Reg. ord. n. 201 del 2024 pubbl. su G.U. del 06/11/2024 n. 45

Ordinanza del Tribunale di Locri  del 30/09/2024

Tra: A. C.



Oggetto:

Reati e pene – Abrogazione dell’art. 323 del codice penale (Abuso d'ufficio) – Inosservanza degli obblighi internazionali, in relazione agli artt. 7, paragrafo 4, e 19 della Convenzione ONU contro la corruzione del 2003 (cosiddetta Convenzione di Merida).



Norme impugnate:

legge  del 09/08/2024  Num. 114  Art.  Co. 1 lett. b)



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art. 11 

Costituzione  Art. 117   Co.

Convenzione ONU contro la corruzione del 2003  del 31/10/2003  Art.

Convenzione ONU contro la corruzione del 2003  del 31/10/2003  Art. 19   ratificata e resa esecutiva

legge  del 03/08/2009  Num. 116



Udienza Pubblica del 7 maggio 2025 rel. VIGANÒ


Testo dell'ordinanza

N. 201 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 settembre 2024

Ordinanza  del  30  settembre  2024  del  Tribunale  di   Locri   nel
procedimento penale a carico di A. C. e P. M.. 
 
Reati e pene - Abrogazione dell'art. 323  del  codice  penale  (Abuso
  d'ufficio). 
- Legge 9 agosto 2024, n. 114 (Modifiche al codice penale, al  codice
  di  procedura  penale,  all'ordinamento  giudiziario  e  al  codice
  dell'ordinamento militare), art. 1, comma 1, lettera b). 


(GU n. 45 del 06-11-2024)

 
                         TRIBUNALE DI LOCRI 
                  sezione penale - ufficio GIP/GUP 
 
    Questione  di  legittimita'   costituzionale   -   ordinanza   di
rimessione ex articoli 134, comma 1 Cost., 1 legge costituzionale  n.
1/48, 23 e seguenti, legge n. 87/53). 
    Il Giudice, con riferimento al procedimento  penale  in  epigrafe
indicato,  all'esito  della  Camera   di   consiglio   seguita   alla
discussione delle parti, 
 
