N. 201 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 settembre 2024
Ordinanza del 30 settembre 2024 del Tribunale di Locri nel
procedimento penale a carico di A. C. e P. M..
Reati e pene - Abrogazione dell'art. 323 del codice penale (Abuso
d'ufficio).
- Legge 9 agosto 2024, n. 114 (Modifiche al codice penale, al codice
di procedura penale, all'ordinamento giudiziario e al codice
dell'ordinamento militare), art. 1, comma 1, lettera b).
(GU n. 45 del 06-11-2024)
TRIBUNALE DI LOCRI
sezione penale - ufficio GIP/GUP
Questione di legittimita' costituzionale - ordinanza di
rimessione ex articoli 134, comma 1 Cost., 1 legge costituzionale n.
1/48, 23 e seguenti, legge n. 87/53).
Il Giudice, con riferimento al procedimento penale in epigrafe
indicato, all'esito della Camera di consiglio seguita alla
discussione delle parti,
Osserva
1. Svolgimento del processo.
In data 3 aprile 2024, il pubblico ministero depositava richiesta
di rinvio a giudizio per C. A. e M. P., rispettivamente chiamati a
rispondere del delitto di abuso d'ufficio, ex art. 323 del codice
penale e del delitto di falso ideologico in atto pubblico dotato di
fede privilegiata ex articoli 479 anche in relazione all'art. 476,
comma 2 del codice penale.
Veniva cosi' fissata l'udienza preliminare del 20 maggio 2024,
nel corso della quale, conclusi gli accertamenti relativi alla
costituzione delle parti e ammessi i documenti prodotti dalle difese
nel termine di cui all'art. 421, comma 3, c.p.p., il C. personalmente
e il M. tramite il proprio difensore munito di procura speciale
formulavano richiesta di giudizio abbreviato. Il Giudice disponeva la
trasformazione del rito e rinviava la discussione all'udienza del 9
settembre 2024.
In data 25 agosto 2024, e' entrata in vigore la legge 9 agosto
2024, n. 114 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura
penale, all'ordinamento giudiziario e al codice dell'ordinamento
militare), che, all'art. l, comma 1, lettera b), ha abrogato il
delitto di cui all'art. 323 del codice penale, previa introduzione
nel codice penale dell'art. 314-bis del codice penale (Indebita
destinazione di denaro o cose mobili) ad opera del decreto-legge n.
92/24, entrato in vigore il 5 luglio 2024 e convertito con
modificazioni dalla legge 8 agosto 2024, n. 112.
All'udienza del 9 settembre 2024, dichiarata aperta la
discussione, il pubblico ministero, con riferimento al delitto di cui
all'art. 323, codice penale contestato al capo 1) della rubrica, ha
chiesto di disporre il rinvio pregiudiziale degli atti alla Corte di
Giustizia dell'Unione europea ex art. 267 del Trattato sul
funzionamento dell'Unione europea affinche' stabilisca se la
sopravvenuta abrogazione del delitto di abuso d'ufficio e la
collaterale introduzione del reato di cui all'art. 314-bis, codice
penale ostino al rispetto degli obblighi di incriminazione imposti
agli Stati membri dalla direttiva UE 2017/1371. In alternativa,
l'Ufficio di Procura ha chiesto di sollevare questione di
legittimita' costituzionale ex art. 23, comma 1 legge n. 87/53 per
violazione delle disposizioni di cui agli articoli 11 e 117 Cost. in
relazione alla direttiva UE 2017/1371.
La parte civile si e' associata alle richieste del pubblico
ministero, salvo aggiungere che, in caso di rigetto delle richieste
di adire le due corti superiori, il fatto ascritto al C. a titolo di
abuso d'ufficio potrebbe comunque essere punito a titolo di falso
ideologico in atto pubblico dotato di fede privilegiata ex art. 479,
codice penale in relazione all'art. 476, comma 2 del codice penale.
Le difese si sono opposte all'accoglimento delle richieste svolte
in via principale dal pubblico ministero e hanno insistito per
l'assoluzione dei rispettivi assistiti.
All'udienza del 30 settembre 2024, fissata per le repliche del
pubblico ministero, quest'ultimo si e' limitato a riportarsi alle
conclusioni gia' svolte.
2. Sui fatti in contestazione al capo 1) della rubrica e sulla loro
qualificazione giuridica.
