Reg. ord. n. 164 del 2024 pubbl. su G.U. del 18/09/2024 n. 38

Ordinanza del Tribunale di Milano  del 21/06/2024

Tra: M. C.



Oggetto:

Reati e pene – Aiuto al suicidio – Previsione della punibilità della condotta di chi agevola l’altrui suicidio nella forma di aiuto al suicidio medicalmente assistito di persona non tenuta in vita a mezzo di trattamento di sostegno vitale affetta da una patologia irreversibile fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili che abbia manifestato la propria decisione, formatasi in modo libero e consapevole, di porre fine alla propria vita – Ipotesi di sussistenza di tutti i requisiti per l’accesso al suicidio assistito stabiliti dalla sentenza della Corte costituzionale n. 242 del 2019 ad eccezione del requisito della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale – Irragionevole disparità di trattamento in quei casi, come quelli di specie, in cui il paziente non abbia in corso un trattamento di sostegno vitale in quanto ritenuto futile o inutile – Discriminazione rispetto ad una condizione personale del tutto accidentale in quanto dipendente dalla tipologia della malattia – Violazione del diritto all’autodeterminazione nelle scelte terapeutiche – Lesione della dignità della persona – Ingiustificata interferenza nel diritto convenzionale al rispetto della vita privata e familiare.



Norme impugnate:

codice penale  Art. 580 



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art.

Costituzione  Art.

Costituzione  Art. 13 

Costituzione  Art. 32 

Costituzione  Art. 117 

Convenzione per la salvaguardia diritti dell'uomo e libertà fondamentali  Art.

Convenzione per la salvaguardia diritti dell'uomo e libertà fondamentali  Art. 14 



Udienza Pubblica del 26 marzo 2025 rel. VIGANÒ - ANTONINI


Testo dell'ordinanza

N. 164 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 giugno 2024

Ordinanza del 21 giugno 2024 del G.I.P. del Tribunale di  Milano  nei
procedimenti penali riuniti a carico di M. C.. 
 
Reati e pene - Aiuto al suicidio - Previsione della punibilita' della
  condotta di chi agevola l'altrui suicidio nella forma di  aiuto  al
  suicidio medicalmente assistito di persona non  tenuta  in  vita  a
  mezzo di trattamento di sostegno vitale affetta  da  una  patologia
  irreversibile  fonte   di   sofferenze   fisiche   o   psicologiche
  intollerabili che abbia manifestato la propria decisione, formatasi
  in modo libero e consapevole, di porre fine alla propria vita. 
- Codice penale, art. 580. 


(GU n. 38 del 18-09-2024)

 
                         TRIBUNALE DI MILANO 
Sezione dei  Giudici  per  le  indagini  preliminari  e  dell'udienza
                             preliminare 
 
    Il Giudice per le indagini preliminari,  dott.ssa  Sara  Cipolla,
letta la richiesta di  archiviazione  avanzata  dai  sig.ri  Pubblici
Ministeri dott.ssa Tiziana Siciliano e dott. Luca Gaglio in  data  15
settembre 2023, nei confronti di C M , nato  a     ,  residente  a   
in     n.  , elettivamente domiciliato presso il difensore di fiducia
avv. Filomena Gallo, difeso di fiducia dall'avv. Filomena  Gallo  del
Foro di Roma, con studio in Roma, Piazza Tuscolo, n. 5, scala G,  pec
avv.filomenagallo@pec.it - presso il  cui  studio  e'  domiciliato  e
dall'Avv. Tullio Padovani del foro di Pisa, con studio in  Pisa,  via
Crispi n. 38 
 
                              Indagato 
 
    per i reati p. e p. dall'art. 580 c.p., commessi 
      in data    in    ,  e (   ) nei confronti della persona  offesa
E A , nata a    (   ) il    ; 
      in data    in    e (   ) nei confronti della persona offesa R N
, nato a    il    ; 
    visto il provvedimento del Presidente della  Sezione  Gip  -  Gup
presso  il  Tribunale  di  Milano  in  data   di   assegnazione   del
procedimento alla sottoscritta A.G. 
 
                               osserva 
 
    il presente procedimento prende avvio dalle denunce sporte da M C
- tesoriere dell'Associazione L C - il quale presentatosi, in data  e
in data    , presso i Carabinieri di    , Stazione di    , dichiarava
di aver accompagnato  E  A  e  R  N  in  S  ove  gli  stessi  avevano
programmato, in apposite strutture autorizzate, il proprio fine  vita
avvenuto mediante  auto-somministrazione  di  farmaco  attraverso  la
procedura di suicidio assistito. 
    Disposta la riunione stante la connessione soggettiva e oggettiva
per continuazione  dei  fatti  oggetto  dei  procedimenti,  i  sig.ri
Pubblici Ministeri - espletati i necessari approfondimenti istruttori
-  ne  richiedevano  l'archiviazione  ritenendo  che   gli   elementi
acquisiti agli atti non consentivano  di  formulare  una  ragionevole
prognosi di condanna. 
    Gli elementi fattuali che  scandiscono  i  tempi  della  presente
vicenda giudiziaria emergono dagli  atti  d'indagine  con  precisione
riferiti dall'organo inquirenti alla cui  ricostruzione  puo'  essere
fatto riferimento. 
 
