N. 164 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 giugno 2024
Ordinanza del 21 giugno 2024 del G.I.P. del Tribunale di Milano nei
procedimenti penali riuniti a carico di M. C..
Reati e pene - Aiuto al suicidio - Previsione della punibilita' della
condotta di chi agevola l'altrui suicidio nella forma di aiuto al
suicidio medicalmente assistito di persona non tenuta in vita a
mezzo di trattamento di sostegno vitale affetta da una patologia
irreversibile fonte di sofferenze fisiche o psicologiche
intollerabili che abbia manifestato la propria decisione, formatasi
in modo libero e consapevole, di porre fine alla propria vita.
- Codice penale, art. 580.
(GU n. 38 del 18-09-2024)
TRIBUNALE DI MILANO
Sezione dei Giudici per le indagini preliminari e dell'udienza
preliminare
Il Giudice per le indagini preliminari, dott.ssa Sara Cipolla,
letta la richiesta di archiviazione avanzata dai sig.ri Pubblici
Ministeri dott.ssa Tiziana Siciliano e dott. Luca Gaglio in data 15
settembre 2023, nei confronti di C M , nato a , residente a
in n. , elettivamente domiciliato presso il difensore di fiducia
avv. Filomena Gallo, difeso di fiducia dall'avv. Filomena Gallo del
Foro di Roma, con studio in Roma, Piazza Tuscolo, n. 5, scala G, pec
avv.filomenagallo@pec.it - presso il cui studio e' domiciliato e
dall'Avv. Tullio Padovani del foro di Pisa, con studio in Pisa, via
Crispi n. 38
Indagato
per i reati p. e p. dall'art. 580 c.p., commessi
in data in , e ( ) nei confronti della persona offesa
E A , nata a ( ) il ;
in data in e ( ) nei confronti della persona offesa R N
, nato a il ;
visto il provvedimento del Presidente della Sezione Gip - Gup
presso il Tribunale di Milano in data di assegnazione del
procedimento alla sottoscritta A.G.
osserva
il presente procedimento prende avvio dalle denunce sporte da M C
- tesoriere dell'Associazione L C - il quale presentatosi, in data e
in data , presso i Carabinieri di , Stazione di , dichiarava
di aver accompagnato E A e R N in S ove gli stessi avevano
programmato, in apposite strutture autorizzate, il proprio fine vita
avvenuto mediante auto-somministrazione di farmaco attraverso la
procedura di suicidio assistito.
Disposta la riunione stante la connessione soggettiva e oggettiva
per continuazione dei fatti oggetto dei procedimenti, i sig.ri
Pubblici Ministeri - espletati i necessari approfondimenti istruttori
- ne richiedevano l'archiviazione ritenendo che gli elementi
acquisiti agli atti non consentivano di formulare una ragionevole
prognosi di condanna.
Gli elementi fattuali che scandiscono i tempi della presente
vicenda giudiziaria emergono dagli atti d'indagine con precisione
riferiti dall'organo inquirenti alla cui ricostruzione puo' essere
fatto riferimento.
I fatti
il decesso di E A
"La sig.ra E A si era sottoposta in data ad accertamenti clinici
a seguito di una sintomatologia caratterizzata da modesta tosse,
astenia e febricola che la affliggeva da un paio di mesi. La diagnosi
appariva sin dalla prima TAC di estrema gravita': un microcitoma
polmonare, gia' diffuso in plurimi organi, che lasciava ben poche
speranze (vedasi cartella clinica n. Ospedale dell' - n. ).
La signora A , pur pienamente consapevole della prognosi infausta,
accettava, su insistenza dei familiari, di sottoporsi a
chemioterapia, mossa soprattutto dalla preoccupazione che una
metastasi raggiungesse l'encefalo, privandola delle sue capacita'
fisiche e cognitive.
L'iniziale beneficio della chemioterapia, assai mal tollerata
dalla paziente, era comunque di breve durata. Passati pochi mesi la
malattia si ripresentava ancora piu' aggressiva interessando
l'encefalo, i reni, il cuoio capelluto (vedasi referto , stilato
sempre presso l' dell' - Divisione Chirurgia Maxillo-facciale,
recante diagnosi di carcinoma al cuoio capelluto e cute del collo).
In data i medici proponevano alla paziente un nuovo e piu'
intenso ciclo chemioterapico che la stessa rifiutava, nella
convinzione della assoluta inutilita' della terapia se non al solo
fine di rallentare l'exitus della malattia: veniva quindi suggerita
dai curanti l'attivazione del Nucleo Cure Palliative tramite il
medico di medicina generale (vedasi Relazione di datata , agli
atti).
La sig.ra A , a quel punto, dichiarando che non intendeva esser,
ricoverata e/o supportata nelle sue funzioni vitali da macchinari,
chiedeva di essere sottoposta a sedazione profonda ricevendo tuttavia
dai curanti risposta negativa dal momento che tale strada avrebbe
potuto esser percorsa solo nel caso fosse stata "assistita ed
ancorata a supporto vitale meccanico" (come riferito a s.i.t. dal
marito L C , in data .)
La malattia progrediva dolorosamente nonostante la prosecuzione
dell'immunoterapia.
Un carcinoma squamoso al cuoio capelluto (asportato), secondario
all'originario microcitoma, l'aveva costretta ad un innesto cutaneo
che, a causa della malattia, non attecchiva lasciandole un'ampia
esposizione ossea alla base del cranio.
Nel frattempo, comparivano nuove formazioni in area addominale
mentre quelle precedenti, soprattutto a carico del polmone, si
espandevano cagionandole gravi problemi respiratori, soprattutto
notturni.
La malattia aveva ormai raggiunto un'estensione tale che nessun
trattamento radioterapico appariva proponibile.
Il la signora, accompagnata dal marito, suo fiduciario,
presentava in Comune le DAT con espresso rifiuto di terapie
salvavita.
Gia' dal mese di febbraio E A aveva iniziato in autonomia una
ricerca su internet per individuare strutture che offrissero un
accompagnamento al fine vita volontario (cfr. dichiarazioni rese a
s.i.t. dal marito L C ) dichiarandosi, inequivocabilmente, contraria
a cure palliative a lungo termine.
Dalla documentazione clinica, da quella olografa ("diario
testamentale") e dalle s.i.t. rese dal marito L C in data , si evince
che E A sapendo di essere affetta da una malattia incurabile, per
l'esperienza personale acquisita attraverso l'assistenza prestata ai
famigliari, "aveva avuto una chiara rappresentazione di quanto fosse
atroce morire per soffocamento" e voleva cessare di vivere quando
ancora aveva la possibilita' di scegliere e di evitare una lunga
agonia. Dagli scritti olografi si intuisce inoltre anche la volonta'
di non gravare i suoi parenti piu' stretti; che l'avevano e
l'avrebbero accudita, di ulteriori sofferenze.
Dopo una lunga ricerca, la sig.ra A optava per la struttura
svizzera " " e, dopo aver preso accordi con quest'ultima,
contattava M C che le offriva la sua disponibilita' ad accompagnarla
in Svizzera, attesa la sua incapacita' a spostarsi autonomamente.
Come da accordi, C prelevava in auto la signora A nel giorno
concordato e la accompagnava presso la " ", ove fa sua domanda
in esito ad accurato iter di verifica delle condizioni poste dalla
legislazione svizzera era stata accettata.
La signora A decedeva, a seguito di auto somministrazione di un
farmaco letale, in data ."
Il decesso di R N
I problemi di salute di R N compaiono tra la fine dell'anno e
l'inizio palesandosi con cadute ingiustificate e rallentamento
motorio. "A seguito di risonanza magnetica (nel ) e di visita
neurologica (nell' ), i medici diagnosticavano una vasculopatia
ischemica cerebrale diffusa con importante atrofia corticale sovra/
sotto tentoriale. All'esame obiettivo della visita neurologica
vengono anche accertati segni di disfunzione extrapiramidale
(ipertono plastico atto superiore sinistro c.d. arto alieno,
deambulazione rallentata a piccoli passi) e disturbi della
deglutizione (scialorrea e presenza di eccessiva saliva in bocca)"
(referto neurologo dott. G. A del ).
La malattia, identificata in un Parkinson Atipico, progrediva
velocemente, costringendo il N ad un'assistenza continua per
vestizione, igiene personale, e nutrizione. Anche i piu' piccoli
gesti - quali abbottonarsi la camicia, farsi la barba - risultavano
irrealizzabili, rivelando un'incapacita' di eseguire compiti motori
intenzionali nonostante la volonta' e la conservata capacita' fisica,
quale conseguenza di un danno cerebrale.
In data , presso gli di , R N iniziava un
percorso riabilitativo con progetto complessivo di riabilitazione del
deficit volto al rinforzo del controllo posturale, automatismi,
schema del passo, prevenzione cadute ed un programma neuromotorio per
incremento stenico, propriocettivo, recupero reazioni posturali:
nonche' un percorso per l'autosufficienza destinato "all'incremento
della sicurezza nelle ADL, incremento delle autonomie con oggetti
della vita quotidiana modificati, valutazione ausili".
Nelle more dello sviluppo del programma veniva sottoposto a test
in esito ai quali emergevano anche evidenti problemi di deglutizione,
peggioramento progressivo motorio (sindrome arto alieno sx) con
perdita di autonomia nei passaggi posturali.
Benche' sottoposto a trattamento riabilitativo fisico e
logopedico, in R N si palesava una progressiva perdita dell'autonomia
in tutte le attivita' quotidiane (come si evince dal peggioramento
dei punteggi nelle scale di valutazione) e progressive difficolta'
nella scrittura.
Nonostante il grave decadimento fisico, R N conservava la
capacita' cognitiva risultando vigile ed orientato nel tempo e nello
spazio; utilizzava il computer in autonomia, collaborando ancora con
la rivista per la quale scriveva (relazione del c.t. neurologico del
PM dott.ssa S , pag. ).
In data a causa della frattura - avvenuta in ambito domestico
per una caduta accidentale del femore destro, il sig. N veniva
ricoverato presso l' di in previsione di un intervento per la
riduzione della stessa, eseguito in data .
L'inarrestabile e rapido peggioramento di R N e' comprovato anche
da un documento sottoscritto dal medico neurologo dottoressa E D 'A
degli , in data , la quale, nel diagnosticare una disfagia in
parkinsonismo, indicava per N la necessita' di nutrizione centrale
con fabbisogno giornaliero di 8 vasetti di acquagel/die, non essendo
egli piu' in grado di assumere autonomamente liquidi. Solo la
dedizione della moglie G G G , che continuera' a cucinare e
sminuzzare il cibo rendendolo omogeneizzato accompagnato da acquagel,
permetteva a N di continuare a cibarsi con quanto gli veniva
preparato (vedasi verbale di s.i.t. rese dalla G G alla P.G. di
questa Procura il presso la sua abitazione, essendo lei stessa
affetta da grave patologia).
Dopo la frattura al femore, il sig. N non riprendera' piu' a
camminare: non essendo piu' in grado nemmeno di utilizzare il
«girello» (cd walker), era costretto ad avvalersi di una sedia a
rotelle per qualsiasi spostamento - e per sempre (s.i.t. della moglie
G G , gia' citate).
All'esito della visita neurologica effettuata in data presso gli
di , il medico di riferimento dott.ssa E. D A certificava nel modo
che segue la gravita' delle condizioni di salute di R N :
"degenerazione cortico-basale e disautonomia con ricorrenti episodi
sincopali a cui si associano postumi di prostatectomia parziale.