Al capo 1) dell'imputazione, C. A. e' chiamato a rispondere del
delitto di abuso d'ufficio poiche', in qualita' di responsabile
dell'Area tecnica del Comune di ... (...), nello svolgimento delle
sue pubbliche funzioni, avrebbe violato le specifiche regole di
condotta espressamente impostegli dal regio decreto n. 827/24 e
dall'art. 21-quinquies legge n. 241/90 e senza attribuirgli alcun
margine di discrezionalita', al fine di aggiudicare in via definitiva
il contratto di compravendita di un immobile del patrimonio
disponibile dell'ente comunale - la cui proposta di alienazione era
stata pubblicizzata mediante regolare bando - alla conduttrice ... di
C. A. (di seguito denominata «...»), previa revoca
dell'aggiudicazione provvisoria in origine riconosciuta a M. C.,
costituita parte civile. Il risultato della condotta appena descritta
integrerebbe l'intenzionale attribuzione di un ingiusto vantaggio
alla ... e, di riflesso, un ingiusto danno alla parte civile,
giacche' l'aggiudicazione definitiva del contratto di compravendita
alla conduttrice dell'immobile comunale sarebbe dipesa dal
riconoscimento di un diritto di prelazione che era stato, pero',
esercitato in palese violazione della specifica prescrizione del
bando secondo cui la prelazione del conduttore era subordinato alla
condizione che, alla data di esercizio del diritto, non pendesse nei
confronti dell'ente comunale alcun rapporto di debito. Detta
condizione non era stata nella specie soddisfatta giacche' al ...,
data di esercizio del diritto di prelazione da parte della ..., su
quest'ultima gravavano debiti per decine di migliaia di euro
derivanti dal rapporto di locazione in corso con l'ente comunale.
Cosi' riassunti i fatti di cui al capo d'imputazione, in via
preliminare questo Giudice ritiene che gli stessi non si prestino ad
essere ricondotti a titoli di reato diversi da quello ipotizzato
dall'Ufficio di Procura, contrariamente a quanto sostenuto sul punto
dalla parte civile. Il loro nucleo e', infatti, costituito
dall'intenzionale deviazione dell'interesse pubblico, di cui il C. e'
portatore in virtu' del suo ruolo istituzionale nel Comune di ..., a
favore dell'interesse economico della ..., preferendola a M. C. ai
fini della compravendita dell'immobile oggetto di bando in violazione
di norme di legge impositive di precisi vincoli nella scelta del
contraente e non anche di poteri di attestazione rilevanti agli
effetti dell'art. 479, del codice penale.
3. Sulla richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia
dell'Unione europea ex art. 267 del Trattato sul funzionamento
dell'Unione europea.
Sotto altro profilo, la circostanza che il supposto abuso
d'ufficio commesso dal C. s'inserisce nell'ambito di una procedura ad
evidenza pubblica finalizzata alla scelta del miglior contraente con
cui negoziare la cessione di un immobile rientrante nel patrimonio
disponibile del comune basta a ritenere che non ricorrano i
presupposti per disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte di
Giustizia dell'Unione europea.
L'art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, al
comma 2, impone al giudice nazionale di subordinare l'ordine di
rinvio a una valutazione di necessita' della questione giuridica da
sottoporre alla Corte ai fini della decisione di merito.
Nel caso di specie, a parere del pubblico ministero, la recente
legge abrogativa del delitto di abuso d'ufficio violerebbe gli
obblighi d'incriminazione imposti dalla direttiva UE 2017/1371
laddove lascia totalmente prive di tutela penale quelle condotte dei
pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio che siano
lesive degli interessi finanziari dell'Unione europea attraverso una
frode o un abuso avente ad oggetto un bene immobile pubblico e che
non sia inscrivibile in nessun altro titolo di reato contro la
pubblica amministrazione (tantomeno nel delitto di nuovo conio
previsto e punito dall'art. 314-bis, codice penale, che si limita a
disciplinare l'indebita destinazione di denaro o cose mobili).
Dalla lettura della citata direttiva si apprende, in primo luogo,
che il precipuo obiettivo della stessa e' quello di imporre agli
Stati membri l'introduzione, il rafforzamento o il mantenimento di
illeciti penali repressivi di ogni condotta fraudolenta che si riveli
lesiva degli interessi finanziari dell'Unione.
