N. 148 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 giugno 2024
Ordinanza del 26 giugno 2024 del Tribunale di Lucca sul ricorso
proposto dal Pubblico Ministero nei confronti di G. G. e altri .
Stato civile - Filiazione - Procreazione medicalmente assistita (PMA)
- Stato giuridico dei nati a seguito di pratiche di PMA -
Preclusione dell'attribuzione al nato nell'ambito di un progetto di
procreazione medicalmente assistita eterologa, praticata
(all'estero) da una coppia di donne, dello status di figlio
riconosciuto anche dalla c.d. madre intenzionale che, insieme alla
madre biologica, abbia prestato il consenso alla pratica
fecondativa - Cancellazione dall'atto di nascita del riconoscimento
compiuto dalla madre intenzionale.
- Legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione
medicalmente assistita), artt. 8 e 9; codice civile, art. 250.
(GU n. 34 del 21-08-2024)
TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI LUCCA
Il Tribunale in composizione collegiale nelle persone dei
seguenti magistrati:
dott. Gerardo Boragine, Presidente relatore
dott.ssa Alice Croci, Giudice relatore estensore
dott.ssa Maria Giulia D'Ettore, Giudice relatore estensore
nel procedimento iscritto al n. r.g. 2547/2023 promosso da:
Procura della Repubblica presso il Tribunale di ;
Ricorrente
contro
G G (C. F. ) ed I P (C.F. ), anche nella
qualita' di esercenti la responsabilita' genitoriale sui minori G G
P. (C.F. ) e L P G (C.F. ), con il patrocinio
dell'Avv. Vincenzo Miri, elettivamente domiciliate presso lo studio
dello stesso in Roma - Via Gregoriana 54, giusta procura in calce
alla comparsa di costituzione e risposta;
e nei confronti di , in persona del Ministro pro
tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Distrettuale
dello Stato di Firenze, presso i cui uffici in Firenze - Via Degli
Arazzieri 4 e' legalmente domiciliato;
Sindaco pro tempore del Comune di , (C.F.
), con il patrocinio dell'Avv. Monnalisa Terziani, dell'Avvocatura
interna dell'ente, presso i cui uffici in e' domiciliato;
Resistenti
a scioglimento della riserva assunta all'udienza del 22 marzo
2024, viste le note autorizzate depositate il 10 aprile 2024,
ha emesso la seguente
Ordinanza
Con ricorso depositato il 28 luglio 2023, la Procura della
Repubblica presso il Tribunale di Lucca ha domandato la
rettificazione, ex articoli 95 e ss. D.P.R 396/2000, dell'atto di
nascita del minore G G P , formato dall'Ufficiale dello Stato Civile
del Comune di ed iscritto nei registri del predetto
Comune al numero , domandando altresi' che la questione
fosse previamente rimessa alla Corte costituzionale.
A sostegno del ricorso ha esposto che, in data , il
Sindaco del Comune di aveva comunicato alla Procura della
Repubblica presso il Tribunale di Lucca l'avvenuta iscrizione
dell'atto di nascita del minore G G P , nato il presso
l'Ospedale , in , la peculiarita' dell'atto
era rappresentata dalla omogenitorialita' delle due dichiaranti
(coppia che peraltro risultava avere gia' altra figlia), G G , madre
biologica ed I P madre intenzionale, nonche' dal fatto che la
trascrizione appariva in contrasto con la Circolare n. 3/2023 del
Ministero dell'interno, che richiama a sua volta la pronuncia della
Corte di cassazione, a Sezioni Unite, n. 38162/2022.
In diritto, ha evidenziato che la questione del riconoscimento
della bigenitorialita' piena, in relazione a minori nati in Italia,
alle coppie omossessuali femminili che all'estero ricorrano alla
pratica di procreazione medicalmente assistita (di seguito anche
«P.M.A.») eterologa, ove l'una e' madre biologica e l'altra madre
intenzionale, risente di rilevanti lacune normative ed e' stata
risolta diversamente in giurisprudenza, registrandosi un orientamento
maggioritario contrario ed un orientamento minoritario favorevole al
riconoscimento anche della c.d. «maternita' intenzionale».
Pertanto, premettendo che le disposizioni applicabili al caso di
specie, ed in particolare gli articoli 28 e ss. D.P.R 396/2000 e gli
articoli 250 e ss. c.c., condurrebbero a rettificare l'atto di
nascita in questione, ha sostenuto la rilevanza e non manifesta
infondatezza della questione di costituzionalita', che ha domandato
al Tribunale di sollevare, in riferimento agli articoli 3 e 117 Cost.
All'udienza sono comparsi il Sostituto Procuratore dott.ssa Laura
Guidotti, il dott. M P Sindaco del Comune di nella
qualita' di Ufficiale dello stato civile, e le resistenti G G ed I P
, la quali hanno chiesto un rinvio dell'udienza, per esigenze
difensive, avendo ricevuto la notifica del ricorso soltanto in
data . Il collegio ha altresi' rilevato che il ricorso ed il
provvedimento di fissazione udienza erano stati erroneamente
notificati al Sindaco quale organo di vertice dell'amministrazione
comunale e non quale organo periferico dell'amministrazione statale
ed ha disposto la rinnovazione della notifica nei confronti del
, rinviando all'udienza del .
Si sono poi costituite G G ed I P anche nella qualita' di madri
esercenti la responsabilita' genitoriale sui minori G G P , nato a
( ) il e L G P nata a
( ) il , eccependo, in via preliminare di
rito, l'inammissibilita' del procedimento di rettificazione ai sensi
degli articoli 95 e ss. decreto del Presidente della Repubblica
396/2000. A sostegno dell'eccezione preliminare, hanno dato atto
della giurisprudenza di merito, che, in caso analogo al presente e
disattendendo le contrarie pronunce di legittimita', ha ritenuto che
la domanda del pubblico ministero si sostanzierebbe non in una
correzione di un errore commesso al momento della redazione dell'atto
o di una mera violazione di legge, ma in una richiesta avente ad
oggetto la rimozione definitiva rispetto ad una delle resistenti
dello status di genitore del figlio, per la quale l'ordinamento
impone di avvalersi delle azioni di stato e segnatamente, alla luce
dello specifico oggetto della contestazione, del rimedio di cui
all'art. 263 c.c., secondo le forme del procedimento a cognizione
piena e con le garanzie costituzionalmente previste. Hanno, tuttavia,
dato atto anche del contrapposto orientamento di legittimita', che
ritiene, sull'assunto che lo status di figlio non sia mai sorto, che
l'erronea annotazione sull'atto di nascita operata dall'Ufficiale
dello stato civile puo' essere eliminata con l'azione di
rettificazione, in quanto si assume che l'atto di nascita, difforme
dalla situazione di fatto quale avrebbe dovuto essere secondo la
previsione delle norme vigenti, sia affetto da un vizio che ne ha
alterato il procedimento di formazione.
Nel merito, dopo aver richiamato l'evoluzione giurisprudenziale
in materia ed i diversi orientamenti, - in specie, la sentenza n.
32/2021, con la quale la Corte costituzionale, pur dichiarando
inammissibile la questione di costituzionalita' sollevata in caso
analogo al presente e secondo lo schema proprio delle sentenze c.d.
«monito», ha auspicato l'intervento del legislatore e si e' spinta ad
ipotizzare, in caso di inerzia protratta, di rivalutare nuovamente la
questione - hanno in primo luogo sollecitato il Tribunale ad una
decisione di rigetto, sulla scorta di un'interpretazione
costituzionalmente orientata dell'art. 8 legge 40/2024. In
particolare, ritenendo pacifico che una coppia formata da persone
dello stesso sesso non possa accedere alle tecniche di P.M.A., stante
l'espresso divieto posto dall'art. 5 legge 40/2004, hanno dedotto che
l'art. 8 legge 40/2004 opera non sul piano dell'«accesso» alle
tecniche di P.M.A., bensi' sul diverso piano dello «status» giuridico
dei nati a seguito di P.M.A.
Hanno inoltre dedotto che l'adozione in casi particolari
disciplinata dagli articoli 44 e ss. legge 183/1984, sebbene a
seguito della sentenza n. 79/2022 resa dalla Corte costituzionale sia
stata consentita l'instaurazione di rapporti civili tra l'adottato ed
i parenti dell'adottante, non risulta comunque uno strumento adeguato
e sufficiente a garantire ai nati mediante P.M.A. la tutela dello
status giuridico di figlio «quanto piu' possibile rapida ed
effettiva», auspicata anche dalla Corte Europea dei Diritti
dell'Uomo.
Hanno altresi' invitato il Tribunale, per l'ipotesi in cui non
ritenesse di respingere il ricorso sulla scorta della proposta
interpretazione costituzionalmente orientata, a valutare di
sottoporre nuovamente al vaglio della Corte costituzionale la
legittimita' costituzionale degli articoli 8 e 9 legge 40/2004, degli
articoli 250 e 254 codice civile e dagli articoli 29, comma 2, 30 e
43 decreto del Presidente della Repubblica 396/2000, in relazione
agli articoli 2, 3, 30, 117 Cost., nella misura in cui impediscono
l'applicazione della legge 40/2004 ai nati in Italia da P.M.A.
compiuta da due donne ed impongono la cancellazione dagli atti di
nascita della madre intenzionale.
Infine, per l'ipotesi di accoglimento del ricorso, hanno
richiesto l'estensione della rettificazione anche all'atto di nascita
dell'altra figlia minore, L P G , previa domanda della Procura
ricorrente in tal senso, cosi' da consentire di procedere
congiuntamente per entrambi i minori con l'adozione in casi
particolari.
Si e' costituito anche il , in rito affermando
l'ammissibilita' del ricorso, in quanto non si fa questione di stato
e la controversia attiene ad una domanda di mera rettificazione di un
atto dello stato civile viziato; ha infatti evidenziato che gli atti
di stato civile non hanno valore costitutivo di uno status, bensi'
unicamente di pubblicita' e prova in ordine alla rispondenza di
quanto in essi attestato al dettato normativo, come ribadito piu'
volte da un orientamento di legittimita' da ritenersi consolidato.
Nel merito, ha dedotto che non risulta esservi alcun legame, ne'
biologico, ne' genetico tra I P ed il minore G e che la fecondazione
eterologa e' stata effettuata per libera scelta di G G , al di fuori
dei casi tassativi previsti dalla legge 40/2004 come integrata a
seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 162/2014, che ha
legittimato il ricorso a tale modalita' di fecondazione anche in
Italia nelle sole ipotesi di infertilita' o sterilita' assoluta o
irreversibile o in presenza di gravi malattie genetiche trasmissibili
al feto. Ha sul punto affermato che e' costante l'orientamento di
legittimita', conforme al dettato normativo di riferimento, che
esclude la possibilita' per l'Ufficiale dello stato civile di
indicare quale genitore del minore anche la madre intenzionale, anche
qualora alla stessa appartenga l'ovulo poi importato nella
partoriente (dunque, anche laddove esista un legame di tipo genetico
con il minore, escluso peraltro nella fattispecie).
Ha sottolineato che una tale impostazione non determina alcuna
illegittima disparita' di trattamento tra coppie omossessuali ed
eterosessuali, da rettificare in via ermeneutica, poiche' la
possibilita'. di ricorrere alla fecondazione eterologa e'
intrinsecamente riconosciuta soltanto a coloro che siano
potenzialmente idonei a generare naturalmente, ma non possano in
concreto per ragioni di ordine medico-patologico e non e', invece,
soluzione prevista dalla legge per esigenze correlate alla mera
volonta' dei partners, trattandosi dunque di istituto del tutto
estraneo alla coppia omossessuale, impossibilitata gia' in astratto a
procreare.
Neppure sarebbe invocabile il preminente interesse del minore, a
fronte dell'impossibilita' di dare giuridico riconoscimento a
pratiche svolte in violazione dei divieti posti dalla legge 40/2004 e
della regolamentazione interna della fattispecie, distinta da quella
prevista in altri ordinamenti stranieri, e comunque potendosi tale
interesse garantire anche per il tramite di istituti diversi rispetto
al riconoscimento originario della maternita' intenzionale, quale
l'adozione in casi particolari.
Si e' costituito il Sindaco pro tempore del Comune di
difeso dall'Avvocatura civica, in fatto rappresentando che a corredo
della dichiarazione di nascita ex art. 30 decreto del Presidente
della Repubblica 396/2000, resa dalle resistenti come madri esercenti
entrambe la responsabilita' genitoriale nei confronti di G , era
stata presentata l'attestazione di nascita n dell'Ospedale
, in cui era indicata G G come partoriente, il consenso informato
allo scongelamento e trasferimento di embrioni propri crioconservati
sottoscritto da entrambe le dichiaranti, il documento informativo di
fecondazione in vitro ed il consenso informato di fecondazione in
vitro, anch'essi sottoscritti da entrambe; rappresentando altresi'
che la formazione dell'atto di nascita del minore con iscrizione
dello stesso come figlio di entrambe le madri, con correlata
attribuzione del doppio cognome «G P », non era stata considerata in
contrasto con l'ordine pubblico e con le norme vigenti ed, anzi, era
stata ritenuta conforme al primario interesse del minore.
In via preliminare in rito, ha sostenuto la legittimazione
dell'Avvocatura comunale al patrocinio, evidenziando che anche nelle
ipotesi in cui il Sindaco operi in qualita'. di Ufficiale di Governo,
e quindi con poteri delegati dallo Stato, egli rimane sempre un
soggetto autonomo, sia strutturalmente che istituzionalmente,
rispetto allo Stato ed altresi' che non ricorre l'ipotesi di difesa
ex lege da parte dell'Avvocatura dello Stato, in deroga all'art. 43
regio decreto 1611/33, nelle ipotesi di conflitto di interessi, per
le diverse posizioni processuali, tra l'amministrazione comunale ed
il Ministero dell'interno. Sempre in via preliminare in rito, ha
eccepito l'inammissibilita' del ricorso, per motivazioni analoghe a
quelle dedotte dalle resistenti.
