima  disposizione,  resta  solo  da  spiegare  -
esclusane la legittimita' di un'interpretazione autentica - che  essa
neppure potesse  essere  fatta  oggetto  di  legittima  modificazione
retroattiva. 
    E'  certamente   ben   noto   come,   anche   fuori   dal   campo
dell'interpretazione  autentica,  l'ordinamento   costituzionale   in
astratto non precluda al legislatore in modo  assoluto  (se  non  che
nella materia penale: e, anche  li',  essenzialmente  solo  in  malam
partem) di legificare retroattivamente: e  pero'  tali  ipotesi  sono
assoggettate al c.d. «scrutinio stretto»  della  loro  compatibilita'
costituzionale, il quale non e' limitato cioe'  alla  verifica  della
«mera assenza di scelte normative  manifestamente  irragionevoli,  ma
[postula] ... l'effettiva sussistenza di giustificazioni  ragionevoli
dell'intervento legislativo» retroattivo (cosi' Corte  costituzionale
13 giugno 2022, n. 145; nonche', e plurimis, 9 maggio 2019, n. 108, e
13 luglio 2017, n. 173). 
    Orbene, al Collegio pare preclaro che nella concreta e  specifica
vicenda giuridica in esame - mediante l'introduzione, nel 1991, di un
nuovo  precetto  (oggettivamente  non  riconducibile  a  un'effettiva
vicenda di legittima interpretazione autentica) che  in  sostanza  ha
istituito retroattivamente un vincolo assoluto  sulle  zone  costiere
della Sicilia  (che  invece,  fino  al  1991,  certamente  non  erano
vincolate in tal guisa) - il legislatore regionale abbia travalicato,
e  dunque  violato,  i  limiti  costituzionali   di   una   legittima
retroazione delle sopravvenute disposizioni legislative. 
    Invero, il divieto di retroattivita' della legge posto  dall'art.
11 delle disposizioni preliminari al codice civile, pur integrando un
fondamentale  principio  di  civilta'  giuridica,  non  ha   tuttavia
nell'ordinamento quella  tutela  privilegiata  che  l'art.  25  della
Costituzione gli riserva nella materia penale. 
    Ne consegue che il legislatore, nel rispetto di tale disposizione
costituzionale,  puo'  approvare  anche  disposizioni  con  efficacia
retroattiva, purche' la retroattivita' trovi adeguata giustificazione
nell'esigenza  di  tutelare  principi,  diritti  e  beni  di  rilievo
costituzionale (e plurimis, Corte costituzionale 4  luglio  2013,  n.
170). 
    I valori costituzionali che si impongono, pero', sono  quelli  di
tutela  dell'affidamento  dei  consociati  e  di  certezza  dei  loro
rapporti giuridici. 
    L'interpretazione  imposta  dal  legislatore,   assegnando   alla
disposizione interpretata un significato  in  essa  non  contenuto  -
ossia   travalicando   i   limiti    dell'effettiva    e    legittima
interpretazione autentica - esige, in particolare, un piu' stringente
sindacato sull'apprezzamento sia della sua ragionevolezza, sia  della
configurabilita' di  una  lesione  dell'affidamento  dei  destinatari
(Corte costituzionale n. 108 del 2019, cit., e  12  aprile  2017,  n.
73). 
    Le   leggi   retroattive   devono   infatti   trovare   «adeguata
giustificazione sul piano della ragionevolezza attraverso un puntuale
bilanciamento tra le ragioni che ne hanno motivato la previsione e  i
valori, costituzionalmente tutelati, al contempo potenzialmente  lesi
dall'efficacia a ritroso della norma adottata» (Corte  costituzionale
n. 73 del 2017, cit.). 