In secondo luogo, la direttiva ricorda che gli interessi
finanziari dell'Unione afferiscono a tutti i beni ricompresi nel suo
bilancio generale. Tra le principali entrate iscritte al bilancio
generale figura la compartecipazione dell'Unione europea al gettito
prodotto in ciascuno Stato membro dall'imposta sul valore aggiunto
alle condizioni stabilite dal Consiglio con la decisione 2000/597
ICE, Euratom del 29 settembre 2000 e la direttiva 2006/112/CE del 28
novembre 2006.
Se, quindi, le entrate statali che provengono dall'applicazione
dell'I.V.A. sono quelle qualificanti il bilancio generale dell'Unione
europea, e' evidente che quest'ultimo non e' in alcun modo inciso dal
caso oggetto di giudizio che, infatti, attiene alla cessione di un
immobile appartenente al patrimonio disponibile dell'ente comunale,
ossia a un'operazione economica non di carattere commerciale, ma
compiuta esclusivamente nell'ambito di attivita' di pubblica
autorita', che l'art. 4, comma 4, decreto del Presidente della
Repubblica n. 633/72 esclude dal regime I.V.A. Da cio' deriva che
l'eventuale incidenza dell'abrogazione dell'abuso d'ufficio sulla
normativa sovranazionale a tutela degli interessi finanziari
dell'Unione non e' una questione dirimente ai fini del giudizio di
merito, il che impedisce allo scrivente di provocare l'intervento
della Corte di Lussemburgo sollecitato dall'Ufficio di Procura.
4. Sulla questione di legittimita' costituzionale.
A diverse conclusioni deve invece giungersi con riferimento alla
prospettata questione di legittimita' costituzionale, certamente
rilevante nel presente giudizio. Oltre a quanto gia' detto in
precedenza sulla concreta impossibilita' di attribuire al fatto una
definizione giuridica diversa da quella di cui all'editto
accusatorio, occorre poi considerare che la depenalizzazione
dell'abuso d'ufficio preclude di addivenire a una eventuale sentenza
di condanna e, di conseguenza, al vaglio della richiesta risarcitorie
avanzata dalla parte civile o, al contrario, di assolvere l'imputato
con la formula «perche' il fatto non sussiste», piu' favorevole di
quella imposta dall'ipotesi di abolitio criminis (i.e. «perche' il
fatto non e' previsto dalla legge come reato»).
Cio' significa che l'Ufficio di Procura mira a una pronuncia
d'incostituzionalita' in materia di diritto penale sostanziale con
effetti in malam partem, ossia di reviviscenza di una fattispecie di
reato che il Legislatore ha scelto di rimuovere dall'ordinamento.
E' dunque doveroso interrogarsi sull'ammissibilita' di una simile
richiesta a fronte della complessa interazione dalla stessa imposto
tra il principio della riserva assoluta di legge, ex art. 25, comma 2
Cost., che affida all'organo costituzionale direttamente investito
dagli elettori il monopolio della politica criminale, e il principio
della gerarchia delle fonti, che impone al Parlamento di legiferare
nel rispetto dei principi e delle disposizioni costituzionali.
La questione e' gia' stata affrontata dalla Corte costituzionale,
anche in occasione della riduzione del perimetro applicativo
dell'abuso d'ufficio operato nel tempo dalla legge n. 234/97 e dal
recente decreto-legge n. 76/20 (convertito con legge n. 120/20),
provvedimenti normativi oggetto delle sentenze costituzionali numeri
447/98 e 8/22.