Nel merito, domandando il rigetto del ricorso ha evidenziato, in
linea con la difesa delle resistenti, l'esistenza di una lacuna
normativa, gia' censurata dalla Corte costituzionale nella sentenza
n. 32/2021, che ha inciso sulla tutela dei minori, determinando
decisioni diversificate sia da parte dei diversi uffici anagrafici
che in giurisprudenza; ha dunque proposto un'interpretazione
costituzionalmente orientata della legge 40/2004 che, perseguendo il
primario interesse del minore, giunga a riconoscere a tutti i minori
pari diritti, indipendentemente dalle modalita' di concepimento e
dall'orientamento sessuale dei genitori e valga a dare riconoscimento
ad un'identita' sociale e familiare gia' compiutamente formatasi.
All'udienza del sono comparsi il Procuratore della
Repubblica, dott. D M , il dott. M P , Sindaco del Comune di
nella qualita' di Ufficiale dello stato civile, assistito
dall'Avvocatura Civica e le resistenti G G ed I P , assistite dal
proprio difensore. Nessuno e' comparso per il .
Il Procuratore della Repubblica, interpellato sul punto, non ha
inteso estendere la domanda di rettificazione anche alla minore L P G
.
Il collegio ha riservato la decisione, accordando termine per
memorie.
Nella memoria autorizzata le resistenti, dando atto che in
quattro pronunce rese in casi analoghi a quello oggetto del
procedimento, due delle quali successive al deposito della comparsa
di risposta (Cass. 4448/2024 e Cass. 7228/2024), la Corte di
cassazione ha ribadito che l'impugnazione dell'atto di nascita deve
essere effettuata per il tramite dell'azione di rettificazione ex
art. 95 decreto del Presidente della Repubblica 396/2000, non hanno
insistito nell'eccezione di inammissibilita' in rito, rimettendosi
sul punto alla decisione del collegio. Hanno ribadito, per il resto,
tutte le difese gia' svolte, insistendo in particolar modo nella
previa remissione alla Corte costituzionale della questione di
legittimita' articolata nella comparsa, anche alla luce della
Relazione annuale del Presidente della Consulta del 18 marzo 2024
che, espressamente definendo come «disordinato e contraddittorio»
l'intervento dei Sindaci preposti ai registri dell'anagrafe, si e'
rammaricato del silenzio del legislatore in ordine alla condizione
anagrafica dei figli di coppie dello stesso sesso, profilando una
«propria ed autonoma soluzione» in materia.
Le altre parti non hanno depositato memorie.
La questione che questo Tribunale si trova a decidere attiene
alla legittimita' o meno dell'iscrizione - trattandosi di atto
formato dall'Ufficiale dello stato civile italiano - e' erroneo nella
fattispecie il riferimento al diverso istituto della «trascrizione»,
riferibile al diverso caso di formazione dell'atto all'estero -
dell'atto di nascita del minore nato in Italia, come effettuata
dall'Ufficiale dello stato civile del Comune di , che
riporta, oltre al nominativo della madre che l'ha partorito, anche
quello della c.d. madre intenzionale, ossia di colei che, legata da
una stabile relazione affettiva con la madre biologica, ha condiviso
il progetto di genitorialita', sostenendo la compagna nel ricorso
alle pratiche di P.M.A. effettuata all'estero e prestando il relativo
consenso ed esercitando sin dalla nascita, sulla base dell'iscrizione
che ora si chiede di cancellare, la responsabilita' genitoriale sul
minore. Con il minore G la madre intenzionale I P convive insieme
alla partner G G (madre biologica di G ) e alla figlia L , nata
nell'anno mediante il ricorso alle medesime tecniche all'estero cui I
P si era previamente sottoposta (I P e' madre biologica di L ) anche
questa indicata nei registri dello stato civile come figlia della
madre intenzionale G G e la cui formazione dell'atto di nascita, come
detto, non e' stata ad oggi impugnata dalla Procura ricorrente.
In rito: sulla legittimazione del Sindaco e del .
In via preliminare, si ribadisce che, nel presente procedimento,
sia il Sindaco che il rivestono la qualita' di parte.
Infatti, il Sindaco esercita le funzioni di Ufficiale di Governo in
quanto delegato ex lege ed organo periferico dell'amministrazione
centrale, di talche' la titolarita' di tali funzioni resta in capo
all'amministrazione centrale stessa ed in particolare, al
; al contempo il Sindaco mantiene una sua autonomia, essendo peraltro
autore materiale dell'atto di cui e' causa, nonche' destinatario
dell'ordine di rettificazione richiesto con il ricorso introduttivo.
Quanto al patrocinio ed all'assistenza in giudizio, per la quale
il Sindaco ha inteso avvalersi dell'Avvocatura interna dell'ente,
ritiene il collegio che si apprezzino ragioni per derogare all'art.
43 regio decreto 1611/33 che disciplina il patrocinio ex lege
dell'Avvocatura dello Stato, atteso che le posizioni del Sindaco e
del appaiono del tutto antitetiche, alla luce delle
conclusioni rassegnate e sopra riportate.
In rito: sull'eccezione di inammissibilita' del ricorso ex art.
95 decreto del Presidente della Repubblica 396/2000.
In rito, l'eccezione di inammissibilita' del ricorso, sollevata
dalle resistenti e dal Sindaco del Comune di non e'
fondata.
E' noto che il procedimento previsto dall'art. 95 decreto del
Presidente della Repubblica 396/2000 e' volto ad eliminare una
difformita' tra la situazione di fatto, quale e' o dovrebbe essere
nella realta' secondo la previsione di legge, e come, invece, risulta
dall'atto dello stato civile, per un vizio comunque e da chiunque
originato nel procedimento di formazione dell'atto stesso; e',
invece, inammissibile allorquando a fondamento della domanda di
rettificazione venga, in realta', dedotta una controversia di stato
(Cass. 10519/1990, 951/1993, 2776/1996, 12746/1998, 4878/2004,
21094/2009, 13000/2019).
Una parte della giurisprudenza di merito ha ritenuto ricorrere
quest'ultima ipotesi in fattispecie analoghe a quella al vaglio di
questo Tribunale, ritenendo trattarsi non della mera contestazione
circa la correttezza dell'inserimento del nome della madre
intenzionale nell'atto di nascita, ma della diversa ipotesi di
controversia sullo status, investendo il fatto posto alla base di
tale atto. Difatti, l'atto di nascita cosi' formato dall'Ufficiale
dello stato civile ha consentito sinora alle madri resistenti di
esercitare tutti i poteri/doveri costituenti lo status di cui si
controverte, che puo' essere messo in discussione solamente con
l'azione prevista dall'art. 263 codice civile (di recente, ex aliis,
si vedano Tribunale di Milano 23/6/2023, Corte d'appello di Firenze
6/2/2023, Tribunale di Padova 5/3/2024).
La Corte di cassazione, con un orientamento ribadito anche di
recente (fatto proprio anche dalla Corte d'appello di Milano
23/1/2024, che ha riformato il decreto del Tribunale sopra citato) e
dalla stessa definito come ormai consolidato, ha affermato che
«l'efficacia giuridica dell'annotazione e' di norma quella di
pubblicità -notizia o di pubblicita' dichiarativa, ai fini
dell'apponibilita' a terzi, vale a dire l'efficacia probatoria
privilegiata prevista dall'art. 451 c.c., non anche quella
costitutiva dello status (cfr. Cass. SU 12193/2019). Quindi l'erronea
annotazione sull'atto operata dall'Ufficiale di stato civile, laddove
si deduca la Mn corrispondenza tra la situazione di fatto reale,
quale avrebbe dovuto essere. secondo la previsione di legge, e quella
risultante dall'atto dello stato civile (nella specie, la nascita del
figlio da due madri, la madre biologica e quella intenzionale, per
effetto del successivo riconoscimento da parte di quest'ultima), puo'
essere eliminata con l'azione di rettificazione, in quanto si assume
che l'atto dello stato civile, che indichi anche la madre
intenzionale, e' difforme dalla situazione quale e' secondo la
previsione delle norme vigenti, essendo, anche in questo caso,
affetto da un vizio che ne ha alterato il procedimento di formazione»
(Cass. 7413/2022, confermata da Cass. 511/2024 e da Cass. 4448/2024,
quest'ultima resa proprio nell'ambito di un giudizio che, come il
presente, non traeva origine dall'impugnazione del rifiuto opposto
dall'Ufficiale dello stato civile alla richiesta di formazione
dell'atto di nascita, ma dalla domanda proposta dal pubblico
ministero ai sensi dell'art. 95, comma 2, decreto del Presidente
della Repubblica 396/2000 di cancellazione della iscrizione gia'
effettuata, in quanto fondata sull'allegazione della contrarieta'
della iscrizione alla disciplina dettata da disposizioni nazionali,
con la quale la Corte ha ribadito che «tale domanda trae origine da
una difformita' tra la situazione di fatto, quale dovrebbe essere
nella realta' secondo la predetta disciplina, e quella annotata nel
registro degli atti di nascita, causata da un errore asseritamente
compiuto in sede di iscrizione, e non da' pertanto luogo ad una
controversia di stato, ma proprio ad una delle controversie previste
dal decreto del Presidente della Repubblica n. 396, art. 95 (cfr.
Cass. n. 7413/2022; Cass. n. 23319/2021; Cass. n. 21094/2009)»; da
ultimo confermata anche da Cass. 7228/2024, che ha cassato il decreto
della Corte di appello di Firenze sopra citato, ripercorrendo le
motivazioni gia' stese nelle pronunce precedenti e precisando che,
ormai, l'orientamento e' «costante»).
Da tale fermo orientamento, manifestato a piu' riprese dalla
Corte della nomofilachia, il Tribunale non ritiene di discostarsi.
Nel merito.
Il quadro normativo.
Venendo ad affrontare il merito della controversia, occorre
premettere che la legge 40/2004 non consente alle coppie omosessuali
di ricorrere alle tecniche di P.M.A. eterologa - metodica, per la
precisione, fruibile solamente dalle coppie formate da due donne, in
quanto per le coppie omosessuali maschili la genitorialita'
artificiale passa necessariamente attraverso la maternita' surrogata
- cui, infatti, possono ricorrere, dopo la pronuncia di
illegittimita' costituzionale n. 162/2014, le sole coppie
eterosessuali, in presenza di patologie che determinino una
sterilita' o una infertilita' assolute e irreversibili. Il divieto e'
sancito nell'art. 5, secondo cui possono accedere alla P.M.A.
esclusivamente le «coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate
o conviventi, in eta' potenzialmente fertile, entrambi viventi».
L'art. 12, comma 2, punisce con una severa sanzione amministrativa
pecuniaria (da 200.000 a 400.000 euro) chi applica tecniche di P.M.A.
«a coppie composte da soggetti dello stesso sesso», oltre che da
soggetti non entrambi viventi, o in eta' minore, o non coniugati o
non conviventi. La previsione sanzionatoria e' rafforzata da quella
del comma 9, in forza del quale nei confronti dell'esercente una
professione sanitaria condannato per uno degli illeciti di cui allo
stesso art. 12 (e, dunque, anche per quello di cui al comma 2) e'
«disposta la sospensione da uno a tre anni dall'esercizio
professionale». Il comma 10 prevede, inoltre, la sospensione
dell'autorizzazione alla realizzazione delle pratiche di P.M.A.
concessa alla struttura nel cui interno e' eseguita la pratica
vietata, con possibilita' di revoca dell'autorizzazione stessa
nell'ipotesi di violazione di piu' divieti o di recidiva.
L'individuazione dello specifico requisito soggettivo inerente alla
diversita' di sesso dei componenti della coppia che fanno ricorso
alla P.M.A. e' stata ritenuta esente da censure di costituzionalita'
(Corte cost. 221/2019), in un settore tanto delicato, che coinvolge
una pluralita' di interessi costituzionalmente rilevanti e «temi
eticamente sensibili» (Corte cost. 162/2014), in relazione ai quali
l'individuazione di un ragionevole punto di equilibrio fra le
contrapposte esigenze, nel rispetto della dignita' della persona
umana, appartiene «primariamente alla valutazione del legislatore»
(Corte cost. 347/1998). Cio' ferma restando la sindacabilita' delle
scelte operate, al fine di verificare se con esse si sia realizzato
un bilanciamento non irragionevole (Corte cost. 162/2014).
Con la citata decisione del 2019, la Corte costituzionale ha
anche chiarito che «in assenza di altri vulnera costituzionali, il
solo fatto che un divieto possa essere eluso recandosi all'estero non
puo' costituire una valida ragione per dubitare della sua conformita'
a Costituzione. La circostanza che esista una differenza tra la
normativa italiana e le molteplici normative mondiali e' un fatto che
l'ordinamento non puo' tenere in considerazione. Diversamente
opinando, la disciplina interna dovrebbe essere sempre allineata, per
evitare una lesione del principio di eguaglianza, alla piu'
permissiva tra le legislazioni estere che regolano la stessa
materia».
Tuttavia, qui non si discorre dei limiti individuati dal
legislatore (come integrati dalla Consulta) per fare ricorso alle
tecniche di P.M.A., ma dello stato giuridico dei figli nati da una
coppia di due donne che abbia fatto ricorso a tali pratiche
all'estero, laddove e' consentito (e analoga considerazione varrebbe
ove la fecondazione avvenisse in Italia, in violazione del divieto di
legge).
Va, ancora, precisato che il problema si pone solamente laddove
il figlio sia nato in Italia, poiche' laddove, invece, la nascita
avvenga nello Stato estero che ammette il ricorso alla fecondazione
eterologa, la giurisprudenza ha ormai riconosciuto la possibilita' di
trascrivere nei registri degli atti dello stato civile italiani gli
atti di nascita formati all'estero, recanti l'indicazione sia della
madre biologica che ha fatto ricorso all'estero alla P.M.A. tramite
il gamete donato da un terzo, sia della madre intenzionale, che ha
condiviso il relativo progetto genitoriale ed ha prestato il consenso
alla fecondazione (Cass., sentt. nn. 19599/2016, 14878/2017,
23319/2021, 32527/2023); cio' sulla scorta della nozione di «ordine
pubblico internazionale», che rappresenta il parametro di valutazione
del giudice in queste ipotesi, «da intendersi come complesso dei
principi fondamentali caratterizzanti l'ordinamento interno in un
determinato periodo storico, ma ispirati ad esigenze di tutela dei
diritti fondamentali dell'uomo comuni ai diversi ordinamenti e
collocati a un livello straordinario rispetto alla legislazione
ordinaria» e che incontra il limite dei principi fondamentali della
Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e
sovranazionali.