    Tra i limiti che la giurisprudenza costituzionale ha  individuato
all'ammissibilita' di leggi con effetto retroattivo  in  questa  sede
rileva particolarmente - nell'ambito dei principi e interessi  incisi
dall'efficacia retroattiva dell'intervento legislativo  regionale  in
questione  -  l'affidamento   legittimamente   sorto   nei   soggetti
interessati  alla  stabile  applicazione  della  disciplina  che   si
vorrebbe retroattivamente modificare. 
    Tale  legittimo  affidamento,  che  fa  perno  sul  valore  della
certezza del diritto,  trova  copertura  costituzionale  nell'art.  3
della Costituzione ed e' ritenuto «principio connaturato  allo  Stato
di diritto» (Corte costituzionale n. 73 del 2017, n.  170  del  2013,
citt., 27 giugno 2013, n. 160, 5 aprile 2012,  n.  78,  e  11  giugno
2010, n. 209). 
    Su tali premesse, pare difficilmente superabile lo  scrutinio  di
ragionevolezza con riguardo a una legge regionale (appunto l'art.  2,
comma 3, della legge regionale n.  15  del  1991)  che,  non  essendo
rettamente qualificabile come interpretativa  di  quella  previgente,
abbia   inteso   introdurre   retroattivamente    un    vincolo    di
inedificabilita' assoluta anteriormente inesistente: tale  scrutinio,
infatti, «impone un grado  di  ragionevolezza  complessiva  ben  piu'
elevato di quello  che,  di  norma,  e'  affidato  alla  mancanza  di
arbitrarieta'» (Corte costituzionale n. 108 del 2019, cit.). 
    Come si e' gia' detto, sarebbe richiesta non gia' la mera assenza
di  scelte  normative  manifestamente  arbitrarie,   ma   l'effettiva
sussistenza   di    giustificazioni    ragionevoli    dell'intervento
legislativo, poiche' la normativa retroattiva incide sulla  «certezza
dei  rapporti  preteriti»,  nonche'  sul  legittimo  affidamento  dei
soggetti interessati (Corte costituzionale 23 dicembre 1997, n. 432). 
    Un tale rigoroso controllo dovrebbe verificare, in  primo  luogo,
se sussistano solide motivazioni che  hanno  guidato  il  legislatore
regionale; e se esse trovino, comunque, «adeguata giustificazione sul
piano della ragionevolezza» (e plurimis, Corte costituzionale  n.  73
del 2017, cit., 10 giugno 2016, n. 132, e  2  aprile  2014,  n.  69),
anche in considerazione delle circostanze  di  fatto  e  di  contesto
entro cui l'intervento legislativo e' maturato. E allora,  pur  senza
pretermettere la doverosa considerazione  del  grande  rilievo  delle
esigenze di tutela delle coste siciliane - ma, come si e' gia'  visto
(supra, al § 3), neppure  era  questa  la  finalita'  dichiaratamente
perseguita in origine dal legislatore siciliano del  1976  -  risulta
palese che il risultato  dell'intervento  legislativo  del  1991  sia
comunque trasmodato in una regolazione arbitrariamente retroattiva di
situazioni  soggettive  gia'  sorte,  cosi'  violando  il   legittimo
affidamento dei destinatari della disciplina originaria (ossia quella
ininterrottamente in essere dal 1976 al 1991) e percio', anche  sotto
questo profilo, l'art. 3 della Costituzione. 
    Se e' vero che nessun legittimo affidamento  puo'  vantare  colui
che realizzi un'opera sine titulo, deve ritenersi che tale  legittimo
affidamento  per  contro  sorga  allorquando  venga  introdotta   una
normativa condonistica: dovendo il soggetto che presenti una  domanda
di condono, e la relativa controparte contrattuale, essere  in  grado
di comprendere se l'istanza sia suscettibile o meno di  accoglimento,
con un giudizio di  prognosi  postuma,  sulla  base  della  normativa
vigente  al  momento  dell'entrata  in  vigore  di   tale   normativa
condonistica,  o  al  piu'  di  quella  vigente  al   momento   della
presentazione della domanda. 
