Reg. ord. n. 148 del 2024 pubbl. su G.U. del 21/08/2024 n. 34

Ordinanza del Tribunale di Lucca  del 26/06/2024

Tra: Pubblico Ministero C/ G. G. e altri



Oggetto:

Stato civile – Filiazione – Procreazione medicalmente assistita (PMA) – Stato giuridico dei nati a seguito di pratiche di PMA – Preclusione dell’attribuzione al nato nell’ambito di un progetto di procreazione medicalmente assistita eterologa, praticata (all’estero) da una coppia di donne, dello status di figlio riconosciuto anche dalla c.d. madre intenzionale che, insieme alla madre biologica, abbia prestato il consenso alla pratica fecondativa – Cancellazione dall’atto di nascita del riconoscimento compiuto dalla madre intenzionale – Violazione del diritto del minore all’inserimento e alla stabile permanenza nel proprio nucleo familiare, inteso come formazione sociale – Lesione del diritto del minore all’identità personale – Violazione del principio di eguaglianza conseguente alla discriminazione del nato all’esito di percorso di P.M.A. intrapreso, all’estero, da una coppia di donne in ragione delle caratteristiche della relazione (omosessuale) dei genitori – Denunciato effetto di legittimazione della categoria di “nati non riconoscibili”, in violazione del principio di unicità dello status di figlio – Violazione del principio di eguaglianza sotto il profilo del diritto alla bigenitorialità – Violazione del principio di eguaglianza sostanziale per la mancata rimozione di ostacoli al pieno sviluppo della personalità dei componenti della coppia di donne omosessuali in relazione al loro riconoscimento come genitori del nato da fecondazione eterologa dell’una con il consenso dell’altra – Violazione del principio di eguaglianza rispetto alla trascrivibilità dell’atto di nascita formato all’estero dei nati da coppie di donne omosessuali – Discriminazione tra i nati, in Italia, in relazione alla condizione di opposizione o meno del rifiuto dell’Ufficiale dello stato civile ovvero dell’impugnazione, o meno, dell’atto formato con l’indicazione della madre intenzionale – Violazione dei diritti e dei doveri nei confronti dei figli, anche nati fuori dal matrimonio – Violazione del principio della salvaguardia del miglior interesse del minore – Contrasto con le norme internazionali e sovranazionali che tutelano e garantiscono l’interesse del minore.  



Norme impugnate:

legge  del 19/02/2004  Num. 40  Art.

legge  del 19/02/2004  Num. 40  Art.

codice civile  Art. 250 



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art.

Costituzione  Art.  Co.

Costituzione  Art.  Co.

Costituzione  Art. 30   Co.

Costituzione  Art. 30   Co.

Costituzione  Art. 31 

Costituzione  Art. 117   Co.

Convenzione per la salvaguardia diritti dell'uomo e libertà fondamentali  Art.

Convenzione per la salvaguardia diritti dell'uomo e libertà fondamentali  Art. 14 

Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea  Art. 24 

Convenzione di New York sui diritti del fanciullo  Art.

Convenzione di New York sui diritti del fanciullo  Art.

Convenzione di New York sui diritti del fanciullo  Art.

Convenzione di New York sui diritti del fanciullo  Art.

Convenzione di New York sui diritti del fanciullo  Art.

Convenzione di New York sui diritti del fanciullo  Art.

Convenzione di New York sui diritti del fanciullo  Art.

Convenzione di New York sui diritti del fanciullo  Art. 18   ratificata e resa esecutiva

legge  del 27/05/1991  Num. 176

Convenzione europea di Strasburgo sull'esercizio dei diritti dei fanciulli  Art.

Convenzione europea di Strasburgo sull'esercizio dei diritti dei fanciulli  Art.  ratificata e resa esecutiva

legge  del 20/03/2003  Num. 77



Udienza Pubblica del 26 febbraio 2025 rel. PATRONI GRIFFI


Testo dell'ordinanza

N. 148 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 giugno 2024

Ordinanza del 26 giugno 2024  del  Tribunale  di  Lucca  sul  ricorso
proposto dal Pubblico Ministero nei confronti di G. G. e altri . 
 
Stato civile - Filiazione - Procreazione medicalmente assistita (PMA)
  - Stato  giuridico  dei  nati  a  seguito  di  pratiche  di  PMA  -
  Preclusione dell'attribuzione al nato nell'ambito di un progetto di
  procreazione   medicalmente    assistita    eterologa,    praticata
  (all'estero) da  una  coppia  di  donne,  dello  status  di  figlio
  riconosciuto anche dalla c.d. madre intenzionale che, insieme  alla
  madre  biologica,  abbia  prestato   il   consenso   alla   pratica
  fecondativa - Cancellazione dall'atto di nascita del riconoscimento
  compiuto dalla madre intenzionale. 
- Legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme  in  materia  di  procreazione
  medicalmente assistita), artt. 8 e 9; codice civile, art. 250. 


(GU n. 34 del 21-08-2024)