L'art. 8 legge 40/2004, inserito nel Capo III «Disposizioni
concernenti la tutela del nascituro» e rubricato «Stato giuridico del
nato» prevede che «I nati a seguito dell'applicazione delle tecniche
di procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli nati
nel matrimonio o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso
la volonta' di ricorrere alle tecniche medesime ai sensi dell'art.
6».
Il successivo art. 9 pone il divieto del disconoscimento della
paternita' e dell'anonimato della madre, oltre a sancire
l'insussistenza di legami parentali tra il donatore dei gameti e il
nato mediante tecniche di fecondazione eterologa.
L'interpretazione degli articoli 8 e 9 legge 40/2004.
Le parti resistenti ritengono che gli articoli 8 e 9 legge
40/2004, se interpretati in modo conforme ai principi costituzionali,
debbano condurre al rigetto del ricorso, offrendo una tutela
giuridica anche al nato da coppie omosessuali femminili tramite il
ricorso a P.M.A. eterologa pari a quella che riceve il nato da coppie
eterosessuali che vi si siano sottoposte.
Ad avviso del Tribunale, una simile operazione ermeneutica trova
un insormontabile ostacolo nell'univoco tenore letterale
dell'enunciato normativo, letto anche in una logica sistematica.
Anzitutto, la disposizione di cui all'art. 8 fa espresso
riferimento alla «coppia che ha espresso la volonta' di ricorrere
alle tecniche medesime ai sensi dell'art. 6» e tale ultima
disposizione indica chiaramente «i soggetti di cui all'art. 5», ossia
«coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in
eta' potenzialmente fertile, entrambi viventi».
Inoltre, gli articoli 8 e 9 formano il Capo III, dedicato alle
«Disposizioni concernenti la tutela del nascituro», che segue il Capo
I «Principi generali» e il Capo II «Accesso alle tecniche», ed e' a
sua volta seguito dal Capo IV che regolamenta le strutture
autorizzate all'applicazione delle tecniche di P.M.A., fornendo una
disciplina organica della materia che non permette di scindere, a
livello di previsione normativa, il profilo dei limiti soggettivi del
ricorso alle tecniche di P.M.A. da quello della tutela giuridica del
nato.
Ne', al fine di estendere l'ambito di applicabilita' degli
articoli 8 e 9 ai nati in seguito all'accesso di una coppia formata
da due donne alle pratiche di P.M.A. eterologa, puo' darsi rilievo a
quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n.
162/2014 in relazione all'ampiezza e genericita' della locuzione
utilizzata dall'art. 8 (che si riferisce ai «nati a seguito
dell'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente
assistita») In quell'occasione la Consulta, dando ingresso
nell'ordinamento alla fecondazione eterologa con finalita'
terapeutiche (fino ad allora vietata), ha ritenuto applicabili gli
articoli 8 e 9 anche al nato grazie a tale tecnica sulla base degli
ordinari canoni ermeneutici, essendo la P.M.A. eterologa una specie
del genus considerato dalla disposizione, allo stesso tempo tenendo
ben fermi i limiti soggettivi previsti dal legislatore all'accesso
alla P.M.A. anche eterologa.
Alla luce delle considerazioni espresse, non convincono gli esiti
interpretativi cui e' pervenuta una parte della giurisprudenza di
merito, anche dopo il monito espresso dalla Corte costituzionale nel
2021 (Corte cost. 32/2021, su cui infra), che fanno leva sul
principio di tutela del concepito enunciato dall'art. 1 legge
40/2004, sulla distinzione tra la questione relativa allo stato di
figlio e quella relativa alla tecnica per farlo nascere, sulla
necessita' e possibilita' di fare ricorso a un'interpretazione
evolutiva della legge, che eviti disparita' di trattamento grazie ad
un concetto di famiglia diverso rispetto a quello tenuto presente dal
legislatore del codice civile (ex aliis, Corte d'appello di Brescia
30 novembre 2023 e Corte d'appello di Cagliari 28 aprile 2021),
trovando una simile interpretazione un ostacolo insuperabile nel
tenore letterale dell'art. 8 e nel dato sistematico, secondo quanto
sopra osservato.
Quanto al riferimento, operato da taluni Tribunali e dalla difesa
delle parti resistenti, alla pronuncia della Corte di cassazione n.
13000/2019, nella parte in cui ha ritenuto che l'art. 8 legge 40/2004
«esprime ... l'assoluta centralita' del consenso come fattore
determinante la genitorialita' in relazione ai nati a seguito
dell'applicazione delle tecniche di P.M.A. La norma non contiene
alcun richiamo ai suoi precedenti articoli 4 e 5, con i quali si
definiscono i confini soggettivi dell'accesso alla P.M.A., cosi'
dimostrando una sicura preminenza della tutela del nascituro, sotto
il peculiare profilo del conseguimento della certezza dello status
filiationis, rispetto all'interesse, pure perseguito dal legislatore,
di regolare rigidamente l'accesso a tale diversa modalita'
procreativa», si osserva che esso non puo' non leggersi nell'ambito
della fattispecie concreta esaminata. Si trattava di un'ipotesi di
fecondazione omologa eseguita post mortem, avvenuta mediante
l'utilizzo del seme crioconservato di colui che, dopo avere prestato,
congiuntamente alla moglie, il consenso all'accesso alle tecniche di
procreazione medicalmente assistita ai sensi dell'art. 6 della
medesima legge, e senza che ne risultasse la successiva revoca, era
poi deceduto prima della formazione dell'embrione avendo altresi'
autorizzato, per dopo la propria morte, la moglie all'utilizzo
suddetto. Ebbene la Corte, richiamando l'ambito operativo del
procedimento ex art. 95 decreto del Presidente della Repubblica
396/2000, ove rileva esclusivamente la corrispondenza tra il fatto,
quale e' nella realta' (o quale dovrebbe essere nell'esatta
applicazione della legge) e come risulta dall'atto dello stato civile
e non la liceita' o meno della tecnica di P.M.A. impiegata, osserva
che l'art. 5 della legge 40/2004, nel riservare l'accesso alla
procreazione a coppie i cui membri siano entrambi viventi, non
precisa in quale momento del procedimento fecondativo sia richiesta
la presenza in vita di entrambi i membri della coppia e giunge a
ritenere possibile l'applicazione dell'art. 8 anche alla «specifica
ed affatto peculiare ipotesi di cui oggi si discute, apparendo del
tutto ragionevole la conclusione che il/la natola allorquando il
marito (o il convivente) sia morto dopo avere prestato il consenso
alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (nella specie,
peraltro, pacificamente ribadito solo pochi giorni prima del decesso)
ai sensi dell'art. 6 della medesima legge e prima della formazione
dell'embrione avvenuta con il proprio seme precedentemente
crioconservato (di cui, prima del decesso, abbia, altresi',
autorizzato l'utilizzazione) sia da considerarsi figlio nato nel
matrimonio della coppia che ha espresso il consenso medesimo prima
dello scioglimento, per effetto della morte del marito, del vincolo
nuziale». E cio', oltretutto, dando rilievo alla discendenza
biologica. Il principio e' stato, quindi, affermato in relazione ad
una specifica situazione ed in base ad argomentazioni che non sono
replicabili nella vicenda che ci riguarda.
D'altronde, le aperture esegetiche, talvolta consentite dalla
giurisprudenza di merito, hanno trovato una decisa ed univoca
smentita nei giudizi di legittimita', potendo ormai definirsi
costante l'orientamento della Corte di cassazione che nega ogni
rilievo agli argomenti menzionati.
Con la pronuncia n. 7668/2020 la Suprema Corte, nel rigettare il
ricorso promosso da due donne avverso il rifiuto dell'Ufficiale dello
stato civile di ricevere la dichiarazione congiunta di riconoscimento
della bambina, nata da fecondazione assistita praticata all'estero,
ha evidenziato che il divieto per le coppie formate da persone dello
stesso sesso di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente
assistita, imposto dall'art. 5 legge 40/2004 e rafforzato dalla
previsione di sanzioni amministrative, e' applicabile agli atti di
nascita formati o da formare in Italia, a prescindere dal luogo dove
sia avvenuta la pratica fecondativa.
Con un successivo intervento nello stesso anno (Cass. 8029/2020),
la Corte di cassazione ha affermato che «il riconoscimento di un
minore concepito mediante il ricorso a tecniche di procreazione
medicalmente assistita di tipo eterologo da parte di una donna legata
in unione civile con quella che lo ha partorito, ma non avente alcun
legame biologico con il minore, si pone in contrasto con la legge n.
40 del 2004, art. 4, comma 3 e con l'esclusione del ricorso alle
predette tecniche da parte delle coppie omosessuali, non essendo
consentita, al di fuori dei casi previsti dalla legge, la
realizzazione di forme di genitorialita' svincolate da un rapporto
biologico, con i medesimi strumenti giuridici previsti per il minore
nato nel matrimonio o riconosciuto», escludendo l'operativita', in
simili casi, dell'art. 8 della stessa legge. A tal fine, richiamando
la pronuncia della Consulta n. 221/2019, ha sottolineato la
«perdurante operativita' ... delle linee guida sottese alla
disciplina dettata dalla legge n. 40 del 2004», ossia «da un lato la
piena vigenza del divieto di ricorso alle tecniche di procreazione
medicalmente assistita di tipo eterologo, salvi i casi d'infertilita'
patologica o di malattie genetiche trasmissibili, dall'altro
l'esclusione della possibilita' di avvalersi delle predette tecniche
per la realizzazione di forme di genitorialita' svincolate dal
rapporto biologico tra il nascituro ed i richiedenti», cosi'
escludendo la possibilita' di ricollegare, in assenza di un rapporto
biologico, l'instaurazione del rapporto di filiazione tra il minore
ed il partner del genitore biologico al consenso da quest'ultimo
prestato all'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente
assistita.
Gli stessi principi sono stati affermati dalla Corte di
cassazione con le sentenze nn. 23320/2021 e 23321/2021 (anche
mediante richiami alle pronunce della Corte costituzionale 230/2020 e
33/2021). Nel primo caso, la Cass. ha statuito che l'obiettivo del
riconoscimento del diritto ad essere genitori di entrambe le donne
unite civilmente non e' raggiungibile attraverso il sindacato di
costituzionalita' delle predette disposizioni, ma dev'essere
perseguito per via normativa, implicando una svolta che, anche e
soprattutto per i contenuti etici ed assiologici che la connotano,
non e' costituzionalmente imposta, ma propriamente attiene all'area
degli interventi con cui il legislatore, quale interprete della
volonta' della collettivita', e' chiamato a tradurre il bilanciamento
tra valori fondamentali in conflitto, tenendo conto degli
orientamenti e delle istanze che apprezzi come maggiormente radicati,
nel momento dato, nella coscienza sociale. Nel secondo caso, la
Suprema Corte ha affermato che l'interesse di un bambino, accudito
sin dalla nascita da una coppia che ha condiviso la decisione di
farlo venire al mondo, e' quello di ottenere un riconoscimento anche
giuridico dei legami che, nella realta' fattuale, gia' lo uniscono a
entrambi i componenti della coppia, e non solo di quello con il
genitore biologico, ma ha affermato che tale interesse non puo'
essere considerato automaticamente prevalente rispetto agli altri
interessi in gioco, dovendo essere bilanciato con questi ultimi, alla
luce del criterio di proporzionalita'; ha quindi escluso
l'illegittimita' costituzionale delle norme che impediscono
l'indicazione del genitore intenzionale nell'atto di nascita del
minore, al contempo evidenziando la necessita' di assicurare la
tutela dell'interesse del minore attraverso un procedimento di
adozione effettivo e celere, che riconosca la pienezza del legame di
filiazione tra adottante e adottato, allorche' ne sia stata accertata
in concreto la corrispondenza agli interessi del bambino.
L'orientamento e' stato confermato dalle successive pronunce di
legittimita': Cass. 6383/2022 (che ha ritenuto applicabili gli stessi
principi anche in un caso in cui tra la donna non partoriente e il
nato vi era un legame genetico, avendo questa donato l'ovulo che,
fecondato, era stato impiantato nell'utero della compagna, che aveva
poi portato a termine la gravidanza), Cass. 7413/2022 (che ha
richiamato la sentenza della Corte costituzionale 32/2021), Cass.
10844/2022, Cass. 11078/2022 (secondo cui il legame biologico di un
genitore piuttosto che dell'altro con il nato non e' il criterio
informatore della legge, che ha attribuito rilievo decisivo al
consenso informato e, pertanto, non puo' divenire criterio
ermeneutico della stessa, perche' l'attuale assetto normativo non
consente l'estrapolazione di alcune norme - gli articoli 6, 8 e 9
legge 40/2004 - e l'applicazione frazionata delle stesse, ne' il
dettato dell'art. 5, che costituisce premessa applicativa della
complessiva normativa, puo' essere superato in via interpretativa),
Cass. 22179/2022 (che ha richiamato le sentenze della Corte
costituzionale nn. 32/2021 e 79/2022), Cass. 23527/2023 (che,
riconfermando l'orientamento espresso dalle precedenti ordinanze, ha
escluso che l'indicazione della doppia genitorialita' sia necessaria
a garantire al minore la migliore tutela possibile, «atteso che, in
tali casi, l'adozione in casi particolari si presta a realizzare
appieno il preminente interesse del minore alla creazione di legami
parentali con la famiglia del genitore adottivo, senza che siano
esclusi quelli con la famiglia del genitore biologico, alla luce di
quanto stabilito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 79 del
2022»), Cass. 511/2024, Cass. 4448/2024.
L'adozione in casi particolari e le criticita' dell'istituto.
Nelle pronunce di legittimita' sopra citate (Cass. nn. 8029/2020,
23321/2021, 22179/2022, 23527/2023), la Suprema Corte ha ritenuto che
l'adozione in casi particolari rappresenti un'adeguata forma di
tutela, idonea a porre la disciplina dettata dalla legge 40/2004 al
riparo da censure di legittimita' costituzionale, anche fondate sui
principi sovranazionali come interpretati dalla giurisprudenza della
Corte europea dei diritti dell'uomo ed aventi carattere di norme
interposte, in forza dell'art. 117 Cost.