Scoliosi sinistro-convessa con importante spondiloartrosi, discopatia
dorso-lombare e cervicale inferiore, postumi di recente frattura
della testa del femore ridotta chirurgicamente. Tali condizioni
determinano: aprassia, disartria (perdita della capacita' di
articolare le parole in modo normale), disfagia, apatia, deficit
della postura, deficit dell'equilibrio, deficit del cammino, cadute
ricorrenti con traumatismi, deficit del linguaggio, deficit della
memoria e degli orientamenti, movimenti involontari (c.d. «arto
alieno») perdita delle autonomie relative alla cura della persona,
all'igiene, all'abbigliamento, agli spostamenti infra ed extra
domiciliari, alla gestione del denaro e delle scelte, alla vita di
relazione, necessita' di assistenza diretta intensa e continuativa
per le attivita' di vita quotidiana e di relazione. Il quadro clinico
descritto, per la natura neurodegenerativa della malattia, la scarsa
responsivita' dei sintomi ai trattamenti farmacologici normalmente
utili in altri parkinsonismi, non e' suscettibile di significativi
miglioramenti, ne' a breve ne' a lungo termine, nonostante gli
adeguati interventi terapeutici farmacologici e riabilitativi e
comporta la costante necessita' di assistenza da parte di terzi".
Il quadro, gia' drammatico, subiva un ulteriore e progressivo
peggioramento in data , contraeva il virus SARS - Covid 19, a seguito
del quale, secondo quanto riferito dalla vedova, lo stesso era stato
definitivamente condannato all'immobilita' ed all'allettamento.
La rivalutazione neurologica effettuata in data dal dottor L T ,
presso l' di dell' , cosi' concludeva: "nel corso dei mesi
peggioramento della abilita' motorie, con attuale persistenza in
carrozzina per gli spostamenti e impossibilita' alla deambulazione,
con riferito incremento della rigidita' disartria e bradilalia
(anomalo rallentamento dell'espressione verbale) ma sfera cognitiva
apparentemente preservata con partecipazione alle attivita'
famigliari per quanto possibile, mantiene interesse per l'attualita'
mediante la televisione (...). Paziente lucido orientato su spazio e
tempo disartria marcata oftalmoplegia (paralisi della muscolatura dei
bulbi oculari) Conclusioni: parkinsonismo atipico, il paziente
necessita di assistenza continuativa, pur con un quadro cognitivo
che, per quanto valutabile, appare globalmente conservato".
La gravita' progressivamente ed inarrestabilmente peggiorativa-
delle condizioni di salute di R N si desume altresi' dalla
documentazione clinica ripotata nell'elaborato del consulente tecnico
del P.M. dott.ssa M. S :
" - : Diario Cure palliative
domiciliari (Referente clinico: C S; Case
manager: M V ; medico palliativista dott.ssa S C ): si riportano i
dati relativi alle scale di valutazione effettuate durante il periodo
assistenziale. Area di comunicazione (scala di Bernardini): Grave >
comunicazione molto compromessa, si ottengono risposte solo con
domande che prevedono risposte si/ no e fornendo facilitazioni
contestuali e gestuali. Area cognitivo-comportamentale: lucido
orientato, funzioni psichiche e percezione sensoriale nella norma.
Area clinica: nella norma respirazione e funzione cardiovascolare,
presenza di disfagia, incontinenza urinaria e fecale. Scala di
Norton: condizione clinica discreta mentalmente sveglio e cosciente,
costretto a letto, immobile, incontinenza urinaria e fecale > stato
di terminalita' non oncologica. Scala di Barthel: punteggio pari a 0
(zero), indicativo di totale dipendenza nelle ADL (Activities of
Dalily Living, sono le attivita' che un individuo adulto compie in
autonomia e senza il bisogno di assistenza per sopravvivere e
prendersi cura di se'). Scala di Braden: percezione sensoria
limitata, ridotta capacita' di comunicare disagio, dolore, necessita'
di cambiare posizione; occasionalmente bagnato (cambio lenzuola una
volta al giorno/allettato e completamente immobile; nutrizione
adeguata (omogeneizzati), richiede assistenza per movimenti e
riposizionamenti nel letto (punteggio 12, indicativo di rischio
medio/elevato). Scala di Karnofsky: severamente disabile. Da
segnalare, inoltre, dolori diffusi da allettamento, per i quali
assumeva Tachidol, e presenza di ulcere cutanee 1° e 2° stadio. Dalla
lettura del diario delle numerose visite effettuate dal medico
palliativista nel periodo si evince come il paziente e la moglie
fossero consapevoli del quadro clinico. Durante tutto il periodo
assistenziale il sig. N ha presentato spesso la necessita' di essere
trattato per la presenza di secrezioni bronchiali."
R N aveva manifestato la sua intenzione di porre fine
volontariamente alla sua vita gia' nella primavera del , acquista la
consapevolezza che nessuna terapia avrebbe potuto migliorare la sua
condizione.
Aveva rifiutato categoricamente l'ausilio di presidi quali ad
esempio la PEG per l'alimentazione forzata.
Era lucido e determinato nel non voler accettare ulteriori e
maggiori sofferenze rispetto a quelle che gia' la vita gli gia' stava
destinando.
Aveva formulato - nella pienezza delle sue capacita' cognitive -
una esplicita richiesta di aiuto per realizzare quella che lui
riteneva essere la fine delle sue sofferenze e soltanto in adesione a
questa richiesta la moglie, in sua vece, contattava l'associazione C
per avere le necessarie informazioni.
Lo stesso N incontrava M C spiegandogli le ragioni della sua
scelta e chiedendogli il suo aiuto. Quando anche la moglie del sig. N
si ammalava di carcinoma al polmone che la costringeva cosi',
forzatamente, a diminuire la sua assistenza al marito, i contatti tra
il N e M C non ebbero piu' intermediari.
Cosi', in adesione alla chiara e manifesta volonta', nel giorno
concordato, M C si recava in auto a prelevare il sig. N presso la sua
abitazione e lo accompagnava presso la struttura svizzera - D - che
aveva accettato la sua domanda.
Il sig. N decedeva presso tale clinica in data per
auto-assunzione di un farmaco letale."
La richiesta di archiviazione della Procura della Repubblica
presso il Tribunale di Milano
Sulla base delle evidenze fattuali, alla luce degli elementi
istruttori raccolti (verbali di s.i.t. e relazioni di consulenza
tecnica) e presenti in atti, i sig.ri Pubblici Ministeri hanno
chiesto a questo Giudice di accogliere la richiesta di archiviazione
presentata ritenendo che la condotta contestata all'odierno indagato
rientri nell'area di non punibilita' dell'art. 580 cp come
circoscritta dalla Corte costituzionale con sentenza n. 242/2019.
Sostengono gli scriventi PM che "una lettura costituzionalmente
orientata dell'art. 580 c.p., alla luce del disposto degli artt. 2 e
32 della Carta, della sentenza n. 242/2019 Corte Cost. e del dettato
della legge n. 219/2017, impone di ritenere che rientrino nell'ambito
di non punibilita' delineato dalla Corte anche i casi in cui - in
presenza di tutti gli ulteriori requisiti - il paziente non sia
tenuto in vita per mezzo di trattamenti di sostegno vitale, in quanto
egli stesso rifiuti trattamenti che - si - rallenterebbero il
processo patologico e ritarderebbero la morte senza poterla impedire,
ma sarebbero futili o espressivi di accanimento terapeutico secondo
la scienza medica; non dignitosi secondo la percezione del malato e
forieri di ulteriori sofferenze per coloro che lo accudiscono.
Anche in tali casi, dovrebbe ritenersi che il soggetto che - come
M C nei casi in esame - agevoli il suicidio di una persona affetta da
malattia irreversibile e che provochi estrema sofferenza, che
coscientemente e lucidamente abbia deciso di porre fine alla propria
vita, e che rifiuti di sottoporsi a trattamenti di sostegno vitale
futili, esercitando un diritto garantitogli dall'att. 32 Cost. e
dalla legge n. 219/ 2007, non violi il bene giuridico protetto
dall'art. 580 c.p., ma anzi consenta il concreto esercizio del
diritto all'autodeterminazione cosi' come sopra delineato e
positivamente presidiato, nei casi in cui il titolare del diritto non
sia in grado di esercitarlo autonomamente.
Questi Pubblici Ministeri ritengono dunque che il presente
procedimento debba essere archiviato in quanto la condotta
dell'imputato appare riconducibile alla fattispecie di non
punibilita' enucleata dalla Corte costituzionale con la sentenza n.
242/2019. M C , infatti, ha aiutato a suicidarsi due soggetti,
entrambi affetti da patologie irreversibili e destinate ad esitare
con certezza nella morte degli stessi in tempo relativamente breve,
fonte per loro di sofferenze psicologiche e fisiche insopportabili.
Entrambi i soggetti, poi, erano capaci di intendere e di volere. E'
certo, inoltre, che il suicidio assistito delle persone offese sia
avvenuto nel rispetto di procedure equivalenti a quelle di cui alla
legge 219/2017, in conformita' alla legge del luogo ove il suicidio
si e' verificato.
Le persone offese in questione, infine, avevano rifiutato la
prossima sottoposizione a "trattamenti di sostegno vitale" che
potevano scientificamente definirsi come espressione di accanimento
terapeutico.
Gli scriventi ritengono, infine, che se il Giudice non ritenesse
possibile accogliere l'interpretazione proposta per cui alla
sottoposizione a trattamenti di sostegno vitale debba assimilarsi il
rifiuto di sottoporvisi qualora gli stessi siano futili, espressivi
di accanimento terapeutico e forieri di ulteriori sofferenze per il
malato e coloro che lo accudiscono -, l'unica strada praticabile
rimarrebbe quella di rimettere nuovamente gli atti alla Corte
costituzionale perche' si pronunci sul contrasto - rilevante e non
manifestamente infondato - tra il requisito sub C inteso in senso
restrittivo e il parametro di cui all'art. 3 Cost."
Rilevanza della questione di legittimita' costituzionale
Questo Giudice, invitata dai sig.ri Pubblici Ministeri ad una
lettura costituzionalmente orientata dell'art. 580 cp, e' chiamata ad
applicare la nuova causa di giustificazione come delineata dalla
Corte costituzionale con sentenza n. 242/2019 in presenza della quale
la condotta di agevolazione al suicidio astrattamente riconducibile
nell'ambito applicativo dell'art. 580 cp, non e' punibile.
Si ritiene tuttavia, per le ragioni che si andranno ad esporre,
non riconducibile nell'ambito applicativo della scriminante
procedurale e dunque, estranea alla previsione di cui all'art. 408
cpp (ed al parametro di giudizio ivi contenuto), la condotta posta in
essere dall'odierno indagato invero astrattamente sussumibile
nell'alveo dell'art. 580 cp, risultando in atti che M. C ha
provveduto ad accompagnare in Svizzera nelle clinicheut sopra citate,
i sig.ri A e N affetti da una patologia irreversibile, fonte di
sofferenze fisiche o psicologiche assolutamente intollerabili, capaci
di prendere decisioni libere e consapevoli ma non tenuti in vita da
trattamenti sanitari vitali, nella consapevolezza che ivi avrebbero
realizzato i propri propositi suicidari come e' poi avvenuto.
