N. 174 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 aprile 2024
Ordinanza del 10 aprile 2024 del Tribunale di sorveglianza di Bologna
sul reclamo proposto da M. C..
Ordinamento penitenziario - Detenzione domiciliare speciale -
Previsione che la detenzione domiciliare sostitutiva puo' essere
concessa al padre detenuto "se la madre e' deceduta o
impossibilitata e non vi e' modo di affidare la prole ad altri che
al padre".
In subordine: Ordinamento penitenziario - Detenzione domiciliare
speciale - Previsione che la detenzione domiciliare sostitutiva
puo' essere concessa al padre detenuto se "non vi e' modo di
affidare la prole ad altri che al padre".
- Legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario
e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della
liberta'), art. 47-quinquies, comma 7.
(GU n. 40 del 02-10-2024)
TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI BOLOGNA
L'anno 2024 giorno 9 del mese di aprile in Bologna si e' riunito
in Camera di Consiglio nelle persone dei componenti:
dott.ssa Venturini Maria Letizia, Presidente;
dott. Romano Ezio, giudice relatore;
dott.ssa Forgione Margherita, esperta;
dott.ssa Sozzi Anna, esperta;
con la partecipazione della dott.ssa Starita Adele Sost.
procuratore generale presso la Corte di Appello di Bologna per
deliberare sul procedimento relativo alle domande di:
detenzione domiciliare speciale, art. 47-quinquies O.P.;
affidamento in prova al servizio sociale, art. 47 O.P.;
semiliberta', art. 50 O.P.;
Presentate da C M nato a il , detenuto presso la Casa
circondariale di Ferrara in espiazione della pena di cui al cumulo
SIEP n. 2023/187 emesso dalla Procura di Pordenone, pari ad anni 4,
mesi 7 e giorni 12 di reclusione; decorrenza pena 10 settembre 2023;
fine pena 21 agosto 2028.
Osserva
Il presente procedimento origina dalla richiesta di C M. volta ad
ottenere le misure della semiliberta' o dell'affidamento in prova al
servizio sociale in relazione alla pena di cui alla sentenza n.
3391/2019 emessa dalla Corte d'Appello di Bologna, pari a mesi 7 e
giorni 15 di reclusione per il delitto di cui all'art. 640, 81, c. 2
codice penale commesso in nell'anno a fronte dell'emissione da parte
della Procura generale della Repubblica di Bologna di ordine di
carcerazione e decreto di sospensione.
Successivamente, tuttavia, interveniva l'attuale titolo in
espiazione e, dunque, era disposta la carcerazione del C. , associato
all'istituto estense dal 10 settembre 2023.
A fronte dell'esecuzione inframuraria della pena, con atto del 25
ottobre 2023 il difensore di fiducia del C ha avanzato in via
provvisoria ed urgente ulteriore istanza di ammissione del proprio
assistito alla misura della detenzione domiciliare speciale di cui
all'art. 47-quinquies legge n. 354/1975 (d'ora innanzi anche O.P.),
ai sensi della sentenza della Corte costituzionale n. 30/2022, ovvero
anche la concessione del beneficio di cui all'art. 21-bis O.P.
A sostegno, il difensore evidenziava che C e' padre di figli
minorenni, che la madre ha abbandonato da tempo il nucleo familiare,
che allo stato egli e' l'unica persona in grado di occuparsi dei
figli, avendone ottenuto l'affido da parte del Tribunale per i
Minorenni.
L'istanza, e' stata rigettata per carenza di fumus dal Magistrato
di sorveglianza di Bologna, sulla base della considerazione per cui
l'art. 47-quinquies, comma 7 O.P., consente la concessione della
detenzione domiciliare al padre di prole di eta' inferiore ad anni
dieci o affetta da disabilita' solo laddove la madre risulti
«deceduta o impossibilitata e non vi e' modo di affidare la prole ad
altri che al padre».
Nel caso di specie, infatti, i figli di C sono assistiti dalla
sorella maggiore, che, al netto delle difficolta' nella gestione di
piu' bambini, costituisce unitamente ai compagno un nucleo familiare
idoneo e capace di prendersi cura dei figli del detenuto, come
indicato anche dai servizi sociali.
In via preliminare, il Tribunale di sorveglianza evidenzia che le
originarie domande di semiliberta' ed affidamento in prova al
servizio sociale risultano allo stato inammissibili.
La domanda ex art. 47 O.P. risulta non passibile di vaglio nel
merito in relazione all'attuale fine pena, ampiamente superiore agli
anni quattro di espiazione residua. Quanto alla semiliberta', C non
ha maturato la soglia di meta' della pena, rendendo parimenti tale
domanda non valutabile dal Collegio.
Parimenti non valutabile, sebbene proposta in sede di
provvisoria, e' la domanda di cui all'art. 21-bis O.P., trattandosi
di istituto modellato sull'art. 21 O.P. e, dunque, l'iniziativa circa
l'ammissione al beneficio e' di competenza dell'Amministrazione
penitenziaria.
L'unica domanda astrattamente ammissibile, dunque, risulta essere
quella avanzata ai sensi dell'art. 47-quinquies O.P., da intendersi
ai sensi del comma 1-bis.
Cio' premesso si osserva l'art. 47-quinquies O.P. disciplina una
ipotesi di detenzione domiciliare che, in deroga ai limiti ordinari
stabiliti dall'art. 47-ter O.P., puo' essere concessa dal Tribunale
di sorveglianza alla madre di prole di eta' inferiore agli anni dieci
con la stessa convivente, espiato un terzo della pena o almeno
quindici anni per la persona condannata all'ergastolo, laddove sia
possibile ripristinare la convivenza con i minori ed il giudice non
rilevi un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti, in
modo dai consentire alla madre di provvedere alla cura e
all'assistenza dei figli.
Laddove non sussista in concreto il pericolo di reiterazione di
condotte delittuose o di fuga, inoltre, ai sensi del comma 1-bis
della norma in esame, il Tribunale di sorveglianza puo' derogare ai
limiti di pena indicati al comma 1, consentendo alla persona di
espiare il terzo della sanzione o i quindici anni, per la condannata
alla pena dell'ergastolo, in un domicilio protetto ovvero anche al
proprio domicilio.
Il comma settimo dell'articolo 47-quinquies, poi, stabilisce che
la detenzione domiciliare speciale possa essere concessa, alle stesse
condizioni della madre; al padre detenuto solo laddove la madre sia
deceduta o impossibilitata e non vi e' modo di affidare la prole ad
altri che al padre.
La norma e' stata oggetto in epoca recente di diversi interventi
della Corte costituzionale che ne hanno ampliato la portata,
anzitutto stabilendo l'applicabilita' della disciplina de quo anche
laddove il figlio, a prescindere dall'eta', sia affetto da handicap
in condizioni di gravita' ai Sensi dell'art. 3, c. 3, legge n.
104/1992 (Sentenza della Corte costituzionale n. 18/2020), nonche' la
possibilita' che la misura venga concessa in via provvisoria dal
Magistrato di sorveglianza, laddove sussista un grave pregiudizio per
il minore derivante dalla protrazione dello stato detentivo dei
genitore (Sentenza della Corte costituzionale n. 30/2022).
In tutte le pronunce citate, la Corte ha evidenziato come questa
norma debba intendersi costituzionalmente sorretta dalla prioritaria
necessita' di assicurare la tutela della prole bisognosa di
assistenza genitoriale, precipitato dell'art. 31, c. 2 Costituzione,
anche in consonanza con gli obiettivi internazionali di tutela del
minore e del fanciullo, e realizzi tale scopo consentendo, a
tassative e stringenti condizioni, di derogare ai limiti della
detenzione domiciliare ordinaria.
Dalla lettura della norma, tuttavia, emerge chiaramente, come
alle suddette esigenze l'ordinamento dia una differente risposta
laddove il richiedente sia la madre ovvero il padre.
Mentre per valutare l'accesso alla misura della figura
genitoriale femminile il Tribunale di sorveglianza si limitera' a
compiere un vaglio sulla possibilita' di ripristinare la convivenza
con la prole e sull'assenza in concreto del rischio di reiterazione
di condotte di reato, per accogliere analoga richiesta del padre
dovra' valutarsi altresi' se la madre sia morta (impedimento
assoluto) o impossibilitata (impedimento relativo) e se la cura della
prole non possa essere garantita da altri soggetti diversi dal
genitore.
Sul punto, peraltro, il diritto vivente e' particolarmente
stringente.
Sebbene la riflessione giurisprudenziale sulla norma si sia
polarizzata in massima parte nella individuazione di una nozione piu'
chiara di cosa debba intendersi per impossibilita' della madre, in
particolare laddove la stessa presti attivita' lavorativa; tale
condizione e' stata individuata in quella che - per l'emersione di
oggettivi fattori impeditivi inerenti alla sfera di azione della
medesima - determina il rischio concreto per la prole di un grave
deficit assistenziale e di un'irreversibile compromissione del suo
processo evolutivo ed educativo (cosi' Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4796
del 10 dicembre 2020 Cc. (dep. 8 febbraio 2021) R.v 280789 - 01 (1) .
La stessa Corte di legittimita', tuttavia, evidenzia le
differenze strutturali tra l'art. 275, c. 4 del codice di procedura
penale e l'art. 47-quinquies O.P., laddove la prima norma richiede
che l'impossibilita' della madre sia assoluta e non reca l'ulteriore
inciso per cui il Tribunale di sorveglianza deve escludere che «vi
sia modo di affidare la prole ad altri che al padre» ed arresta la
propria analisi alla mera sussistenza del requisito dell'impedimento
della madre, senza approfondire in che termini debba intendersi il
riferimento ai terzi.
Cio' posto, il Tribunale di sorveglianza deve rilevare che la
situazione dedotta dal C ed accertata nel corso dell'istruttoria,
alla luce dell'attuale assetto normativa e giurisprudenziale, non
consente l'accoglimento dell'istanza di detenzione domiciliare
speciale.
Sebbene la difesa abbia cercato di sostenere l'assoluto
impedimento e financo l'incapacita' della madre a svolgere il ruolo
di cura, dall'ordinanza del Tribunale per i Minorenni che ha concesso
il collocamento dei minori presso il C. risulta che entrambi i
genitori sono stati ritenuti idonei alla funzione genitoriale ed
adeguati rispetto alle esigenze di vita ed affettive dei minori.
Dunque la donna, secondo il calendario dei servizi, ha diritto di
vedere i figli e mantenere un rapporto con gli stessi, seppur non
continuativo.
D'altro canto, si e' potuto appurare che la famiglia di C
risultava costituita, gia' prima della carcerazione, oltre che dal
detenuto ed i due figli minori, anche dalla figlia di primo letto
dell'istante, C L , e dal compagno della giovane.