Del resto, la questione della necessita' di conferire giuridico
riconoscimento al legame di filiazione tra il genitore intenzionale
ed i minori, sia che essi siano nati da procreazione medicalmente
assistita che da gravidanza per altri, e' stata piu' volte affrontata
dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, che ha sempre affermato
che l'impossibilita' generale e assoluta, per un periodo di tempo
significativo, di ottenere il riconoscimento, nei vari Stati
firmatari, del rapporto tra il minore e il genitore intenzionale
costituisce un'ingerenza sproporzionata nel diritto del bambino al
rispetto della sua vita privata, sancita dall'art. 8 Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'
fondamentali (v. M c. Francia, n. 65192/11, del 26 giugno 2014; L :
c. Francia, n. 65941/11, del 26 giugno 2014; D c. Francia n.
11288/18, del 16 luglio 2020; D.B. e altri c. Svizzera nn. 58817/15 e
58252/15, del 22 novembre 2022 e piu' di recente C c. Italia n.
47196/21 del 31 luglio 2023, su cui piu' ampiamente infra).
Nello specifico la Corte europea dei diritti dell'uomo, pur
osservando che il mancato riconoscimento del rapporto di filiazione
e' destinato inevitabilmente ad incidere sulla vita familiare del
minore, ha escluso la configurabilita' di una violazione del diritto
al rispetto della stessa, ove sia assicurata in concreto la
possibilita' di condurre un'esistenza paragonabile a quella delle
altre famiglie.
Ha al contempo sottolineato che la scelta dei mezzi di cui
avvalersi per permettere il riconoscimento del legame esistente tra
un figlio e un genitore intenzionale rientra nel margine di
apprezzamento degli Stati contraenti (parere consultivo n.
P16-2018-001), ricordando come sul punto non vi sia un consenso
unanime tra gli Stati firmatari, che adottano soluzioni diverse.
Nell'ordinamento interno, l'istituto dell'adozione in casi
particolari (di cui al titolo IV della legge 184/1983) contempla
ipotesi tassative ed eccezionali, rispetto al principio generale
sancito all'art. 7 comma 1 della medesima legge, in forza del quale
l'adozione e' consentita a favore dei minori «dichiarati in stato di
adottabilita'». Infatti, anche quando non ricorre la condizione
predetta, il legislatore ha inteso tutelare il rapporto che si
instaura laddove il minore sia inserito in un nucleo familiare, con
cui abbia conseguentemente sviluppato legami affettivi, stabilendo
all'art. 44 legge 184/1983 che i minori possono essere adottati «da
persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o
da preesistente rapporto stabile e duraturo, anche maturato
nell'ambito di un prolungato periodo di affidamento, quando il minore
sia orfano di padre e di madre» (lett. a) e «dal coniuge nel caso in
cui il minore sia figlio anche adottivo dell'altro coniuge» (alla
lettera b); altresi' tutela i minori che si trovino in particolari
situazioni di disagio, consentendo l'adozione quando il minore sia
persona handicappata (trovandosi nelle condizioni indicate dall'art.
3, comma 1, legge 104/1992 e che dunque presenti una minorazione
fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che e'
causa di difficolta' di apprendimento, di relazione o di integrazione
lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o
di emarginazione) e sia orfano di padre e di madre (lett. c) e quando
vi sia la constatata impossibilita' di affidamento preadottivo (lett.
d).
L'adozione in casi particolari, comunque prevista anche in
presenza di figli, e' consentita, nei casi di cui alle lettere a, c e
d, oltre che ai coniugi anche a chi non sia coniugato.
Il Tribunale per i minorenni e' competente a decidere sul
procedimento di adozione, in cui si richiede ai sensi dell'art. 45
legge 184/1983 il consenso dell'adottante e dell'adottando che abbia
compiuto il quattordicesimo anno di eta' o del suo legale
rappresentante, se l'adottando non abbia compiuto il quattordicesimo
anno di eta' o si trovi in condizione di minorata capacita'.
Una volta pronunciata la sentenza, ai sensi dell'art. 48 legge
184/1983 l'adottante ha l'obbligo di mantenere l'adottato, di
istruirlo ed educarlo conformemente a quanto prescritto dall'art. 147
c.c.
La Corte di cassazione, con la sentenza n. 12962/2016, ha ammesso
il ricorso all'adozione in casi particolari disciplinata dall'art.
44, comma 1, lettera d) legge 184/1983 da parte del partner
omosessuale del genitore del minore. In particolare, nell'applicare
il principio del best interest del minore, ha statuito che
l'espressione «impossibilita' di affidamento preadottivo», contenuta
nella clausola residuale di cui alla citata disposizione, deve essere
interpretata estensivamente, nel senso di ricomprendere oltre
all'impossibilita' di fatto, anche quella di diritto, nella
prospettiva di valorizzare rapporti di fatto gia' esistenti con il
minore. La Cass. ha ritenuto tale soluzione coerente con i principi
stabiliti dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani,
«dal momento che si sta sempre piu' affermando, in particolare nei
procedimenti adottivi, il principio secondo il quale il rapporto
affettivo che si sia consolidato all'interno di un nucleo familiare,
in senso stretto o tradizionale o comunque ad esso omologabile per il
suo contenuto relazionale, deve essere conservato anche a prescindere
dalla corrispondenza con rapporti giuridicamente riconosciuti, salvo
che vi sia un accertamento di fatto contrario a questa soluzione»,
con richiamo al caso M e B contro Italia (n. 16318/07 del 27 aprile
2010), al caso P e C contro Italia (n. 25358/12 del 24 gennaio 2017)
e al caso X ed altri contro Austria (GC n. 19010/07, 19 febbraio
2013), il quale ultimo ha riconosciuto anche in tema di adozione del
figlio del partner la violazione del principio di non discriminazione
stabilito dall'art. 14 Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali in presenza di una
ingiustificata disparita' di regime giuridico tra le coppie
eterosessuali e le coppie formate da persone dello stesso sesso, dal
momento che nell'ordinamento austriaco tale forma di adozione era
consentita soltanto alle coppie di fatto eterosessuali. La Corte
europea dei diritti dell'uomo, al riguardo, ha sottolineato che
l'Austria non aveva fornito «motivi particolarmente solidi e
convincenti idonei a stabilire che l'esclusione delle coppie
omosessuali dall'adozione coparentale aperta alle coppie
eterosessuali non sposate fosse necessaria per tutelare la famiglia
tradizionale» (par. 151 della sentenza).
Pronunciandosi a Sezioni Unite nell'anno 2019 (Cass. S.U.
12193/2019), nello stabilire l'impossibilita' di riconoscere
efficacia al provvedimento giurisdizionale straniero con cui sia
stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato
all'estero mediante il ricorso alla maternita' surrogata ed il
genitore d'intenzione munito della cittadinanza italiana, che trova
ostacolo nel divieto della surrogazione di maternita' previsto
dall'art. 12, comma 6, legge 40/2004, qualificabile come principio di
ordine pubblico, in quanto posto a tutela di valori fondamentali,
quali la dignita' umana della gestante e l'istituto dell'adozione, la
Corte ha precisato che «la tutela di tali valori, non
irragionevolmente ritenuti prevalenti sull'interesse del minore,
nell'ambito di un bilanciamento effettuato direttamente dal
legislatore, al quale il giudice non puo' sostituire la propria
valutazione, non esclude peraltro la possibilita' di conferire
rilievo al rapporto genitoriale, mediante il ricorso ad altri
strumenti giuridici, quali l'adozione in casi particolari, prevista
dall'art. 44, comma primo, lettera d), della legge n. 184 del 1983».
In particolare, le Sezioni Unite hanno ritenuto tale strumento idoneo
a tutelare l'interesse del minore a veder riconosciuto a livello
giuridico il suo legame affettivo con il genitore intenzionale, in
quanto conforme ai principi sanciti dalle convenzioni internazionali
in materia di protezione dei diritti dell'infanzia, cui lo Stato
italiano ha prestato adesione ed a tal fine hanno citato la gia'
richiamata giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo
(in particolare M c. Francia, n. 65192/11 del 26 giugno 2014; L c.
Francia, n. 65941/11 del 26 giugno 2014), in cui la Corte, pur
osservando che il mancato riconoscimento del rapporto di filiazione
e' destinato inevitabilmente ad incidere sulla vita familiare del
minore, ha escluso la configurabilita' di una violazione del diritto
al rispetto della stessa, ove sia assicurata in concreto la
possibilita' di condurre un'esistenza paragonabile a quella delle
altre famiglie, ravvisando invece una violazione, in relazione alla
lesione dell'identita' personale eventualmente derivante dalla
coincidenza di uno dei genitori d'intenzione con il genitore
biologico del minore. Su queste basi la Suprema Corte ha affermato
che «le predette violazioni non sono pertanto configurabili nel caso
in cui, come nella specie, non sia in discussione il rapporto di
filiazione con il genitore biologico, ma solo quello con il genitore
d'intenzione, il cui mancato riconoscimento non preclude al minore
l'inserimento nel nucleo familiare della coppia genitoriale ne'
l'accesso al trattamento giuridico ricollegabile allo status
filiationis, pacificamente riconosciuto nei confronti dell'altro
genitore», concludendo nel senso di ritenere che «anche nella
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, la
sussistenza di un legame genetico o biologico con il minore
rappresenta dunque il limite oltre il quale e' rimessa alla
discrezionalita' del legislatore statale l'individuazione degli
strumenti piu' adeguati per conferire rilievo giuridico al rapporto
genitoriale, compatibilmente con gli altri interessi coinvolti nella
vicenda, e fermo restando l'obbligo di assicurare una tutela
comparabile a quella ordinariamente ricollegabile allo status
filiationis: esigenza, questa, che nell'ordinamento interno puo'
ritenersi soddisfatta anche dal gia' menzionato istituto
dell'adozione in casi particolari, per effetto delle disposizioni
della legge n. 184 del 1983, che parificano la posizione del figlio
adottivo allo stato di figlio nato dal matrimonio».
Anche con la successiva pronuncia n. 8029/2020, sopra citata, la
Corte di cassazione ha ribadito la soluzione adottata dalle Sezioni
Unite, ritenuta conforme ai principi elaborati anche dalla Corte
europea dei diritti dell'uomo.
Parimenti nella sentenza n. 23321/2021, sopra citata, ha
effettuato la medesima valutazione di conformita' della soluzione
adottata alla giurisprudenza EDU, richiamando la decisione D c.
Francia (n. 11288/18, del 16 luglio 2020) che, nell'esaminare un caso
riguardante il rifiuto di uno Stato membro di riconoscere il rapporto
giuridico di filiazione tra un minore procreato mediante il ricorso
alla maternita' surrogata ed uno dei genitori, non avente alcun
legame biologico con lo stesso, ha affermato che il diritto al
rispetto della vita privata del minore richiede che il diritto
interno offra la possibilita' di un riconoscimento del legame di
filiazione con il genitore d'intenzione, ma non anche che tale
riconoscimento abbia luogo attraverso l'iscrizione nell'atto di
nascita del minore e ribadito che la scelta degli strumenti per
consentire tale riconoscimento rientra nel margine di apprezzamento
degli Stati, di talche' esso puo' aver luogo anche in altro modo,
come attraverso l'adozione, a condizione che le modalita' previste
dal diritto interno garantiscano l'effettivita' e la celerita' della
procedura.
In materia e', poi, intervenuta la pronuncia della Corte
costituzionale 33/2021, che, nel dichiarare l'inammissibilita' della
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12, comma 6, legge
40/2004, della legge 218/1995 e dell'art. 18 decreto del Presidente
della Repubblica 396/2000, sollevata in riferimento agli articoli 2,
3, 30, 31 e 117, comma 1, Cost., nella parte in cui non consentono il
riconoscimento e la dichiarazione di esecutivita' del provvedimento
giudiziario straniero relativo all'inserimento del genitore
d'intenzione nell'atto di stato civile di un minore procreato con le
modalita' della gestione per altri, ha anzitutto riconosciuto che
l'interesse del minore accudito sin dalla nascita da una coppia che
ha condiviso la decisione di farlo venire al mondo e' certamente
quello di ottenere un riconoscimento giuridico dei legami che, nella
realta' fattuale, gia' lo uniscono a entrambi i componenti della
coppia e che sono parte integrante della sua stessa identita'
(«indiscutibile e' l'interesse del bambino a che tali legami abbiano
riconoscimento non solo sociale ma anche giuridico, a tutti i fini
che rilevano per la vita del bambino stesso - dalla cura della sua
salute, alla sua educazione scolastica, alla tutela dei suoi
interessi patrimoniali e ai suoi stessi diritti ereditari -; ma
anche, e prima ancora, allo scopo di essere identificato dalla legge
come membro di quella famiglia o di quel nucleo di affetti, composto
da tutte le persone che in concreto ne fanno parte. E cio' anche
laddove il nucleo in questione sia strutturato attorno ad una coppia
composta da persone dello stesso sesso, dal momento che
l'orientamento sessuale della coppia non incide di per se'
sull'idoneita' all'assunzione di responsabilita' genitoriale
(sentenza n. 221 del 2019; Corte di cassazione, sezione prima civile,
sentenza 22 giugno 2016, n. 12962; sezione prima civile, sentenza 11
gennaio 2013, n. 601)» e preordinati all'affermazione dei doveri
derivanti dalla titolarita' della responsabilita' genitoriale.