La piu' recente pronuncia n. 8/22 e' quella che merita
particolare richiamo laddove, nel riprendere la distinzione tra norme
penali di favore e norme penali sfavorevoli gia' ampiamente delineata
dalla sentenza costituzionale n. 394/06 (e confermata dalle pronunce
successive, cfr. n. 324/08, n. 57/09, n. 155/19) precisa che «per
norme penali di favore debbono intendersi quelle che stabiliscano,
per determinati soggetti o ipotesi, un trattamento penalistico piu'
favorevole di quello che risulterebbe dall'applicazione di norme
generali o comuni compresenti nell'ordinamento. [...]. La
qualificazione come norma penale di favore non puo' essere fatta, di
contro, discendere, come nel caso di specie, dal raffronto tra una
norma vigente e una norma anteriore, sostituita dalla prima con
effetti di restringimento dell'area di rilevanza penale». In
quest'ultimo caso - prosegue la Corte - l'effetto in malam partem
della declaratoria d'incostituzionalita' della norma penale di favore
«non vulnera la riserva al Legislatore sulle scelte di
criminalizzazione, rappresentando una conseguenza dell'automatica
riespansione della norma generale o comune, dettata dallo stesso
Legislatore, al caso gia' oggetto di ingiustificata disciplina
derogatoria»; diversamente, ove ad essere censurata sia una
disposizione abolitiva - in misura totale o parziale - di una
fattispecie di reato «la richiesta di sindacato in malam partem non
mira a far riespandere una norma tuttora presente nell'ordinamento,
ma a ripristinare la norma abrogata, espressiva di una scelta di
criminalizzazione non piu' attuale: operazione preclusa alla Corte
(sulla inammissibilita' delle questioni volte a conseguire il
ripristino di norme incriminatrici abrogate o di discipline penali
sfavorevoli, ex plurimis, sentenze n. 37 del 2019, n. 57 del 2009 e
n. 324 del 2008; ordinanze n. 282 del 2019, n. 413 del 2008 e n. 175
del 2001)».
Tuttavia, nella pronuncia in commento la Corte non trascura di
rimarcare che costante giurisprudenza costituzionale ammette delle
deroghe all'argine che il principio della riserva assoluta di legge
oppone alle pronunce d'incostituzionalita' con effetti penali di
sfavore (cfr. n. 143/18, n. 236/18, n. 37/19).
In vista di quanto a breve si dira' sulla compatibilita' della
legge n. 114/24 con gli obblighi internazionali, appare illuminante
la sentenza costituzionale n. 37/19, nei passaggi in cui la Corte
affronta le ipotesi in cui e' possibile un suo intervento in malam
partem nel diritto penale sostanziale:
«Anzitutto, puo' venire in considerazione la necessita' di
evitare la creazione di «zone franche» immuni dal controllo di
legittimita' costituzionale, laddove il Legislatore introduca, in
violazione del principio di eguaglianza, norme penali di favore, che
sottraggano irragionevolmente un determinato sottoinsieme di condotte
alla regola della generale rilevanza penale di una piu' ampia classe
di condotte, stabilita da una disposizione incriminatrice vigente,
ovvero prevedano per detto sottoinsieme - altrettanto
irragionevolmente - un trattamento sanzionatorio piu' favorevole
(sentenza n. 394 del 2006).
Un controllo di legittimita' con potenziali effetti in malam
partem deve altresi' ritenersi ammissibile quando a essere censurato
e' lo scorretto esercizio del potere legislativo: da parte dei
consigli regionali, ai quali non spetta neutralizzare le scelte di
criminalizzazione compiute dal Legislatore nazionale (sentenza n. 46
del 2014, e ulteriori precedenti ivi citati); da parte del Governo,
che abbia abrogato mediante decreto legislativo una disposizione
penale, senza a cio' essere autorizzato dalla legge delega (sentenza
n. 5 del 2014); ovvero anche da parte dello stesso Parlamento, che
non abbia rispettato i principi stabiliti dalla Costituzione in
materia di conversione dei decreti-legge (sentenza n. 32 del 2014).
In tali ipotesi, qualora la disposizione dichiarata incostituzionale
sia una disposizione che semplicemente abrogava una norma
incriminatrice preesistente (come nel caso deciso dalla sentenza n. 5
del 2014), la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della
prima non potra' che comportare il ripristino della seconda, in
effetti mai (validamente) abrogata.
Un effetto peggiorativo della disciplina sanzionatoria in materia
penale conseguente alla pronuncia di illegittimita' costituzionale e'
stato, altresi', ritenuto ammissibile allorche' esso si configuri
come «mera conseguenza indiretta della reductio ad legitimitatem di
una norma processuale», derivante «dall'eliminazione di una
previsione a carattere derogatorio di una disciplina generale»
(sentenza n. 236 del 2018).
Un controllo di legittimita' costituzionale con potenziali
effetti in malam partem puo', infine, risultare ammissibile ove si
assuma la contrarieta' della disposizione censurata a obblighi
sovranazionali rilevanti ai sensi dell'art. 11 o dell'art. 117, primo
comma, Cost. (sentenza n. 28 del 2010; nonche' sentenza n. 32 del
2014, ove l'effetto di ripristino della vigenza delle disposizioni
penali illegittimamente sostituite in sede di conversione di un
decreto-legge, con effetti in parte peggiorativi rispetto alla
disciplina dichiarata illegittima, fu motivato anche con riferimento
alla necessita' di non lasciare impunite «alcune tipologie di
condotte per le quali sussiste un obbligo sovranazionale di
penalizzazione. Il che determinerebbe una violazione del diritto
dell'Unione europea, che l'Italia e' tenuta a rispettare in virtu'
degli articoli 11 e 117, primo comma, Cost.»).