I minori, dunque, sono rimasti in ambito familiare e stanno
mantenendo le relazioni che caratterizzavano la loro vita gia' da
prima della carcerazione dei padre; chiaramente, saranno esposti ad
una sofferenza legata alla sua assenza, ma non pare al Collegio che
tale condizione nella sua materialita' determini un grave deficit di
tutela e cura per i figli del detenuto. Il nucleo familiare, pur in
assenza del C , e' stato ritenuto dai servizi minorili capace di
garantire idonea cura ed assistenza ai figli minori dell'istante,
sicche' pur a fronte della non ,continuita' dei rapporto con la madre
e', dunque, chiaramente «possibile affidare la prole ad altri che al
padre». Milita in questo senso l'indicazione dei Servizi minorili,
che, pur caldeggiando la ricostituzione del rapporto padre-figli ove
possibile, indicano che i minori si recano a far visita al padre in
istituto, e «vivono comunque in una situazione serena presso la
famiglia della sorella». Anche se l'impegno della giovane donna viene
descritto come gravoso, lo stesso non risulta tale da determinare una
condizione di deficit di cura e di assistenza che consente
l'ammissione alla misura richiesta.
Ne' puo' accogliersi la tesi della difesa secondo cui, nella
valutazione dell'assoluto impedimento della madre il supporto offerto
da altri parenti e/o servizi non possa intendersi quale integralmente
sostitutivo della presenza materna, ma debba essere inteso in senso
meramente complementare alla cura offerta dalla madre.
La giurisprudenza citata dal difensore, infatti, si e' espressa,
per l'appunto, sull'art. 275, c. 4 del codice di procedura penale,
che non contiene l'ulteriore locuzione «e non vi e' modo di affidare
la prole ad altri che al padre».
Se, dunque, nell'ermeneutica dell'art. 275 codice penale, in
assenza di un espresso riferimento restrittivo, appare ragionevole
non introdurre ulteriori requisiti quali l'assistenza sostitutiva
offerta da terzi soggetti, ad analoga conclusione non puo' pervenirsi
rispetto alla norma in esame.
Quest'ultima, infatti, si esprime in termini differenti e adotta
un linguaggio che fa riferimento non gia' alla mera possibilita' di
cura integrativa dei terzi, ma al concetto di affidamento dei minori
ad altri soggetti al di fuori del padre.
La locuzione utilizzata dal legislatore, anche nella sua valenza
tecnica, dunque, esprime una netta indicazione, a parere del
Collegio, nel senso della volonta' di attribuire al terzo un ruolo di
cura anche sostitutivo della madre, che rende il padre l'extrema
ratio normativa.
Il giudizio, in applicazione dell'attuale formulazione dell'art.
47-quinquies, c. 7 O.P., dovrebbe dunque concludersi con un rigetto
dell'istanza, gia' su questi profili parzialmente preliminari.
Tuttavia, Tribunale di sorveglianza non puo' non rilevare dubbi
circa la compatibilita' costituzionale della disposizione di cui
all'art. 47-quinquies, c. 7 O.P. nella parte in cui la norma, sotto
un duplice profilo, opera una radicale discriminazione tra la madre
ed il padre nell'accesso alla misura in esame.
Cio' tanto in generale, stabilendo una differenziazione tra i
ruoli genitoriali che non appare ragionevole alla luce delle
evoluzioni sociali che hanno interessato l'ambito familiare, della
letteratura scientifica in materia e del corretto bilanciamento tra
le esigenze costituzionali in gioco; quanto, in via gradata, se
confrontata con analoga disposizione prevista dall'art. 47-ter, c. 1,
lett. b) O.P. e con quanto previsto in altre disposizioni
dell'ordinamento (tra cui il gia' citato art. 275, c. 4 codice di
procedura penale) in cui e' il legislatore ha operato differenti
scelte in tema di bilanciamento tra le esigenze del processo penale
ed assistenza alla prole in tenera eta'.
I profili costituzionali che, a parere del Collegio, sarebbero
violati, a vario livello, dalla norma in esame sono, anzitutto l'art.
3, c. 2 e gli artt. 29, 30 e 31 della Carta fondamentale, nonche'
l'art. 117 quale parametro interposto rispetto agli artt. 14 CEDU,
espressivo in ambito convenzionale del principio di non
discriminazione, in relazione all'art. 8 CEDU, che stabilisce tutela
della vita privata e familiare.
I dubbi di costituzionalita' su brevemente esposti sono duplici
e, come anticipato, da intendersi in via gradata. Pertanto, ai fini
di una maggiore chiarezza espositiva, appare opportuno condurre una
analisi separata degli stessi.
Un primo profilo di incostituzionalita' della disciplina. in
esame si ritiene sussistente in ragione della scelta legislativa di
operare a monte una differenziazione tra te due figure genitoriali,
padre e madre, nella cura del minore (o del figlio affetto da
handicap) stabilendo una cornice normativa evidentemente piu'
favorevole per le detenute di sesso femminile rispetto ai detenuti di
sesso maschile, in cui l'elemento discretivo e' dato esclusivamente
dal genere del genitore.
Tale scelta, per i motivi di cui si dira' appresso, si traduce in
urta discriminazione della cui ragionevolezza e' lecito dubitare,
specialmente in relazione alla norma in esame, in cui l'interesse
costituzionale prevalente non e' tanto quello della tutela della
maternita', bensi' quello di garantire assistenza al soggetto
bisognoso di cura in modo da non pregiudicarne lo sviluppo
psico-affettivo.
E' chiaro che tale opzione normativa poggi su dei dati empirici e
tradizioni culturali che assegnano alla donna, ed in particolare alla
madre, un generale e prioritario lavoro di cura a tutela dei soggetti
deboli, tra cui in primis i figli; ma tale impostazione risulta a
parere del Collegio non adeguatamente giustificabile rispetto al
prioritario interesse costituzionale sotteso alla norma in esame, ne'
attuale rispetto ai mutamenti sociali che hanno interessato l'ambito
familiare.
Per meglio comprendere quanto qui asserito, appare utile
ripercorrere, per sommi capi, l'evoluzione normativa del fenomeno
detentivo femminile e di quello inerente il rapporto tra le esigenze
di cura della prole e la carcerazione dei genitori, in cui la
giurisprudenza costituzionale ha avuto un ruolo tutt'altro che
secondario. In origine, infatti, il tema della detenzione femminile e
del bilanciamento tra gli interessi sottesi al fenomeno - pretesa
punitiva dello Stato ed esigenze di tutela della collettivita' da un
lato, tutela della maternita', dell'infanzia e del corretto sviluppo
dei minori dall'altro - era stato affrontata dal legislatore
nell'ambito della detenzione domiciliare di cui all'art. 47-ter, c. 1
O.P., stabilendo che la detenuta che dovesse espiare una pena
inferiore ai quattro anni potesse essere ammessa alla misura
detentiva domiciliare laddove fosse «donna incinta o che allatta la
propria prole ovvero madre di prole di eta' inferiore a tre anni con
la stessa convivente» (primigenia formulazione dell'art. 47-ter, c. 1
O.P. introdotta con legge 16 ottobre 1986, n. 663).
La norma, per converso, non conteneva alcun riferimento al padre
sicche' fu compito della Consulta aprire uno spiraglio per la figura
genitoriale maschile, con la Sentenza n. 215/1990.
La pronuncia di incostituzionalita' fu costruita dalla Consulta
in quella sede ai sensi degli artt. 3, 29, 30 e 31, c. 2, quale
corollario dei principi di eguaglianza morale e giuridica dei coniugi
e di tutela dell'infanzia, evidenziando come la scelta legislativa
fosse irragionevole nel non riconoscere alcuno spazio alla figura
maschile.
A sostegno, la Corte richiamo' gli arresti della propria
giurisprudenza in materia di estensione al padre di alcune norme
previdenziali in origine pensate a tutela della sola maternita', ma
che la Corte aveva riconosciuto carenti rispetto alle esigenze di
tutela dello sviluppo psico-affettivo del minore (2) nella parte in
cui non riconoscevano al padre quantomeno un ruolo di supplenza nella
cura dei figli (3) .
La Corte costituzionale, evidenziando l'omogeneita' degli
interessi costituzionali in gioco, ed in particolare sottolineando
come in entrambi i settori, oltre al generico rispetto del principio
di uguaglianza sostanziale tra i coniugi, venisse in rilievo primario
anche hi tutela della prole, concluse dichiarando la norma
illegittima nella parte in cui non prevedeva che la detenzione
domiciliare potesse essere concessa, nelle stesse condizioni previste
per la madre, anche al padre detenuto, «qualora la madre fosse
deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare assistenza
alla prole» (Corte costituzione Sentenza n. 215/1990).
E', dunque, sul terreno della normativa giuslavoristica e
previdenziale degli anni '70 tesa alla tutela della donna lavoratrice
che si rinviene la matrice originaria della locuzione normativa che
da' rilievo, seppur ancillare, alla figura genitoriale maschile;
locuzione poi transitata, attraverso il ponte costruito dalla
giurisprudenza costituzionale, in materia di esecuzione penale, fatta
propria dal legislatore e riprodotta in analoghe disposizioni in
materia.
La successiva evoluzione normativa ha visto, poi, una modifica
sostanziale della disciplina di settore, in massima parte sospinta
dalla volonta' legislativa di dare maggiore tutela al fenomeno della
maternita', evitando l'ingresso in carcere dei minori al seguito
delle madri.
Un primo intervento organico si e' avuto con legge n. 40/2001,
ispirato dalla ratio di incentivare forme di esecuzione penale
esterna a favore delle detenute incinte o alle madri nei primissimi
anni di vita del minore, in cui il rapporto con la figura femminile
(anche per esigenze biologiche) e' stato dal legislatore ritenuto
primario.
La legge citata, anzitutto, ha introdotto nel codice penale nuove
ipotesi di differimento della pena agli arti. 146 e 147 del codice
penale, a tutela della donna incinta (art. 146, n. 1 del codice
penale), della madre di prole di eta' inferiore agli anni uno (ad.
146, n. 2 del codice penale), nonche' della madre di prole di eta'
inferiore agli anni tre (art. 147, n. 3 del codice penale).
Tali norme tutelano in maniera diretta la maternita' ed il
puerperio, assicurando l'obiettivo di evitare l'ingresso delta madre
e del minore in carcere, giungendo sino a differire l'esecuzione
della pena o a consentirne l'espiazione, ai sensi dell'art. 47-ter,
c. 1-ter O.P., nelle forme della detenzione domiciliare surrogatoria.
La novella normativa del 2001, inoltre, e' particolarmente
importante ai fini della presente analisi in quanto ha introdotto
l'art. 47-quinquies O.P., con l'obiettivo dichiarato di consentire
anche al di fuori dei limiti di cui all'art. 47-ter, c. 1 O.P.
l'accesso a misura domiciliare, in un'ottica di rafforzamento della
tutela garantita alle esigenze costituzionali di tutela della prole
sottese alla disciplina in esame.
Il punto di bilanciamento tra tali esigenze e quelle di sicurezza
pubblica e' stato individuato dal legislatore del 2001 nell'assenza
del rischio di commissione di ulteriori delitti da parte della madre
e .nella fissazione, in assenza di rigidi limiti di pena, di una
quota di espiazione minima della stessa; pari ad un terzo della pena
temporanea ovvero quindici anni per le detenute condannate
all'ergastolo.
Da ultimo, sempre la legge n. 40/2001, a completamento degli
obiettivi di tutela assunti dal legislatore, ha introdotto l'art.