                               Osserva 
 
1. Svolgimento del processo. 
    In data 3 aprile 2024, il pubblico ministero depositava richiesta
di rinvio a giudizio per C. A. e M. P.,  rispettivamente  chiamati  a
rispondere del delitto di abuso d'ufficio, ex  art.  323  del  codice
penale e del delitto di falso ideologico in atto pubblico  dotato  di
fede privilegiata ex articoli 479 anche in  relazione  all'art.  476,
comma 2 del codice penale. 
    Veniva cosi' fissata l'udienza preliminare del  20  maggio  2024,
nel corso  della  quale,  conclusi  gli  accertamenti  relativi  alla
costituzione delle parti e ammessi i documenti prodotti dalle  difese
nel termine di cui all'art. 421, comma 3, c.p.p., il C. personalmente
e il M. tramite il  proprio  difensore  munito  di  procura  speciale
formulavano richiesta di giudizio abbreviato. Il Giudice disponeva la
trasformazione del rito e rinviava la discussione all'udienza  del  9
settembre 2024. 
    In data 25 agosto 2024, e' entrata in vigore la  legge  9  agosto
2024, n. 114 (Modifiche al codice  penale,  al  codice  di  procedura
penale, all'ordinamento  giudiziario  e  al  codice  dell'ordinamento
militare), che, all'art. l, comma  1,  lettera  b),  ha  abrogato  il
delitto di cui all'art. 323 del codice  penale,  previa  introduzione
nel codice penale  dell'art.  314-bis  del  codice  penale  (Indebita
destinazione di denaro o cose mobili) ad opera del  decreto-legge  n.
92/24,  entrato  in  vigore  il  5  luglio  2024  e  convertito   con
modificazioni dalla legge 8 agosto 2024, n. 112. 
    All'udienza  del  9  settembre   2024,   dichiarata   aperta   la
discussione, il pubblico ministero, con riferimento al delitto di cui
all'art. 323, codice penale contestato al capo 1) della  rubrica,  ha
chiesto di disporre il rinvio pregiudiziale degli atti alla Corte  di
Giustizia  dell'Unione  europea  ex  art.  267   del   Trattato   sul
funzionamento  dell'Unione  europea  affinche'   stabilisca   se   la
sopravvenuta  abrogazione  del  delitto  di  abuso  d'ufficio  e   la
collaterale introduzione del reato di cui  all'art.  314-bis,  codice
penale ostino al rispetto degli obblighi  di  incriminazione  imposti
agli Stati membri  dalla  direttiva  UE  2017/1371.  In  alternativa,
l'Ufficio  di  Procura  ha  chiesto   di   sollevare   questione   di
legittimita' costituzionale ex art. 23, comma 1 legge  n.  87/53  per
violazione delle disposizioni di cui agli articoli 11 e 117 Cost.  in
relazione alla direttiva UE 2017/1371. 
    La parte civile si  e'  associata  alle  richieste  del  pubblico
ministero, salvo aggiungere che, in caso di rigetto  delle  richieste
di adire le due corti superiori, il fatto ascritto al C. a titolo  di
abuso d'ufficio potrebbe comunque essere punito  a  titolo  di  falso
ideologico in atto pubblico dotato di fede privilegiata ex art.  479,
codice penale in relazione all'art. 476, comma 2 del codice penale. 
    Le difese si sono opposte all'accoglimento delle richieste svolte
in via principale  dal  pubblico  ministero  e  hanno  insistito  per
l'assoluzione dei rispettivi assistiti. 
    All'udienza del 30 settembre 2024, fissata per  le  repliche  del
pubblico ministero, quest'ultimo si e'  limitato  a  riportarsi  alle
conclusioni gia' svolte. 
2. Sui fatti in contestazione al capo 1) della rubrica e  sulla  loro
qualificazione giuridica. 
    Al capo 1) dell'imputazione, C. A. e' chiamato a  rispondere  del
delitto di abuso  d'ufficio  poiche',  in  qualita'  di  responsabile
dell'Area tecnica del Comune di ... (...),  nello  svolgimento  delle
sue pubbliche funzioni,  avrebbe  violato  le  specifiche  regole  di
condotta espressamente impostegli  dal  regio  decreto  n.  827/24  e
dall'art. 21-quinquies legge n. 241/90  e  senza  attribuirgli  alcun
margine di discrezionalita', al fine di aggiudicare in via definitiva
il  contratto  di  compravendita  di  un  immobile   del   patrimonio
disponibile dell'ente comunale - la cui proposta di  alienazione  era
stata pubblicizzata mediante regolare bando - alla conduttrice ... di
C.   A.   (di    seguito    denominata    «...»),    previa    revoca