                               I fatti 
 
    il decesso di E A 
    "La sig.ra E A si era sottoposta in data ad accertamenti  clinici
a seguito di una  sintomatologia  caratterizzata  da  modesta  tosse,
astenia e febricola che la affliggeva da un paio di mesi. La diagnosi
appariva sin dalla prima TAC  di  estrema  gravita':  un  microcitoma
polmonare, gia' diffuso in plurimi organi,  che  lasciava  ben  poche
speranze (vedasi cartella clinica n. Ospedale dell'     -  n.      ).
La signora A , pur pienamente consapevole  della  prognosi  infausta,
accettava,   su   insistenza   dei   familiari,   di   sottoporsi   a
chemioterapia,  mossa  soprattutto  dalla  preoccupazione   che   una
metastasi raggiungesse l'encefalo,  privandola  delle  sue  capacita'
fisiche e cognitive. 
    L'iniziale beneficio della  chemioterapia,  assai  mal  tollerata
dalla paziente, era comunque di breve durata. Passati pochi  mesi  la
malattia  si  ripresentava  ancora   piu'   aggressiva   interessando
l'encefalo, i reni, il cuoio capelluto (vedasi referto     ,  stilato
sempre presso l'    dell'    - Divisione Chirurgia  Maxillo-facciale,
recante diagnosi di carcinoma al cuoio capelluto e cute del collo). 
    In data i medici  proponevano  alla  paziente  un  nuovo  e  piu'
intenso  ciclo  chemioterapico  che  la   stessa   rifiutava,   nella
convinzione della assoluta inutilita' della terapia se  non  al  solo
fine di rallentare l'exitus della malattia: veniva  quindi  suggerita
dai curanti l'attivazione  del  Nucleo  Cure  Palliative  tramite  il
medico di medicina generale (vedasi Relazione di    datata    ,  agli
atti). 
    La sig.ra A , a quel punto, dichiarando che non intendeva  esser,
ricoverata e/o supportata nelle sue funzioni  vitali  da  macchinari,
chiedeva di essere sottoposta a sedazione profonda ricevendo tuttavia
dai curanti risposta negativa dal momento  che  tale  strada  avrebbe
potuto esser  percorsa  solo  nel  caso  fosse  stata  "assistita  ed
ancorata a supporto vitale meccanico" (come  riferito  a  s.i.t.  dal
marito L C , in data     .) 
    La malattia progrediva dolorosamente nonostante  la  prosecuzione
dell'immunoterapia. 
    Un carcinoma squamoso al cuoio capelluto (asportato),  secondario
all'originario microcitoma, l'aveva costretta ad un  innesto  cutaneo
che, a causa della  malattia,  non  attecchiva  lasciandole  un'ampia
esposizione ossea alla base del cranio. 
    Nel frattempo, comparivano nuove formazioni  in  area  addominale
mentre quelle  precedenti,  soprattutto  a  carico  del  polmone,  si
espandevano  cagionandole  gravi  problemi  respiratori,  soprattutto
notturni. 
    La malattia aveva ormai raggiunto un'estensione tale  che  nessun
trattamento radioterapico appariva proponibile. 
    Il     la  signora,  accompagnata  dal  marito,  suo  fiduciario,
presentava  in  Comune  le  DAT  con  espresso  rifiuto  di   terapie
salvavita. 
    Gia' dal mese di febbraio E A aveva  iniziato  in  autonomia  una
ricerca su internet  per  individuare  strutture  che  offrissero  un
accompagnamento al fine vita volontario (cfr.  dichiarazioni  rese  a
s.i.t. dal marito L C ) dichiarandosi, inequivocabilmente,  contraria
a cure palliative a lungo termine. 
    Dalla  documentazione  clinica,  da  quella   olografa   ("diario
testamentale") e dalle s.i.t. rese dal marito L C in data , si evince
che E A sapendo di essere affetta da  una  malattia  incurabile,  per
l'esperienza personale acquisita attraverso l'assistenza prestata  ai
famigliari, "aveva avuto una chiara rappresentazione di quanto  fosse
atroce morire per soffocamento" e voleva  cessare  di  vivere  quando
ancora aveva la possibilita' di scegliere  e  di  evitare  una  lunga
agonia. Dagli scritti olografi si intuisce inoltre anche la  volonta'
di  non  gravare  i  suoi  parenti  piu'  stretti;  che  l'avevano  e
l'avrebbero accudita, di ulteriori sofferenze. 
    Dopo una lunga ricerca, la  sig.ra  A  optava  per  la  struttura
svizzera "       " e,  dopo  aver  preso  accordi  con  quest'ultima,
contattava M C che le offriva la sua disponibilita' ad  accompagnarla
in Svizzera, attesa la sua incapacita' a spostarsi autonomamente. 
    Come da accordi, C prelevava in auto  la  signora  A  nel  giorno
concordato e la accompagnava presso la "        ", ove fa sua domanda
in esito ad accurato iter di verifica delle  condizioni  poste  dalla
legislazione svizzera era stata accettata. 
    La signora A decedeva, a seguito di auto somministrazione  di  un
farmaco letale, in data    ." 
    Il decesso di R N 
    I problemi di salute di R N compaiono tra  la  fine  dell'anno  e
l'inizio  palesandosi  con  cadute  ingiustificate  e   rallentamento
motorio. "A seguito di risonanza magnetica  (nel     )  e  di  visita
neurologica (nell'    ), i medici  diagnosticavano  una  vasculopatia
ischemica cerebrale diffusa con importante atrofia  corticale  sovra/
sotto  tentoriale.  All'esame  obiettivo  della  visita   neurologica
vengono  anche  accertati  segni   di   disfunzione   extrapiramidale
(ipertono  plastico  atto  superiore  sinistro  c.d.   arto   alieno,
deambulazione  rallentata  a  piccoli   passi)   e   disturbi   della
deglutizione (scialorrea e presenza di eccessiva  saliva  in  bocca)"
(referto neurologo dott. G. A del      ). 
    La malattia, identificata in  un  Parkinson  Atipico,  progrediva
velocemente,  costringendo  il  N  ad  un'assistenza   continua   per
vestizione, igiene personale, e  nutrizione.  Anche  i  piu'  piccoli
gesti - quali abbottonarsi la camicia, farsi la barba  -  risultavano
irrealizzabili, rivelando un'incapacita' di eseguire  compiti  motori
intenzionali nonostante la volonta' e la conservata capacita' fisica,
quale conseguenza di un danno cerebrale. 
    In data    ,  presso  gli        di         ,  R  N  iniziava  un
percorso riabilitativo con progetto complessivo di riabilitazione del
deficit volto  al  rinforzo  del  controllo  posturale,  automatismi,
schema del passo, prevenzione cadute ed un programma neuromotorio per
incremento  stenico,  propriocettivo,  recupero  reazioni  posturali:
nonche' un percorso per l'autosufficienza  destinato  "all'incremento
della sicurezza nelle ADL, incremento  delle  autonomie  con  oggetti
della vita quotidiana modificati, valutazione ausili". 
    Nelle more dello sviluppo del programma veniva sottoposto a  test
in esito ai quali emergevano anche evidenti problemi di deglutizione,
peggioramento progressivo  motorio  (sindrome  arto  alieno  sx)  con
perdita di autonomia nei passaggi posturali. 
    Benche'  sottoposto  a   trattamento   riabilitativo   fisico   e
logopedico, in R N si palesava una progressiva perdita dell'autonomia
in tutte le attivita' quotidiane (come si  evince  dal  peggioramento
dei punteggi nelle scale di valutazione)  e  progressive  difficolta'
nella scrittura. 
    Nonostante  il  grave  decadimento  fisico,  R  N  conservava  la
capacita' cognitiva risultando vigile ed orientato nel tempo e  nello
spazio; utilizzava il computer in autonomia, collaborando ancora  con
la rivista per la quale scriveva (relazione del c.t. neurologico  del
PM dott.ssa S , pag.   ). 
    In data     a causa della frattura - avvenuta in ambito domestico
per una caduta accidentale  del  femore  destro,  il  sig.  N  veniva
ricoverato presso l'  di  in  previsione  di  un  intervento  per  la
riduzione della stessa, eseguito in data . 
    L'inarrestabile e rapido peggioramento di R N e' comprovato anche
da un documento sottoscritto dal medico neurologo dottoressa E  D  'A
degli , in data  ,  la  quale,  nel  diagnosticare  una  disfagia  in
parkinsonismo, indicava per N la necessita'  di  nutrizione  centrale
con fabbisogno giornaliero di 8 vasetti di acquagel/die, non  essendo
egli piu'  in  grado  di  assumere  autonomamente  liquidi.  Solo  la
dedizione della  moglie  G  G  G  ,  che  continuera'  a  cucinare  e
sminuzzare il cibo rendendolo omogeneizzato accompagnato da acquagel,
permetteva a  N  di  continuare  a  cibarsi  con  quanto  gli  veniva
preparato (vedasi verbale di s.i.t. rese  dalla  G  G  alla  P.G.  di
questa Procura il  presso  la  sua  abitazione,  essendo  lei  stessa
affetta da grave patologia). 
    Dopo la frattura al femore, il sig.  N  non  riprendera'  piu'  a
camminare: non  essendo  piu'  in  grado  nemmeno  di  utilizzare  il
«girello» (cd walker), era costretto ad  avvalersi  di  una  sedia  a
rotelle per qualsiasi spostamento - e per sempre (s.i.t. della moglie
G G , gia' citate). 
    All'esito della visita neurologica effettuata in data presso  gli
di , il medico di riferimento dott.ssa E. D A  certificava  nel  modo
che  segue  la  gravita'  delle  condizioni  di  salute  di  R  N   :
"degenerazione cortico-basale e disautonomia con  ricorrenti  episodi
sincopali a cui si  associano  postumi  di  prostatectomia  parziale.
Scoliosi sinistro-convessa con importante spondiloartrosi, discopatia
dorso-lombare e cervicale  inferiore,  postumi  di  recente  frattura
della testa  del  femore  ridotta  chirurgicamente.  Tali  condizioni
determinano:  aprassia,  disartria  (perdita   della   capacita'   di
articolare le parole in  modo  normale),  disfagia,  apatia,  deficit
della postura, deficit dell'equilibrio, deficit del  cammino,  cadute
ricorrenti con traumatismi, deficit  del  linguaggio,  deficit  della
memoria e  degli  orientamenti,  movimenti  involontari  (c.d.  «arto
alieno») perdita delle autonomie relative alla  cura  della  persona,
all'igiene,  all'abbigliamento,  agli  spostamenti  infra  ed   extra
domiciliari, alla gestione del denaro e delle scelte,  alla  vita  di
relazione, necessita' di assistenza diretta  intensa  e  continuativa
per le attivita' di vita quotidiana e di relazione. Il quadro clinico
descritto, per la natura neurodegenerativa della malattia, la  scarsa
responsivita' dei sintomi ai  trattamenti  farmacologici  normalmente
utili in altri parkinsonismi, non e'  suscettibile  di  significativi
miglioramenti, ne' a  breve  ne'  a  lungo  termine,  nonostante  gli
adeguati  interventi  terapeutici  farmacologici  e  riabilitativi  e
comporta la costante necessita' di assistenza da parte di terzi". 
    Il quadro, gia' drammatico, subiva  un  ulteriore  e  progressivo
peggioramento in data , contraeva il virus SARS - Covid 19, a seguito
del quale, secondo quanto riferito dalla vedova, lo stesso era  stato
definitivamente condannato all'immobilita' ed all'allettamento. 
    La rivalutazione neurologica effettuata in data dal dottor L T  ,
presso l'    di dell'    , cosi'  concludeva:  "nel  corso  dei  mesi
peggioramento della abilita'  motorie,  con  attuale  persistenza  in
carrozzina per gli spostamenti e impossibilita'  alla  deambulazione,
con  riferito  incremento  della  rigidita'  disartria  e  bradilalia
(anomalo rallentamento dell'espressione verbale) ma  sfera  cognitiva
apparentemente   preservata   con   partecipazione   alle   attivita'
famigliari per quanto possibile, mantiene interesse per  l'attualita'
mediante la televisione (...). Paziente lucido orientato su spazio  e
tempo disartria marcata oftalmoplegia (paralisi della muscolatura dei
bulbi  oculari)  Conclusioni:  parkinsonismo  atipico,  il   paziente
necessita di assistenza continuativa, pur  con  un  quadro  cognitivo
che, per quanto valutabile, appare globalmente conservato". 
    La gravita' progressivamente ed  inarrestabilmente  peggiorativa-
delle  condizioni  di  salute  di  R  N  si  desume  altresi'   dalla
documentazione clinica ripotata nell'elaborato del consulente tecnico
del P.M. dott.ssa M. S : 
      "          -            :      Diario      Cure      palliative
domiciliari                             (Referente clinico: C S; Case
manager: M V ; medico palliativista dott.ssa S C ):  si  riportano  i
dati relativi alle scale di valutazione effettuate durante il periodo
assistenziale. Area di comunicazione (scala di Bernardini):  Grave  >
comunicazione molto  compromessa,  si  ottengono  risposte  solo  con
domande che  prevedono  risposte  si/  no  e  fornendo  facilitazioni
contestuali  e  gestuali.  Area   cognitivo-comportamentale:   lucido
orientato, funzioni psichiche e percezione  sensoriale  nella  norma.
Area clinica: nella norma respirazione  e  funzione  cardiovascolare,
presenza di  disfagia,  incontinenza  urinaria  e  fecale.  Scala  di
Norton: condizione clinica discreta mentalmente sveglio e  cosciente,
costretto a letto, immobile, incontinenza urinaria e fecale  >  stato
di terminalita' non oncologica. Scala di Barthel: punteggio pari a  0
(zero), indicativo di totale  dipendenza  nelle  ADL  (Activities  of
Dalily Living, sono le attivita' che un individuo  adulto  compie  in
autonomia e  senza  il  bisogno  di  assistenza  per  sopravvivere  e
prendersi  cura  di  se').  Scala  di  Braden:  percezione   sensoria
limitata, ridotta capacita' di comunicare disagio, dolore, necessita'
di cambiare posizione; occasionalmente bagnato (cambio  lenzuola  una
volta  al  giorno/allettato  e  completamente  immobile;   nutrizione
adeguata  (omogeneizzati),  richiede  assistenza  per   movimenti   e
riposizionamenti nel  letto  (punteggio  12,  indicativo  di  rischio
medio/elevato).  Scala  di  Karnofsky:   severamente   disabile.   Da
segnalare, inoltre, dolori  diffusi  da  allettamento,  per  i  quali
assumeva Tachidol, e presenza di ulcere cutanee 1° e 2° stadio. Dalla
lettura del  diario  delle  numerose  visite  effettuate  dal  medico
palliativista nel periodo si evince come  il  paziente  e  la  moglie
fossero consapevoli del quadro  clinico.  Durante  tutto  il  periodo
assistenziale il sig. N ha presentato spesso la necessita' di  essere
trattato per la presenza di secrezioni bronchiali." 
    R  N  aveva  manifestato  la  sua  intenzione   di   porre   fine
volontariamente alla sua vita gia' nella primavera del , acquista  la
consapevolezza che nessuna terapia avrebbe potuto migliorare  la  sua
condizione. 
    Aveva rifiutato categoricamente l'ausilio  di  presidi  quali  ad
esempio la PEG per l'alimentazione forzata. 
    Era lucido e determinato nel  non  voler  accettare  ulteriori  e
maggiori sofferenze rispetto a quelle che gia' la vita gli gia' stava
destinando. 
    Aveva formulato - nella pienezza delle sue capacita' cognitive  -
una esplicita richiesta  di  aiuto  per  realizzare  quella  che  lui
riteneva essere la fine delle sue sofferenze e soltanto in adesione a
questa richiesta la moglie, in sua vece, contattava l'associazione  C
per avere le necessarie informazioni. 
    Lo stesso N incontrava M C  spiegandogli  le  ragioni  della  sua
scelta e chiedendogli il suo aiuto. Quando anche la moglie del sig. N
si ammalava  di  carcinoma  al  polmone  che  la  costringeva  cosi',
forzatamente, a diminuire la sua assistenza al marito, i contatti tra
il N e M C non ebbero piu' intermediari. 
    Cosi', in adesione alla chiara e manifesta volonta',  nel  giorno
concordato, M C si recava in auto a prelevare il sig. N presso la sua
abitazione e lo accompagnava presso la struttura svizzera - D  -  che
aveva accettato la sua domanda. 
    Il  sig.  N  decedeva   presso   tale   clinica   in   data   per
auto-assunzione di un farmaco letale." 