21-bis O.P., che consente alle detenute madri di proludi eta' non
superiore agli anni dieci di poter garantire cura ed assistenza ai
minori, secondo le modalita' di cui all'art. 21 O.P.
Il legislatore, in quella sede, stabili' sia per l'art.
47-quinquies O.P. sia per l'art. 21-bis O.P., che le misure ivi
previste potessero essere concesse anche al padre laddove la madre
risulti «deceduta o impossibilitata e non vi e' modo di affidare la
prole ad altri che al padre».
Parallelamente, la detenzione domiciliare ordinaria di cui
all'art. 47-ter, c. 1 O.P. e' stata in massima parte ridisegnata
quale misura prevalentemente tesa alla tutela non tanto della madre,
quanto piuttosto del minore, soggetto debole ed estraneo al processo
penale, ma che rischia di subire dalla vicenda giudiziaria del
genitore gravose conseguenze sul proprio sviluppo psico-affettivo,
venendo .deprivato delle cure necessarie.
Anzitutto e' scomparso il riferimento all'allattamento; e' stata
innalzata l'eta' da tre a dieci anni della prole convivente; e' stata
inserita, alla lettera b) una speciale ipotesi (precipitato della
sentenza 250/1990 della Consulta) che consente l'accesso alla misura
anche al padre laddove la madre sia «deceduta o assolutamente
impossibilitata».
La modifica della norma in esame da disciplina volta alla tutela
della maternita' in senso stretto a norma prioritariamente tesa alla
tutela del minore-soggetto richiedente cura e' stata, peraltro,
riconosciuta dalla stessa Corte costituzionale, con sentenza
350/2003. Con la citata sentenza, infatti, la Consulta ha esteso
l'applicabilita' della detenzione anche laddove il figlio cui occorre
apprestare cura sia maggiore di anni dieci ma affetto da handicap in
condizioni di gravita' ai sensi dell'art. 3, c. 3, legge n. 104/1992,
proprio sul presupposto dell'omogeneita' delle situazioni sostanziali
che caratterizzano il minore di anni dieci ed il gravemente disabile
sotto il profilo della necessita' di cura (4) .
Ulteriore sviluppo della normativa lato sensu dedicata alla
tutela della maternita' e dei minori nell'ambito della vicenda penale
in rapporto alla carcerazione del genitore si e' avuto con legge n.
62/2011, con cui il Parlamento e' intervenuto tanto in materia
cautelare quanto in materia di esecuzione pena.
All'art. 47-quinquies O.P. e' stato inserito il comma 1-bis a
mente del quale, laddove non sussista il rischio concreto di
commissione di ulteriori delitti o pericolo di fuga, le quote pena
indicate al comma 1 possono essere espiate dalla madre (e, dunque,
anche dal padre) in strutture protette o anche al domicilio, di fatto
rendendo operativa la norma de qua anche prima che maturino le soglie
di ammissibilita' stabilite dal comma precedente.
Lo stesso intervento normativo, poi, ha introdotto gli artt.
21-ter O.P. (5) , 275 c. 4 (6) e 285-bis del codice di procedura
penale (7) ; tutte norme in cui si e' complessivamente stabilito di
dare primario rilievo alla tutela dei soggetti bisognosi di cura
(minori-figli affetti da handicap) rispetto ad esigenze
special-preventive e cautelari, salvo che le stesse non risultino
particolarmente intense. Per quanto di interesse, tutte le norme da
ultimo indicate trovano primaria applicazione nei confronti della
madre, mentre sono estese al padre «qualora la madre sia deceduta o
assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole».
Dalla disamina sin qui condotta e' possibile trarre alcune linee
guida per l'inquadramento delle scelte normative che hanno
determinato l'attuale assetto del rapporto tra fenomeno detentivo e
cura della prole e, dunque, vagliarne l'attuale compatibilita' con il
dettato costituzionale sotto il profilo della intrinseca
ragionevolezza.
In generale, l'intera disciplina attribuisce tutela in via
prioritaria al ruolo genitoriale della madre-donna ed assegna al
padre una funzione subalterna e sussidiaria.
L'origine di tale opzione normativa si colloca negli anni '70,
quale scelta previdenziale sorretta dal primario obiettivo garantire
tutela della maternita' della donna lavoratrice.
Successivamente, gia' il legislatore del 1971 ha avvertito la
necessita' di distinguere quelle norme esclusivamente dettate a
favore delta madre in quanto incinta-partoriente-puerpera
(appannaggio delle sole donne per evidente infungibilita' biologica
del ruolo gestazionale) da quelle che, viceversa, avevano una
funzione piu' marcatamente orientata a tutelare l'esigenza di
esercizio della genitorialita' quale attivita' di cura ed educazione
della prole nell'interesse di quest'ultima. In questo secondo ambito
di norme, dunque, e' emersa l'opportunita' di riconoscere un molo
attivo alla figura genitoriale di sesso maschile, quale soggetto
compartecipe delle funzioni e dei doveri discendenti dalla
responsabilita' genitoriale.
Tuttavia, con un occhio sulla societa' italiana degli anni '70,
ed in un contesto di fatto in cui il lavoro di cura era culturalmente
prerogativa della madre-donna, il legislatore ha scelto di non
realizzare una esatta parificazione tra i due sessi, attribuendo al
padre un ruolo di mera supplenza rispetto alla madre.
Cosi' come formatasi nell'ambito settoriale di pertinenza,
l'opzione normativa della non esatta parificazione e' transitata per
mano della Consulta in ambito penale, venendo sostanzialmente
reiterata senza particolari innovazioni sino ad oggi.
Il Tribunale di sorveglianza ritiene che proprio il mancato
adeguamento della scelta di fondo alle evoluzioni della societa' e
del fenomeno familiare sia indice della inattualita' dell'opzione
normativa, al punto da metterne in discussione l'intrinseca
ragionevolezza, soprattutto se riferita a misura quale la detenzione
domiciliare speciale in cui l'esigenza primaria non e' tanto quella
di tutelare la maternita' stricto sensu intesa, ma piuttosto quella
di garantire la cura della prole in condizioni di sviluppo/fragilita'
rispetto a situazioni in cui, nel merito, il genitore non esprima
alcuna pericolosita' sociale.
In tale contesto, una differenziazione nell'accesso alla misura
fondata esclusivamente sul sesso del genitore e, dunque, slegata da
qualsiasi valutazione in ordine alla capacita' dello stesso di
adempiere al ruolo di cura, non appare giustificabile.
Circa la ritenuta omogeneita' e fungibilita' del ruolo
genitoriale del padre e della madre all'interno delta famiglia, giova
evidenziare che da tempo la letteratura scientifica ha messo in
discussione l'assunto per cui le funzioni dei genitori siano
biologicamente determinate in ragione del genere del soggetto
accudente (o caregiver).
Se e' pur vero, infatti, che nella maggior parte delle societa'
umane in genere e' una donna - ma non sempre la madre biologica - o
un gruppo di donne ad occuparsi dei bambini, si' sono registrate
anche opzioni sociali differenti, in cui il ruolo di cura della prole
(parenting) e' o affidato direttamente al padre (raramente) o
modellato su una cooperazione tra i genitori, fino a forme di
intercambiabilita' diffusa tra le figure genitoriali, eventualmente
anche a prescindere dal rapporto di filiazione (8) .
Sebbene non possa negarsi che la madre puo' avere, quantomeno in
una fase iniziale dello sviluppo del bambino, un ruolo di cura
primario, legato prevalentemente all'allattamento al seno,
successivamente le differenze nel rapporto di interazione tra le
figure genitoriali e la prole risultano piu' propriamente
condizionate da condizioni ecologiche (da intendersi quale ecologia
sociale) e da costrutti sociali-ambientali, piuttosto che dal sesso
del genitore. Ed anche sull'allattamento al seno, in verita', possono
ben verificarsi condizioni per cui la madre biologica non sia in
grado di provvedervi: non e' prassi estranea alla cultura occidentale
quella delle balie o, in epoca piu' recente, quella della
somministrazione di latte artificiale; situazioni che dimostrano come
l'idea culturale della infungibilita' del ruolo Materno non possa
essere intesa in termini cosi' assoluti.
Si e' cosi' osservato che nelle societa' in cui gli uomini sono
molto partecipi alla gestione pratica della famiglia e all'educazione
dei figli, accresce il livello di intercambiabilita' tra i genitori
nel parenting, evidenziandosi come la peculiarita' della specie
umana, rispetto agli altri mammiferi ed agli altri primati-ominidi,
e' proprio la «assoluta plasticita' delle relazioni, che possono
persino prescindere dal genere del genitore (come avviene nelle
coppie omosessuali) o dal legame biologico dei figli (come avviene
nei genitori adottivi e affidatari)» (9) .
D'altro canto, gli studi piu' recenti hanno evidenziato come
l'ambiente piu' confacente all'armonico sviluppo della personalita'
del minore e' quello in cui si realizza il cosiddetto coparenting,
vale a dire la cooperazione tra i ruoli genitoriali fondata sulla
intercambiabilita' e' condivisione del ruolo di cura, piuttosto che
su una rigida separazione di funzioni fondata sul genere. Ambiente la
cui costruzione passa necessariamente attraverso l'attivo
coinvolgimento dei padri nella funzione di accadimento ed il
superamento della tradizionale attribuzione di compiti statici
ancorati al sesso (10) .
Il riconoscimento dell'incidenza positiva del coparenting e
dell'assunzione di un ruolo di cura attivo condiviso da entrambe le
figure genitoriali sull'armonico sviluppo psico-affettivo del minore
(o del soggetto bisognoso di cura), lungi dall'esaurirsi nell'ambito
delle scienze sociali, ha anche trovato consacrazione in fonti
normative, ponendoli alla base di importanti statuizioni di principio
che hanno riconosciuto un generale diritto del minore alla c.d.
bigenitorialita', quale corollario del dovere di entrambi i genitori
di garantire cura ed educazione alla prole.
Si considerino, in ambito sovranazionale, le diverse disposizioni
stabilite nella Convenzione sui diritti del Fanciullo fatta a New
York il 20 novembre 1989 (ratificata dall'Italia con legge del 27
maggio 1991, n. 176) (11) , nonche', in ambito nazionale, le norme in
materia di diritto di famiglia (12) , in cui e' chiaramente espresso
il principio per cui le autorita' statali, ed il giudice, devono
assicurare soluzioni normative e decisioni che, laddove non
sussistano esigenze superiori, consentano di mantenere il rapporto
tra la prole ed entrambi i genitori.
Cio' che si ritiene rilevante evidenziare e' come gli atti
normativi citati facciano riferimento alla necessita' del
mantenimento del rapporto tra il fanciullo-minore ed entrambe le
figure del genitore-caregiver, senza distinzioni o gradazioni legate
al sesso.
Transitando dal terreno delle scienze sociali sul piano piu'
propriamente assiologico, il Tribunale di sorveglianza osserva poi
che in tema di differenziazione del trattamento normativo in base al
sesso, importanti statuizioni di principio possono trarsi non solo
nell'ormai consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale
sull'art. 3, c. 2 Costituzione (13) , ma anche in quella emersa in
seno alla Corte di Strasburgo rispetto all'art. 14 della CEDU, a sua
volta espressivo del principio di uguaglianza sostanziale, letto in
relazione all'art. 8 CEDU.