dell'aggiudicazione provvisoria in  origine  riconosciuta  a  M.  C.,
costituita parte civile. Il risultato della condotta appena descritta
integrerebbe l'intenzionale attribuzione  di  un  ingiusto  vantaggio
alla ... e,  di  riflesso,  un  ingiusto  danno  alla  parte  civile,
giacche' l'aggiudicazione definitiva del contratto  di  compravendita
alla  conduttrice   dell'immobile   comunale   sarebbe   dipesa   dal
riconoscimento di un diritto di  prelazione  che  era  stato,  pero',
esercitato in palese  violazione  della  specifica  prescrizione  del
bando secondo cui la prelazione del conduttore era  subordinato  alla
condizione che, alla data di esercizio del diritto, non pendesse  nei
confronti  dell'ente  comunale  alcun  rapporto  di   debito.   Detta
condizione non era stata nella specie soddisfatta  giacche'  al  ...,
data di esercizio del diritto di prelazione da parte  della  ...,  su
quest'ultima  gravavano  debiti  per  decine  di  migliaia  di   euro
derivanti dal rapporto di locazione in corso con l'ente comunale. 
    Cosi' riassunti i fatti di cui  al  capo  d'imputazione,  in  via
preliminare questo Giudice ritiene che gli stessi non si prestino  ad
essere ricondotti a titoli di  reato  diversi  da  quello  ipotizzato
dall'Ufficio di Procura, contrariamente a quanto sostenuto sul  punto
dalla  parte  civile.  Il  loro  nucleo   e',   infatti,   costituito
dall'intenzionale deviazione dell'interesse pubblico, di cui il C. e'
portatore in virtu' del suo ruolo istituzionale nel Comune di ...,  a
favore dell'interesse economico della ..., preferendola a  M.  C.  ai
fini della compravendita dell'immobile oggetto di bando in violazione
di norme di legge impositive di  precisi  vincoli  nella  scelta  del
contraente e non anche  di  poteri  di  attestazione  rilevanti  agli
effetti dell'art. 479, del codice penale. 
3. Sulla richiesta di rinvio pregiudiziale alla  Corte  di  Giustizia
dell'Unione europea  ex  art.  267  del  Trattato  sul  funzionamento
dell'Unione europea. 
    Sotto  altro  profilo,  la  circostanza  che  il  supposto  abuso
d'ufficio commesso dal C. s'inserisce nell'ambito di una procedura ad
evidenza pubblica finalizzata alla scelta del miglior contraente  con
cui negoziare la cessione di un immobile  rientrante  nel  patrimonio
disponibile  del  comune  basta  a  ritenere  che  non  ricorrano   i
presupposti per  disporre  il  rinvio  pregiudiziale  alla  Corte  di
Giustizia dell'Unione europea. 
    L'art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, al
comma 2, impone al  giudice  nazionale  di  subordinare  l'ordine  di
rinvio a una valutazione di necessita' della questione  giuridica  da
sottoporre alla Corte ai fini della decisione di merito. 
    Nel caso di specie, a parere del pubblico ministero,  la  recente
legge abrogativa  del  delitto  di  abuso  d'ufficio  violerebbe  gli
obblighi  d'incriminazione  imposti  dalla  direttiva  UE   2017/1371
laddove lascia totalmente prive di tutela penale quelle condotte  dei
pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio che  siano
lesive degli interessi finanziari dell'Unione europea attraverso  una
frode o un abuso avente ad oggetto un bene immobile  pubblico  e  che
non sia inscrivibile in  nessun  altro  titolo  di  reato  contro  la
pubblica  amministrazione  (tantomeno  nel  delitto  di  nuovo  conio
previsto e punito dall'art. 314-bis, codice penale, che si  limita  a
disciplinare l'indebita destinazione di denaro o cose mobili). 
    Dalla lettura della citata direttiva si apprende, in primo luogo,
che il precipuo obiettivo della stessa  e'  quello  di  imporre  agli
Stati membri l'introduzione, il rafforzamento o  il  mantenimento  di
illeciti penali repressivi di ogni condotta fraudolenta che si riveli
lesiva degli interessi finanziari dell'Unione. 
    In  secondo  luogo,  la  direttiva  ricorda  che  gli   interessi
finanziari dell'Unione afferiscono a tutti i beni ricompresi nel  suo
bilancio generale. Tra le principali  entrate  iscritte  al  bilancio
generale figura la compartecipazione dell'Unione europea  al  gettito