 
                 TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI LUCCA 
 
    Il  Tribunale  in  composizione  collegiale  nelle  persone   dei
seguenti magistrati: 
      dott. Gerardo Boragine, Presidente relatore 
      dott.ssa Alice Croci, Giudice relatore estensore 
      dott.ssa Maria Giulia D'Ettore, Giudice relatore estensore 
    nel procedimento iscritto  al  n.  r.g.  2547/2023  promosso  da:
Procura della Repubblica presso il Tribunale di             ; 
    Ricorrente 
    contro 
      G G (C. F.             ) ed I P (C.F.            ), anche nella
qualita' di esercenti la responsabilita' genitoriale sui minori  G  G
P. (C.F.            ) e L P G (C.F.            ), con  il  patrocinio
dell'Avv. Vincenzo Miri, elettivamente domiciliate presso  lo  studio
dello stesso in Roma - Via Gregoriana 54,  giusta  procura  in  calce
alla comparsa di costituzione e risposta; 
      e nei confronti di             , in persona  del  Ministro  pro
tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura  Distrettuale
dello Stato di Firenze, presso i cui uffici in Firenze  -  Via  Degli
Arazzieri 4 e' legalmente domiciliato; 
    Sindaco pro tempore del Comune di             ,  (C.F.           
), con il patrocinio dell'Avv.  Monnalisa  Terziani,  dell'Avvocatura
interna dell'ente, presso i cui uffici in             e' domiciliato; 
    Resistenti 
    a scioglimento della riserva assunta  all'udienza  del  22  marzo
2024, viste le note autorizzate depositate il 10 aprile 2024, 
    ha emesso la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
    Con ricorso depositato  il  28  luglio  2023,  la  Procura  della
Repubblica  presso  il   Tribunale   di   Lucca   ha   domandato   la
rettificazione, ex articoli 95 e ss.  D.P.R  396/2000,  dell'atto  di
nascita del minore G G P , formato dall'Ufficiale dello Stato  Civile
del Comune di              ed  iscritto  nei  registri  del  predetto
Comune al numero             , domandando altresi' che  la  questione
fosse previamente rimessa alla Corte costituzionale. 
    A sostegno del ricorso ha esposto che, in data              ,  il
Sindaco del Comune di             aveva comunicato alla Procura della
Repubblica  presso  il  Tribunale  di  Lucca  l'avvenuta   iscrizione
dell'atto di nascita del minore G G P , nato  il               presso
l'Ospedale             , in             , la  peculiarita'  dell'atto
era  rappresentata  dalla  omogenitorialita'  delle  due  dichiaranti
(coppia che peraltro risultava avere gia' altra figlia), G G ,  madre
biologica ed I  P  madre  intenzionale,  nonche'  dal  fatto  che  la
trascrizione appariva in contrasto con la  Circolare  n.  3/2023  del
Ministero dell'interno, che richiama a sua volta la  pronuncia  della
Corte di cassazione, a Sezioni Unite, n. 38162/2022. 
    In diritto, ha evidenziato che la  questione  del  riconoscimento
della bigenitorialita' piena, in relazione a minori nati  in  Italia,
alle coppie omossessuali  femminili  che  all'estero  ricorrano  alla
pratica di procreazione  medicalmente  assistita  (di  seguito  anche
«P.M.A.») eterologa, ove l'una e' madre  biologica  e  l'altra  madre
intenzionale, risente di  rilevanti  lacune  normative  ed  e'  stata
risolta diversamente in giurisprudenza, registrandosi un orientamento
maggioritario contrario ed un orientamento minoritario favorevole  al
riconoscimento anche della c.d. «maternita' intenzionale». 
    Pertanto, premettendo che le disposizioni applicabili al caso  di
specie, ed in particolare gli articoli 28 e ss. D.P.R 396/2000 e  gli
articoli 250 e  ss.  c.c.,  condurrebbero  a  rettificare  l'atto  di
nascita in questione, ha  sostenuto  la  rilevanza  e  non  manifesta
infondatezza della questione di costituzionalita', che  ha  domandato
al Tribunale di sollevare, in riferimento agli articoli 3 e 117 Cost. 
    All'udienza sono comparsi il Sostituto Procuratore dott.ssa Laura
Guidotti, il dott. M  P  Sindaco  del  Comune  di               nella
qualita' di Ufficiale dello stato civile, e le resistenti G G ed I  P
, la  quali  hanno  chiesto  un  rinvio  dell'udienza,  per  esigenze
difensive, avendo  ricevuto  la  notifica  del  ricorso  soltanto  in
data       . Il collegio ha altresi' rilevato che il  ricorso  ed  il
provvedimento  di  fissazione  udienza   erano   stati   erroneamente
notificati al Sindaco quale organo  di  vertice  dell'amministrazione
comunale e non quale organo periferico  dell'amministrazione  statale
ed ha disposto la  rinnovazione  della  notifica  nei  confronti  del
            , rinviando all'udienza del             . 
    Si sono poi costituite G G ed I P anche nella qualita'  di  madri
esercenti la responsabilita' genitoriale sui minori G G P  ,  nato  a
            (            ) il             e L G P nata a             
(            ) il             ,  eccependo,  in  via  preliminare  di
rito, l'inammissibilita' del procedimento di rettificazione ai  sensi
degli articoli 95 e  ss.  decreto  del  Presidente  della  Repubblica
396/2000. A sostegno  dell'eccezione  preliminare,  hanno  dato  atto
della giurisprudenza di merito, che, in caso analogo  al  presente  e
disattendendo le contrarie pronunce di legittimita', ha ritenuto  che
la domanda del  pubblico  ministero  si  sostanzierebbe  non  in  una
correzione di un errore commesso al momento della redazione dell'atto
o di una mera violazione di legge, ma  in  una  richiesta  avente  ad
oggetto la rimozione definitiva  rispetto  ad  una  delle  resistenti
dello status di genitore  del  figlio,  per  la  quale  l'ordinamento
impone di avvalersi delle azioni di stato e segnatamente,  alla  luce
dello specifico oggetto  della  contestazione,  del  rimedio  di  cui
all'art. 263 c.c., secondo le forme  del  procedimento  a  cognizione
piena e con le garanzie costituzionalmente previste. Hanno, tuttavia,
dato atto anche del contrapposto orientamento  di  legittimita',  che
ritiene, sull'assunto che lo status di figlio non sia mai sorto,  che
l'erronea annotazione sull'atto  di  nascita  operata  dall'Ufficiale
dello  stato  civile  puo'   essere   eliminata   con   l'azione   di
rettificazione, in quanto si assume che l'atto di  nascita,  difforme
dalla situazione di fatto quale  avrebbe  dovuto  essere  secondo  la
previsione delle norme vigenti, sia affetto da un  vizio  che  ne  ha
alterato il procedimento di formazione. 
    Nel merito, dopo aver richiamato  l'evoluzione  giurisprudenziale
in materia ed i diversi orientamenti, - in  specie,  la  sentenza  n.
32/2021, con  la  quale  la  Corte  costituzionale,  pur  dichiarando
inammissibile la questione di  costituzionalita'  sollevata  in  caso
analogo al presente e secondo lo schema proprio delle  sentenze  c.d.
«monito», ha auspicato l'intervento del legislatore e si e' spinta ad
ipotizzare, in caso di inerzia protratta, di rivalutare nuovamente la
questione - hanno in primo luogo  sollecitato  il  Tribunale  ad  una
decisione   di   rigetto,   sulla   scorta   di    un'interpretazione
costituzionalmente  orientata   dell'art.   8   legge   40/2024.   In
particolare, ritenendo pacifico che una  coppia  formata  da  persone
dello stesso sesso non possa accedere alle tecniche di P.M.A., stante
l'espresso divieto posto dall'art. 5 legge 40/2004, hanno dedotto che
l'art. 8 legge  40/2004  opera  non  sul  piano  dell'«accesso»  alle
tecniche di P.M.A., bensi' sul diverso piano dello «status» giuridico
dei nati a seguito di P.M.A. 
    Hanno  inoltre  dedotto  che  l'adozione  in   casi   particolari
disciplinata dagli articoli  44  e  ss.  legge  183/1984,  sebbene  a
seguito della sentenza n. 79/2022 resa dalla Corte costituzionale sia
stata consentita l'instaurazione di rapporti civili tra l'adottato ed
i parenti dell'adottante, non risulta comunque uno strumento adeguato
e sufficiente a garantire ai nati mediante  P.M.A.  la  tutela  dello
status  giuridico  di  figlio  «quanto  piu'  possibile   rapida   ed
effettiva»,  auspicata  anche  dalla  Corte   Europea   dei   Diritti
dell'Uomo. 
    Hanno altresi' invitato il Tribunale, per l'ipotesi  in  cui  non
ritenesse di  respingere  il  ricorso  sulla  scorta  della  proposta
interpretazione   costituzionalmente   orientata,   a   valutare   di
sottoporre  nuovamente  al  vaglio  della  Corte  costituzionale   la
legittimita' costituzionale degli articoli 8 e 9 legge 40/2004, degli
articoli 250 e 254 codice civile e dagli articoli 29, comma 2,  30  e
43 decreto del Presidente della  Repubblica  396/2000,  in  relazione
agli articoli 2, 3, 30, 117 Cost., nella misura  in  cui  impediscono
l'applicazione della legge  40/2004  ai  nati  in  Italia  da  P.M.A.
compiuta da due donne ed impongono la  cancellazione  dagli  atti  di
nascita della madre intenzionale. 
    Infine,  per  l'ipotesi  di  accoglimento  del   ricorso,   hanno
richiesto l'estensione della rettificazione anche all'atto di nascita
dell'altra figlia minore, L  P  G  ,  previa  domanda  della  Procura
ricorrente  in  tal  senso,  cosi'   da   consentire   di   procedere
congiuntamente  per  entrambi  i  minori  con  l'adozione   in   casi
particolari. 
    Si e' costituito  anche  il               ,  in  rito  affermando
l'ammissibilita' del ricorso, in quanto non si fa questione di  stato
e la controversia attiene ad una domanda di mera rettificazione di un
atto dello stato civile viziato; ha infatti evidenziato che gli  atti
di stato civile non hanno valore costitutivo di  uno  status,  bensi'
unicamente di pubblicita' e  prova  in  ordine  alla  rispondenza  di
quanto in essi attestato al dettato  normativo,  come  ribadito  piu'
volte da un orientamento di legittimita' da ritenersi consolidato. 
    Nel merito, ha dedotto che non risulta esservi alcun legame,  ne'
biologico, ne' genetico tra I P ed il minore G e che la  fecondazione
eterologa e' stata effettuata per libera scelta di G G , al di  fuori
dei casi tassativi previsti dalla  legge  40/2004  come  integrata  a
seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 162/2014, che ha
legittimato il ricorso a tale  modalita'  di  fecondazione  anche  in
Italia nelle sole ipotesi di infertilita'  o  sterilita'  assoluta  o
irreversibile o in presenza di gravi malattie genetiche trasmissibili
al feto. Ha sul punto affermato che  e'  costante  l'orientamento  di
legittimita', conforme  al  dettato  normativo  di  riferimento,  che
esclude  la  possibilita'  per  l'Ufficiale  dello  stato  civile  di
indicare quale genitore del minore anche la madre intenzionale, anche
qualora  alla  stessa  appartenga   l'ovulo   poi   importato   nella
partoriente (dunque, anche laddove esista un legame di tipo  genetico
con il minore, escluso peraltro nella fattispecie). 
    Ha sottolineato che una tale impostazione  non  determina  alcuna
illegittima disparita' di  trattamento  tra  coppie  omossessuali  ed
eterosessuali,  da  rettificare  in  via  ermeneutica,   poiche'   la
possibilita'.   di   ricorrere   alla   fecondazione   eterologa   e'
intrinsecamente   riconosciuta   soltanto   a   coloro   che    siano
potenzialmente idonei a generare  naturalmente,  ma  non  possano  in
concreto per ragioni di ordine medico-patologico e  non  e',  invece,
soluzione prevista dalla  legge  per  esigenze  correlate  alla  mera
volonta' dei partners,  trattandosi  dunque  di  istituto  del  tutto
estraneo alla coppia omossessuale, impossibilitata gia' in astratto a
procreare. 
    Neppure sarebbe invocabile il preminente interesse del minore,  a
fronte  dell'impossibilita'  di  dare  giuridico   riconoscimento   a
pratiche svolte in violazione dei divieti posti dalla legge 40/2004 e
della regolamentazione interna della fattispecie, distinta da  quella
prevista in altri ordinamenti stranieri, e  comunque  potendosi  tale
interesse garantire anche per il tramite di istituti diversi rispetto
al riconoscimento originario  della  maternita'  intenzionale,  quale
l'adozione in casi particolari. 
    Si e' costituito il Sindaco pro tempore del Comune di            
difeso dall'Avvocatura civica, in fatto rappresentando che a  corredo
della dichiarazione di nascita ex  art.  30  decreto  del  Presidente
della Repubblica 396/2000, resa dalle resistenti come madri esercenti
entrambe la responsabilita' genitoriale nei  confronti  di  G  ,  era
stata presentata l'attestazione  di  nascita  n  dell'Ospedale       
, in cui era indicata G G come  partoriente,  il  consenso  informato
allo scongelamento e trasferimento di embrioni propri  crioconservati
sottoscritto da entrambe le dichiaranti, il documento informativo  di
fecondazione in vitro ed il consenso  informato  di  fecondazione  in
vitro, anch'essi sottoscritti da  entrambe;  rappresentando  altresi'
che la formazione dell'atto di  nascita  del  minore  con  iscrizione
dello  stesso  come  figlio  di  entrambe  le  madri,  con  correlata
attribuzione del doppio cognome «G P », non era stata considerata  in
contrasto con l'ordine pubblico e con le norme vigenti ed, anzi,  era
stata ritenuta conforme al primario interesse del minore. 
    In via  preliminare  in  rito,  ha  sostenuto  la  legittimazione
dell'Avvocatura comunale al patrocinio, evidenziando che anche  nelle
ipotesi in cui il Sindaco operi in qualita'. di Ufficiale di Governo,
e quindi con poteri delegati  dallo  Stato,  egli  rimane  sempre  un
soggetto  autonomo,  sia   strutturalmente   che   istituzionalmente,
rispetto allo Stato ed altresi' che non ricorre l'ipotesi  di  difesa
ex lege da parte dell'Avvocatura dello Stato, in deroga  all'art.  43
regio decreto 1611/33, nelle ipotesi di conflitto di  interessi,  per
le diverse posizioni processuali, tra l'amministrazione  comunale  ed
il Ministero dell'interno. Sempre in  via  preliminare  in  rito,  ha
eccepito l'inammissibilita' del ricorso, per motivazioni  analoghe  a
quelle dedotte dalle resistenti. 
    Nel merito, domandando il rigetto del ricorso ha evidenziato,  in
linea con la difesa  delle  resistenti,  l'esistenza  di  una  lacuna
normativa, gia' censurata dalla Corte costituzionale  nella  sentenza
n. 32/2021, che ha  inciso  sulla  tutela  dei  minori,  determinando
decisioni diversificate sia da parte dei  diversi  uffici  anagrafici
che  in  giurisprudenza;  ha   dunque   proposto   un'interpretazione
costituzionalmente orientata della legge 40/2004 che, perseguendo  il
primario interesse del minore, giunga a riconoscere a tutti i  minori
pari diritti, indipendentemente dalle  modalita'  di  concepimento  e
dall'orientamento sessuale dei genitori e valga a dare riconoscimento
ad un'identita' sociale e familiare gia' compiutamente formatasi. 
    All'udienza del             sono comparsi  il  Procuratore  della
Repubblica, dott. D M ,  il  dott.  M  P  ,  Sindaco  del  Comune  di
            nella qualita' di Ufficiale dello stato civile, assistito
dall'Avvocatura Civica e le resistenti G G ed I  P  ,  assistite  dal
proprio difensore. Nessuno e' comparso per il             . 
    Il Procuratore della Repubblica, interpellato sul punto,  non  ha
inteso estendere la domanda di rettificazione anche alla minore L P G
. 
    Il collegio ha riservato la  decisione,  accordando  termine  per
memorie. 
    Nella memoria  autorizzata  le  resistenti,  dando  atto  che  in
quattro  pronunce  rese  in  casi  analoghi  a  quello  oggetto   del
procedimento, due delle quali successive al deposito  della  comparsa
di  risposta  (Cass.  4448/2024  e  Cass.  7228/2024),  la  Corte  di
cassazione ha ribadito che l'impugnazione dell'atto di  nascita  deve
essere effettuata per il tramite  dell'azione  di  rettificazione  ex
art. 95 decreto del Presidente della Repubblica 396/2000,  non  hanno
insistito nell'eccezione di inammissibilita'  in  rito,  rimettendosi
sul punto alla decisione del collegio. Hanno ribadito, per il  resto,
tutte le difese gia' svolte,  insistendo  in  particolar  modo  nella
previa  remissione  alla  Corte  costituzionale  della  questione  di
legittimita'  articolata  nella  comparsa,  anche  alla  luce   della
Relazione annuale del Presidente della Consulta  del  18  marzo  2024
che, espressamente definendo  come  «disordinato  e  contraddittorio»
l'intervento dei Sindaci preposti ai registri  dell'anagrafe,  si  e'
rammaricato del silenzio del legislatore in  ordine  alla  condizione
anagrafica dei figli di coppie dello  stesso  sesso,  profilando  una
«propria ed autonoma soluzione» in materia. 
    Le altre parti non hanno depositato memorie. 
    La questione che questo Tribunale si  trova  a  decidere  attiene
alla legittimita'  o  meno  dell'iscrizione  -  trattandosi  di  atto
formato dall'Ufficiale dello stato civile italiano - e' erroneo nella
fattispecie il riferimento al diverso istituto della  «trascrizione»,
riferibile al diverso  caso  di  formazione  dell'atto  all'estero  -
dell'atto di nascita del  minore  nato  in  Italia,  come  effettuata
dall'Ufficiale dello stato civile del Comune  di               ,  che
riporta, oltre al nominativo della madre che  l'ha  partorito,  anche
quello della c.d. madre intenzionale, ossia di colei che,  legata  da
una stabile relazione affettiva con la madre biologica, ha  condiviso
il progetto di genitorialita', sostenendo  la  compagna  nel  ricorso
alle pratiche di P.M.A. effettuata all'estero e prestando il relativo
consenso ed esercitando sin dalla nascita, sulla base dell'iscrizione
che ora si chiede di cancellare, la responsabilita'  genitoriale  sul
minore. Con il minore G la madre intenzionale  I  P  convive  insieme
alla partner G G (madre biologica di G )  e  alla  figlia  L  ,  nata
nell'anno mediante il ricorso alle medesime tecniche all'estero cui I
P si era previamente sottoposta (I P e' madre biologica di L )  anche
questa indicata nei registri dello stato  civile  come  figlia  della
madre intenzionale G G e la cui formazione dell'atto di nascita, come
detto, non e' stata ad oggi impugnata dalla Procura ricorrente. 
    In rito: sulla legittimazione del Sindaco e del             . 
    In via preliminare, si ribadisce che, nel presente  procedimento,
sia il Sindaco che il             rivestono  la  qualita'  di  parte.
Infatti, il Sindaco esercita le funzioni di Ufficiale di  Governo  in
quanto delegato ex lege  ed  organo  periferico  dell'amministrazione
centrale, di talche' la titolarita' di tali funzioni  resta  in  capo
all'amministrazione centrale stessa ed in particolare, al            
; al contempo il Sindaco mantiene una sua autonomia, essendo peraltro
autore materiale dell'atto di  cui  e'  causa,  nonche'  destinatario
dell'ordine di rettificazione richiesto con il ricorso introduttivo. 
    Quanto al patrocinio ed all'assistenza in giudizio, per la  quale
il Sindaco ha inteso  avvalersi  dell'Avvocatura  interna  dell'ente,
ritiene il collegio che si apprezzino ragioni per  derogare  all'art.
43 regio  decreto  1611/33  che  disciplina  il  patrocinio  ex  lege
dell'Avvocatura dello Stato, atteso che le posizioni  del  Sindaco  e
del          appaiono  del  tutto  antitetiche,   alla   luce   delle
conclusioni rassegnate e sopra riportate. 
    In rito: sull'eccezione di inammissibilita' del ricorso  ex  art.
95 decreto del Presidente della Repubblica 396/2000. 
    In rito, l'eccezione di inammissibilita' del  ricorso,  sollevata
dalle resistenti e  dal  Sindaco  del  Comune  di             non  e'
fondata. 
    E' noto che il procedimento previsto  dall'art.  95  decreto  del
Presidente della  Repubblica  396/2000  e'  volto  ad  eliminare  una