Quelli appena richiamati sono principi evocati anche dalla
successiva sentenza costituzionale n. 40/19: «... non trova riscontro
nella giurisprudenza costituzionale l'assunto da cui muove il giudice
rimettente per cui la riserva di legge di cui all'art. 25 Cost.
precluderebbe in radice a questa Corte la possibilita' di intervenire
in materia penale con effetti meno favorevoli. Invero, la
giurisprudenza di questa Corte, ribadita anche recentemente (sentenze
n. 236 del 2018 e n. 143 del 2018), ammette in particolari situazioni
interventi con possibili effetti in malam partem in materia penale
(sentenze n. 32 e n. 5 del 2014, n. 28 dl 2010, n. 394 del 2006»,
restando semmai da verificare l'ampiezza e i limiti
dell'ammissibilita' di tali interventi nei singoli casi. Certamente
il principio della riserva di legge di cui all'art. 25 Cost. rimette
al Legislatore "la scelta dei fatti da sottoporre a pena e delle
sanzioni da applicare" (sentenza n. 5 del 2014), ma non esclude che
questa Corte possa assumere decisioni il cui effetto in malam partem
non discende dall'introduzione di nuove norme o dalla manipolazione
di norme esistenti, ma dalla semplice rimozione di disposizioni
costituzionalmente illegittime. In tal caso, l 'effetto in malam
partem e' ammissibile in quanto esso e' una mera conseguenza
indiretta della reductio ad legitimitatem di una norma
costituzionalmente illegittima, la cui caducazione determina
l'automatica riespansione di altra norma dettata dallo stesso
Legislatore (sentenza n. 236 del 2018)»; di estremo interesse e' poi
il passaggio della pronuncia in esame che richiama la sentenza
costituzionale n. 32/14 per evidenziare che anche le dichiarazioni di
illegittimita' costituzionale con effetti penali di sfavore rientrano
nel compito assegnato alla Corte dall'art. 134 Cost., con la
conseguenza la disciplina applicabile e' «il frutto di precedenti
scelte del Legislatore che sono tornate ad avere applicazione dopo la
declaratoria di illegittimita' costituzionale».
Le considerazioni svolte finora sull'ammissibilita' di una
questione di legittimita' costituzionale finalizzata a ottenere un
effetto penale in malam partem portano ad intuire che la contrarieta'
della recente legge abrogativa del delitto di abuso d'ufficio agli
articoli 11 e 117, comma 1 Cost. prospettata dall'Ufficio di Procura
risulta a questo Giudice tutt'altro che manifestamente infondata, ad
eccezione del riferimento alla direttiva UE n. 2017/1371 per tutte le
ragioni ampiamente chiarite in precedenza.
Piu' precisamente, la paventata lesione dei due parametri
costituzionali anzidetti vale se riferita ad altre due norme di
diritto internazionale pattizio: l'art. 7, comma 4 e l'art. 19 della
Convenzione delle Nazioni Unite del 2003 contro la corruzione (c.d.
convenzione di Merida), ratificata dall'Italia con legge n. 116/09.
La Convenzione di Merida, nel titolo terzo, vincola gli Stati
contraenti ad integrare la propria legislazione penale prevedendo una
molteplicita' d'illeciti a carattere corruttivo ove gli stessi non
siano gia' disciplinati come reati dal diritto interno.
Cio' che piu' rileva e' il precipuo obiettivo del vincolo
internazionale, ossia impegnare i contraenti a uno sforzo di diritto
positivo che non si riduca alle ipotesi tradizionali o piu' gravi di
corruzione, ma che si apra anche alla punizione di condotte
intermedie, il piu' delle volte propedeutiche alla conclusione di
accordi corruttivi strettamente intesi. Tanto si coglie, soprattutto,
dalla Legislative guide for the implementation of the Vnited Nations
Convention against corruption, documento elaborato dal Drugs and
Crime Office delle Nazioni Unite con il dichiarato intento di fornire
agli Stati aderenti alla Convenzione di Merida un ausilio
interpretativo per procedere in maniera quanto piu' uniforme alla
ratifica del trattato e all'adattamento del diritto interno (cfr.