Inquadramento giuridico della vicenda in esame: l'astratta
applicabilita' dell'art. 580 cp
La centralita' della questione afferente all'applicazione o meno
della fattispecie di cui all'art. 580 cp - posta nel titolo XII del
Libro II del codice penale tutelante i beni giuridici della vita e
della incolumita' individuale - attiene alla sussunzione o meno
nell'area del penalmente rilevante della condotta di chi, come nel
caso di specie, presti un mero aiuto materiale (ndr. "accompagnamento
in auto") a colui che - affetto da una patologia irreversibile e
dunque destinato a morte certa - intenda suicidarsi mediante auto
somministrazione di un farmaco letale (c.d. suicidio medicalmente
assistito).
Nessun dubbio sussiste invero, sulla. assenza nel caso, di un
nesso di causalita' psichica tra la condotta dell'agente e la
determinazione del malato a porre fine alla propria vita; bensi',
all'opposto, e' pacifico in causa che il contatto tra le odierne
"persone offese" e l'imputato sia avvenuto proprio in ragione della
preesistente determinazione suicidaria delle stesse.
E' certo che la condotta di agevolazione all'esecuzione del
suicidio medicalmente assistito non e' punibile nel nostro
ordinamento ricorrendo i requisiti enucleati dalla pronuncia della
Corte Costituzionale 242/2019, ossia la presenza di una patologia
irreversibile che sia fonte di sofferenze fisiche o psicologiche
ritenute assolutamente intollerabili, la dipendenza da un trattamento
di sostegno vitale, la manifestazione di una volonta' libera e
consapevole di rifiuto di tali trattamenti che - si - rallenterebbero
il processo patologico e ritarderebbero la morte senza tuttavia
poterla impedire.
Afferma l'organo inquirente che debbono assimilarsi a tali
ipotesi anche quelli in cui, come quello in esame in cui, "il
soggetto che - come M C nei casi in esame - agevoli il suicidio di
una persona affetta da malattia irreversibile e che provochi estrema
sofferenza, che coscientemente e lucidamente abbia deciso di porre
fine alla propria vita, e che rifiuti di sottoporsi a trattamenti di
sostegno vitale futili. esercitando un diritto garantitogli dall'art.
32 Cost. e dalla legge n. 219/2007, non violi il bene giuridico
protetto dall'art. 580 c.p., ma anzi consenta il concreto esercizio
del diritto all'autodeterminazione cosi' come sopra delineato e
positivamente presidiato, nei casi in cui il titolare del diritto non
sia in grado di esercitarlo autonomamente".
Com'e' noto, l'art. 580 cp e' integrato quando ricorrono
alternativamente una delle due condotte descritte e sulle quali si
regge l'elemento oggettivo della fattispecie, ossia la condotta di
partecipazione psichica e quella di partecipazione materiale.
La condotta di partecipazione psichica consiste nella
determinazione (intesa quale pressione psichica diretta a far sorgere
in altri un proponimento prima inesistente) o nel rafforzamento
(volto a rendere definitivo) del proposito suicidiario gia' sorto nel
soggetto che vuole darsi la morte.
La partecipazione materiale si riferisce invece alla condotta di
agevolazione, da intendersi quale comportamento di ausilio
consistente nella fornitura di mezzi o rimozione di ostacoli alla
realizzazione del proposito suicidiario (la cui signoria
sull'esecuzione deve rimanere tuttavia sempre in capo all'aspirante
sucida configurandosi diversamente la fattispecie di "omicidio del
consenziente" di cui all'art. 579 cp). L'agevolazione puo' consistere
anche in un'omissione, laddove in capo al soggetto attivo sussista un
obbligo di garanzia (come nel caso del genitore o del tutore).
L'ambito applicativo della norma e' stato negli anni al centro
del dibattito costituzionale perche' coinvolto nelle tematiche etiche
del c.d. fine vita.
Dopo i casi di E E (cfr. Cass. 21748/2017) e di P W (che non
approdo' in Cassazione per difetto di impugnazione dell'Accusa), la
Corte costituzionale e' stata chiamata dai Giudici della Corte
d'Assise di Milano a pronunciarsi sui confini penalmente rilevanti
della norma.
Con ordinanza di rimessione (cfr. ordinanza 14 febbraio 2018, n.
1), la Corte di Assise di Milano (con riferimento alla condotta di
accompagnamento in auto di F.A. noto come D F presso una clinica
elvetica ove decedeva pet auto-somministrazione di farmaco letale)
sollevava una questione di legittimita' costituzionale dell'art. 580
cp nella parte in cui incrimina le condotte di aiuto al suicidio a
prescindere dal loro contributo alla determinazione o al
rafforzamento del proposito suicidiario, ritenendo tale
incriminazione in contrasto e in violazione dei principi sanciti agli
articoli 3, 13 comma 2, 25 comma 3 della Costituzione che individuano
la ragionevolezza della sanzione penale in funzione dell'offensivita'
della condotta accertata. Secondo i giudici remittenti deve ritenersi
che in forza dei principi costituzionali dettati agli artt. 2, 13
comma 1 della Costituzione ed all'art. 117 della Costituzione con
riferimento agli artt. 2 e 8 della Convenzione Europea dei Diritti
dell'Uomo, all'individuo sia riconosciuta la liberta' di decidere
quando e come morire e che, di conseguenza, solo le azioni che
pregiudichino la liberta' della sua decisione possano costituire
offesa al bene tutelato dalla norma in esame.
La Corte costituzionale, preso atto del mancato intervento del
Parlamento nell'arco di un anno dalla precedente udienza fissata
(cfr. ordinanza 16 novembre 2018, n. 207), ferma la necessita' di un
intervento normativo in materia, con sentenza 22 novembre 2019, n.
242 (Pres. Lattanzi, Rel. Modugno), sul presupposto della
legittimita' costituzionale del divieto penale dell'"aiuto al
suicidio" di cui all'art. 580 c.p., ha dichiarato l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 580 cp nella parte in cui non esclude la
punibilita' di chi, con le modalita' previste dalla legge sulle
disposizioni anticipate di trattamento (c.d. D.A.T.) previste dagli
artt. 1 e 2 legge n. 219/2017 ovvero con riferimento ai fatti
anteriori, con modalita' equivalenti, agevola l'esecuzione del
proposito di suicidio che si sia formato liberamente ed autonomamente
(1) di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale
(2), affetta da una patologia irreversibile (3) fonte di sofferenze
fisiche o psicologiche che la persona ritenga intollerabili, sia
pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli (4)
sempre che tali condizioni e modalita' di esecuzione siano state
verificate da una struttura pubblica (5) del "Servizio Sanitario
Nazionale", previo parere del Comitato Etico Territorialmente
Competente e fermo restando che, quanto al tema dell'obiezione di
coscienza del personale sanitario, l'aiuto al suicidio nei casi
considerati, resti affidato alla coscienza del singolo medico che
puo' scegliere se prestarsi o no, a esaudire la richiesta del malato.
In sintesi, la Consulta nel riconoscere la compatibilita' con la
Carta Costituzionale della fattispecie penale di' "aiuto al
suicidio", giunge ad escludere la punibilita' di "chi aiuta a morire"
una persona affetta da una patologia irreversibile, fonte di
sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili,
capace di' prendere decisioni libere e consapevoli, tenuta in vita da
un trattamento di sostegno vitale, affermando che gia' queste persone
potrebbero lasciarsi morire chiedendo l'interruzione dei trattamenti
sanitari necessari alla loro sopravvivenza o anche rifiutandoli ab
initio.
Per effetto della pronuncia n. 242/2019 della Corte
Costituzionale, e' oggi presente nel nostro ordinamento una c.d
scriminante procedurale che esclude la punibilita' di' chi, con le
modalita' previste dagli artt. 1 e 2 legge n. 219/2017 e sussistendo
i presupposti sopra indicati, agevola l'esecuzione del proposito di
suicidio, autonomamente e liberamente formatosi.
Considerata la delicatezza dei valori in giudizio e l'esigenza di
salvaguardare i soggetti maggiormente vulnerabili, la Consulta ha
affidato al Servizio Sanitario Nazionale il compito:
di verificare le condizioni che rendono legittimo l'aiuto al
suicidio;
di verificare le modalita' di esecuzione che dovranno essere
tali da evitare abusi in danno delle persone vulnerabili, da
garantire la dignita' al paziente e da evitare sofferenze, previo
parere del Comitato Etico territorialmente competente che ciascuna
Regione e' chiamata ad istituire.
La medicalizzazione della procedura e' cosi' completata dal
parere necessario di un organo collegiale, terzo, con funzione
consultiva (art. 12 comma 10 lettera c dl 158/2012 e art. 1 co. 2
decreto Ministero della salute 8 febbraio 2013) al quale e'
attribuito il compito di garantire omogeneita' nell'applicazione
delle procedure e tutela alle situazioni di particolare
vulnerabilita'.
L'applicazione dei criteri posti dalla pronuncia della Corte
costituzionale n. 242/2019 al caso di specie e la portata attuale del
diritto all'autodeterminazione terapeutica
La Corte costituzionale richiamando le pronunce sui casi W
(G.I.P. di Roma, sentenza n. 2019 del 2007) ed E (Cass., Sez. I civ.,
sentenza n. 21748 del 2007) e i dettami contenuti nella legge 22
dicembre 2017, n. 219, attraverso l'applicazione dei principi di
uguaglianza e di ragionevolezza, attua un nuovo bilanciamento tra il
diritto all'autodeterminazione individuale (art. 2 e 13 Cost) e la
tutela della vita umana (art. 2 Cost.) delineando cosi' uno spazio di
necessaria liberta' dell'individuo nelle scelte di fine-vita.
L'area circoscritta del penalmente lecito e' costruita dunque,
declinando il diritto all'autodeterminazione (artt. 2 e 3 Cast) ed il
diritto alla salute di cui all'art. 32 Cost nella forma del consenso
all'esecuzione dei trattamenti sanitari.
Nel nostro ordinamento, ferma l'operativita' dell'art. 580 cp, la
Corte costituzionale ribadisce e dunque, esclude che l'incriminazione
dell'aiuto al suicidio possa di per se' essere in contrasto con la
Costituzione.
Al fine di comprenderne la portata, occorre ribadire che non
esiste nel nostro ordinamento un diritto alla morte.
Il diritto alla vita - costituzionalmente tutelato dall'art. 2
come "il primo dei diritti inviolabili dell'uomo" (non diversamente
che dall'art. 2 CEDU) - e il diritto alla morte - non ricompreso nel
testo della nostra Carta Costituzionale ed anzi sanzionato dall'art.
27 comma 4, non hanno pari dignita' e valore.
L'inviolabilita' del diritto alla vita che si declina attraverso
i caratteri di indisponibilita', inalienabilita', intrasmissibilita',
irrinunciabilita' e imprescrittibilita' si fonda sull'impossibilita'
per il titolare di disporne privandosene definitivamente del
godimento.
Il principio e' stato piu' volte ribadito dalla Consulta che con
la sentenza n. 1146/1988 afferma che il diritto alla vita attiene
all'essenza dei Valori Supremi sui quali si fonda la Costituzione
italiana.
Dall'art. 2 della Costituzione discende invero, il dovere dello
Stato di tutelare la vita di ogni individuo non quello opposto di
aiutare a morire: in definitiva, dal diritto alla vita, primo ed
inviolabile diritto dell'uomo in quanto presupposto per l'esercizio
degli altri diritti di cui all'art. 2 Cost., non puo' derivare il
diritto a rinunciare a vivere e dunque, il diritto di morire.
Analoga posizione e' presente anche nell'ordinanza n. 207/2018 e
nella sentenza 242/2019.
Cio' premesso, nella tensione dialettica tra i beni Supremi della
Vita e della liberta', la Corte costituzionale, opportunamente
valorizzando la centralita' dell'individuo nella Costituzione, ha
ritenuto che la tutela della prima trova comunque, nell'art. 580 cp
una ragione di fondo.