difformita' tra la situazione di fatto, quale e'  o  dovrebbe  essere
nella realta' secondo la previsione di legge, e come, invece, risulta
dall'atto dello stato civile, per un vizio  comunque  e  da  chiunque
originato  nel  procedimento  di  formazione  dell'atto  stesso;  e',
invece, inammissibile  allorquando  a  fondamento  della  domanda  di
rettificazione venga, in realta', dedotta una controversia  di  stato
(Cass.  10519/1990,  951/1993,  2776/1996,   12746/1998,   4878/2004,
21094/2009, 13000/2019). 
    Una parte della giurisprudenza di merito  ha  ritenuto  ricorrere
quest'ultima ipotesi in fattispecie analoghe a quella  al  vaglio  di
questo Tribunale, ritenendo trattarsi non  della  mera  contestazione
circa  la  correttezza  dell'inserimento   del   nome   della   madre
intenzionale nell'atto  di  nascita,  ma  della  diversa  ipotesi  di
controversia sullo status, investendo il fatto  posto  alla  base  di
tale atto. Difatti, l'atto di nascita  cosi'  formato  dall'Ufficiale
dello stato civile ha consentito  sinora  alle  madri  resistenti  di
esercitare tutti i poteri/doveri costituenti  lo  status  di  cui  si
controverte, che puo'  essere  messo  in  discussione  solamente  con
l'azione prevista dall'art. 263 codice civile (di recente, ex  aliis,
si vedano Tribunale di Milano 23/6/2023, Corte d'appello  di  Firenze
6/2/2023, Tribunale di Padova 5/3/2024). 
    La Corte di cassazione, con un  orientamento  ribadito  anche  di
recente  (fatto  proprio  anche  dalla  Corte  d'appello  di   Milano
23/1/2024, che ha riformato il decreto del Tribunale sopra citato)  e
dalla stessa  definito  come  ormai  consolidato,  ha  affermato  che
«l'efficacia  giuridica  dell'annotazione  e'  di  norma  quella   di
pubblicità-notizia   o   di   pubblicita'   dichiarativa,   ai   fini
dell'apponibilita'  a  terzi,  vale  a  dire  l'efficacia  probatoria
privilegiata  prevista  dall'art.  451   c.c.,   non   anche   quella
costitutiva dello status (cfr. Cass. SU 12193/2019). Quindi l'erronea
annotazione sull'atto operata dall'Ufficiale di stato civile, laddove
si deduca la Mn corrispondenza tra  la  situazione  di  fatto  reale,
quale avrebbe dovuto essere. secondo la previsione di legge, e quella
risultante dall'atto dello stato civile (nella specie, la nascita del
figlio da due madri, la madre biologica e  quella  intenzionale,  per
effetto del successivo riconoscimento da parte di quest'ultima), puo'
essere eliminata con l'azione di rettificazione, in quanto si  assume
che  l'atto  dello  stato  civile,  che  indichi   anche   la   madre
intenzionale, e'  difforme  dalla  situazione  quale  e'  secondo  la
previsione delle  norme  vigenti,  essendo,  anche  in  questo  caso,
affetto da un vizio che ne ha alterato il procedimento di formazione»
(Cass. 7413/2022, confermata da Cass. 511/2024 e da Cass.  4448/2024,
quest'ultima resa proprio nell'ambito di un  giudizio  che,  come  il
presente, non traeva origine dall'impugnazione  del  rifiuto  opposto
dall'Ufficiale  dello  stato  civile  alla  richiesta  di  formazione
dell'atto  di  nascita,  ma  dalla  domanda  proposta  dal   pubblico
ministero ai sensi dell'art. 95,  comma  2,  decreto  del  Presidente
della Repubblica 396/2000  di  cancellazione  della  iscrizione  gia'
effettuata, in quanto  fondata  sull'allegazione  della  contrarieta'
della iscrizione alla disciplina dettata da  disposizioni  nazionali,
con la quale la Corte ha ribadito che «tale domanda trae  origine  da
una difformita' tra la situazione di  fatto,  quale  dovrebbe  essere
nella realta' secondo la predetta disciplina, e quella  annotata  nel
registro degli atti di nascita, causata da  un  errore  asseritamente
compiuto in sede di iscrizione, e  non  da'  pertanto  luogo  ad  una
controversia di stato, ma proprio ad una delle controversie  previste
dal decreto del Presidente della Repubblica n.  396,  art.  95  (cfr.
Cass. n. 7413/2022; Cass. n. 23319/2021; Cass.  n.  21094/2009)»;  da
ultimo confermata anche da Cass. 7228/2024, che ha cassato il decreto
della Corte di appello di  Firenze  sopra  citato,  ripercorrendo  le
motivazioni gia' stese nelle pronunce precedenti  e  precisando  che,
ormai, l'orientamento e' «costante»). 
    Da tale fermo orientamento,  manifestato  a  piu'  riprese  dalla
Corte della nomofilachia, il Tribunale non ritiene di discostarsi. 
    Nel merito. 
    Il quadro normativo. 
    Venendo ad  affrontare  il  merito  della  controversia,  occorre
premettere che la legge 40/2004 non consente alle coppie  omosessuali
di ricorrere alle tecniche di P.M.A. eterologa  -  metodica,  per  la
precisione, fruibile solamente dalle coppie formate da due donne,  in
quanto  per  le  coppie  omosessuali   maschili   la   genitorialita'
artificiale passa necessariamente attraverso la maternita'  surrogata
-  cui,  infatti,   possono   ricorrere,   dopo   la   pronuncia   di
illegittimita'   costituzionale   n.   162/2014,   le   sole   coppie
eterosessuali,  in  presenza  di  patologie   che   determinino   una
sterilita' o una infertilita' assolute e irreversibili. Il divieto e'
sancito  nell'art.  5,  secondo  cui  possono  accedere  alla  P.M.A.
esclusivamente le «coppie di maggiorenni di sesso diverso,  coniugate
o conviventi, in  eta'  potenzialmente  fertile,  entrambi  viventi».
L'art. 12, comma 2, punisce con una  severa  sanzione  amministrativa
pecuniaria (da 200.000 a 400.000 euro) chi applica tecniche di P.M.A.
«a coppie composte da soggetti dello  stesso  sesso»,  oltre  che  da
soggetti non entrambi viventi, o in eta' minore, o  non  coniugati  o
non conviventi. La previsione sanzionatoria e' rafforzata  da  quella
del comma 9, in forza del  quale  nei  confronti  dell'esercente  una
professione sanitaria condannato per uno degli illeciti di  cui  allo
stesso art. 12 (e, dunque, anche per quello di cui  al  comma  2)  e'
«disposta  la  sospensione  da  uno   a   tre   anni   dall'esercizio
professionale».  Il  comma  10  prevede,  inoltre,   la   sospensione
dell'autorizzazione  alla  realizzazione  delle  pratiche  di  P.M.A.
concessa alla struttura  nel  cui  interno  e'  eseguita  la  pratica
vietata,  con  possibilita'  di  revoca  dell'autorizzazione   stessa
nell'ipotesi  di  violazione  di  piu'   divieti   o   di   recidiva.
L'individuazione dello specifico requisito soggettivo  inerente  alla
diversita' di sesso dei componenti della  coppia  che  fanno  ricorso
alla P.M.A. e' stata ritenuta esente da censure di  costituzionalita'
(Corte cost. 221/2019), in un settore tanto delicato,  che  coinvolge
una pluralita' di  interessi  costituzionalmente  rilevanti  e  «temi
eticamente sensibili» (Corte cost. 162/2014), in relazione  ai  quali
l'individuazione  di  un  ragionevole  punto  di  equilibrio  fra  le
contrapposte esigenze, nel  rispetto  della  dignita'  della  persona
umana, appartiene «primariamente alla  valutazione  del  legislatore»
(Corte cost. 347/1998). Cio' ferma restando la  sindacabilita'  delle
scelte operate, al fine di verificare se con esse si  sia  realizzato
un bilanciamento non irragionevole (Corte cost. 162/2014). 
    Con la citata decisione del  2019,  la  Corte  costituzionale  ha
anche chiarito che «in assenza di altri  vulnera  costituzionali,  il
solo fatto che un divieto possa essere eluso recandosi all'estero non
puo' costituire una valida ragione per dubitare della sua conformita'
a Costituzione. La circostanza  che  esista  una  differenza  tra  la
normativa italiana e le molteplici normative mondiali e' un fatto che
l'ordinamento  non  puo'  tenere  in   considerazione.   Diversamente
opinando, la disciplina interna dovrebbe essere sempre allineata, per
evitare  una  lesione  del  principio  di  eguaglianza,   alla   piu'
permissiva  tra  le  legislazioni  estere  che  regolano  la   stessa
materia». 
    Tuttavia,  qui  non  si  discorre  dei  limiti  individuati   dal
legislatore (come integrati dalla Consulta)  per  fare  ricorso  alle
tecniche di P.M.A., ma dello stato giuridico dei figli  nati  da  una
coppia  di  due  donne  che  abbia  fatto  ricorso  a  tali  pratiche
all'estero, laddove e' consentito (e analoga considerazione  varrebbe
ove la fecondazione avvenisse in Italia, in violazione del divieto di
legge). 
    Va, ancora, precisato che il problema si pone  solamente  laddove
il figlio sia nato in Italia, poiche'  laddove,  invece,  la  nascita
avvenga nello Stato estero che ammette il ricorso  alla  fecondazione
eterologa, la giurisprudenza ha ormai riconosciuto la possibilita' di
trascrivere nei registri degli atti dello stato civile  italiani  gli
atti di nascita formati all'estero, recanti l'indicazione  sia  della
madre biologica che ha fatto ricorso all'estero alla  P.M.A.  tramite
il gamete donato da un terzo, sia della madre  intenzionale,  che  ha
condiviso il relativo progetto genitoriale ed ha prestato il consenso
alla  fecondazione  (Cass.,  sentt.   nn.   19599/2016,   14878/2017,
23319/2021, 32527/2023); cio' sulla scorta della nozione  di  «ordine
pubblico internazionale», che rappresenta il parametro di valutazione
del giudice in queste ipotesi,  «da  intendersi  come  complesso  dei
principi fondamentali caratterizzanti  l'ordinamento  interno  in  un
determinato periodo storico, ma ispirati ad esigenze  di  tutela  dei
diritti  fondamentali  dell'uomo  comuni  ai  diversi  ordinamenti  e
collocati a  un  livello  straordinario  rispetto  alla  legislazione
ordinaria» e che incontra il limite dei principi  fondamentali  della
Costituzione e di quelli  consacrati  nelle  fonti  internazionali  e
sovranazionali. 
    L'art. 8 legge  40/2004,  inserito  nel  Capo  III  «Disposizioni
concernenti la tutela del nascituro» e rubricato «Stato giuridico del
nato» prevede che «I nati a seguito dell'applicazione delle  tecniche
di procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di  figli  nati
nel matrimonio o di figli riconosciuti della coppia che  ha  espresso
la volonta' di ricorrere alle tecniche medesime  ai  sensi  dell'art.
6». 
    Il successivo art. 9 pone il divieto  del  disconoscimento  della
paternita'  e   dell'anonimato   della   madre,   oltre   a   sancire
l'insussistenza di legami parentali tra il donatore dei gameti  e  il
nato mediante tecniche di fecondazione eterologa. 
    L'interpretazione degli articoli 8 e 9 legge 40/2004. 
    Le parti resistenti ritengono  che  gli  articoli  8  e  9  legge
40/2004, se interpretati in modo conforme ai principi costituzionali,
debbano  condurre  al  rigetto  del  ricorso,  offrendo  una   tutela
giuridica anche al nato da coppie omosessuali  femminili  tramite  il
ricorso a P.M.A. eterologa pari a quella che riceve il nato da coppie
eterosessuali che vi si siano sottoposte. 
    Ad avviso del Tribunale, una simile operazione ermeneutica  trova
un   insormontabile   ostacolo    nell'univoco    tenore    letterale
dell'enunciato normativo, letto anche in una logica sistematica. 
    Anzitutto,  la  disposizione  di  cui  all'art.  8  fa   espresso
riferimento alla «coppia che ha espresso  la  volonta'  di  ricorrere
alle  tecniche  medesime  ai  sensi  dell'art.  6»  e   tale   ultima
disposizione indica chiaramente «i soggetti di cui all'art. 5», ossia
«coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o  conviventi,  in
eta' potenzialmente fertile, entrambi viventi». 
    Inoltre, gli articoli 8 e 9 formano il Capo  III,  dedicato  alle
«Disposizioni concernenti la tutela del nascituro», che segue il Capo
I «Principi generali» e il Capo II «Accesso alle tecniche», ed  e'  a
sua  volta  seguito  dal  Capo  IV  che  regolamenta   le   strutture
autorizzate all'applicazione delle tecniche di P.M.A.,  fornendo  una
disciplina organica della materia che non  permette  di  scindere,  a
livello di previsione normativa, il profilo dei limiti soggettivi del
ricorso alle tecniche di P.M.A. da quello della tutela giuridica  del
nato. 
    Ne', al  fine  di  estendere  l'ambito  di  applicabilita'  degli
articoli 8 e 9 ai nati in seguito all'accesso di una  coppia  formata
da due donne alle pratiche di P.M.A. eterologa, puo' darsi rilievo  a
quanto  affermato  dalla  Corte  costituzionale  nella  sentenza   n.
162/2014 in relazione  all'ampiezza  e  genericita'  della  locuzione
utilizzata  dall'art.  8  (che  si  riferisce  ai  «nati  a   seguito
dell'applicazione  delle  tecniche   di   procreazione   medicalmente
assistita»)  In   quell'occasione   la   Consulta,   dando   ingresso
nell'ordinamento   alla   fecondazione   eterologa   con    finalita'
terapeutiche (fino ad allora vietata), ha  ritenuto  applicabili  gli
articoli 8 e 9 anche al nato grazie a tale tecnica sulla  base  degli
ordinari canoni ermeneutici, essendo la P.M.A. eterologa  una  specie
del genus considerato dalla disposizione, allo stesso  tempo  tenendo
ben fermi i limiti soggettivi previsti  dal  legislatore  all'accesso
alla P.M.A. anche eterologa. 
    Alla luce delle considerazioni espresse, non convincono gli esiti
interpretativi cui e' pervenuta una  parte  della  giurisprudenza  di
merito, anche dopo il monito espresso dalla Corte costituzionale  nel
2021 (Corte  cost.  32/2021,  su  cui  infra),  che  fanno  leva  sul
principio  di  tutela  del  concepito  enunciato  dall'art.  1  legge
40/2004, sulla distinzione tra la questione relativa  allo  stato  di
figlio e quella  relativa  alla  tecnica  per  farlo  nascere,  sulla
necessita'  e  possibilita'  di  fare  ricorso  a  un'interpretazione
evolutiva della legge, che eviti disparita' di trattamento grazie  ad
un concetto di famiglia diverso rispetto a quello tenuto presente dal
legislatore del codice civile (ex aliis, Corte d'appello  di  Brescia
30 novembre 2023 e Corte  d'appello  di  Cagliari  28  aprile  2021),
trovando una simile  interpretazione  un  ostacolo  insuperabile  nel
tenore letterale dell'art. 8 e nel dato sistematico,  secondo  quanto
sopra osservato. 
    Quanto al riferimento, operato da taluni Tribunali e dalla difesa
delle parti resistenti, alla pronuncia della Corte di  cassazione  n.
13000/2019, nella parte in cui ha ritenuto che l'art. 8 legge 40/2004
«esprime  ...  l'assoluta  centralita'  del  consenso  come   fattore
determinante  la  genitorialita'  in  relazione  ai  nati  a  seguito
dell'applicazione delle tecniche di  P.M.A.  La  norma  non  contiene
alcun richiamo ai suoi precedenti articoli 4 e  5,  con  i  quali  si
definiscono i confini  soggettivi  dell'accesso  alla  P.M.A.,  cosi'
dimostrando una sicura preminenza della tutela del  nascituro,  sotto
il peculiare profilo del conseguimento della  certezza  dello  status
filiationis, rispetto all'interesse, pure perseguito dal legislatore,
di  regolare  rigidamente  l'accesso   a   tale   diversa   modalita'
procreativa», si osserva che esso non puo' non  leggersi  nell'ambito
della fattispecie concreta esaminata. Si trattava  di  un'ipotesi  di
fecondazione  omologa  eseguita  post   mortem,   avvenuta   mediante
l'utilizzo del seme crioconservato di colui che, dopo avere prestato,
congiuntamente alla moglie, il consenso all'accesso alle tecniche  di
procreazione  medicalmente  assistita  ai  sensi  dell'art.  6  della
medesima legge, e senza che ne risultasse la successiva  revoca,  era
poi deceduto prima della  formazione  dell'embrione  avendo  altresi'
autorizzato, per  dopo  la  propria  morte,  la  moglie  all'utilizzo
suddetto.  Ebbene  la  Corte,  richiamando  l'ambito  operativo   del
procedimento ex art.  95  decreto  del  Presidente  della  Repubblica
396/2000, ove rileva esclusivamente la corrispondenza tra  il  fatto,
quale  e'  nella  realta'  (o  quale  dovrebbe   essere   nell'esatta
applicazione della legge) e come risulta dall'atto dello stato civile
e non la liceita' o meno della tecnica di P.M.A.  impiegata,  osserva
che l'art. 5  della  legge  40/2004,  nel  riservare  l'accesso  alla
procreazione a coppie  i  cui  membri  siano  entrambi  viventi,  non
precisa in quale momento del procedimento fecondativo  sia  richiesta
la presenza in vita di entrambi i membri  della  coppia  e  giunge  a
ritenere possibile l'applicazione dell'art. 8 anche  alla  «specifica
ed affatto peculiare ipotesi di cui oggi si  discute,  apparendo  del
tutto ragionevole la conclusione  che  il/la  natola  allorquando  il
marito (o il convivente) sia morto dopo avere  prestato  il  consenso
alle tecniche di procreazione medicalmente assistita  (nella  specie,
peraltro, pacificamente ribadito solo pochi giorni prima del decesso)
ai sensi dell'art. 6 della medesima legge e  prima  della  formazione
dell'embrione  avvenuta   con   il   proprio   seme   precedentemente
crioconservato  (di  cui,  prima  del   decesso,   abbia,   altresi',
autorizzato l'utilizzazione) sia  da  considerarsi  figlio  nato  nel
matrimonio della coppia che ha espresso il  consenso  medesimo  prima
dello scioglimento, per effetto della morte del marito,  del  vincolo
nuziale».  E  cio',  oltretutto,  dando  rilievo   alla   discendenza
biologica. Il principio e' stato, quindi, affermato in  relazione  ad
una specifica situazione ed in base ad argomentazioni  che  non  sono
replicabili nella vicenda che ci riguarda. 
    D'altronde, le aperture  esegetiche,  talvolta  consentite  dalla
giurisprudenza  di  merito,  hanno  trovato  una  decisa  ed  univoca
smentita  nei  giudizi  di  legittimita',  potendo  ormai   definirsi
costante l'orientamento della  Corte  di  cassazione  che  nega  ogni
rilievo agli argomenti menzionati. 
    Con la pronuncia n. 7668/2020 la Suprema Corte, nel rigettare  il
ricorso promosso da due donne avverso il rifiuto dell'Ufficiale dello
stato civile di ricevere la dichiarazione congiunta di riconoscimento
della bambina, nata da fecondazione assistita  praticata  all'estero,
ha evidenziato che il divieto per le coppie formate da persone  dello
stesso sesso di accedere alle tecniche di  procreazione  medicalmente
assistita, imposto dall'art.  5  legge  40/2004  e  rafforzato  dalla
previsione di sanzioni amministrative, e' applicabile  agli  atti  di
nascita formati o da formare in Italia, a prescindere dal luogo  dove
sia avvenuta la pratica fecondativa. 
    Con un successivo intervento nello stesso anno (Cass. 8029/2020),
la Corte di cassazione ha affermato  che  «il  riconoscimento  di  un
minore concepito mediante  il  ricorso  a  tecniche  di  procreazione
medicalmente assistita di tipo eterologo da parte di una donna legata
in unione civile con quella che lo ha partorito, ma non avente  alcun
legame biologico con il minore, si pone in contrasto con la legge  n.
40 del 2004, art. 4, comma 3 e  con  l'esclusione  del  ricorso  alle
predette tecniche da parte  delle  coppie  omosessuali,  non  essendo
consentita,  al  di  fuori  dei  casi  previsti   dalla   legge,   la
realizzazione di forme di genitorialita' svincolate  da  un  rapporto
biologico, con i medesimi strumenti giuridici previsti per il  minore
nato nel matrimonio o riconosciuto»,  escludendo  l'operativita',  in
simili casi, dell'art. 8 della stessa legge. A tal fine,  richiamando
la  pronuncia  della  Consulta  n.  221/2019,  ha   sottolineato   la
«perdurante  operativita'  ...  delle  linee   guida   sottese   alla
disciplina dettata dalla legge n. 40 del 2004», ossia «da un lato  la
piena vigenza del divieto di ricorso alle  tecniche  di  procreazione
medicalmente assistita di tipo eterologo, salvi i casi d'infertilita'
patologica  o  di  malattie   genetiche   trasmissibili,   dall'altro