pag. III: «... to assist States seeking to ratify and implement the
Convention ...»). Tale documento, al punto 6, prevede espressamente:
The Convention goes on to require the State parties to introduce
criminal and other offences to cover a wide range of acts of
corruption, to the extent these are not already defined as such under
domestic law. The criminalization of some acts is mandatory under the
Convention, which also requires that State parties consider the
establishment of additional offences. An innovation of the Convention
against Corruption is that it addresses not only basic forms of
corruption, such as bribery and the embezzlement of public funds, but
also acts carried out in support of corruption, obstruction of
justice, trading in influence and the concealment or laundering of
the proceeds of corruption» («La Convenzione richiede poi agli Stati
contraenti di introdurre reati e altri illeciti punitivi di un'ampia
gamma di atti di corruzione, laddove questi non siano gia'
disciplinati come tali dal diritto interno. La penalizzazione di
alcune condotte e' obbligatoria per la Convenzione, che infatti
richiede a gli Stati contraenti di considerare l'introduzione di
ulteriori fattispecie di reato. Una novita' della Convenzione contro
la corruzione e' che essa affronta non solo le forme basilari di
corruzione, come le concussioni e l'appropriazione indebita di fondi
pubblici, ma anche le condotte prodromiche alla corruzione,
all'intralcio alla giustizia, al traffico d'influenze e
all'occultamento o al riciclaggio dei proventi della corruzione»).
Con particolare riferimento al delitto di abuso d'ufficio, la
Convenzione di Merida, all'art. 19, prevede: «Each State Party shall
consider adopting such legislative and other measures as may be
necessary to establish as a criminal offence, when committed
intentionally, the abuse of functions or position, that is the
performance of or failure to perform an act, in violation of laws, by
a public official in the discharge of his or her functions, for the
purpose of obtaining an undue advantage for himself or herself or for
another person or entity» (nella traduzione allegata alla legge di
ratifica, la disposizione viene cosi' riprodotta: «Articolo 19 Abuso
d'ufficio - Ciascuno Stato parte esamina l'adozione delle misure
legislative e delle altre misure necessarie per conferire il
carattere di illecito penale, quando l'atto e' stato commesso
intenzionalmente, al fatto per un pubblico ufficiale di abusare delle
proprie funzioni o della sua posizione, ossia di compiere o di
astenersi dal compiere, nell'esercizio delle proprie funzioni, un
atto in violazione delle leggi al fine di ottenere un indebito
vantaggio per se o per un'altra persona o entita'»). In altre parole,
la disposizione convenzionale in esame prescrive agli Stati
contraenti di operare una ricognizione del diritto penale interno al
fine di verificare se vi sia o meno una fattispecie di reato in cui
sussumere i descritti abusi del pubblico ufficiale e, in caso
negativo, adoperarsi per colmare la lacuna. Se pero' la lacuna
normativa non sussiste, lo Stato contraente e' obbligato a mantenere
la norma interna preesistente, cosi' come previsto dall'art. 7 della
Convenzione che, al comma 4, statuisce: «Each State Party shall, in
accordance with the fundamental principles of its domestic law,
endeavour to adopt, maintain and strengthen systems that promote
transparency and prevent conflicts of interest.» («... Ciascuno Stato
si adopera, conformemente ai principi fondamentali del proprio
diritto interno, al fine di adottare, mantenere e rafforzare i
sistemi che favoriscono la trasparenza e prevengono i conflitti
d'interesse»).
