Reg. ord. n. 174 del 2024 pubbl. su G.U. del 02/10/2024 n. 40

Ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Bologna  del 10/04/2024

Tra: M. C.



Oggetto:

Ordinamento penitenziario – Detenzione domiciliare speciale – Previsione che la detenzione domiciliare sostitutiva può essere concessa al padre detenuto “se la madre è deceduta o impossibilitata e non vi è modo di affidare la prole ad altri che al padre” –  Disparità di trattamento tra madre e padre, a fronte di una previsione di favore per la donna non giustificabile rispetto alle esigenze di tutela della famiglia, della genitorialità, della parità tra coniugi-genitori e della protezione della gioventù – Incidenza in relazione alle cosiddette famiglie di fatto o omogenitoriali la cui tutela è riconducibile nell’alveo di quelle formazioni sociali in cui si esplica la personalità degli individui – Contrasto con la normativa convenzionale sul diritto del minore alla cosiddetta bigenitorialità, come interpretata dalla Corte EDU – Inosservanza degli obblighi internazionali.


- Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 47-quinquies, comma 7.


- Costituzione, artt. 2, 3 e, in particolare, secondo comma, 29, 30, 31, secondo comma, e 117; Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), artt. 8 e 14.


 


In subordine: Ordinamento penitenziario – Detenzione domiciliare speciale – Previsione che la detenzione domiciliare sostitutiva può essere concessa al padre detenuto se "non vi è modo di affidare la prole ad altri che al padre” –  Disparità di trattamento tra madre e padre - Irragionevole disparità di trattamento in danno del padre anche rispetto alla disciplina della detenzione domiciliare ordinaria di cui all’art. 47-ter, comma 1, lettera b), della legge n. 354 del 1975 e rispetto a quella prevista da altre norme analoghe, tra cui l’art. 275, comma 4, cod. proc. pen. – Pregiudizio del rapporto genitoriale e dell’interesse del minore - Contrasto con la normativa convenzionale sul diritto del minore alla cosiddetta bigenitorialità, come interpretata dalla Corte EDU – Inosservanza degli obblighi internazionali.


- Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 47-quinquies, comma 7.


- Costituzione, artt. 2, 3 e, in particolare, secondo comma, 29, 30, 31, secondo comma, e 117; Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), artt. 8 e 14.




Norme impugnate:

legge  del 26/07/1975  Num. 354  Art. 47 quinquies  Co.



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art.

Costituzione  Art.  in particolare

Costituzione  Art.  Co.

Costituzione  Art. 29 

Costituzione  Art. 30 

Costituzione  Art. 31   Co.

Costituzione  Art. 117 

Convenzione per la salvaguardia diritti dell'uomo e libertà fondamentali  Art.

Convenzione per la salvaguardia diritti dell'uomo e libertà fondamentali  Art. 14 



Camera di Consiglio del 10 marzo 2025 rel. VIGANÒ


Testo dell'ordinanza

N. 174 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 aprile 2024

Ordinanza del 10 aprile 2024 del Tribunale di sorveglianza di Bologna
sul reclamo proposto da M. C.. 
 
Ordinamento  penitenziario  -  Detenzione  domiciliare   speciale   -
  Previsione che la detenzione domiciliare  sostitutiva  puo'  essere
  concessa  al  padre  detenuto  "se   la   madre   e'   deceduta   o
  impossibilitata e non vi e' modo di affidare la prole ad altri  che
  al padre". 
In subordine:  Ordinamento  penitenziario  -  Detenzione  domiciliare
  speciale - Previsione che  la  detenzione  domiciliare  sostitutiva
  puo' essere concessa al padre  detenuto  se  "non  vi  e'  modo  di
  affidare la prole ad altri che al padre". 
- Legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento  penitenziario
  e sulla  esecuzione  delle  misure  privative  e  limitative  della
  liberta'), art. 47-quinquies, comma 7. 


(GU n. 40 del 02-10-2024)

 
                TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI BOLOGNA 
 
    L'anno 2024 giorno 9 del mese di aprile in Bologna si e'  riunito
in Camera di Consiglio nelle persone dei componenti: 
        dott.ssa Venturini Maria Letizia, Presidente; 
        dott. Romano Ezio, giudice relatore; 
        dott.ssa Forgione Margherita, esperta; 
        dott.ssa Sozzi Anna, esperta; 
    con  la  partecipazione  della  dott.ssa  Starita   Adele   Sost.
procuratore generale presso  la  Corte  di  Appello  di  Bologna  per
deliberare sul procedimento relativo alle domande di: 
      detenzione domiciliare speciale, art. 47-quinquies O.P.; 
      affidamento in prova al servizio sociale, art. 47 O.P.; 
      semiliberta', art. 50 O.P.; 
    Presentate  da  C  M  nato  a  il  ,  detenuto  presso  la   Casa
circondariale di Ferrara in espiazione della pena di  cui  al  cumulo
SIEP n. 2023/187 emesso dalla Procura di Pordenone, pari ad  anni  4,
mesi 7 e giorni 12 di reclusione; decorrenza pena 10 settembre  2023;
fine pena 21 agosto 2028. 
 