l'esclusione della possibilita' di avvalersi delle predette  tecniche
per la  realizzazione  di  forme  di  genitorialita'  svincolate  dal
rapporto  biologico  tra  il  nascituro  ed  i  richiedenti»,   cosi'
escludendo la possibilita' di ricollegare, in assenza di un  rapporto
biologico, l'instaurazione del rapporto di filiazione tra  il  minore
ed il partner del genitore  biologico  al  consenso  da  quest'ultimo
prestato all'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente
assistita. 
    Gli  stessi  principi  sono  stati  affermati  dalla   Corte   di
cassazione  con  le  sentenze  nn.  23320/2021  e  23321/2021  (anche
mediante richiami alle pronunce della Corte costituzionale 230/2020 e
33/2021). Nel primo caso, la Cass. ha statuito  che  l'obiettivo  del
riconoscimento del diritto ad essere genitori di  entrambe  le  donne
unite civilmente non e'  raggiungibile  attraverso  il  sindacato  di
costituzionalita'  delle   predette   disposizioni,   ma   dev'essere
perseguito per via normativa, implicando  una  svolta  che,  anche  e
soprattutto per i contenuti etici ed assiologici  che  la  connotano,
non e' costituzionalmente imposta, ma propriamente  attiene  all'area
degli interventi con  cui  il  legislatore,  quale  interprete  della
volonta' della collettivita', e' chiamato a tradurre il bilanciamento
tra  valori  fondamentali   in   conflitto,   tenendo   conto   degli
orientamenti e delle istanze che apprezzi come maggiormente radicati,
nel momento dato, nella  coscienza  sociale.  Nel  secondo  caso,  la
Suprema Corte ha affermato che l'interesse di  un  bambino,  accudito
sin dalla nascita da una coppia che  ha  condiviso  la  decisione  di
farlo venire al mondo, e' quello di ottenere un riconoscimento  anche
giuridico dei legami che, nella realta' fattuale, gia' lo uniscono  a
entrambi i componenti della coppia, e  non  solo  di  quello  con  il
genitore biologico, ma ha  affermato  che  tale  interesse  non  puo'
essere considerato automaticamente  prevalente  rispetto  agli  altri
interessi in gioco, dovendo essere bilanciato con questi ultimi, alla
luce  del   criterio   di   proporzionalita';   ha   quindi   escluso
l'illegittimita'   costituzionale   delle   norme   che   impediscono
l'indicazione del genitore  intenzionale  nell'atto  di  nascita  del
minore, al contempo  evidenziando  la  necessita'  di  assicurare  la
tutela  dell'interesse  del  minore  attraverso  un  procedimento  di
adozione effettivo e celere, che riconosca la pienezza del legame  di
filiazione tra adottante e adottato, allorche' ne sia stata accertata
in  concreto  la   corrispondenza   agli   interessi   del   bambino.
L'orientamento e'  stato  confermato  dalle  successive  pronunce  di
legittimita': Cass. 6383/2022 (che ha ritenuto applicabili gli stessi
principi anche in un caso in cui tra la donna non  partoriente  e  il
nato vi era un legame genetico, avendo  questa  donato  l'ovulo  che,
fecondato, era stato impiantato nell'utero della compagna, che  aveva
poi portato  a  termine  la  gravidanza),  Cass.  7413/2022  (che  ha
richiamato la sentenza della  Corte  costituzionale  32/2021),  Cass.
10844/2022, Cass. 11078/2022 (secondo cui il legame biologico  di  un
genitore piuttosto che dell'altro con il  nato  non  e'  il  criterio
informatore della  legge,  che  ha  attribuito  rilievo  decisivo  al
consenso  informato  e,  pertanto,   non   puo'   divenire   criterio
ermeneutico della stessa, perche'  l'attuale  assetto  normativo  non
consente l'estrapolazione di alcune norme - gli articoli  6,  8  e  9
legge 40/2004 - e l'applicazione  frazionata  delle  stesse,  ne'  il
dettato dell'art.  5,  che  costituisce  premessa  applicativa  della
complessiva normativa, puo' essere superato in  via  interpretativa),
Cass.  22179/2022  (che  ha  richiamato  le  sentenze   della   Corte
costituzionale  nn.  32/2021  e  79/2022),  Cass.  23527/2023   (che,
riconfermando l'orientamento espresso dalle precedenti ordinanze,  ha
escluso che l'indicazione della doppia genitorialita' sia  necessaria
a garantire al minore la migliore tutela possibile, «atteso  che,  in
tali casi, l'adozione in casi  particolari  si  presta  a  realizzare
appieno il preminente interesse del minore alla creazione  di  legami
parentali con la famiglia del  genitore  adottivo,  senza  che  siano
esclusi quelli con la famiglia del genitore biologico, alla  luce  di
quanto stabilito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 79  del
2022»), Cass. 511/2024, Cass. 4448/2024. 
    L'adozione in casi particolari e le criticita' dell'istituto. 
    Nelle pronunce di legittimita' sopra citate (Cass. nn. 8029/2020,
23321/2021, 22179/2022, 23527/2023), la Suprema Corte ha ritenuto che
l'adozione in  casi  particolari  rappresenti  un'adeguata  forma  di
tutela, idonea a porre la disciplina dettata dalla legge  40/2004  al
riparo da censure di legittimita' costituzionale, anche  fondate  sui
principi sovranazionali come interpretati dalla giurisprudenza  della
Corte europea dei diritti dell'uomo  ed  aventi  carattere  di  norme
interposte, in forza dell'art. 117 Cost. 
    Del resto, la questione della necessita' di  conferire  giuridico
riconoscimento al legame di filiazione tra il  genitore  intenzionale
ed i minori, sia che essi siano  nati  da  procreazione  medicalmente
assistita che da gravidanza per altri, e' stata piu' volte affrontata
dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, che  ha  sempre  affermato
che l'impossibilita' generale e assoluta, per  un  periodo  di  tempo
significativo,  di  ottenere  il  riconoscimento,  nei   vari   Stati
firmatari, del rapporto tra il  minore  e  il  genitore  intenzionale
costituisce un'ingerenza sproporzionata nel diritto  del  bambino  al
rispetto della sua vita  privata,  sancita  dall'art.  8  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali (v. M c. Francia, n. 65192/11, del 26 giugno 2014;  L  :
c. Francia, n.  65941/11,  del  26  giugno  2014;  D  c.  Francia  n.
11288/18, del 16 luglio 2020; D.B. e altri c. Svizzera nn. 58817/15 e
58252/15, del 22 novembre 2022 e piu'  di  recente  C  c.  Italia  n.
47196/21 del 31 luglio 2023, su cui piu' ampiamente infra). 
    Nello specifico la  Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo,  pur
osservando che il mancato riconoscimento del rapporto  di  filiazione
e' destinato inevitabilmente ad incidere  sulla  vita  familiare  del
minore, ha escluso la configurabilita' di una violazione del  diritto
al  rispetto  della  stessa,  ove  sia  assicurata  in  concreto   la
possibilita' di condurre un'esistenza  paragonabile  a  quella  delle
altre famiglie. 
    Ha al contempo sottolineato  che  la  scelta  dei  mezzi  di  cui
avvalersi per permettere il riconoscimento del legame  esistente  tra
un  figlio  e  un  genitore  intenzionale  rientra  nel  margine   di
apprezzamento  degli   Stati   contraenti   (parere   consultivo   n.
P16-2018-001), ricordando come sul  punto  non  vi  sia  un  consenso
unanime tra gli Stati firmatari, che adottano soluzioni diverse. 
    Nell'ordinamento  interno,  l'istituto  dell'adozione   in   casi
particolari (di cui al titolo  IV  della  legge  184/1983)  contempla
ipotesi tassative ed  eccezionali,  rispetto  al  principio  generale
sancito all'art. 7 comma 1 della medesima legge, in forza  del  quale
l'adozione e' consentita a favore dei minori «dichiarati in stato  di
adottabilita'». Infatti,  anche  quando  non  ricorre  la  condizione
predetta, il legislatore  ha  inteso  tutelare  il  rapporto  che  si
instaura laddove il minore sia inserito in un nucleo  familiare,  con
cui abbia conseguentemente sviluppato  legami  affettivi,  stabilendo
all'art. 44 legge 184/1983 che i minori possono essere  adottati  «da
persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o
da  preesistente  rapporto  stabile  e   duraturo,   anche   maturato
nell'ambito di un prolungato periodo di affidamento, quando il minore
sia orfano di padre e di madre» (lett. a) e «dal coniuge nel caso  in
cui il minore sia figlio anche  adottivo  dell'altro  coniuge»  (alla
lettera b); altresi' tutela i minori che si  trovino  in  particolari
situazioni di disagio, consentendo l'adozione quando  il  minore  sia
persona handicappata (trovandosi nelle condizioni indicate  dall'art.
3, comma 1, legge 104/1992 e  che  dunque  presenti  una  minorazione
fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata  o  progressiva,  che  e'
causa di difficolta' di apprendimento, di relazione o di integrazione
lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale  o
di emarginazione) e sia orfano di padre e di madre (lett. c) e quando
vi sia la constatata impossibilita' di affidamento preadottivo (lett.
d). 
    L'adozione  in  casi  particolari,  comunque  prevista  anche  in
presenza di figli, e' consentita, nei casi di cui alle lettere a, c e
d, oltre che ai coniugi anche a chi non sia coniugato. 
    Il Tribunale  per  i  minorenni  e'  competente  a  decidere  sul
procedimento di adozione, in cui si richiede ai  sensi  dell'art.  45
legge 184/1983 il consenso dell'adottante e dell'adottando che  abbia
compiuto  il  quattordicesimo  anno  di  eta'  o   del   suo   legale
rappresentante, se l'adottando non abbia compiuto il  quattordicesimo
anno di eta' o si trovi in condizione di minorata capacita'. 
    Una volta pronunciata la sentenza, ai sensi  dell'art.  48  legge
184/1983  l'adottante  ha  l'obbligo  di  mantenere  l'adottato,   di
istruirlo ed educarlo conformemente a quanto prescritto dall'art. 147
c.c. 
    La Corte di cassazione, con la sentenza n. 12962/2016, ha ammesso
il ricorso all'adozione in casi  particolari  disciplinata  dall'art.
44,  comma  1,  lettera  d)  legge  184/1983  da  parte  del  partner
omosessuale del genitore del minore. In  particolare,  nell'applicare
il  principio  del  best  interest  del  minore,  ha   statuito   che
l'espressione «impossibilita' di affidamento preadottivo»,  contenuta
nella clausola residuale di cui alla citata disposizione, deve essere
interpretata  estensivamente,  nel  senso  di   ricomprendere   oltre
all'impossibilita'  di  fatto,  anche  quella   di   diritto,   nella
prospettiva di valorizzare rapporti di fatto gia'  esistenti  con  il
minore. La Cass. ha ritenuto tale soluzione coerente con  i  principi
stabiliti dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani,
«dal momento che si sta sempre piu' affermando,  in  particolare  nei
procedimenti adottivi, il principio  secondo  il  quale  il  rapporto
affettivo che si sia consolidato all'interno di un nucleo  familiare,
in senso stretto o tradizionale o comunque ad esso omologabile per il
suo contenuto relazionale, deve essere conservato anche a prescindere
dalla corrispondenza con rapporti giuridicamente riconosciuti,  salvo
che vi sia un accertamento di fatto contrario  a  questa  soluzione»,
con richiamo al caso M e B contro Italia (n. 16318/07 del  27  aprile
2010), al caso P e C contro Italia (n. 25358/12 del 24 gennaio  2017)
e al caso X ed altri contro Austria  (GC  n.  19010/07,  19  febbraio
2013), il quale ultimo ha riconosciuto anche in tema di adozione  del
figlio del partner la violazione del principio di non discriminazione
stabilito dall'art. 14 Convenzione europea per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali in  presenza  di  una
ingiustificata  disparita'  di  regime  giuridico   tra   le   coppie
eterosessuali e le coppie formate da persone dello stesso sesso,  dal
momento che nell'ordinamento austriaco tale  forma  di  adozione  era
consentita soltanto alle coppie  di  fatto  eterosessuali.  La  Corte
europea dei diritti  dell'uomo,  al  riguardo,  ha  sottolineato  che
l'Austria  non  aveva  fornito  «motivi  particolarmente   solidi   e
convincenti  idonei  a  stabilire  che  l'esclusione   delle   coppie
omosessuali   dall'adozione   coparentale    aperta    alle    coppie
eterosessuali non sposate fosse necessaria per tutelare  la  famiglia
tradizionale» (par. 151 della sentenza). 
    Pronunciandosi  a  Sezioni  Unite  nell'anno  2019  (Cass.   S.U.
12193/2019),  nello   stabilire   l'impossibilita'   di   riconoscere
efficacia al provvedimento  giurisdizionale  straniero  con  cui  sia
stato  accertato  il  rapporto  di  filiazione  tra  un  minore  nato
all'estero mediante  il  ricorso  alla  maternita'  surrogata  ed  il
genitore d'intenzione munito della cittadinanza italiana,  che  trova
ostacolo  nel  divieto  della  surrogazione  di  maternita'  previsto
dall'art. 12, comma 6, legge 40/2004, qualificabile come principio di
ordine pubblico, in quanto posto a  tutela  di  valori  fondamentali,
quali la dignita' umana della gestante e l'istituto dell'adozione, la
Corte  ha  precisato   che   «la   tutela   di   tali   valori,   non
irragionevolmente  ritenuti  prevalenti  sull'interesse  del  minore,
nell'ambito  di  un   bilanciamento   effettuato   direttamente   dal
legislatore, al quale il  giudice  non  puo'  sostituire  la  propria
valutazione,  non  esclude  peraltro  la  possibilita'  di  conferire
rilievo  al  rapporto  genitoriale,  mediante  il  ricorso  ad  altri
strumenti giuridici, quali l'adozione in casi  particolari,  prevista
dall'art. 44, comma primo, lettera d), della legge n. 184 del  1983».
In particolare, le Sezioni Unite hanno ritenuto tale strumento idoneo
a tutelare l'interesse del minore  a  veder  riconosciuto  a  livello
giuridico il suo legame affettivo con il  genitore  intenzionale,  in
quanto conforme ai principi sanciti dalle convenzioni  internazionali
in materia di protezione dei  diritti  dell'infanzia,  cui  lo  Stato
italiano ha prestato adesione ed a tal  fine  hanno  citato  la  gia'
richiamata giurisprudenza della Corte europea dei  diritti  dell'uomo
(in particolare M c. Francia, n. 65192/11 del 26 giugno  2014;  L  c.
Francia, n. 65941/11 del 26  giugno  2014),  in  cui  la  Corte,  pur
osservando che il mancato riconoscimento del rapporto  di  filiazione
e' destinato inevitabilmente ad incidere  sulla  vita  familiare  del
minore, ha escluso la configurabilita' di una violazione del  diritto
al  rispetto  della  stessa,  ove  sia  assicurata  in  concreto   la
possibilita' di condurre un'esistenza  paragonabile  a  quella  delle
altre famiglie, ravvisando invece una violazione, in  relazione  alla
lesione  dell'identita'  personale  eventualmente   derivante   dalla
coincidenza  di  uno  dei  genitori  d'intenzione  con  il   genitore
biologico del minore. Su queste basi la Suprema  Corte  ha  affermato
che «le predette violazioni non sono pertanto configurabili nel  caso
in cui, come nella specie, non sia  in  discussione  il  rapporto  di
filiazione con il genitore biologico, ma solo quello con il  genitore
d'intenzione, il cui mancato riconoscimento non  preclude  al  minore
l'inserimento nel  nucleo  familiare  della  coppia  genitoriale  ne'
l'accesso  al  trattamento  giuridico   ricollegabile   allo   status
filiationis,  pacificamente  riconosciuto  nei  confronti  dell'altro
genitore»,  concludendo  nel  senso  di  ritenere  che  «anche  nella
giurisprudenza  della  Corte  europea  dei  diritti   dell'uomo,   la
sussistenza  di  un  legame  genetico  o  biologico  con  il   minore
rappresenta  dunque  il  limite  oltre  il  quale  e'  rimessa   alla
discrezionalita'  del  legislatore  statale  l'individuazione   degli
strumenti piu' adeguati per conferire rilievo giuridico  al  rapporto
genitoriale, compatibilmente con gli altri interessi coinvolti  nella
vicenda,  e  fermo  restando  l'obbligo  di  assicurare  una   tutela
comparabile  a  quella  ordinariamente  ricollegabile   allo   status
filiationis: esigenza,  questa,  che  nell'ordinamento  interno  puo'
ritenersi   soddisfatta   anche   dal   gia'   menzionato    istituto
dell'adozione in casi particolari,  per  effetto  delle  disposizioni
della legge n. 184 del 1983, che parificano la posizione  del  figlio
adottivo allo stato di figlio nato dal matrimonio». 
    Anche con la successiva pronuncia n. 8029/2020, sopra citata,  la
Corte di cassazione ha ribadito la soluzione adottata  dalle  Sezioni
Unite, ritenuta conforme ai  principi  elaborati  anche  dalla  Corte
europea dei diritti dell'uomo. 
    Parimenti  nella  sentenza  n.  23321/2021,  sopra   citata,   ha
effettuato la medesima valutazione  di  conformita'  della  soluzione
adottata alla giurisprudenza  EDU,  richiamando  la  decisione  D  c.
Francia (n. 11288/18, del 16 luglio 2020) che, nell'esaminare un caso
riguardante il rifiuto di uno Stato membro di riconoscere il rapporto
giuridico di filiazione tra un minore procreato mediante  il  ricorso
alla maternita' surrogata ed  uno  dei  genitori,  non  avente  alcun
legame biologico con lo  stesso,  ha  affermato  che  il  diritto  al
rispetto della vita  privata  del  minore  richiede  che  il  diritto
interno offra la possibilita' di  un  riconoscimento  del  legame  di
filiazione con il  genitore  d'intenzione,  ma  non  anche  che  tale
riconoscimento  abbia  luogo  attraverso  l'iscrizione  nell'atto  di
nascita del minore e ribadito  che  la  scelta  degli  strumenti  per
consentire tale riconoscimento rientra nel margine  di  apprezzamento
degli Stati, di talche' esso puo' aver luogo  anche  in  altro  modo,
come attraverso l'adozione, a condizione che  le  modalita'  previste
dal diritto interno garantiscano l'effettivita' e la celerita'  della
procedura. 
    In  materia  e',  poi,  intervenuta  la  pronuncia  della   Corte
costituzionale 33/2021, che, nel dichiarare l'inammissibilita'  della
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12, comma 6, legge
40/2004, della legge 218/1995 e dell'art. 18 decreto  del  Presidente
della Repubblica 396/2000, sollevata in riferimento agli articoli  2,
3, 30, 31 e 117, comma 1, Cost., nella parte in cui non consentono il
riconoscimento e la dichiarazione di esecutivita'  del  provvedimento
giudiziario   straniero   relativo   all'inserimento   del   genitore
d'intenzione nell'atto di stato civile di un minore procreato con  le
modalita' della gestione per altri,  ha  anzitutto  riconosciuto  che
l'interesse del minore accudito sin dalla nascita da una  coppia  che
ha condiviso la decisione di farlo  venire  al  mondo  e'  certamente
quello di ottenere un riconoscimento giuridico dei legami che,  nella
realta' fattuale, gia' lo uniscono  a  entrambi  i  componenti  della
coppia e  che  sono  parte  integrante  della  sua  stessa  identita'
(«indiscutibile e' l'interesse del bambino a che tali legami  abbiano
riconoscimento non solo sociale ma anche giuridico, a  tutti  i  fini
che rilevano per la vita del bambino stesso - dalla  cura  della  sua
salute,  alla  sua  educazione  scolastica,  alla  tutela  dei   suoi
interessi patrimoniali e ai  suoi  stessi  diritti  ereditari  -;  ma
anche, e prima ancora, allo scopo di essere identificato dalla  legge
come membro di quella famiglia o di quel nucleo di affetti,  composto
da tutte le persone che in concreto ne  fanno  parte.  E  cio'  anche
laddove il nucleo in questione sia strutturato attorno ad una  coppia
composta  da  persone   dello   stesso   sesso,   dal   momento   che
l'orientamento  sessuale  della  coppia  non  incide   di   per   se'
sull'idoneita'   all'assunzione   di   responsabilita'    genitoriale
(sentenza n. 221 del 2019; Corte di cassazione, sezione prima civile,
sentenza 22 giugno 2016, n. 12962; sezione prima civile, sentenza  11
gennaio 2013, n. 601)»  e  preordinati  all'affermazione  dei  doveri