    Ancor piu' opinabile, poi, e' la compatibilita' costituzionale di
una norma retroattiva (e preclusiva  della  condonabilita')  che  sia
introdotta - com'e' accaduto  nella  specie  -  addirittura  dopo  lo
spirare del termine di legge per la formazione  del  silenzio-assenso
sulle istanze di condono gia' presentate (ex art.  35,  XVIII  comma,
legge n. 47 del 1985). 
    Percio' il Collegio ritiene che la disciplina retroattiva de  qua
abbia inciso in modo costituzionalmente illegittimo  sull'affidamento
dei destinatari della regolazione originaria, anche considerando  gli
elementi  ai  quali  la  giurisprudenza  costituzionale   attribuisce
rilievo al fine appunto di scrutinarne  la  legittimita',  ossia:  il
tempo  trascorso   dal   momento   della   definizione   dell'assetto
regolatorio originario a quello in cui tale assetto viene mutato  con
efficacia retroattiva (Corte costituzionale 26 aprile 2018, n. 89, 1°
dicembre 2017, n. 250, n. 108 del 2016, cit.,  5  novembre  2015,  n.
216, e 31 marzo 2015, n. 56), cio' che chiama in causa  il  grado  di
consolidamento   della    situazione    soggettiva    originariamente
riconosciuta  e  poi   travolta   dall'intervento   retroattivo;   la
prevedibilita'   della    modifica    retroattiva    stessa    (Corte
costituzionale 24 gennaio 2017, n. 16, e n. 160 del 2013,  cit.);  la
proporzionalita' dell'intervento  legislativo  che  eventualmente  lo
comprima (in particolare, Corte costituzionale  20  maggio  2016,  n.
108). 
    Nel caso di  specie  va  debitamente  considerato  che  la  norma
interpretata e' del 1976 e la norma di interpretazione  autentica  e'
invece del 1991. 
    L'imprevedibilita' del contenuto della  disposizione  di  pretesa
interpretazione sconta il (gia' rimarcato) preclaro tenore  letterale
(di segno palesemente opposto) della disposizione interpretanda. 
    Inoltre,   la   proporzionalita'   della    retroazione    insita
nell'intervento legislativo del 1991  necessita  di  essere  misurata
anche rispetto alle facolta' edificatorie dei  privati,  ivi  incluse
quelle rinvenienti dalla conseguibilita', nella  specie  (e  fino  al
1991), del titolo edilizio postumo, ex art. 13 legge n. 47 del 1985. 
    Nella specie, la  retroattivita'  della  disposizione  censurata,
conseguente alla dichiarata (ma solo apparente) sua natura  di  norma
di interpretazione autentica, svela piuttosto l'intrinseco difetto di
ragionevolezza di  essa,  nella  misura  in  cui  stabilisce  che  un
precetto, evidentemente destinato in origine solo ai comuni, sia  poi
rivolto ex tunc anche ai privati, rimasti del tutto ignari, fino alla
legge di pretesa interpretazione autentica, dell'obbligo di osservare
la prescrizione vincolistica anche ne i comuni rimasti  inerti.  Cio'
che e'  tanto  piu'  rilevante  se  si  considera  come  gli  effetti
dell'inadempimento di detto obbligo assumano  caratteri  di  gravita'
sulle  sorti  dell'attivita'  edificatoria  e,  ancor   piu',   sulla
successiva commerciabilita' dei cespiti (a condono pendente e,  ancor
piu', a silenzio-assenso gia' formatosi). 
    Nel caso di specie, in altre parole, emerge non gia'  la  ricerca
di una variante di senso compatibile  con  il  tenore  letterale  del
testo  interpretato,  bensi'  la  volonta'  legislativa  di   elidere
retroattivamente, e imprevedibilmente, l'area dell'attivita' edilizia
sulle coste siciliane (in origine sostanzialmente legittima, giacche'
solo formalmente illegittima). 