    La richiesta di  archiviazione  della  Procura  della  Repubblica
presso il Tribunale di Milano 
    Sulla base delle evidenze  fattuali,  alla  luce  degli  elementi
istruttori raccolti (verbali di  s.i.t.  e  relazioni  di  consulenza
tecnica) e presenti  in  atti,  i  sig.ri  Pubblici  Ministeri  hanno
chiesto a questo Giudice di accogliere la richiesta di  archiviazione
presentata ritenendo che la condotta contestata all'odierno  indagato
rientri  nell'area  di  non  punibilita'  dell'art.   580   cp   come
circoscritta dalla Corte costituzionale con sentenza n. 242/2019. 
    Sostengono gli scriventi PM che "una  lettura  costituzionalmente
orientata dell'art. 580 c.p., alla luce del disposto degli artt. 2  e
32 della Carta, della sentenza n. 242/2019 Corte Cost. e del  dettato
della legge n. 219/2017, impone di ritenere che rientrino nell'ambito
di non punibilita' delineato dalla Corte anche i casi  in  cui  -  in
presenza di tutti gli ulteriori  requisiti  -  il  paziente  non  sia
tenuto in vita per mezzo di trattamenti di sostegno vitale, in quanto
egli stesso  rifiuti  trattamenti  che  -  si  -  rallenterebbero  il
processo patologico e ritarderebbero la morte senza poterla impedire,
ma sarebbero futili o espressivi di accanimento  terapeutico  secondo
la scienza medica; non dignitosi secondo la percezione del  malato  e
forieri di ulteriori sofferenze per coloro che lo accudiscono. 
    Anche in tali casi, dovrebbe ritenersi che il soggetto che - come
M C nei casi in esame - agevoli il suicidio di una persona affetta da
malattia  irreversibile  e  che  provochi  estrema  sofferenza,   che
coscientemente e lucidamente abbia deciso di porre fine alla  propria
vita, e che rifiuti di sottoporsi a trattamenti  di  sostegno  vitale
futili, esercitando un diritto  garantitogli  dall'att.  32  Cost.  e
dalla legge n. 219/  2007,  non  violi  il  bene  giuridico  protetto
dall'art. 580 c.p.,  ma  anzi  consenta  il  concreto  esercizio  del
diritto  all'autodeterminazione  cosi'   come   sopra   delineato   e
positivamente presidiato, nei casi in cui il titolare del diritto non
sia in grado di esercitarlo autonomamente. 
    Questi  Pubblici  Ministeri  ritengono  dunque  che  il  presente
procedimento  debba  essere  archiviato   in   quanto   la   condotta
dell'imputato  appare   riconducibile   alla   fattispecie   di   non
punibilita' enucleata dalla Corte costituzionale con la  sentenza  n.
242/2019. M C ,  infatti,  ha  aiutato  a  suicidarsi  due  soggetti,
entrambi affetti da patologie irreversibili e  destinate  ad  esitare
con certezza nella morte degli stessi in tempo  relativamente  breve,
fonte per loro di sofferenze psicologiche e  fisiche  insopportabili.
Entrambi i soggetti, poi, erano capaci di intendere e di  volere.  E'
certo, inoltre, che il suicidio assistito delle  persone  offese  sia
avvenuto nel rispetto di procedure equivalenti a quelle di  cui  alla
legge 219/2017, in conformita' alla legge del luogo ove  il  suicidio
si e' verificato. 
    Le persone offese in  questione,  infine,  avevano  rifiutato  la
prossima  sottoposizione  a  "trattamenti  di  sostegno  vitale"  che
potevano scientificamente definirsi come espressione  di  accanimento
terapeutico. 
    Gli scriventi ritengono, infine, che se il Giudice non  ritenesse
possibile  accogliere  l'interpretazione  proposta   per   cui   alla
sottoposizione a trattamenti di sostegno vitale debba assimilarsi  il
rifiuto di sottoporvisi qualora gli stessi siano  futili,  espressivi
di accanimento terapeutico e forieri di ulteriori sofferenze  per  il
malato e coloro che lo  accudiscono  -,  l'unica  strada  praticabile
rimarrebbe  quella  di  rimettere  nuovamente  gli  atti  alla  Corte
costituzionale perche' si pronunci sul contrasto -  rilevante  e  non
manifestamente infondato - tra il requisito sub  C  inteso  in  senso
restrittivo e il parametro di cui all'art. 3 Cost." 
    Rilevanza della questione di legittimita' costituzionale 
    Questo Giudice, invitata dai sig.ri  Pubblici  Ministeri  ad  una
lettura costituzionalmente orientata dell'art. 580 cp, e' chiamata ad
applicare la nuova causa  di  giustificazione  come  delineata  dalla
Corte costituzionale con sentenza n. 242/2019 in presenza della quale
la condotta di agevolazione al suicidio  astrattamente  riconducibile
nell'ambito applicativo dell'art. 580 cp, non e' punibile. 
    Si ritiene tuttavia, per le ragioni che si andranno  ad  esporre,
non   riconducibile   nell'ambito   applicativo   della   scriminante
procedurale e dunque, estranea alla previsione di  cui  all'art.  408
cpp (ed al parametro di giudizio ivi contenuto), la condotta posta in
essere  dall'odierno  indagato   invero   astrattamente   sussumibile
nell'alveo  dell'art.  580  cp,  risultando  in  atti  che  M.  C  ha
provveduto ad accompagnare in Svizzera nelle clinicheut sopra citate,
i sig.ri A e N affetti  da  una  patologia  irreversibile,  fonte  di
sofferenze fisiche o psicologiche assolutamente intollerabili, capaci
di prendere decisioni libere e consapevoli ma non tenuti in  vita  da
trattamenti sanitari vitali, nella consapevolezza che  ivi  avrebbero
realizzato i propri propositi suicidari come e' poi avvenuto. 
    Inquadramento  giuridico  della  vicenda  in  esame:   l'astratta
applicabilita' dell'art. 580 cp 
    La centralita' della questione afferente all'applicazione o  meno
della fattispecie di cui all'art. 580 cp - posta nel titolo  XII  del
Libro II del codice penale tutelante i beni giuridici  della  vita  e
della incolumita' individuale  -  attiene  alla  sussunzione  o  meno
nell'area del penalmente rilevante della condotta di  chi,  come  nel
caso di specie, presti un mero aiuto materiale (ndr. "accompagnamento
in auto") a colui che - affetto  da  una  patologia  irreversibile  e
dunque destinato a morte certa -  intenda  suicidarsi  mediante  auto
somministrazione di un farmaco  letale  (c.d.  suicidio  medicalmente
assistito). 
    Nessun dubbio sussiste invero, sulla. assenza  nel  caso,  di  un
nesso di  causalita'  psichica  tra  la  condotta  dell'agente  e  la
determinazione del malato a porre fine  alla  propria  vita;  bensi',
all'opposto, e' pacifico in causa che  il  contatto  tra  le  odierne
"persone offese" e l'imputato sia avvenuto proprio in  ragione  della
preesistente determinazione suicidaria delle stesse. 
    E' certo che  la  condotta  di  agevolazione  all'esecuzione  del
suicidio  medicalmente  assistito  non   e'   punibile   nel   nostro
ordinamento ricorrendo i requisiti enucleati  dalla  pronuncia  della
Corte Costituzionale 242/2019, ossia la  presenza  di  una  patologia
irreversibile che sia fonte  di  sofferenze  fisiche  o  psicologiche
ritenute assolutamente intollerabili, la dipendenza da un trattamento
di sostegno vitale,  la  manifestazione  di  una  volonta'  libera  e
consapevole di rifiuto di tali trattamenti che - si - rallenterebbero
il processo patologico  e  ritarderebbero  la  morte  senza  tuttavia
poterla impedire. 
    Afferma  l'organo  inquirente  che  debbono  assimilarsi  a  tali
ipotesi anche quelli in  cui,  come  quello  in  esame  in  cui,  "il
soggetto che - come M C nei casi in esame - agevoli  il  suicidio  di
una persona affetta da malattia irreversibile e che provochi  estrema
sofferenza, che coscientemente e lucidamente abbia  deciso  di  porre
fine alla propria vita, e che rifiuti di sottoporsi a trattamenti  di
sostegno vitale futili. esercitando un diritto garantitogli dall'art.
32 Cost. e dalla legge n.  219/2007,  non  violi  il  bene  giuridico
protetto dall'art. 580 c.p., ma anzi consenta il  concreto  esercizio
del diritto  all'autodeterminazione  cosi'  come  sopra  delineato  e
positivamente presidiato, nei casi in cui il titolare del diritto non
sia in grado di esercitarlo autonomamente". 
    Com'e'  noto,  l'art.  580  cp  e'  integrato  quando   ricorrono
alternativamente una delle due condotte descritte e  sulle  quali  si
regge l'elemento oggettivo della fattispecie, ossia  la  condotta  di
partecipazione psichica e quella di partecipazione materiale. 
    La   condotta   di   partecipazione   psichica   consiste   nella
determinazione (intesa quale pressione psichica diretta a far sorgere
in altri un  proponimento  prima  inesistente)  o  nel  rafforzamento
(volto a rendere definitivo) del proposito suicidiario gia' sorto nel
soggetto che vuole darsi la morte. 
    La partecipazione materiale si riferisce invece alla condotta  di
agevolazione,  da   intendersi   quale   comportamento   di   ausilio
consistente nella fornitura di mezzi o  rimozione  di  ostacoli  alla
realizzazione   del   proposito   suicidiario   (la   cui    signoria
sull'esecuzione deve rimanere tuttavia sempre in  capo  all'aspirante
sucida configurandosi diversamente la fattispecie  di  "omicidio  del
consenziente" di cui all'art. 579 cp). L'agevolazione puo' consistere
anche in un'omissione, laddove in capo al soggetto attivo sussista un
obbligo di garanzia (come nel caso del genitore o del tutore). 
    L'ambito applicativo della norma e' stato negli  anni  al  centro
del dibattito costituzionale perche' coinvolto nelle tematiche etiche
del c.d. fine vita. 
    Dopo i casi di E E (cfr. Cass. 21748/2017) e  di  P  W  (che  non
approdo' in Cassazione per difetto di impugnazione  dell'Accusa),  la
Corte costituzionale  e'  stata  chiamata  dai  Giudici  della  Corte
d'Assise di Milano a pronunciarsi sui  confini  penalmente  rilevanti
della norma. 
    Con ordinanza di rimessione (cfr. ordinanza 14 febbraio 2018,  n.
1), la Corte di Assise di Milano (con riferimento  alla  condotta  di
accompagnamento in auto di F.A. noto come  D  F  presso  una  clinica
elvetica ove decedeva pet auto-somministrazione  di  farmaco  letale)
sollevava una questione di legittimita' costituzionale dell'art.  580
cp nella parte in cui incrimina le condotte di aiuto  al  suicidio  a
prescindere  dal   loro   contributo   alla   determinazione   o   al
rafforzamento   del    proposito    suicidiario,    ritenendo    tale
incriminazione in contrasto e in violazione dei principi sanciti agli
articoli 3, 13 comma 2, 25 comma 3 della Costituzione che individuano
la ragionevolezza della sanzione penale in funzione dell'offensivita'
della condotta accertata. Secondo i giudici remittenti deve ritenersi
che in forza dei principi costituzionali dettati  agli  artt.  2,  13
comma 1 della Costituzione ed all'art.  117  della  Costituzione  con
riferimento agli artt. 2 e 8 della Convenzione  Europea  dei  Diritti
dell'Uomo, all'individuo sia riconosciuta  la  liberta'  di  decidere
quando e come morire e  che,  di  conseguenza,  solo  le  azioni  che
pregiudichino la liberta'  della  sua  decisione  possano  costituire
offesa al bene tutelato dalla norma in esame. 
    La Corte costituzionale, preso atto del  mancato  intervento  del
Parlamento nell'arco di un  anno  dalla  precedente  udienza  fissata
(cfr. ordinanza 16 novembre 2018, n. 207), ferma la necessita' di  un
intervento normativo in materia, con sentenza 22  novembre  2019,  n.
242  (Pres.  Lattanzi,   Rel.   Modugno),   sul   presupposto   della
legittimita'  costituzionale  del  divieto  penale   dell'"aiuto   al
suicidio" di cui all'art. 580 c.p.,  ha  dichiarato  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 580 cp nella parte in  cui  non  esclude  la
punibilita' di chi, con  le  modalita'  previste  dalla  legge  sulle
disposizioni anticipate di trattamento (c.d. D.A.T.)  previste  dagli
artt. 1 e 2  legge  n.  219/2017  ovvero  con  riferimento  ai  fatti
anteriori,  con  modalita'  equivalenti,  agevola  l'esecuzione   del
proposito di suicidio che si sia formato liberamente ed autonomamente
(1) di una persona tenuta in vita da trattamenti di  sostegno  vitale
(2), affetta da una patologia irreversibile (3) fonte  di  sofferenze
fisiche o psicologiche che  la  persona  ritenga  intollerabili,  sia
pienamente capace di prendere  decisioni  libere  e  consapevoli  (4)
sempre che tali condizioni e  modalita'  di  esecuzione  siano  state
verificate da una struttura  pubblica  (5)  del  "Servizio  Sanitario
Nazionale",  previo  parere  del  Comitato   Etico   Territorialmente
Competente e fermo restando che, quanto  al  tema  dell'obiezione  di
coscienza del personale  sanitario,  l'aiuto  al  suicidio  nei  casi
considerati, resti affidato alla coscienza  del  singolo  medico  che
puo' scegliere se prestarsi o no, a esaudire la richiesta del malato. 
    In sintesi, la Consulta nel riconoscere la compatibilita' con  la
Carta  Costituzionale  della  fattispecie  penale   di'   "aiuto   al
suicidio", giunge ad escludere la punibilita' di "chi aiuta a morire"
una  persona  affetta  da  una  patologia  irreversibile,  fonte   di
sofferenze fisiche o  psicologiche  che  ella  reputa  intollerabili,
capace di' prendere decisioni libere e consapevoli, tenuta in vita da
un trattamento di sostegno vitale, affermando che gia' queste persone
potrebbero lasciarsi morire chiedendo l'interruzione dei  trattamenti
sanitari necessari alla loro sopravvivenza o  anche  rifiutandoli  ab
initio. 
    Per   effetto   della   pronuncia   n.   242/2019   della   Corte
Costituzionale, e' oggi  presente  nel  nostro  ordinamento  una  c.d
scriminante procedurale che esclude la punibilita' di'  chi,  con  le
modalita' previste dagli artt. 1 e 2 legge n. 219/2017 e  sussistendo
i presupposti sopra indicati, agevola l'esecuzione del  proposito  di
suicidio, autonomamente e liberamente formatosi. 
    Considerata la delicatezza dei valori in giudizio e l'esigenza di
salvaguardare i soggetti maggiormente  vulnerabili,  la  Consulta  ha
affidato al Servizio Sanitario Nazionale il compito: 
      di verificare le condizioni che rendono  legittimo  l'aiuto  al
suicidio; 
      di verificare le modalita' di esecuzione  che  dovranno  essere
tali  da  evitare  abusi  in  danno  delle  persone  vulnerabili,  da
garantire la dignita' al paziente e  da  evitare  sofferenze,  previo
parere del Comitato Etico territorialmente  competente  che  ciascuna
Regione e' chiamata ad istituire. 
    La medicalizzazione  della  procedura  e'  cosi'  completata  dal
parere necessario  di  un  organo  collegiale,  terzo,  con  funzione
consultiva (art. 12 comma 10 lettera c dl 158/2012 e  art.  1  co.  2
decreto  Ministero  della  salute  8  febbraio  2013)  al  quale   e'
attribuito il  compito  di  garantire  omogeneita'  nell'applicazione
delle   procedure   e   tutela   alle   situazioni   di   particolare
vulnerabilita'. 
    L'applicazione dei criteri  posti  dalla  pronuncia  della  Corte
costituzionale n. 242/2019 al caso di specie e la portata attuale del
diritto all'autodeterminazione terapeutica 
    La Corte  costituzionale  richiamando  le  pronunce  sui  casi  W
(G.I.P. di Roma, sentenza n. 2019 del 2007) ed E (Cass., Sez. I civ.,
sentenza n. 21748 del 2007) e i  dettami  contenuti  nella  legge  22
dicembre 2017, n. 219,  attraverso  l'applicazione  dei  principi  di
uguaglianza e di ragionevolezza, attua un nuovo bilanciamento tra  il
diritto all'autodeterminazione individuale (art. 2 e 13  Cost)  e  la
tutela della vita umana (art. 2 Cost.) delineando cosi' uno spazio di
necessaria liberta' dell'individuo nelle scelte di fine-vita. 