                               Osserva 
 
    Il presente procedimento origina dalla richiesta di C M. volta ad
ottenere le misure della semiliberta' o dell'affidamento in prova  al
servizio sociale in relazione alla  pena  di  cui  alla  sentenza  n.
3391/2019 emessa dalla Corte d'Appello di Bologna, pari a  mesi  7  e
giorni 15 di reclusione per il delitto di cui all'art. 640, 81, c.  2
codice penale commesso in nell'anno a fronte dell'emissione da  parte
della Procura generale della  Repubblica  di  Bologna  di  ordine  di
carcerazione e decreto di sospensione. 
    Successivamente,  tuttavia,  interveniva  l'attuale   titolo   in
espiazione e, dunque, era disposta la carcerazione del C. , associato
all'istituto estense dal 10 settembre 2023. 
    A fronte dell'esecuzione inframuraria della pena, con atto del 25
ottobre 2023 il difensore  di  fiducia  del  C  ha  avanzato  in  via
provvisoria ed urgente ulteriore istanza di  ammissione  del  proprio
assistito alla misura della detenzione domiciliare  speciale  di  cui
all'art. 47-quinquies legge n. 354/1975 (d'ora innanzi  anche  O.P.),
ai sensi della sentenza della Corte costituzionale n. 30/2022, ovvero
anche la concessione del beneficio di cui all'art. 21-bis O.P. 
    A sostegno, il difensore evidenziava che  C  e'  padre  di  figli
minorenni, che la madre ha abbandonato da tempo il nucleo  familiare,
che allo stato egli e' l'unica persona  in  grado  di  occuparsi  dei
figli, avendone ottenuto  l'affido  da  parte  del  Tribunale  per  i
Minorenni. 
    L'istanza, e' stata rigettata per carenza di fumus dal Magistrato
di sorveglianza di Bologna, sulla base della considerazione  per  cui
l'art. 47-quinquies, comma 7  O.P.,  consente  la  concessione  della
detenzione domiciliare al padre di prole di eta'  inferiore  ad  anni
dieci  o  affetta  da  disabilita'  solo  laddove  la  madre  risulti
«deceduta o impossibilitata e non vi e' modo di affidare la prole  ad
altri che al padre». 
    Nel caso di specie, infatti, i figli di C  sono  assistiti  dalla
sorella maggiore, che, al netto delle difficolta' nella  gestione  di
piu' bambini, costituisce unitamente ai compagno un nucleo  familiare
idoneo e capace di  prendersi  cura  dei  figli  del  detenuto,  come
indicato anche dai servizi sociali. 
    In via preliminare, il Tribunale di sorveglianza evidenzia che le
originarie  domande  di  semiliberta'  ed  affidamento  in  prova  al
servizio sociale risultano allo stato inammissibili. 
    La domanda ex art. 47 O.P. risulta non passibile  di  vaglio  nel
merito in relazione all'attuale fine pena, ampiamente superiore  agli
anni quattro di espiazione residua. Quanto alla semiliberta',  C  non
ha maturato la soglia di meta' della pena,  rendendo  parimenti  tale
domanda non valutabile dal Collegio. 
    Parimenti  non  valutabile,   sebbene   proposta   in   sede   di
provvisoria, e' la domanda di cui all'art. 21-bis  O.P.,  trattandosi
di istituto modellato sull'art. 21 O.P. e, dunque, l'iniziativa circa
l'ammissione  al  beneficio  e'  di  competenza  dell'Amministrazione
penitenziaria. 
    L'unica domanda astrattamente ammissibile, dunque, risulta essere
quella avanzata ai sensi dell'art. 47-quinquies O.P.,  da  intendersi
ai sensi del comma 1-bis. 
    Cio' premesso si osserva l'art. 47-quinquies O.P. disciplina  una
ipotesi di detenzione domiciliare che, in deroga ai  limiti  ordinari
stabiliti dall'art. 47-ter O.P., puo' essere concessa  dal  Tribunale
di sorveglianza alla madre di prole di eta' inferiore agli anni dieci
con la stessa convivente,  espiato  un  terzo  della  pena  o  almeno
quindici anni per la persona condannata  all'ergastolo,  laddove  sia
possibile ripristinare la convivenza con i minori ed il  giudice  non
rilevi un concreto pericolo di commissione di ulteriori  delitti,  in
modo  dai  consentire  alla  madre  di   provvedere   alla   cura   e
all'assistenza dei figli. 
    Laddove non sussista in concreto il pericolo di  reiterazione  di
condotte delittuose o di fuga, inoltre,  ai  sensi  del  comma  1-bis
della norma in esame, il Tribunale di sorveglianza puo'  derogare  ai
limiti di pena indicati al  comma  1,  consentendo  alla  persona  di
espiare il terzo della sanzione o i quindici anni, per la  condannata
alla pena dell'ergastolo, in un domicilio protetto  ovvero  anche  al
proprio domicilio. 
    Il comma settimo dell'articolo 47-quinquies, poi, stabilisce  che
la detenzione domiciliare speciale possa essere concessa, alle stesse
condizioni della madre; al padre detenuto solo laddove la  madre  sia
deceduta o impossibilitata e non vi e' modo di affidare la  prole  ad
altri che al padre. 
    La norma e' stata oggetto in epoca recente di diversi  interventi
della  Corte  costituzionale  che  ne  hanno  ampliato  la   portata,
anzitutto stabilendo l'applicabilita' della disciplina de  quo  anche
laddove il figlio, a prescindere dall'eta', sia affetto  da  handicap
in condizioni di gravita' ai  Sensi  dell'art.  3,  c.  3,  legge  n.
104/1992 (Sentenza della Corte costituzionale n. 18/2020), nonche' la
possibilita' che la misura venga  concessa  in  via  provvisoria  dal
Magistrato di sorveglianza, laddove sussista un grave pregiudizio per
il minore derivante  dalla  protrazione  dello  stato  detentivo  dei
genitore (Sentenza della Corte costituzionale n. 30/2022). 
    In tutte le pronunce citate, la Corte ha evidenziato come  questa
norma debba intendersi costituzionalmente sorretta dalla  prioritaria
necessita'  di  assicurare  la  tutela  della  prole   bisognosa   di
assistenza genitoriale, precipitato dell'art. 31, c. 2  Costituzione,
anche in consonanza con gli obiettivi internazionali  di  tutela  del
minore  e  del  fanciullo,  e  realizzi  tale  scopo  consentendo,  a
tassative e  stringenti  condizioni,  di  derogare  ai  limiti  della
detenzione domiciliare ordinaria. 
    Dalla lettura della norma,  tuttavia,  emerge  chiaramente,  come
alle suddette esigenze  l'ordinamento  dia  una  differente  risposta
laddove il richiedente sia la madre ovvero il padre. 
    Mentre  per  valutare  l'accesso   alla   misura   della   figura
genitoriale femminile il Tribunale di  sorveglianza  si  limitera'  a
compiere un vaglio sulla possibilita' di ripristinare  la  convivenza
con la prole e sull'assenza in concreto del rischio  di  reiterazione
di condotte di reato, per  accogliere  analoga  richiesta  del  padre
dovra'  valutarsi  altresi'  se  la  madre  sia  morta   (impedimento
assoluto) o impossibilitata (impedimento relativo) e se la cura della
prole non possa  essere  garantita  da  altri  soggetti  diversi  dal
genitore. 
    Sul  punto,  peraltro,  il  diritto  vivente  e'  particolarmente
stringente. 
    Sebbene la  riflessione  giurisprudenziale  sulla  norma  si  sia
polarizzata in massima parte nella individuazione di una nozione piu'
chiara di cosa debba intendersi per impossibilita'  della  madre,  in
particolare laddove  la  stessa  presti  attivita'  lavorativa;  tale
condizione e' stata individuata in quella che -  per  l'emersione  di
oggettivi fattori impeditivi inerenti  alla  sfera  di  azione  della
medesima - determina il rischio concreto per la  prole  di  un  grave
deficit assistenziale e di un'irreversibile  compromissione  del  suo
processo evolutivo ed educativo (cosi' Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4796
del 10 dicembre 2020 Cc. (dep. 8 febbraio 2021) R.v 280789 - 01 (1) . 
    La  stessa  Corte  di  legittimita',   tuttavia,   evidenzia   le
differenze strutturali tra l'art. 275, c. 4 del codice  di  procedura
penale e l'art. 47-quinquies O.P., laddove la  prima  norma  richiede
che l'impossibilita' della madre sia assoluta e non reca  l'ulteriore
inciso per cui il Tribunale di sorveglianza deve  escludere  che  «vi
sia modo di affidare la prole ad altri che al padre»  ed  arresta  la
propria analisi alla mera sussistenza del requisito  dell'impedimento
della madre, senza approfondire in che termini  debba  intendersi  il
riferimento ai terzi. 
    Cio' posto, il Tribunale di sorveglianza  deve  rilevare  che  la
situazione dedotta dal C ed  accertata  nel  corso  dell'istruttoria,
alla luce dell'attuale assetto  normativa  e  giurisprudenziale,  non
consente  l'accoglimento  dell'istanza  di   detenzione   domiciliare
speciale. 
    Sebbene  la  difesa  abbia  cercato   di   sostenere   l'assoluto
impedimento e financo l'incapacita' della madre a svolgere  il  ruolo
di cura, dall'ordinanza del Tribunale per i Minorenni che ha concesso
il collocamento dei minori  presso  il  C.  risulta  che  entrambi  i
genitori sono stati ritenuti  idonei  alla  funzione  genitoriale  ed
adeguati rispetto alle esigenze di  vita  ed  affettive  dei  minori.
Dunque la donna, secondo il calendario dei  servizi,  ha  diritto  di
vedere i figli e mantenere un rapporto con  gli  stessi,  seppur  non
continuativo. 
    D'altro canto, si  e'  potuto  appurare  che  la  famiglia  di  C
risultava costituita, gia' prima della carcerazione,  oltre  che  dal
detenuto ed i due figli minori, anche dalla  figlia  di  primo  letto
dell'istante, C L , e dal compagno della giovane. 
    I minori, dunque, sono  rimasti  in  ambito  familiare  e  stanno
mantenendo le relazioni che caratterizzavano la  loro  vita  gia'  da
prima della carcerazione dei padre; chiaramente, saranno  esposti  ad
una sofferenza legata alla sua assenza, ma non pare al  Collegio  che
tale condizione nella sua materialita' determini un grave deficit  di
tutela e cura per i figli del detenuto. Il nucleo familiare,  pur  in
assenza del C , e' stato ritenuto  dai  servizi  minorili  capace  di
garantire idonea cura ed assistenza  ai  figli  minori  dell'istante,
sicche' pur a fronte della non ,continuita' dei rapporto con la madre
e', dunque, chiaramente «possibile affidare la prole ad altri che  al
padre». Milita in questo senso l'indicazione  dei  Servizi  minorili,
che, pur caldeggiando la ricostituzione del rapporto padre-figli  ove
possibile, indicano che i minori si recano a far visita al  padre  in
istituto, e «vivono comunque  in  una  situazione  serena  presso  la
famiglia della sorella». Anche se l'impegno della giovane donna viene
descritto come gravoso, lo stesso non risulta tale da determinare una
condizione  di  deficit  di  cura  e  di  assistenza   che   consente
l'ammissione alla misura richiesta. 
    Ne' puo' accogliersi la tesi  della  difesa  secondo  cui,  nella
valutazione dell'assoluto impedimento della madre il supporto offerto
da altri parenti e/o servizi non possa intendersi quale integralmente
sostitutivo della presenza materna, ma debba essere inteso  in  senso
meramente complementare alla cura offerta dalla madre. 
    La giurisprudenza citata dal difensore, infatti, si e'  espressa,
per l'appunto, sull'art. 275, c. 4 del codice  di  procedura  penale,
che non contiene l'ulteriore locuzione «e non vi e' modo di  affidare
la prole ad altri che al padre». 
    Se, dunque, nell'ermeneutica  dell'art.  275  codice  penale,  in
assenza di un espresso riferimento  restrittivo,  appare  ragionevole
non introdurre ulteriori  requisiti  quali  l'assistenza  sostitutiva
offerta da terzi soggetti, ad analoga conclusione non puo' pervenirsi
rispetto alla norma in esame. 
    Quest'ultima, infatti, si esprime in termini differenti e  adotta
un linguaggio che fa riferimento non gia' alla mera  possibilita'  di
cura integrativa dei terzi, ma al concetto di affidamento dei  minori
ad altri soggetti al di fuori del padre. 
    La locuzione utilizzata dal legislatore, anche nella sua  valenza
tecnica,  dunque,  esprime  una  netta  indicazione,  a  parere   del
Collegio, nel senso della volonta' di attribuire al terzo un ruolo di
cura anche sostitutivo della madre,  che  rende  il  padre  l'extrema
ratio normativa. 
    Il giudizio, in applicazione dell'attuale formulazione  dell'art.
47-quinquies, c. 7 O.P., dovrebbe dunque concludersi con  un  rigetto
dell'istanza, gia' su questi profili parzialmente preliminari. 
    Tuttavia, Tribunale di sorveglianza non puo' non  rilevare  dubbi
circa la compatibilita'  costituzionale  della  disposizione  di  cui
all'art. 47-quinquies, c. 7 O.P. nella parte in cui la  norma,  sotto
un duplice profilo, opera una radicale discriminazione tra  la  madre
ed il padre nell'accesso alla misura in esame. 
    Cio' tanto in generale, stabilendo  una  differenziazione  tra  i
ruoli  genitoriali  che  non  appare  ragionevole  alla  luce   delle
evoluzioni sociali che hanno interessato  l'ambito  familiare,  della
letteratura scientifica in materia e del corretto  bilanciamento  tra
le esigenze costituzionali in  gioco;  quanto,  in  via  gradata,  se
confrontata con analoga disposizione prevista dall'art. 47-ter, c. 1,
lett.  b)  O.P.  e  con  quanto  previsto   in   altre   disposizioni
dell'ordinamento (tra cui il gia' citato art. 275,  c.  4  codice  di
procedura penale) in cui e'  il  legislatore  ha  operato  differenti
scelte in tema di bilanciamento tra le esigenze del  processo  penale
ed assistenza alla prole in tenera eta'. 
    I profili costituzionali che, a parere  del  Collegio,  sarebbero
violati, a vario livello, dalla norma in esame sono, anzitutto l'art.
3, c. 2 e gli artt. 29, 30 e 31  della  Carta  fondamentale,  nonche'
l'art. 117 quale parametro interposto rispetto agli  artt.  14  CEDU,
espressivo   in   ambito   convenzionale   del   principio   di   non
discriminazione, in relazione all'art. 8 CEDU, che stabilisce  tutela
della vita privata e familiare. 
    I dubbi di costituzionalita' su brevemente esposti  sono  duplici
e, come anticipato, da intendersi in via gradata. Pertanto,  ai  fini
di una maggiore chiarezza espositiva, appare opportuno  condurre  una
analisi separata degli stessi. 
    Un primo profilo  di  incostituzionalita'  della  disciplina.  in
esame si ritiene sussistente in ragione della scelta  legislativa  di
operare a monte una differenziazione tra te due  figure  genitoriali,
padre e madre, nella  cura  del  minore  (o  del  figlio  affetto  da
handicap)  stabilendo  una  cornice  normativa   evidentemente   piu'
favorevole per le detenute di sesso femminile rispetto ai detenuti di
sesso maschile, in cui l'elemento discretivo e'  dato  esclusivamente
dal genere del genitore. 
    Tale scelta, per i motivi di cui si dira' appresso, si traduce in
urta discriminazione della cui  ragionevolezza  e'  lecito  dubitare,
specialmente in relazione alla norma in  esame,  in  cui  l'interesse
costituzionale prevalente non e'  tanto  quello  della  tutela  della
maternita',  bensi'  quello  di  garantire  assistenza  al   soggetto
bisognoso  di  cura  in  modo  da  non  pregiudicarne   lo   sviluppo
psico-affettivo. 
    E' chiaro che tale opzione normativa poggi su dei dati empirici e
tradizioni culturali che assegnano alla donna, ed in particolare alla
madre, un generale e prioritario lavoro di cura a tutela dei soggetti
deboli, tra cui in primis i figli; ma  tale  impostazione  risulta  a
parere del Collegio  non  adeguatamente  giustificabile  rispetto  al
prioritario interesse costituzionale sotteso alla norma in esame, ne'
attuale rispetto ai mutamenti sociali che hanno interessato  l'ambito
familiare. 
    Per  meglio  comprendere  quanto  qui  asserito,   appare   utile
ripercorrere, per sommi capi,  l'evoluzione  normativa  del  fenomeno
detentivo femminile e di quello inerente il rapporto tra le  esigenze
di cura della prole  e  la  carcerazione  dei  genitori,  in  cui  la
giurisprudenza  costituzionale  ha  avuto  un  ruolo  tutt'altro  che
secondario. In origine, infatti, il tema della detenzione femminile e
del bilanciamento tra gli interessi sottesi  al  fenomeno  -  pretesa
punitiva dello Stato ed esigenze di tutela della collettivita' da  un
lato, tutela della maternita', dell'infanzia e del corretto  sviluppo
dei  minori  dall'altro  -  era  stato  affrontata  dal   legislatore
nell'ambito della detenzione domiciliare di cui all'art. 47-ter, c. 1
O.P., stabilendo  che  la  detenuta  che  dovesse  espiare  una  pena
inferiore  ai  quattro  anni  potesse  essere  ammessa  alla   misura
detentiva domiciliare laddove fosse «donna incinta o che  allatta  la
propria prole ovvero madre di prole di eta' inferiore a tre anni  con
la stessa convivente» (primigenia formulazione dell'art. 47-ter, c. 1
O.P. introdotta con legge 16 ottobre 1986, n. 663). 
    La norma, per converso, non conteneva alcun riferimento al  padre
sicche' fu compito della Consulta aprire uno spiraglio per la  figura
genitoriale maschile, con la Sentenza n. 215/1990. 
    La pronuncia di incostituzionalita' fu costruita  dalla  Consulta
in quella sede ai sensi degli artt. 3, 29,  30  e  31,  c.  2,  quale
corollario dei principi di eguaglianza morale e giuridica dei coniugi
e di tutela dell'infanzia, evidenziando come  la  scelta  legislativa