    Il  succedersi  di  frammentarie  e   contraddittorie   modifiche
legislative di testi normativi, nella  specie  a  distanza  di  molti
anni, rende «la legislazione caotica e di difficile  intellegibilita'
per i cittadini e per ogni operatore giuridico (in termini  analoghi,
gia' la sentenza n.  76  del  2023),  con  possibili  ricadute  sulla
ragionevolezza stessa delle disposizioni, se foriere di intollerabile
incertezza nella loro applicazione concreta» (Corte costituzionale  5
giugno 2023, n. 110). 
    «Il che e' ancor  piu'  allarmante  in  materie  -  quali  quella
dell'edilizia e dell'urbanistica -  che  non  solo  hanno  un  chiaro
rilievo sul piano economico, ma  hanno  altresi'  ricadute  su  altri
interessi costituzionali di primario rilievo, quali l'ambiente  e  il
paesaggio» (Corte costituzionale 18 luglio 2023, n. 147). 
    Vi  sono  infatti  requisiti   minimi   di   intelligibilita'   e
prevedibilita' del precetto che rappresentano presupposti basilari di
razionalita'  dell'azione  legislativa.  Nel  caso  di   specie,   la
previsione di cui all'art. 2, comma 3, della legge  regionale  n.  15
del 1991 introduce nella formulazione  letterale  della  disposizione
interpretanda un elemento di (imprevedibile) novita' circa i soggetti
destinatari del vincolo  di  inedificabilita',  rispetto  all'opposto
contesto normativo in cui la disposizione era  stata  originariamente
introdotta,  che  rende  incerta  la  condotta   dei   privati:   con
conseguente pregiudizio della sicurezza giuridica del  cittadino,  di
ogni affidamento del commercio giuridico (si ricordi che  il  cespite
e' certamente alienabile in pendenza di una domanda  di  condono:  la
quale, peraltro, dal 1985 al 1991 - ossia ove fosse stata  scrutinata
nei termini di legge - avrebbe ben dovuto essere accolta e, anzi, nel
1991, essa risultava gia' normativamente accolta  per  silentium)  e,
dunque, in violazione di quei canoni di coerenza delle norme che sono
anche estrinsecazione del principio di uguaglianza di cui all'art.  3
della Costituzione (Corte costituzionale 5 giugno 2023, n. 110). 
    Il susseguirsi delle disposizioni normative  richiamate,  con  il
connotato di (oggettiva) novita' introdotto con la  disposizione  del
1991,  pone  infatti  il  suo  destinatario  «nell'impossibilita'  di
rendersi conto del comportamento doveroso cui attenersi  per  evitare
di  soggiacere  alle  conseguenze  della  sua  inosservanza»   (Corte
costituzionale 5 giugno 2023, n. 110). 
    L'esigenza di rispetto di standard minimi di intelligibilita' del
significato  delle  proposizioni  normative,  e  conseguentemente  di
ragionevole  prevedibilita'  della  loro   applicazione,   va   certo
assicurata - non solo e con particolare rigore nella materia  penale,
dove e' in gioco la liberta' personale del consociato,  nonche'  piu'
in generale allorche' la legge conferisca all'autorita'  pubblica  il
potere di limitare i suoi diritti fondamentali,  come  nella  materia
delle misure di prevenzione  -  ma  anche  rispetto  alle  norme  che
regolano la generalita' dei rapporti tra la pubblica  amministrazione
e i  cittadini,  ovvero  i  rapporti  reciproci  tra  questi  ultimi:
«[a]nche in questi ambiti, ciascun consociato ha un'ovvia aspettativa
a che la legge  definisca  ex  ante,  e  in  maniera  ragionevolmente
affidabile, i limiti  entro  i  quali  i  suoi  diritti  e  interessi
legittimi potranno trovare tutela, si' da poter  compiere  su  quelle
basi le proprie  libere  scelte  d'azione»  (Corte  costituzionale  5
giugno 2023, n. 110). 