La Corte EDU, infatti, partendo dall'assunto che la parita' di
genere rappresenta uno degli obiettivi primari all'interno del
Consiglio d'Europa, in numerose pronunce ha ritenuto che per poter
giustificare una differenziazione di trattamento normativo sulla base
del sesso dei soggetti destinatari, i riferimenti alle tradizioni, ad
assunti generali o ad attitudini sociali prevalenti in un dato paese
non siano sufficienti (cosi' con giurisprudenza costante dal caso
Konstantin Markin v. Russia GC, 2012, § 127), ma che le
differenziazioni sulla base de sesso debbano essere sorrette da
ragioni particolarmente pregnanti (14) .
Si tratta di una copiosa giurisprudenza, tra cui si ritiene di
dover citare, per esempio, la Sentenza Beeler v. Switzerland (GC,
2022, § 113), in cui la Corte ha ritenuto che la legislazione
svizzera sull'accesso alla pensione di reversibilita', che stabiliva
una differenziazione tra uomini e donne, non fosse conforme all'art.
14 CEDU, in relazione all'art. 8 CEDU in quanto iterativa di
pregiudizi e stereotipi riguardanti la natura ed il ruolo della donna
all'interno della societa' e fosse svantaggiosa e svilente tanto del
lavoro femminile quanto della vita familiare degli uomini.
Ancora, recentissimamente, con sentenza del 19 marzo 2024 resa
nel caso B. v Russia, la Corte ha dato ulteriore applicazione dei
principi enunciati dalla Grande Camera in Konstantin Markin v.
Russia, ribadendo che la differenziazione di genere in materia di
congedo parentale tra uomini e donne non sia adeguatamente
giustificabile in ragione del mero sesso del genitore, reiterando
stereotipi sui ruoli in ambito familiare che non trovano sufficiente
ragionevolezza.
Il caso appare interessante, pur con gli adattamenti del caso, in
quanto nella sentenza da ultimo citata la legislazione russa in
materia di congedo parentale previsto per il personale di polizia e'
stata giudicata contraria agli artt. 14-8 CEDU nella parte in cui
prevede che il congedo parentale sia fruibile dalla madre
incondizionatamente, laddove, a contrario, lo stesso puo' essere
riconosciuto al padre solo laddove la madre sia impossibilitata a
fornire assistenza alla prole (15) .
La Corte, inoltre, in un paragrafo particolarmente pregnante ai
fini della questione in discussione (§ 38), ribadisce che il congedo
parentale rappresenta un istituto distinto rispetto a quelli volti
alla cura della maternita' in senso stretto, essendo primariamente
diretto a garantire assistenza alla prole in eta' di sviluppo nei
periodi successivi a quelli di prime cure, in cui la madre ha un
ruolo biologico primario. Superata questa fase, dunque, secondo la
Corte di Strasburgo, i genitori, uomo e donna, rispetto alle esigenze
di cura dell'infante sono in una posizione sostanzialmente
comparabile ed omogenea (16) .
Mutatis mutandis, i principi richiamati sembrano potersi
applicare anche al terreno in cui ci si muove in questa sede; si e'
gia' detto, infatti, che l'opzione normativa della cui legittimita'
costituzionale si dubita e' trasmigrata nel sistema dell'esecuzione
penale proprio dalla legislazione in materia. di congedo parentale,
su spinta della Corte costituzionale, che ha ravvisato, con gli
adattamenti del caso, una medesima esigenza di fondo, di rango
costituzionale, alle due discipline, vale a dire la tutela della
prole in eta' di sviluppo. Leggere la normativa italiana cercando di
valutarne l'adeguatezza anche rispetto al Parametro emergente nella
giurisprudenza di Strasburgo (i cui due poli sono: uguaglianza
sostanziale nel ruolo di cura della prole tra i genitori dopo i primi
mesi; necessita' di serie e motivate ragioni per introdurre
differenziazioni sulla base del sesso degli stessi), dunque, appare
non solo possibile ma, invero, doveroso.
La citata giurisprudenza EDU, infatti, in quanto espressa piu'
volte dalla Grande Camera e reiterata nelle piu' recenti pronunce,
soddisfa i requisiti indicati dalla Sentenza 49/2015 della Corte
costituzionale e, dunque, puo' essere assunta quale parametro
interposto di costituzionalita', rappresentando un'ermeneutica
convenzionale ormai consolidatasi e stabile.
Esaminando la disciplina de quo alla luce della letteratura
scientifica, dei principi sovranazionali, nonche' della
giurisprudenza costituzionale e convenzionale, non puo' non
osservarsi come la inesatta parificazione del padre e della madre
detenuti per l'accesso alla detenzione domiciliare speciale sia il
frutto di una scelta intrinsecamente irragionevole e fondata su una
tradizione culturale priva di effettivo portato empirico, che assegna
alla madre il principale ruolo di cura in ambito familiare.
Posto, infatti, che la tutela della maternita' in senso stretto
e' assicurata da altre norme dell'ordinamento, quali le ipotesi di
differimento della pena di cui agli artt. 146 e 147 del codice
penale, l'art. 47-quinquies O.P. deve essere letto quale istituto
primariamente teso alla tutela della prole (art. 31 Costituzione) ed
all'assolvimento di un ruolo di cura (parenting) da parte dei
genitori, ai fine di evitare che la sottoposizione a pena dello
stesso riverberi effetti negativi sullo sviluppo psico-fisico ed
affettivo del minore o del figlio affetto da handicap.
La preferenza accordata in questa sede alla cura del soggetto
debole rispetto alle istanze punitive trova una sua giustificazione e
punto di equilibrio alla luce di un giudizio di merito
particolarmente pregnante, in cui non ci si limita a valutare
l'idoneita' della misura a prevenire la ricaduta nel reato o ad
assicurare il reinserimento sociale della persona, ma deve escludersi
in radice il rischio concreto di reiterazione di condotte illecite.
In altri termini, in assenza di pericoli per la collettivita',
un'esecuzione penale esterna che mediante il ripristino. della
convivenza con il figlio bisognoso di cura consenta l'esercizio della
genitorialita', e' da ritenersi costituzionalmente preferibile ad una
esecuzione inframuraria che, irragionevolmente, sacrifichi la tutela
della prole in eta' di sviluppo e dei soggetti affetti da handicap.
Rispetto a tale equilibrio, che si condivide in quanto espressivo
di un bilanciamento congruo degli interessi in gioco, una
differenziazione uomo-donna appare ingiustificata rispetto
all'oggetto di tutela, ritenendo il Collegio che la figura maschile e
quella femminile siano adeguatamente in grado di assolvere al ruolo
genitoriale di cura, a prescindere dal sesso e dalla declinazione del
ruolo quale padre-madre.
In questo senso, la norma di cui all'art. 47-quinquies, c. 7
O.P., a parere del Collegio, risulta non conforme agli artt. 3, c. 2
Costituzione, 29, 30 e 31, c. 2 e 117 Costituzione, in relazione agli
articoli 114-8 CEDU nella parte in cui prevede che la detenzione
domiciliare sostitutiva possa essere concessa al padre detenuto «se
la madre e' deceduta o impossibilitata e non vi e' modo di affidare
la prole ad altri che al padre».
Le censure di costituzionalita' si evidenziano, anzitutto,
rispetto all'art. 3 e. 2 Costituzione, in quanto la scelta normativa
finisce col trattare situazioni che si -ritengono equivalenti in modo
diseguale; ma tale differenziazione riverbera i propri effetti anche
su altri interessi costituzionalmente rilevanti ai sensi degli artt.
2, 29, 30 e 31, c. 2 Costituzione.
Quanto alla incompatibilita' con l'art. 3 c. 2, rispetto agli
artt. 29, 30 e 31, c. 2 Costituzione dell'attuale disciplina, si e'
gia' argomentato come la norma determini una disparita' di
trattamento normativa tra padre e madre, introducendo una previsione
di favore per la donna, non giustificabile rispetto alle esigenze di
tutela della famiglia (art. 29 Costituzione), della genitorialita' e
della parita' tra coniugi-genitori (art. 30 Costituzione) e della
protezione della gioventu' (art. 31, c. 2 Costituzione).
Il parametro costituzionale di cui all'art. 2 Costituzione,
viceversa, viene in rilievo laddove si considerino gli effetti della
disciplina in esame in relazione alle cosiddette famiglie di fatto o
omogenitoriali, la cui tutela costituzionale e' stata dalla Consulta
ricondotta nell'alveo di quelle formazioni sociali in cui si esplica
la personalita' degli individui.
D'altro canto, la stessa appare incongrua anche rispetto al
parametro convenzionale dell'art. 14 CEDU in relazione all'art. 8
CEDU, stabilendo una differenziazione normativa fondata
esclusivamente sul sesso del richiedente e non sorretta da certi
elementi che giustifichino tale disparita'; in tal senso, la norma si
pone in termini antinomici rispetto all'art. 117 Costituzione, in
relazione agli articoli 114-8 CEDU.
Per meglio comprendere gli effetti distorsivi della disciplina
per come vigente si pensi a come questa incide sulla vicenda umana
dei figli bisognosi di cura (art. 31, c. 2 Costituzione) nonche'
degli gessi genitori e della famiglia (artt. 29 e 30 Costituzione) in
termini di disparita' di trattamento e di tutela.
Si consideri, per primo, il caso del padre di prole bisognosa di
cura. la cui moglie/compagna sia detenuta.
A fronte della carcerazione della partner egli sperimentera',
senz'altro, delle oggettive difficolta' nel conciliare impegni
lavorativi e cura della prole, in una condizione di
monogenitorialita' di fatto. Tuttavia, laddove sussistano le
condizioni di merito, potra' ragionevolmente attendersi che la
moglie/compagna ottenga la detenzione domiciliare speciale, venendo
cosi' sollevato dalle maggiori difficolta' date dal dover essere
l'unico punto di riferimento del nucleo familiare, con effetti
positivi anche sulla sua capacita' lavorativa.
E cio' senza che il Tribunale di sorveglianza si interroghi circa
l'eventuale suo decesso, impedimento nella cura della prole o sulla
sussistenza di un congruo supporto da parte di terzi soggetti, ma
solo in ragione del ruolo di madre della propria compagna. La
famiglia, nel suo complesso, ne sara' certamente agevolata e
parimenti sara' agevolata la genitorialita' del padre e della madre
condannata (artt. 29 e 30 Costituzione).
Quanto al figlio o ai della coppia, questi potranno beneficiare
in via ordinaria di una condizione di bigenitorialita' in cui, pur
con i limiti dell'esecuzione penale esterna, manterranno contatti con
entrambi i genitori, vedendo massimamente tutelata la loro condizione
di minori in eta' di sviluppo (art. 31, c. 1 Costituzione).