fosse irragionevole nel non riconoscere  alcuno  spazio  alla  figura
maschile. 
    A  sostegno,  la  Corte  richiamo'  gli  arresti  della   propria
giurisprudenza in materia di estensione  al  padre  di  alcune  norme
previdenziali in origine pensate a tutela della sola  maternita',  ma
che la Corte aveva riconosciuto carenti  rispetto  alle  esigenze  di
tutela dello sviluppo psico-affettivo del minore (2) nella  parte  in
cui non riconoscevano al padre quantomeno un ruolo di supplenza nella
cura dei figli (3) . 
    La  Corte  costituzionale,   evidenziando   l'omogeneita'   degli
interessi costituzionali in gioco, ed  in  particolare  sottolineando
come in entrambi i settori, oltre al generico rispetto del  principio
di uguaglianza sostanziale tra i coniugi, venisse in rilievo primario
anche  hi  tutela  della  prole,  concluse   dichiarando   la   norma
illegittima nella parte  in  cui  non  prevedeva  che  la  detenzione
domiciliare potesse essere concessa, nelle stesse condizioni previste
per la madre, anche  al  padre  detenuto,  «qualora  la  madre  fosse
deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare assistenza
alla prole» (Corte costituzione Sentenza n. 215/1990). 
    E',  dunque,  sul  terreno  della  normativa  giuslavoristica   e
previdenziale degli anni '70 tesa alla tutela della donna lavoratrice
che si rinviene la matrice originaria della locuzione  normativa  che
da' rilievo, seppur  ancillare,  alla  figura  genitoriale  maschile;
locuzione  poi  transitata,  attraverso  il  ponte  costruito   dalla
giurisprudenza costituzionale, in materia di esecuzione penale, fatta
propria dal legislatore e  riprodotta  in  analoghe  disposizioni  in
materia. 
    La successiva evoluzione normativa ha visto,  poi,  una  modifica
sostanziale della disciplina di settore, in  massima  parte  sospinta
dalla volonta' legislativa di dare maggiore tutela al fenomeno  della
maternita', evitando l'ingresso in  carcere  dei  minori  al  seguito
delle madri. 
    Un primo intervento organico si e' avuto con  legge  n.  40/2001,
ispirato dalla  ratio  di  incentivare  forme  di  esecuzione  penale
esterna a favore delle detenute incinte o alle madri  nei  primissimi
anni di vita del minore, in cui il rapporto con la  figura  femminile
(anche per esigenze biologiche) e'  stato  dal  legislatore  ritenuto
primario. 
    La legge citata, anzitutto, ha introdotto nel codice penale nuove
ipotesi di differimento della pena agli arti. 146 e  147  del  codice
penale, a tutela della donna incinta  (art.  146,  n.  1  del  codice
penale), della madre di prole di eta' inferiore agli  anni  uno  (ad.
146, n. 2 del codice penale), nonche' della madre di  prole  di  eta'
inferiore agli anni tre (art. 147, n. 3 del codice penale). 
    Tali norme tutelano  in  maniera  diretta  la  maternita'  ed  il
puerperio, assicurando l'obiettivo di evitare l'ingresso delta  madre
e del minore in carcere,  giungendo  sino  a  differire  l'esecuzione
della pena o a consentirne l'espiazione, ai sensi  dell'art.  47-ter,
c. 1-ter O.P., nelle forme della detenzione domiciliare surrogatoria. 
    La  novella  normativa  del  2001,  inoltre,  e'  particolarmente
importante ai fini della presente analisi  in  quanto  ha  introdotto
l'art. 47-quinquies O.P., con l'obiettivo  dichiarato  di  consentire
anche al di fuori dei limiti  di  cui  all'art.  47-ter,  c.  1  O.P.
l'accesso a misura domiciliare, in un'ottica di  rafforzamento  della
tutela garantita alle esigenze costituzionali di tutela  della  prole
sottese alla disciplina in esame. 
    Il punto di bilanciamento tra tali esigenze e quelle di sicurezza
pubblica e' stato individuato dal legislatore del  2001  nell'assenza
del rischio di commissione di ulteriori delitti da parte della  madre
e .nella fissazione, in assenza di rigidi  limiti  di  pena,  di  una
quota di espiazione minima della stessa; pari ad un terzo della  pena
temporanea  ovvero  quindici  anni   per   le   detenute   condannate
all'ergastolo. 
    Da ultimo, sempre la legge  n.  40/2001,  a  completamento  degli
obiettivi di tutela assunti dal  legislatore,  ha  introdotto  l'art.
21-bis O.P., che consente alle detenute madri  di  proludi  eta'  non
superiore agli anni dieci di poter garantire cura  ed  assistenza  ai
minori, secondo le modalita' di cui all'art. 21 O.P. 
    Il  legislatore,  in  quella  sede,  stabili'  sia   per   l'art.
47-quinquies O.P. sia per l'art.  21-bis  O.P.,  che  le  misure  ivi
previste potessero essere concesse anche al padre  laddove  la  madre
risulti «deceduta o impossibilitata e non vi e' modo di  affidare  la
prole ad altri che al padre». 
    Parallelamente,  la  detenzione  domiciliare  ordinaria  di   cui
all'art. 47-ter, c. 1 O.P. e'  stata  in  massima  parte  ridisegnata
quale misura prevalentemente tesa alla tutela non tanto della  madre,
quanto piuttosto del minore, soggetto debole ed estraneo al  processo
penale, ma che  rischia  di  subire  dalla  vicenda  giudiziaria  del
genitore gravose conseguenze sul  proprio  sviluppo  psico-affettivo,
venendo .deprivato delle cure necessarie. 
    Anzitutto e' scomparso il riferimento all'allattamento; e'  stata
innalzata l'eta' da tre a dieci anni della prole convivente; e' stata
inserita, alla lettera b) una  speciale  ipotesi  (precipitato  della
sentenza 250/1990 della Consulta) che consente l'accesso alla  misura
anche al  padre  laddove  la  madre  sia  «deceduta  o  assolutamente
impossibilitata». 
    La modifica della norma in esame da disciplina volta alla  tutela
della maternita' in senso stretto a norma prioritariamente tesa  alla
tutela del  minore-soggetto  richiedente  cura  e'  stata,  peraltro,
riconosciuta  dalla  stessa  Corte   costituzionale,   con   sentenza
350/2003. Con la citata sentenza,  infatti,  la  Consulta  ha  esteso
l'applicabilita' della detenzione anche laddove il figlio cui occorre
apprestare cura sia maggiore di anni dieci ma affetto da handicap  in
condizioni di gravita' ai sensi dell'art. 3, c. 3, legge n. 104/1992,
proprio sul presupposto dell'omogeneita' delle situazioni sostanziali
che caratterizzano il minore di anni dieci ed il gravemente  disabile
sotto il profilo della necessita' di cura (4) . 
    Ulteriore sviluppo  della  normativa  lato  sensu  dedicata  alla
tutela della maternita' e dei minori nell'ambito della vicenda penale
in rapporto alla carcerazione del genitore si e' avuto con  legge  n.
62/2011, con cui  il  Parlamento  e'  intervenuto  tanto  in  materia
cautelare quanto in materia di esecuzione pena. 
    All'art. 47-quinquies O.P. e' stato inserito  il  comma  1-bis  a
mente  del  quale,  laddove  non  sussista  il  rischio  concreto  di
commissione di ulteriori delitti o pericolo di fuga,  le  quote  pena
indicate al comma 1 possono essere espiate dalla  madre  (e,  dunque,
anche dal padre) in strutture protette o anche al domicilio, di fatto
rendendo operativa la norma de qua anche prima che maturino le soglie
di ammissibilita' stabilite dal comma precedente. 
    Lo stesso intervento normativo,  poi,  ha  introdotto  gli  artt.
21-ter O.P. (5) , 275 c. 4 (6) e  285-bis  del  codice  di  procedura
penale (7) ; tutte norme in cui si e' complessivamente  stabilito  di
dare primario rilievo alla tutela  dei  soggetti  bisognosi  di  cura
(minori-figli   affetti   da   handicap)   rispetto    ad    esigenze
special-preventive e cautelari, salvo che  le  stesse  non  risultino
particolarmente intense. Per quanto di interesse, tutte le  norme  da
ultimo indicate trovano primaria  applicazione  nei  confronti  della
madre, mentre sono estese al padre «qualora la madre sia  deceduta  o
assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole». 
    Dalla disamina sin qui condotta e' possibile trarre alcune  linee
guida  per  l'inquadramento  delle   scelte   normative   che   hanno
determinato l'attuale assetto del rapporto tra fenomeno  detentivo  e
cura della prole e, dunque, vagliarne l'attuale compatibilita' con il
dettato   costituzionale   sotto   il   profilo   della    intrinseca
ragionevolezza. 
    In  generale,  l'intera  disciplina  attribuisce  tutela  in  via
prioritaria al ruolo genitoriale  della  madre-donna  ed  assegna  al
padre una funzione subalterna e sussidiaria. 
    L'origine di tale opzione normativa si colloca  negli  anni  '70,
quale scelta previdenziale sorretta dal primario obiettivo  garantire
tutela della maternita' della donna lavoratrice. 
    Successivamente, gia' il legislatore del  1971  ha  avvertito  la
necessita' di  distinguere  quelle  norme  esclusivamente  dettate  a
favore   delta   madre   in    quanto    incinta-partoriente-puerpera
(appannaggio delle sole donne per evidente  infungibilita'  biologica
del  ruolo  gestazionale)  da  quelle  che,  viceversa,  avevano  una
funzione  piu'  marcatamente  orientata  a  tutelare  l'esigenza   di
esercizio della genitorialita' quale attivita' di cura ed  educazione
della prole nell'interesse di quest'ultima. In questo secondo  ambito
di norme, dunque, e' emersa l'opportunita'  di  riconoscere  un  molo
attivo alla figura genitoriale  di  sesso  maschile,  quale  soggetto
compartecipe  delle  funzioni  e   dei   doveri   discendenti   dalla
responsabilita' genitoriale. 
    Tuttavia, con un occhio sulla societa' italiana degli  anni  '70,
ed in un contesto di fatto in cui il lavoro di cura era culturalmente
prerogativa della  madre-donna,  il  legislatore  ha  scelto  di  non
realizzare una esatta parificazione tra i due sessi,  attribuendo  al
padre un ruolo di mera supplenza rispetto alla madre. 
    Cosi'  come  formatasi  nell'ambito  settoriale  di   pertinenza,
l'opzione normativa della non esatta parificazione e' transitata  per
mano  della  Consulta  in  ambito  penale,  venendo   sostanzialmente
reiterata senza particolari innovazioni sino ad oggi. 
    Il Tribunale di  sorveglianza  ritiene  che  proprio  il  mancato
adeguamento della scelta di fondo alle evoluzioni  della  societa'  e
del fenomeno familiare sia  indice  della  inattualita'  dell'opzione
normativa,  al  punto  da  metterne   in   discussione   l'intrinseca
ragionevolezza, soprattutto se riferita a misura quale la  detenzione
domiciliare speciale in cui l'esigenza primaria non e'  tanto  quella
di tutelare la maternita' stricto sensu intesa, ma  piuttosto  quella
di garantire la cura della prole in condizioni di sviluppo/fragilita'
rispetto a situazioni in cui, nel merito,  il  genitore  non  esprima
alcuna pericolosita' sociale. 
    In tale contesto, una differenziazione nell'accesso  alla  misura
fondata esclusivamente sul sesso del genitore e, dunque,  slegata  da
qualsiasi valutazione  in  ordine  alla  capacita'  dello  stesso  di
adempiere al ruolo di cura, non appare giustificabile. 
    Circa  la  ritenuta  omogeneita'   e   fungibilita'   del   ruolo
genitoriale del padre e della madre all'interno delta famiglia, giova
evidenziare che da tempo  la  letteratura  scientifica  ha  messo  in
discussione  l'assunto  per  cui  le  funzioni  dei  genitori   siano
biologicamente  determinate  in  ragione  del  genere  del   soggetto
accudente (o caregiver). 
    Se e' pur vero, infatti, che nella maggior parte  delle  societa'
umane in genere e' una donna - ma non sempre la madre biologica  -  o
un gruppo di donne ad occuparsi  dei  bambini,  si'  sono  registrate
anche opzioni sociali differenti, in cui il ruolo di cura della prole
(parenting)  e'  o  affidato  direttamente  al  padre  (raramente)  o
modellato su una  cooperazione  tra  i  genitori,  fino  a  forme  di
intercambiabilita' diffusa tra le figure  genitoriali,  eventualmente
anche a prescindere dal rapporto di filiazione (8) . 
    Sebbene non possa negarsi che la madre puo' avere, quantomeno  in
una fase iniziale dello  sviluppo  del  bambino,  un  ruolo  di  cura
primario,   legato   prevalentemente   all'allattamento   al    seno,
successivamente le differenze nel  rapporto  di  interazione  tra  le
figure  genitoriali  e   la   prole   risultano   piu'   propriamente
condizionate da condizioni ecologiche (da intendersi  quale  ecologia
sociale) e da costrutti sociali-ambientali, piuttosto che  dal  sesso
del genitore. Ed anche sull'allattamento al seno, in verita', possono
ben verificarsi condizioni per cui la  madre  biologica  non  sia  in
grado di provvedervi: non e' prassi estranea alla cultura occidentale
quella  delle  balie  o,  in  epoca  piu'   recente,   quella   della
somministrazione di latte artificiale; situazioni che dimostrano come
l'idea culturale della infungibilita' del  ruolo  Materno  non  possa
essere intesa in termini cosi' assoluti. 
    Si e' cosi' osservato che nelle societa' in cui gli  uomini  sono
molto partecipi alla gestione pratica della famiglia e all'educazione
dei figli, accresce il livello di intercambiabilita' tra  i  genitori
nel parenting,  evidenziandosi  come  la  peculiarita'  della  specie
umana, rispetto agli altri mammiferi ed agli  altri  primati-ominidi,
e' proprio la «assoluta  plasticita'  delle  relazioni,  che  possono
persino prescindere dal  genere  del  genitore  (come  avviene  nelle
coppie omosessuali) o dal legame biologico dei  figli  (come  avviene
nei genitori adottivi e affidatari)» (9) . 
    D'altro canto, gli studi  piu'  recenti  hanno  evidenziato  come
l'ambiente piu' confacente all'armonico sviluppo  della  personalita'
del minore e' quello in cui si realizza  il  cosiddetto  coparenting,
vale a dire la cooperazione tra i  ruoli  genitoriali  fondata  sulla
intercambiabilita' e' condivisione del ruolo di cura,  piuttosto  che
su una rigida separazione di funzioni fondata sul genere. Ambiente la
cui   costruzione   passa   necessariamente    attraverso    l'attivo
coinvolgimento  dei  padri  nella  funzione  di  accadimento  ed   il
superamento  della  tradizionale  attribuzione  di  compiti   statici
ancorati al sesso (10) . 
    Il  riconoscimento  dell'incidenza  positiva  del  coparenting  e
dell'assunzione di un ruolo di cura attivo condiviso da  entrambe  le
figure genitoriali sull'armonico sviluppo psico-affettivo del  minore
(o del soggetto bisognoso di cura), lungi dall'esaurirsi  nell'ambito
delle scienze  sociali,  ha  anche  trovato  consacrazione  in  fonti
normative, ponendoli alla base di importanti statuizioni di principio
che hanno riconosciuto un  generale  diritto  del  minore  alla  c.d.
bigenitorialita', quale corollario del dovere di entrambi i  genitori
di garantire cura ed educazione alla prole. 
    Si considerino, in ambito sovranazionale, le diverse disposizioni
stabilite nella Convenzione sui diritti del  Fanciullo  fatta  a  New
York il 20 novembre 1989 (ratificata dall'Italia  con  legge  del  27
maggio 1991, n. 176) (11) , nonche', in ambito nazionale, le norme in
materia di diritto di famiglia (12) , in cui e' chiaramente  espresso
il principio per cui le autorita'  statali,  ed  il  giudice,  devono
assicurare  soluzioni  normative  e  decisioni   che,   laddove   non
sussistano esigenze superiori, consentano di  mantenere  il  rapporto
tra la prole ed entrambi i genitori. 
    Cio' che si  ritiene  rilevante  evidenziare  e'  come  gli  atti
normativi   citati   facciano   riferimento   alla   necessita'   del
mantenimento del rapporto tra  il  fanciullo-minore  ed  entrambe  le
figure del genitore-caregiver, senza distinzioni o gradazioni  legate
al sesso. 
    Transitando dal terreno delle  scienze  sociali  sul  piano  piu'
propriamente assiologico, il Tribunale di  sorveglianza  osserva  poi
che in tema di differenziazione del trattamento normativo in base  al
sesso, importanti statuizioni di principio possono  trarsi  non  solo
nell'ormai  consolidata  giurisprudenza  della  Corte  costituzionale
sull'art. 3, c. 2 Costituzione (13) , ma anche in  quella  emersa  in
seno alla Corte di Strasburgo rispetto all'art. 14 della CEDU, a  sua
volta espressivo del principio di uguaglianza sostanziale,  letto  in
relazione all'art. 8 CEDU. 
    La Corte EDU, infatti, partendo dall'assunto che  la  parita'  di
genere  rappresenta  uno  degli  obiettivi  primari  all'interno  del
Consiglio d'Europa, in numerose pronunce ha ritenuto  che  per  poter
giustificare una differenziazione di trattamento normativo sulla base
del sesso dei soggetti destinatari, i riferimenti alle tradizioni, ad
assunti generali o ad attitudini sociali prevalenti in un dato  paese
non siano sufficienti (cosi' con  giurisprudenza  costante  dal  caso
Konstantin  Markin  v.  Russia  GC,  2012,  §   127),   ma   che   le
differenziazioni sulla base  de  sesso  debbano  essere  sorrette  da
ragioni particolarmente pregnanti (14) . 
    Si tratta di una copiosa giurisprudenza, tra cui  si  ritiene  di
dover citare, per esempio, la Sentenza  Beeler  v.  Switzerland  (GC,
2022, § 113), in  cui  la  Corte  ha  ritenuto  che  la  legislazione