Escludendo che al bene vita possa essere riconosciuto un fine
eteronomo (di talche' nel nostro ordinamento e' riconosciuto
all'individuo il potere di disporre del proprio corpo (cfr. Corte
Cost.le 471/1990), la Corte costituzionale afferma che la tutela del
bene vita deve essere rapportata all'operativita' della legge n.
219/2017 con la conseguenza che, in campo medico, per quel che qui
interessa, nessun trattamento possa essere praticato senza il
consenso del paziente il quale puo' persino giungere a chiedere ed
ottenere nel contesto di una relazione terapeutica con il medico
(cfr. Corte Cost.le 238/96), di interrompere o di rifiutare e dunque,
non iniziare i trattamenti di sostegno vitale come la ventilazione,
l'idratazione e l'alimentazione artificiale.
Benche' la riallocazione delle argomentazioni sul piano esposto
con riguardo alla tutela dei diritti fondamentali consenta di
reimpostare su basi completamenti differenti, rispetto a quelle
tradizionali, la questione della tutela della vita del paziente, e'
innegabile che il diritto all'autodeterminazione individuale nel
nostro ordinamento, nel gioco del bilanciamento dei diritti
costituzionali, non possa prevalere sempre.
Certo e' che il riconoscimento dell'autonomia - rispetto al
diritto alla salute - del diritto all'autodeterminazione ha permesso
negli ultimi tempi di riconsiderare la ragionevolezza di alcuni
divieti, in ambito penale, che impediscono al malato terminale di
pianificare con il medico, oltre che le proprie cure, anche la
gestione del fine vita.
Cosi', ferma l'inviolabilita' del bene della vita, la Corte
costituzionale ha individuato all'interno dell'art. 580 cp, una
circoscritta area di non conformita' costituzionale della fattispecie
criminosa corrispondente ai casi in cui "l'aspirante suicida si
identifica in una persona a) affetta da una patologia irreversibile
b) fonte di sofferente fisiche o psicologiche, che trova
assolutamente intollerabili, secondo le proprie scelte individuali,
c) tenuta in vita da un trattamento di sostegno vitale non piu' volto
e che ha il diritto di rifiutare in base all'art. 32 Cost. co. 2, d)
capace di prendere decisioni libere e consapevoli".
Il tema giuridicamente rilevante, si ribadisce, non attiene al
riconoscimento del diritto alla morte ma al diritto ad una vita
dignitosa (qui ovviamente riferita a quella terminale) secondo
l'espressione di Seneca ne Lettere a Lucilio: "non vivere benum est
sed vivere bene" e dunque, ad una "morte dignitosa".
La legittimita', nel vigente quadro costituzionale, dell'art. 580
cp trova oggi la propria ratio nella salvaguardia del diritto alla
vita soprattutto delle persone piu' deboli e vulnerabili che
attraversano difficolta' e sofferenze e che l'ordinamento intente
proteggere da una scelta estrema e irreparabile, come quella del
suicidio.
La Corte afferma che, in tali casi, inimmaginabili all'epoca in
cui l'art. 580 cp e' stato introdotto, la scelta di accogliere la
morte potrebbe essere gia' presa dal malato sulla base della
legislazione vigente, con effetti vincolanti per i terzi, a mezzo
della richiesta di interruzione (e dunque, di rifiuto in base
all'art. 32 Cost.) dei trattamenti di sostegno vitale in atto e di
contestuale sottoposizione a sedazione profonda continua.
La legge n. 219/2017 - chiarisce la Corte costituzionale - offre
dunque, un riferimento normativo cui agganciare i margini di liceita'
dell'aiuto al suicidio non punibile attraverso la medicalizzazione
del procedimento mediante il quale verificare l'integrita' del
consenso e la sussistenza dei requisiti indicati.
Il baricentro su cui si fonda la ratio della legge n. 219/2017
poggia invero sull'intersezione tra il diritto all'autodeterminazione
terapeutica (privo di un esplicito riferimento costituzionale,
ricondotto agli artt. 32, 2 e 13 co. 1 Cost come espressione del
diritto di scegliere la cura) ed il principio del consenso informato
(declinazione della liberta' di cura di cui all'art. 32 co. 2 Cost)
principale base giuridica legittimante qualsiasi intervento medico.
L'art. 1, comma 1 recita infatti: "1. La presente legge, nel
rispetto dei principi di cui agli articoli 2, 13 e 32 della
Costituzione e degli articoli 1, 2 e 3 della Carta dei diritti
fondamentali dell'Unione europea, tutela il diritto alla vita, alla
salute, alla dignita' e all'autodeterminazione della persona e
stabilisce che nessun trattamento sanitario puo' essere iniziato o
proseguito se privo del consenso libero e informato della persona
interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge".
Inoltre, sancisce il divieto di ostinazione irragionevole nelle
cure (quando inutili e sproporzionate) ed individua come oggetto di
tutela da parte dello Stato "la dignita' nella fase finale della
vita".
L'intervento normativo, che recepisce e normativizza l'evoluzione
giurisprudenziale precedente, si caratterizza per alcuni aspetti
messi in luce dalla piu' attenta dottrina.
In particolare, la centralita' del consenso del paziente; la
volonta' di valorizzare al massimo grado la c.d. alleanza terapeutica
perche' il paziente non debba affrontare da solo le decisioni che
riguardano la sua salute e la cura; il diritto assoluto e
insindacabile del paziente ad ottenere, in qualsiasi momento, anche
da incapace, la non attivazione di qualsiasi trattamento sanitario e
l'interruzione di quello eventualmente gia' in atto, conservando al
contempo il diritto di ottenere la terapia antalgica allo scopo di.
alleviare le sofferenze del paziente (legge n. 38/2010 disposizioni
per garantire l'accesso alle cure palliative e alla terapia del
dolore).
Di rilievo e' in particolare, ai nostri fini, il fatto che il
Legislatore, nel valutare la legittimita' del "dissenso informato",
non ha posto alcun limite all'autodeterminazione dell'individuo nel
rifiuto ai trattamenti sanitari necessari alla propria sopravvivenza,
dovendosi verificare se esso sia "libero e informato" garantendogli
comunque ogni azione di sostegno anche psicologico, a suo favore.
In definitiva, in caso di malattia, vige - nel nostro ordinamento
- il diritto a lasciarsi morire; ma a fronte del pieno riconoscimento
del diritto a rinunciare alle cure, anche quando cio' si traduca in
una forma di c.d. eutanasia passiva, permane il totale divieto (cfr.
579 e 580 cp) di qualsiasi forma di accelerazione della morte altrui
in modo attivo (c.d. suicidio assistito).
La Corte costituzionale, in altre parole, con la pronuncia n.
242/2019 ha ritenuto che, vigenti i presupposti indicati, uno spazio
di liberta' nell'autodeterminazione delle scelte del fine della vita
fosse costituzionalmente imposto precisando al contempo che, nel
nostro ordinamento, tale spazio non e' illimitato ed incontra limiti
tanto formali - volti alla verifica dell'integrita' del consenso -
quanto sostanziali - che incidono, cioe', sul perimetro in cui il
consenso stesso puo' legittimamente manifestarsi.
La Corte costituzionale ha pertanto, individuato una serie di
parametri cui e' subordinato l'esercizio del diritto di
autodeterminazione nelle scelte del fine vita, ossia:
a. presenza di una patologia irreversibile;
b che sia fonte di sofferenze fisiche o psicologiche ritenute
assolutamente intollerabili;
c. che impedisca alla persona di rimanere in vita se non per il
mezzo di trattamento di sostegno vitale;
d. che non privi il soggetto della capacita' di prendere
decisioni libere e consapevoli.
In definitiva, nel caso rimesso alla Corte costituzionale, la non
punibilita' dell'aiuto prestato da altri al malato irreversibile si
fonda sulla consapevole scelta di non punire chi si limita ad essere
mero esecutore della volonta' che il titolare non puo' mettere in
atto per l'impossibilita' materiale, secondo i cardini su cui si
fonda l'alleanza terapeutica: in tali casi afferma la Corte "il
fondamentale rilievo del valore della vita non esclude l'obbligo di
rispettare la decisione del malato di porre fine alla propria
esistenza tramite l'interruzione dei trattamenti sanitari - anche
quando cio' richieda una condotta attiva sul piano naturalistico da
parte di terzi (quale il distacco o lo spegnimento di un macchinario,
accompagnato dalla somministrazione di una sedazione profonda
continua e di una terapia del dolore) - ".
Tutto cio' premesso, questo Giudice ritiene che la condotta posta
in essere dall'indagato non possa rientrare nell'ambito di
applicazione della causa di giustificazione introdotta dalla Corte
costituzionale con conseguente ed inevitabile sussunzione della
stessa nell'ambito applicativo dell'art. 580 c.p. accertato che
all'atto dell'esecuzione della condotta incriminata ne' la sig.ra A
ne' il sig. N dipendevano da un trattamento sanitario vitale.
L'interpretazione sollecitata dalla Procura con riferimento alle
condotte - astrattamente sussumibili nella fattispecie di aiuto al
suicidio - poste in essere dall'indagato esula altresi' dall'ambito
della lettura costituzionalmente orientata suggerita non potendosi,
per le caratteristiche in fatto delle vicende esaminate, far
rientrare nell'area della legalita' condotte prive dei requisiti
richiesti pena l'esercizio da parte del giudice a quo, di un potere
non consentito dalla legge.
L'inapplicabilita' ai casi in esame della causa di
giustificazione procedurale introdotta dalla Corte costituzionale con
la sentenza 242/2019
E A e R N erano affetti da una malattia irreversibile.
Il dato e' ontologicamente inconfutabile: per entrambi, l'una
malata oncologica terminale, l'altro affetto da parkinson atipico in
stadio terminale, i medici avevano escluso ogni possibilita' di
guarigione.
Quanto a E A , in particolare, il marito, L C , riferiva: "la
previsione del medico era che si sarebbe sviluppata una
sintomatologia grave nell'arco di due mesi. Ci fu rappresentato
chiaramente che non potevano fare niente se non intervenire con
ricovero ospedaliero soltanto in caso di urgenza, ad esempio se si
fosse paventato un blocco renale".
Il dato e' coerente con le risultanze emergenti dalla relazione
di C.T. del PM: i dottori S e G dichiaravano che - per la patologia
da cui era affetta la persona offesa - e' prevista una sopravvivenza
dell'1-2% a 5 anni, con il 34% di pazienti vivi a 18 mesi dall'inizio
della terapia [bibl. 3]: "Il microcitoma polmonare e' una malattia
curabile ma non guaribile. La chemioimmunoterapia [bibl 2,3,8]
consente di ottenere elevati tassi di riduzione della malattia,
purtroppo di breve durata, e le terapie successive danno un beneficio
minimo [bibl. 9]. Si conferma quindi il carattere di irreversibilita'
della patologia da cui era affetta la sig.ra E A " (c.t. prof.ri S e
G , conclusioni).
Gli stessi cc.tt. precisavano inoltre, come il rifiuto opposto
dalla sig. A a qualsiasi cura avrebbe portato ad un'aspettativa di
vita quantificabile in pochi mesi.
Con riguardo alla posizione di R N , la moglie, G G G , a s.i.t.,
riferiva che "nella primavera del [ndr. il marito]
realizzava che nessuna cura avrebbe potuto aiutarlo a migliorare la
sua condizione".