Assai diversa la condizione che si realizza per la madre
lavoratrice il cui compagno/marito sia detenuto. Quest'ultima,
infatti, avra' maggiori difficolta' nel poter fare affidamento circa
il rientro al domicilio dei partner, dovendo Tribunale di
sorveglianza, infatti, per poter accogliere la domanda del
marito/compagno, effettuare uno scrutinio di merito piu' gravoso, nel
quale anche l'assistenza eventualmente offerta da terzi soggetti
potra' incidere in termini negativi. La madre-lavoratrice, dunque,
dovra' farsi carico tanto del ruolo di cura della prole quanto di
quello di mantenimento economico della famiglia, eventualmente
sacrificando la propria capacita' lavorativa in favore degli impegni
familiari.
Per converso, i figli della coppia «madre libera-padre detenuto»
avranno molte meno chances, in condizioni ordinarie, di poter vedere
ricostruita l'unita' del nucleo familiare, rispetto alla coppia
«padre libero-madre detenuta». E cio', solo in ragione del fatto che
il genitore detenuto sia un padre.
Ma v'e' di piu'; se gli effetti distorsivi dell'attuale assetto
normativo si rivelano incongrui rispetto alle esigenze di tutela
costituzionale dell'infanzia gia' nell'ambito della cosiddetta
famiglia tradizionale, essi assumono caratteri di ancora maggiore
irragionevolezza in relazione alle famiglie omosessuali ed famiglie
di fatto monogenitoriali, esponendo, a parita' di condizioni, i figli
di una unione civile tra due uomini ad una disciplina deteriore di
quella riservata ai figli di una unione civile tra due donne.
Infatti, laddove una di quest'ultime si trovi ad esser detenuta,
venendo in ragione del sesso qualificata madre, potra' avere accesso
alla misura senza che sia necessario valutare gli ulteriori requisiti
attualmente previsti per il padre, consentendo alla prole della
coppia di godere di una condizione di bigenitorialita'.
Al contrario, laddove sia la parte di una unione civile tra due
nomini ad essere detenuta, la discriminazione sulla base del sesso
incidera' nell'aggravare la regola di giudizio, rendendo residuale la
possibilita' per i figli della coppia di avere la presenza di
entrambi i genitori.
Da ultimo, in presenza delle medesime condizioni di merito, il
padre detenuto unico genitore di fatto i cui figli possano ricevere
congrua assistenza da altri membri della famiglia (come nel caso di C
) vedra' rigettata la propria istanza,. mentre la madre detenuta
unico genitore di fatto potra' avervi accesso a prescindere dalla
circostanza che le esigenze di cura dei figli siano nei fatti
assicurate da altri parenti.
In conseguenza, la prole del primo si vedra' privata del rapporto
quotidiano con l'unica figura genitoriale di riferimento, mentre i
figli della seconda potranno beneficiare tanto dell'assistenza di
altri familiari che di quella del genitore.
In tutte le situazioni descritte, a parere del Collegio, e' la
differenziazione del ruolo sulla base del sesso del genitore ad
introdurre un trattamento disomogeneo ed irragionevole di condizioni
materialmente sovrapponibili ed in cui sussiste un'egualmente intensa
istanza di tutela costituzionale della prole bisognosa di cure, con
lesione dei parametri costituzionali su citati (art. 3, c. 2, 2, 29,
30, 31, c. 2 Costituzione), svilendo anche la necessaria parita' tra
i due generi senza specifiche e motivate ragioni, in contrasto coni
riferimenti convenzionali richiamati (art. 117 Costituzione in
relazione agli artt. 14-8 CEDU).
A fronte di tale discrasia, le opzioni normativamente praticabili
e ragionevoli costituzionalmente potrebbero, a parere del Collegio,
essere due: o omologare la condizione della madre a quella del padre,
valutando se l'assenza del genitore donna pregiudichi in concreto lo
sviluppo dei figli a fronte della presenza dell'altro partner uomo o
di terzi in grado di assicurare assistenza; o (ed e' quel che qui si
auspica) parificare la condizione del padre a quella della madre,
garantendo il mantenimento del, rapporto di cura con entrambi i
genitori, laddove non sussistano, in concreto, pericoli per la
collettivita' e consentendo di tutelare Massimamente l'interesse di
cura della prole di cui all'art. 31, c. 2 della Carta costituzionale.
E' chiaro che la prima opzione, pur valutabile in astratto,
porterebbe a richiedere in concreto alla Corte una pronuncia additiva
in malam partem in una materia, l'accesso a misure alternative, cui
e' stata ormai pacificamente riconosciuta natura sostanzialmente
penale (17) , sicche' la questione prospettata si porrebbe sotto
questo profilo in termini di manifesta inammissibilita'.
Ma, sotto altro profilo, nel merito, si ritiene che le
peculiarita' della misura in esame, concedibile solo a fronte di un
penetrante vaglio che escluda in radice la pericolosita' sociale del
soggetto, spingono a ritenere preferibile e ,costituzionalmente
vincolata solo la seconda opzione prospettata, scegliendo, nel
bilanciamento tra gli interessi coinvolti, quella che a parita' di
tutela del primo (salvaguardia della collettività -esecuzione della
pena) garantisce, la massima espansione del secondo (tutela della
prole bisognosa di cure).
L'effetto auspicato potrebbe efficacemente essere raggiunto
manipolando il testo dell'art. 47-quinquies c. 7 O.P., provvedendo ad
eliminare la locuzione «se la madre e' deceduta o impossibilitata e
non vi e' modo di affidare la prole ad altri che al padre».
In questo modo, il padre potrebbe avere accesso alla misura,
almeno in astratto, alle medesime condizioni previste per la madre:
dunque al solo fine di dar cura ai minori, ripristinando la
convivenza con gli stessi ed esclusivamente laddove venga ritenuto in
concreto non socialmente pericoloso.
La disciplina risultante, a giudizio del Collegio, non
arrecherebbe pregiudizio alle esigenze di esecuzione penale o di
tutela della collettivita', adeguatamente salvaguardate (come
espresso supra) dagli altri requisiti di merito, che consentono la
concessione della misura solo a fronte dell'assenza concreta del
rischio di reiterazione di condotte delittuose, secondo il puntuale
vaglio effettuato dalla Magistratura di sorveglianza.
La questione cosi' posta, per le ragioni esaminate supra, e'
certamente non manifestamente infondata e rilevante nel caso di
specie, in quanto, laddove venisse accolta la prospettazione del
Tribunale di sorveglianza, l'iter argomentativo e valutativo nella
vicenda del C non dovrebbe confrontarsi su diversi temi quali
l'impedimento (assoluto o relativo) della madre e la disponibilita'
di terzi in grado di fornire equivalente assistenza ai suoi figli.
E cio' si ritiene sufficiente, a prescindere da un vaglio circa
l'eventuale accoglimento nel merito dell'istanza di C - a ritenere
integrato il primo requisito di ammissibilita'.
E' noto, infatti, che la Corte costituzionale ha ormai affermato
una nozione di rilevanza della questione che prescinde dall'eventuale
diretta incidenza sull'esito del giudizio a quo, descritta come
rilevanza giuridica (18) .
Secondo tale orientamento, ormai maggioritario e condiviso, il
requisito di rilevanza sussiste anche qualora la decisione della
Corte sia idonea ad incidere nel giudizio a quo anche solo nel senso
di imporre al giudice un diverso percorso
logico-giuridico-argomentativo, pur rimanendo in ipotesi identico
l'esito del giudizio. Peraltro, proprio pronunciandosi sulla norma in
esame, la Consulta, nel ribadire tale nozione di rilevanza, ha
altresi' sottolineato come anche eventuali evenienze successive, che
evidenzino l'infondatezza dell'istanza in relazione alla quale e'
sorto il dubbio di costituzionalita', non esplicano effetti sul
giudizio incardinato innanzi alla Corte (19) .
Per mera completezza, tuttavia, appare opportuno segnalare che
gli ulteriori elementi istruttori acquisiti circa l'effettiva
assunzione di un ruolo di cura della prole da parte di C negli anni
successivi al (data in cui ha ottenuto la collocazione presso. di se'
dei minori) e l'assenza, da allora in avanti, di segnalazioni o
rimarchi potrebbe gia' in questa sede adombrare l'effettiva
ricorrenza delle condizioni per la concessione del beneficio, laddove
venisse accolta la questione.
Il dubbio di costituzionalita', inoltre, non risulta emendabile
mediante una interpretazione costituzionalmente conforme, essendo il
dato letterale della norma particolarmente chiaro nell'attribuire al
padre un ruolo piu' che sussidiario nella cura della prole,
intervenendo solo laddove ne' la madre ne' altre persone (altri
familiari e/o servizi territoriali) possano assolvere al compito di
assistenza dei soggetti fragili.
In questo senso, il Tribunale di sorveglianza di Bologna ritiene
debba sollevarsi questione di legittimita' costituzionale dell'art.
47-quinquies c. 7 O.P., a parere del Collegio, risulta non conforme
agli artt. 3, c. 2 Costituzione, 3 comma 2 in relazione agli artt.
29, 30 e 31, c. 2 e 117 Costituzione, in relazione agli articoli
114-8 CEDU nella parte in cui prevede che la detenzione domiciliare
sostitutiva possa essere concessa al padre detenuto «se la madre e'
deceduta o impossibilitata e non vi e' modo di affidare la prole ad
altri che al padre».
In via subordinata, laddove non si dovessero ritenere fondati i
dubbi suesposti, giudicandosi sufficientemente ragionevole la scelta
normativa di non realizzare in questo ambito una esatta parificazione
tra le due figure genitoriali, nondimeno l'art. 47-quinquies, c. 7
O.P. presenta a parere del Collegio ulteriori profili di
incompatibilita' costituzionale con gli artt. 3, c. 2 Costituzione,
29, 30 e 31, c. 2 e 117 Costituzione, in relazione agli articoli
114-8 CEDU, nella parte in cui prevede che in condizioni di assenza
per decesso o impedimento della madre il Tribunale di sorveglianza
possa concedere la misura solo se «non vi e' modo di affidare la
prole ad altri che al padre».
Tale ulteriore requisito previsto dalla norma in esame, infatti,
frustra inevitabilmente e senza evidenti ragioni il ruolo familiare
del padre, anche in condizioni in cui lo stesso venga a rappresentare
l'unico valido riferimento genitoriale per la prole a fronte di un
materiale impedimento assoluto o relativo della madre, attribuendogli
rilevanza solo quale extrema ratio normativa nell'affidamento dei
figli.
L'irragionevolezza di tale scelta appare patente non solo da un
punto di vista intrinseco rispetto alla tutela degli interessi
sottesi alla norma in esame, ma si giudica ancor piu' non tollerabile
rispetto al tertium comparationis rappresentato dalla disciplina
della detenzione domiciliare ordinaria di cui all'art. 47-ter, c. 1,
lett. b) O.P. e da quella delle altre norme di tenore analogo, tra
cui l'art. 275, c. 4 codice di procedura penale.