svizzera sull'accesso alla pensione di reversibilita', che  stabiliva
una differenziazione tra uomini e donne, non fosse conforme  all'art.
14 CEDU,  in  relazione  all'art.  8  CEDU  in  quanto  iterativa  di
pregiudizi e stereotipi riguardanti la natura ed il ruolo della donna
all'interno della societa' e fosse svantaggiosa e svilente tanto  del
lavoro femminile quanto della vita familiare degli uomini. 
    Ancora, recentissimamente, con sentenza del 19  marzo  2024  resa
nel caso B. v Russia, la Corte ha  dato  ulteriore  applicazione  dei
principi enunciati  dalla  Grande  Camera  in  Konstantin  Markin  v.
Russia, ribadendo che la differenziazione di  genere  in  materia  di
congedo  parentale  tra  uomini  e  donne   non   sia   adeguatamente
giustificabile in ragione del mero  sesso  del  genitore,  reiterando
stereotipi sui ruoli in ambito familiare che non trovano  sufficiente
ragionevolezza. 
    Il caso appare interessante, pur con gli adattamenti del caso, in
quanto nella sentenza da  ultimo  citata  la  legislazione  russa  in
materia di congedo parentale previsto per il personale di polizia  e'
stata giudicata contraria agli artt. 14-8 CEDU  nella  parte  in  cui
prevede  che  il  congedo  parentale   sia   fruibile   dalla   madre
incondizionatamente, laddove, a  contrario,  lo  stesso  puo'  essere
riconosciuto al padre solo laddove la  madre  sia  impossibilitata  a
fornire assistenza alla prole (15) . 
    La Corte, inoltre, in un paragrafo particolarmente  pregnante  ai
fini della questione in discussione (§ 38), ribadisce che il  congedo
parentale rappresenta un istituto distinto rispetto  a  quelli  volti
alla cura della maternita' in senso  stretto,  essendo  primariamente
diretto a garantire assistenza alla prole in  eta'  di  sviluppo  nei
periodi successivi a quelli di prime cure, in  cui  la  madre  ha  un
ruolo biologico primario. Superata questa fase,  dunque,  secondo  la
Corte di Strasburgo, i genitori, uomo e donna, rispetto alle esigenze
di  cura  dell'infante  sono   in   una   posizione   sostanzialmente
comparabile ed omogenea (16) . 
    Mutatis  mutandis,  i  principi   richiamati   sembrano   potersi
applicare anche al terreno in cui ci si muove in questa sede;  si  e'
gia' detto, infatti, che l'opzione normativa della  cui  legittimita'
costituzionale si dubita e' trasmigrata nel  sistema  dell'esecuzione
penale proprio dalla legislazione in materia. di  congedo  parentale,
su spinta della Corte  costituzionale,  che  ha  ravvisato,  con  gli
adattamenti del caso,  una  medesima  esigenza  di  fondo,  di  rango
costituzionale, alle due discipline, vale  a  dire  la  tutela  della
prole in eta' di sviluppo. Leggere la normativa italiana cercando  di
valutarne l'adeguatezza anche rispetto al Parametro  emergente  nella
giurisprudenza di  Strasburgo  (i  cui  due  poli  sono:  uguaglianza
sostanziale nel ruolo di cura della prole tra i genitori dopo i primi
mesi;  necessita'  di  serie  e  motivate  ragioni   per   introdurre
differenziazioni sulla base del sesso degli stessi),  dunque,  appare
non solo possibile ma, invero, doveroso. 
    La citata giurisprudenza EDU, infatti, in  quanto  espressa  piu'
volte dalla Grande Camera e reiterata nelle  piu'  recenti  pronunce,
soddisfa i requisiti indicati  dalla  Sentenza  49/2015  della  Corte
costituzionale  e,  dunque,  puo'  essere  assunta  quale   parametro
interposto  di   costituzionalita',   rappresentando   un'ermeneutica
convenzionale ormai consolidatasi e stabile. 
    Esaminando la disciplina  de  quo  alla  luce  della  letteratura
scientifica,   dei    principi    sovranazionali,    nonche'    della
giurisprudenza  costituzionale  e   convenzionale,   non   puo'   non
osservarsi come la inesatta parificazione del  padre  e  della  madre
detenuti per l'accesso alla detenzione domiciliare  speciale  sia  il
frutto di una scelta intrinsecamente irragionevole e fondata  su  una
tradizione culturale priva di effettivo portato empirico, che assegna
alla madre il principale ruolo di cura in ambito familiare. 
    Posto, infatti, che la tutela della maternita' in  senso  stretto
e' assicurata da altre norme dell'ordinamento, quali  le  ipotesi  di
differimento della pena di cui  agli  artt.  146  e  147  del  codice
penale, l'art. 47-quinquies O.P. deve  essere  letto  quale  istituto
primariamente teso alla tutela della prole (art. 31 Costituzione)  ed
all'assolvimento di  un  ruolo  di  cura  (parenting)  da  parte  dei
genitori, ai fine di evitare  che  la  sottoposizione  a  pena  dello
stesso riverberi effetti  negativi  sullo  sviluppo  psico-fisico  ed
affettivo del minore o del figlio affetto da handicap. 
    La preferenza accordata in questa sede  alla  cura  del  soggetto
debole rispetto alle istanze punitive trova una sua giustificazione e
punto  di  equilibrio  alla   luce   di   un   giudizio   di   merito
particolarmente pregnante,  in  cui  non  ci  si  limita  a  valutare
l'idoneita' della misura a prevenire  la  ricaduta  nel  reato  o  ad
assicurare il reinserimento sociale della persona, ma deve escludersi
in radice il rischio concreto di reiterazione di condotte illecite. 
    In altri termini, in assenza di pericoli  per  la  collettivita',
un'esecuzione  penale  esterna  che  mediante  il  ripristino.  della
convivenza con il figlio bisognoso di cura consenta l'esercizio della
genitorialita', e' da ritenersi costituzionalmente preferibile ad una
esecuzione inframuraria che, irragionevolmente, sacrifichi la  tutela
della prole in eta' di sviluppo e dei soggetti affetti da handicap. 
    Rispetto a tale equilibrio, che si condivide in quanto espressivo
di  un  bilanciamento  congruo  degli   interessi   in   gioco,   una
differenziazione   uomo-donna    appare    ingiustificata    rispetto
all'oggetto di tutela, ritenendo il Collegio che la figura maschile e
quella femminile siano adeguatamente in grado di assolvere  al  ruolo
genitoriale di cura, a prescindere dal sesso e dalla declinazione del
ruolo quale padre-madre. 
    In questo senso, la norma di  cui  all'art.  47-quinquies,  c.  7
O.P., a parere del Collegio, risulta non conforme agli artt. 3, c.  2
Costituzione, 29, 30 e 31, c. 2 e 117 Costituzione, in relazione agli
articoli 114-8 CEDU nella parte in  cui  prevede  che  la  detenzione
domiciliare sostitutiva possa essere concessa al padre  detenuto  «se
la madre e' deceduta o impossibilitata e non vi e' modo  di  affidare
la prole ad altri che al padre». 
    Le  censure  di  costituzionalita'  si  evidenziano,   anzitutto,
rispetto all'art. 3 e. 2 Costituzione, in quanto la scelta  normativa
finisce col trattare situazioni che si -ritengono equivalenti in modo
diseguale; ma tale differenziazione riverbera i propri effetti  anche
su altri interessi costituzionalmente rilevanti ai sensi degli  artt.
2, 29, 30 e 31, c. 2 Costituzione. 
    Quanto alla incompatibilita' con l'art. 3  c.  2,  rispetto  agli
artt. 29, 30 e 31, c. 2 Costituzione dell'attuale disciplina,  si  e'
gia'  argomentato  come  la  norma  determini   una   disparita'   di
trattamento normativa tra padre e madre, introducendo una  previsione
di favore per la donna, non giustificabile rispetto alle esigenze  di
tutela della famiglia (art. 29 Costituzione), della genitorialita'  e
della parita' tra coniugi-genitori (art.  30  Costituzione)  e  della
protezione della gioventu' (art. 31, c. 2 Costituzione). 
    Il parametro  costituzionale  di  cui  all'art.  2  Costituzione,
viceversa, viene in rilievo laddove si considerino gli effetti  della
disciplina in esame in relazione alle cosiddette famiglie di fatto  o
omogenitoriali, la cui tutela costituzionale e' stata dalla  Consulta
ricondotta nell'alveo di quelle formazioni sociali in cui si  esplica
la personalita' degli individui. 
    D'altro canto, la  stessa  appare  incongrua  anche  rispetto  al
parametro convenzionale dell'art. 14 CEDU  in  relazione  all'art.  8
CEDU,   stabilendo    una    differenziazione    normativa    fondata
esclusivamente sul sesso del richiedente  e  non  sorretta  da  certi
elementi che giustifichino tale disparita'; in tal senso, la norma si
pone in termini antinomici rispetto  all'art.  117  Costituzione,  in
relazione agli articoli 114-8 CEDU. 
    Per meglio comprendere gli effetti  distorsivi  della  disciplina
per come vigente si pensi a come questa incide  sulla  vicenda  umana
dei figli bisognosi di cura (art.  31,  c.  2  Costituzione)  nonche'
degli gessi genitori e della famiglia (artt. 29 e 30 Costituzione) in
termini di disparita' di trattamento e di tutela. 
    Si consideri, per primo, il caso del padre di prole bisognosa  di
cura. la cui moglie/compagna sia detenuta. 
    A fronte della carcerazione  della  partner  egli  sperimentera',
senz'altro,  delle  oggettive  difficolta'  nel  conciliare   impegni
lavorativi   e   cura   della   prole,   in   una    condizione    di
monogenitorialita'  di  fatto.  Tuttavia,   laddove   sussistano   le
condizioni  di  merito,  potra'  ragionevolmente  attendersi  che  la
moglie/compagna ottenga la detenzione domiciliare  speciale,  venendo
cosi' sollevato dalle maggiori  difficolta'  date  dal  dover  essere
l'unico punto  di  riferimento  del  nucleo  familiare,  con  effetti
positivi anche sulla sua capacita' lavorativa. 
    E cio' senza che il Tribunale di sorveglianza si interroghi circa
l'eventuale suo decesso, impedimento nella cura della prole  o  sulla
sussistenza di un congruo supporto da parte  di  terzi  soggetti,  ma
solo in ragione  del  ruolo  di  madre  della  propria  compagna.  La
famiglia,  nel  suo  complesso,  ne  sara'  certamente  agevolata   e
parimenti sara' agevolata la genitorialita' del padre e  della  madre
condannata (artt. 29 e 30 Costituzione). 
    Quanto al figlio o ai della coppia, questi  potranno  beneficiare
in via ordinaria di una condizione di bigenitorialita'  in  cui,  pur
con i limiti dell'esecuzione penale esterna, manterranno contatti con
entrambi i genitori, vedendo massimamente tutelata la loro condizione
di minori in eta' di sviluppo (art. 31, c. 1 Costituzione). 
    Assai  diversa  la  condizione  che  si  realizza  per  la  madre
lavoratrice  il  cui  compagno/marito  sia  detenuto.   Quest'ultima,
infatti, avra' maggiori difficolta' nel poter fare affidamento  circa
il  rientro  al  domicilio  dei   partner,   dovendo   Tribunale   di
sorveglianza,  infatti,  per  poter   accogliere   la   domanda   del
marito/compagno, effettuare uno scrutinio di merito piu' gravoso, nel
quale anche l'assistenza  eventualmente  offerta  da  terzi  soggetti
potra' incidere in termini negativi.  La  madre-lavoratrice,  dunque,
dovra' farsi carico tanto del ruolo di cura  della  prole  quanto  di
quello  di  mantenimento  economico  della  famiglia,   eventualmente
sacrificando la propria capacita' lavorativa in favore degli  impegni
familiari. 
    Per converso, i figli della coppia «madre libera-padre  detenuto»
avranno molte meno chances, in condizioni ordinarie, di poter  vedere
ricostruita l'unita'  del  nucleo  familiare,  rispetto  alla  coppia
«padre libero-madre detenuta». E cio', solo in ragione del fatto  che
il genitore detenuto sia un padre. 
    Ma v'e' di piu'; se gli effetti distorsivi  dell'attuale  assetto
normativo si rivelano incongrui  rispetto  alle  esigenze  di  tutela
costituzionale  dell'infanzia  gia'  nell'ambito   della   cosiddetta
famiglia tradizionale, essi assumono  caratteri  di  ancora  maggiore
irragionevolezza in relazione alle famiglie omosessuali  ed  famiglie
di fatto monogenitoriali, esponendo, a parita' di condizioni, i figli
di una unione civile tra due uomini ad una  disciplina  deteriore  di
quella riservata ai figli di una unione civile tra due donne. 
    Infatti, laddove una di quest'ultime si trovi ad esser  detenuta,
venendo in ragione del sesso qualificata madre, potra' avere  accesso
alla misura senza che sia necessario valutare gli ulteriori requisiti
attualmente previsti per  il  padre,  consentendo  alla  prole  della
coppia di godere di una condizione di bigenitorialita'. 
    Al contrario, laddove sia la parte di una unione civile  tra  due
nomini ad essere detenuta, la discriminazione sulla  base  del  sesso
incidera' nell'aggravare la regola di giudizio, rendendo residuale la
possibilita' per i  figli  della  coppia  di  avere  la  presenza  di
entrambi i genitori. 
    Da ultimo, in presenza delle medesime condizioni  di  merito,  il
padre detenuto unico genitore di fatto i cui figli  possano  ricevere
congrua assistenza da altri membri della famiglia (come nel caso di C
) vedra' rigettata la propria  istanza,.  mentre  la  madre  detenuta
unico genitore di fatto potra' avervi  accesso  a  prescindere  dalla
circostanza che le  esigenze  di  cura  dei  figli  siano  nei  fatti
assicurate da altri parenti. 
    In conseguenza, la prole del primo si vedra' privata del rapporto
quotidiano con l'unica figura genitoriale di  riferimento,  mentre  i
figli della seconda potranno  beneficiare  tanto  dell'assistenza  di
altri familiari che di quella del genitore. 
    In tutte le situazioni descritte, a parere del  Collegio,  e'  la
differenziazione del ruolo sulla  base  del  sesso  del  genitore  ad
introdurre un trattamento disomogeneo ed irragionevole di  condizioni
materialmente sovrapponibili ed in cui sussiste un'egualmente intensa
istanza di tutela costituzionale della prole bisognosa di  cure,  con
lesione dei parametri costituzionali su citati (art. 3, c. 2, 2,  29,
30, 31, c. 2 Costituzione), svilendo anche la necessaria parita'  tra
i due generi senza specifiche e motivate ragioni, in  contrasto  coni
riferimenti  convenzionali  richiamati  (art.  117  Costituzione   in
relazione agli artt. 14-8 CEDU). 
    A fronte di tale discrasia, le opzioni normativamente praticabili
e ragionevoli costituzionalmente potrebbero, a parere  del  Collegio,
essere due: o omologare la condizione della madre a quella del padre,
valutando se l'assenza del genitore donna pregiudichi in concreto  lo
sviluppo dei figli a fronte della presenza dell'altro partner uomo  o
di terzi in grado di assicurare assistenza; o (ed e' quel che qui  si
auspica) parificare la condizione del padre  a  quella  della  madre,
garantendo il mantenimento del,  rapporto  di  cura  con  entrambi  i
genitori, laddove  non  sussistano,  in  concreto,  pericoli  per  la
collettivita' e consentendo di tutelare Massimamente  l'interesse  di
cura della prole di cui all'art. 31, c. 2 della Carta costituzionale. 
    E' chiaro che la  prima  opzione,  pur  valutabile  in  astratto,
porterebbe a richiedere in concreto alla Corte una pronuncia additiva
in malam partem in una materia, l'accesso a misure  alternative,  cui
e' stata  ormai  pacificamente  riconosciuta  natura  sostanzialmente
penale (17) , sicche' la  questione  prospettata  si  porrebbe  sotto
questo profilo in termini di manifesta inammissibilita'. 
    Ma,  sotto  altro  profilo,  nel  merito,  si  ritiene   che   le
peculiarita' della misura in esame, concedibile solo a fronte  di  un
penetrante vaglio che escluda in radice la pericolosita' sociale  del
soggetto,  spingono  a  ritenere  preferibile  e  ,costituzionalmente
vincolata  solo  la  seconda  opzione  prospettata,  scegliendo,  nel
bilanciamento tra gli interessi coinvolti, quella che  a  parita'  di
tutela del primo (salvaguardia  della  collettività-esecuzione  della
pena) garantisce, la massima espansione  del  secondo  (tutela  della
prole bisognosa di cure). 
    L'effetto  auspicato  potrebbe  efficacemente  essere   raggiunto
manipolando il testo dell'art. 47-quinquies c. 7 O.P., provvedendo ad
eliminare la locuzione «se la madre e' deceduta o  impossibilitata  e
non vi e' modo di affidare la prole ad altri che al padre». 
    In questo modo, il padre  potrebbe  avere  accesso  alla  misura,
almeno in astratto, alle medesime condizioni previste per  la  madre:
dunque  al  solo  fine  di  dar  cura  ai  minori,  ripristinando  la
convivenza con gli stessi ed esclusivamente laddove venga ritenuto in
concreto non socialmente pericoloso. 
    La  disciplina  risultante,  a   giudizio   del   Collegio,   non
arrecherebbe pregiudizio alle esigenze  di  esecuzione  penale  o  di
tutela  della  collettivita',   adeguatamente   salvaguardate   (come
espresso supra) dagli altri requisiti di merito,  che  consentono  la
concessione della misura solo  a  fronte  dell'assenza  concreta  del
rischio di reiterazione di condotte delittuose, secondo  il  puntuale
vaglio effettuato dalla Magistratura di sorveglianza. 
    La questione cosi' posta, per  le  ragioni  esaminate  supra,  e'
certamente non manifestamente  infondata  e  rilevante  nel  caso  di
specie, in quanto, laddove  venisse  accolta  la  prospettazione  del
Tribunale di sorveglianza, l'iter argomentativo  e  valutativo  nella