Nella relazione della consulenza tecnica disposta, la dottoressa
S definiva la degenerazione corticobasale "una rara malattia
neurodegenerativa non passibile di guarigione o miglioramento", tale
per cui , "il trattamento rimane mirato al miglioramento dei sintomi,
ma, nella migliore delle ipotesi, e' scarsamente e solo
temporaneamente efficace". Ne deriva che "i sintomi progrediscono
inesorabilmente fino al decesso con una storia naturale alquanto
variabile tra i singoli pazienti. Alcuni studi scientifici hanno
rilevato una sopravvivenza media compresa tra 5,5 e 7,9 anni con un
range da 2 a 12,5 anni. La sopravvivenza piu' bassa si riscontra nei
casi a rapida evoluzione degenerativa (come nel caso del sig. N )".
Il decesso dunque, non e' direttamente correlato alla malattia ma
al suo progressivo peggioramento fino al sopraggiungere dell'exitus
per cause correlate alla malattia stessa (esempio tipico, la
polmonite ab ingestis dovuta alle difficolta' di deglutizione e le
complicanze settiche.).
Ad ogni buon conto, secondo la consulente, la prognosi - pur se
non del tutto valutabile - era sicuramente infausta a breve termine
dal momento che la malattia era entrata. nello stadio terminale.
Ad analoghe conclusioni giunge poi il professor G , nel suo
elaborato, realizzato sulla base di un confronto approfondito con i
Past Presidents della Societa' Europea di Terapia Intensiva (ESICM) e
sottoscritto da sedici su diciotto di questi.
Con riguardo ad A , egli afferma infatti che ella era affetta da
una "malattia sistemica, non responsiva al trattamento, in
progressione, con prognosi infausta a breve termine"; quanto a R N
riferisce di "malattia acuta non curabile".
Entrambi, consapevoli delle sofferenze alle quali sarebbero
andati incontro per se' e per i famigliari avevano dunque,
liberamente scelto di morire e di rifiutate le terapie proposte
(ulteriore ciclo di chemioterapia per la sig.ra A e posizionamento
EGC per il sig. N ) nonche' l'ingresso in Hospice, per l'avvio delle
cure palliative eventualmente abbinate alla terapia del dolore.
Le risultanze della puntuale e meticolosa attivita' istruttoria
svolta dalla locale Procura documenta l'autonoma e la libera
formazione della decisione di morire: entrambi, autonomamente,
proprio in forza di tale risoluzione irretrattabile, avevano preso
contatti con l'associazione L C e con l'odierno indagato per il
compimento di una serie di atti che non potevano porre in essere
autonomamente, come l'organizzazione del viaggio ed il trasporto in
Svizzera.
L C - marito di E A - nel verbale di s.i.t. il - dichiarava che
la moglie aveva pianificato minuziosamente il suo ultimo viaggio,
studiando in particolar modo una soluzione tale da preservare i
propri cari da qualsiasi responsabilita' connessa e derivante da tale
scelta vengano.
Cosi', riferiva:
"a.d.r. Mia moglie ha iniziato sin da subito autonomamente a
fare delle ricerche su internet relative alle cliniche che
permettevano di porre fine alla propria vita.
a.d.r. Relativamente al caso mediatico del d F , quindi in
tempi non sospetti, lei aveva espresso la propria opinione in merito
appoggiando la decisione presa. Lei sosteneva che in caso di malattia
irreversibile aspettare il decorso sino all'exitus, sapendo quello
che comportava, fosse insopportabile.
Lei era rimasta molto turbata dall'assistenza che aveva
prestato a suo padre, sua madre ed in particolare al fratello,
quest'ultimo affetto da fibrosi polmonare. Aveva avuto una chiara
rappresentazione di quanto fosse atroce morire per soffocamento.
Ricordo che mi chiese come unico regalo (in cinquant'anni di
matrimonio) di non contrastare la sua decisione e di rispettarla.
Tutto questo anche se io e mia figlia qualche volta cercavamo di
farle vedere di altri casi affinche' cambiasse idea.
a.d.r. Mia moglie ha contattato inizialmente la fondazione C
per ottenere informazioni relative alle societa' che si occupavano
del fine vita.
Mia moglie aveva studi universitari, ha fatto l'imprenditrice
tutta la vita insieme a me gestendo il nostro albergo. Le piaceva
leggere, suonare, era persona di cultura e di grande senso pratico.
La prima risposta ottenuta dal personale della Fondazione e
successivamente da C stesso, era che non avessero informazioni
specifiche sulla , della quale pero' non avevano nemmeno riscontri
negativi (vedasi mail). Mia moglie sceglieva la perche' la trovava
veloce nello svolgere le pratiche. Il primo contatto lo aveva con
tale T : Lei chiedeva di avere una data ravvicinata, magari prima
delle ferie e del peggioramento della malattia.
a.d.r. Mia moglie ha dovuto prima pagare una cifra per
assodarsi alla societa'. Poi il primo versamento di cinquemila euro.
Avuto "semaforo verde", faceva un ultimo versamento di cinquemila
euro dal proprio conto corrente.
a.d.r. Mia moglie era contenta del fatto che M C l'avrebbe
accompagnata. Lei era autonoma nella sua quotidianita'. Era debole e
non se la sentiva di uscire piu' dalle mura di casa.
Lei non avrebbe mai potuto affrontare il viaggio in Svizzera da
sola.
Mia moglie e M C , una volta stabilita la data concordata con
la clinica , concordavano di vedersi il primo di alle . C veniva a
casa a prelevarla insieme ad un'altra persona, credo fosse l'autista.
In realta' quando sono partiti da casa guidava C."
G G G - moglie del sig. N - in ordine alla autonoma formazione
della volonta' del marito ricorrere al suicidio assistito, asseriva:
"I primi segnali sono arrivati nella primavera del quando realizzava
che nessuna cura avrebbe potuto aiutarlo a migliorare la sua
condizione. Lui si opponeva fermamente all'idea della prospettazione
a breve dell'ausilio di presidi quali ad esempio la PEG
(alimentazione forzata). Io rispettavo assolutamente le sue richieste
che peraltro pero' riducevano ulteriormente la sua prospettiva di
vita. Lui diceva di essere stato fortunato di avere avuto una vita
lunga e serena e che non riteneva di prolungare con piu' sofferenza
di quanta gia' ne soffrisse. Lucidamente e cerebralmente partecipava
alla vita famigliare ma trovandosi in un corpo completamente
paralizzato aveva perso ogni stimolo verso tutto. Mi chiedeva di fare
delle ricerche per trovare chi potesse aiutarlo a realizzare il suo
progetto di porre fine alle sue sofferenze. Ricordo di avere
contattato telefonicamente l'Associazione C sino a quando poi venivo
richiamata da M C . La presenza di M C e' stata fortemente voluta da
R . (...)".
Entrambi avevano scelto di affidarsi a cliniche svizzere.
In Svizzera il suicidio assistito, che trova il suo fondamento
negli artt. 114 e 115 cod. pen. svizzero, e' da sempre l'unica
pratica di fine vita considerata lecita subordinata solo all'assenza
in capo all'agente di motivi egoistici, per tali intendendosi non
solo i motivi di lucro, ma anche vantaggi di altra natura.
La modalita' meno dolorosa e piu' efficace, nel caso di soggetti
in condizioni cliniche tali da ridurne sensibilmente l'autonomia, e'
quella dell'assunzione di farmaci letali. Il farmaco piu' utilizzato
e' il pentobarbital acquistabile solo a mezzo di prescrizione di
medici - e veterinari - emettibile solo dopo aver esaminato il
paziente e soltanto nel rispetto delle «regole riconosciute delle
scienze mediche e farmaceutiche» (art. 26, legge sugli agenti
terapeutici del 15 dicembre 2000).
L'Accademia Svizzera delle Scienze Mediche disciplina il
comportamento dei medici in ordine alle pratiche per il fine vita dei
pazienti attraverso dettagliate direttive relative all'assistenza dei
malati terminali, per i casi di cure palliative, esecuzione di una
richiesta di interruzione delle terapie e aiuto al suicidio (sono
considerate aiuto al suicidio la prescrizione o la consegna di un
farmaco letale e il posizionamento di una cannula intravenosa).
Emerge chiara la centralita' della volonta' del paziente: al
medico e' concesso assecondare esclusivamente le richieste che
provengano da soggetti capaci di intendere e di volere (nel caso di
rifiuto di una terapia, valgono anche le intenzioni manifestate in
epoca antecedente da soggetto attualmente incapace di intendere e di
volere: l'equivalente delle disposizioni anticipate di trattamento
disciplinate dalla l. 22 dicembre 2017, n. 219 nell'ordinamento
italiano).
Affinche' l'aiuto al suicidio possa considerarsi legittimo, il
medico che intenda prestarlo dovra' assicurarsi che:
la malattia di cui soffre il paziente legittimi la supposizione
del suo decesso imminente;
trattamenti alternativi siano stati proposti e, se accettati
dal paziente, adottati;
una terza persona (non necessariamente il medico stesso) abbia
accertato che il paziente sia in grado di intendere e di volere, che
abbia riflettuto a lungo sul suo desiderio di morte e che, tale
persistente desiderio non sia il risultato di pressioni esterne.
Alla luce di quanto sopra esposto, risulta evidente la presenza
nei casi in esame di tre dei quattro requisiti indicati dalla Corte
costituzionale nella sentenza 242/2019; la presenza di una patologia
irreversibile che conduca inesorabilmente alla morte, fonte di
sofferenze fisiche o psicologiche insopportabili in capo ad un
soggetto capace di prendere decisioni libere e consapevoli che ha
manifestato la propria volonta' di ricorrere al suicidio medicalmente
assistito accertato all'esito di un normato e preciso iter
burocratico medico, giuridicamente rilevante anche se svoltosi
all'estero (nelle specie, la Svizzera).
Difetta chiaramente, la sussistenza dell'ulteriore requisito
previsto ossia quello di essere i malati, nella specie i sig.ri A e N
, "tenuti in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale".
A fronte di tale mancanza si ritiene non applicabile la causa di
giustificazione elaborata dalla Corte costituzionale e che tale
assenza non sia emendabile nemmeno attraverso una lettura
costituzionalmente orientata.
L'interpretazione costituzionalmente orientata
Si ricorda che a partire dagli anni novanta si e' imposta una
linea guida secondo la quale spetta ai giudici comuni il
potere-dovere (o, nella prospettiva del giudice-attore, l'"onere") di
interpretare secundum constitutionem le disposizioni legislative,
prima ed in luogo di devolverne l'esame alla Corte.
Si tratta formalmente di un onere processuale, dal momento che al
giudice comune e' richiesto di sperimentare preventivamente la
possibilita' di dare al testo legislativo un significato compatibile
con il parametro costituzionale, e - ove il tentativo risulti
infruttuoso - di offrire adeguata motivazione, nell'ordinanza di
rimessione, delle ragioni che impediscono di pervenire in via
interpretativa alla soluzione ritenuta costituzionalmente corretta.
(cfr. Sent. 456/1989:"Quando (...) il dubbio di compatibilita' con i
principi costituzionali cada su una norma ricavata per
interpretazione da un testo di legge e' indispensabile che il giudice
a quo prospetti a questa Corte l'impossibilita' di una lettura
adeguata ai detti principi; oppure che lamenti l'esistenza di una
costante lettura della disposizione denunziata in senso contrario
alla Costituzione (cosidetta "norma vivente").