    L'area circoscritta del penalmente lecito  e'  costruita  dunque,
declinando il diritto all'autodeterminazione (artt. 2 e 3 Cast) ed il
diritto alla salute di cui all'art. 32 Cost nella forma del  consenso
all'esecuzione dei trattamenti sanitari. 
    Nel nostro ordinamento, ferma l'operativita' dell'art. 580 cp, la
Corte costituzionale ribadisce e dunque, esclude che l'incriminazione
dell'aiuto al suicidio possa di per se' essere in  contrasto  con  la
Costituzione. 
    Al fine di comprenderne la  portata,  occorre  ribadire  che  non
esiste nel nostro ordinamento un diritto alla morte. 
    Il diritto alla vita - costituzionalmente  tutelato  dall'art.  2
come "il primo dei diritti inviolabili dell'uomo"  (non  diversamente
che dall'art. 2 CEDU) - e il diritto alla morte - non ricompreso  nel
testo della nostra Carta Costituzionale ed anzi sanzionato  dall'art.
27 comma 4, non hanno pari dignita' e valore. 
    L'inviolabilita' del diritto alla vita che si declina  attraverso
i caratteri di indisponibilita', inalienabilita', intrasmissibilita',
irrinunciabilita' e imprescrittibilita' si fonda  sull'impossibilita'
per  il  titolare  di  disporne  privandosene   definitivamente   del
godimento. 
    Il principio e' stato piu' volte ribadito dalla Consulta che  con
la sentenza n. 1146/1988 afferma che il  diritto  alla  vita  attiene
all'essenza dei Valori Supremi sui quali  si  fonda  la  Costituzione
italiana. 
    Dall'art. 2 della Costituzione discende invero, il  dovere  dello
Stato di tutelare la vita di ogni individuo  non  quello  opposto  di
aiutare a morire: in definitiva, dal  diritto  alla  vita,  primo  ed
inviolabile diritto dell'uomo in quanto presupposto  per  l'esercizio
degli altri diritti di cui all'art. 2 Cost.,  non  puo'  derivare  il
diritto a rinunciare a vivere e dunque, il diritto di morire. 
    Analoga posizione e' presente anche nell'ordinanza n. 207/2018  e
nella sentenza 242/2019. 
    Cio' premesso, nella tensione dialettica tra i beni Supremi della
Vita  e  della  liberta',  la  Corte  costituzionale,  opportunamente
valorizzando la centralita'  dell'individuo  nella  Costituzione,  ha
ritenuto che la tutela della prima trova comunque, nell'art.  580  cp
una ragione di fondo. 
    Escludendo che al bene vita possa  essere  riconosciuto  un  fine
eteronomo  (di  talche'  nel  nostro  ordinamento   e'   riconosciuto
all'individuo il potere di disporre del  proprio  corpo  (cfr.  Corte
Cost.le 471/1990), la Corte costituzionale afferma che la tutela  del
bene vita deve essere  rapportata  all'operativita'  della  legge  n.
219/2017 con la conseguenza che, in campo medico, per  quel  che  qui
interessa,  nessun  trattamento  possa  essere  praticato  senza   il
consenso del paziente il quale puo' persino giungere  a  chiedere  ed
ottenere nel contesto di una  relazione  terapeutica  con  il  medico
(cfr. Corte Cost.le 238/96), di interrompere o di rifiutare e dunque,
non iniziare i trattamenti di sostegno vitale come  la  ventilazione,
l'idratazione e l'alimentazione artificiale. 
    Benche' la riallocazione delle argomentazioni sul  piano  esposto
con  riguardo  alla  tutela  dei  diritti  fondamentali  consenta  di
reimpostare su  basi  completamenti  differenti,  rispetto  a  quelle
tradizionali, la questione della tutela della vita del  paziente,  e'
innegabile che  il  diritto  all'autodeterminazione  individuale  nel
nostro  ordinamento,  nel  gioco  del   bilanciamento   dei   diritti
costituzionali, non possa prevalere sempre. 
    Certo e' che  il  riconoscimento  dell'autonomia  -  rispetto  al
diritto alla salute - del diritto all'autodeterminazione ha  permesso
negli ultimi tempi  di  riconsiderare  la  ragionevolezza  di  alcuni
divieti, in ambito penale, che impediscono  al  malato  terminale  di
pianificare con il medico,  oltre  che  le  proprie  cure,  anche  la
gestione del fine vita. 
    Cosi', ferma l'inviolabilita'  del  bene  della  vita,  la  Corte
costituzionale ha  individuato  all'interno  dell'art.  580  cp,  una
circoscritta area di non conformita' costituzionale della fattispecie
criminosa corrispondente ai  casi  in  cui  "l'aspirante  suicida  si
identifica in una persona a) affetta da una  patologia  irreversibile
b)  fonte  di  sofferente   fisiche   o   psicologiche,   che   trova
assolutamente intollerabili, secondo le proprie  scelte  individuali,
c) tenuta in vita da un trattamento di sostegno vitale non piu' volto
e che ha il diritto di rifiutare in base all'art. 32 Cost. co. 2,  d)
capace di prendere decisioni libere e consapevoli". 
    Il tema giuridicamente rilevante, si ribadisce,  non  attiene  al
riconoscimento del diritto alla morte  ma  al  diritto  ad  una  vita
dignitosa  (qui  ovviamente  riferita  a  quella  terminale)  secondo
l'espressione di Seneca ne Lettere a Lucilio: "non vivere  benum  est
sed vivere bene" e dunque, ad una "morte dignitosa". 
    La legittimita', nel vigente quadro costituzionale, dell'art. 580
cp trova oggi la propria ratio nella salvaguardia  del  diritto  alla
vita  soprattutto  delle  persone  piu'  deboli  e  vulnerabili   che
attraversano difficolta' e sofferenze  e  che  l'ordinamento  intente
proteggere da una scelta estrema  e  irreparabile,  come  quella  del
suicidio. 
    La Corte afferma che, in tali casi, inimmaginabili  all'epoca  in
cui l'art. 580 cp e' stato introdotto, la  scelta  di  accogliere  la
morte  potrebbe  essere  gia'  presa  dal  malato  sulla  base  della
legislazione vigente, con effetti vincolanti per  i  terzi,  a  mezzo
della richiesta  di  interruzione  (e  dunque,  di  rifiuto  in  base
all'art. 32 Cost.) dei trattamenti di sostegno vitale in  atto  e  di
contestuale sottoposizione a sedazione profonda continua. 
    La legge n. 219/2017 - chiarisce la Corte costituzionale -  offre
dunque, un riferimento normativo cui agganciare i margini di liceita'
dell'aiuto al suicidio non punibile  attraverso  la  medicalizzazione
del  procedimento  mediante  il  quale  verificare  l'integrita'  del
consenso e la sussistenza dei requisiti indicati. 
    Il baricentro su cui si fonda la ratio della  legge  n.  219/2017
poggia invero sull'intersezione tra il diritto all'autodeterminazione
terapeutica  (privo  di  un  esplicito  riferimento   costituzionale,
ricondotto agli artt. 32, 2 e 13 co.  1  Cost  come  espressione  del
diritto di scegliere la cura) ed il principio del consenso  informato
(declinazione della liberta' di cura di cui all'art. 32 co.  2  Cost)
principale base giuridica legittimante qualsiasi intervento medico. 
    L'art. 1, comma 1 recita infatti:  "1.  La  presente  legge,  nel
rispetto dei  principi  di  cui  agli  articoli  2,  13  e  32  della
Costituzione e degli articoli 1,  2  e  3  della  Carta  dei  diritti
fondamentali dell'Unione europea, tutela il diritto alla  vita,  alla
salute,  alla  dignita'  e  all'autodeterminazione  della  persona  e
stabilisce che nessun trattamento sanitario puo'  essere  iniziato  o
proseguito se privo del consenso libero  e  informato  della  persona
interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge". 
    Inoltre, sancisce il divieto di ostinazione  irragionevole  nelle
cure (quando inutili e sproporzionate) ed individua come  oggetto  di
tutela da parte dello Stato "la  dignita'  nella  fase  finale  della
vita". 
    L'intervento normativo, che recepisce e normativizza l'evoluzione
giurisprudenziale precedente,  si  caratterizza  per  alcuni  aspetti
messi in luce dalla piu' attenta dottrina. 
    In particolare, la centralita'  del  consenso  del  paziente;  la
volonta' di valorizzare al massimo grado la c.d. alleanza terapeutica
perche' il paziente non debba affrontare da  solo  le  decisioni  che
riguardano  la  sua  salute  e  la  cura;  il  diritto   assoluto   e
insindacabile del paziente ad ottenere, in qualsiasi  momento,  anche
da incapace, la non attivazione di qualsiasi trattamento sanitario  e
l'interruzione di quello eventualmente gia' in atto,  conservando  al
contempo il diritto di ottenere la terapia antalgica allo  scopo  di.
alleviare le sofferenze del paziente (legge n.  38/2010  disposizioni
per garantire l'accesso alle  cure  palliative  e  alla  terapia  del
dolore). 
    Di rilievo e' in particolare, ai nostri fini,  il  fatto  che  il
Legislatore, nel valutare la legittimita' del  "dissenso  informato",
non ha posto alcun limite all'autodeterminazione  dell'individuo  nel
rifiuto ai trattamenti sanitari necessari alla propria sopravvivenza,
dovendosi verificare se esso sia "libero e  informato"  garantendogli
comunque ogni azione di sostegno anche psicologico, a suo favore. 
    In definitiva, in caso di malattia, vige - nel nostro ordinamento
- il diritto a lasciarsi morire; ma a fronte del pieno riconoscimento
del diritto a rinunciare alle cure, anche quando cio' si  traduca  in
una forma di c.d. eutanasia passiva, permane il totale divieto  (cfr.
579 e 580 cp) di qualsiasi forma di accelerazione della morte  altrui
in modo attivo (c.d. suicidio assistito). 
    La Corte costituzionale, in altre parole,  con  la  pronuncia  n.
242/2019 ha ritenuto che, vigenti i presupposti indicati, uno  spazio
di liberta' nell'autodeterminazione delle scelte del fine della  vita
fosse costituzionalmente imposto  precisando  al  contempo  che,  nel
nostro ordinamento, tale spazio non e' illimitato ed incontra  limiti
tanto formali - volti alla verifica dell'integrita'  del  consenso  -
quanto sostanziali - che incidono, cioe', sul  perimetro  in  cui  il
consenso stesso puo' legittimamente manifestarsi. 
    La Corte costituzionale ha pertanto,  individuato  una  serie  di
parametri   cui   e'   subordinato   l'esercizio   del   diritto   di
autodeterminazione nelle scelte del fine vita, ossia: 
      a. presenza di una patologia irreversibile; 
      b che sia fonte di sofferenze fisiche o  psicologiche  ritenute
assolutamente intollerabili; 
      c. che impedisca alla persona di rimanere in vita se non per il
mezzo di trattamento di sostegno vitale; 
      d. che non  privi  il  soggetto  della  capacita'  di  prendere
decisioni libere e consapevoli. 
    In definitiva, nel caso rimesso alla Corte costituzionale, la non
punibilita' dell'aiuto prestato da altri al malato  irreversibile  si
fonda sulla consapevole scelta di non punire chi si limita ad  essere
mero esecutore della volonta' che il titolare  non  puo'  mettere  in
atto per l'impossibilita' materiale, secondo  i  cardini  su  cui  si
fonda l'alleanza terapeutica: in  tali  casi  afferma  la  Corte  "il
fondamentale rilievo del valore della vita non esclude  l'obbligo  di
rispettare la  decisione  del  malato  di  porre  fine  alla  propria
esistenza tramite l'interruzione dei  trattamenti  sanitari  -  anche
quando cio' richieda una condotta attiva sul piano  naturalistico  da
parte di terzi (quale il distacco o lo spegnimento di un macchinario,
accompagnato  dalla  somministrazione  di  una   sedazione   profonda
continua e di una terapia del dolore) - ". 
    Tutto cio' premesso, questo Giudice ritiene che la condotta posta
in  essere  dall'indagato  non   possa   rientrare   nell'ambito   di
applicazione della causa di giustificazione  introdotta  dalla  Corte
costituzionale  con  conseguente  ed  inevitabile  sussunzione  della
stessa nell'ambito  applicativo  dell'art.  580  c.p.  accertato  che
all'atto dell'esecuzione della condotta incriminata ne' la  sig.ra  A
ne' il sig. N dipendevano da un trattamento sanitario vitale. 
    L'interpretazione sollecitata dalla Procura con riferimento  alle
condotte - astrattamente sussumibili nella fattispecie  di  aiuto  al
suicidio - poste in essere dall'indagato esula  altresi'  dall'ambito
della lettura costituzionalmente orientata suggerita  non  potendosi,
per  le  caratteristiche  in  fatto  delle  vicende  esaminate,   far
rientrare nell'area della  legalita'  condotte  prive  dei  requisiti
richiesti pena l'esercizio da parte del giudice a quo, di  un  potere
non consentito dalla legge. 
    L'inapplicabilita'   ai   casi   in   esame   della   causa    di
giustificazione procedurale introdotta dalla Corte costituzionale con
la sentenza 242/2019 
    E A e R N erano affetti da una malattia irreversibile. 
    Il dato e' ontologicamente  inconfutabile:  per  entrambi,  l'una
malata oncologica terminale, l'altro affetto da parkinson atipico  in
stadio terminale, i  medici  avevano  escluso  ogni  possibilita'  di
guarigione. 
    Quanto a E A , in particolare, il marito, L  C  ,  riferiva:  "la
previsione  del  medico   era   che   si   sarebbe   sviluppata   una
sintomatologia grave nell'arco  di  due  mesi.  Ci  fu  rappresentato
chiaramente che non potevano  fare  niente  se  non  intervenire  con
ricovero ospedaliero soltanto in caso di urgenza, ad  esempio  se  si
fosse paventato un blocco renale". 
    Il dato e' coerente con le risultanze emergenti  dalla  relazione
di C.T. del PM: i dottori S e G dichiaravano che - per  la  patologia
da cui era affetta la persona offesa - e' prevista una  sopravvivenza
dell'1-2% a 5 anni, con il 34% di pazienti vivi a 18 mesi dall'inizio
della terapia [bibl. 3]: "Il microcitoma polmonare  e'  una  malattia
curabile  ma  non  guaribile.  La  chemioimmunoterapia  [bibl  2,3,8]
consente di ottenere  elevati  tassi  di  riduzione  della  malattia,
purtroppo di breve durata, e le terapie successive danno un beneficio
minimo [bibl. 9]. Si conferma quindi il carattere di irreversibilita'
della patologia da cui era affetta la sig.ra E A " (c.t. prof.ri S  e
G , conclusioni). 
    Gli stessi cc.tt. precisavano inoltre, come  il  rifiuto  opposto
dalla sig. A a qualsiasi cura avrebbe portato  ad  un'aspettativa  di
vita quantificabile in pochi mesi. 
    Con riguardo alla posizione di R N , la moglie, G G G , a s.i.t.,
riferiva  che  "nella  primavera  del             [ndr.  il   marito]
realizzava che nessuna cura avrebbe potuto aiutarlo a  migliorare  la
sua condizione". 
    Nella relazione della consulenza tecnica disposta, la  dottoressa
S  definiva  la  degenerazione  corticobasale  "una   rara   malattia
neurodegenerativa non passibile di guarigione o miglioramento",  tale
per cui , "il trattamento rimane mirato al miglioramento dei sintomi,
ma,  nella  migliore   delle   ipotesi,   e'   scarsamente   e   solo
temporaneamente efficace". Ne deriva  che  "i  sintomi  progrediscono
inesorabilmente fino al decesso  con  una  storia  naturale  alquanto
variabile tra i singoli  pazienti.  Alcuni  studi  scientifici  hanno
rilevato una sopravvivenza media compresa tra 5,5 e 7,9 anni  con  un
range da 2 a 12,5 anni. La sopravvivenza piu' bassa si riscontra  nei
casi a rapida evoluzione degenerativa (come nel caso del sig. N )". 
    Il decesso dunque, non e' direttamente correlato alla malattia ma
al suo progressivo peggioramento fino al  sopraggiungere  dell'exitus
per  cause  correlate  alla  malattia  stessa  (esempio  tipico,   la
polmonite ab ingestis dovuta alle difficolta' di  deglutizione  e  le
complicanze settiche.). 
    Ad ogni buon conto, secondo la consulente, la prognosi -  pur  se
non del tutto valutabile - era sicuramente infausta a  breve  termine
dal momento che la malattia era entrata. nello stadio terminale. 