vicenda del  C  non  dovrebbe  confrontarsi  su  diversi  temi  quali
l'impedimento (assoluto o relativo) della madre e  la  disponibilita'
di terzi in grado di fornire equivalente assistenza ai suoi figli. 
    E cio' si ritiene sufficiente, a prescindere da un  vaglio  circa
l'eventuale accoglimento nel merito dell'istanza di C  -  a  ritenere
integrato il primo requisito di ammissibilita'. 
    E' noto, infatti, che la Corte costituzionale ha ormai  affermato
una nozione di rilevanza della questione che prescinde dall'eventuale
diretta incidenza sull'esito  del  giudizio  a  quo,  descritta  come
rilevanza giuridica (18) . 
    Secondo tale orientamento, ormai maggioritario  e  condiviso,  il
requisito di rilevanza sussiste  anche  qualora  la  decisione  della
Corte sia idonea ad incidere nel giudizio a quo anche solo nel  senso
di     imporre     al      giudice      un      diverso      percorso
logico-giuridico-argomentativo, pur  rimanendo  in  ipotesi  identico
l'esito del giudizio. Peraltro, proprio pronunciandosi sulla norma in
esame, la Consulta,  nel  ribadire  tale  nozione  di  rilevanza,  ha
altresi' sottolineato come anche eventuali evenienze successive,  che
evidenzino l'infondatezza dell'istanza in  relazione  alla  quale  e'
sorto il dubbio  di  costituzionalita',  non  esplicano  effetti  sul
giudizio incardinato innanzi alla Corte (19) . 
    Per mera completezza, tuttavia, appare  opportuno  segnalare  che
gli  ulteriori  elementi  istruttori  acquisiti   circa   l'effettiva
assunzione di un ruolo di cura della prole da parte di C  negli  anni
successivi al (data in cui ha ottenuto la collocazione presso. di se'
dei minori) e l'assenza, da  allora  in  avanti,  di  segnalazioni  o
rimarchi  potrebbe  gia'  in  questa   sede   adombrare   l'effettiva
ricorrenza delle condizioni per la concessione del beneficio, laddove
venisse accolta la questione. 
    Il dubbio di costituzionalita', inoltre, non  risulta  emendabile
mediante una interpretazione costituzionalmente conforme, essendo  il
dato letterale della norma particolarmente chiaro nell'attribuire  al
padre  un  ruolo  piu'  che  sussidiario  nella  cura  della   prole,
intervenendo solo laddove ne'  la  madre  ne'  altre  persone  (altri
familiari e/o servizi territoriali) possano assolvere al  compito  di
assistenza dei soggetti fragili. 
    In questo senso, il Tribunale di sorveglianza di Bologna  ritiene
debba sollevarsi questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.
47-quinquies c. 7 O.P., a parere del Collegio, risulta  non  conforme
agli artt. 3, c. 2 Costituzione, 3 comma 2 in  relazione  agli  artt.
29, 30 e 31, c. 2 e 117  Costituzione,  in  relazione  agli  articoli
114-8 CEDU nella parte in cui prevede che la  detenzione  domiciliare
sostitutiva possa essere concessa al padre detenuto «se la  madre  e'
deceduta o impossibilitata e non vi e' modo di affidare la  prole  ad
altri che al padre». 
    In via subordinata, laddove non si dovessero ritenere  fondati  i
dubbi suesposti, giudicandosi sufficientemente ragionevole la  scelta
normativa di non realizzare in questo ambito una esatta parificazione
tra le due figure genitoriali, nondimeno l'art.  47-quinquies,  c.  7
O.P.  presenta  a  parere   del   Collegio   ulteriori   profili   di
incompatibilita' costituzionale con gli artt. 3, c.  2  Costituzione,
29, 30 e 31, c. 2 e 117  Costituzione,  in  relazione  agli  articoli
114-8 CEDU, nella parte in cui prevede che in condizioni  di  assenza
per decesso o impedimento della madre il  Tribunale  di  sorveglianza
possa concedere la misura solo se «non vi  e'  modo  di  affidare  la
prole ad altri che al padre». 
    Tale ulteriore requisito previsto dalla norma in esame,  infatti,
frustra inevitabilmente e senza evidenti ragioni il  ruolo  familiare
del padre, anche in condizioni in cui lo stesso venga a rappresentare
l'unico valido riferimento genitoriale per la prole a  fronte  di  un
materiale impedimento assoluto o relativo della madre, attribuendogli
rilevanza solo quale extrema  ratio  normativa  nell'affidamento  dei
figli. 
    L'irragionevolezza di tale scelta appare patente non solo  da  un
punto di  vista  intrinseco  rispetto  alla  tutela  degli  interessi
sottesi alla norma in esame, ma si giudica ancor piu' non tollerabile
rispetto al  tertium  comparationis  rappresentato  dalla  disciplina
della detenzione domiciliare ordinaria di cui all'art. 47-ter, c.  1,
lett. b) O.P. e da quella delle altre norme di  tenore  analogo,  tra
cui l'art. 275, c. 4 codice di procedura penale. 
    La Corte costituzionale, infatti,  ha  piu'  volte  ribadito  che
nelle  forme  di  detenzione  domiciliare  funzionali   alla   tutela
dell'interesse del minore «tale interesse  puo'  recedere  di  fronte
alle esigenze di difesa sociale  solo  quando  la  sussistenza  e  la
consistenza delle stesse sia verificata in concreto, non gia'  quando
sia collegata a indici solo presuntivi, che impediscono al giudice di
apprezzare le singole situazioni», sostenendo anche che la  identita'
di ratio che accomuna l'art. 47-ter, c. 1 e l'art. 47-quinquies  O.P.
imporrebbe   l'allineamento   delle   relative   discipline   laddove
necessario (cosi in particolare Corte costituzionale 30/2022) (20) 
    Si e' gia' indicato supra in punto di ermeneutica della norma  in
esame,  come  nell'affronto  tra  l'art.  47-quinquies  O.P.   e   le
disposizioni normative citate  non  possa  non  tenersi  conto  delle
differenze testuali che connotano, in positivo o in negativo, le  due
diverse fattispecie. 
    Tali  peculiarita',  a  parere  del  Collegio,   impediscono   di
pervenire ad una interpretazione costituzionalmente  orientata  della
norma de qua in relazione alla persona del padre detenuto. 
    L'art. 47-ter, c. 1, lett. b), infatti, consente  la  concessione
della misura al padre esercente la  responsabilita'  genitoriale  con
lui  convivente  laddove  la  madre   sia   deceduta   o   altrimenti
assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole. La norma,
dunque, testualmente, si applica solo al padre che conviva gia' con i
figli, che abbia gia' assunto nei loro confronti  un  ruolo  di  cura
mediante l'esercizio della responsabilita' genitoriale, a  condizione
che la madre risulti assolutamente impossibilitata o perche' deceduta
o per altre ragioni particolarmente gravi. 
    L'art. 47-quinquies O.P., viceversa, si applica  al  padre  senza
che sia necessario che questi abbia gia' assunto funzioni  attive  di
cura della prole ed a condizione  che  rappresenti  l'unico  cui  gli
stessi possano essere affidati  a  fronte  della  morte  o  di  altro
impedimento, sebbene non assoluto della madre. 
    La norma, dunque, in astratto, potrebbe applicarsi ad una  platea
piu' ampia di soggetti, che include, ma non si  esaurisce  in  quella
dei potenziali destinatari di cui all'art. 47-ter,  c.  1,  lett.  b)
O.P. 
    In  concreto,  pero',   l'operativita'   delle   due   norme   e'
evidentemente  in  larga  parte  sovrapponibile,  come  dimostra   la
casistica giurisprudenziale su esaminata. 
    Eppure, la norma pensata per ampliare le maglie della  disciplina
ordinaria al fine di tutelare  maggiormente  l'interesse  dei  minori
presenta dei requisiti di accesso piu' stringenti,  laddove  contiene
l'ulteriore inciso della  possibilita'  di  affidamento  dei  minori,
prima che al padre, anche a terzi soggetti. 
    Ne'  puo'  sostenersi   che   tale   indicazione   possa   essere
giustificata nell'alveo dell'art. 47-quinquies O.P. dalla  necessita'
di controbilanciare, rispetto all'art. 47-ter, c. 1, lett.  b)  O.P.,
l'assenza di limiti di pena o il rilievo dato all'impedimento,  anche
non assoluto, della madre: tali argomenti, infatti,  si  pongono  sul
terreno della valorizzazione delle esigenze di esecuzione della  pena
e veicolano un pensiero ispirato alla preoccupazione di  evitare  che
l'accesso ad una forma di esecuzione penale esterna discenda dal solo
fatto di avere dei figli bisognosi di assistenze. 
    Preoccupazione che, per verita', era emersa  anche  in  relazione
alla figura della madre, come puo' cogliersi da un esame  degli  atti
parlamentari   che   hanno   portato    all'introduzione    dell'art.
47-quinquies O.P., e che pare in parte  esser  figlia  anche  di  una
certa  concezione  dell'esecuzione  penale  per  cui  o  la  pena  e'
carceraria o non e' pena. 
    Ma, se l'impostazione culturale cui risponde una logica  siffatta
e' in massima parte smentita dalla  stessa.  prospettiva  in  cui  si
colloca la Costituzione con l'art. 27, c. 3  Costituzione  e  che  ha
ispirato gli ultimi decenni di normativa  in  materia  di  esecuzione
penale, in cui si  sono  succedute  numerose  riforme  tutte  protese
all'abbandono della piu'  tradizionale  impostazione  carcerocentrica
verso forme esecutive esterne al contesto detentivo, a tali obiezioni
e'  agevole  ribattere  (come  gia'  individuato  sopra),   che   nel
bilanciamento  tra  gli  interessi  coinvolti,  deve   sempre   darsi
priorita' alla soluzione che, a  parita'  di  tutela  garantita  alle
esigenze di esecuzione della pena, garantisce la  massima  espansione
della tutela della prole bisognosa di cure. 
    In questo senso, prevedere che, nonostante il padre  risulti  non
pericoloso e possa eseguire all'esterno la propria pena, il suo ruolo
di cura venga postergato, a quello fornito dai  terzi  appare  scelta
illogica che sacrifica sull'altare di esigenze  securitarie  astratte
il rapporto genitoriale contro l'interesse e del padre  (con  lesione
degli artt. 3, c. 2 e 30 Costituzione  rispetto  alla  madre)  e  del
minore-figlio (con lesione dell'art. 31, c. 2 Costituzione). 
    D'altro canto, che il ruolo del padre non  possa  ragionevolmente
essere  reso  sussidiario  rispetto  a  terzi   soggetti   e'   stato
chiaramente affermato anche dalla Corte di Cassazione in relazione ad
altra norma che, pur con le specificita' della materia, si occupa del
bilanciamento tra esigenze di tutela  della  collettivita'  e  quelle
della prole: l'art. 275, c. 4 codice di procedura penale.  La  norma,
infatti, stabilisce che la custodia cautelare in carcere possa essere
disposta nei confronti di padre di prole di eta' inferiore agli  anni
sei, la cui madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata,  solo
laddove sussistano esigenze cautelari di particolare intensita'. 
    Lo schema  normativo,  dunque,  non  contiene  indicazione  circa
l'eventuale intervento di terzi nella  cura  della  prole;  tuttavia,
parte della giurisprudenza di merito aveva inteso dare  rilievo  alla
presenza di altri familiari capaci di sopperire alle esigenze di cura
dei minori per giustificare il mantenimento  della  cautela  estrema.
Rispetto a tale esito, tuttavia, la  Cassazione,  nella  sentenza  n.
29355 del 30 aprile 2014 ha opportunamente precisato che  «Una  volta
infatti che sia stata accertata l'assoluta impossibilita' della madre
a dare assistenza alla prole e sia  stato  escluso  il  ricorrere  di
esigenze cautelari di eccezionale  rilevanza,  il  giudice  non  puo'
giustificare il mantenimento della misura  intramurale  prendendo  in
esame l'eventuale presenza di altri familiari, in quanto ad  essi  il
legislatore non riconosce alcuna  funzione  sostitutiva,  considerato
che la formazione del bambino  puo'  essere  gravemente  pregiudicata
dall'assenza di una figura genitoriale, la cui  infungibilita'  deve,
pertanto, fin dove possibile, essere assicurata, trovando  fondamento
nella garanzia che l'articolo 31  Costituzione  accorda  all'infanzia
(Sez V 9-11-2007, n 41626, rv. n. 238209; Sez IV 19-11-2004, n. 6691,
rv. n. 230931)». 
    Cio' che rileva, a parere del Collegio, anche nel caso di  specie
e'  la  notazione  che  la  citata   sentenza   effettua   circa   la
infungibilita' del ruolo genitoriale e la  non  surrogabilita'  dello
stesso da parte di terzi; infungibilita' che la norma in esame,  art.
47-quinquies  O.P.,  viceversa  sacrifica  in  toto,  assegnando   al
padre-genitore una posizione assolutamente residuale,  esclusivamente
in ragione del proprio genere. 
    A fronte di tale condizione,  appare  evidente  al  Tribunale  di
sorveglianza che per ricondurre a sistema costituzionale la norma, il
riferimento alla condizione  di  non  impossibilita'  di  affidare  i
minori ad altri che  al  padre  dovrebbe  essere  espunto  dal  testo
dell'art. 47-quinquies O.P. 
    La rimozione di tale locuzione (pur se all'interno di  un  quadro
normativa che il Collegio  ritiene  comunque  non  soddisfacente,  in
quanto vulnerato  da  una  irragionevole  distinzione  di  fondo  tra
genitore uomo e genitore  donna),  consentirebbe  un  piu'  ponderato
punto  di  equilibrio  tra  le  varie  esigenze  costituzionali,  non
postergando la tutela della genitorialita' (art. 30  Costituzione)  e
della  prole  (art.  31,  c.  2   Costituzione)   ad   un   requisito
eccessivamente mortificante rispetto alla figura  paterna-maschile  e
che,  a  fronte  della  impossibilita'  della  madre,  determina  una
condizione  di  pregiudizio  per  lo  sviluppo  dei  minori,  privati
dell'unico riferimento genitoriale idoneo. 
    In questo senso, laddove non venisse ritenuta  fondata  la  prima
questione posta quale principale, il  Tribunale  di  sorveglianza  di
Bologna giudica la norma di cui  all'art.  47-quinquies,  c.  7  O.P.
parimenti non conforme agii artt. 3, c. 2 Costituzione, 29, 30 e  31,
c. 2 e 117 Costituzione, in relazione agli articoli 114-8 CEDU  nella
parte in cui prevede che la detenzione domiciliare sostitutiva  possa
essere concessa al padre detenuto in  caso  di  morte  o  impedimento
della madre solo ove «non vi e' modo di affidare la  prole  ad  altri
che al padre». 
    Alla luce della  disamina  sin  qui  condotta,  il  Tribunale  di
sorveglianza di Bologna  ritiene  necessario  ai  fini  del  decidere
risolvere i dubbi di costituzionalita' della norma  di  cui  all'art.
47-quinquies, c. 7 O.P., giudicati in questa sede non  manifestamente
infondati in relazione agli artt. 3, c. 2 Costituzione, 3 comma 2  in
relazione  agli  artt.  29,  30  e  31,  c.  2  Costituzione  e   117
Costituzione in relazione agli artt. 114-8 CEDU. 
    Prima   di   concludere,   sia   concesso   sottoporre   altresi'
all'attenzione della Corte l'opportunita', nel caso in cui  ritenesse
di accogliere le questioni prospettate, di estendere la  declaratoria
di incostituzionalita' eventualmente ritenuta anche all'art.  21-bis,
c. 3 O.P., come effetto conseguenziale di quella principale ai  sensi
dell'art. 27, c. 2, legge n. 87/1953. 
    L'art. 21-bis  O.P.,  infatti,  come  si  e'  gia'  visto  supra,
presenta  al  comma  terzo   la   medesima   formulazione   dell'art.
47-quinquies, c. 7 O.P. («La misura dell'assistenza all'esterno  puo'
essere concessa, alle stesse condizioni, anche al padre detenuto,  se
la madre e' deceduta o impossibilitata e non vi e' modo  di  affidare
la prole ad altri che al padre») ed e'  istituto  introdotto  con  la
stessa legge n. 40/2001, a completamento degli  obiettivi  di  tutela
assunti dal legislatore, quale  strumento  intermedio  e  sussidiario
rispetto alla detenzione domiciliare speciale. 
    In  particolare,  mentre  l'art.   47-quinquies   O.P.   consente
l'ammissione ad una forma di esecuzione penale  esterna  derogatoria,
controbilanciata  da   un   penetrante   giudizio   di   assenza   di
pericolosita' sociale, l'art. 21-bis O.P. non prevede tale requisito,
potendo essere concesso, dunque,  anche  laddove  un  residuo  dubbio
sulla  tenuta  esterna  della  persona  possa  in   concreto   ancora
sussistere.  Tuttavia,  nella  scelta  tra   la   totale   espiazione
intramuraria che sacrifichi in radice  la  tutela  dei  minori  e  la
totale  apertura  data  dall'art.   47-quinquies   O.P.,   la   norma
richiamata,  modellata  sull'art.  21   O.P.   risulta   estremamente
funzionale per consentire che,  con  le  cautele  del  caso  (es.  la
predisposizione di scorta ove necessario ex art. 21, c. 2  O.P.),  vi
sia modo di garantire una forma di assistenza alla prole da parte del
genitore. 
    In questo senso, l'allineamento delle due discipline  apparirebbe
logica conseguenza dell'eventuale declaratoria di incostituzionalita'
dell'art. 47-quinquies, c. 7 O.P. sotto due profili: sotto il profilo
sostanziale, potendo muoversi all'art. 21-bis, c. 3 O.P. le  medesime
censure mosse  alla  norma  principalmente  in  discussione,  cui  si
rimanda per brevita'; sotto il profilo dell'opportunita' di  sistema,
apparendo al Collegio significativo che i due  istituti  siano  stati
frutto di  una  medesima  volonta'  legislativa  ed  individuino  due
distinti  e  gradati  punti  di  bilanciamento  tra   gli   interessi
costituzionali in gioco, volti a  modulare  la  tutela  degli  stessi
secondo le circostanze del caso. 