L'interpretazione costituzionalmente orientata nasce in
contrapposizione ad altre possibili interpretazioni che suscitano
dubbi, sia pur consistenti, di incostituzionalita', finendo per far
leva non sull'accertamento della incostituzionalita' delle altre
interpretazioni possibili, bensi' proprio sui dubbi di
incostituzionalita' che esse generano.
In sostanza, l'interpretazione costituzionalmente orientata dei
giudici comuni si differenzia dalle altre possibili perche' e' esente
dai dubbi di incostituzionalita' che suscitano le altre.
Due postulati fondano il potere-dovere dei giudici di ricercare e
identificare autonomamente l'interpretazione costituzionalmente
orientata.
Il primo: in presenza di una pluralita' di interpretazioni
possibili, il giudice deve scegliere quella che conduce ad un
risultato ermeneutico costituzionalmente compatibile, ricusando le
altre.
Il secondo: "in linea di principio, le leggi non si dichiarano
costituzionalmente illegittime" [o "una disposizione non puo' essere
ritenuta costituzionalmente illegittima"] perche' e' possibile darne
interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice ritenga di
darne), ma perche' e' impossibile darne interpretazioni
costituzionali".
Allo stato attuale, dunque sembra doversi ritenere che la
rimessione della quaestio incidentale sia indispensabile solo se il
rimettente e' convinto della incostituzionalita' e della
impossibilita' di rimediare ad essa in via interpretativa.
L'impossibilita' di accogliere la richiesta della Procura della
Repubblica e dunque, di ricorrere ad una interpretazione
costituzionalmente orientata
All'atto della scelta (ndr: ossia il rifiuto di trattamenti
sanitari), la sig. A e il sig. N , come detto, non erano sottoposti
ad alcun trattamento sanitario anche nell'accezione ampia offerta da
alcuni commentatori, non assumendo, all'epoca, alcuna terapia
farmacologica vitale o nemmeno una terapia antalgica.
Cosi' nelle s.i.t. il marito C : "Mia moglie non aveva supporto
di macchinari a sostegno vitale. L'oncologa prospettava piu' che
altro dei problemi a livello renale, quale un blocco che avrebbe
previsto una cateterizzazione, unico mezzo che avrebbe potuto
contrastare i dolori lancinanti che nemmeno la morfina avrebbe potuto
controllare".
Il marito riferiva che la sig.ra A non voleva essere "attaccata a
macchinari", non voleva essere cateterizzata ne' sottoposta a dialisi
e cosi', fino alla fine dei suoi giorni, avrebbe dovuto essere
afflitta da dolori non alleviabili nemmeno con la morfina.
Cosi' si esprime nella missiva che il la sig.ra A scriveva alla
clinica : (all.to 47): "Caro T , lunedi' ti ho inviato una mail dove
ti chiedevo se ti fosse possibile darmi notizie sul percorso e
soprattutto sui tempi del "processo di approvazione" per la mia MAV.
Essendo giunti alla 4ª settimana ed essendo la mia situazione di
giorno in giorno piu' insostenibile, puoi immaginare quanto sia
importante per me avere notizie ed essere in qualche modo rassicurata
che a breve l'inferno che sto vivendo avra' fine (...).
R N per la malattia che lo aveva colpito, era costretto alla
totale dipendenza assistenziale dei suoi familiari.
Come riferito dalla moglie G G G (s.i.t. rese in data ), il
marito dopo la rottura del femore " ...a quel punto rimaneva
allettato permanentemente. Ricorrevamo all'omogenizzato per lasciare
almeno la possibilita' di gustare il sapore del cibo" (...)
"trovandosi in un corpo completamente paralizzato, aveva perso ogni
stimolo verso tutto".
Il dato fattuale (mancante) e' dunque, pacifico ed indiscusso al
punto che i Pubblici Ministeri fondano la lettura costituzionalmente
orientata proposta sulla equivalenza scientificamente sostenuta - tra
il rifiuto di un trattamento sanitario vitale in atto e il rifiuto ad
un trattamento sanitario futile o inutile in quanto espressivo di
accanimento terapeutico.
L'equivalenza proposta ai fini della riconducibilita' nell'ambito
applicativo della causa di giustificazione procedurale elaborata
dalla Corte costituzionale con sentenza 242/2019 si fonda chiaramente
sulla applicazione analogica.
Senonche' l'ostacolo principale all'applicazione della lettura
proposta attiene alla irriducibilita' di fondo entro il medesimo
piano di due presupposti allo stato giuridicamente differenti:
l'applicazione e dunque, la sottoposizione di un trattamento
sanitario vitale in atto che il paziente ha rifiutato e ne ha chiesto
l'interruzione versus la prospettazione di un trattamento sanitario
futile o inutile e dunque, espressivo di accanimento terapeutico mai
iniziato e che il paziente di fatto non ha mai rifiutato
espressamente.
Com'e' noto attraverso la causa di giustificazione procedurale,
la Consulta sposta la protezione primaria di un bene giuridico dal
terreno tradizionale dell'incriminazione a quello delle cause di
giustificazione la cui applicazione presuppone l'accertamento delle
condizioni ivi previste e poste al fine di garantire al malato una
morte dignitosa.
L'eccezione - che la giustifica - alla regola di condotta ex art.
580 c.p. affida la complessa risoluzione del conflitto tra
inviolabilita' del bene vita, salute e dignita' della persona ad una
procedura costitutiva nella quale l'accertamento anticipato del
diritto all'aiuto "nel morire" e' subordinato alla sussistenza di
condizioni legalmente prefissate con la evidente finalita' (tenuto
conto del richiesto intervento normativo allo stato mancante) di
limitarne la praticabilita' muovendosi lungo un crinale stretto tra
la tipicita' dell'art. 580 c.p. e la legalizzazione dell'aiuto al
suicidio ad opera della scriminante relazionale riconducibile
all'art. 32 Cost.
La causa di giustificazione procedurale presenta invero,
caratteristiche affatto differenti da quelle sostanziali.
Diversamente dal bilanciamento proprio delle cause di
giustificazione sostanziali, la scriminante procedurale permette di
ricercare negli elementi fondanti la proceduralizzazione costitutiva
i presupposti necessari, da un punto di vista dommatico, alla
legittimazione ex ante della lesione del bene giuridico in nome della
protezione primaria di altri beni.
L'azione deve dunque ritenersi autorizzata sin dal momento
iniziale del suo compimento in quanto non impedibile perche'
sottoposta ad una procedura di controllo pubblico ex ante che
consente alla scriminante di intervenire non ex post, ma proprio nel
momento della realizzazione del comportamento tipico, privato cosi'
anche della sua precettivita' penale.
Nella scriminante procedurale, il bilanciamento degli interessi
non avviene ex post in quanto rimesso al singolo giudice ma ex ante
essendo ancorato ad una procedura costitutiva di liceita'
tassativamente predeterminata.
L'ancoraggio proposto dalla Corte costituzionale alla procedura
prevista dalla legge n. 219/2017 mira proprio a ricondurre le
pratiche di suicidio medicalmente assistito al controllo medico dei
presupposti legittimanti la cui esistenza sola legittima lo spazio
riconosciuto di esercizio del diritto all'aiuto di morire.
La Corte costituzionale giunge cosi' ad affermare che se il
fondamentale rilievo del valore del bene vita non esclude l'obbligo
di rispettare la decisione del malato di porre fine alla propria vita
interrompendo i trattamenti sanitari, parimenti non v'e' ragione per
la quale il medesimo valore debba tradursi in un ostacolo assoluto
all'accoglimento della richiesta del malato di avere un aiuto che
valga a sottrarlo al decorso lento ma comunque inesorabile che lo
conduce alla morte.
La legge n. 219/2017 non consente tuttavia al medico di mettere a
disposizione del paziente che rifiuta un trattamento sanitario,
trattamenti diretti non gia' ad alleviare le sofferenze ma a
provocarne la morte la quale dunque, puo' essere in alcuni casi,
l'esito di un processo lento e carico di sofferenze anche per le
persone care.
La non manifesta infondatezza della questione
I casi in esame si presentano in termini chiaramente differenti e
pur drammaticamente simili nell'esigenza pratica di non consentire al
paziente una cosi' dilagante sofferenza nella fase terminale della
vita.
Ferme tali premesse, questo Giudice ritiene che non possa
accogliersi, cosi' come avanzata, la richiesta di archiviazione
formulata dalla locale Procura senza essere stato preliminarmente,
risolto in senso favorevole all'interpretazione offerta, il quesito
di legittimita' costituzionale alla stessa sotteso: ossia se possa
applicarsi ai casi in esame la fattispecie di suicidio medicalmente
assistito anche nell'ipotesi in cui il paziente non fosse tenuto in
vita da un trattamento sanitario vitale in quanto il trattamento
sanitario offerto (nella specie, nuovo ciclo di chemioterapia per la
sig.ra A e posizionamento PEG per il sig. N ) sia stato rifiutato dal
paziente in quanto futile o inutile perche' espressivo di accanimento
terapeutico secondo la scienza medica e non dignitoso secondo la
sensibilita' e percezione del malato.
Questo Giudice ritiene che il presente giudizio non possa essere
definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di
legittimita' costituzionale indicata non potendosi, per le ragioni
esposte, ricorrere all'interpretazione costituzionalmente orientata
della causa di giustificazione procedurale essendo evidente che
dilatare nella misura richiesta dalla Procura, la portata della causa
di giustificazione procedurale elaborata dalla Consulta porta con se'
il grave rischio di permettere al singolo giudice di spostare il
delicato baricentro sul quale la stessa poggia ed e' stata costruita
(operazione che per quanto esposto non puo' essere rimessa al singolo
giudice considerata la rilevanza costituzionale dei beni da tutelare)
giungendo ad una lettura pericolosamente contra legem.
Le norme costituzionali violate
Come affermato da autorevole dottrina, la Costituzione pone
precisi obblighi di tutela a carico del Diritto Penale: negli ultimi
anni, la decisioni sul momento terminale della vita hanno
rappresentato tema di primaria importanza anche in considerazione
della posizione assunta e vigente negli altri ordinamenti comunitari
(Olanda, Belgio, Lussemburgo, Spagna) e non (Svizzera, Nuova Zelanda,
Canada e numerosi Stati nordamericani) i quali muovendo dalla "forza
espansiva" di taluni diritti fondamentali sono giunti ad escludere o
a ridurre fortemente la portata dell'incriminazione dell'aiuto al
suicidio.
Violazione dell'art. 3 Cost.
Si ritiene che l'esclusione dall'ambito applicativo della
scriminante procedurale del suicidio medicalmente assistito di chi
sia affetto da una patologia irreversibile fonte di sofferenze
fisiche o psichiche intollerabili e sia capace di prendere decisioni
libere e consapevoli ma non sia tenuto in vita da un trattamento
sanitario vitale violi il principio di uguaglianza di cui all'art. 3
Cost escludendovi una situazione sostanzialmente identica.
Per quanto esposto, che nel caso di specie, sussistendo tutti i
requisiti previsti dalla Corte costituzionale nella pronuncia n.
242/2019 ad esclusione di quello della dipendenza dei pazienti da un
trattamento sanitario vitale, non risulta possibile ricomprendere
nell'ambito applicativo della causa di giustificazione del suicidio
medicalmente assistito, il caso in esame.
Tale esclusione crea tuttavia una irragionevole disparita' di
trattamento in quei casi, come quelli in esame, in cui il paziente
affetto da una patologia irreversibile fonte di sofferenze fisiche o
psicologiche che trova assolutamente intollerabili, capace di
prendere decisioni libere e consapevoli, non ha voluto iniziare un
trattamento sanitario vitale perche' ritenuto inutile rifiutando
anche la sedazione palliativa profonda e/o la terapia del dolore
perche' non corrispondente alla propria visione della dignita' nel
morire e carico di sofferenze per le persone care.