Prosegue la Corte osservando che, tuttavia, l'interesse del minore,
come ogni altro interesse costituzionalmente rilevante, deve essere
bilanciato, alla luce del criterio di proporzionalita', con lo scopo
legittimo perseguito dall'ordinamento di disincentivare il ricorso
alla surrogazione di maternita' e che, in tale ambito, la Corte
europea dei diritti dell'uomo ha chiarito che ciascun ordinamento
gode, in linea di principio, di un certo margine di apprezzamento;
«ferma restando, pero', la rammentata necessita' di riconoscimento
del "legame di filiazione" con entrambi i componenti della coppia che
di fatto se ne prende cura, al piu' tardi quando tali legami si sono
di fatto concretizzati (Corte EDU, decisione 12 dicembre 2019, C.
contro Francia ed E. contro Francia, paragrafo 42; sentenza D. contro
Francia, paragrafo 67); lasciando poi alla discrezionalita' di
ciascuno Stato la scelta dei mezzi con cui pervenire a tale
risultato, tra i quali si annovera anche il ricorso all'adozione del
minore. Rispetto, peraltro, a quest'ultima soluzione, la Corte
europea dei diritti dell'uomo sottolinea come essa possa ritenersi
sufficiente a garantire la tutela dei diritti dei minori nella misura
in cui sia in grado di costituire un legame di vera e propria
"filiazione" tra adottante e adottato (Corte EDU, sentenza 16 luglio
2020, D. contro Francia, paragrafo 66), e "a condizione che le
modalita' previste dal diritto interno garantiscano l'effettivita' e
la celerita' della sua messa in opera, conformemente all'interesse
superiore del bambino" (ibidem, paragrafo 51)». E secondo la
Consulta, «il punto di equilibrio raggiunto dalla Corte europea dei
diritti dell'uomo - espresso da una giurisprudenza ormai consolidata
- appare corrispondente anche all'insieme dei principi sanciti in
materia dalla Costituzione italiana» per cui «non ostano alla
soluzione, cui le sezioni unite civili della Cass. sono pervenute,
della non trascrivibilita' del provvedimento giudiziario straniero, e
a fortiori dell'originario atto di nascita, che indichino quale
genitore del bambino il «padre d'intenzione», ma per altro verso
impongono che, in tal caso, sia comunque assicurata tutela
all'interesse del minore al riconoscimento giuridico del suo rapporto
con entrambi i componenti della coppia che non solo ne abbiano voluto
la nascita in un Paese estero in conformita' alla lex loci, ma che lo
abbiano poi accudito esercitando di fatto la responsabilita'
genitoriale. Una tale tutela dovra', in questo caso, essere
assicurata attraverso un procedimento di adozione effettivo e celere,
che riconosca la pienezza del legame di filiazione tra adottante e
adottato, allorche' ne sia stata accertata in concreto la
corrispondenza agli interessi del bambino».
Andando, allora, ad esaminare le caratteristiche dello strumento
dell'adozione in casi particolari di cui all'art. 44, comma 1,
lettera d) legge 184/1983, che erano state censurate dalla sezione
rimettente - in quanto ritenute inidonee a creare un vero rapporto di
filiazione, atteso che tale forma di adozione porrebbe il genitore
non biologico in una situazione di inferiorita' rispetto al genitore
biologico, non creerebbe legami parentali con i congiunti
dell'adottante ed escluderebbe il diritto a succedere nei loro
confronti, non garantirebbe quella tempestivita' del riconoscimento
del rapporto di filiazione che e' richiesta dalla Corte europea dei
diritti dell'uomo nell'interesse del minore, sarebbe rimessa alla
volonta' del genitore d'intenzione, e sarebbe, altresi', condizionata
all'assenso all'adozione da parte del genitore biologico, che
potrebbe non prestarlo in caso di crisi della coppia - la Corte
costituzionale ha affermato che esso «costituisce una forma di tutela
degli interessi del minore certo significativa, ma ancora non del
tutto adeguata al metro dei principi costituzionali e sovranazionali
rammentati».
In particolare, le lacune individuate sono le seguenti:
l'adozione in casi particolari non attribuisce la genitorialita'
all'adottante; era ancora controverso se consentisse di stabilire
vincoli di parentela con la famiglia dell'adottante; l'adozione in
casi particolari richiede il necessario assenso del genitore
biologico, che potrebbe non essere prestato in situazioni di
sopravvenuta crisi della coppia. E cosi' ha ritenuto che «al fine di
assicurare al minore ,iato da maternita' surrogata la tutela
giuridica richiesta dai principi convenzionali e costituzionali
poc'anzi ricapitolati attraverso l'adozione, essa dovrebbe dunque
essere disciplinata in modo piu' aderente alle peculiarita' della
situazione in esame, che e' in effetti assai distante da quelle che
il legislatore ha inteso regolare per mezzo dell'art. 44, comma 1,
lettera d), della legge n. 184 del 1983», muovendo un preciso monito
al legislatore di intervenire in subiecta materia.
In tale quadro, occorre considerare che con la successiva
sentenza n. 79/2022 la Corte costituzionale ha dichiarato
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 55 legge 184/1983, nella
parte in cui, mediante rinvio all'art. 300, comma 2, c.c., prevede
che l'adozione in casi particolari non induce alcun rapporto civile
tra l'adottato e i parenti dell'adottante e, sulla base di tale
intervento e di ulteriori considerazioni, le Sezioni Unite della
Cass., con la pronuncia n. 38162/2022, resa sempre in tema di
maternita' surrogata, hanno ritenuto il rimedio idoneo.
In particolare, con riferimento all'impossibilita' di costituire
il rapporto adottivo in mancanza dell'assenso del genitore biologico,
richiesto dall'art. 46 legge 184/1983, la Suprema Corte ha ritenuto
possibile un'interpretazione costituzionalmente orientata della
disposizione, in combinato con l'art. 57 della stessa legge, che
impone al giudice di valutare se l'adozione realizzi in concreto il
preminente interesse del minore, ed ha affermato che l'effetto
ostativo del dissenso dell'unico genitore biologico all'adozione del
genitore sociale deve essere valutato esclusivamente sotto il profilo
della conformita' all'interesse del minore stesso, apparendo
ragionevole soltanto quando non si sia realizzato tra quest'ultimo e
il genitore d'intenzione quel legame esistenziale la cui tutela
costituisce il presupposto dell'adozione; mentre laddove tale
relazione sussista, «il rifiuto non sarebbe certamente giustificato
dalla crisi della coppia committente ne' potrebbe essere rimesso alla
pura discrezionalita' del genitore biologico».
Le Sezioni Unite hanno esaminato anche l'ulteriore problematica
evidenziata dalla sentenza n. 33 del 2021, relativa al fatto che
l'iniziativa spetta solo all'adottante, non potendo il minore
rivendicare la costituzione del rapporto genitoriale tramite
l'adozione. In proposito hanno affermato che «quella constatazione
impone ... ove si presenti il caso, che siano ricercati nel sistema
gli strumenti affinche' siano riconosciuti al minore, in una logica
rimediale, tutti i diritti connessi allo status di figlio anche nei
confronti del committente privo di legame biologico, subordinatamente
ad una verifica in concreto di conformita' al superiore interesse del
minore. Difatti, chi con il proprio comportamento, sia esso un atto
procreativo o un contratto, quest'ultimo lecito o illecito, determina
la nascita di un bambino, se ne deve assumere la piena
responsabilita' e deve assicuragli tutti i diritti che spettano ai
bambini nati «lecitamente».
L'adeguatezza dell'istituto dell'adozione in casi particolari
deve essere valutata considerando anche la celerita' del relativo
procedimento, che non deve lasciare il legame genitore-figlio privo
di riconoscimento troppo a lungo. Come ha sottolineato, anche di
recente, la Corte europea dei diritti dell'uomo (sentenza 22 novembre
2022, D.B. e altri c. Svizzera), il vincolo deve poter trovare
riconoscimento al piu' tardi quando, secondo l'apprezzamento delle
circostanze di ciascun caso, il legame tra il bambino e il genitore
d'intenzione si e' concretizzato. La Corte europea dei diritti
dell'uomo considera cioe' l'adozione un rimedio possibile se ed in
quanto consegua con celerita' il risultato del riconoscimento dei
legami tra il minore e il genitore d'intenzione», concludendo nel
senso di ritenere che «per effetto della sopravvenuta sentenza della
Corte costituzionale n. 79 del 2022 e prospettandosi la possibilita'
di una interpretazione adeguatrice del requisito del necessario
assenso del genitore biologico, l'adozione in casi particolari, per
come attualmente disciplinata, si profila come uno strumento
potenzialmente adeguato al fine di assicurare al minore nato da
maternita' surrogata la tutela giuridica richiesta dai principi
convenzionali e costituzionali, restando la valutazione in ogni caso
sottoposta al vaglio del giudice nella concretezza della singola
vicenda e ferma la possibilita' per il legislatore di intervenire in
ogni momento per dettare una disciplina ancora piu' aderente alle
peculiarita' della situazione». La Corte di cassazione ha ritenuto
adeguato lo strumento dell'adozione in casi particolari per la
«tutela dell'interesse del minore al riconoscimento giuridico, ex
post e in esito a una verifica in concreto da parte del giudice, del
suo rapporto con il genitore d'intenzione», reputandolo conforme ai
principi espressi dalla Corte di Strasburgo, cosi' concludendo:
«l'ordinamento italiano mantiene fermo il divieto di maternita'
surrogata e, non intendendo assecondare tale metodica di
procreazione, rifugge da uno strumento automatico come la
trascrizione, ma non volta le spalle al nato. Il titolo che
giustifica la costituzione dello stato e' fondato, non
sull'intenzione di essere genitore, ma sulla condivisione del
progetto genitoriale seguita dalla cura e dal rapporto affettivo
costanti; il provvedimento del giudice presuppone, inoltre, un
giudizio sul miglior interesse del bambino e una verifica in concreto
de 'idoneita' del genitore istante».
Infine, con una recente sentenza del 31 luglio 2023 (C c. Italia
n. 47196/21) la Corte europea dei diritti dell'uomo e' intervenuta
nuovamente sul tema dell'adozione in casi particolari, in relazione
ad un ricorso che riguardava il rifiuto delle autorita' italiane di
riconoscere il rapporto di filiazione stabilito da un atto di nascita
ucraino tra una minore, nata all'estero mediante una gestazione per
altri (GPA) cui aveva fatto ricorso una coppia eterosessuale, e il
suo padre biologico e la sua madre intenzionale. Anche in questo caso
la Corte europea dei diritti dell'uomo ha ricordato che «il rispetto
della vita privata esige che ogni bambino possa stabilire i dettagli
della propria identita' di essere umano, il che comprende la sua
filiazione», e che «quando e' in gioco la relazione tra una persona e
suo figlio, si impone un dovere di diligenza eccezionale, in quanto
il passare del tempo puo' portare a risolvere la questione con un
fatto compiuto». Pertanto, spetta a «ciascuno Stato contraente
munirsi di strumenti giuridici adeguati e sufficienti per assicurare
il rispetto degli obblighi positivi che ad esso incombono ai sensi
dell'art. 8 della Convenzione, tra cui l'obbligo di diligenza
eccezionale quando e' in gioco la relazione tra una persona e suo
figlio».
Ha aggiunto che la Corte non e' chiamata a esaminare le modalita'
di accertamento o di riconoscimento di un rapporto di filiazione di
un bambino nato ricorrendo a una GPA praticata all'estero
(trascrizione dell'atto di nascita straniero parziale o completa,
adozione piena o semplice, accertamento ex novo del rapporto nel
paese di residenza del minore), ma deve invece verificare se il
processo decisionale dello Stato di residenza del minore, considerato
complessivamente, abbia assicurato un'adeguata protezione degli
interessi in gioco. Infatti, e' fondamentale che le modalita' di
accertamento della filiazione previste dal diritto interno
garantiscano l'effettivita' e la celerita' della sua attuazione
(parere consultivo n. P16-2018-001 [...]), conformemente
all'interesse superiore del minore in modo da evitare che
quest'ultimo sia mantenuto a lungo nell'incertezza giuridica».
La Corte ha anche esaminato l'ordinamento interno in relazione al
rapporto tra il minore e la madre intenzionale, ed in specie gli
articoli 44 e ss. legge 184/1983, sull'adozione in casi particolari,
norma che come evidenziato anche dalla richiamata giurisprudenza
della Corte di cassazione (da ultimo Cass. SU 38162/2022) rappresenta
«lo strumento che consente di dare riconoscimento giuridico, con il
conseguimento dello status di figlio, al legame di fatto con il
partner del genitore genetico che ha condiviso il disegno procreativo
e ha concorso nel prendersi cura del bambino sin dal momento della
nascita». In tal senso, tale previsione, allo stato dell'evoluzione
dell'ordinamento nazionale e nei limiti della discrezionalita' degli
Stati di valutare come procedere al riconoscimento del rapporto di
filiazione, consente di non ritenere integrata una violazione
dell'art. 8 CEDU, poiche' «la legge italiana, anche se non permette
la trascrizione dell'atto di nascita per quanto riguarda la madre
intenzionale, garantisce a quest'ultima la possibilita' di
riconoscere giuridicamente il bambino attraverso l'adozione.» E,
dunque, elimina il problema della impossibilita' generale e assoluta
di riconoscere un rapporto di filiazione.
Come ricordato dalla Suprema Corte, tuttavia, la valutazione,
nella concretezza della singola vicenda, e' in ogni caso sottoposta
al vaglio del giudice, restando sempre ferma la possibilita' per il
legislatore di intervenire in ogni momento per dettare una disciplina
ancora piu' aderente alle peculiarita' delle diverse situazioni
concrete che involgono genitori d'intenzione.
Questo collegio ritiene che l'adozione in casi particolari,
ancorche' a seguito dalla sentenza n. 79/2022 dalla Corte
costituzionale sia stata riconosciuta - ampliando il portato
letterale dell'art. 55 legge 184/1983 - l'instaurazione di rapporti
civili tra l'adottato ed i parenti dell'adottante e nonostante
l'apertura verso la dimensione funzionale del requisito del consenso
del genitore biologico inaugurata dalle Sezioni Unite nel 2022, non
consente di assicurare al minore una tutela adeguata, in termini di
effettivita' e celerita', non garantite in concreto dal procedimento
in questione.
Invero, alla conformita' in astratto ai parametri dell'art. 8
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali non corrisponde una concreta ed effettiva
tutela del minore, laddove il progetto procreativo sia perseguito da
una coppia omossessuale ed a differenza di quanto specularmente
previsto per le coppie eterosessuali che accedono alla P.M.A. di tipo
eterologo, in cui il riconoscimento opera sin dalla nascita (sebbene
anche in questo caso uno dei due genitori, o entrambi, non siano
biologicamente tali).