    Ad analoghe conclusioni giunge poi  il  professor  G  ,  nel  suo
elaborato, realizzato sulla base di un confronto approfondito  con  i
Past Presidents della Societa' Europea di Terapia Intensiva (ESICM) e
sottoscritto da sedici su diciotto di questi. 
    Con riguardo ad A , egli afferma infatti che ella era affetta  da
una  "malattia  sistemica,  non   responsiva   al   trattamento,   in
progressione, con prognosi infausta a breve termine"; quanto  a  R  N
riferisce di "malattia acuta non curabile". 
    Entrambi,  consapevoli  delle  sofferenze  alle  quali  sarebbero
andati  incontro  per  se'  e  per  i  famigliari   avevano   dunque,
liberamente scelto di morire  e  di  rifiutate  le  terapie  proposte
(ulteriore ciclo di chemioterapia per la sig.ra  A  e  posizionamento
EGC per il sig. N ) nonche' l'ingresso in Hospice, per l'avvio  delle
cure palliative eventualmente abbinate alla terapia del dolore. 
    Le risultanze della puntuale e meticolosa  attivita'  istruttoria
svolta  dalla  locale  Procura  documenta  l'autonoma  e  la   libera
formazione  della  decisione  di  morire:  entrambi,   autonomamente,
proprio in forza di tale risoluzione  irretrattabile,  avevano  preso
contatti con l'associazione L C  e  con  l'odierno  indagato  per  il
compimento di una serie di atti che  non  potevano  porre  in  essere
autonomamente, come l'organizzazione del viaggio ed il  trasporto  in
Svizzera. 
    L C - marito di E A - nel verbale di s.i.t. il -  dichiarava  che
la moglie aveva pianificato minuziosamente  il  suo  ultimo  viaggio,
studiando in particolar modo  una  soluzione  tale  da  preservare  i
propri cari da qualsiasi responsabilita' connessa e derivante da tale
scelta vengano. 
    Cosi', riferiva: 
      "a.d.r. Mia moglie ha iniziato sin da  subito  autonomamente  a
fare  delle  ricerche  su  internet  relative   alle   cliniche   che
permettevano di porre fine alla propria vita. 
      a.d.r. Relativamente al caso mediatico del  d  F  ,  quindi  in
tempi non sospetti, lei aveva espresso la propria opinione in  merito
appoggiando la decisione presa. Lei sosteneva che in caso di malattia
irreversibile aspettare il decorso sino  all'exitus,  sapendo  quello
che comportava, fosse insopportabile. 
      Lei  era  rimasta  molto  turbata  dall'assistenza  che   aveva
prestato a suo padre,  sua  madre  ed  in  particolare  al  fratello,
quest'ultimo affetto da fibrosi polmonare.  Aveva  avuto  una  chiara
rappresentazione di quanto  fosse  atroce  morire  per  soffocamento.
Ricordo  che  mi  chiese  come  unico  regalo  (in  cinquant'anni  di
matrimonio) di non contrastare la sua  decisione  e  di  rispettarla.
Tutto questo anche se io e mia  figlia  qualche  volta  cercavamo  di
farle vedere di altri casi affinche' cambiasse idea. 
      a.d.r. Mia moglie ha contattato inizialmente  la  fondazione  C
per ottenere informazioni relative alle societa'  che  si  occupavano
del fine vita. 
      Mia moglie aveva studi universitari, ha  fatto  l'imprenditrice
tutta la vita insieme a me gestendo il  nostro  albergo.  Le  piaceva
leggere, suonare, era persona di cultura e di grande senso pratico. 
      La prima risposta ottenuta dal  personale  della  Fondazione  e
successivamente da  C  stesso,  era  che  non  avessero  informazioni
specifiche sulla , della quale pero' non  avevano  nemmeno  riscontri
negativi (vedasi mail). Mia moglie sceglieva la  perche'  la  trovava
veloce nello svolgere le pratiche. Il primo  contatto  lo  aveva  con
tale T : Lei chiedeva di avere una  data  ravvicinata,  magari  prima
delle ferie e del peggioramento della malattia. 
      a.d.r.  Mia  moglie  ha  dovuto  prima  pagare  una  cifra  per
assodarsi alla societa'. Poi il primo versamento di cinquemila  euro.
Avuto "semaforo verde", faceva un  ultimo  versamento  di  cinquemila
euro dal proprio conto corrente. 
      a.d.r. Mia moglie era contenta del  fatto  che  M  C  l'avrebbe
accompagnata. Lei era autonoma nella sua quotidianita'. Era debole  e
non se la sentiva di uscire piu' dalle mura di casa. 
      Lei non avrebbe mai potuto affrontare il viaggio in Svizzera da
sola. 
      Mia moglie e M C , una volta stabilita la data  concordata  con
la clinica , concordavano di vedersi il primo di alle .  C  veniva  a
casa a prelevarla insieme ad un'altra persona, credo fosse l'autista.
In realta' quando sono partiti da casa guidava C." 
    G G G - moglie del sig. N - in ordine  alla  autonoma  formazione
della volonta' del marito ricorrere al suicidio assistito,  asseriva:
"I primi segnali sono arrivati nella primavera del quando  realizzava
che  nessuna  cura  avrebbe  potuto  aiutarlo  a  migliorare  la  sua
condizione. Lui si opponeva fermamente all'idea della  prospettazione
a  breve  dell'ausilio  di  presidi   quali   ad   esempio   la   PEG
(alimentazione forzata). Io rispettavo assolutamente le sue richieste
che peraltro pero' riducevano ulteriormente  la  sua  prospettiva  di
vita. Lui diceva di essere stato fortunato di avere  avuto  una  vita
lunga e serena e che non riteneva di prolungare con  piu'  sofferenza
di quanta gia' ne soffrisse. Lucidamente e cerebralmente  partecipava
alla  vita  famigliare  ma  trovandosi  in  un  corpo   completamente
paralizzato aveva perso ogni stimolo verso tutto. Mi chiedeva di fare
delle ricerche per trovare chi potesse aiutarlo a realizzare  il  suo
progetto  di  porre  fine  alle  sue  sofferenze.  Ricordo  di  avere
contattato telefonicamente l'Associazione C sino a quando poi  venivo
richiamata da M C . La presenza di M C e' stata fortemente voluta  da
R . (...)". 
    Entrambi avevano scelto di affidarsi a cliniche svizzere. 
    In Svizzera il suicidio assistito, che trova  il  suo  fondamento
negli artt. 114 e 115  cod.  pen.  svizzero,  e'  da  sempre  l'unica
pratica di fine vita considerata lecita subordinata solo  all'assenza
in capo all'agente di motivi egoistici,  per  tali  intendendosi  non
solo i motivi di lucro, ma anche vantaggi di altra natura. 
    La modalita' meno dolorosa e piu' efficace, nel caso di  soggetti
in condizioni cliniche tali da ridurne sensibilmente l'autonomia,  e'
quella dell'assunzione di farmaci letali. Il farmaco piu'  utilizzato
e' il pentobarbital acquistabile solo  a  mezzo  di  prescrizione  di
medici - e veterinari  -  emettibile  solo  dopo  aver  esaminato  il
paziente e soltanto nel rispetto  delle  «regole  riconosciute  delle
scienze  mediche  e  farmaceutiche»  (art.  26,  legge  sugli  agenti
terapeutici del 15 dicembre 2000). 
    L'Accademia  Svizzera  delle  Scienze   Mediche   disciplina   il
comportamento dei medici in ordine alle pratiche per il fine vita dei
pazienti attraverso dettagliate direttive relative all'assistenza dei
malati terminali, per i casi di cure palliative,  esecuzione  di  una
richiesta di interruzione delle terapie e  aiuto  al  suicidio  (sono
considerate aiuto al suicidio la prescrizione o  la  consegna  di  un
farmaco letale e il posizionamento di una cannula intravenosa). 
    Emerge chiara la centralita'  della  volonta'  del  paziente:  al
medico  e'  concesso  assecondare  esclusivamente  le  richieste  che
provengano da soggetti capaci di intendere e di volere (nel  caso  di
rifiuto di una terapia, valgono anche le  intenzioni  manifestate  in
epoca antecedente da soggetto attualmente incapace di intendere e  di
volere: l'equivalente delle disposizioni  anticipate  di  trattamento
disciplinate dalla l.  22  dicembre  2017,  n.  219  nell'ordinamento
italiano). 
    Affinche' l'aiuto al suicidio possa  considerarsi  legittimo,  il
medico che intenda prestarlo dovra' assicurarsi che: 
      la malattia di cui soffre il paziente legittimi la supposizione
del suo decesso imminente; 
      trattamenti alternativi siano stati proposti  e,  se  accettati
dal paziente, adottati; 
      una terza persona (non necessariamente il medico stesso)  abbia
accertato che il paziente sia in grado di intendere e di volere,  che
abbia riflettuto a lungo sul suo  desiderio  di  morte  e  che,  tale
persistente desiderio non sia il risultato di pressioni esterne. 
    Alla luce di quanto sopra esposto, risulta evidente  la  presenza
nei casi in esame di tre dei quattro requisiti indicati  dalla  Corte
costituzionale nella sentenza 242/2019; la presenza di una  patologia
irreversibile  che  conduca  inesorabilmente  alla  morte,  fonte  di
sofferenze fisiche  o  psicologiche  insopportabili  in  capo  ad  un
soggetto capace di prendere decisioni libere  e  consapevoli  che  ha
manifestato la propria volonta' di ricorrere al suicidio medicalmente
assistito  accertato  all'esito  di  un  normato   e   preciso   iter
burocratico  medico,  giuridicamente  rilevante  anche  se   svoltosi
all'estero (nelle specie, la Svizzera). 
    Difetta  chiaramente,  la  sussistenza  dell'ulteriore  requisito
previsto ossia quello di essere i malati, nella specie i sig.ri A e N
, "tenuti in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale". 
    A fronte di tale mancanza si ritiene non applicabile la causa  di
giustificazione elaborata  dalla  Corte  costituzionale  e  che  tale
assenza  non  sia   emendabile   nemmeno   attraverso   una   lettura
costituzionalmente orientata. 
    L'interpretazione costituzionalmente orientata 
    Si ricorda che a partire dagli anni novanta  si  e'  imposta  una
linea  guida  secondo  la  quale  spetta   ai   giudici   comuni   il
potere-dovere (o, nella prospettiva del giudice-attore, l'"onere") di
interpretare secundum  constitutionem  le  disposizioni  legislative,
prima ed in luogo di devolverne l'esame alla Corte. 
    Si tratta formalmente di un onere processuale, dal momento che al
giudice  comune  e'  richiesto  di  sperimentare  preventivamente  la
possibilita' di dare al testo legislativo un significato  compatibile
con il  parametro  costituzionale,  e  -  ove  il  tentativo  risulti
infruttuoso - di  offrire  adeguata  motivazione,  nell'ordinanza  di
rimessione,  delle  ragioni  che  impediscono  di  pervenire  in  via
interpretativa alla soluzione ritenuta  costituzionalmente  corretta.
(cfr. Sent. 456/1989:"Quando (...) il dubbio di compatibilita' con  i
principi   costituzionali   cada   su   una   norma   ricavata    per
interpretazione da un testo di legge e' indispensabile che il giudice
a quo prospetti  a  questa  Corte  l'impossibilita'  di  una  lettura
adeguata ai detti principi; oppure che  lamenti  l'esistenza  di  una
costante lettura della disposizione  denunziata  in  senso  contrario
alla Costituzione (cosidetta "norma vivente"). 
    L'interpretazione   costituzionalmente   orientata    nasce    in
contrapposizione ad altre  possibili  interpretazioni  che  suscitano
dubbi, sia pur consistenti, di incostituzionalita', finendo  per  far
leva non  sull'accertamento  della  incostituzionalita'  delle  altre
interpretazioni   possibili,   bensi'   proprio    sui    dubbi    di
incostituzionalita' che esse generano. 
    In sostanza, l'interpretazione costituzionalmente  orientata  dei
giudici comuni si differenzia dalle altre possibili perche' e' esente
dai dubbi di incostituzionalita' che suscitano le altre. 
    Due postulati fondano il potere-dovere dei giudici di ricercare e
identificare   autonomamente   l'interpretazione   costituzionalmente
orientata. 
    Il primo:  in  presenza  di  una  pluralita'  di  interpretazioni
possibili, il  giudice  deve  scegliere  quella  che  conduce  ad  un
risultato ermeneutico costituzionalmente  compatibile,  ricusando  le
altre. 
    Il secondo: "in linea di principio, le leggi  non  si  dichiarano
costituzionalmente illegittime" [o "una disposizione non puo'  essere
ritenuta costituzionalmente illegittima"] perche' e' possibile  darne
interpretazioni  incostituzionali  (e  qualche  giudice  ritenga   di
darne),   ma   perche'   e'   impossibile    darne    interpretazioni
costituzionali". 
    Allo  stato  attuale,  dunque  sembra  doversi  ritenere  che  la
rimessione della quaestio incidentale sia indispensabile solo  se  il
rimettente   e'   convinto   della   incostituzionalita'   e    della
impossibilita' di rimediare ad essa in via interpretativa. 
    L'impossibilita' di accogliere la richiesta della  Procura  della
Repubblica  e   dunque,   di   ricorrere   ad   una   interpretazione
costituzionalmente orientata 
    All'atto della scelta  (ndr:  ossia  il  rifiuto  di  trattamenti
sanitari), la sig. A e il sig. N , come detto, non  erano  sottoposti
ad alcun trattamento sanitario anche nell'accezione ampia offerta  da
alcuni  commentatori,  non  assumendo,  all'epoca,   alcuna   terapia
farmacologica vitale o nemmeno una terapia antalgica. 
    Cosi' nelle s.i.t. il marito C : "Mia moglie non  aveva  supporto
di macchinari a sostegno  vitale.  L'oncologa  prospettava  piu'  che
altro dei problemi a livello renale,  quale  un  blocco  che  avrebbe
previsto  una  cateterizzazione,  unico  mezzo  che  avrebbe   potuto
contrastare i dolori lancinanti che nemmeno la morfina avrebbe potuto
controllare". 
    Il marito riferiva che la sig.ra A non voleva essere "attaccata a
macchinari", non voleva essere cateterizzata ne' sottoposta a dialisi
e cosi', fino alla  fine  dei  suoi  giorni,  avrebbe  dovuto  essere
afflitta da dolori non alleviabili nemmeno con la morfina. 
    Cosi' si esprime nella missiva che il la sig.ra A  scriveva  alla
clinica : (all.to 47): "Caro T , lunedi' ti ho inviato una mail  dove
ti chiedevo se ti  fosse  possibile  darmi  notizie  sul  percorso  e
soprattutto sui tempi del "processo di approvazione" per la mia  MAV.
Essendo giunti alla 4ª settimana ed  essendo  la  mia  situazione  di
giorno in giorno  piu'  insostenibile,  puoi  immaginare  quanto  sia
importante per me avere notizie ed essere in qualche modo rassicurata
che a breve l'inferno che sto vivendo avra' fine (...). 
    R N per la malattia che lo  aveva  colpito,  era  costretto  alla
totale dipendenza assistenziale dei suoi familiari. 
    Come riferito dalla moglie G G G  (s.i.t.  rese  in  data  ),  il
marito dopo  la  rottura  del  femore  "  ...a  quel  punto  rimaneva
allettato permanentemente. Ricorrevamo all'omogenizzato per  lasciare
almeno  la  possibilita'  di  gustare  il  sapore  del  cibo"   (...)
"trovandosi in un corpo completamente paralizzato, aveva  perso  ogni
stimolo verso tutto". 
    Il dato fattuale (mancante) e' dunque, pacifico ed indiscusso  al
punto che i Pubblici Ministeri fondano la lettura  costituzionalmente
orientata proposta sulla equivalenza scientificamente sostenuta - tra
il rifiuto di un trattamento sanitario vitale in atto e il rifiuto ad
un trattamento sanitario futile o inutile  in  quanto  espressivo  di
accanimento terapeutico. 
    L'equivalenza proposta ai fini della riconducibilita' nell'ambito
applicativo della  causa  di  giustificazione  procedurale  elaborata
dalla Corte costituzionale con sentenza 242/2019 si fonda chiaramente
sulla applicazione analogica. 
    Senonche' l'ostacolo principale  all'applicazione  della  lettura
proposta attiene alla irriducibilita'  di  fondo  entro  il  medesimo
piano  di  due  presupposti  allo  stato  giuridicamente  differenti:
l'applicazione  e  dunque,  la  sottoposizione  di   un   trattamento