Al fine di comprendere meglio le ragioni sulle quali si fonda
l'irragionevolezza lamentata occorre approfondire la nozione di
trattamento sanitario vitale.
In proposito, si ricorda che non e' presente nell'ordinamento una
nozione legislativa di "trattamento di sostegno vitale".
In giurisprudenza, si sono gia' registrati casi di
interpretazione assai lata del concetto, fino al punto di includervi
"qualsiasi trattamento sanitario interrompendo il quale si
verificherebbe la morte del malato anche in maniera non rapida"
(Corte d'Assise di Massa, sentenza 27.7.2020, n. 1, §15.2).
Tale impostazione e' stata confermata dalla Corte d'Assise
d'Appello di Genova, nella sentenza n. 1/2021; in essa si legge, che
la persona offesa era "sottoposta a trattamento terapeutico
indispensabile per la sopravvivenza. Tale requisito e' stato provato
durante l'istruttoria dibattimentale di primo grado, perche' e'
emersa la certezza che [egli] assumeva farmaci di significato vitale,
senza i quali non sarebbe sopravvissuto". Dunque, il concetto di
"trattamento di sostegno vitale", in questa impostazione, coincide
con quello di "farmaco di significato vitale".
La medesima impostazione e' stata fatta propria dalla Procura
della Repubblica di Bologna (cfr. procedimento n. 1976/2023 RGNR).
In particolare, la Procura bolognese ha ritenuto che tale
interpretazione non sia solamente corretta, ma anche
costituzionalmente doverosa alla luce dell'esigenza di evitare
irragionevoli disparita' di trattamento (art. 3 Cost.) e di garantire
il "pieno dispiegarsi del diritto alla manifestazione della
personalita'" (art. 2 Cost.).
A fronte di un si ampio ventaglio di soluzioni interpretative, la
Procura della Repubblica in sede, attraverso una consulenza tecnica,
demanda alla scienza medica il compito di fornire una definizione di
"supporto vitale individuando i casi in cui tale trattamento non sia
necessario in quanto futile e/o espressivo di accanimento
terapeutico.
Secondo i massimi esperti di medicina d'urgenza, per "supporto
vitale" deve farsi riferimento ad interventi non curativi necessari
al mantenimento in vita del paziente la cui eliminazione porterebbe
alla morte del paziente in un tempo relativamente breve (quale e' il
caso dei presidi di alimentazione e idratazione artificiali) nonche'
le forme di supporto vitale che si traducono nella sostituzione
artificiale di alcune funzioni organiche (ventilazione meccanica;
supporto per gli scambi gassosi; supporto alle funzioni renali,
cardiache o epatiche): "per supporto vitale si intende l'insieme di
tecniche (in continua evoluzione) che vicariano funzioni d'organo
compromesse. In loro assenza la vita non puo' essere mantenuta.".
Riassumendo per la scienza medica sono "trattamenti di supporto
vitale" quegli interventi che:
a. Non hanno funzione curativa, ma di sostituzione transitoria
o permanente di una funzione d'organo compromessa, allo scopo di
mantenere in vita il paziente;
b. Si trovano in rapporto diretto con il mantenimento in vita
del paziente stesso, nel senso che la sospensione del trattamento
determina necessariamente la morte del paziente in un tempo piu' o
meno lungo.
Trattasi di trattamenti praticati e praticabili solamente per
guadagnare tempo in presenza di una condizione potenzialmente
reversibile o per mantenere in vita un paziente affetto da una
patologia irreversibile.
Al contrario, tali interventi non sono praticati ne' praticabili
quando, sulla base di una considerazione squisitamente medica, si
appalesino inutili, futili e come tali qualificabili come
"accanimento terapeutico" ai sensi dell'art. 2, comma 2, legge n.
219/2017.
Tale ipotesi, a detta del consulente dei Pubblici ministeri,
ricorre quando il corpo del paziente sia ancora in grado di
funzionare autonomamente, senza bisogno di aiuti esterni, oppure,
all'opposto, si sia in presenza di condizioni pre-terminali in cui la
riduzione delle funzioni d'organo e' la normale circostanza che
precede il decesso. In queste ipotesi, da un punto di vista medico,
tali interventi non vengono normalmente neanche attivati; e'
possibile, poi, che si verifichi un terzo scenario: a seguito
dell'attivazione del trattamento di supporto vitale, le condizioni
del paziente evolvono in modo da rendere evidente una prognosi
sfavorevole, ragione per cui il mantenimento del trattamento si
trasforma - da strumento terapeutico volto a consentire un ripristino
di funzionalita' compromesse - in una forma di accanimento che
prolunga l'ultima agonia.
Proprio questi limiti di utilita' dei trattamenti di supporto
vitale - che si traducono in limiti alla praticabilita' degli stessi,
alla luce dell'art. 2, comma 2, legge 219/2017 - inducono il
consulente a concludere che "il supporto vitale non e' un passo
obbligato fra la vita e la morte", principio su cui "larghissima
parte della comunita' medica, clinica e scientifica e' concorde".
Nel caso in esame, i trattamenti sanitari proposti ai sig.ri A e
N secondo quanto affermato dai consulenti della Procura erano
inutili: l'attivazione non solo non avrebbe provocato un efficace
contrasto alla patologia e la morte sarebbe comunque sopraggiunta
inesorabilmente con l'aggravio di generare ai pazienti, per effetto
dell'avvio dei proposti trattamenti, atroci sofferenze cosi' da
rendere gli ultimi giorni di vita, infernali.
Nei casi esaminati, il suicidio assistito, lungi dal tradursi in
una indiscriminata prevalenza dell'autodeterminazione individuale
sulle esigenze di tutela della vita - nel rispetto del principio
solidaristico della Carta - ha rappresentato per i sig.ri N e A ,
consapevoli di andare incontro a morte certa in un tempo piu' o meno
breve a causa della patologia terminale in corso, l'esercizio in
concreto del diritto di autodeterminarsi nella fase terminale della
vita in modo rispettoso alla propria dignita' umana.
E' noto che il nostro ordinamento prevede che il malato terminale
in trattamento di sostegno vitale possa scegliere tra il
perseguimento di ogni possibile trattamento medico - allo scopo di
allungare il piu' possibile la propria esistenza-. la rinuncia alle
cure in corso - accettando il piu' rapido evolvere della malattia o
del piu' o meno immediato sopraggiungere della morte con il sostegno
della sedazione palliativa profonda e se del caso, la terapia del
dolore- o infine, il ricorso al suicidio assistito come strumento per
darsi la morte in modo rapido e indolore nel momento in cui egli lo
ritiene piu' coerente con il proprio concetto di dignita' umana.
Al contrario, il soggetto che - pur malato - non si trovi in
condizioni di patologia irreversibile, ben potendo negare il proprio
consenso a qualsiasi forma di trattamento sanitario ai sensi
dell'art. 32, comma 2, Cost. e della legge n. 219/2017, non puo'
ricorrere a pratiche di suicidio assistito; trattasi di una
limitazione coerente con i principi del nostro ordinamento dal
momento che fino a quando vi e' una chance di guarigione, il soggetto
non affronta la prospettiva certa della propria morte preceduta da un
periodo piu' o meno lungo di decadimento fisico.
Del tutto irragionevole - e dunque discriminatoria - appare
invece, l'esclusione dalle pratiche di suicidio assistito di chi pur
affetto da una patologia irreversibile e destinato a morte certa, non
abbia in corso un trattamento di sostegno vitale in quanto futile o
inutile.
Si ha, infatti, in questa ipotesi una irragionevole
discriminazione tra soggetti in posizioni del tutto analoghe:
entrambi gli appartenenti a queste due categorie si trovano nella
medesima prospettiva descritta e valorizzata dalla Corte
costituzionale come fondamento di legittimita' del ricorso al
suicidio assistito.
Si tratta infatti, di persone che affrontano con certezza la
prospettiva della loro morte, piu' o meno imminente, preceduta da un
periodo piu' o meno lungo di decadimento fisico, accompagnato spesso
da acute sofferenze fisiche.
La differenza del trattamento cui sono sottoposti o la non
attuale - benche' certa e prossima sottoposizione a trattamenti di
sostegno vitale sono fattori del tutto accidentali, che dipendono dal
tipo di patologia da cui il soggetto e' affetto.
Differenziare tra malati terminali che possono accedere a
pratiche di suicidio assistito sulla base del criterio della
sottoposizione al trattamento sanitario vitale, nei casi come quelli
esaminati in cui la sottoposizione al trattamento sanitale vitale e'
inutile o futile ed in ogni caso dolorosa e foriera di ulteriori
complicanze per la salute del paziente tenuto conto della precarieta'
delle condizioni di salute, appare del tutto irragionevole e,
pertanto, contraria all'art. 3 Cost.
Come evidenziato dalla consulenza del professor G , le persone
offese al cui suicidio l'odierno indagato ha contribuito casualmente
- non erano e non avrebbero potuto essere sottoposte a trattamenti di
supporto vitale senza che cio' sfociasse in una forma di accanimento
terapeutico - contrario, si noti, all'art. 2 della legge n. 219/2017.
Entrambi, pero', erano soggetti in condizioni di patologie
irreversibili, fonte di sofferenza fisica e psichica, destinata ad
esitare in un tempo piu' o meno breve nella morte, rispetto alla
quale gli eventuali trattamenti medici avrebbero potuto porsi
unicamente come rallentamento e non anche come impedimento.
R N , come attesta la c.t. dott.ssa S , avrebbe presto dovuto
sottoporsi a PEG, trattamento di supporto invasivo, comportante
rischi ed effetti collaterali, ed aveva legittimamente deciso di non
sottoporvisi. Scrive la c.t.: "come gia' suggeritogli, avrebbe avuto
bisogno di ricorrere ad un presidio per l'alimentazione forzata (PEG)
al fine di evitare il rischio quotidiano di polmonite ab ingestis, va
detto, tuttavia, che il ricorso alla PEG avrebbe incrementato altri
rischi, di natura infettiva (infezione cutanea fino all'ascesso e
alla necrosi, piu' raramente peritonite o perforazione intestinale) e
meccanica (ostruzione), legati alla presenza della stomia. In
aggiunta, il posizionamento di una PEG avviene attraverso
l'esecuzione di una esofagogastroduodenoscopia, quindi di una manovra
invasiva, e, di regola, tale procedura va rinnovata annualmente per
la sostituzione del tubicino. La procedura di somministrazione dei
nutrienti e' delicata per chi la pratica e debilitante per chi la
subisce, i nutrienti devono essere inseriti a temperatura ambiente
rispettando la massima igiene e previo controllo (mediante
aspirazione) della presenza o meno di residuo gastrico (la cui
presenza preclude la possibilita' di somministrare i nutrienti,
quando capita, bisogna ritardarne la somministrazione). Il sig. N ,
edotto al riguardo, aveva deciso di non ricorrere a tale presidio:
Per di piu', tale trattamento, afferma il c.t. prof. G , sarebbe
stato futile: "E' importante sottolineare che, dato il continuo
peggioramento e l'irreversibilita' della malattia, l'unico supporto
vitale ipotizzabile in questo caso, cioe' la nutrizione artificiale,
non era necessario, come peraltro dimostrato dal decorso clinico, e
quindi futile. Tale trattamento veniva peraltro fermamente rifiutato
dal sig. N stesso, come dichiarato dalla moglie, sig.ra G G G , in
data 24 gennaio 2023:
"[...] Lui si opponeva fermamente all'idea della prospettazione
a breve dell'ausilio di presidi quali ad esempio la PEG
(alimentazione forzata)."