Quanto al richiesto presupposto della celerita' della tutela (si
rammenta che nella sentenza C c. Italia n. 47196/21 del 31 agosto
2023, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha censurato l'eccessiva
lentezza del processo decisionale dei giudici nazionali, in relazione
al mancato sollecito riconoscimento del rapporto con il padre
biologico), si condividono le considerazioni espresse dalle
resistenti che riferiscono, correttamente, che i tempi medi di
definizione dei procedimenti di adozione speciale si attestano su tre
anni per ottenere una sentenza definitiva, mentre tribunali piu'
virtuosi registrano tempi piu' contenuti, ma comunque di circa un
anno e mezzo.
Inoltre, il procedimento scandito dagli articoli 44 ss. legge
184/1983, postulando la valutazione e l'accertamento circa l'avvenuta
instaurazione di un legame affettivo stabile con il genitore
adottante, della cui idoneita' genitoriale parimenti il Tribunale
deve accertarsi, richiede incombenti istruttori e processuali, ivi
compreso il coinvolgimento del Servizio Sociale territorialmente
competente e l'audizione del minore se capace di autonomo
discernimento, che inevitabilmente dilatano i tempi processuali,
ritardando il riconoscimento dello status in capo al minore. Tanto
piu' considerando che, nell'attuale confusionario quadro normativo e
giurisprudenziale, il procedimento potrebbe essere in concreto
introdotto solo all'esito del giudizio di impugnazione ai sensi
dell'art. 95 decreto del Presidente della Repubblica 396/2000, da
parte della coppia omoaffettiva, del rifiuto dell'iscrizione
dell'Ufficiale dello stato civile o, viceversa, da parte del pubblico
ministero dell'iscrizione, cosi' dilatando ancor piu' i tempi del
riconoscimento dello status di figlio.
Il caso di specie e' emblematico sotto questo profilo, atteso che
G G P ha gia' compiuto un anno di eta' ed ancora pende, in primo
grado, il procedimento ai sensi dell'art. 95 decreto del Presidente
della Repubblica 396/2000, mentre il procedimento per la sua
eventuale adozione da parte di I P potra' essere avviato solo in caso
di definitivo accoglimento del presente ricorso, presumibilmente tra
diversi anni e comunque all'esito dell'esperimento dei vari gradi di
giudizio; di contro, l'atto di nascita dell'altra minore L P G non e'
ancora sub iudice e cio' procrastina l'incertezza della sua
situazione giuridica, che resta assoggettata all'iniziativa della
Procura della Repubblica per un tempo non preventivabile (come di
recente avvenuto nei casi portati all'attenzione del Tribunale di
Padova, a seguito dell'impugnazione da parte della Procura della
Repubblica di oltre trenta atti di nascita di minori, alcuni dei
quali formati gia' da anni).
Trattasi, inoltre, di una procedura giudiziale, che presuppone un
soggetto ricorrente, che avvii la procedura medesima. Anche sotto
tale profilo vanno evidenziate le implicazioni concrete della
modalita' di riconoscimento dello status di figlio in questione,
perche' potrebbero verificarsi disparita' di trattamento in termini
di accesso allo strumento: il procedimento comporta comunque dei
costi, anche per la difesa tecnica oltre che per le spese vive, che
la madre intenzionale dovrebbe accollarsi (e che potrebbe non volere
o non potere nei fatti sopportare, salva l'ammissione al patrocinio
per i non abbienti).
Ancora, l'adozione e' e resta uno strumento rimesso interamente
alla volonta' e all'iniziativa della madre intenzionale, escludendosi
ogni autonoma iniziativa della madre biologica, da un lato, e
soprattutto del minore, dall'altro, come gia' evidenziato dalla
giurisprudenza che ha affrontato la questione.
Nell'attuale assetto normativo dell'istituto, come emerge dagli
articoli 44 e ss. legge 184/1983 ed anche a seguito degli interventi
della Corte costituzionale, il minore non puo' imporre alla madre
intenzionale di adottarlo, cosicche', in caso di crisi della coppia e
conseguente abbandono della famiglia da parte della madre
intenzionale, il minore resterebbe privo di tutela in termini sia di
esercizio della responsabilita' genitoriale da parte della madre
intenzionale, con connessi obblighi di cura e mantenimento solo a
carico della madre biologica, sia di diritti successori nei confronti
della madre intenzionale, nonostante anche costei abbia contribuito
al suo progetto procreativo. La situazione e' diametralmente opposta
a quella prevista per la speculare ipotesi della coppia eterosessuale
che abbia fatto ricorso alla tecnica della procreazione eterologa,
che, per espressa previsione di legge, non puo' mai disconoscere quel
figlio, ancorche' per uno dei membri della coppia non sia
biologicamente proprio, ne' disinteressarsene e, conseguentemente,
venir meno ai connessi obblighi genitoriali.
Neppure la madre biologica, la quale con la madre intenzionale
abbia condiviso il progetto di far venire al mondo quel minore, puo'
avviare il procedimento che conduce, ai sensi dell'art. 48 legge
184/1983, ad estendere alla madre intenzionale gli obblighi di cui
all'art. 147 c.c., potendo solo acconsentire alla decisione della
madre intenzionale di avviarlo.
Tale situazione di evidente incertezza delle sorti del minore e
della sua effetti.va tutela trova ulteriore conferma nell'art. 47
legge 184/1983, sotto il duplice profilo della revoca del consenso
nel corso del procedimento e della morte dell'adottante.
Infatti, poiche' l'adozione produce i suoi effetti dalla data
della sentenza che la dispone, finche' la sentenza non e' emanata,
tanto l'adottante, dunque il genitore intenzionale, quanto
l'adottando o il suo legale rappresentante, se l'adottando e'
infraquattordicenne (e dunque di norma il genitore biologico) possono
revocare il loro consenso al procedimento adottivo.
Come gia' detto, sulla questione della mancanza ab origine o
sulla revoca dell'assenso all'adozione prestato dal genitore
biologico, quale legale rappresentante del minore, sono intervenute
le Sezioni Unite della Cass., che hanno ritenuto che l'effetto
ostativo del dissenso del genitore biologico all'adozione del
genitore intenzionale deve essere valutato sotto il profilo della
conformita' all'interesse del minore, di modo che il genitore
biologico puo' validamente negare l'assenso all'adozione del partner
solo nell'ipotesi in cui quest'ultimo non abbia intrattenuto alcun
rapporto di affetto e di cura nei confronti del nato, oppure, pur
avendo partecipato al progetto di procreazione, abbia poi abbandonato
la famiglia (Cass. S.U. 38162/2022, confermato da Cass. 25436/2023).
Non e' invece previsto, ne' per espressa previsione di legge ne'
in via giurisprudenziale, alcuno strumento avverso la revoca del
consenso, prima della sentenza, da parte della madre intenzionale,
restando dunque anche sotto tale aspetto la condizione del minore
rimessa alle alterne e spesso mutevoli vicende della relazione di
coppia ed alla volonta' dell'adottante, quantomeno sino a definitiva
conclusione del procedimento.
Permane, inoltre, un'ulteriore criticita' nell'ambito dell'art.
47 legge 184/1983. Si condivide sul punto quanto evidenziato dalla
difesa delle resistenti per il caso, comunque da considerarsi, in cui
la madre intenzionale venisse a mancare; infatti, qualora la madre
intenzionale si determinasse a chiedere l'adozione, anche
eventualmente cercando di superare il dissenso della madre biologica,
ma morisse prima della sentenza di adozione, la pronuncia non
potrebbe essere adottata, in quanto l'art. 47 legge 184/1983 prevede
la possibilita' di pronunciare sentenza per il caso di morte
dell'adottante nel corso del procedimento, solo se la richiesta di
adozione sia congiuntamente formulata da due coniugi, circostanza che
non si verifica mai in caso di coppia omosessuale.
In conclusione, lo strumento dell'adozione in casi particolari
consente senz'altro di pervenire, in astratto, al risultato finale di
garantire il riconoscimento del legame giuridico tra il minore ed il
genitore intenzionale, ma non puo' ritenersi che, in concreto, cio'
avvenga celermente, ne' che la tutela sia sempre effettiva,
ponendosi, nelle peculiari situazioni sopra descritte, il caso di
alcuni minori che vengono a trovarsi privi del riconoscimento anche
giuridico dei legami che, nella realta' fattuale, gia' li uniscono a
entrambi i componenti della coppia che ha condiviso la decisione di
farli venire al mondo.
Norme che si assumono incostituzionali
Alla luce di quanto sin qui delineato, tenuto conto della
ritenuta impraticabilita' di un'interpretazione costituzionalmente
orientata degli articoli 8 e 9 legge 40/2004 e dei persistenti limiti
dello strumento dell'adozione in casi particolari, viene in rilievo
la necessita' di vagliare la compatibilita' costituzionale degli
articoli 8 e 9 legge 40/2004, nonche' dell'art. 250 c.c., laddove
attribuisce alla madre ed al padre la possibilita' di riconoscere il
figlio, nella misura in cui impediscono al nato nell'ambito di un
progetto di procreazione medicalmente assistita praticata da una
coppia di donne l'attribuzione dello status di figlio riconosciuto
anche dalla c.d. madre intenzionale che, insieme alla madre
biologica, abbia prestato il consenso alla pratica fecondativa e
comunque laddove impongono la cancellazione dall'atto di nascita del
riconoscimento compiuto dalla madre intenzionale.
In punto di rilevanza, richiamando quanto gia' osservato, si
ribadisce che l'applicazione delle norme indicate e' evidentemente
ineliminabile nell'iter logico-giuridico che il Tribunale deve
percorrere per la decisione.
I parametri di costituzionalita' che si assumono violati.
Il quadro normativo e giurisprudenziale cosi' delineato
determina, infatti, una lesione di diritti costituzionalmente e
convenzionalmente garantiti dagli articoli 2, 3, 30, 31 e 117, primo
comma, Cost., quest'ultimo in relazione agli articoli 8 e 14 della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali (CEDU) firmata il 4 novembre 1950, ratificata e
resa esecutiva con legge 848/1955 e come interpretati dalla Corte di
Strasburgo, all'art. 24 della Carta dei diritti fondamentali
dell'Unione europea proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, agli
articoli 2, 3, 4, 5, 7, 8, 9 e 18 della Convenzione sui diritti del
fanciullo firmata a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa
esecutiva con legge 176/1991, agli articoli 1 e 6 Convenzione europea
sull'esercizio dei diritti dei fanciulli, adottata dal Comitato dei
Ministri del Consiglio d'Europa il 25 gennaio 1996 e ratificata
dall'Italia con legge 77/2003.
In particolare, l'inapplicabilita' al caso di specie degli
articoli 8 e 9 legge 40/2004 e, di riflesso, dell'art. 250 c.c.,
determina la violazione del diritto del minore all'inserimento e alla
stabile permanenza nel proprio nucleo familiare, inteso come
formazione sociale tutelata dalla Carta costituzionale e lascia
altresi' privo di tutela il diritto inviolabile del minore
all'identita' garantito dall'art. 2 Cost., da cui discende
l'azionabilita' dei suoi diritti nei confronti di chi si e' assunto
la responsabilita'. di procreare nell'ambito di una formazione
sociale che, benche' non riconducibile alla famiglia tradizionale, e'
comunque meritevole di tutela.
Risulta, in altre parole, frustrato il diritto del minore di
vedersi riconosciuta e di conservare un'identita' familiare e sociale
corrispondente al progetto di genitorialita'. realizzato, in una data
formazione familiare, mediante procreazione medicalmente assistita
effettuata all'estero.
Risulta, inoltre, violato l'art. 3 della Costituzione, commi 1 e
2.
Il rispetto del principio di uguaglianza formale impone, infatti,
che il nato all'esito del percorso di P.M.A. intrapreso da una coppia
di due donne non sia discriminato dalla legge, il che avviene laddove
questi non venga tutelato, dal punto di vista morale e materiale, in
ragione delle caratteristiche della relazione (omosessuale) tra i
genitori. Come affermato nella precedente ordinanza di rimessione del
Tribunale di Padova (n. 79/2019) e sottolineato dalla difesa delle
ricorrenti, con argomentazioni che questo Tribunale condivide
appieno, consentire il permanere di tale discriminazione
significherebbe legittimare nel nostro sistema una nuova (e unica)
categoria di nati non riconoscibili, che ricorda tristemente
categorie gia' fortemente discriminate in passato e superate grazie
all'evoluzione sociale e giuridica stimolata soprattutto dai principi
costituzionali: ci si riferisce alla categoria dei figli adulterini,
non riconoscibili prima della riforma del diritto di famiglia di cui
alla legge 151/1975, e a quella dei figli incestuosi, che, nonostante
la illiceita' penale, in presenza di pubblico scandalo, della
condotta che ha portato al concepimento (art. 564 c.p.), con
l'attuale formulazione dell'art. 251 codice civile possono essere
riconosciuti con autorizzazione del giudice «avuto riguardo
all'interesse del figlio e alla necessita' di evitare allo stesso
qualsiasi pregiudizio». A cio' si aggiunga che la «nuova» categoria
di nati assolutamente non riconoscibili violerebbe anche apertamente
il principio di unicita' dello status giuridico dei figli che ha
connotato tutti gli interventi legislativi piu' recenti in materia di
filiazione (oltre alla legge 219/2012 anche il decreto legislativo
154/2013 ed il decreto legislativo 149/2022, c.d riforma Cartabia) e
che si estende anche ai figli adottivi di coppia dello stesso sesso.
La violazione dei principi di cui all'art. 3 della Costituzione
sussiste, poi, anche con riferimento al diritto alla
bigenitorialita'., ossia al diritto di ogni bambino nato da P.M.A. ad
avere due persone che si assumono sin dalla nascita la
responsabilita' di provvedere al suo mantenimento, alla sua
educazione e istruzione, nei confronti delle quali poter vantare
diritti successori, ma soprattutto poter agire in caso di
inadempimento e di crisi della coppia.