prodotto in ciascuno Stato membro dall'imposta  sul  valore  aggiunto
alle condizioni stabilite dal Consiglio  con  la  decisione  2000/597
ICE, Euratom del 29 settembre 2000 e la direttiva 2006/112/CE del  28
novembre 2006. 
    Se, quindi, le entrate statali che  provengono  dall'applicazione
dell'I.V.A. sono quelle qualificanti il bilancio generale dell'Unione
europea, e' evidente che quest'ultimo non e' in alcun modo inciso dal
caso oggetto di giudizio che, infatti, attiene alla  cessione  di  un
immobile appartenente al patrimonio disponibile  dell'ente  comunale,
ossia a un'operazione economica  non  di  carattere  commerciale,  ma
compiuta  esclusivamente  nell'ambito  di   attivita'   di   pubblica
autorita', che l'art.  4,  comma  4,  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 633/72 esclude dal regime I.V.A.  Da  cio'  deriva  che
l'eventuale incidenza  dell'abrogazione  dell'abuso  d'ufficio  sulla
normativa  sovranazionale  a  tutela   degli   interessi   finanziari
dell'Unione non e' una questione dirimente ai fini  del  giudizio  di
merito, il che impedisce allo  scrivente  di  provocare  l'intervento
della Corte di Lussemburgo sollecitato dall'Ufficio di Procura. 
4. Sulla questione di legittimita' costituzionale. 
    A diverse conclusioni deve invece giungersi con riferimento  alla
prospettata  questione  di  legittimita'  costituzionale,  certamente
rilevante nel  presente  giudizio.  Oltre  a  quanto  gia'  detto  in
precedenza sulla concreta impossibilita' di attribuire al  fatto  una
definizione  giuridica  diversa   da   quella   di   cui   all'editto
accusatorio,  occorre  poi  considerare   che   la   depenalizzazione
dell'abuso d'ufficio preclude di addivenire a una eventuale  sentenza
di condanna e, di conseguenza, al vaglio della richiesta risarcitorie
avanzata dalla parte civile o, al contrario, di assolvere  l'imputato
con la formula «perche' il fatto non sussiste»,  piu'  favorevole  di
quella imposta dall'ipotesi di abolitio criminis  (i.e.  «perche'  il
fatto non e' previsto dalla legge come reato»). 
    Cio' significa che l'Ufficio di  Procura  mira  a  una  pronuncia
d'incostituzionalita' in materia di diritto  penale  sostanziale  con
effetti in malam partem, ossia di reviviscenza di una fattispecie  di
reato che il Legislatore ha scelto di rimuovere dall'ordinamento. 
    E' dunque doveroso interrogarsi sull'ammissibilita' di una simile
richiesta a fronte della complessa interazione dalla  stessa  imposto
tra il principio della riserva assoluta di legge, ex art. 25, comma 2
Cost., che affida all'organo  costituzionale  direttamente  investito
dagli elettori il monopolio della politica criminale, e il  principio
della gerarchia delle fonti, che impone al Parlamento  di  legiferare
nel rispetto dei principi e delle disposizioni costituzionali. 
    La questione e' gia' stata affrontata dalla Corte costituzionale,
anche  in  occasione  della  riduzione  del   perimetro   applicativo
dell'abuso d'ufficio operato nel tempo dalla legge n.  234/97  e  dal
recente decreto-legge n. 76/20  (convertito  con  legge  n.  120/20),
provvedimenti normativi oggetto delle sentenze costituzionali  numeri
447/98 e 8/22. 
    La  piu'  recente  pronuncia  n.  8/22  e'  quella   che   merita
particolare richiamo laddove, nel riprendere la distinzione tra norme
penali di favore e norme penali sfavorevoli gia' ampiamente delineata
dalla sentenza costituzionale n. 394/06 (e confermata dalle  pronunce
successive, cfr. n. 324/08, n. 57/09, n.  155/19)  precisa  che  «per
norme penali di favore debbono intendersi  quelle  che  stabiliscano,
per determinati soggetti o ipotesi, un trattamento  penalistico  piu'
favorevole di quello  che  risulterebbe  dall'applicazione  di  norme
generali   o   comuni   compresenti   nell'ordinamento.   [...].   La
qualificazione come norma penale di favore non puo' essere fatta,  di
contro, discendere, come nel caso di specie, dal  raffronto  tra  una
norma vigente e una  norma  anteriore,  sostituita  dalla  prima  con
effetti  di  restringimento  dell'area  di  rilevanza   penale».   In
quest'ultimo caso - prosegue la Corte -  l'effetto  in  malam  partem