Circa il grado di cogenza da attribuire alle prescrizioni appena
richiamate a fronte della molteplicita' di locuzioni equipollenti che
il corpo della Convenzione presenta, anche in questo caso occorre
attingere alla Legislative guide for the implementation of the United
Nations Convention against corruption, in particolare ai punti 11 e
12 laddove chiariscono la diversa intensita' di vincolo a seconda
dell'espressione utilizzata: «11. In establishing their priorities,
national legislative drafters and other policymakers should bear in
mind that the provisions of the Convention do not all have the same
level of obligation. In general, provisions can be grouped into the
following three categories: (a) Mandatory provisions, which consist
of obligations to legislate (either absolutely or where specified
conditions have been met); (b) Measures that States parties must
consider applying or endeavour to adopt; (c) Measures that are
optional. 12. Whenever the phrase "each State Party shall adopt" is
used, the reference is to a mandatory provision. Otherwise, the
language used in the guide is "shall consider adopting" or "shall
endeavour to", which means that States are urged to consider adopting
a certain measure and to make a genuine effort to see whether it
would be compatible with their legal system. Far entirely optional
provisions, the guide employs the term "may adopt"» («11. Nello
stabilire le loro priorita', i legislatori nazionali e i membri
dell'esecutivo dovrebbero considerare che le disposizioni della
Convenzione non hanno tutte lo stesso livello di obblighi. In
generale, le disposizioni possono essere raggruppate nelle seguenti
tre categorie: (a) disposizioni obbligatorie, che consistono in
obblighi di legiferare (in modo assoluto o al ricorrere di
determinate condizioni; (b) Misure che gli Stati contraenti devono
considerare di applicare o tentare di adottare; (c) Misure
facoltative. 12. Ogni volta che viene utilizzata l'espressione
"ciascuno Stato Parte adotta", si fa riferimento a una disposizione
imperativa. Altrimenti, il linguaggio utilizzato nella guida e'
"considerera' l'adozione" o "si adopera per", il che significa che
gli Stati sono sollecitati a considerare l 'adozione di una
determinata misura, nonche' a compiere uno sforzo concreto nel
verificarne La compatibilita' con il loro ordinamento giuridico. Per
le disposizioni del tutto facoltative la guida utilizza il termine
"puo' adottare"»).
I criteri interpretativi appena richiamati portano a comprendere
che la Convenzione pone agli Stati aderenti tre livelli d'impegno in
ordine decrescente, dei quali il livello intermedio - ossia quello
individuato dai verbi «shall consider adopting» o «shall endeavour
to» - non puo' che intendersi come fonte di prescrizioni flessibili
quanto alla tempistica e alle modalita' di realizzazione, ma
certamente non facoltative, poiche', se cosi' fosse, la divisata
gradualita' dell'impegno verrebbe del tutto svuotata di senso o
comunque esporrebbe il trattato ad interpretazioni arbitrarie,
sostanzialmente elusive dei precetti concordati. E' cosi' possibile
cogliere appieno il significato da attribuire ai verbi prescrittivi
scelti dagli articoli 7, comma 4 e 19 della Convenzione e, per
l'effetto, il tenore del vincolo imposto all'Italia tenuto conto
della legislazione penale vigente alla data di adesione al trattato.
Se, cioe', a tale data lo Stato italiano aveva gia' dotato il proprio
ordinamento giuridico del reato di abuso d'ufficio, tanto bastava a
precluderne l'abrogazione poiche' un simile intervento di
soppressione normativa confligge con quell'obbligo di sforzo concreto
finalizzato a mantenere una legge preesistente che assicuri la
realizzazione degli obiettivi del trattato oppure, in caso contrario,
a seriamente pianificare degli interventi normativi che colmino il
rilevato deficit di tutela. A tale ultimo riguardo, poi, non e' pure
possibile sostenere che il vuoto di tutela lasciato dall'abrogazione
dell'abuso di ufficio sia stato colmato dalla pressoche'
contemporanea introduzione del delitto di cui all'art. 314-bis,
codice penale, trattandosi di reato che si limita a punire l'uso
illegittimo di denaro o cose mobili da pane del pubblico ufficiale o
incaricato di pubblico servizio, ossia una condotta illecita
circoscritta ad una categoria molto ristretta di beni pubblici che
come tale e' oggettivamente impossibilitata a ricomprendere
l'indefinita molteplicita' di abusi ai danni della pubblica
amministrazione che prima era efficacemente perseguita dalla
fattispecie penale oggi abrogata.
Del resto, una simile soluzione ermeneutica e' anche quella
additata dall'art. 31 della Convenzione di Vienna, che,
nell'enucleare le regole generali d'interpretazione dei trattati,
statuisce:
«1. Un trattato deve essere interpretato in buona fede in
base al senso comune da attribuire ai termini del trattato nel loro
contesto ed alla luce del suo oggetto e del suo scopo.
2. Ai fini dell'interpretazione di un trattato, il contesto
comprende, oltre al testo, preambolo e allegati inclusi:
a) ogni accordo relativo al trattato e che sia intervenuto
tra tutte le parti in occasione della sua conclusione;
b) ogni strumento disposto da una o piu' parti in occasione
della conclusione del trattato ed accettato dalle altre parti in
quanto strumento relativo al trattato.