derivanti  dalla  titolarita'  della   responsabilita'   genitoriale.
Prosegue la Corte osservando che, tuttavia, l'interesse  del  minore,
come ogni altro interesse costituzionalmente rilevante,  deve  essere
bilanciato, alla luce del criterio di proporzionalita', con lo  scopo
legittimo perseguito dall'ordinamento di  disincentivare  il  ricorso
alla surrogazione di maternita' e  che,  in  tale  ambito,  la  Corte
europea dei diritti dell'uomo ha  chiarito  che  ciascun  ordinamento
gode, in linea di principio, di un certo  margine  di  apprezzamento;
«ferma restando, pero', la rammentata  necessita'  di  riconoscimento
del "legame di filiazione" con entrambi i componenti della coppia che
di fatto se ne prende cura, al piu' tardi quando tali legami si  sono
di fatto concretizzati (Corte EDU, decisione  12  dicembre  2019,  C.
contro Francia ed E. contro Francia, paragrafo 42; sentenza D. contro
Francia,  paragrafo  67);  lasciando  poi  alla  discrezionalita'  di
ciascuno  Stato  la  scelta  dei  mezzi  con  cui  pervenire  a  tale
risultato, tra i quali si annovera anche il ricorso all'adozione  del
minore.  Rispetto,  peraltro,  a  quest'ultima  soluzione,  la  Corte
europea dei diritti dell'uomo sottolinea come  essa  possa  ritenersi
sufficiente a garantire la tutela dei diritti dei minori nella misura
in cui sia in grado  di  costituire  un  legame  di  vera  e  propria
"filiazione" tra adottante e adottato (Corte EDU, sentenza 16  luglio
2020, D. contro Francia,  paragrafo  66),  e  "a  condizione  che  le
modalita' previste dal diritto interno garantiscano l'effettivita'  e
la celerita' della sua messa in  opera,  conformemente  all'interesse
superiore  del  bambino"  (ibidem,  paragrafo  51)».  E  secondo   la
Consulta, «il punto di equilibrio raggiunto dalla Corte  europea  dei
diritti dell'uomo - espresso da una giurisprudenza ormai  consolidata
- appare corrispondente anche all'insieme  dei  principi  sanciti  in
materia  dalla  Costituzione  italiana»  per  cui  «non  ostano  alla
soluzione, cui le sezioni unite civili della  Cass.  sono  pervenute,
della non trascrivibilita' del provvedimento giudiziario straniero, e
a fortiori dell'originario  atto  di  nascita,  che  indichino  quale
genitore del bambino il «padre  d'intenzione»,  ma  per  altro  verso
impongono  che,  in  tal  caso,  sia   comunque   assicurata   tutela
all'interesse del minore al riconoscimento giuridico del suo rapporto
con entrambi i componenti della coppia che non solo ne abbiano voluto
la nascita in un Paese estero in conformita' alla lex loci, ma che lo
abbiano  poi  accudito  esercitando  di  fatto   la   responsabilita'
genitoriale.  Una  tale  tutela  dovra',  in  questo   caso,   essere
assicurata attraverso un procedimento di adozione effettivo e celere,
che riconosca la pienezza del legame di filiazione  tra  adottante  e
adottato,  allorche'  ne  sia  stata   accertata   in   concreto   la
corrispondenza agli interessi del bambino». 
    Andando, allora, ad esaminare le caratteristiche dello  strumento
dell'adozione in casi  particolari  di  cui  all'art.  44,  comma  1,
lettera d) legge 184/1983, che erano state  censurate  dalla  sezione
rimettente - in quanto ritenute inidonee a creare un vero rapporto di
filiazione, atteso che tale forma di adozione  porrebbe  il  genitore
non biologico in una situazione di inferiorita' rispetto al  genitore
biologico,  non  creerebbe   legami   parentali   con   i   congiunti
dell'adottante ed  escluderebbe  il  diritto  a  succedere  nei  loro
confronti, non garantirebbe quella tempestivita'  del  riconoscimento
del rapporto di filiazione che e' richiesta dalla Corte  europea  dei
diritti dell'uomo nell'interesse del  minore,  sarebbe  rimessa  alla
volonta' del genitore d'intenzione, e sarebbe, altresi', condizionata
all'assenso  all'adozione  da  parte  del  genitore  biologico,   che
potrebbe non prestarlo in caso di  crisi  della  coppia  -  la  Corte
costituzionale ha affermato che esso «costituisce una forma di tutela
degli interessi del minore certo significativa,  ma  ancora  non  del
tutto adeguata al metro dei principi costituzionali e  sovranazionali
rammentati». 
    In  particolare,  le  lacune  individuate   sono   le   seguenti:
l'adozione in casi  particolari  non  attribuisce  la  genitorialita'
all'adottante; era ancora controverso  se  consentisse  di  stabilire
vincoli di parentela con la famiglia  dell'adottante;  l'adozione  in
casi  particolari  richiede  il  necessario  assenso   del   genitore
biologico,  che  potrebbe  non  essere  prestato  in  situazioni   di
sopravvenuta crisi della coppia. E cosi' ha ritenuto che «al fine  di
assicurare  al  minore  ,iato  da  maternita'  surrogata  la   tutela
giuridica  richiesta  dai  principi  convenzionali  e  costituzionali
poc'anzi ricapitolati attraverso  l'adozione,  essa  dovrebbe  dunque
essere disciplinata in modo piu'  aderente  alle  peculiarita'  della
situazione in esame, che e' in effetti assai distante da  quelle  che
il legislatore ha inteso regolare per mezzo dell'art.  44,  comma  1,
lettera d), della legge n. 184 del 1983», muovendo un preciso  monito
al legislatore di intervenire in subiecta materia. 
    In  tale  quadro,  occorre  considerare  che  con  la  successiva
sentenza  n.  79/2022   la   Corte   costituzionale   ha   dichiarato
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 55  legge  184/1983,  nella
parte in cui, mediante rinvio all'art. 300, comma  2,  c.c.,  prevede
che l'adozione in casi particolari non induce alcun  rapporto  civile
tra l'adottato e i parenti  dell'adottante  e,  sulla  base  di  tale
intervento e di ulteriori  considerazioni,  le  Sezioni  Unite  della
Cass., con la  pronuncia  n.  38162/2022,  resa  sempre  in  tema  di
maternita' surrogata, hanno ritenuto il rimedio idoneo. 
    In particolare, con riferimento all'impossibilita' di  costituire
il rapporto adottivo in mancanza dell'assenso del genitore biologico,
richiesto dall'art. 46 legge 184/1983, la Suprema Corte  ha  ritenuto
possibile  un'interpretazione  costituzionalmente   orientata   della
disposizione, in combinato con l'art.  57  della  stessa  legge,  che
impone al giudice di valutare se l'adozione realizzi in  concreto  il
preminente interesse  del  minore,  ed  ha  affermato  che  l'effetto
ostativo del dissenso dell'unico genitore biologico all'adozione  del
genitore sociale deve essere valutato esclusivamente sotto il profilo
della  conformita'  all'interesse  del   minore   stesso,   apparendo
ragionevole soltanto quando non si sia realizzato tra quest'ultimo  e
il genitore d'intenzione  quel  legame  esistenziale  la  cui  tutela
costituisce  il  presupposto  dell'adozione;  mentre   laddove   tale
relazione sussista, «il rifiuto non sarebbe  certamente  giustificato
dalla crisi della coppia committente ne' potrebbe essere rimesso alla
pura discrezionalita' del genitore biologico». 
    Le Sezioni Unite hanno esaminato anche  l'ulteriore  problematica
evidenziata dalla sentenza n. 33 del  2021,  relativa  al  fatto  che
l'iniziativa  spetta  solo  all'adottante,  non  potendo  il   minore
rivendicare  la  costituzione  del   rapporto   genitoriale   tramite
l'adozione. In proposito hanno affermato  che  «quella  constatazione
impone ... ove si presenti il caso, che siano ricercati  nel  sistema
gli strumenti affinche' siano riconosciuti al minore, in  una  logica
rimediale, tutti i diritti connessi allo status di figlio  anche  nei
confronti del committente privo di legame biologico, subordinatamente
ad una verifica in concreto di conformita' al superiore interesse del
minore. Difatti, chi con il proprio comportamento, sia esso  un  atto
procreativo o un contratto, quest'ultimo lecito o illecito, determina
la  nascita  di  un  bambino,  se   ne   deve   assumere   la   piena
responsabilita' e deve assicuragli tutti i diritti  che  spettano  ai
bambini nati «lecitamente». 
    L'adeguatezza dell'istituto  dell'adozione  in  casi  particolari
deve essere valutata considerando anche  la  celerita'  del  relativo
procedimento, che non deve lasciare il legame  genitore-figlio  privo
di riconoscimento troppo a lungo.  Come  ha  sottolineato,  anche  di
recente, la Corte europea dei diritti dell'uomo (sentenza 22 novembre
2022, D.B. e altri  c.  Svizzera),  il  vincolo  deve  poter  trovare
riconoscimento al piu' tardi quando,  secondo  l'apprezzamento  delle
circostanze di ciascun caso, il legame tra il bambino e  il  genitore
d'intenzione si  e'  concretizzato.  La  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo considera cioe' l'adozione un rimedio possibile  se  ed  in
quanto consegua con celerita' il  risultato  del  riconoscimento  dei
legami tra il minore e il  genitore  d'intenzione»,  concludendo  nel
senso di ritenere che «per effetto della sopravvenuta sentenza  della
Corte costituzionale n. 79 del 2022 e prospettandosi la  possibilita'
di una  interpretazione  adeguatrice  del  requisito  del  necessario
assenso del genitore biologico, l'adozione in casi  particolari,  per
come  attualmente  disciplinata,  si  profila  come   uno   strumento
potenzialmente adeguato al fine  di  assicurare  al  minore  nato  da
maternita' surrogata  la  tutela  giuridica  richiesta  dai  principi
convenzionali e costituzionali, restando la valutazione in ogni  caso
sottoposta al vaglio del  giudice  nella  concretezza  della  singola
vicenda e ferma la possibilita' per il legislatore di intervenire  in
ogni momento per dettare una disciplina  ancora  piu'  aderente  alle
peculiarita' della situazione». La Corte di  cassazione  ha  ritenuto
adeguato lo  strumento  dell'adozione  in  casi  particolari  per  la
«tutela dell'interesse del minore  al  riconoscimento  giuridico,  ex
post e in esito a una verifica in concreto da parte del giudice,  del
suo rapporto con il genitore d'intenzione», reputandolo  conforme  ai
principi espressi  dalla  Corte  di  Strasburgo,  cosi'  concludendo:
«l'ordinamento italiano  mantiene  fermo  il  divieto  di  maternita'
surrogata  e,   non   intendendo   assecondare   tale   metodica   di
procreazione,  rifugge  da   uno   strumento   automatico   come   la
trascrizione,  ma  non  volta  le  spalle  al  nato.  Il  titolo  che
giustifica   la   costituzione   dello   stato   e'   fondato,    non
sull'intenzione  di  essere  genitore,  ma  sulla  condivisione   del
progetto genitoriale seguita dalla  cura  e  dal  rapporto  affettivo
costanti;  il  provvedimento  del  giudice  presuppone,  inoltre,  un
giudizio sul miglior interesse del bambino e una verifica in concreto
de 'idoneita' del genitore istante». 
    Infine, con una recente sentenza del 31 luglio 2023 (C c.  Italia
n. 47196/21) la Corte europea dei diritti  dell'uomo  e'  intervenuta
nuovamente sul tema dell'adozione in casi particolari,  in  relazione
ad un ricorso che riguardava il rifiuto delle autorita'  italiane  di
riconoscere il rapporto di filiazione stabilito da un atto di nascita
ucraino tra una minore, nata all'estero mediante una  gestazione  per
altri (GPA) cui aveva fatto ricorso una coppia  eterosessuale,  e  il
suo padre biologico e la sua madre intenzionale. Anche in questo caso
la Corte europea dei diritti dell'uomo ha ricordato che «il  rispetto
della vita privata esige che ogni bambino possa stabilire i  dettagli
della propria identita' di essere umano,  il  che  comprende  la  sua
filiazione», e che «quando e' in gioco la relazione tra una persona e
suo figlio, si impone un dovere di diligenza eccezionale,  in  quanto
il passare del tempo puo' portare a risolvere  la  questione  con  un
fatto  compiuto».  Pertanto,  spetta  a  «ciascuno  Stato  contraente
munirsi di strumenti giuridici adeguati e sufficienti per  assicurare
il rispetto degli obblighi positivi che ad esso  incombono  ai  sensi
dell'art.  8  della  Convenzione,  tra  cui  l'obbligo  di  diligenza
eccezionale quando e' in gioco la relazione tra  una  persona  e  suo
figlio». 
    Ha aggiunto che la Corte non e' chiamata a esaminare le modalita'
di accertamento o di riconoscimento di un rapporto di  filiazione  di
un  bambino  nato  ricorrendo  a   una   GPA   praticata   all'estero
(trascrizione dell'atto di nascita  straniero  parziale  o  completa,
adozione piena o semplice, accertamento  ex  novo  del  rapporto  nel
paese di residenza del minore),  ma  deve  invece  verificare  se  il
processo decisionale dello Stato di residenza del minore, considerato
complessivamente,  abbia  assicurato  un'adeguata  protezione   degli
interessi in gioco. Infatti, e'  fondamentale  che  le  modalita'  di
accertamento  della   filiazione   previste   dal   diritto   interno
garantiscano l'effettivita'  e  la  celerita'  della  sua  attuazione
(parere   consultivo   n.    P16-2018-001    [...]),    conformemente
all'interesse  superiore  del  minore  in   modo   da   evitare   che
quest'ultimo sia mantenuto a lungo nell'incertezza giuridica». 
    La Corte ha anche esaminato l'ordinamento interno in relazione al
rapporto tra il minore e la madre  intenzionale,  ed  in  specie  gli
articoli 44 e ss. legge 184/1983, sull'adozione in casi  particolari,
norma che come  evidenziato  anche  dalla  richiamata  giurisprudenza
della Corte di cassazione (da ultimo Cass. SU 38162/2022) rappresenta
«lo strumento che consente di dare riconoscimento giuridico,  con  il
conseguimento dello status di figlio,  al  legame  di  fatto  con  il
partner del genitore genetico che ha condiviso il disegno procreativo
e ha concorso nel prendersi cura del bambino sin  dal  momento  della
nascita». In tal senso, tale previsione, allo  stato  dell'evoluzione
dell'ordinamento nazionale e nei limiti della discrezionalita'  degli
Stati di valutare come procedere al riconoscimento  del  rapporto  di
filiazione,  consente  di  non  ritenere  integrata  una   violazione
dell'art. 8 CEDU, poiche' «la legge italiana, anche se  non  permette
la trascrizione dell'atto di nascita per  quanto  riguarda  la  madre
intenzionale,  garantisce   a   quest'ultima   la   possibilita'   di
riconoscere giuridicamente  il  bambino  attraverso  l'adozione.»  E,
dunque, elimina il problema della impossibilita' generale e  assoluta
di riconoscere un rapporto di filiazione. 
    Come ricordato dalla Suprema  Corte,  tuttavia,  la  valutazione,
nella concretezza della singola vicenda, e' in ogni  caso  sottoposta
al vaglio del giudice, restando sempre ferma la possibilita'  per  il
legislatore di intervenire in ogni momento per dettare una disciplina
ancora piu'  aderente  alle  peculiarita'  delle  diverse  situazioni
concrete che involgono genitori d'intenzione. 
    Questo collegio  ritiene  che  l'adozione  in  casi  particolari,
ancorche'  a  seguito  dalla  sentenza   n.   79/2022   dalla   Corte
costituzionale  sia  stata  riconosciuta  -  ampliando   il   portato
letterale dell'art. 55 legge 184/1983 - l'instaurazione  di  rapporti
civili tra  l'adottato  ed  i  parenti  dell'adottante  e  nonostante
l'apertura verso la dimensione funzionale del requisito del  consenso
del genitore biologico inaugurata dalle Sezioni Unite nel  2022,  non
consente di assicurare al minore una tutela adeguata, in  termini  di
effettivita' e celerita', non garantite in concreto dal  procedimento
in questione. 
    Invero, alla conformita' in astratto  ai  parametri  dell'art.  8
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali  non  corrisponde  una  concreta  ed  effettiva
tutela del minore, laddove il progetto procreativo sia perseguito  da
una coppia omossessuale  ed  a  differenza  di  quanto  specularmente
previsto per le coppie eterosessuali che accedono alla P.M.A. di tipo
eterologo, in cui il riconoscimento opera sin dalla nascita  (sebbene
anche in questo caso uno dei due  genitori,  o  entrambi,  non  siano
biologicamente tali). 
    Quanto al richiesto presupposto della celerita' della tutela  (si
rammenta che nella sentenza C c. Italia n.  47196/21  del  31  agosto
2023, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha censurato l'eccessiva
lentezza del processo decisionale dei giudici nazionali, in relazione
al  mancato  sollecito  riconoscimento  del  rapporto  con  il  padre
biologico),  si  condividono   le   considerazioni   espresse   dalle
resistenti che  riferiscono,  correttamente,  che  i  tempi  medi  di
definizione dei procedimenti di adozione speciale si attestano su tre
anni per ottenere una  sentenza  definitiva,  mentre  tribunali  piu'
virtuosi registrano tempi piu' contenuti, ma  comunque  di  circa  un
anno e mezzo. 
    Inoltre, il procedimento scandito dagli  articoli  44  ss.  legge
184/1983, postulando la valutazione e l'accertamento circa l'avvenuta
instaurazione  di  un  legame  affettivo  stabile  con  il   genitore
adottante, della cui idoneita'  genitoriale  parimenti  il  Tribunale
deve accertarsi, richiede incombenti istruttori  e  processuali,  ivi
compreso il  coinvolgimento  del  Servizio  Sociale  territorialmente
competente  e  l'audizione  del  minore   se   capace   di   autonomo
discernimento, che  inevitabilmente  dilatano  i  tempi  processuali,
ritardando il riconoscimento dello status in capo  al  minore.  Tanto
piu' considerando che, nell'attuale confusionario quadro normativo  e
giurisprudenziale,  il  procedimento  potrebbe  essere  in   concreto
introdotto solo all'esito  del  giudizio  di  impugnazione  ai  sensi
dell'art. 95 decreto del Presidente  della  Repubblica  396/2000,  da
parte  della  coppia  omoaffettiva,   del   rifiuto   dell'iscrizione
dell'Ufficiale dello stato civile o, viceversa, da parte del pubblico
ministero dell'iscrizione, cosi' dilatando ancor  piu'  i  tempi  del
riconoscimento dello status di figlio. 
    Il caso di specie e' emblematico sotto questo profilo, atteso che
G G P ha gia' compiuto un anno di eta'  ed  ancora  pende,  in  primo
grado, il procedimento ai sensi dell'art. 95 decreto  del  Presidente
della  Repubblica  396/2000,  mentre  il  procedimento  per  la   sua
eventuale adozione da parte di I P potra' essere avviato solo in caso
di definitivo accoglimento del presente ricorso, presumibilmente  tra
diversi anni e comunque all'esito dell'esperimento dei vari gradi  di
giudizio; di contro, l'atto di nascita dell'altra minore L P G non e'
ancora  sub  iudice  e  cio'  procrastina  l'incertezza   della   sua
situazione giuridica, che  resta  assoggettata  all'iniziativa  della
Procura della Repubblica per un tempo  non  preventivabile  (come  di
recente avvenuto nei casi portati  all'attenzione  del  Tribunale  di
Padova, a seguito dell'impugnazione  da  parte  della  Procura  della
Repubblica di oltre trenta atti di  nascita  di  minori,  alcuni  dei
quali formati gia' da anni). 
    Trattasi, inoltre, di una procedura giudiziale, che presuppone un
soggetto ricorrente, che avvii la  procedura  medesima.  Anche  sotto
tale  profilo  vanno  evidenziate  le  implicazioni  concrete   della
modalita' di riconoscimento dello  status  di  figlio  in  questione,
perche' potrebbero verificarsi disparita' di trattamento  in  termini
di accesso allo strumento:  il  procedimento  comporta  comunque  dei
costi, anche per la difesa tecnica oltre che per le spese  vive,  che
la madre intenzionale dovrebbe accollarsi (e che potrebbe non  volere
o non potere nei fatti sopportare, salva l'ammissione  al  patrocinio
per i non abbienti). 
    Ancora, l'adozione e' e resta uno strumento  rimesso  interamente
alla volonta' e all'iniziativa della madre intenzionale, escludendosi