sanitario vitale in atto che il paziente ha rifiutato e ne ha chiesto
l'interruzione versus la prospettazione di un  trattamento  sanitario
futile o inutile e dunque, espressivo di accanimento terapeutico  mai
iniziato  e  che  il  paziente  di  fatto  non   ha   mai   rifiutato
espressamente. 
    Com'e' noto attraverso la causa di  giustificazione  procedurale,
la Consulta sposta la protezione primaria di un  bene  giuridico  dal
terreno tradizionale dell'incriminazione  a  quello  delle  cause  di
giustificazione la cui applicazione presuppone  l'accertamento  delle
condizioni ivi previste e poste al fine di garantire  al  malato  una
morte dignitosa. 
    L'eccezione - che la giustifica - alla regola di condotta ex art.
580  c.p.  affida  la  complessa  risoluzione   del   conflitto   tra
inviolabilita' del bene vita, salute e dignita' della persona ad  una
procedura  costitutiva  nella  quale  l'accertamento  anticipato  del
diritto all'aiuto "nel morire" e'  subordinato  alla  sussistenza  di
condizioni legalmente prefissate con la  evidente  finalita'  (tenuto
conto del richiesto intervento  normativo  allo  stato  mancante)  di
limitarne la praticabilita' muovendosi lungo un crinale  stretto  tra
la tipicita' dell'art. 580 c.p. e  la  legalizzazione  dell'aiuto  al
suicidio  ad  opera  della  scriminante   relazionale   riconducibile
all'art. 32 Cost. 
    La  causa  di  giustificazione   procedurale   presenta   invero,
caratteristiche affatto differenti da quelle sostanziali. 
    Diversamente   dal   bilanciamento   proprio   delle   cause   di
giustificazione sostanziali, la scriminante procedurale  permette  di
ricercare negli elementi fondanti la proceduralizzazione  costitutiva
i presupposti  necessari,  da  un  punto  di  vista  dommatico,  alla
legittimazione ex ante della lesione del bene giuridico in nome della
protezione primaria di altri beni. 
    L'azione  deve  dunque  ritenersi  autorizzata  sin  dal  momento
iniziale  del  suo  compimento  in  quanto  non  impedibile   perche'
sottoposta ad  una  procedura  di  controllo  pubblico  ex  ante  che
consente alla scriminante di intervenire non ex post, ma proprio  nel
momento della realizzazione del comportamento tipico,  privato  cosi'
anche della sua precettivita' penale. 
    Nella scriminante procedurale, il bilanciamento  degli  interessi
non avviene ex post in quanto rimesso al singolo giudice ma  ex  ante
essendo  ancorato  ad   una   procedura   costitutiva   di   liceita'
tassativamente predeterminata. 
    L'ancoraggio proposto dalla Corte costituzionale  alla  procedura
prevista dalla  legge  n.  219/2017  mira  proprio  a  ricondurre  le
pratiche di suicidio medicalmente assistito al controllo  medico  dei
presupposti legittimanti la cui esistenza sola  legittima  lo  spazio
riconosciuto di esercizio del diritto all'aiuto di morire. 
    La Corte costituzionale giunge  cosi'  ad  affermare  che  se  il
fondamentale rilievo del valore del bene vita non  esclude  l'obbligo
di rispettare la decisione del malato di porre fine alla propria vita
interrompendo i trattamenti sanitari, parimenti non v'e' ragione  per
la quale il medesimo valore debba tradursi in  un  ostacolo  assoluto
all'accoglimento della richiesta del malato di  avere  un  aiuto  che
valga a sottrarlo al decorso lento ma  comunque  inesorabile  che  lo
conduce alla morte. 
    La legge n. 219/2017 non consente tuttavia al medico di mettere a
disposizione del  paziente  che  rifiuta  un  trattamento  sanitario,
trattamenti  diretti  non  gia'  ad  alleviare  le  sofferenze  ma  a
provocarne la morte la quale dunque,  puo'  essere  in  alcuni  casi,
l'esito di un processo lento e carico  di  sofferenze  anche  per  le
persone care. 
    La non manifesta infondatezza della questione 
    I casi in esame si presentano in termini chiaramente differenti e
pur drammaticamente simili nell'esigenza pratica di non consentire al
paziente una cosi' dilagante sofferenza nella  fase  terminale  della
vita. 
    Ferme  tali  premesse,  questo  Giudice  ritiene  che  non  possa
accogliersi, cosi'  come  avanzata,  la  richiesta  di  archiviazione
formulata dalla locale Procura senza  essere  stato  preliminarmente,
risolto in senso favorevole all'interpretazione offerta,  il  quesito
di legittimita' costituzionale alla stessa sotteso:  ossia  se  possa
applicarsi ai casi in esame la fattispecie di  suicidio  medicalmente
assistito anche nell'ipotesi in cui il paziente non fosse  tenuto  in
vita da un trattamento sanitario  vitale  in  quanto  il  trattamento
sanitario offerto (nella specie, nuovo ciclo di chemioterapia per  la
sig.ra A e posizionamento PEG per il sig. N ) sia stato rifiutato dal
paziente in quanto futile o inutile perche' espressivo di accanimento
terapeutico secondo la scienza medica  e  non  dignitoso  secondo  la
sensibilita' e percezione del malato. 
    Questo Giudice ritiene che il presente giudizio non possa  essere
definito  indipendentemente  dalla  risoluzione  della  questione  di
legittimita' costituzionale indicata non potendosi,  per  le  ragioni
esposte, ricorrere all'interpretazione  costituzionalmente  orientata
della causa  di  giustificazione  procedurale  essendo  evidente  che
dilatare nella misura richiesta dalla Procura, la portata della causa
di giustificazione procedurale elaborata dalla Consulta porta con se'
il grave rischio di permettere al  singolo  giudice  di  spostare  il
delicato baricentro sul quale la stessa poggia ed e' stata  costruita
(operazione che per quanto esposto non puo' essere rimessa al singolo
giudice considerata la rilevanza costituzionale dei beni da tutelare)
giungendo ad una lettura pericolosamente contra legem. 
    Le norme costituzionali violate 
    Come affermato  da  autorevole  dottrina,  la  Costituzione  pone
precisi obblighi di tutela a carico del Diritto Penale: negli  ultimi
anni,  la  decisioni  sul  momento   terminale   della   vita   hanno
rappresentato tema di primaria  importanza  anche  in  considerazione
della posizione assunta e vigente negli altri ordinamenti  comunitari
(Olanda, Belgio, Lussemburgo, Spagna) e non (Svizzera, Nuova Zelanda,
Canada e numerosi Stati nordamericani) i quali muovendo dalla  "forza
espansiva" di taluni diritti fondamentali sono giunti ad escludere  o
a ridurre fortemente la  portata  dell'incriminazione  dell'aiuto  al
suicidio. 
    Violazione dell'art. 3 Cost. 
    Si  ritiene  che  l'esclusione  dall'ambito   applicativo   della
scriminante procedurale del suicidio medicalmente  assistito  di  chi
sia affetto  da  una  patologia  irreversibile  fonte  di  sofferenze
fisiche o psichiche intollerabili e sia capace di prendere  decisioni
libere e consapevoli ma non sia tenuto  in  vita  da  un  trattamento
sanitario vitale violi il principio di uguaglianza di cui all'art.  3
Cost escludendovi una situazione sostanzialmente identica. 
    Per quanto esposto, che nel caso di specie, sussistendo  tutti  i
requisiti previsti dalla  Corte  costituzionale  nella  pronuncia  n.
242/2019 ad esclusione di quello della dipendenza dei pazienti da  un
trattamento sanitario vitale,  non  risulta  possibile  ricomprendere
nell'ambito applicativo della causa di giustificazione  del  suicidio
medicalmente assistito, il caso in esame. 
    Tale esclusione crea tuttavia  una  irragionevole  disparita'  di
trattamento in quei casi, come quelli in esame, in  cui  il  paziente
affetto da una patologia irreversibile fonte di sofferenze fisiche  o
psicologiche  che  trova  assolutamente  intollerabili,   capace   di
prendere decisioni libere e consapevoli, non ha  voluto  iniziare  un
trattamento sanitario  vitale  perche'  ritenuto  inutile  rifiutando
anche la sedazione palliativa profonda  e/o  la  terapia  del  dolore
perche' non corrispondente alla propria visione  della  dignita'  nel
morire e carico di sofferenze per le persone care. 
    Al fine di comprendere meglio le ragioni  sulle  quali  si  fonda
l'irragionevolezza  lamentata  occorre  approfondire  la  nozione  di
trattamento sanitario vitale. 
    In proposito, si ricorda che non e' presente nell'ordinamento una
nozione legislativa di "trattamento di sostegno vitale". 
    In   giurisprudenza,   si   sono   gia'   registrati   casi    di
interpretazione assai lata del concetto, fino al punto di  includervi
"qualsiasi  trattamento   sanitario   interrompendo   il   quale   si
verificherebbe la morte del  malato  anche  in  maniera  non  rapida"
(Corte d'Assise di Massa, sentenza 27.7.2020, n. 1, §15.2). 
    Tale  impostazione  e'  stata  confermata  dalla  Corte  d'Assise
d'Appello di Genova, nella sentenza n. 1/2021; in essa si legge,  che
la  persona  offesa  era  "sottoposta   a   trattamento   terapeutico
indispensabile per la sopravvivenza. Tale requisito e' stato  provato
durante l'istruttoria  dibattimentale  di  primo  grado,  perche'  e'
emersa la certezza che [egli] assumeva farmaci di significato vitale,
senza i quali non sarebbe  sopravvissuto".  Dunque,  il  concetto  di
"trattamento di sostegno vitale", in  questa  impostazione,  coincide
con quello di "farmaco di significato vitale". 
    La medesima impostazione e' stata  fatta  propria  dalla  Procura
della Repubblica di Bologna (cfr. procedimento n. 1976/2023 RGNR). 
    In  particolare,  la  Procura  bolognese  ha  ritenuto  che  tale
interpretazione   non    sia    solamente    corretta,    ma    anche
costituzionalmente  doverosa  alla  luce  dell'esigenza  di   evitare
irragionevoli disparita' di trattamento (art. 3 Cost.) e di garantire
il  "pieno  dispiegarsi  del  diritto   alla   manifestazione   della
personalita'" (art. 2 Cost.). 
    A fronte di un si ampio ventaglio di soluzioni interpretative, la
Procura della Repubblica in sede, attraverso una consulenza  tecnica,
demanda alla scienza medica il compito di fornire una definizione  di
"supporto vitale individuando i casi in cui tale trattamento non  sia
necessario  in  quanto   futile   e/o   espressivo   di   accanimento
terapeutico. 
    Secondo i massimi esperti di medicina  d'urgenza,  per  "supporto
vitale" deve farsi riferimento ad interventi non  curativi  necessari
al mantenimento in vita del paziente la cui  eliminazione  porterebbe
alla morte del paziente in un tempo relativamente breve (quale e'  il
caso dei presidi di alimentazione e idratazione artificiali)  nonche'
le forme di supporto  vitale  che  si  traducono  nella  sostituzione
artificiale di alcune  funzioni  organiche  (ventilazione  meccanica;
supporto per gli  scambi  gassosi;  supporto  alle  funzioni  renali,
cardiache o epatiche): "per supporto vitale si intende  l'insieme  di
tecniche (in continua evoluzione)  che  vicariano  funzioni  d'organo
compromesse. In loro assenza la vita non puo' essere mantenuta.". 
    Riassumendo per la scienza medica sono "trattamenti  di  supporto
vitale" quegli interventi che: 
      a. Non hanno funzione curativa, ma di sostituzione  transitoria
o permanente di una funzione  d'organo  compromessa,  allo  scopo  di
mantenere in vita il paziente; 
      b. Si trovano in rapporto diretto con il mantenimento  in  vita
del paziente stesso, nel senso che  la  sospensione  del  trattamento
determina necessariamente la morte del paziente in un  tempo  piu'  o
meno lungo. 
    Trattasi di trattamenti praticati  e  praticabili  solamente  per
guadagnare  tempo  in  presenza  di  una  condizione   potenzialmente
reversibile o per mantenere  in  vita  un  paziente  affetto  da  una
patologia irreversibile. 
    Al contrario, tali interventi non sono praticati ne'  praticabili
quando, sulla base di una  considerazione  squisitamente  medica,  si
appalesino  inutili,  futili   e   come   tali   qualificabili   come
"accanimento terapeutico" ai sensi dell'art. 2,  comma  2,  legge  n.
219/2017. 
    Tale ipotesi, a detta  del  consulente  dei  Pubblici  ministeri,
ricorre  quando  il  corpo  del  paziente  sia  ancora  in  grado  di
funzionare autonomamente, senza bisogno  di  aiuti  esterni,  oppure,
all'opposto, si sia in presenza di condizioni pre-terminali in cui la
riduzione delle funzioni  d'organo  e'  la  normale  circostanza  che
precede il decesso. In queste ipotesi, da un punto di  vista  medico,
tali  interventi  non  vengono  normalmente  neanche   attivati;   e'
possibile, poi,  che  si  verifichi  un  terzo  scenario:  a  seguito
dell'attivazione del trattamento di supporto  vitale,  le  condizioni
del paziente evolvono  in  modo  da  rendere  evidente  una  prognosi
sfavorevole, ragione per  cui  il  mantenimento  del  trattamento  si
trasforma - da strumento terapeutico volto a consentire un ripristino
di funzionalita' compromesse  -  in  una  forma  di  accanimento  che
prolunga l'ultima agonia. 
    Proprio questi limiti di utilita'  dei  trattamenti  di  supporto
vitale - che si traducono in limiti alla praticabilita' degli stessi,
alla luce  dell'art.  2,  comma  2,  legge  219/2017  -  inducono  il
consulente a concludere che "il  supporto  vitale  non  e'  un  passo
obbligato fra la vita e la  morte",  principio  su  cui  "larghissima
parte della comunita' medica, clinica e scientifica e' concorde". 
    Nel caso in esame, i trattamenti sanitari proposti ai sig.ri A  e
N  secondo  quanto  affermato  dai  consulenti  della  Procura  erano
inutili: l'attivazione non solo non  avrebbe  provocato  un  efficace
contrasto alla patologia e la  morte  sarebbe  comunque  sopraggiunta
inesorabilmente con l'aggravio di generare ai pazienti,  per  effetto
dell'avvio dei  proposti  trattamenti,  atroci  sofferenze  cosi'  da
rendere gli ultimi giorni di vita, infernali. 
    Nei casi esaminati, il suicidio assistito, lungi dal tradursi  in
una  indiscriminata  prevalenza  dell'autodeterminazione  individuale
sulle esigenze di tutela della vita  -  nel  rispetto  del  principio
solidaristico della Carta - ha rappresentato per i sig.ri  N  e  A  ,
consapevoli di andare incontro a morte certa in un tempo piu' o  meno
breve a causa della patologia  terminale  in  corso,  l'esercizio  in
concreto del diritto di autodeterminarsi nella fase  terminale  della
vita in modo rispettoso alla propria dignita' umana. 
    E' noto che il nostro ordinamento prevede che il malato terminale
in  trattamento  di  sostegno   vitale   possa   scegliere   tra   il
perseguimento di ogni possibile trattamento medico -  allo  scopo  di
allungare il piu' possibile la propria esistenza-. la  rinuncia  alle
cure in corso - accettando il piu' rapido evolvere della  malattia  o
del piu' o meno immediato sopraggiungere della morte con il  sostegno
della sedazione palliativa profonda e se del  caso,  la  terapia  del
dolore- o infine, il ricorso al suicidio assistito come strumento per
darsi la morte in modo rapido e indolore nel momento in cui  egli  lo
ritiene piu' coerente con il proprio concetto di dignita' umana. 
    Al contrario, il soggetto che - pur malato  -  non  si  trovi  in
condizioni di patologia irreversibile, ben potendo negare il  proprio
consenso  a  qualsiasi  forma  di  trattamento  sanitario  ai   sensi
dell'art. 32, comma 2, Cost. e della  legge  n.  219/2017,  non  puo'
ricorrere  a  pratiche  di  suicidio  assistito;  trattasi   di   una
limitazione coerente  con  i  principi  del  nostro  ordinamento  dal