Peraltro, anche dal lato dei genitori, il mancato riconoscimento
delle donne omossessuali quali genitori del nato da fecondazione
eterologa praticata dall'una con il consenso dell'altra si risolve in
una violazione del secondo comma dell'art. 3 della Costituzione, che
assegna alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di
ordine sociale al pieno sviluppo della loro personalita', impedendo
loro di assegnare piena tutela ai figli nati tramite le tecniche di
P.M.A.
Sempre sotto il profilo della violazione dell'art. 3 Cost., deve
osservarsi che, come sopra detto, la Corte di cassazione ritiene
ormai, con orientamento costante, trascrivibile l'atto di nascita
formato all'estero con l'indicazione delle due madri, l'una
biologica, che si e' sottoposta alla P.M.A. ed ha partorito il figlio
e l'altra intenzionale, che ha prestato il proprio consenso a tutto
il percorso seguito dalla partner, ritenendo non ostativo il concetto
di ordine pubblico internazionale, mentre, dall'altro lato, con un
orientamento ugualmente costante nega la possibilita' di iscrivere in
Italia un atto di nascita siffatto, dovendo in questo caso aversi
riguardo all'ordine pubblico nazionale e alle norme ostative di cui
alla legge 40/2004 (artt. 4 e 5).
Sebbene tale differenziazione, proprio in quanto basata sulla
diversita' dei parametri utilizzati, non possa ritenersi di per se'
irragionevole, e' evidente che, trattandosi di vicende - quelle della
nascita all'estero o in Italia dei figli concepiti da due donne
mediante la P.M.A. - che creano situazioni soggettive percepibili
come del tutto analoghe, non risulta ragionevole l'esito contrapposto
che si determina sul piano dei diritti del nato: in un caso, il nato
risulta figlio delle due donne che hanno condiviso il progetto
procreativo e, nell'altro, laddove non risultino applicabili gli
articoli 8 e 9 legge 40/2004, il nato risulta figlio della sola
partoriente, senza il riconoscimento ab origine di alcun legame con
l'altra donna.
Anche a prescindere da tali profili, la discriminazione opera
anche tra gli stessi nati in Italia, non riconoscibili dalla madre
intenzionale - o perche' l'Ufficiale dello stato civile ha opposto un
rifiuto o perche', inizialmente formato l'atto con l'indicazione
anche della madre intenzionale, la Procura della Repubblica ha, come
nel caso concreto, impugnato l'atto ai sensi dell'art. 95 decreto del
Presidente della Repubblica 396/2000, con gli esiti sopra esposti - e
quelli per i quali e' stato, invece, iscritto il relativo atto di
nascita e nessun ricorso e' stato promosso, come per L P G , che e'
nata all'interno del medesimo nucleo familiare di G G P , con il
ricorso alle stesse tecniche di P.M.A. cui si e' sottoposta,
nell'anno (quindi un anno prima, essendo quest'ultimo nato
nell'anno ), l'altra donna della coppia omoaffettiva. I due
nati, nonostante la comunanza di vita all'interno dello stesso nucleo
familiare - perche' non v'e' dubbio che di formazione familiare a
tutti gli effetti si tratti, essendo ormai abbandonato il concetto di
famiglia come limitato a quella formata da coppie di sesso diverso,
astrattamente in grado di procreare naturalmente - nel caso in cui,
non applicandosi gli articoli 8 e 9 legge 40/2004, il presente
ricorso della Procura venisse accolto, avrebbero due status diversi,
essendo l'una riconosciuta come figlia di entrambe le donne e l'altro
solo della madre biologica, con esclusione di ogni legame con la
madre intenzionale. Tant'e' vero che le resistenti, nel porsi in
concreto il problema, hanno chiesto, in denegata ipotesi, la
cancellazione del riferimento alla madre intenzionale anche per
l'altra figlia, previo ricorso della Procura che, ad oggi, non
risulta promosso.
Da non sottovalutare, poi, la questione inerente alla creazione
del legame tra i fratelli, che non avrebbe alcun riconoscimento nel
caso in cui non si potessero ritenere i due figli provenienti dallo
stesso stipite.
Da questo punto di vista, il collegio ritiene di evidenziare,
anche in punto di non manifesta infondatezza e di rilevanza della
questione, la peculiarita' del caso concreto, rispetto a molti casi
gia' decisi in precedenti pronunce di merito e legittimita',
oltreche' gia' vagliati dalla Corte costituzionale, originati dal
rifiuto dell'Ufficiale dello Stato civile di annotazione nell'atto di
nascita anche della madre intenzionale ed in cui i minori coinvolti
non avevano mai acquisito lo status di figli anche della madre
intenzionale, mentre nel caso di specie lo status andrebbe, in caso
di accoglimento, rimosso per il minore G . La situazione concreta
rivela infatti in termini drammatici la denunciata disparita' di
trattamento, capace di realizzarsi anche all'interno della stessa
famiglia, in assenza di una disciplina della materia e laddove non si
consenta l'applicazione delle disposizioni qui censurate.
Risulterebbe, altresi', violato l'art. 30 Cost., non solo in
relazione al mancato riconoscimento del diritto/dovere stabilito nel
comma 1, di cui abbiamo sopra detto con riferimento al parametro
dell'eguaglianza, ma anche con riguardo al comma 3, che richiede che
sia assicurata anche ai nati dalle pratiche di fecondazione eterologa
cui hanno fatto ricorso due donne legate da una relazione
sentimentale (riconosciuta dall'ordinamento) ogni tutela giuridica e
sociale, che a sua volta passa attraverso il riconoscimento del loro
status di figli della coppia che ha espresso il consenso a tali
pratiche e cio' al fine di assicurare il diritto all'identita'
personale.
Si rammenta che l'art. 30 Cost. e' stato posto dalla Corte
costituzionale a presidio del principio che impone che nelle
decisioni delle autorita' giudiziarie venga riconosciuto rilievo
primario alla salvaguardia del miglior interesse del minore (Corte
cost 11/1981), principio ricondotto altresi' all'ambito di tutela
dell'art. 31 Cost. (Corte cost. nn. 272/2017, 76/2017, 17/2017,
239/2014) e che rappresenta un ulteriore parametro di
costituzionalita' violato dalla mancata applicazione degli articoli 8
e 9 legge 40/2004 alla fattispecie.
E' poi violato l'art. 117 Cost. in relazione alle seguenti norme
sovranazionali interposte, che tutelano e garantiscono il primario
interesse del minore:
- l'art. 8 della CEDU, come interpretato dalla giurisprudenza
della Corte di Strasburgo gia' richiamata (v. M c. Francia, n.
65192/11 del 26 giugno 2014; L c. Francia, n. 65941/11 del 26 giugno
2014; D c. Francia, n. 11288/18 del 16 luglio 2020; D.B. e altri c.
Svizzera, nn. 58817/15 e 58252/15 del 22 novembre 2022; C c. Italia,
n. 47196/21 del 31 luglio 2023, oltre al parere consultivo n.
P16-2018-001), atteso che l'assenza di riconoscimento di un legame
tra il bambino e la madre intenzionale pregiudica il primo,
lasciandolo in una situazione di incertezza giuridica quanto alla sua
identita' nella societa';
- l'art. 14 della CEDU, in presenza di un'ingiustificata
disparita' di trattamento tra i nati, a seconda che siano stati
concepiti con fecondazione eterologa praticata da coppia
eterosessuale o da coppia omosessuale, essendo solo questi ultimi
destinati ad uno status di figli unigenitoriali;
- l'art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione
europea, proclamata a Nizza il 7/12/2000, che ha lo stesso valore
giuridico dei Trattati (art. 6, comma 1 TUE) e che prevede, al
paragrafo 3: «ogni bambino ha diritto di intrattenere regolarmente
relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo
qualora cio' sia contrario al suo interesse»;
- gli articoli 2 e 3 della Convenzione di New York sui diritti
del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con
legge 176/1991, di cui i successivi articoli 4, 5, 7, 8, 9 e 18
costituiscono specificazioni. In particolare, con la ratifica lo
Stato italiano si e' impegnato, insieme agli altri Stati firmatari,
«a rispettare i diritti enunciati nella presente Convenzione ed a
garantirli ad ogni fanciullo che dipende dalla loro giurisdizione,
senza distinzione di sorta ed a prescindere da ogni considerazione di
razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione
politica o altra del fanciullo o dei suoi genitori o rappresentanti
legali, dalla loro origine nazionale, etnica o sociale, dalla loro
situazione finanziaria, dalla loro incapacita', dalla loro nascita o
da ogni altra circostanza» e ad adottare «tutti i provvedimenti
appropriati affinche' il fanciullo sia effettivamente tutelato contro
ogni forma di discriminazione o di sanzione motivate dalla condizione
sociale, dalle attivita', dalle opinioni professate o convinzioni dei
suoi genitori, dei suoi rappresentanti legali e dei suoi familiari»
(art. 2). Si e' poi impegnato a tenere in preminente considerazione
«l'interesse superiore del fanciullo» in tutte le decisioni che lo
riguardano (artt. 3 e 4). Inoltre, ai sensi dell'art. 5, «gli Stati
Parti rispettano la responsabilita', il diritto ed il dovere dei
genitori o, se del caso, dei membri della famiglia allargata o della
collettivita', come previsto dagli usi locali, dei tutori o altre
persone legalmente responsabili del fanciullo, di dare a
quest'ultimo, in maniera corrispondente allo sviluppo delle sue
capacita', l'orientamento ed i consigli adeguati all'esercizio dei.
diritti che gli sono riconosciuti dalla presente Convenzione» e
l'art. 7 prevede che «il fanciullo e' registrato immediatamente al
momento della sua nascita e da allora ha diritto ad un nome, ad
acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere
i suoi genitori ed a essere allevato da essi». L'art. 8 tutela
l'unita' familiare imponendo il rispetto del «diritto del fanciullo a
preservare la propria identita', ivi compresa la sua nazionalita', il
suo nome e le sue relazioni famigliari» e l'art. 9 specifica che la
separazione dai genitori rappresenta una misura di salvaguardia
dell'interesse preminente del minore. L'art. 18, infine, indirizza
l'impegno degli Stati firmatari a «garantire il riconoscimento del
principio comune secondo il quale entrambi i genitori hanno una
responsabilita' comune per quanto riguarda l'educazione del fanciullo
ed il provvedere al suo sviluppo»;
- gli articoli 1 e 6 della Convenzione europea sull'esercizio
dei diritti dei fanciulli, adottata dal Comitato dei Ministri del
Consiglio d'Europa il 25 gennaio 1996 e ratificata dall'Italia con
legge 77/2003, che impongono l'assunzione di decisioni
giurisdizionali nel superiore interesse dei minori.
Il monito della Corte costituzionale.
Il collegio e' ben consapevole che il Tribunale di Padova, con
ordinanza n. 79 del 9 dicembre 2019, ha sollevato analoga questione
di legittimita' costituzionale degli articoli 8 e 9 legge 40/2004 e
dell'art. 250 codice civile in riferimento a parametri di
costituzionalita' speculari a quelli oggi richiamati da questo
Tribunale, denunciando il vuoto di tutela che deriva
dall'interpretazione sistematica delle predette disposizioni
normative, nella misura in cui non consentono al nato da un progetto
di procreazione medicalmente assistita eterologa, l'attribuzione
dello status di figlio anche della madre intenzionale, che abbia
parimenti prestato il consenso all'uso della tecnica procreativa
richiamata. Il Tribunale patavino rimettente, giudicando non
manifestamente infondata la questione rispetto alla decisione da
assumere, aveva in particolare sottolineato la necessita' di una
pronuncia «additiva» della Corte, volta a colmare proprio quel vuoto
di tutela riscontrato.
Tuttavia, la Corte costituzionale con la pronuncia n. 32/2021 ha
dichiarato la questione inammissibile, «per il rispetto dovuto alla
prioritaria valutazione del legislatore circa la congruita' dei mezzi
adatti a raggiungere un fine costituzionalmente necessario».
In particolare, la Corte costituzionale richiamando le proprie
precedenti decisioni, ha rimarcato che l'elusione del limite
stabilito dall'art. 5 legge 40/2004 non evoca scenari di contrasto
con principi e valori costituzionali: pur escludendosi l'esistenza di
un diritto alla genitorialita' di coppie dello stesso sesso (Corte
cost. 230/2020), non e' infatti configurabile un divieto
costituzionale, per le coppie omosessuali, di accogliere figli e,
inoltre, «non esistono neppure certezze scientifiche a dati di
esperienza in ordine al fatto che l'inserimento del figlio in una
famiglia formata da una coppia omosessuale abbia ripercussioni
negative sul piano educativo e dello sviluppo della personalita' del
minore» (Corte cost. 221/2019).
In tal senso, ha sottolineato che l'esigenza di salvaguardia del
primario interesse del minore, in sintonia con la giurisprudenza
delle Corti europee, imponeva (ed impone) un urgente ripensamento del
quadro normativo vigente, che disvela una «preoccupante lacuna
dell'ordinamento», rendendo impellente un intervento del legislatore
volto a colmare il divario tra la realta' fattuale e quella legale
nel rapporto del minore con la madre intenzionale, nell'ottica di
conferire riconoscimento giuridico ai legami affettivi e familiari
esistenti, anche se non biologici, e all'identita' personale del
minore. Ha anche evidenziato che «i nati a seguito di P.M.A.
eterologa praticata da due donne versano in una condizione deteriore
rispetto a quella di tutti gli altri nati, solo in ragione
dell'orientamento sessuale delle persone che hanno posto in essere il
progetto procreativo. Essi, destinati a restare incardinati nel
rapporto con un solo genitore, proprio perche' non riconoscibili
dall'altra persona che ha costruito il progetto procreativo, vedono
gravemente compromessa la tutela dei loro preminenti interessi».
Ha concluso la Corte auspicando «una disciplina della materia
che, in maniera organica, individui le modalita' piu' congrue di
riconoscimento dei. legami affettivi stabili del minore, nato da
P.M.A. praticata da coppie dello stesso sesso, nei confronti anche
della madre intenzionale», cosi' rivolgendo un preciso monito al
legislatore, in quanto «non sarebbe piu' tollerabile il protrarsi
dell'inerzia legislativa».