ogni autonoma  iniziativa  della  madre  biologica,  da  un  lato,  e
soprattutto del  minore,  dall'altro,  come  gia'  evidenziato  dalla
giurisprudenza che ha affrontato la questione. 
    Nell'attuale assetto normativo dell'istituto, come  emerge  dagli
articoli 44 e ss. legge 184/1983 ed anche a seguito degli  interventi
della Corte costituzionale, il minore non  puo'  imporre  alla  madre
intenzionale di adottarlo, cosicche', in caso di crisi della coppia e
conseguente  abbandono  della   famiglia   da   parte   della   madre
intenzionale, il minore resterebbe privo di tutela in termini sia  di
esercizio della responsabilita'  genitoriale  da  parte  della  madre
intenzionale, con connessi obblighi di cura  e  mantenimento  solo  a
carico della madre biologica, sia di diritti successori nei confronti
della madre intenzionale, nonostante anche costei  abbia  contribuito
al suo progetto procreativo. La situazione e' diametralmente  opposta
a quella prevista per la speculare ipotesi della coppia eterosessuale
che abbia fatto ricorso alla tecnica  della  procreazione  eterologa,
che, per espressa previsione di legge, non puo' mai disconoscere quel
figlio,  ancorche'  per  uno  dei  membri  della   coppia   non   sia
biologicamente proprio, ne'  disinteressarsene  e,  conseguentemente,
venir meno ai connessi obblighi genitoriali. 
    Neppure la madre biologica, la quale con  la  madre  intenzionale
abbia condiviso il progetto di far venire al mondo quel minore,  puo'
avviare il procedimento che conduce,  ai  sensi  dell'art.  48  legge
184/1983, ad estendere alla madre intenzionale gli  obblighi  di  cui
all'art. 147 c.c., potendo solo  acconsentire  alla  decisione  della
madre intenzionale di avviarlo. 
    Tale situazione di evidente incertezza delle sorti del  minore  e
della sua effetti.va tutela trova  ulteriore  conferma  nell'art.  47
legge 184/1983, sotto il duplice profilo della  revoca  del  consenso
nel corso del procedimento e della morte dell'adottante. 
    Infatti, poiche' l'adozione produce i  suoi  effetti  dalla  data
della sentenza che la dispone, finche' la sentenza  non  e'  emanata,
tanto  l'adottante,   dunque   il   genitore   intenzionale,   quanto
l'adottando  o  il  suo  legale  rappresentante,  se  l'adottando  e'
infraquattordicenne (e dunque di norma il genitore biologico) possono
revocare il loro consenso al procedimento adottivo. 
    Come gia' detto, sulla questione  della  mancanza  ab  origine  o
sulla  revoca  dell'assenso  all'adozione   prestato   dal   genitore
biologico, quale legale rappresentante del minore,  sono  intervenute
le Sezioni Unite  della  Cass.,  che  hanno  ritenuto  che  l'effetto
ostativo  del  dissenso  del  genitore  biologico  all'adozione   del
genitore intenzionale deve essere valutato  sotto  il  profilo  della
conformita'  all'interesse  del  minore,  di  modo  che  il  genitore
biologico puo' validamente negare l'assenso all'adozione del  partner
solo nell'ipotesi in cui quest'ultimo non  abbia  intrattenuto  alcun
rapporto di affetto e di cura nei confronti  del  nato,  oppure,  pur
avendo partecipato al progetto di procreazione, abbia poi abbandonato
la famiglia (Cass. S.U. 38162/2022, confermato da Cass. 25436/2023). 
    Non e' invece previsto, ne' per espressa previsione di legge  ne'
in via giurisprudenziale, alcuno  strumento  avverso  la  revoca  del
consenso, prima della sentenza, da parte  della  madre  intenzionale,
restando dunque anche sotto tale aspetto  la  condizione  del  minore
rimessa alle alterne e spesso mutevoli  vicende  della  relazione  di
coppia ed alla volonta' dell'adottante, quantomeno sino a  definitiva
conclusione del procedimento. 
    Permane, inoltre, un'ulteriore criticita'  nell'ambito  dell'art.
47 legge 184/1983. Si condivide sul punto  quanto  evidenziato  dalla
difesa delle resistenti per il caso, comunque da considerarsi, in cui
la madre intenzionale venisse a mancare; infatti,  qualora  la  madre
intenzionale   si   determinasse   a   chiedere   l'adozione,   anche
eventualmente cercando di superare il dissenso della madre biologica,
ma morisse  prima  della  sentenza  di  adozione,  la  pronuncia  non
potrebbe essere adottata, in quanto l'art. 47 legge 184/1983  prevede
la  possibilita'  di  pronunciare  sentenza  per  il  caso  di  morte
dell'adottante nel corso del procedimento, solo se  la  richiesta  di
adozione sia congiuntamente formulata da due coniugi, circostanza che
non si verifica mai in caso di coppia omosessuale. 
    In conclusione, lo strumento dell'adozione  in  casi  particolari
consente senz'altro di pervenire, in astratto, al risultato finale di
garantire il riconoscimento del legame giuridico tra il minore ed  il
genitore intenzionale, ma non puo' ritenersi che, in  concreto,  cio'
avvenga  celermente,  ne'  che  la  tutela  sia   sempre   effettiva,
ponendosi, nelle peculiari situazioni sopra  descritte,  il  caso  di
alcuni minori che vengono a trovarsi privi del  riconoscimento  anche
giuridico dei legami che, nella realta' fattuale, gia' li uniscono  a
entrambi i componenti della coppia che ha condiviso la  decisione  di
farli venire al mondo. 
    Norme che si assumono incostituzionali 
    Alla luce  di  quanto  sin  qui  delineato,  tenuto  conto  della
ritenuta impraticabilita'  di  un'interpretazione  costituzionalmente
orientata degli articoli 8 e 9 legge 40/2004 e dei persistenti limiti
dello strumento dell'adozione in casi particolari, viene  in  rilievo
la necessita' di  vagliare  la  compatibilita'  costituzionale  degli
articoli 8 e 9 legge 40/2004, nonche'  dell'art.  250  c.c.,  laddove
attribuisce alla madre ed al padre la possibilita' di riconoscere  il
figlio, nella misura in cui impediscono al  nato  nell'ambito  di  un
progetto di procreazione  medicalmente  assistita  praticata  da  una
coppia di donne l'attribuzione dello status  di  figlio  riconosciuto
anche  dalla  c.d.  madre  intenzionale  che,  insieme   alla   madre
biologica, abbia prestato il  consenso  alla  pratica  fecondativa  e
comunque laddove impongono la cancellazione dall'atto di nascita  del
riconoscimento compiuto dalla madre intenzionale. 
    In punto di rilevanza,  richiamando  quanto  gia'  osservato,  si
ribadisce che l'applicazione delle norme  indicate  e'  evidentemente
ineliminabile  nell'iter  logico-giuridico  che  il  Tribunale   deve
percorrere per la decisione. 
    I parametri di costituzionalita' che si assumono violati. 
    Il  quadro  normativo   e   giurisprudenziale   cosi'   delineato
determina, infatti,  una  lesione  di  diritti  costituzionalmente  e
convenzionalmente garantiti dagli articoli 2, 3, 30, 31 e 117,  primo
comma, Cost., quest'ultimo in relazione agli articoli 8  e  14  della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali (CEDU) firmata il 4 novembre 1950, ratificata e
resa esecutiva con legge 848/1955 e come interpretati dalla Corte  di
Strasburgo,  all'art.  24  della  Carta  dei   diritti   fondamentali
dell'Unione europea proclamata a  Nizza  il  7  dicembre  2000,  agli
articoli 2, 3, 4, 5, 7, 8, 9 e 18 della Convenzione sui  diritti  del
fanciullo firmata a New York il 20 novembre 1989, ratificata  e  resa
esecutiva con legge 176/1991, agli articoli 1 e 6 Convenzione europea
sull'esercizio dei diritti dei fanciulli, adottata dal  Comitato  dei
Ministri del Consiglio d'Europa  il  25  gennaio  1996  e  ratificata
dall'Italia con legge 77/2003. 
    In  particolare,  l'inapplicabilita'  al  caso  di  specie  degli
articoli 8 e 9 legge 40/2004 e,  di  riflesso,  dell'art.  250  c.c.,
determina la violazione del diritto del minore all'inserimento e alla
stabile  permanenza  nel  proprio  nucleo  familiare,   inteso   come
formazione sociale  tutelata  dalla  Carta  costituzionale  e  lascia
altresi'  privo  di  tutela  il  diritto   inviolabile   del   minore
all'identita'  garantito  dall'art.  2   Cost.,   da   cui   discende
l'azionabilita' dei suoi diritti nei confronti di chi si  e'  assunto
la  responsabilita'.  di  procreare  nell'ambito  di  una  formazione
sociale che, benche' non riconducibile alla famiglia tradizionale, e'
comunque meritevole di tutela. 
    Risulta, in altre parole, frustrato  il  diritto  del  minore  di
vedersi riconosciuta e di conservare un'identita' familiare e sociale
corrispondente al progetto di genitorialita'. realizzato, in una data
formazione familiare, mediante  procreazione  medicalmente  assistita
effettuata all'estero. 
    Risulta, inoltre, violato l'art. 3 della Costituzione, commi 1  e
2. 
    Il rispetto del principio di uguaglianza formale impone, infatti,
che il nato all'esito del percorso di P.M.A. intrapreso da una coppia
di due donne non sia discriminato dalla legge, il che avviene laddove
questi non venga tutelato, dal punto di vista morale e materiale,  in
ragione delle caratteristiche della  relazione  (omosessuale)  tra  i
genitori. Come affermato nella precedente ordinanza di rimessione del
Tribunale di Padova (n. 79/2019) e sottolineato  dalla  difesa  delle
ricorrenti,  con  argomentazioni  che  questo   Tribunale   condivide
appieno,   consentire   il   permanere   di   tale    discriminazione
significherebbe legittimare nel nostro sistema una  nuova  (e  unica)
categoria  di  nati  non  riconoscibili,  che   ricorda   tristemente
categorie gia' fortemente discriminate in passato e  superate  grazie
all'evoluzione sociale e giuridica stimolata soprattutto dai principi
costituzionali: ci si riferisce alla categoria dei figli  adulterini,
non riconoscibili prima della riforma del diritto di famiglia di  cui
alla legge 151/1975, e a quella dei figli incestuosi, che, nonostante
la  illiceita'  penale,  in  presenza  di  pubblico  scandalo,  della
condotta  che  ha  portato  al  concepimento  (art.  564  c.p.),  con
l'attuale formulazione dell'art. 251  codice  civile  possono  essere
riconosciuti  con  autorizzazione   del   giudice   «avuto   riguardo
all'interesse del figlio e alla necessita'  di  evitare  allo  stesso
qualsiasi pregiudizio». A cio' si aggiunga che la  «nuova»  categoria
di nati assolutamente non riconoscibili violerebbe anche  apertamente
il principio di unicita' dello status  giuridico  dei  figli  che  ha
connotato tutti gli interventi legislativi piu' recenti in materia di
filiazione (oltre alla legge 219/2012 anche  il  decreto  legislativo
154/2013 ed il decreto legislativo 149/2022, c.d riforma Cartabia)  e
che si estende anche ai figli adottivi di coppia dello stesso sesso. 
    La violazione dei principi di cui all'art. 3  della  Costituzione
sussiste,   poi,   anche   con   riferimento    al    diritto    alla
bigenitorialita'., ossia al diritto di ogni bambino nato da P.M.A. ad
avere  due  persone  che   si   assumono   sin   dalla   nascita   la
responsabilita'  di  provvedere  al  suo   mantenimento,   alla   sua
educazione e istruzione, nei  confronti  delle  quali  poter  vantare
diritti  successori,  ma  soprattutto  poter   agire   in   caso   di
inadempimento e di crisi della coppia. 
    Peraltro, anche dal lato dei genitori, il mancato  riconoscimento
delle donne omossessuali quali  genitori  del  nato  da  fecondazione
eterologa praticata dall'una con il consenso dell'altra si risolve in
una violazione del secondo comma dell'art. 3 della Costituzione,  che
assegna alla Repubblica il  compito  di  rimuovere  gli  ostacoli  di
ordine sociale al pieno sviluppo della loro  personalita',  impedendo
loro di assegnare piena tutela ai figli nati tramite le  tecniche  di
P.M.A. 
    Sempre sotto il profilo della violazione dell'art. 3 Cost.,  deve
osservarsi che, come sopra detto,  la  Corte  di  cassazione  ritiene
ormai, con orientamento costante,  trascrivibile  l'atto  di  nascita
formato  all'estero  con  l'indicazione  delle   due   madri,   l'una
biologica, che si e' sottoposta alla P.M.A. ed ha partorito il figlio
e l'altra intenzionale, che ha prestato il proprio consenso  a  tutto
il percorso seguito dalla partner, ritenendo non ostativo il concetto
di ordine pubblico internazionale, mentre, dall'altro  lato,  con  un
orientamento ugualmente costante nega la possibilita' di iscrivere in
Italia un atto di nascita siffatto, dovendo  in  questo  caso  aversi
riguardo all'ordine pubblico nazionale e alle norme ostative  di  cui
alla legge 40/2004 (artt. 4 e 5). 
    Sebbene tale differenziazione, proprio  in  quanto  basata  sulla
diversita' dei parametri utilizzati, non possa ritenersi di  per  se'
irragionevole, e' evidente che, trattandosi di vicende - quelle della
nascita all'estero o in Italia  dei  figli  concepiti  da  due  donne
mediante la P.M.A. - che  creano  situazioni  soggettive  percepibili
come del tutto analoghe, non risulta ragionevole l'esito contrapposto
che si determina sul piano dei diritti del nato: in un caso, il  nato
risulta figlio delle  due  donne  che  hanno  condiviso  il  progetto
procreativo e, nell'altro,  laddove  non  risultino  applicabili  gli
articoli 8 e 9 legge 40/2004,  il  nato  risulta  figlio  della  sola
partoriente, senza il riconoscimento ab origine di alcun  legame  con
l'altra donna. 
    Anche a prescindere da tali  profili,  la  discriminazione  opera
anche tra gli stessi nati in Italia, non  riconoscibili  dalla  madre
intenzionale - o perche' l'Ufficiale dello stato civile ha opposto un
rifiuto o perche',  inizialmente  formato  l'atto  con  l'indicazione
anche della madre intenzionale, la Procura della Repubblica ha,  come
nel caso concreto, impugnato l'atto ai sensi dell'art. 95 decreto del
Presidente della Repubblica 396/2000, con gli esiti sopra esposti - e
quelli per i quali e' stato, invece, iscritto  il  relativo  atto  di
nascita e nessun ricorso e' stato promosso, come per L P G ,  che  e'
nata all'interno del medesimo nucleo familiare di G  G  P  ,  con  il
ricorso  alle  stesse  tecniche  di  P.M.A.  cui  si  e'  sottoposta,
nell'anno        (quindi un anno  prima,  essendo  quest'ultimo  nato
nell'anno      ), l'altra donna  della  coppia  omoaffettiva.  I  due
nati, nonostante la comunanza di vita all'interno dello stesso nucleo
familiare - perche' non v'e' dubbio che  di  formazione  familiare  a
tutti gli effetti si tratti, essendo ormai abbandonato il concetto di
famiglia come limitato a quella formata da coppie di  sesso  diverso,
astrattamente in grado di procreare naturalmente - nel caso  in  cui,
non applicandosi gli articoli  8  e  9  legge  40/2004,  il  presente
ricorso della Procura venisse accolto, avrebbero due status  diversi,
essendo l'una riconosciuta come figlia di entrambe le donne e l'altro
solo della madre biologica, con esclusione  di  ogni  legame  con  la
madre intenzionale. Tant'e' vero che  le  resistenti,  nel  porsi  in
concreto  il  problema,  hanno  chiesto,  in  denegata  ipotesi,   la
cancellazione del  riferimento  alla  madre  intenzionale  anche  per
l'altra figlia, previo  ricorso  della  Procura  che,  ad  oggi,  non
risulta promosso. 
    Da non sottovalutare, poi, la questione inerente  alla  creazione
del legame tra i fratelli, che non avrebbe alcun  riconoscimento  nel
caso in cui non si potessero ritenere i due figli  provenienti  dallo
stesso stipite. 
    Da questo punto di vista, il  collegio  ritiene  di  evidenziare,
anche in punto di non manifesta infondatezza  e  di  rilevanza  della
questione, la peculiarita' del caso concreto, rispetto a  molti  casi
gia'  decisi  in  precedenti  pronunce  di  merito  e   legittimita',
oltreche' gia' vagliati dalla  Corte  costituzionale,  originati  dal
rifiuto dell'Ufficiale dello Stato civile di annotazione nell'atto di
nascita anche della madre intenzionale ed in cui i  minori  coinvolti
non avevano mai acquisito  lo  status  di  figli  anche  della  madre
intenzionale, mentre nel caso di specie lo status andrebbe,  in  caso
di accoglimento, rimosso per il minore G  .  La  situazione  concreta
rivela infatti in termini  drammatici  la  denunciata  disparita'  di
trattamento, capace di realizzarsi  anche  all'interno  della  stessa
famiglia, in assenza di una disciplina della materia e laddove non si
consenta l'applicazione delle disposizioni qui censurate. 
    Risulterebbe, altresi', violato l'art.  30  Cost.,  non  solo  in
relazione al mancato riconoscimento del diritto/dovere stabilito  nel
comma 1, di cui abbiamo sopra  detto  con  riferimento  al  parametro
dell'eguaglianza, ma anche con riguardo al comma 3, che richiede  che
sia assicurata anche ai nati dalle pratiche di fecondazione eterologa
cui  hanno  fatto  ricorso  due  donne  legate   da   una   relazione
sentimentale (riconosciuta dall'ordinamento) ogni tutela giuridica  e
sociale, che a sua volta passa attraverso il riconoscimento del  loro
status di figli della coppia che  ha  espresso  il  consenso  a  tali
pratiche e cio'  al  fine  di  assicurare  il  diritto  all'identita'
personale. 
    Si rammenta che l'art.  30  Cost.  e'  stato  posto  dalla  Corte
costituzionale  a  presidio  del  principio  che  impone  che   nelle
decisioni delle  autorita'  giudiziarie  venga  riconosciuto  rilievo
primario alla salvaguardia del miglior interesse  del  minore  (Corte
cost 11/1981), principio ricondotto  altresi'  all'ambito  di  tutela
dell'art. 31 Cost.  (Corte  cost.  nn.  272/2017,  76/2017,  17/2017,
239/2014)   e   che   rappresenta   un   ulteriore    parametro    di
costituzionalita' violato dalla mancata applicazione degli articoli 8
e 9 legge 40/2004 alla fattispecie. 
    E' poi violato l'art. 117 Cost. in relazione alle seguenti  norme
sovranazionali interposte, che tutelano e  garantiscono  il  primario
interesse del minore: 
      - l'art. 8 della CEDU, come interpretato  dalla  giurisprudenza
della Corte di Strasburgo  gia'  richiamata  (v.  M  c.  Francia,  n.
65192/11 del 26 giugno 2014; L c. Francia, n. 65941/11 del 26  giugno
2014; D c. Francia, n. 11288/18 del 16 luglio 2020; D.B. e  altri  c.
Svizzera, nn. 58817/15 e 58252/15 del 22 novembre 2022; C c.  Italia,
n. 47196/21 del  31  luglio  2023,  oltre  al  parere  consultivo  n.
P16-2018-001), atteso che l'assenza di riconoscimento  di  un  legame
tra  il  bambino  e  la  madre  intenzionale  pregiudica  il   primo,
lasciandolo in una situazione di incertezza giuridica quanto alla sua
identita' nella societa'; 
      - l'art.  14  della  CEDU,  in  presenza  di  un'ingiustificata
disparita' di trattamento tra i  nati,  a  seconda  che  siano  stati
concepiti   con   fecondazione   eterologa   praticata   da    coppia
eterosessuale o da coppia omosessuale,  essendo  solo  questi  ultimi
destinati ad uno status di figli unigenitoriali; 
      - l'art. 24 della Carta dei  diritti  fondamentali  dell'Unione
europea, proclamata a Nizza il 7/12/2000, che  ha  lo  stesso  valore
giuridico dei Trattati (art. 6,  comma  1  TUE)  e  che  prevede,  al
paragrafo 3: «ogni bambino ha diritto  di  intrattenere  regolarmente
relazioni personali e contatti diretti  con  i  due  genitori,  salvo
qualora cio' sia contrario al suo interesse»; 
      - gli articoli 2 e 3 della Convenzione di New York sui  diritti
del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata e resa  esecutiva  con
legge 176/1991, di cui i successivi articoli 4,  5,  7,  8,  9  e  18
costituiscono specificazioni. In  particolare,  con  la  ratifica  lo
Stato italiano si e' impegnato, insieme agli altri  Stati  firmatari,
«a rispettare i diritti enunciati nella  presente  Convenzione  ed  a
garantirli ad ogni fanciullo che dipende  dalla  loro  giurisdizione,