momento che fino a quando vi e' una chance di guarigione, il soggetto
non affronta la prospettiva certa della propria morte preceduta da un
periodo piu' o meno lungo di decadimento fisico. 
    Del tutto irragionevole  -  e  dunque  discriminatoria  -  appare
invece, l'esclusione dalle pratiche di suicidio assistito di chi  pur
affetto da una patologia irreversibile e destinato a morte certa, non
abbia in corso un trattamento di sostegno vitale in quanto  futile  o
inutile. 
    Si   ha,   infatti,   in   questa   ipotesi   una   irragionevole
discriminazione  tra  soggetti  in  posizioni  del  tutto   analoghe:
entrambi gli appartenenti a queste due  categorie  si  trovano  nella
medesima   prospettiva   descritta   e   valorizzata   dalla    Corte
costituzionale  come  fondamento  di  legittimita'  del  ricorso   al
suicidio assistito. 
    Si tratta infatti, di persone  che  affrontano  con  certezza  la
prospettiva della loro morte, piu' o meno imminente, preceduta da  un
periodo piu' o meno lungo di decadimento fisico, accompagnato  spesso
da acute sofferenze fisiche. 
    La differenza del  trattamento  cui  sono  sottoposti  o  la  non
attuale - benche' certa e prossima sottoposizione  a  trattamenti  di
sostegno vitale sono fattori del tutto accidentali, che dipendono dal
tipo di patologia da cui il soggetto e' affetto. 
    Differenziare  tra  malati  terminali  che  possono  accedere   a
pratiche  di  suicidio  assistito  sulla  base  del  criterio   della
sottoposizione al trattamento sanitario vitale, nei casi come  quelli
esaminati in cui la sottoposizione al trattamento sanitale vitale  e'
inutile o futile ed in ogni caso  dolorosa  e  foriera  di  ulteriori
complicanze per la salute del paziente tenuto conto della precarieta'
delle  condizioni  di  salute,  appare  del  tutto  irragionevole  e,
pertanto, contraria all'art. 3 Cost. 
    Come evidenziato dalla consulenza del professor G  ,  le  persone
offese al cui suicidio l'odierno indagato ha contribuito  casualmente
- non erano e non avrebbero potuto essere sottoposte a trattamenti di
supporto vitale senza che cio' sfociasse in una forma di  accanimento
terapeutico - contrario, si noti, all'art. 2 della legge n. 219/2017. 
    Entrambi,  pero',  erano  soggetti  in  condizioni  di  patologie
irreversibili, fonte di sofferenza fisica e  psichica,  destinata  ad
esitare in un tempo piu' o meno  breve  nella  morte,  rispetto  alla
quale  gli  eventuali  trattamenti  medici  avrebbero  potuto   porsi
unicamente come rallentamento e non anche come impedimento. 
    R N , come attesta la c.t. dott.ssa S  ,  avrebbe  presto  dovuto
sottoporsi a  PEG,  trattamento  di  supporto  invasivo,  comportante
rischi ed effetti collaterali, ed aveva legittimamente deciso di  non
sottoporvisi. Scrive la c.t.: "come gia' suggeritogli, avrebbe  avuto
bisogno di ricorrere ad un presidio per l'alimentazione forzata (PEG)
al fine di evitare il rischio quotidiano di polmonite ab ingestis, va
detto, tuttavia, che il ricorso alla PEG avrebbe  incrementato  altri
rischi, di natura infettiva (infezione  cutanea  fino  all'ascesso  e
alla necrosi, piu' raramente peritonite o perforazione intestinale) e
meccanica  (ostruzione),  legati  alla  presenza  della  stomia.   In
aggiunta,  il  posizionamento   di   una   PEG   avviene   attraverso
l'esecuzione di una esofagogastroduodenoscopia, quindi di una manovra
invasiva, e, di regola, tale procedura va rinnovata  annualmente  per
la sostituzione del tubicino. La procedura  di  somministrazione  dei
nutrienti e' delicata per chi la pratica e  debilitante  per  chi  la
subisce, i nutrienti devono essere inseriti  a  temperatura  ambiente
rispettando  la  massima  igiene   e   previo   controllo   (mediante
aspirazione) della presenza  o  meno  di  residuo  gastrico  (la  cui
presenza preclude  la  possibilita'  di  somministrare  i  nutrienti,
quando capita, bisogna ritardarne la somministrazione). Il sig.  N  ,
edotto al riguardo, aveva deciso di non ricorrere a tale presidio: 
    Per di piu', tale trattamento, afferma il c.t. prof. G ,  sarebbe
stato futile: "E'  importante  sottolineare  che,  dato  il  continuo
peggioramento e l'irreversibilita' della malattia,  l'unico  supporto
vitale ipotizzabile in questo caso, cioe' la nutrizione  artificiale,
non era necessario, come peraltro dimostrato dal decorso  clinico,  e
quindi futile. Tale trattamento veniva peraltro fermamente  rifiutato
dal sig. N stesso, come dichiarato dalla moglie, sig.ra G G  G  ,  in
data 24 gennaio 2023: 
      "[...] Lui si opponeva fermamente all'idea della prospettazione
a  breve  dell'ausilio  di  presidi   quali   ad   esempio   la   PEG
(alimentazione forzata)." 
    Per E A , scrive il c.t. G che "i supporti vitali ipotizzabili in
futuro e discussi dalla sig.ra  A  con  i  curanti  avrebbero  potuto
essere due: 
      1. supporto della funzione renale, dato che questa, attualmente
sufficiente, sarebbe probabilmente peggiorata fino  ad  insufficienza
grave, data la presenza di metastasi, altre  alterazioni  anatomiche,
legate probabilmente allo stato infiammatorio indotto dal tumore. 
      2.  Supporto  respiratorio,  mediante  ventilatore   meccanico,
unicamente ipotizzato per  permettere  una  sedazione  profonda,  che
avrebbe comportato comunque perdita di  coscienza,  di  capacita'  di
intendere e di capacita' di volere. 
    In  entrambi  i  casi  (peraltro  unicamente  ipotizzabili),   il
supporto vitale, in  accordo  con  quanto  precedentemente  discusso,
sarebbe  pienamente   rientrato   nella   categoria   di   futilita',
configurandosi unicamente come accanimento terapeutico. 
    Non avrebbe infatti avuto altro effetto che  prolungare  l'agonia
in una malattia irreversibile, non curabile,  senza  possibilita'  di
recupero". 
    R N ed E  A  hanno  rifiutato  di  sottoporsi  a  un  trattamento
sanitario vitale com'era loro diritto fare, e sarebbero  deceduti  in
un lasso di tempo non brevissimo, in una condizione  da  essi  stessi
non  ritenuta  dignitosa  e  causativa  di  ulteriori  sofferenze  ai
rispettivi familiari. 
    Sanzionare la  condotta  di  terzi  e  ricomprenderla  nell'alveo
dell'illegalita'   penalmente   rilevante   solo   per   la   carenza
dell'attualita'  nel  senso  della   presenza   del   requisito   del
trattamento sanitario vitale in  corso  significherebbe  trattare  in
maniera differente situazioni di fatto  sostanzialmente  identiche  e
cosi' escluderle dalle situazioni meritevoli di  tutela  -  oggi  non
ricomprese - solo perche' tali pazienti non possono  o  non  vogliono
accedere a trattamenti sanitari vitali in quanto inutili (perche' non
provocherebbero agli stessi alcun effetto vitale) con la  paradossale
conseguenza di punire chi aiuta al suicidio una  persona  affetta  da
una patologia irreversibile (malato  oncologico  terminale  e  malato
affetto da patologia neurodegenerativa grave) non dipendente da alcun
trattamento sanitario. 
    Violazione degli artt. 2, 13 e 32 Cost 
    L'impossibilita' di accesso al suicidio assistito per i  pazienti
affetti da malattia irreversibile,  fonte  di  sofferenze  fisiche  o
psicologiche che trova intollerabili, capace  di  prendere  decisioni
libere e consapevoli e tuttavia, non  sottoposti  ad  un  trattamento
sanitario   vitale    determina    la    violazione    del    diritto
all'autodeterminazione  nelle  scelte  terapeutiche  nel   senso   di
limitarne l'esercizio imponendogli un'unica modalita' di congedo alla
vita. 
    E' evidente che nei casi in esame, l'assenza del requisito  della
dipendenza da trattamenti sanitari vitali condiziona  l'esercizio  di
tale  diritto  che  non   puo'   esplicitarsi   come   richiesta   di
interruzione, ma solo come rifiuto all'attivazione. 
    L'insussistenza di tale condizione in pazienti comunque terminali
determina una lesione ed  una  congiunta  violazione  della  dignita'
della persona essendogli consentito solo rifiutare il trattamento  ma
non anche accedere ad una morte rapida e  dignitosa  che  il  rifiuto
tout court del trattamento non gli consente. 
    E' evidente che persistendo il requisito in esame,  l'unico  modo
che avevano i sig.ri A e N di accedere  al  suicidio  assistito,  era
quello di iniziare un trattamento sanitario che  ab  origine  sarebbe
stato inutile secondo quanto indicato dai  medici,  per  poterlo  poi
interrompere. 
    Una simile prospettiva anziche' ridurla - nella prospettiva della
pronuncia n. 242/2019 - avrebbe invece, provocato  un  aumento  della
sofferenza esponendo il paziente ad un sacrificio anche  fisico  (per
le  conseguenze   che   i   trattamenti   proposti   provocherebbero)
ulteriormente gravoso nelle precarie condizioni di salute nelle quali
si trovava ledendo la sua dignita' di uomo e di persona. 
    Come affermato dalla Corte  costituzionale,  l'area  di  liceita'
della fattispecie di suicidio assistito involge  due  direttrici:  la
morte (inesorabile) e il tempo (percepito troppo lento). 
    Quanto l'interruzione da  un  trattamento  sanitario  vitale  non
provoca rapidamente  la  morte  del  paziente  che  e'  costretto  ad
un'attesa  carica  di  sofferenza  e  dolore,  per  il  rifiuto  alla
sedazione profonda, la Corte costituzionale ha affermato che non  "vi
e' ragione per la quale il fondamentale rilievo del valore della vita
debba  tradursi  in  un  ostacolo  assoluto,  penalmente  presidiato,
all'accoglimento della richiesta del malato di un aiuto che  valga  a
sottrarlo al decorso  piu'  lento  conseguente  all'interruzione  dei
presidi di sostegno vitale". 
    Analoga esigenza sussiste nel caso in esame, in cui i trattamenti
sanitari non sono attivi e non avrebbe alcuna  utilita'  attivarli  e
pur tuttavia, per  l'assenza  del  requisito,  nel  caso  in  cui  il
paziente rifiuti le cure palliative e la sedazione profonda, dovrebbe
essere lasciato ad attendere la morte senza alcuna tutela per la  sua
dignita' di uomo e per il carico di  sofferenza  che  l'attesa  della
morte comporta. 
    Norme sovranazionali violate: il contrasto con gli artt. 8 Cedu e
14 Cedu 
    La Corte Edu ha avuto modo di pronunciarsi molte volte  sul  tema
dell'aiuto al suicidio richiamando gli art.  2  (tutela  del  diritto
alla vita) e art. 8 (diritto dell'individuo al  rispetto  della  vita
privata e familiare). 
    Secondo il quadro vigente; la giurisprudenza della Corte EDU (sin
dalla sentenza 29 aprile 2002, P c. Regno Unito,  H  c.  Svizzera  20
gennaio 2011 e K c. Germania 18 luglio  2013),  in  materia  di  fine
vita, segnala una  graduale  apertura  verso  il  riconoscimento  del
diritto a morire con dignita'. 
    In particolare, il diritto di scegliere di morire con dignita' e'
ormai  pacificamente  considerato  un  aspetto  della  vita   privata
tutelato dall'art. 8 CEDU; sempre di  piu',  il  consenso  informato,
quale scelta morale dell'individuo, e' riconosciuto come  un  aspetto
centrale nelle decisioni relative al fine vita. 
    Secondo  l'interpretazione  evolutiva  che  ha   determinato   il
progressivo ampliamento della portata della  previsione  dell'art.  8
CEDU, in linea con una graduale ma sempre piu' ampia affermazione del
diritto  di  vivere  nel  modo  piu'  corrispondente   alle   proprie
inclinazioni, per i giudici di Strasburgo le questioni di  fine  vita
debbono piu' correttamente essere inquadrate invocando l'applicazione
dell'art. 8 CEDU che garantisce l'individuo nel godimento di  diritti
legati all'autonomia personale da interferenze statali, non  previste
per legge, che perseguano uno scopo legittimo e siano  necessarie  in
una societa' democratica. 
    L'ingerenza nel suo esercizio da parte dello  Stato  deve  quindi
essere "necessaria in una societa' democratica". 
    L'interferenza  deve  essere  sorretta  da  motivi  pertinenti  e
sufficienti ed essere proporzionale alla finalita' perseguita, ovvero
garantire un  corretto  equilibrio  tra  l'interesse  del  singolo  e
l'interesse generale, in un  contesto  -  "la  societa'  democratica"
caratterizzato da pluralismo, tolleranza e spirito di apertura. 
    Nel  valutare  la  giustificazione  dell'ingerenza  statale   nel
godimento di un diritto, la Corte muove  sempre  dal  riconoscere  un
margine  di  apprezzamento  agli   Stati   ovvero   uno   spazio   di
discrezionalita'  nel  dare  attuazione  ai  diritti  previsti  dalla
Convenzione europea negli ordinamenti interni. 
    Trattasi di uno spazio dai confini mobili la cui ampiezza varia a
seconda del livello di omogeneita' degli ordinamenti europei  in  una
determinata materia, della  natura  particolarmente  controversa  dal
punto di  vista  etico  della  questione  sottoposta  e  dell'aspetto
specifico del diritto che si lamenta violato. 
    Ora, benche' la giurisprudenza della Corte EDU non sia  priva  di
incongruenze, essa  presenta  spunti  che  inducono  a  ritenere  che
l'ultimo diritto di  ogni  uomo  ed  ogni  donna  possa  trovare  una
collocazione sul piano della tutela diritti fondamentali. 
    Pertanto,  al  di  la'  della  mancanza  di  consenso   tra   gli
ordinamenti dei  Paesi  europei,  in  forza  dei  principi  espressi,
poiche' la normativa statale (la  nostra)  ammette  sia  pure  con  i
limiti indicati, la liceita' del suicidio medicalmente assistito,  si
ritiene che lo stesso debba essere assicurato  senza  discriminazione
da valutarsi secondo il parametro "di ogni altra condizione" a  tutti
i  malati  che  si  trovano  nelle  medesime  condizioni   cosi'   da
salvaguardare in concreto il godimento dei diritti e  delle  liberta'
fondamentali. 
    Pertanto, in  casi  come  quelli  in  esame,  la  "dipendenza  da
trattamenti  di  sostegno  vitale"  quale  condizione   di   liceita'
dell'aiuto  al  suicidio  medicalmente  assistito  si  ritiene  possa
integrare una violazione degli artt. 117 Cost e art. 8 Cedu in quanto
non vi sarebbe giustificazione dell'ingerenza statale - ancorata alla
necessita' di tutela delle vittime vulnerabili ex art. 2  -  rispetto
alla contrazione  del  diritto  di  autodeterminazione  del  paziente
trattandosi di pazienti capaci di autodeterminarsi nelle questioni di
fine vita (diritto garantito dall'art. 8 Cedu)  e  genererebbe  cosi'
una discriminazione rispetto ad una condizione  personale  del  tutto
accidentale in quanto dipendente dalla tipologia di malattia. 
    Sulla base di quanto esposto, non potendosi  nei  casi  esaminati
applicare la causa di non punibilita' procedurale  enucleata  con  la
sentenza della Corte costituzionale n.  242/2019  nemmeno  attraverso
una lettura costituzionalmente orientata, la condotta posta in essere
da  M  C  deve  ritenersi   astrattamente   sussumibile   nell'ambito
applicativo dell'art. 580 cp. 
    Tale applicazione si ritiene tuttavia in contrasto con gli  artt.
2. 3, 13 e 32 Cost della Costituzione e  8  e  14  della  Convenzione
Europea  dei  Diritti  dell'Uomo  in  quanto   lesiva   del   diritto
all'autodeterminazione del malato non dipendente  da  un  trattamento
sanitario vitale e tuttavia affetto da  una  patologia  irreversibile
fonte di sofferenze  fisiche  o  psicologiche  intollerabili  che  ha
manifestato  la  propria  decisione,  formatasi  in  modo  libero   e
consapevole, di porre fine alla propria vita. 