La Corte costituzionale, infatti, ha piu' volte ribadito che
nelle forme di detenzione domiciliare funzionali alla tutela
dell'interesse del minore «tale interesse puo' recedere di fronte
alle esigenze di difesa sociale solo quando la sussistenza e la
consistenza delle stesse sia verificata in concreto, non gia' quando
sia collegata a indici solo presuntivi, che impediscono al giudice di
apprezzare le singole situazioni», sostenendo anche che la identita'
di ratio che accomuna l'art. 47-ter, c. 1 e l'art. 47-quinquies O.P.
imporrebbe l'allineamento delle relative discipline laddove
necessario (cosi in particolare Corte costituzionale 30/2022) (20)
Si e' gia' indicato supra in punto di ermeneutica della norma in
esame, come nell'affronto tra l'art. 47-quinquies O.P. e le
disposizioni normative citate non possa non tenersi conto delle
differenze testuali che connotano, in positivo o in negativo, le due
diverse fattispecie.
Tali peculiarita', a parere del Collegio, impediscono di
pervenire ad una interpretazione costituzionalmente orientata della
norma de qua in relazione alla persona del padre detenuto.
L'art. 47-ter, c. 1, lett. b), infatti, consente la concessione
della misura al padre esercente la responsabilita' genitoriale con
lui convivente laddove la madre sia deceduta o altrimenti
assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole. La norma,
dunque, testualmente, si applica solo al padre che conviva gia' con i
figli, che abbia gia' assunto nei loro confronti un ruolo di cura
mediante l'esercizio della responsabilita' genitoriale, a condizione
che la madre risulti assolutamente impossibilitata o perche' deceduta
o per altre ragioni particolarmente gravi.
L'art. 47-quinquies O.P., viceversa, si applica al padre senza
che sia necessario che questi abbia gia' assunto funzioni attive di
cura della prole ed a condizione che rappresenti l'unico cui gli
stessi possano essere affidati a fronte della morte o di altro
impedimento, sebbene non assoluto della madre.
La norma, dunque, in astratto, potrebbe applicarsi ad una platea
piu' ampia di soggetti, che include, ma non si esaurisce in quella
dei potenziali destinatari di cui all'art. 47-ter, c. 1, lett. b)
O.P.
In concreto, pero', l'operativita' delle due norme e'
evidentemente in larga parte sovrapponibile, come dimostra la
casistica giurisprudenziale su esaminata.
Eppure, la norma pensata per ampliare le maglie della disciplina
ordinaria al fine di tutelare maggiormente l'interesse dei minori
presenta dei requisiti di accesso piu' stringenti, laddove contiene
l'ulteriore inciso della possibilita' di affidamento dei minori,
prima che al padre, anche a terzi soggetti.
Ne' puo' sostenersi che tale indicazione possa essere
giustificata nell'alveo dell'art. 47-quinquies O.P. dalla necessita'
di controbilanciare, rispetto all'art. 47-ter, c. 1, lett. b) O.P.,
l'assenza di limiti di pena o il rilievo dato all'impedimento, anche
non assoluto, della madre: tali argomenti, infatti, si pongono sul
terreno della valorizzazione delle esigenze di esecuzione della pena
e veicolano un pensiero ispirato alla preoccupazione di evitare che
l'accesso ad una forma di esecuzione penale esterna discenda dal solo
fatto di avere dei figli bisognosi di assistenze.
Preoccupazione che, per verita', era emersa anche in relazione
alla figura della madre, come puo' cogliersi da un esame degli atti
parlamentari che hanno portato all'introduzione dell'art.
47-quinquies O.P., e che pare in parte esser figlia anche di una
certa concezione dell'esecuzione penale per cui o la pena e'
carceraria o non e' pena.
Ma, se l'impostazione culturale cui risponde una logica siffatta
e' in massima parte smentita dalla stessa. prospettiva in cui si
colloca la Costituzione con l'art. 27, c. 3 Costituzione e che ha
ispirato gli ultimi decenni di normativa in materia di esecuzione
penale, in cui si sono succedute numerose riforme tutte protese
all'abbandono della piu' tradizionale impostazione carcerocentrica
verso forme esecutive esterne al contesto detentivo, a tali obiezioni
e' agevole ribattere (come gia' individuato sopra), che nel
bilanciamento tra gli interessi coinvolti, deve sempre darsi
priorita' alla soluzione che, a parita' di tutela garantita alle
esigenze di esecuzione della pena, garantisce la massima espansione
della tutela della prole bisognosa di cure.
In questo senso, prevedere che, nonostante il padre risulti non
pericoloso e possa eseguire all'esterno la propria pena, il suo ruolo
di cura venga postergato, a quello fornito dai terzi appare scelta
illogica che sacrifica sull'altare di esigenze securitarie astratte
il rapporto genitoriale contro l'interesse e del padre (con lesione
degli artt. 3, c. 2 e 30 Costituzione rispetto alla madre) e del
minore-figlio (con lesione dell'art. 31, c. 2 Costituzione).
D'altro canto, che il ruolo del padre non possa ragionevolmente
essere reso sussidiario rispetto a terzi soggetti e' stato
chiaramente affermato anche dalla Corte di Cassazione in relazione ad
altra norma che, pur con le specificita' della materia, si occupa del
bilanciamento tra esigenze di tutela della collettivita' e quelle
della prole: l'art. 275, c. 4 codice di procedura penale. La norma,
infatti, stabilisce che la custodia cautelare in carcere possa essere
disposta nei confronti di padre di prole di eta' inferiore agli anni
sei, la cui madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata, solo
laddove sussistano esigenze cautelari di particolare intensita'.
Lo schema normativo, dunque, non contiene indicazione circa
l'eventuale intervento di terzi nella cura della prole; tuttavia,
parte della giurisprudenza di merito aveva inteso dare rilievo alla
presenza di altri familiari capaci di sopperire alle esigenze di cura
dei minori per giustificare il mantenimento della cautela estrema.
Rispetto a tale esito, tuttavia, la Cassazione, nella sentenza n.
29355 del 30 aprile 2014 ha opportunamente precisato che «Una volta
infatti che sia stata accertata l'assoluta impossibilita' della madre
a dare assistenza alla prole e sia stato escluso il ricorrere di
esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, il giudice non puo'
giustificare il mantenimento della misura intramurale prendendo in
esame l'eventuale presenza di altri familiari, in quanto ad essi il
legislatore non riconosce alcuna funzione sostitutiva, considerato
che la formazione del bambino puo' essere gravemente pregiudicata
dall'assenza di una figura genitoriale, la cui infungibilita' deve,
pertanto, fin dove possibile, essere assicurata, trovando fondamento
nella garanzia che l'articolo 31 Costituzione accorda all'infanzia
(Sez V 9-11-2007, n 41626, rv. n. 238209; Sez IV 19-11-2004, n. 6691,
rv. n. 230931)».
Cio' che rileva, a parere del Collegio, anche nel caso di specie
e' la notazione che la citata sentenza effettua circa la
infungibilita' del ruolo genitoriale e la non surrogabilita' dello
stesso da parte di terzi; infungibilita' che la norma in esame, art.
47-quinquies O.P., viceversa sacrifica in toto, assegnando al
padre-genitore una posizione assolutamente residuale, esclusivamente
in ragione del proprio genere.
A fronte di tale condizione, appare evidente al Tribunale di
sorveglianza che per ricondurre a sistema costituzionale la norma, il
riferimento alla condizione di non impossibilita' di affidare i
minori ad altri che al padre dovrebbe essere espunto dal testo
dell'art. 47-quinquies O.P.
La rimozione di tale locuzione (pur se all'interno di un quadro
normativa che il Collegio ritiene comunque non soddisfacente, in
quanto vulnerato da una irragionevole distinzione di fondo tra
genitore uomo e genitore donna), consentirebbe un piu' ponderato
punto di equilibrio tra le varie esigenze costituzionali, non
postergando la tutela della genitorialita' (art. 30 Costituzione) e
della prole (art. 31, c. 2 Costituzione) ad un requisito
eccessivamente mortificante rispetto alla figura paterna-maschile e
che, a fronte della impossibilita' della madre, determina una
condizione di pregiudizio per lo sviluppo dei minori, privati
dell'unico riferimento genitoriale idoneo.
In questo senso, laddove non venisse ritenuta fondata la prima
questione posta quale principale, il Tribunale di sorveglianza di
Bologna giudica la norma di cui all'art. 47-quinquies, c. 7 O.P.
parimenti non conforme agii artt. 3, c. 2 Costituzione, 29, 30 e 31,
c. 2 e 117 Costituzione, in relazione agli articoli 114-8 CEDU nella
parte in cui prevede che la detenzione domiciliare sostitutiva possa
essere concessa al padre detenuto in caso di morte o impedimento
della madre solo ove «non vi e' modo di affidare la prole ad altri
che al padre».
Alla luce della disamina sin qui condotta, il Tribunale di
sorveglianza di Bologna ritiene necessario ai fini del decidere
risolvere i dubbi di costituzionalita' della norma di cui all'art.
47-quinquies, c. 7 O.P., giudicati in questa sede non manifestamente
infondati in relazione agli artt. 3, c. 2 Costituzione, 3 comma 2 in
relazione agli artt. 29, 30 e 31, c. 2 Costituzione e 117
Costituzione in relazione agli artt. 114-8 CEDU.
Prima di concludere, sia concesso sottoporre altresi'
all'attenzione della Corte l'opportunita', nel caso in cui ritenesse
di accogliere le questioni prospettate, di estendere la declaratoria
di incostituzionalita' eventualmente ritenuta anche all'art. 21-bis,
c. 3 O.P., come effetto conseguenziale di quella principale ai sensi
dell'art. 27, c. 2, legge n. 87/1953.
L'art. 21-bis O.P., infatti, come si e' gia' visto supra,
presenta al comma terzo la medesima formulazione dell'art.
47-quinquies, c. 7 O.P. («La misura dell'assistenza all'esterno puo'
essere concessa, alle stesse condizioni, anche al padre detenuto, se
la madre e' deceduta o impossibilitata e non vi e' modo di affidare
la prole ad altri che al padre») ed e' istituto introdotto con la
stessa legge n. 40/2001, a completamento degli obiettivi di tutela
assunti dal legislatore, quale strumento intermedio e sussidiario
rispetto alla detenzione domiciliare speciale.
In particolare, mentre l'art. 47-quinquies O.P. consente
l'ammissione ad una forma di esecuzione penale esterna derogatoria,
controbilanciata da un penetrante giudizio di assenza di
pericolosita' sociale, l'art. 21-bis O.P. non prevede tale requisito,
potendo essere concesso, dunque, anche laddove un residuo dubbio
sulla tenuta esterna della persona possa in concreto ancora
sussistere. Tuttavia, nella scelta tra la totale espiazione
intramuraria che sacrifichi in radice la tutela dei minori e la
totale apertura data dall'art. 47-quinquies O.P., la norma
richiamata, modellata sull'art. 21 O.P. risulta estremamente
funzionale per consentire che, con le cautele del caso (es. la
predisposizione di scorta ove necessario ex art. 21, c. 2 O.P.), vi
sia modo di garantire una forma di assistenza alla prole da parte del
genitore.
In questo senso, l'allineamento delle due discipline apparirebbe
logica conseguenza dell'eventuale declaratoria di incostituzionalita'
dell'art. 47-quinquies, c. 7 O.P. sotto due profili: sotto il profilo
sostanziale, potendo muoversi all'art. 21-bis, c. 3 O.P. le medesime
censure mosse alla norma principalmente in discussione, cui si
rimanda per brevita'; sotto il profilo dell'opportunita' di sistema,
apparendo al Collegio significativo che i due istituti siano stati
frutto di una medesima volonta' legislativa ed individuino due
distinti e gradati punti di bilanciamento tra gli interessi
costituzionali in gioco, volti a modulare la tutela degli stessi
secondo le circostanze del caso.