3. Verra' tenuto conto, oltre che del contesto:
a) di ogni accordo ulteriore intervenuto tra le parti circa
l'interpretazione del trattato o l'attuazione delle disposizioni in
esso contenute;
b) di ogni ulteriore pratica seguita nell'applicazione del
trattato con la quale venga accertato l'accordo delle parti
relativamente all'interpretazione del trattato;
c) di ogni norma pertinente di diritto internazionale,
applicabile alle relazioni fra le parti.».
Da ultimo, il carattere conclamato della violazione degli
obblighi internazionali cui l'Italia si e' esposta con la legge di
abrogazione del delitto di abuso d'ufficio e', a ben vedere
desumibile, anche dalla preoccupazione manifestata sul punto
dall'Unione europea, in particolare dalla Commissione che, nella
relazione annuale sullo Stato di diritto per il 2024, adottata a
Bruxelles il 24 luglio 2024, a pag. 22 osserva: «In alcuni Stati
membri, tuttavia, determinate riforme del diritto penale rischiano di
compromettere la lotta contro la corruzione. In Slovacchia una
riforma recente del diritto penale solleva gravi preoccupazioni ed e'
stata oggetto di ulteriori modifiche poco tempo fa. Ridurre le
sanzioni per i reati di corruzione e per quelli connessi alla
corruzione, abbreviare i termini di prescrizione applicabili ai reati
di corruzione e abolire la procura speciale sono misure che rischiano
di indebolire la lotta contro la corruzione. In Italia una nuova
legge che abroga il reato di abuso d'ufficio e limita l'ambito di
applicazione del reato di traffico di influenza potrebbe avere
implicazioni per l'individuazione e l'indagine di casi di frode e
corruzione ...».
In definitiva, tutte le questioni affrontate inducono a
sospettare dell'incostituzionalita' dell'art. 1, comma 1, lettera b),
legge n. 114/24 nella parte in cui abroga il delitto previsto e
punito dall'art. 323, codice penale per violazione degli articoli 11
e 117, comma 1 Cost., in relazione agli articoli 7, comma 4 e 19
della Convenzione delle Nazioni Unite del 2003 contro la corruzione.
5. Sospensione del giudizio e della prescrizione.
Alla luce della rilevanza e della non manifesta infondatezza
della questione, visti gli articoli 23, legge n. 87/53 e 159, codice
penale, va ordinata la sospensione del giudizio in corso e, per
l'effetto, la sospensione della prescrizione di tutti i reati,
compreso quello di cui al capo 2) della rubrica contestato al M.,
sussistendo tra questo e l'abrogato delitto di abuso d'ufficio di cui
al capo 1) contestato al C. un apparente rapporto di connessione ex
art. 12, lettera c), codice procedura penale che, allo stato, non
consente una trattazione separata delle posizioni.
P. Q. M.
Visti gli articoli 134 Cost., 1 legge costituzionale n. 1/48 e 23
e seguenti, legge n. 87/53;
Solleva questione di legittimita' costituzionale in relazione
all'art. l, comma 1, lettera b), della legge 9 agosto 2024, n. 114
(pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 187
del 10 agosto 2024, entrata in vigore il 25 agosto 2024), nella parte
in cui abroga l'art. 323 del codice penale, per violazione degli
articoli 11 e 117, comma 1 Cost. (in relazione agli obblighi
discendenti dagli art. 7, comma 4, e 19 della Convenzione delle
Nazioni Unite del 2003 contro la corruzione, adottata dalla Assemblea
generale dell'ONU il 31 ottobre 2003, con risoluzione n. 58/4,
firmata dallo Stato italiano il 9 dicembre 2003, ratificata con legge
3 agosto 2009, n. 116);
Sospende il giudizio in corso nei confronti degli imputati ed i
relativi termini di prescrizione fino alla definizione del giudizio
incidentale di legittimita' costituzionale con restituzione degli
atti al giudice procedente;
Dispone l'immediata trasmissione degli atti del procedimento alla
Corte costituzionale;
Manda la cancelleria per la notificazione della presente
ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' per la
comunicazione ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato
della Repubblica e per la successiva trasmissione del fascicolo
processuale alla Corte Costituzionale.
Locri, 30 settembre 2024
Il G.I.P.: Bonato