    Non e' quindi manifestamente infondato, oltre a essere rilevante,
il dubbio di costituzionalita' dell'art.  2,  comma  3,  della  legge
regionale n. 15 del 1991, nella parte in cui retroattivamente reca il
contenuto innovativo di  cui  si  e'  detto,  per  contrasto  con  il
principio  costituzionale  fondamentale  di  ragionevolezza,  di  cui
all'art. 3, comma 1, della Costituzione. 
    18. Gia' Corte costituzionale 22 novembre  2000,  n.  525,  aveva
chiarito  che  i  limiti  alla  retroattivita'  delle   norme   vanno
individuati non solo nella materia  penale,  ma  anche  nei  principi
generali di ragionevolezza e di  uguaglianza,  in  quello  di  tutela
dell'affidamento posto nella certezza  (e,  si  vorrebbe  aggiungere,
nella stabilita' e coerenza) dell'ordinamento  giuridico:  la  stessa
Corte, con specifico riferimento  al  principio  di  affidamento  del
cittadino  nella  sicurezza  giuridica,  ha  riconosciuto  che   tale
principio, in quanto «elemento essenziale dello Stato di diritto, non
puo' essere leso  da  norme  con  effetti  retroattivi  che  incidano
irragionevolmente su situazioni regolate da leggi precedenti». 
    Infine, Corte costituzionale 10 marzo 2022, n. 61, ha evidenziato
(con  riferimento  a  una  legge  regionale  siciliana   in   materia
elettorale) come la vincolante attribuzione alla norma (pretesamente)
interpretata  di  un  significato  non  desumibile  dal   suo   testo
originario, che dia adito alla mera produzione di effetti  regolatori
retroattivi  e  alla  conseguente  violazione  dell'affidamento   dei
cittadini,    determini    l'illegittimita'    costituzionale,    per
irragionevolezza, della norma asseritamente interpretativa. 
    19. Sta di fatto, per quanto qui rileva, che dal 1991 non e'  mai
stata  sollevata  -  ma,  si  ritiene,  in  difetto  di  un  adeguato
approfondimento esplicito della tematica  -  l'odierna  questione  di
legittimita' costituzionale: come se,  all'opposto  di  quanto  opina
questo  Collegio,  non  fosse  dato  dubitare  della  conformita'   a
Costituzione di un vincolo nato nel 1991, ma riferito  agli  immobili
realizzati dopo il 1976; ne' di un'esclusione dal condono tombale del
1985 di quanto era stato costruito in aree  (allora)  non  vincolate;
ne' di scrivere nel 1991  come  debba  leggersi  la  legge  del  1976
(letteralmente preclara, ma in senso opposto). 
    Seppure finora mai sottoposta al giudizio del giudice delle leggi
- subliminalmente, forse, per l'idea che  avrebbe  dovuto  altrimenti
essere accolta - la questione a volte  fu  elusa  mediante  soluzioni
particolari, che pero' esprimono l'insoddisfazione per la  draconiana
tesi dominante: dall'onere della prova dell'epoca di  ultimazione,  a
quello   della   distanza    dalla    battigia;    dalla    rilevanza
dell'urbanizzazione di fatto dell'area (con  cui  si  e'  cercato  di
supplire ai difetti di corrette perimetrazioni delle zone A  e  B  di
PRG, normativamente estranee al vincolo come si e' gia' chiarito), al
difetto di lesione paesaggistica promanante  dagli  edifici  (ubicati
entro i 150 metri, ma) realizzati in seconda, terza o ulteriore  fila
dal mare rispetto ad altri gia' condonati. 
    Viceversa, ritiene il Collegio che la via maestra da seguire  sia
quella di rimettere alla Corte costituzionale di far chiarezza  sulla
legittimita'   di   un   vincolo   di    inedificabilita'    assoluta
retroattivamente  imposto:  perche',  scevra   da   ogni   espediente
argomentativo, questa si  ritiene  essere  la  sostanza  giuridica  e
sociologica della tematica in discorso. 