L'impellenza dell'auspicato intervento normativo era apparsa alla
Corte ancor piu' incisiva, avendo, il caso concreto sollevato dal
Tribunale di Padova, in cui difettava l'assenso della madre
biologica, rivelato in maniera tangibile l'inadeguatezza
dell'adozione in casi particolari a garantire la tutela del minore.
Ebbene, tale valutazione deve ritenersi ferma anche a seguito degli
interventi ampliativi di cui si e' dato conto che, pur offrendo una
risposta al caso specifico in precedenza rimesso dal Tribunale di
Padova, lasciano residuare gli ampi vuoti di tutela sopra descritti.
Ad oggi, il monito della Corte costituzionale, che aveva definito
non «piu' tollerabile il protrarsi dell'inerzia legislativa», e'
rimasto inascoltato.
Proprio in ragione di tanto, questo collegio reputa necessario
rimettere nuovamente alla Corte la questione di costituzionalita'
gia' oggetto della richiamata decisione n. 32/2021, volendo porre
l'attenzione sul disomogeneo intervento dei Sindaci nella loro
qualita' di Ufficiali dello stato civile, che hanno adottato, nel
silenzio del legislatore, soluzioni distinte per casi speculari, e
sui non univoci e non del tutto risolutivi approdi interpretativi
della giurisprudenza.
Infatti, anche successivamente alla pronuncia della Corte, i
Sindaci quali Ufficiali dello Stato civile hanno, in alcuni casi,
rifiutato l'iscrizione anagrafica anche della madre intenzionale
nell'atto di nascita dei minori nati in Italia, dando
conseguentemente origine ai giudizi di impugnazione del diniego da
parte della madre intenzionale; in altri casi, hanno invece ritenuto
legittima l'iscrizione, originandosi i giudizi di impugnazione da
parte della Procura della Repubblica.
Parimenti, le pronunce di legittimita' e di merito, con esiti non
uniformi, che si sono susseguite successivamente alla pronuncia di
inammissibilita' della Corte (alcune delle quali sono sopra
richiamate) danno conto di un'evoluzione del tessuto sociale cui,
nella perdurante inerzia legislativa, non e' stata data una compiuta
risposta. Riassumendo quanto sopra detto, nella giurisprudenza di
merito, a tutt'oggi, si registra un orientamento giurisprudenziale
maggioritario stabilmente contrario ed uno minoritario favorevole al
riconoscimento della c.d. «maternita' intenzionale», che ha ritenuto,
successivamente alla pronuncia della Corte costituzionale,
praticabile un'interpretazione costituzionalmente orientata della
legge 40/2004, per pervenire ad una valutazione di illegittimita' del
rifiuto dell'iscrizione anagrafica, accogliendo il ricorso spiegato
dalle madri (vedasi, ex aliis, Tribunale di Taranto 31 maggio 2022,
Tribunale di Brescia 16 febbraio 2023 e Corte d'appello di Brescia 30
novembre 2023) o per pervenire ad una valutazione di legittimita'
dell'iscrizione anagrafica effettuata, respingendo il ricorso
spiegato dalla Procura della Repubblica (ex aliis, Tribunale di Bari
9 settembre 2022, Corte d'appello di Cagliari 19 aprile 2021),
percorso motivazionale che invece questo collegio non ritiene, per
quanto sopra osservato, praticabile. Sempre tra le corti di merito,
vi sono state pronunce che non hanno affrontato il merito delle
questioni, limitando il proprio vaglio alla preliminare questione di
rito (ex aliis, da ultimo, Tribunale di Padova 5 marzo 2024). Di
contro, e' da ritenersi consolidata la giurisprudenza della Corte di
cassazione che, ferma l'ammissibilita' del procedimento ex art. 95
decreto del Presidente della Repubblica 396/2000, ritiene illegittima
la formazione da parte dell'Ufficiale dello stato civile di un atto
di nascita (in Italia), recante l'indicazione di due madri e
conseguentemente afferma che, nel caso di coppie omogenitoriali
femminili che abbiano fatto ricorso all'estero a tecniche di P.M.A.
di tipo eterologa, l'unica strada per la madre intenzionale sia
quella di ricorrere all'adozione in casi particolari. Tale
orientamento, ancorche' nel diverso caso di coppia omoaffettiva
maschile, che aveva fatto ricorso all'estero alla maternita'
surrogata, e' quello poi sposato anche dalle Sezioni Unite della
Corte di cassazione (Cass. S.U. 38162/2022) che hanno, come gia'
detto, affrontato il tema della protezione del diritto fondamentale
del minore alla continuita' del rapporto affettivo con entrambi i
soggetti che hanno condiviso la decisione di farlo venire al mondo,
affermando che «il nato non e' mai un disvalore e la sua dignita' di
persona non puo' essere strumentalizzata allo scopo di conseguire
esigenze general-preventive che lo trascendono» ed hanno ribadito il
diritto del minore al riconoscimento, anche giuridico, del legame
sorto in forza del rapporto affettivo instaurato e vissuto con colui
che ha condiviso il disegno genitoriale. Anche in questo caso,
l'ineludibile esigenza di assicurare al bambino nato da maternita'
surrogata gli stessi diritti degli altri bambini nati in condizioni
diverse e' stata ritenuta, allo stato dell'evoluzione del nostro
ordinamento, comunque garantita attraverso l'adozione in casi
particolari, strumento sulla cui efficacia in concreto questo
collegio ha gia' espresso le sue riserve.
In conclusione, risulta lampante la mutevolezza e disorganicita'
della tutela garantita ai minori nati da un condiviso progetto di
procreazione medicalmente assistita, in ragione della omosessualita'
della coppia che tale progetto abbia condiviso.
E' solo a sostegno dell'istanza rivolta alla Corte di rivalutare
la questione di costituzionalita' gia' rimessale, a fronte di un
monito rimasto inascoltato, che questo collegio richiama le parole
del Presidente della Corte costituzionale, il quale, nella relazione
del 18 marzo scorso, ha rammentato la necessita' di «leggere la Carta
costituzionale non come testo "separato" bensi' come parte irradiante
di un piu' ampio "ordinamento costituzionale"; ordinamento alimentato
dalla "base materiale" su cui il testo poggia e che e' in continua
evoluzione». In un sistema costituzionale fondato sulla separazione
dei poteri e nel pieno rispetto delle prerogative costituzionalmente
riconosciute al Parlamento, e' compito di quest'ultimo «cogliere le
pulsioni evolutive della societa' pluralista, con le quali la
Costituzione respira; pulsioni necessarie per adattarsi al continuo
divenire della realta'», in un costante e fruttuoso, oltre che
doveroso, dialogo con la Corte costituzionale, che «e' chiamata ad
essere «custode della Costituzione», ma e' tenuta ad essere
altrettanto attenta a non costruire, con i soli strumenti
dell'interpretazione, una fragile "Costituzione dei custodi"».
Nella medesima relazione, affrontando la tematica della tipologia
delle decisioni della corte («dai moniti si e' passati alle sentenze
additive di principio; dalle pronunce di inammissibilita' per
discrezionalita' legislativa si e' passati all'incostituzionalita'
prospettata, ma non dichiarata, o, in modo ancora piu' penetrante,
alle decisioni a incostituzionalita' differita»), il Presidente
evidenzia che, laddove il legislatore rinunci ad una prerogativa che
ad esso compete, di fatto obbliga la Corte a «procedere con una
propria e autonoma soluzione, inevitabile in forza dell'imperativo di
osservare la Costituzione».
In questo quadro, il giudice comune e' investito del compito di
portare (o ri-portare) all'attenzione della Corte le questioni che,
pur a fronte di un monito chiaro, non siano state prontamente risolte
dal legislatore, onde consentire alla Corte medesima di adempiere al
ruolo di garante della costituzione e dei diritti fondamentali, in
linea con l'evoluzione della coscienza sociale.
Cio', a parere del collegio, e' particolarmente evidente laddove,
come nella fattispecie, all'inammissibilita' della questione
pronunciata allo scopo di dar spazio al legislatore, abbia invece
fatto seguito una totale assenza di interventi da parte di questo.
Del resto, non e' estranea alla giurisprudenza della Corte
costituzionale, laddove l'onere di interpretazione conforme viene
meno lasciando il passo all'incidente di costituzionalita' e laddove
il compito del legislatore di provvedere all'adozione della
disciplina necessaria a rimuovere il vulnus costituzionale
riscontrato non sia stato adempiuto, una pronuncia di illegittimita'
costituzionale, su una questione inizialmente dichiarata
inammissibile (ex aliis Corte costituzionale 23/2013 e successiva
sentenza n. 45/2015); questo perche' «"posta di fronte a un vulnus
costituzionale, non sanabile in via interpretativa - tanto piu' se
attinente a diritti fondamentali - la Corte e' tenuta comunque a
porvi rimedio" (sentenze n. 162 del 2014 e n. 113 del 2011;
analogamente sentenza n. 96 del 2015). Occorre, infatti, evitare che
l'ordinamento presenti zone franche immuni dal sindacato di
legittimita' costituzionale» (Corte cost 242/2019).
Nel noto caso (Corte cost. 242/2019 e Corte
costituzionale ordinanza 207/2018), la Corte costituzionale ha
rimarcato che la tecnica decisoria da ultimo richiamata (ordinanza di
inammissibilita' con contestuale monito al legislatore di intervenire
nella materia) «ha l'effetto di lasciare in vita - e dunque esposta a
ulteriori applicazioni, per un periodo di tempo non preventivabile -
la normativa non conforme a Costituzione», proprio perche' «la
eventuale dichiarazione di incostituzionalita' conseguente
all'accertamento dell'inerzia legislativa presuppone che venga
sollevata una nuova questione di legittimita' costituzionale, la
quale puo', peraltro, sopravvenire anche a notevole distanza di tempo
dalla pronuncia della prima sentenza di inammissibilita', mentre
nelle more la disciplina in discussione continua ad operare», in
questo modo investendo di un preciso compito anche il giudice di
merito, nel rimettere nuovamente alla Corte la questione rimasta
priva di intervento normativo. Peraltro, nel caso richiamato un tale
effetto non appariva tollerabile, non essendo consentito, per le
peculiari caratteristiche e per la rilevanza dei valori coinvolti.,
di attendere l'incertezza di una riproposizione della questione da
parte dei giudici comuni, tanto che e' stato prescelto un diverso
modulo decisionale, mantenendo pendente il procedimento dinanzi alla
Corte.
Nella materia che qui ci occupa, a fronte della dichiarata
inammissibilita' della questione, e' ancora auspicato (sono queste le
parole del Presidente della Corte) e quantomai fondamentale un
intervento che tenga conto del monito relativo alla condizione
anagrafica dei figli di coppie dello stesso sesso, cui il collegio
rimettente ritiene che, nell'inerzia del legislatore, la Corte possa
porre rimedio.
Il Tribunale e' dunque giunto al convincimento della non
manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale
degli articoli 8 e 9 legge 40/2004 e dell'art. 250 c.c., in
riferimento agli articoli 2, 3, 30, 31 e 117, primo comma, Cost.,
quest'ultimo in relazione agli articoli 8 e 14 della Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'
fondamentali (CEDU) firmata il 4 novembre 1950, ratificata e resa
esecutiva con legge 848/1955 e come interpretati dalla Corte europea
dei diritti dell'uomo, all'art. 24 della Carta dei diritti
fondamentali dell'Unione europea proclamata a Nizza il 7 dicembre
2000, agli articoli 2, 3, 4, 5, 7, 8, 9 e 18 della Convenzione sui
diritti del fanciullo firmata a New York il 20 novembre 1989,
ratificata e resa esecutiva con legge 176/1991, agli articoli 1 e 6
Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli,
adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa il 25
gennaio 1996 e ratificata dall'Italia con legge 77/2003, nella misura
in cui impediscono l'attribuzione al nato nell'ambito di un progetto
di procreazione medicalmente assistita eterologa praticata da una
coppia di donne l'attribuzione dello status di figlio riconosciuto
anche dalla c.d. madre intenzionale che, insieme alla madre
biologica, abbia prestato il consenso alla pratica fecondativa e,
comunque, laddove impongono la cancellazione dall'atto di nascita del
riconoscimento compiuto dalla madre intenzionale.
Valutera' la Corte ai sensi dell'art. 27 legge 87/1953, qualora
ritenesse la questione fondata, se vi sia la necessita' di estendere
la pronuncia anche ad altre disposizioni legislative interessate in
via di consequenzialita'.
Il procedimento va quindi sospeso, con rimessione degli atti alla
Corte costituzionale.
P. Q. M.
Il Tribunale di Lucca, visti gli articoli 134 Cost., 1 legge
cost. 1/1948 e 23 legge 87/1953,
ritenuta la rilevanza e non manifesta infondatezza della
questione di legittimita' costituzionale degli articoli 8 e 9 legge
40/2004 e dell'art. 250 c.c., in riferimento agli articoli 2, 3, 30,
31 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione agli articoli
8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle liberta' fondamentali (CEDU) firmata il 4 novembre 1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 848/1955 e come interpretati
dalla Corte di Strasburgo, all'art. 24 della Carta dei diritti
fondamentali dell'Unione europea proclamata a Nizza il 7 dicembre
2000, agli articoli 2, 3, 4, 5, 7, 8, 9 e 18 della Convenzione sui
diritti del fanciullo firmata a New York il 20 novembre 1989,
ratificata e resa esecutiva con legge 176/1991, agli articoli 1 e 6
Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli,
adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa il 25
gennaio 1996 e ratificata dall'Italia con legge 77/2003, per quanto
esposto in parte motiva,
Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte
costituzionale e la sospensione del giudizio;
Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia
notificata alle parti in causa ed al pubblico ministero, nonche' al
Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti
della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
Cosi' deciso a Lucca nella Camera di consiglio del 24 maggio
2024, su relazione dei giudici a latere e del Presidente che procede
con firma digitale alla sottoscrizione della presente ordinanza,
elaborata dai giudici estensori.
I Giudici estensori: dott.ssa Alice Croci e dott.ssa Maria Giulia
D'Ettore
Il Presidente: Boragine
Si dispone che, ai sensi dell'art. 52 decreto legislativo
196/2003, in caso di utilizzazione della presente ordinanza, in
qualsiasi forma, sia omessa l'indicazione delle generalita' e degli
altri dati identificativi delle parti.