Per E A , scrive il c.t. G che "i supporti vitali ipotizzabili in
futuro e discussi dalla sig.ra A con i curanti avrebbero potuto
essere due:
1. supporto della funzione renale, dato che questa, attualmente
sufficiente, sarebbe probabilmente peggiorata fino ad insufficienza
grave, data la presenza di metastasi, altre alterazioni anatomiche,
legate probabilmente allo stato infiammatorio indotto dal tumore.
2. Supporto respiratorio, mediante ventilatore meccanico,
unicamente ipotizzato per permettere una sedazione profonda, che
avrebbe comportato comunque perdita di coscienza, di capacita' di
intendere e di capacita' di volere.
In entrambi i casi (peraltro unicamente ipotizzabili), il
supporto vitale, in accordo con quanto precedentemente discusso,
sarebbe pienamente rientrato nella categoria di futilita',
configurandosi unicamente come accanimento terapeutico.
Non avrebbe infatti avuto altro effetto che prolungare l'agonia
in una malattia irreversibile, non curabile, senza possibilita' di
recupero".
R N ed E A hanno rifiutato di sottoporsi a un trattamento
sanitario vitale com'era loro diritto fare, e sarebbero deceduti in
un lasso di tempo non brevissimo, in una condizione da essi stessi
non ritenuta dignitosa e causativa di ulteriori sofferenze ai
rispettivi familiari.
Sanzionare la condotta di terzi e ricomprenderla nell'alveo
dell'illegalita' penalmente rilevante solo per la carenza
dell'attualita' nel senso della presenza del requisito del
trattamento sanitario vitale in corso significherebbe trattare in
maniera differente situazioni di fatto sostanzialmente identiche e
cosi' escluderle dalle situazioni meritevoli di tutela - oggi non
ricomprese - solo perche' tali pazienti non possono o non vogliono
accedere a trattamenti sanitari vitali in quanto inutili (perche' non
provocherebbero agli stessi alcun effetto vitale) con la paradossale
conseguenza di punire chi aiuta al suicidio una persona affetta da
una patologia irreversibile (malato oncologico terminale e malato
affetto da patologia neurodegenerativa grave) non dipendente da alcun
trattamento sanitario.
Violazione degli artt. 2, 13 e 32 Cost
L'impossibilita' di accesso al suicidio assistito per i pazienti
affetti da malattia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o
psicologiche che trova intollerabili, capace di prendere decisioni
libere e consapevoli e tuttavia, non sottoposti ad un trattamento
sanitario vitale determina la violazione del diritto
all'autodeterminazione nelle scelte terapeutiche nel senso di
limitarne l'esercizio imponendogli un'unica modalita' di congedo alla
vita.
E' evidente che nei casi in esame, l'assenza del requisito della
dipendenza da trattamenti sanitari vitali condiziona l'esercizio di
tale diritto che non puo' esplicitarsi come richiesta di
interruzione, ma solo come rifiuto all'attivazione.
L'insussistenza di tale condizione in pazienti comunque terminali
determina una lesione ed una congiunta violazione della dignita'
della persona essendogli consentito solo rifiutare il trattamento ma
non anche accedere ad una morte rapida e dignitosa che il rifiuto
tout court del trattamento non gli consente.
E' evidente che persistendo il requisito in esame, l'unico modo
che avevano i sig.ri A e N di accedere al suicidio assistito, era
quello di iniziare un trattamento sanitario che ab origine sarebbe
stato inutile secondo quanto indicato dai medici, per poterlo poi
interrompere.
Una simile prospettiva anziche' ridurla - nella prospettiva della
pronuncia n. 242/2019 - avrebbe invece, provocato un aumento della
sofferenza esponendo il paziente ad un sacrificio anche fisico (per
le conseguenze che i trattamenti proposti provocherebbero)
ulteriormente gravoso nelle precarie condizioni di salute nelle quali
si trovava ledendo la sua dignita' di uomo e di persona.
Come affermato dalla Corte costituzionale, l'area di liceita'
della fattispecie di suicidio assistito involge due direttrici: la
morte (inesorabile) e il tempo (percepito troppo lento).
Quanto l'interruzione da un trattamento sanitario vitale non
provoca rapidamente la morte del paziente che e' costretto ad
un'attesa carica di sofferenza e dolore, per il rifiuto alla
sedazione profonda, la Corte costituzionale ha affermato che non "vi
e' ragione per la quale il fondamentale rilievo del valore della vita
debba tradursi in un ostacolo assoluto, penalmente presidiato,
all'accoglimento della richiesta del malato di un aiuto che valga a
sottrarlo al decorso piu' lento conseguente all'interruzione dei
presidi di sostegno vitale".
Analoga esigenza sussiste nel caso in esame, in cui i trattamenti
sanitari non sono attivi e non avrebbe alcuna utilita' attivarli e
pur tuttavia, per l'assenza del requisito, nel caso in cui il
paziente rifiuti le cure palliative e la sedazione profonda, dovrebbe
essere lasciato ad attendere la morte senza alcuna tutela per la sua
dignita' di uomo e per il carico di sofferenza che l'attesa della
morte comporta.
Norme sovranazionali violate: il contrasto con gli artt. 8 Cedu e
14 Cedu
La Corte Edu ha avuto modo di pronunciarsi molte volte sul tema
dell'aiuto al suicidio richiamando gli art. 2 (tutela del diritto
alla vita) e art. 8 (diritto dell'individuo al rispetto della vita
privata e familiare).
Secondo il quadro vigente; la giurisprudenza della Corte EDU (sin
dalla sentenza 29 aprile 2002, P c. Regno Unito, H c. Svizzera 20
gennaio 2011 e K c. Germania 18 luglio 2013), in materia di fine
vita, segnala una graduale apertura verso il riconoscimento del
diritto a morire con dignita'.
In particolare, il diritto di scegliere di morire con dignita' e'
ormai pacificamente considerato un aspetto della vita privata
tutelato dall'art. 8 CEDU; sempre di piu', il consenso informato,
quale scelta morale dell'individuo, e' riconosciuto come un aspetto
centrale nelle decisioni relative al fine vita.
Secondo l'interpretazione evolutiva che ha determinato il
progressivo ampliamento della portata della previsione dell'art. 8
CEDU, in linea con una graduale ma sempre piu' ampia affermazione del
diritto di vivere nel modo piu' corrispondente alle proprie
inclinazioni, per i giudici di Strasburgo le questioni di fine vita
debbono piu' correttamente essere inquadrate invocando l'applicazione
dell'art. 8 CEDU che garantisce l'individuo nel godimento di diritti
legati all'autonomia personale da interferenze statali, non previste
per legge, che perseguano uno scopo legittimo e siano necessarie in
una societa' democratica.
L'ingerenza nel suo esercizio da parte dello Stato deve quindi
essere "necessaria in una societa' democratica".
L'interferenza deve essere sorretta da motivi pertinenti e
sufficienti ed essere proporzionale alla finalita' perseguita, ovvero
garantire un corretto equilibrio tra l'interesse del singolo e
l'interesse generale, in un contesto - "la societa' democratica"
caratterizzato da pluralismo, tolleranza e spirito di apertura.
Nel valutare la giustificazione dell'ingerenza statale nel
godimento di un diritto, la Corte muove sempre dal riconoscere un
margine di apprezzamento agli Stati ovvero uno spazio di
discrezionalita' nel dare attuazione ai diritti previsti dalla
Convenzione europea negli ordinamenti interni.
Trattasi di uno spazio dai confini mobili la cui ampiezza varia a
seconda del livello di omogeneita' degli ordinamenti europei in una
determinata materia, della natura particolarmente controversa dal
punto di vista etico della questione sottoposta e dell'aspetto
specifico del diritto che si lamenta violato.
Ora, benche' la giurisprudenza della Corte EDU non sia priva di
incongruenze, essa presenta spunti che inducono a ritenere che
l'ultimo diritto di ogni uomo ed ogni donna possa trovare una
collocazione sul piano della tutela diritti fondamentali.
Pertanto, al di la' della mancanza di consenso tra gli
ordinamenti dei Paesi europei, in forza dei principi espressi,
poiche' la normativa statale (la nostra) ammette sia pure con i
limiti indicati, la liceita' del suicidio medicalmente assistito, si
ritiene che lo stesso debba essere assicurato senza discriminazione
da valutarsi secondo il parametro "di ogni altra condizione" a tutti
i malati che si trovano nelle medesime condizioni cosi' da
salvaguardare in concreto il godimento dei diritti e delle liberta'
fondamentali.
Pertanto, in casi come quelli in esame, la "dipendenza da
trattamenti di sostegno vitale" quale condizione di liceita'
dell'aiuto al suicidio medicalmente assistito si ritiene possa
integrare una violazione degli artt. 117 Cost e art. 8 Cedu in quanto
non vi sarebbe giustificazione dell'ingerenza statale - ancorata alla
necessita' di tutela delle vittime vulnerabili ex art. 2 - rispetto
alla contrazione del diritto di autodeterminazione del paziente
trattandosi di pazienti capaci di autodeterminarsi nelle questioni di
fine vita (diritto garantito dall'art. 8 Cedu) e genererebbe cosi'
una discriminazione rispetto ad una condizione personale del tutto
accidentale in quanto dipendente dalla tipologia di malattia.
Sulla base di quanto esposto, non potendosi nei casi esaminati
applicare la causa di non punibilita' procedurale enucleata con la
sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019 nemmeno attraverso
una lettura costituzionalmente orientata, la condotta posta in essere
da M C deve ritenersi astrattamente sussumibile nell'ambito
applicativo dell'art. 580 cp.
Tale applicazione si ritiene tuttavia in contrasto con gli artt.
2. 3, 13 e 32 Cost della Costituzione e 8 e 14 della Convenzione
Europea dei Diritti dell'Uomo in quanto lesiva del diritto
all'autodeterminazione del malato non dipendente da un trattamento
sanitario vitale e tuttavia affetto da una patologia irreversibile
fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili che ha
manifestato la propria decisione, formatasi in modo libero e
consapevole, di porre fine alla propria vita.
P. Q. M.
Visti gli art. 134 Cost e 123 e ss legge n. 87/1953
Dichiara
Rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale relativa all'art. 580 cp nella parte in
cui prevede la punibilita' della condotta di chi agevola l'altrui
suicidio nella forma di aiuto al suicidio medicalmente assistito di
persona non tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale
affetta da una patologia irreversibile fonte di sofferenze fisiche o
psicologiche intollerabili che abbia manifestato la propria
decisione, formatasi in modo libero e consapevole, di porre fine alla
propria vita per violazione degli art. 2, 3, 13, 32, 117 Cost in
riferimento agli art. 8 e 14 Cedu.
Dispone
ai sensi dell'art. 23 legge n. 87/1983 l'immediata trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso.
Sospende
Il procedimento e i relativi termini prescrizionali sino alla
definizione del procedimento incidentale avanti alla Corte
costituzionale.
Manda
Alla cancelleria perche' provveda alla notifica della presente
ordinanza all'indagato, ai sig.ri Pubblici Ministeri presso il
Tribunale di Milano, al Sig. Presidente del Consiglio dei ministri e
che sia comunicata ai sig.ri Presidenti delle due Camere del
Parlamento.
Milano, 21 giugno 2024
Il Giudice per le Indagini Preliminari: Cipolla