senza distinzione di sorta ed a prescindere da ogni considerazione di
razza, di colore, di sesso, di  lingua,  di  religione,  di  opinione
politica o altra del fanciullo o dei suoi genitori  o  rappresentanti
legali, dalla loro origine nazionale, etnica o  sociale,  dalla  loro
situazione finanziaria, dalla loro incapacita', dalla loro nascita  o
da ogni altra circostanza»  e  ad  adottare  «tutti  i  provvedimenti
appropriati affinche' il fanciullo sia effettivamente tutelato contro
ogni forma di discriminazione o di sanzione motivate dalla condizione
sociale, dalle attivita', dalle opinioni professate o convinzioni dei
suoi genitori, dei suoi rappresentanti legali e dei  suoi  familiari»
(art. 2). Si e' poi impegnato a tenere in  preminente  considerazione
«l'interesse superiore del fanciullo» in tutte le  decisioni  che  lo
riguardano (artt. 3 e 4). Inoltre, ai sensi dell'art. 5,  «gli  Stati
Parti rispettano la responsabilita', il  diritto  ed  il  dovere  dei
genitori o, se del caso, dei membri della famiglia allargata o  della
collettivita', come previsto dagli usi locali,  dei  tutori  o  altre
persone  legalmente   responsabili   del   fanciullo,   di   dare   a
quest'ultimo, in  maniera  corrispondente  allo  sviluppo  delle  sue
capacita', l'orientamento ed i consigli adeguati  all'esercizio  dei.
diritti che gli  sono  riconosciuti  dalla  presente  Convenzione»  e
l'art. 7 prevede che «il fanciullo e'  registrato  immediatamente  al
momento della sua nascita e da allora  ha  diritto  ad  un  nome,  ad
acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere
i suoi genitori ed a  essere  allevato  da  essi».  L'art.  8  tutela
l'unita' familiare imponendo il rispetto del «diritto del fanciullo a
preservare la propria identita', ivi compresa la sua nazionalita', il
suo nome e le sue relazioni famigliari» e l'art. 9 specifica  che  la
separazione dai  genitori  rappresenta  una  misura  di  salvaguardia
dell'interesse preminente del minore. L'art.  18,  infine,  indirizza
l'impegno degli Stati firmatari a «garantire  il  riconoscimento  del
principio comune secondo il  quale  entrambi  i  genitori  hanno  una
responsabilita' comune per quanto riguarda l'educazione del fanciullo
ed il provvedere al suo sviluppo»; 
      - gli articoli 1 e 6 della Convenzione  europea  sull'esercizio
dei diritti dei fanciulli, adottata dal  Comitato  dei  Ministri  del
Consiglio d'Europa il 25 gennaio 1996 e  ratificata  dall'Italia  con
legge   77/2003,   che   impongono    l'assunzione    di    decisioni
giurisdizionali nel superiore interesse dei minori. 
    Il monito della Corte costituzionale. 
    Il collegio e' ben consapevole che il Tribunale  di  Padova,  con
ordinanza n. 79 del 9 dicembre 2019, ha sollevato  analoga  questione
di legittimita' costituzionale degli articoli 8 e 9 legge  40/2004  e
dell'art.  250  codice  civile  in   riferimento   a   parametri   di
costituzionalita'  speculari  a  quelli  oggi  richiamati  da  questo
Tribunale,   denunciando   il   vuoto   di    tutela    che    deriva
dall'interpretazione   sistematica   delle   predette    disposizioni
normative, nella misura in cui non consentono al nato da un  progetto
di  procreazione  medicalmente  assistita  eterologa,  l'attribuzione
dello status di figlio anche  della  madre  intenzionale,  che  abbia
parimenti prestato il  consenso  all'uso  della  tecnica  procreativa
richiamata.  Il  Tribunale  patavino   rimettente,   giudicando   non
manifestamente infondata la  questione  rispetto  alla  decisione  da
assumere, aveva in particolare  sottolineato  la  necessita'  di  una
pronuncia «additiva» della Corte, volta a colmare proprio quel  vuoto
di tutela riscontrato. 
    Tuttavia, la Corte costituzionale con la pronuncia n. 32/2021  ha
dichiarato la questione inammissibile, «per il rispetto  dovuto  alla
prioritaria valutazione del legislatore circa la congruita' dei mezzi
adatti a raggiungere un fine costituzionalmente necessario». 
    In particolare, la Corte costituzionale  richiamando  le  proprie
precedenti  decisioni,  ha  rimarcato  che  l'elusione   del   limite
stabilito dall'art. 5 legge 40/2004 non evoca  scenari  di  contrasto
con principi e valori costituzionali: pur escludendosi l'esistenza di
un diritto alla genitorialita' di coppie dello  stesso  sesso  (Corte
cost.  230/2020),   non   e'   infatti   configurabile   un   divieto
costituzionale, per le coppie omosessuali,  di  accogliere  figli  e,
inoltre, «non  esistono  neppure  certezze  scientifiche  a  dati  di
esperienza in ordine al fatto che l'inserimento  del  figlio  in  una
famiglia  formata  da  una  coppia  omosessuale  abbia  ripercussioni
negative sul piano educativo e dello sviluppo della personalita'  del
minore» (Corte cost. 221/2019). 
    In tal senso, ha sottolineato che l'esigenza di salvaguardia  del
primario interesse del minore,  in  sintonia  con  la  giurisprudenza
delle Corti europee, imponeva (ed impone) un urgente ripensamento del
quadro  normativo  vigente,  che  disvela  una  «preoccupante  lacuna
dell'ordinamento», rendendo impellente un intervento del  legislatore
volto a colmare il divario tra la realta' fattuale  e  quella  legale
nel rapporto del minore con la  madre  intenzionale,  nell'ottica  di
conferire riconoscimento giuridico ai legami  affettivi  e  familiari
esistenti, anche se non  biologici,  e  all'identita'  personale  del
minore. Ha  anche  evidenziato  che  «i  nati  a  seguito  di  P.M.A.
eterologa praticata da due donne versano in una condizione  deteriore
rispetto  a  quella  di  tutti  gli  altri  nati,  solo  in   ragione
dell'orientamento sessuale delle persone che hanno posto in essere il
progetto procreativo.  Essi,  destinati  a  restare  incardinati  nel
rapporto con un solo  genitore,  proprio  perche'  non  riconoscibili
dall'altra persona che ha costruito il progetto  procreativo,  vedono
gravemente compromessa la tutela dei loro preminenti interessi». 
    Ha concluso la Corte auspicando  «una  disciplina  della  materia
che, in maniera organica, individui  le  modalita'  piu'  congrue  di
riconoscimento dei. legami affettivi  stabili  del  minore,  nato  da
P.M.A. praticata da coppie dello stesso sesso,  nei  confronti  anche
della madre intenzionale», cosi'  rivolgendo  un  preciso  monito  al
legislatore, in quanto «non sarebbe  piu'  tollerabile  il  protrarsi
dell'inerzia legislativa». 
    L'impellenza dell'auspicato intervento normativo era apparsa alla
Corte ancor piu' incisiva, avendo, il  caso  concreto  sollevato  dal
Tribunale  di  Padova,  in  cui  difettava  l'assenso   della   madre
biologica,   rivelato   in    maniera    tangibile    l'inadeguatezza
dell'adozione in casi particolari a garantire la tutela  del  minore.
Ebbene, tale valutazione deve ritenersi ferma anche a  seguito  degli
interventi ampliativi di cui si e' dato conto che, pur  offrendo  una
risposta al caso specifico in precedenza  rimesso  dal  Tribunale  di
Padova, lasciano residuare gli ampi vuoti di tutela sopra descritti. 
    Ad oggi, il monito della Corte costituzionale, che aveva definito
non «piu' tollerabile  il  protrarsi  dell'inerzia  legislativa»,  e'
rimasto inascoltato. 
    Proprio in ragione di tanto, questo  collegio  reputa  necessario
rimettere nuovamente alla Corte  la  questione  di  costituzionalita'
gia' oggetto della richiamata decisione  n.  32/2021,  volendo  porre
l'attenzione  sul  disomogeneo  intervento  dei  Sindaci  nella  loro
qualita' di Ufficiali dello stato civile,  che  hanno  adottato,  nel
silenzio del legislatore, soluzioni distinte per  casi  speculari,  e
sui non univoci e non del  tutto  risolutivi  approdi  interpretativi
della giurisprudenza. 
    Infatti, anche successivamente  alla  pronuncia  della  Corte,  i
Sindaci quali Ufficiali dello Stato civile  hanno,  in  alcuni  casi,
rifiutato l'iscrizione  anagrafica  anche  della  madre  intenzionale
nell'atto   di   nascita   dei   minori   nati   in   Italia,   dando
conseguentemente origine ai giudizi di impugnazione  del  diniego  da
parte della madre intenzionale; in altri casi, hanno invece  ritenuto
legittima l'iscrizione, originandosi i  giudizi  di  impugnazione  da
parte della Procura della Repubblica. 
    Parimenti, le pronunce di legittimita' e di merito, con esiti non
uniformi, che si sono susseguite successivamente  alla  pronuncia  di
inammissibilita'  della  Corte  (alcune  delle   quali   sono   sopra
richiamate) danno conto di un'evoluzione  del  tessuto  sociale  cui,
nella perdurante inerzia legislativa, non e' stata data una  compiuta
risposta. Riassumendo quanto sopra  detto,  nella  giurisprudenza  di
merito, a tutt'oggi, si registra  un  orientamento  giurisprudenziale
maggioritario stabilmente contrario ed uno minoritario favorevole  al
riconoscimento della c.d. «maternita' intenzionale», che ha ritenuto,
successivamente   alla   pronuncia   della   Corte    costituzionale,
praticabile  un'interpretazione  costituzionalmente  orientata  della
legge 40/2004, per pervenire ad una valutazione di illegittimita' del
rifiuto dell'iscrizione anagrafica, accogliendo il  ricorso  spiegato
dalle madri (vedasi, ex aliis, Tribunale di Taranto 31  maggio  2022,
Tribunale di Brescia 16 febbraio 2023 e Corte d'appello di Brescia 30
novembre 2023) o per pervenire ad  una  valutazione  di  legittimita'
dell'iscrizione  anagrafica  effettuata,   respingendo   il   ricorso
spiegato dalla Procura della Repubblica (ex aliis, Tribunale di  Bari
9 settembre 2022,  Corte  d'appello  di  Cagliari  19  aprile  2021),
percorso motivazionale che invece questo collegio  non  ritiene,  per
quanto sopra osservato, praticabile. Sempre tra le corti  di  merito,
vi sono state pronunce che  non  hanno  affrontato  il  merito  delle
questioni, limitando il proprio vaglio alla preliminare questione  di
rito (ex aliis, da ultimo, Tribunale di  Padova  5  marzo  2024).  Di
contro, e' da ritenersi consolidata la giurisprudenza della Corte  di
cassazione che, ferma l'ammissibilita' del procedimento  ex  art.  95
decreto del Presidente della Repubblica 396/2000, ritiene illegittima
la formazione da parte dell'Ufficiale dello stato civile di  un  atto
di  nascita  (in  Italia),  recante  l'indicazione  di  due  madri  e
conseguentemente afferma  che,  nel  caso  di  coppie  omogenitoriali
femminili che abbiano fatto ricorso all'estero a tecniche  di  P.M.A.
di tipo eterologa, l'unica  strada  per  la  madre  intenzionale  sia
quella  di  ricorrere  all'adozione   in   casi   particolari.   Tale
orientamento, ancorche'  nel  diverso  caso  di  coppia  omoaffettiva
maschile,  che  aveva  fatto  ricorso  all'estero   alla   maternita'
surrogata, e' quello poi sposato  anche  dalle  Sezioni  Unite  della
Corte di cassazione (Cass. S.U.  38162/2022)  che  hanno,  come  gia'
detto, affrontato il tema della protezione del  diritto  fondamentale
del minore alla continuita' del rapporto  affettivo  con  entrambi  i
soggetti che hanno condiviso la decisione di farlo venire  al  mondo,
affermando che «il nato non e' mai un disvalore e la sua dignita'  di
persona non puo' essere strumentalizzata  allo  scopo  di  conseguire
esigenze general-preventive che lo trascendono» ed hanno ribadito  il
diritto del minore al riconoscimento,  anche  giuridico,  del  legame
sorto in forza del rapporto affettivo instaurato e vissuto con  colui
che ha condiviso  il  disegno  genitoriale.  Anche  in  questo  caso,
l'ineludibile esigenza di assicurare al bambino  nato  da  maternita'
surrogata gli stessi diritti degli altri bambini nati  in  condizioni
diverse e' stata ritenuta,  allo  stato  dell'evoluzione  del  nostro
ordinamento,  comunque  garantita  attraverso  l'adozione   in   casi
particolari,  strumento  sulla  cui  efficacia  in  concreto   questo
collegio ha gia' espresso le sue riserve. 
    In conclusione, risulta lampante la mutevolezza e  disorganicita'
della tutela garantita ai minori nati da  un  condiviso  progetto  di
procreazione medicalmente assistita, in ragione della  omosessualita'
della coppia che tale progetto abbia condiviso. 
    E' solo a sostegno dell'istanza rivolta alla Corte di  rivalutare
la questione di costituzionalita' gia'  rimessale,  a  fronte  di  un
monito rimasto inascoltato, che questo collegio  richiama  le  parole
del Presidente della Corte costituzionale, il quale, nella  relazione
del 18 marzo scorso, ha rammentato la necessita' di «leggere la Carta
costituzionale non come testo "separato" bensi' come parte irradiante
di un piu' ampio "ordinamento costituzionale"; ordinamento alimentato
dalla "base materiale" su cui il testo poggia e che  e'  in  continua
evoluzione». In un sistema costituzionale fondato  sulla  separazione
dei poteri e nel pieno rispetto delle prerogative  costituzionalmente
riconosciute al Parlamento, e' compito di quest'ultimo  «cogliere  le
pulsioni  evolutive  della  societa'  pluralista,  con  le  quali  la
Costituzione respira; pulsioni necessarie per adattarsi  al  continuo
divenire della realta'»,  in  un  costante  e  fruttuoso,  oltre  che
doveroso, dialogo con la Corte costituzionale, che  «e'  chiamata  ad
essere  «custode  della  Costituzione»,  ma  e'  tenuta   ad   essere
altrettanto  attenta  a  non  costruire,   con   i   soli   strumenti
dell'interpretazione, una fragile "Costituzione dei custodi"». 
    Nella medesima relazione, affrontando la tematica della tipologia
delle decisioni della corte («dai moniti si e' passati alle  sentenze
additive  di  principio;  dalle  pronunce  di  inammissibilita'   per
discrezionalita' legislativa si  e'  passati  all'incostituzionalita'
prospettata, ma non dichiarata, o, in modo  ancora  piu'  penetrante,
alle  decisioni  a  incostituzionalita'  differita»),  il  Presidente
evidenzia che, laddove il legislatore rinunci ad una prerogativa  che
ad esso compete, di fatto obbliga  la  Corte  a  «procedere  con  una
propria e autonoma soluzione, inevitabile in forza dell'imperativo di
osservare la Costituzione». 
    In questo quadro, il giudice comune e' investito del  compito  di
portare (o ri-portare) all'attenzione della Corte le  questioni  che,
pur a fronte di un monito chiaro, non siano state prontamente risolte
dal legislatore, onde consentire alla Corte medesima di adempiere  al
ruolo di garante della costituzione e dei  diritti  fondamentali,  in
linea con l'evoluzione della coscienza sociale. 
    Cio', a parere del collegio, e' particolarmente evidente laddove,
come  nella   fattispecie,   all'inammissibilita'   della   questione
pronunciata allo scopo di dar spazio  al  legislatore,  abbia  invece
fatto seguito una totale assenza di interventi da parte di questo. 
    Del resto,  non  e'  estranea  alla  giurisprudenza  della  Corte
costituzionale, laddove l'onere  di  interpretazione  conforme  viene
meno lasciando il passo all'incidente di costituzionalita' e  laddove
il  compito  del  legislatore  di   provvedere   all'adozione   della
disciplina  necessaria   a   rimuovere   il   vulnus   costituzionale
riscontrato non sia stato adempiuto, una pronuncia di  illegittimita'
costituzionale,   su   una    questione    inizialmente    dichiarata
inammissibile (ex aliis Corte  costituzionale  23/2013  e  successiva
sentenza n. 45/2015); questo perche' «"posta di fronte  a  un  vulnus
costituzionale, non sanabile in via interpretativa -  tanto  piu'  se
attinente a diritti fondamentali - la  Corte  e'  tenuta  comunque  a
porvi rimedio"  (sentenze  n.  162  del  2014  e  n.  113  del  2011;
analogamente sentenza n. 96 del 2015). Occorre, infatti, evitare  che
l'ordinamento  presenti  zone  franche  immuni   dal   sindacato   di
legittimita' costituzionale» (Corte cost 242/2019). 
    Nel  noto  caso               (Corte  cost.  242/2019   e   Corte
costituzionale  ordinanza  207/2018),  la  Corte  costituzionale   ha
rimarcato che la tecnica decisoria da ultimo richiamata (ordinanza di
inammissibilita' con contestuale monito al legislatore di intervenire
nella materia) «ha l'effetto di lasciare in vita - e dunque esposta a
ulteriori applicazioni, per un periodo di tempo non preventivabile  -
la normativa  non  conforme  a  Costituzione»,  proprio  perche'  «la
eventuale   dichiarazione    di    incostituzionalita'    conseguente
all'accertamento  dell'inerzia  legislativa  presuppone   che   venga
sollevata una nuova  questione  di  legittimita'  costituzionale,  la
quale puo', peraltro, sopravvenire anche a notevole distanza di tempo
dalla pronuncia della  prima  sentenza  di  inammissibilita',  mentre
nelle more la disciplina in  discussione  continua  ad  operare»,  in
questo modo investendo di un preciso  compito  anche  il  giudice  di
merito, nel rimettere nuovamente  alla  Corte  la  questione  rimasta
priva di intervento normativo. Peraltro, nel caso richiamato un  tale
effetto non appariva tollerabile,  non  essendo  consentito,  per  le
peculiari caratteristiche e per la rilevanza dei  valori  coinvolti.,
di attendere l'incertezza di una riproposizione  della  questione  da
parte dei giudici comuni, tanto che e'  stato  prescelto  un  diverso
modulo decisionale, mantenendo pendente il procedimento dinanzi  alla
Corte. 
    Nella materia che  qui  ci  occupa,  a  fronte  della  dichiarata
inammissibilita' della questione, e' ancora auspicato (sono queste le
parole del  Presidente  della  Corte)  e  quantomai  fondamentale  un
intervento che  tenga  conto  del  monito  relativo  alla  condizione
anagrafica dei figli di coppie dello stesso sesso,  cui  il  collegio
rimettente ritiene che, nell'inerzia del legislatore, la Corte  possa
porre rimedio. 
    Il  Tribunale  e'  dunque  giunto  al  convincimento  della   non
manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale
degli articoli  8  e  9  legge  40/2004  e  dell'art.  250  c.c.,  in
riferimento agli articoli 2, 3, 30, 31 e  117,  primo  comma,  Cost.,
quest'ultimo in relazione agli articoli  8  e  14  della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali (CEDU) firmata il 4 novembre  1950,  ratificata  e  resa
esecutiva con legge 848/1955 e come interpretati dalla Corte  europea
dei  diritti  dell'uomo,  all'art.  24  della   Carta   dei   diritti
fondamentali dell'Unione europea proclamata a  Nizza  il  7  dicembre
2000, agli articoli 2, 3, 4, 5, 7, 8, 9 e 18  della  Convenzione  sui
diritti del fanciullo  firmata  a  New  York  il  20  novembre  1989,
ratificata e resa esecutiva con legge 176/1991, agli articoli 1  e  6
Convenzione  europea  sull'esercizio  dei  diritti   dei   fanciulli,
adottata dal Comitato dei  Ministri  del  Consiglio  d'Europa  il  25
gennaio 1996 e ratificata dall'Italia con legge 77/2003, nella misura
in cui impediscono l'attribuzione al nato nell'ambito di un  progetto
di procreazione medicalmente assistita  eterologa  praticata  da  una
coppia di donne l'attribuzione dello status  di  figlio  riconosciuto
anche  dalla  c.d.  madre  intenzionale  che,  insieme   alla   madre
biologica, abbia prestato il consenso  alla  pratica  fecondativa  e,
comunque, laddove impongono la cancellazione dall'atto di nascita del
riconoscimento compiuto dalla madre intenzionale. 
    Valutera' la Corte ai sensi dell'art. 27 legge  87/1953,  qualora
ritenesse la questione fondata, se vi sia la necessita' di  estendere
la pronuncia anche ad altre disposizioni legislative  interessate  in
via di consequenzialita'. 
    Il procedimento va quindi sospeso, con rimessione degli atti alla
Corte costituzionale. 