(1) «In tema di concessione della detenzione domiciliare speciale ex
art. 47-quinquies ord pen., come inciso dalla sentenza della
Corte costituzionale n. 18 del 2020, a detenuto padre di prole
affetta da "handicap" grave quando la madre versi
nell'impossibilita' di prestarle assistenza e non vi sia altro
modo di affidarla ad altri che al padre, la nozione di siffatta
condizione di impossibilita' della madre deve identificarsi con
quella che - per l'emersione di oggettivi fattori impeditivi
inerenti alla sfera di azione della medesima - determina il
rischio concreto per la prole di un grave "deficit" assistenziale
e di un'irreversibile compromissione del suo processo evolutivo
ed educativo».
(2) In particolare, un precedente rilevante e' indicato nella
Sentenza n. 1/1987, in cui la Corte, pur dubitando a monte della
ragionevolezza delle norme che prevedevano la concessione alla
sola madre dei riposi giornalieri, aveva affermato che
l'irragionevolezza divenisse manifesta nei casi in cui la madre
non fosse assente o impedita, come gia' stabilito dal legislatore
all'art. 7 della legge 31 dicembre 1977, n. 903 che aveva
riconosciuto al lavoratore padre la possibilita' di usufruire -
in alternativa alla madre o quando il figlio fosse a lui solo
affidato - della astensione facoltativa dal lavoro per la durata
di sei mesi nel primo anno di vita del bambino. Si veda Corte
costituzionale, Sent. 1/1987 § 8, «Si afferma cosi' l'esigenza di
una partecipazione di entrambi i genitori alla cura ed al!
educazione della prole: non viene certo meno la funzione
essenziale della madre nei rapporti con il bambina, ma si
riconosce seminai, con notevole chiarezza, che anche il padre e'
idoneo a prestare assistenza materiale e supporto affettivo al
minore: sulla scorta, del resto, delle norme del diritto di
famiglia che hanno conferito ad entrambi i genitori compiti di
mantenimento, educazione ed istruzione dei figli (art. 143 codice
civile), la pari potesta' sugli stessi (art. 316 codice civile),
e la titolarita' esclusiva di detta potesta' di ciascun genitore,
in caso di assenza, incapacita' od ulteriore impedimento
dell'altro (art. 317 codice civile). Proprio in ragione di tale
Presupposto, il legislatore ha esteso anche al padre lavoratore
alcuni dei benefici gia' riconosciuti alla madre dalla legge n.
1204 del 1971. Gli altri (l'astensione obbligatoria ed i riposi),
invece, sono rimasti riservati alla madre. E' verosimile, in
proposito, che il legislatore abbia ritenuto che i due istituti,
pur in diversa misura, fossero finalizzati e alla garanzia degli
interessi della prole e alla tutela della salute della madre
naturale. Tale presumibile ragia dell'esclusione (gia' in se'
piuttosto debole nel caso dei riposi giornalieri, che lo stesso
legislatore - come si e' gia' detto -sgancia in larga misura
dalle condizioni personali della donna) non vale piu', tuttavia,
quando - come nei casi oggetto dei giudizi nei quali questo della
Corte e' incidente - l'assistenza della madre sia resa
impossibile a seguito della morte o del grave impedimento fisico
della stessa. hi casi di tal genere, il solo interesse che gli
istituti di cui agli arti. 4 e 10 della legge n. 1204 del 1971
possono e debbono mirare a tutelare e' quello del minore, ed e'
rispetto a questo interesse-guida che andrebbe disegnato il loro
funzionamento, e' proprio quell'interesse, invece, che non viene
tenuto in adeguata considerazione dal legislatore nel momento in
cui questi esclude l'estensione anche al padre dei benefici
goduti dalla madre lavoratrice in funzione di garanzia di
un'adeguata assistenza al minore. Posto infatti che, come si e'
visto, la astensione dal lavoro nei primi tre mesi e il diritto
al riposo' nel primo anno di vita. riconosciuti dalla legge 1201
a favore della madre, tutelano, in concorrenza con la salute di
questa, anche il bisogno del bambino di una piu' intensa presenza
della madre per la necessaria assistenza, non vi e' ragione di
negare al padre - che proprio in funzione di tale assistenza puo'
avvalersi della stessa astensione facoltativa il diritto di
avvalersi altresi', in caso di mancanza o grave malattia della
madre, della astensione c.d. obbligatoria nei primi tre mesi, e
dei riposi giornalieri nel primo anno di vita del bambino.».
(3) Si veda Corte costituzionale, Sent. 215/1990, § «Il
riconoscimento della eguaglianza morale e giuridica dei coniugi,
su cui e' ordinata il matrimonio, e il riconoscimento stesso dei
diritti della famiglia (art. 29), il dovere e il diritto dei
genitori di mantenere ed educare i figli, e soprattutto, le
provvidenze che la legge deve disporre affinche' siano assolti i
compiti dei genitori nei casi di loro incapacita' (art. 30, la
protezione che la Carta fondamentale accorda all'infanzia,
sollecitando la Repubblica a favorire gli istituti necessari a
tale scopo (art. 32), rappresentano un complesso di eminenti
valori che, mentre rendono intollerabile la denunciata
discriminazione, fondano .a loro volta specifiche
incompatibilita'. La previsione, infatti, dell'art. 47-ter
secondo cui soltanto alla madre viene riconosciuto, mediante la
concessione della detenzione domiciliare, il diritto-dovere di
assistere la prole infratreenne, nega implicitamente al genitore
l'esercizio dello stesso diritto e l'adempimento dell'identico
dovere per il caso in cui la madre manchi o sia assolutamente
impossibilitata ad espletare quel compito: eppure si tratta di
compiti doverosi che la Costituzione affida, invece, alla pari
responsabilita' dei genitori».
(4) Si veda Corte costituzionale n. 350/2003 «la norma censurata e'
in contrasto con il principio di ragionevolezza in quanto prevede
un sistema rigido che preclude al giudice, ai fini della
concessione della detenzione domiciliare, di valutare l'esistenza
delle condizioni necessarie per un'effettiva assistenza
psico-fisica da parte della madre condannala nei confronti del
figlio portatore di handicap accertato come totalmente
invalidante. Cio' determina un trattamento difforme rispetto a
situazioni familiari analoghe ed equiparabili fra loro, quali
sono quella della madre di un figlio incapace perche' minore
degli anni dieci, ma con un certo margine di autonomia, almeno
sul piano fisico, e quella della madre di un figlio disabile e
incapace di provvedere da solo anche alle sue piu' elementari
esigenze, il quale, a qualsiasi eta'; ha maggiore e continua
necessita' di essere assistito dalla madre rispetto ad un bambino
di eta' inferiore agli anni dieci».
(5) Comma 2: «La condannata, l'imputata o l'internata madre di un
bambino di eta' inferiore a dieci anni, anche se con lei non
convivente, ovvero il padre condannato, imputato o internato,
qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a
dare assistenza alla prole, sono autorizzati, con provvedimento
da rilasciarsi da parte del giudice competente non oltre le
ventiquattro ore precedenti alla data della visita e con le
modalita' operative dallo stesso stabilite, ad assistere figlio
durante le visite specialistiche, relative a gravi condizioni di
salute».
(6) «Quando imputati siano donna incinta o madre di prole di eta' non
superiore a sei anni con lei convivente, ovvero padre, qualora la
madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare
assistenza alla prole, non puo' essere disposta ne' mantenuta la
custodia cautelare in carcere, salvo che sussistano esigenze
cautelari di eccezionale rilevanza. Non puo' essere disposta la
custodia cautelare in carcere, salvo che sussistano esigenze
cautelari eccezionale rilevanza, quando imputato sia persona che
ha superato l'eta' di settanta anni».
(7) «Nelle ipotesi di cui all'articolo 275, comma 4, se la persona da
sottoporre a custodia cautelare sia donna incinta o madre di
prole di eta' non superiore a sei anni, ovvero padre, qualora la
madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare
assistenza alla prole, il giudice puo' disporre la custodia
presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri, ove
le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza lo consentano».
(8) Si veda, sul punto, Parenting - Psicologia dei legami
genitoriali, L. Benedetto-M. Ingrassia Carocci Editore, Roma,
2010, pagg. 117 e ss.
(9) Cfr. Parenting - Psicologia dei legami genitoriali, L. Benedetto
M. Ingrassia cit. pag. 120.
(10) Cfr. Fathers' perceptions and expriences of support to b a
parenting partner during the perinatal period: A scoping review,
su Journal of Clinical Nursing 32 (13-14), 3378-3396, 2023.
(11) In particolare, si vedano gli artt. 2, 3 e 9.
(12) Si consideri l'articolo 337-ter codice civile, in cui si prevede
che «Il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto
equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di
ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da
entrambi e di conservare rapporti significativi con gli
ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale» e che a
tal fine «il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole
con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di
essa. Valuta prioritariamente la possibilita' che i figli minori
restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale
di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalita'
della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresi'
la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al
mantenimento, alla cura, all'istruzione e all'educazione dei
figli».
(13) Tra le piu' recenti ed importanti sentenze sul tema si pensi a
Corte costituzionale Sent. n. 131 del 2022, in cui la consulta
ha dichiarato l'illegittimita', in riferimento agli artt. 2, 3 e
117, comma 1, Costituzione, quest'ultimo in relazione agli artt.
8 e 14 CEDU, dell'articolo 262, primo comma del codice civile.
«nella parte in cui prevede, con riguardo all'ipotesi del
riconoscimento effettuato contemporaneamente da entrambi i
genitori, che il figlio assume il cognome del padre, anziche'
prevedere che il figlio assume i cognomi dei genitori,
nell'ordine dai medesimi concordato, fatto salvo l'accordo, al
momento del riconoscimento, per attribuire il cognome di uno di
loro soltanto».
(14) Si veda ECHR, case Beeler v. Switzerland § 93 e ss. «The
advancement of gender equality is today a major goal in the
member States of the Council of Europe (see Konstantin Markin,
cited above, Beeler v. Switzerland Judgment 28 § 127, and Ünal
Tekeli v. Turkey, no. 29865196, § 59, ECHR 2004-X (extracts)).
The Court has repeatedly held that differences based exclusively
on sex require "very weighty reasons", "particularly serious
reasons" or, as it is sometimes said, "particularly weighty and
convincing reasons" by way of justification (see Stec and Others
(judgment), § 52; Vallianatos and Others, § 77; and Konstantin
Markin, § 127, all cited above). In particular, references to
traditions, general assumptions or prevailing social attitudes
in a particular country are insufficient justification for a
difference in treatment on grounds of sex (see Konstantin
Markin, cited above, §§ 126-27; X and Others v Austria [GC], no.