(1) «In tema di concessione della detenzione domiciliare speciale  ex
    art. 47-quinquies ord pen.,  come  inciso  dalla  sentenza  della
    Corte costituzionale n. 18 del 2020, a detenuto  padre  di  prole
    affetta   da   "handicap"   grave   quando   la    madre    versi
    nell'impossibilita' di prestarle assistenza e non  vi  sia  altro
    modo di affidarla ad altri che al padre, la nozione  di  siffatta
    condizione di impossibilita' della madre deve  identificarsi  con
    quella che - per  l'emersione  di  oggettivi  fattori  impeditivi
    inerenti alla sfera di  azione  della  medesima  -  determina  il
    rischio concreto per la prole di un grave "deficit" assistenziale
    e di un'irreversibile compromissione del suo  processo  evolutivo
    ed educativo». 

(2) In  particolare,  un  precedente  rilevante  e'  indicato   nella
    Sentenza n. 1/1987, in cui la Corte, pur dubitando a monte  della
    ragionevolezza delle norme che prevedevano  la  concessione  alla
    sola  madre  dei  riposi   giornalieri,   aveva   affermato   che
    l'irragionevolezza divenisse manifesta nei casi in cui  la  madre
    non fosse assente o impedita, come gia' stabilito dal legislatore
    all'art. 7 della  legge  31  dicembre  1977,  n.  903  che  aveva
    riconosciuto al lavoratore padre la possibilita' di  usufruire  -
    in alternativa alla madre o quando il figlio  fosse  a  lui  solo
    affidato - della astensione facoltativa dal lavoro per la  durata
    di sei mesi nel primo anno di vita del  bambino.  Si  veda  Corte
    costituzionale, Sent. 1/1987 § 8, «Si afferma cosi' l'esigenza di
    una partecipazione di  entrambi  i  genitori  alla  cura  ed  al!
    educazione  della  prole:  non  viene  certo  meno  la   funzione
    essenziale della  madre  nei  rapporti  con  il  bambina,  ma  si
    riconosce seminai, con notevole chiarezza, che anche il padre  e'
    idoneo a prestare assistenza materiale e  supporto  affettivo  al
    minore: sulla scorta, del  resto,  delle  norme  del  diritto  di
    famiglia che hanno conferito ad entrambi i  genitori  compiti  di
    mantenimento, educazione ed istruzione dei figli (art. 143 codice
    civile), la pari potesta' sugli stessi (art. 316 codice  civile),
    e la titolarita' esclusiva di detta potesta' di ciascun genitore,
    in  caso  di  assenza,  incapacita'  od   ulteriore   impedimento
    dell'altro (art. 317 codice civile). Proprio in ragione  di  tale
    Presupposto, il legislatore ha esteso anche al  padre  lavoratore
    alcuni dei benefici gia' riconosciuti alla madre dalla  legge  n.
    1204 del 1971. Gli altri (l'astensione obbligatoria ed i riposi),
    invece, sono rimasti riservati  alla  madre.  E'  verosimile,  in
    proposito, che il legislatore abbia ritenuto che i due  istituti,
    pur in diversa misura, fossero finalizzati e alla garanzia  degli
    interessi della prole e alla  tutela  della  salute  della  madre
    naturale. Tale presumibile ragia  dell'esclusione  (gia'  in  se'
    piuttosto debole nel caso dei riposi giornalieri, che  lo  stesso
    legislatore - come si e' gia'  detto  -sgancia  in  larga  misura
    dalle condizioni personali della donna) non vale piu',  tuttavia,
    quando - come nei casi oggetto dei giudizi nei quali questo della
    Corte  e'  incidente  -  l'assistenza  della   madre   sia   resa
    impossibile a seguito della morte o del grave impedimento  fisico
    della stessa. hi casi di tal genere, il solo  interesse  che  gli
    istituti di cui agli arti. 4 e 10 della legge n.  1204  del  1971
    possono e debbono mirare a tutelare e' quello del minore,  ed  e'
    rispetto a questo interesse-guida che andrebbe disegnato il  loro
    funzionamento, e' proprio quell'interesse, invece, che non  viene
    tenuto in adeguata considerazione dal legislatore nel momento  in
    cui questi esclude  l'estensione  anche  al  padre  dei  benefici
    goduti  dalla  madre  lavoratrice  in  funzione  di  garanzia  di
    un'adeguata assistenza al minore. Posto infatti che, come  si  e'
    visto, la astensione dal lavoro nei primi tre mesi e  il  diritto
    al riposo' nel primo anno di vita. riconosciuti dalla legge  1201
    a favore della madre, tutelano, in concorrenza con la  salute  di
    questa, anche il bisogno del bambino di una piu' intensa presenza
    della madre per la necessaria assistenza, non vi  e'  ragione  di
    negare al padre - che proprio in funzione di tale assistenza puo'
    avvalersi della  stessa  astensione  facoltativa  il  diritto  di
    avvalersi altresi', in caso di mancanza o  grave  malattia  della
    madre, della astensione c.d. obbligatoria nei primi tre  mesi,  e
    dei riposi giornalieri nel primo anno di vita del bambino.». 