 
                              P. Q. M. 
 
    Il Tribunale di Lucca, visti gli  articoli  134  Cost.,  1  legge
cost. 1/1948 e 23 legge 87/1953, 
    ritenuta  la  rilevanza  e  non  manifesta   infondatezza   della
questione di legittimita' costituzionale degli articoli 8 e  9  legge
40/2004 e dell'art. 250 c.c., in riferimento agli articoli 2, 3,  30,
31 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione agli articoli
8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e
delle liberta'  fondamentali  (CEDU)  firmata  il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 848/1955  e  come  interpretati
dalla Corte di  Strasburgo,  all'art.  24  della  Carta  dei  diritti
fondamentali dell'Unione europea proclamata a  Nizza  il  7  dicembre
2000, agli articoli 2, 3, 4, 5, 7, 8, 9 e 18  della  Convenzione  sui
diritti del fanciullo  firmata  a  New  York  il  20  novembre  1989,
ratificata e resa esecutiva con legge 176/1991, agli articoli 1  e  6
Convenzione  europea  sull'esercizio  dei  diritti   dei   fanciulli,
adottata dal Comitato dei  Ministri  del  Consiglio  d'Europa  il  25
gennaio 1996 e ratificata dall'Italia con legge 77/2003,  per  quanto
esposto in parte motiva, 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale e la sospensione del giudizio; 
    Ordina che a cura della cancelleria  la  presente  ordinanza  sia
notificata alle parti in causa ed al pubblico ministero,  nonche'  al
Presidente del Consiglio dei  ministri  e  comunicata  ai  Presidenti
della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. 
    Cosi' deciso a Lucca nella Camera  di  consiglio  del  24  maggio
2024, su relazione dei giudici a latere e del Presidente che  procede
con firma digitale  alla  sottoscrizione  della  presente  ordinanza,
elaborata dai giudici estensori. 
    I Giudici estensori: dott.ssa Alice Croci e dott.ssa Maria Giulia
D'Ettore 
 
                                              Il Presidente: Boragine 
 
    Si  dispone  che,  ai  sensi  dell'art.  52  decreto  legislativo
196/2003, in caso  di  utilizzazione  della  presente  ordinanza,  in
qualsiasi forma, sia omessa l'indicazione delle generalita'  e  degli
altri dati identificativi delle parti.