19010/07, § 99, ECHR 2013; and Khamtokhu and Aksenchik, cited
above §§ 77-78). For example, States cannot impose traditions
deriving from the idea that the man plays a predominant role and
the woman a secondaty role in the family (see Ãœnal Tekeli, cited
above, § 63). 96 It follows that although the Contracting States
must be afforded a margin of appreciation in deciding on the
timing of the introduction of legislative changes and in
assessing whether and to what extent differences in otherwise
similar situations justify a difference in treatment, where a
difference in treatment is based on sex the State's margin of
appreciation is narrow (see X and Others v. Austria, § 99, and
Vallianatos and Others, § 77, both cited above).»
(15) Si vedano i § 40 e 41: «40 The Court notes that, unlike the
complete exclusion of male military personnel from entitlement
to parental leave, Russian law provides that male police
personnel are entitled to apply for parental leave if their
children are left without maternal care for objective reasons
(see paragraphs 25-26 above). The entitlement of male police
officers to parental leave is therefore conditional upon lack of
maternal care for their children for objective reasons, while
policewomen are unconditionally entitled to such leave. 41. The
Court has previously examined this difference in treatment
between male and female police personnel and carne to the
conclusion that it was not objectively and reasonably justified
under Article 14 of the Convention.»
(16) cfr. § 38 «The Court also found that, as regards parental leave
and parental leave allowances, men were in a comparable
situation to women. Indeed, in contrast to maternity leave,
which was intended to enable the woman to recover from
childbirth and to breastfeed her baby if she so wished, parental
leave and parental leave allowances related to the subsequent
period and were intended to enable the parent concerned to stay
at home to look after an infant personally. Whilst being aware
of the differences which might exist between the mother and the
father in their relationship with the child, the Court concluded
that, as regards the role of taking care of the child during the
period corresponding to parental leave, men and women were
"similarly placed"».
(17) Sia sufficiente citare la celeberrima sentenza n. 32/2020 con
cui la Corte costituzionale ha inteso procedere «ad una a una
complessiva rimeditazione della portata del divieto di
retroattivita' sancito dall'art. 25, secondo comma,
Costituzione, in relazione alla disciplina dell'esecuzione della
pena,» (anche) alla luce delle affermazioni di principio
contenute nella Sentenza della Grande Camera della Corte EDU nel
caso Del Rio Prada v. Spain, il cui punto di partenza era la
ritenuta attrazione all'interno della matiere penale di tutte
quelle norme capaci di incidere in concreto sulla qualita' della
privazione della liberta' personale, disciplinando l'alternativa
tra il dentro ed il fuori dal carcere.
(18) Con le parole della Consulta, «anche nella prospettiva di un
piu' diffuso accesso al sindacalo di costituzionalita' (messa in
risalto, tra le pronunce piu' recenti, dalla sentenza n. 77 del
2018) e di una piu' efficace garanzia della conformita' a
Costituzione della legislazione (profilo valorizzato, da ultimo,
nella sentenza n. 174 del 2019), il presupposto della rilevanza
non si identifica con l'utilita' concreta di cui le parti in
causa potrebbero beneficiare a seguito della decisione (sentenza
n. 20 del 2018)»; cosi' Corte costituzionale 254/2020.
(19) Si veda, in particolare Corte costituzionale 30/2022 laddove e'
affermato che «Per costante giurisprudenza di questa Corte, la
rilevanza della questione incidentale si configura come
necessita' di applicare la disposizione censurata, senza
identificarsi nell'utilita' concreta per la parte del giudizio
principale (ex plurimis, sentenze n. 236, n. 172 e n. 59 del
2021, n. 254 del 2020 e n. 174 del 2019). 3. - Lo scrutinio di
merito delle questioni sollevate dall'ordinanza di rimessione
non e' impedito neppure dalle circostanze sopravvenute riferite
nell'atto di costituzione della parte, cioe' che la minore abbia
nel frattempo superato i dieci anni d'eta' e che l'istanza di
applicazione della misura alternativa sia stata infine respinta
dal competente tribunale di Sorveglianza; circostanze, queste,
valorizzate dalla difesa statale in sede di discussione in
pubblica udienza, quali ulteriori ragioni di inammissibilita'
delle questioni per difetto di rilevanza nel giudizio a quo. Per
l'autonomia che lo caratterizza, il giudizio incidentale di
legittimita' costituzionale non risente delle vicende di fatto
successive all'ordinanza di rimessione, sicche' la rilevanza
delle questioni deve essere vagliata ex ante, con riferimento al
tempo della prospettazione (da ultimo, sentenze n. 22 e n. 7 del
2022, n. 127 del 2021, n. 270, n. 244 e n. 85 del 2020).
L'avvenuta decisione, da parte del tribunale di sorveglianza, di
reiezione dell'istanza presentata dal condannato, non puo' avere
dunque alcun effetto sulle questioni sollevate dal magistrato di
sorveglianza, giacche', come chiarito, esse concernono la
mancata previsione del potere di quest'ultimo di disporre la
detenzione domiciliare speciale allorquando sussistano ragioni
che, nella ricorrenza dei presupposti stabiliti dalla
disposizione censurata, rendano necessaria la valutazione del
preminente interesse del minore. La decisione del tribunale di
sorveglianza non incide sulla rilevanza delle questioni,
cristallizzata al momento della rimessione, come non vi incide
la sorte che quella stessa decisione avra' in sede di
impugnazione».
(20) Cfr. Corte costituzione 30/2022, § 5.2 laddove si afferma
«Nonostante la diversita' delle fattispecie regolate, connessa
alla differente entita' della pena da espiare, le due misure
alternative perseguono la stessa finalita', cioe' quella di
evitare, fin dove possibile, che l'interesse del bambino sia
compromesso dalla perdita delle cure parentali, determinata
dalla permanenza in carcere del genitore, danno riflesso noto
come "carcerizzazione dell'infante". L'identita' finalistica
delle due specie di detenzione domiciliare e' stata
ripetutamente sottolineata da questa Corte, che ne ha quindi
assimilato le discipline, laddove il preminente interesse del
minore non ammetteva che esse restassero distinte: cosi', per il
margine di tolleranza degli allontanamenti ingiustificati del
genitore accudente (sentenze n. 211 del 2018 e n. 177 del 2009);
cosi', per l'eliminazione della preclusione triennale della
misura a causa dell'avvenuta revoca di altro beneficio (sentenza
n. 187 del 2019; cosi', ancora, per l'affrancamento dal
carattere ostativo dei titoli di reato di "prima fascia" ex art.
4-bis ordin penit. (sentenza n. 239 del 2014). Entrambe le
specie di detenzione domiciliare sono state estese a protezione
del figlio ultradecenne gravemente invalido (sentenze n. 18 del
2020 e n. 350 del 2003). In disparte l'estensione a beneficio
del figlio inabile, relativa ad uno stato di bisogno slegato
dalla minore eta', la progressiva assimilazione delle due misure
e' stata sorretta dall'identita' dello scopo di tutelare
l'interesse dei minori in tenera eta' nel loro essenziale
rapporto con i genitori (sentenze n. 211 del 2018 e n. 177 del
2009), interesse del quale si e' evidenziata la centralita' alla
luce dell'art. 31 Costituzione, arricchita dalla qualificazione
di "preminenza" di cui alle fonti sovranazionali (sentenze n,
187 del 2019 e n. 239 del 2014).».
P. Q. M.
Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
Ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza, solleva,
nei termini indicati, questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 47-quinquies, c. 7, legge n. 354/1975 per violazione degli
artt. 3 Costituzione, 3 c. 2 Costituzione in relazione agli artt. 2,
29, 30 e 31, c. 2 Costituzione, nonche' all'art. 117 Costituzione in
relazione agli artt. 14-8 CEDU, nella parte in cui prevede che la
detenzione domiciliare sostitutiva possa essere concessa al padre
detenuto «se la madre e' deceduta o impossibilitata e non vi e' modo
di affidare la prole ad altri che al padre»;
In via gradata, solleva, nei termini indicati, questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 47-quinquies, c. 7, legge n.
354/1975 per violazione degli artt. 3 Costituzione, 3 c. 2
Costituzione in relazione agli artt. 2, 29, 30 e 31, c. 2
Costituzione, nonche' 117 Costituzione in relazione agli artt. 14-8
CEDU, nella parte in cui prevede che la detenzione domiciliare
sostitutiva possa essere concessa al padre detenuto se «non vi e'
modo di affidare la prole ad altri che al padre».
Sospende il giudizio in corso sino all'esito del giudizio
incidentale di legittimita' costituzionale;
Dispone che, a cura della Cancelleria, gli atti siano
immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale, e che la presente
ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al pubblico
ministero, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri, e che
sia anche comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
Bologna, 9 aprile 2024
Il Presidente: Letizia
Il Magistrato estensore: Ezio
----
TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI BOLOGNA
L'anno 2024 giorno 8 del mese di agosto in Bologna si e' riunito
in Camera di Consiglio nelle persone dei componenti:
dott. Romano Ezio, Presidente;
dott. Bedini Marco, giudice;
dott.ssa Brazzi Francesca, esperta;
dott.ssa Mediani Giorgia, esperta;
per deliberare nel procedimento di:
correzione errore materiale, art. 130 codice di procedura
penale;
in relazione alla posizione di Cardinale Massimo, nato a Bari
(BA) il 10 agosto 1963, detenuto presso la Casa circondariale di
Ferrara in espiazione della pena di cui al cumulo SIEP n. 2023/187
emesso dalla Procura di Pordenone il 4 giugno 2024, pari ad anni 3,
mesi 8 e giorni 20 di reclusione;
decorrenza pena 10 settembre 2023; fine pena 28 febbraio 2027
(detratti 90 giorni per liberazione anticipata).
Rilevato
Che con ordinanza n. 2024/1321 del 9 aprile 2024 il Tribunale di
sorveglianza di Bologna ha sollevato questione di legittimita'
costituzionale nel procedimento 2021/2279 SIUS TDS, avente ad oggetto
domande di misure alternative avanzate da Cardinale Massimo;
Che nel corpo dell'ordinanza, laddove le censure di legittimita'
attengono, tra i vari parametri, anche all'art. 117 Costituzione in
relazione agli artt. 14-8 CEDU e' in talune pagine erroneamente
indicata la dicitura «e 117 Costituzione in relazione agli artt.
114-8 CEDU»;
Che il riferimento all'art. 114 CEDU e' frutto di mero errore di
battitura, essendo evidente dal testo della motivazione come il
parametro convenzionale ritenuto rilevante ai sensi dell'art. 117
Costituzione sia quello rappresentato dagli artt. 14 e 8 CEDU;
Che, dunque, appare opportuno procedere a correzione
dell'ordinanza n. 2024/1321;
P.Q.M.
Visto l'art. 130 codice di procedura penale, dispone la
correzione dell'ordinanza n. 2024/1321 emessa dal Tribunale di
sorveglianza di Bologna 9 aprile 2024 nel senso che, laddove risulta
scritto:
«[...] e 117 Costituzione, in relazione agli articoli 114-8
CEDU»
Debba, invece, intendersi e leggersi;
«[...] e 117 Costituzione, in relazione agli articoli 14-8
CEDU»
Manda la Cancelleria per le comunicazioni di rito.
Bologna, 8 agosto 2024
Il Presidente: Romano Ezio