(3) Si   veda   Corte   costituzionale,   Sent.   215/1990,   §   «Il
    riconoscimento della eguaglianza morale e giuridica dei  coniugi,
    su cui e' ordinata il matrimonio, e il riconoscimento stesso  dei
    diritti della famiglia (art. 29), il  dovere  e  il  diritto  dei
    genitori di mantenere ed  educare  i  figli,  e  soprattutto,  le
    provvidenze che la legge deve disporre affinche' siano assolti  i
    compiti dei genitori nei casi di loro incapacita'  (art.  30,  la
    protezione  che  la  Carta  fondamentale  accorda   all'infanzia,
    sollecitando la Repubblica a favorire gli  istituti  necessari  a
    tale scopo (art. 32),  rappresentano  un  complesso  di  eminenti
    valori  che,   mentre   rendono   intollerabile   la   denunciata
    discriminazione,    fondano    .a    loro    volta     specifiche
    incompatibilita'.  La  previsione,  infatti,   dell'art.   47-ter
    secondo cui soltanto alla madre viene riconosciuto,  mediante  la
    concessione della detenzione domiciliare,  il  diritto-dovere  di
    assistere la prole infratreenne, nega implicitamente al  genitore
    l'esercizio dello stesso diritto  e  l'adempimento  dell'identico
    dovere per il caso in cui la madre  manchi  o  sia  assolutamente
    impossibilitata ad espletare quel compito: eppure  si  tratta  di
    compiti doverosi che la Costituzione affida,  invece,  alla  pari
    responsabilita' dei genitori». 

(4) Si veda Corte costituzionale n. 350/2003 «la norma  censurata  e'
    in contrasto con il principio di ragionevolezza in quanto prevede
    un  sistema  rigido  che  preclude  al  giudice,  ai  fini  della
    concessione della detenzione domiciliare, di valutare l'esistenza
    delle   condizioni   necessarie   per   un'effettiva   assistenza
    psico-fisica da parte della madre condannala  nei  confronti  del
    figlio  portatore   di   handicap   accertato   come   totalmente
    invalidante. Cio' determina un trattamento  difforme  rispetto  a
    situazioni familiari analoghe ed  equiparabili  fra  loro,  quali
    sono quella della madre di  un  figlio  incapace  perche'  minore
    degli anni dieci, ma con un certo margine  di  autonomia,  almeno
    sul piano fisico, e quella della madre di un  figlio  disabile  e
    incapace di provvedere da solo anche  alle  sue  piu'  elementari
    esigenze, il quale, a qualsiasi  eta';  ha  maggiore  e  continua
    necessita' di essere assistito dalla madre rispetto ad un bambino
    di eta' inferiore agli anni dieci». 

(5) Comma 2: «La condannata, l'imputata o  l'internata  madre  di  un
    bambino di eta' inferiore a dieci anni,  anche  se  con  lei  non
    convivente, ovvero il padre  condannato,  imputato  o  internato,
    qualora la madre sia deceduta o assolutamente  impossibilitata  a
    dare assistenza alla prole, sono autorizzati,  con  provvedimento
    da rilasciarsi da parte  del  giudice  competente  non  oltre  le
    ventiquattro ore precedenti alla  data  della  visita  e  con  le
    modalita' operative dallo stesso stabilite, ad  assistere  figlio
    durante le visite specialistiche, relative a gravi condizioni  di
    salute». 

(6) «Quando imputati siano donna incinta o madre di prole di eta' non
    superiore a sei anni con lei convivente, ovvero padre, qualora la
    madre  sia  deceduta  o  assolutamente  impossibilitata  a   dare
    assistenza alla prole, non puo' essere disposta ne' mantenuta  la
    custodia cautelare in  carcere,  salvo  che  sussistano  esigenze
    cautelari di eccezionale rilevanza. Non puo' essere  disposta  la
    custodia cautelare in  carcere,  salvo  che  sussistano  esigenze
    cautelari eccezionale rilevanza, quando imputato sia persona  che
    ha superato l'eta' di settanta anni». 

(7) «Nelle ipotesi di cui all'articolo 275, comma 4, se la persona da
    sottoporre a custodia cautelare sia  donna  incinta  o  madre  di
    prole di eta' non superiore a sei anni, ovvero padre, qualora  la
    madre  sia  deceduta  o  assolutamente  impossibilitata  a   dare
    assistenza alla prole,  il  giudice  puo'  disporre  la  custodia
    presso un istituto a custodia attenuata per detenute  madri,  ove
    le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza lo consentano». 

(8) Si  veda,  sul  punto,  Parenting   -   Psicologia   dei   legami
    genitoriali, L. Benedetto-M.  Ingrassia  Carocci  Editore,  Roma,
    2010, pagg. 117 e ss. 

(9) Cfr. Parenting - Psicologia dei legami genitoriali, L.  Benedetto
    M. Ingrassia cit. pag. 120. 

(10) Cfr. Fathers' perceptions and  expriences  of  support  to  b  a
     parenting partner during the perinatal period: A scoping review,
     su Journal of Clinical Nursing 32 (13-14), 3378-3396, 2023. 

(11) In particolare, si vedano gli artt. 2, 3 e 9. 

(12) Si consideri l'articolo 337-ter codice civile, in cui si prevede
     che «Il figlio minore ha il diritto  di  mantenere  un  rapporto
     equilibrato  e  continuativo  con  ciascuno  dei  genitori,   di
     ricevere cura, educazione, istruzione  e  assistenza  morale  da
     entrambi  e  di  conservare  rapporti  significativi   con   gli
     ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale» e che  a
     tal fine «il giudice adotta i provvedimenti relativi alla  prole
     con esclusivo riferimento all'interesse morale  e  materiale  di
     essa. Valuta prioritariamente la possibilita' che i figli minori
     restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale
     di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le  modalita'
     della loro presenza presso ciascun genitore,  fissando  altresi'
     la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al
     mantenimento, alla cura,  all'istruzione  e  all'educazione  dei
     figli». 

(13) Tra le piu' recenti ed importanti sentenze sul tema si  pensi  a
     Corte costituzionale Sent. n. 131 del 2022, in cui  la  consulta
     ha dichiarato l'illegittimita', in riferimento agli artt. 2, 3 e
     117, comma 1, Costituzione, quest'ultimo in relazione agli artt.
     8 e 14 CEDU, dell'articolo 262, primo comma del  codice  civile.
     «nella parte  in  cui  prevede,  con  riguardo  all'ipotesi  del
     riconoscimento  effettuato  contemporaneamente  da  entrambi   i
     genitori, che il figlio assume il cognome  del  padre,  anziche'
     prevedere  che  il  figlio  assume  i  cognomi   dei   genitori,
     nell'ordine dai medesimi concordato, fatto salvo  l'accordo,  al
     momento del riconoscimento, per attribuire il cognome di uno  di
     loro soltanto». 

(14) Si veda ECHR, case  Beeler  v.  Switzerland  §  93  e  ss.  «The
     advancement of gender equality is today  a  major  goal  in  the
     member States of the Council of Europe (see  Konstantin  Markin,
     cited above, Beeler v. Switzerland Judgment 28 § 127,  and  Ünal
     Tekeli v. Turkey, no. 29865196, § 59, ECHR  2004-X  (extracts)).
     The Court has repeatedly held that differences based exclusively
     on sex require "very  weighty  reasons",  "particularly  serious
     reasons" or, as it is sometimes said, "particularly weighty  and
     convincing reasons" by way of justification (see Stec and Others
     (judgment), § 52; Vallianatos and Others, § 77;  and  Konstantin
     Markin, § 127, all cited above). In  particular,  references  to
     traditions, general assumptions or prevailing  social  attitudes
     in a particular country are  insufficient  justification  for  a
     difference in  treatment  on  grounds  of  sex  (see  Konstantin
     Markin, cited above, §§ 126-27; X and Others v Austria [GC], no.
     19010/07, § 99, ECHR 2013; and Khamtokhu  and  Aksenchik,  cited
     above §§ 77-78). For example, States  cannot  impose  traditions
     deriving from the idea that the man plays a predominant role and
     the woman a secondaty role in the family (see Ãœnal Tekeli, cited
     above, § 63). 96 It follows that although the Contracting States
     must be afforded a margin of appreciation  in  deciding  on  the
     timing  of  the  introduction  of  legislative  changes  and  in
     assessing whether and to what extent  differences  in  otherwise
     similar situations justify a difference in  treatment,  where  a
     difference in treatment is based on sex the  State's  margin  of
     appreciation is narrow (see X and Others v. Austria, §  99,  and
     Vallianatos and Others, § 77, both cited above).» 