    20. In conclusione, il giudizio d'appello va sospeso, ai sensi  e
per gli effetti di cui agli articoli 79 e 80 c.p.a. e 295 c.p.c., per
rimettere alla Corte  costituzionale,  previa  declaratoria  di  loro
rilevanza e non manifesta infondatezza, le questioni di  legittimita'
costituzionale illustrate supra e di cui in dispositivo. 
    21. E' riservata al  definitivo  ogni  ulteriore  statuizione  in
rito, in merito e sulle spese. 

 
                               P.Q.M. 
 
    Il  Consiglio  di  Giustizia  amministrativa   per   la   Regione
Siciliana, in sede giurisdizionale: 
      1)  dichiara  rilevante  e  non  manifestamente  infondata   la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 3,  della
legge regionale siciliana 30 aprile 1991, n. 15 - quanto alle  parole
«devono intendersi» (anziche' «sono»); e, comunque,  nella  parte  in
cui detto comma 3 estende anche al periodo anteriore alla sua entrata
in vigore l'efficacia dell'interpretazione autentica da esso dettata,
ossia impone la retroazione  del  precetto  di  diretta  e  immediata
efficacia anche nei confronti dei privati delle «disposizioni di  cui
all'art. 15, prima comma, lettera a, ...  della  legge  regionale  12
giugno 1976, n. 78» sin dalla data di  entrata  in  vigore  di  detta
legge regionale n. 78 del 1976, anziche' dalla  data  di  entrata  in
vigore della stessa legge n. 15 del 1991  -  per  travalicamento  dei
limiti connaturati alla retroattivita' delle leggi e  per  violazione
dei principi di proporzionalita' e ragionevolezza di cui all'art.  3,
comma 1, e dell'art. 97, comma 2, della Costituzione, oltre  che  per
gli  ulteriori   profili   indicati   in   parte   motiva   (e   ivi,
specificamente, al § 12); 
      2) in via subordinata, dichiara rilevante e non  manifestamente
infondata  la  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
32-33, comma 11 (gia' 10), ultima proposizione, introdotto in Sicilia
dall'art. 23 della legge regionale siciliana 10 agosto 1985,  n.  37,
per violazione dei principi di proporzionalita' e  ragionevolezza  di
cui all'art. 3, comma 1, della Costituzione,  nei  sensi  di  cui  in
motivazione e per gli ulteriori profili ivi indicati; 
      3)sospende il presente giudizio, ai sensi dell'art.  79,  comma
1, c.p.a.; 
      4)  riserva   all'esito   della   questione   di   legittimita'
costituzionale,  sollevata  in  via  incidentale  con   la   presente
ordinanza,  ogni  statuizione  in  rito,  in  merito  e  sulle  spese
(ulteriore a quelle assunte con la sentenza non definitiva di cui  in
epigrafe); 
      5) ordina alla Segreteria l'immediata trasmissione  degli  atti
alla Corte costituzionale; 
      6) ordina alla Segreteria di notificare la presente ordinanza a
tutte le parti in causa, di comunicarla al Presidente  della  Regione
Siciliana,  al  Presidente  dell'Assemblea  regionale  siciliana,  al
Presidente del Consiglio dei ministri, al Presidente del Senato della
Repubblica e al Presidente della Camera dei deputati. 
    Cosi' deciso in Palermo nella camera di consiglio del  giorno  20
giugno 2023 con l'intervento dei magistrati: 
      Ermanno de Francisco, Presidente, estensore; 
      Sara Raffaella Molinaro, consigliere; 
      Giuseppe Chine', consigliere; 
      Giovanni Ardizzone, consigliere; 
      Antonino Caleca, consigliere. 
 
               Il Presidente - estensore: de Francisco