 
                              P. Q. M. 
 
    Visti gli art. 134 Cost e 123 e ss legge n. 87/1953 
 
                              Dichiara 
 
    Rilevante  e  non  manifestamente  infondata  la   questione   di
legittimita' costituzionale relativa all'art. 580 cp nella  parte  in
cui prevede la punibilita' della condotta  di  chi  agevola  l'altrui
suicidio nella forma di aiuto al suicidio medicalmente  assistito  di
persona non tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno  vitale
affetta da una patologia irreversibile fonte di sofferenze fisiche  o
psicologiche  intollerabili  che   abbia   manifestato   la   propria
decisione, formatasi in modo libero e consapevole, di porre fine alla
propria vita per violazione degli art. 2, 3,  13,  32,  117  Cost  in
riferimento agli art. 8 e 14 Cedu. 
 
                               Dispone 
 
    ai sensi dell'art. 23 legge n. 87/1983  l'immediata  trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso. 
 
                              Sospende 
 
    Il procedimento e i relativi  termini  prescrizionali  sino  alla
definizione  del   procedimento   incidentale   avanti   alla   Corte
costituzionale. 
 
                                Manda 
 
    Alla cancelleria perche' provveda alla  notifica  della  presente
ordinanza  all'indagato,  ai  sig.ri  Pubblici  Ministeri  presso  il
Tribunale di Milano, al Sig. Presidente del Consiglio dei ministri  e
che  sia  comunicata  ai  sig.ri  Presidenti  delle  due  Camere  del
Parlamento. 
      Milano, 21 giugno 2024 
 
           Il Giudice per le Indagini Preliminari: Cipolla