(15) Si vedano i § 40 e 41: «40 The  Court  notes  that,  unlike  the
     complete exclusion of male military personnel  from  entitlement
     to  parental  leave,  Russian  law  provides  that  male  police
     personnel are entitled to apply  for  parental  leave  if  their
     children are left without maternal care  for  objective  reasons
     (see paragraphs 25-26 above). The  entitlement  of  male  police
     officers to parental leave is therefore conditional upon lack of
     maternal care for their children for  objective  reasons,  while
     policewomen are unconditionally entitled to such leave. 41.  The
     Court has  previously  examined  this  difference  in  treatment
     between male and  female  police  personnel  and  carne  to  the
     conclusion that it was not objectively and reasonably  justified
     under Article 14 of the Convention.» 

(16) cfr. § 38 «The Court also found that, as regards parental  leave
     and  parental  leave  allowances,  men  were  in  a   comparable
     situation to women. Indeed,  in  contrast  to  maternity  leave,
     which  was  intended  to  enable  the  woman  to  recover   from
     childbirth and to breastfeed her baby if she so wished, parental
     leave and parental leave allowances related  to  the  subsequent
     period and were intended to enable the parent concerned to  stay
     at home to look after an infant personally. Whilst  being  aware
     of the differences which might exist between the mother and  the
     father in their relationship with the child, the Court concluded
     that, as regards the role of taking care of the child during the
     period corresponding to  parental  leave,  men  and  women  were
     "similarly placed"». 

(17) Sia sufficiente citare la celeberrima sentenza  n.  32/2020  con
     cui la Corte costituzionale ha inteso procedere «ad  una  a  una
     complessiva  rimeditazione  della   portata   del   divieto   di
     retroattivita'   sancito   dall'art.    25,    secondo    comma,
     Costituzione, in relazione alla disciplina dell'esecuzione della
     pena,»  (anche)  alla  luce  delle  affermazioni  di   principio
     contenute nella Sentenza della Grande Camera della Corte EDU nel
     caso Del Rio Prada v. Spain, il cui punto  di  partenza  era  la
     ritenuta attrazione all'interno della matiere  penale  di  tutte
     quelle norme capaci di incidere in concreto sulla qualita' della
     privazione della liberta' personale, disciplinando l'alternativa
     tra il dentro ed il fuori dal carcere. 

(18) Con le parole della Consulta, «anche  nella  prospettiva  di  un
     piu' diffuso accesso al sindacalo di costituzionalita' (messa in
     risalto, tra le pronunce piu' recenti, dalla sentenza n. 77  del
     2018) e di  una  piu'  efficace  garanzia  della  conformita'  a
     Costituzione della legislazione (profilo valorizzato, da ultimo,
     nella sentenza n. 174 del 2019), il presupposto della  rilevanza
     non si identifica con l'utilita' concreta di  cui  le  parti  in
     causa potrebbero beneficiare a seguito della decisione (sentenza
     n. 20 del 2018)»; cosi' Corte costituzionale 254/2020. 

(19) Si veda, in particolare Corte costituzionale 30/2022 laddove  e'
     affermato che «Per costante giurisprudenza di questa  Corte,  la
     rilevanza  della  questione  incidentale   si   configura   come
     necessita'  di  applicare  la  disposizione   censurata,   senza
     identificarsi nell'utilita' concreta per la parte  del  giudizio
     principale (ex plurimis, sentenze n. 236, n. 172  e  n.  59  del
     2021, n. 254 del 2020 e n. 174 del 2019). 3. - Lo  scrutinio  di
     merito delle questioni sollevate  dall'ordinanza  di  rimessione
     non e' impedito neppure dalle circostanze sopravvenute  riferite
     nell'atto di costituzione della parte, cioe' che la minore abbia
     nel frattempo superato i dieci anni d'eta' e  che  l'istanza  di
     applicazione della misura alternativa sia stata infine  respinta
     dal competente tribunale di Sorveglianza;  circostanze,  queste,
     valorizzate dalla difesa  statale  in  sede  di  discussione  in
     pubblica udienza, quali ulteriori  ragioni  di  inammissibilita'
     delle questioni per difetto di rilevanza nel giudizio a quo. Per
     l'autonomia che lo  caratterizza,  il  giudizio  incidentale  di
     legittimita' costituzionale non risente delle vicende  di  fatto
     successive all'ordinanza di  rimessione,  sicche'  la  rilevanza
     delle questioni deve essere vagliata ex ante, con riferimento al
     tempo della prospettazione (da ultimo, sentenze n. 22 e n. 7 del
     2022, n. 127 del 2021, n.  270,  n.  244  e  n.  85  del  2020).
     L'avvenuta decisione, da parte del tribunale di sorveglianza, di
     reiezione dell'istanza presentata dal condannato, non puo' avere
     dunque alcun effetto sulle questioni sollevate dal magistrato di
     sorveglianza,  giacche',  come  chiarito,  esse  concernono   la
     mancata previsione del potere di  quest'ultimo  di  disporre  la
     detenzione domiciliare speciale allorquando  sussistano  ragioni
     che,  nella   ricorrenza   dei   presupposti   stabiliti   dalla
     disposizione censurata, rendano necessaria  la  valutazione  del
     preminente interesse del minore. La decisione del  tribunale  di
     sorveglianza  non  incide  sulla  rilevanza   delle   questioni,
     cristallizzata al momento della rimessione, come non  vi  incide
     la  sorte  che  quella  stessa  decisione  avra'  in   sede   di
     impugnazione». 

(20) Cfr. Corte  costituzione  30/2022,  §  5.2  laddove  si  afferma
     «Nonostante la diversita' delle fattispecie  regolate,  connessa
     alla differente entita' della pena da  espiare,  le  due  misure
     alternative perseguono la  stessa  finalita',  cioe'  quella  di
     evitare, fin dove possibile, che  l'interesse  del  bambino  sia
     compromesso dalla  perdita  delle  cure  parentali,  determinata
     dalla permanenza in carcere del genitore,  danno  riflesso  noto
     come  "carcerizzazione  dell'infante".  L'identita'  finalistica
     delle  due   specie   di   detenzione   domiciliare   e'   stata
     ripetutamente sottolineata da questa Corte,  che  ne  ha  quindi
     assimilato le discipline, laddove il  preminente  interesse  del
     minore non ammetteva che esse restassero distinte: cosi', per il
     margine di tolleranza degli  allontanamenti  ingiustificati  del
     genitore accudente (sentenze n. 211 del 2018 e n. 177 del 2009);
     cosi', per  l'eliminazione  della  preclusione  triennale  della
     misura a causa dell'avvenuta revoca di altro beneficio (sentenza
     n.  187  del  2019;  cosi',  ancora,  per  l'affrancamento   dal
     carattere ostativo dei titoli di reato di "prima fascia" ex art.
     4-bis ordin penit. (sentenza  n.  239  del  2014).  Entrambe  le
     specie di detenzione domiciliare sono state estese a  protezione
     del figlio ultradecenne gravemente invalido (sentenze n. 18  del
     2020 e n. 350 del 2003). In disparte  l'estensione  a  beneficio
     del figlio inabile, relativa ad uno  stato  di  bisogno  slegato
     dalla minore eta', la progressiva assimilazione delle due misure
     e'  stata  sorretta  dall'identita'  dello  scopo  di   tutelare
     l'interesse dei  minori  in  tenera  eta'  nel  loro  essenziale
     rapporto con i genitori (sentenze n. 211 del 2018 e n.  177  del
     2009), interesse del quale si e' evidenziata la centralita' alla
     luce dell'art. 31 Costituzione, arricchita dalla  qualificazione
     di "preminenza" di cui alle fonti  sovranazionali  (sentenze  n,
     187 del 2019 e n. 239 del 2014).». 

 
                              P. Q. M. 
 
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza, solleva,
nei  termini  indicati,  questione  di  legittimita'   costituzionale
dell'art. 47-quinquies, c. 7, legge n. 354/1975 per violazione  degli
artt. 3 Costituzione, 3 c. 2 Costituzione in relazione agli artt.  2,
29, 30 e 31, c. 2 Costituzione, nonche' all'art. 117 Costituzione  in
relazione agli artt. 14-8 CEDU, nella parte in  cui  prevede  che  la
detenzione domiciliare sostitutiva possa  essere  concessa  al  padre
detenuto «se la madre e' deceduta o impossibilitata e non vi e'  modo
di affidare la prole ad altri che al padre»; 
    In via gradata,  solleva,  nei  termini  indicati,  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 47-quinquies, c.  7,  legge  n.
354/1975  per  violazione  degli  artt.  3  Costituzione,  3   c.   2
Costituzione  in  relazione  agli  artt.  2,  29,  30  e  31,  c.   2
Costituzione, nonche' 117 Costituzione in relazione agli  artt.  14-8
CEDU, nella parte  in  cui  prevede  che  la  detenzione  domiciliare
sostitutiva possa essere concessa al padre detenuto  se  «non  vi  e'
modo di affidare la prole ad altri che al padre». 
    Sospende  il  giudizio  in  corso  sino  all'esito  del  giudizio
incidentale di legittimita' costituzionale; 
    Dispone  che,  a  cura  della   Cancelleria,   gli   atti   siano
immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale, e che la presente
ordinanza  sia  notificata  alle  parti  in  causa  ed  al   pubblico
ministero, nonche' al Presidente del Consiglio dei  ministri,  e  che
sia anche comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
        Bologna, 9 aprile 2024 
 
                       Il Presidente: Letizia 
 
                                        Il Magistrato estensore: Ezio 
 
                                ---- 
 
                TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI BOLOGNA 
 
    L'anno 2024 giorno 8 del mese di agosto in Bologna si e'  riunito
in Camera di Consiglio nelle persone dei componenti: 
        dott. Romano Ezio, Presidente; 
        dott. Bedini Marco, giudice; 
        dott.ssa Brazzi Francesca, esperta; 
        dott.ssa Mediani Giorgia, esperta; 
    per deliberare nel procedimento di: 
      correzione errore  materiale,  art.  130  codice  di  procedura
penale; 
    in relazione alla posizione di Cardinale  Massimo,  nato  a  Bari
(BA) il 10 agosto 1963, detenuto  presso  la  Casa  circondariale  di
Ferrara in espiazione della pena di cui al cumulo  SIEP  n.  2023/187
emesso dalla Procura di Pordenone il 4 giugno 2024, pari ad  anni  3,
mesi 8 e giorni 20 di reclusione; 
    decorrenza pena 10 settembre 2023; fine  pena  28  febbraio  2027
(detratti 90 giorni per liberazione anticipata). 
 
                              Rilevato 
 
    Che con ordinanza n. 2024/1321 del 9 aprile 2024 il Tribunale  di
sorveglianza  di  Bologna  ha  sollevato  questione  di  legittimita'
costituzionale nel procedimento 2021/2279 SIUS TDS, avente ad oggetto
domande di misure alternative avanzate da Cardinale Massimo; 
    Che nel corpo dell'ordinanza, laddove le censure di  legittimita'
attengono, tra i vari parametri, anche all'art. 117  Costituzione  in
relazione agli artt. 14-8  CEDU  e'  in  talune  pagine  erroneamente
indicata la dicitura «e 117  Costituzione  in  relazione  agli  artt.
114-8 CEDU»; 
    Che il riferimento all'art. 114 CEDU e' frutto di mero errore  di
battitura, essendo evidente  dal  testo  della  motivazione  come  il
parametro convenzionale ritenuto rilevante  ai  sensi  dell'art.  117
Costituzione sia quello rappresentato dagli artt. 14 e 8 CEDU; 
    Che,   dunque,   appare   opportuno   procedere   a    correzione
dell'ordinanza n. 2024/1321; 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visto  l'art.  130  codice  di  procedura  penale,   dispone   la
correzione  dell'ordinanza  n.  2024/1321  emessa  dal  Tribunale  di
sorveglianza di Bologna 9 aprile 2024 nel senso che, laddove  risulta
scritto: 
      «[...] e 117 Costituzione, in  relazione  agli  articoli  114-8
CEDU» 
    Debba, invece, intendersi e leggersi; 
      «[...] e 117 Costituzione,  in  relazione  agli  articoli  14-8
CEDU» 
    Manda la Cancelleria per le comunicazioni di rito. 
        Bologna, 8 agosto 2024 
 
                     Il Presidente: Romano Ezio