della declaratoria d'incostituzionalita' della norma penale di favore
«non  vulnera   la   riserva   al   Legislatore   sulle   scelte   di
criminalizzazione,  rappresentando  una  conseguenza  dell'automatica
riespansione della norma generale  o  comune,  dettata  dallo  stesso
Legislatore,  al  caso  gia'  oggetto  di  ingiustificata  disciplina
derogatoria»;  diversamente,  ove  ad  essere   censurata   sia   una
disposizione abolitiva  -  in  misura  totale  o  parziale -  di  una
fattispecie di reato «la richiesta di sindacato in malam  partem  non
mira a far riespandere una norma tuttora  presente  nell'ordinamento,
ma a ripristinare la norma abrogata,  espressiva  di  una  scelta  di
criminalizzazione non piu' attuale: operazione  preclusa  alla  Corte
(sulla  inammissibilita'  delle  questioni  volte  a  conseguire   il
ripristino di norme incriminatrici abrogate o  di  discipline  penali
sfavorevoli, ex plurimis, sentenze n. 37 del 2019, n. 57 del  2009  e
n. 324 del 2008; ordinanze n. 282 del 2019, n. 413 del 2008 e n.  175
del 2001)». 
    Tuttavia, nella pronuncia in commento la Corte  non  trascura  di
rimarcare che costante giurisprudenza  costituzionale  ammette  delle
deroghe all'argine che il principio della riserva assoluta  di  legge
oppone alle pronunce  d'incostituzionalita'  con  effetti  penali  di
sfavore (cfr. n. 143/18, n. 236/18, n. 37/19). 
    In vista di quanto a breve si dira'  sulla  compatibilita'  della
legge n. 114/24 con gli obblighi internazionali,  appare  illuminante
la sentenza costituzionale n. 37/19, nei passaggi  in  cui  la  Corte
affronta le ipotesi in cui e' possibile un suo  intervento  in  malam
partem nel diritto penale sostanziale: 
    «Anzitutto,  puo'  venire  in  considerazione  la  necessita'  di
evitare la creazione  di  «zone  franche»  immuni  dal  controllo  di
legittimita' costituzionale, laddove  il  Legislatore  introduca,  in
violazione del principio di eguaglianza, norme penali di favore,  che
sottraggano irragionevolmente un determinato sottoinsieme di condotte
alla regola della generale rilevanza penale di una piu' ampia  classe
di condotte, stabilita da una  disposizione  incriminatrice  vigente,
ovvero   prevedano   per    detto    sottoinsieme    -    altrettanto
irragionevolmente -  un  trattamento  sanzionatorio  piu'  favorevole
(sentenza n. 394 del 2006). 
    Un controllo di legittimita'  con  potenziali  effetti  in  malam
partem deve altresi' ritenersi ammissibile quando a essere  censurato
e' lo scorretto  esercizio  del  potere  legislativo:  da  parte  dei
consigli regionali, ai quali non spetta neutralizzare  le  scelte  di
criminalizzazione compiute dal Legislatore nazionale (sentenza n.  46
del 2014, e ulteriori precedenti ivi citati); da parte  del  Governo,
che abbia abrogato  mediante  decreto  legislativo  una  disposizione
penale, senza a cio' essere autorizzato dalla legge delega  (sentenza
n. 5 del 2014); ovvero anche da parte dello  stesso  Parlamento,  che
non abbia rispettato  i  principi  stabiliti  dalla  Costituzione  in
materia di conversione dei decreti-legge (sentenza n. 32  del  2014).
In tali ipotesi, qualora la disposizione dichiarata  incostituzionale
sia  una  disposizione   che   semplicemente   abrogava   una   norma
incriminatrice preesistente (come nel caso deciso dalla sentenza n. 5
del 2014), la dichiarazione di  illegittimita'  costituzionale  della
prima non potra' che  comportare  il  ripristino  della  seconda,  in
effetti mai (validamente) abrogata. 
    Un effetto peggiorativo della disciplina sanzionatoria in materia
penale conseguente alla pronuncia di illegittimita' costituzionale e'
stato, altresi', ritenuto ammissibile  allorche'  esso  si  configuri
come «mera conseguenza indiretta della reductio ad  legitimitatem  di
una  norma  processuale»,   derivante   «dall'eliminazione   di   una
previsione  a  carattere  derogatorio  di  una  disciplina  generale»
(sentenza n. 236 del 2018). 
    Un  controllo  di  legittimita'  costituzionale  con   potenziali
effetti in malam partem puo', infine, risultare  ammissibile  ove  si
assuma  la  contrarieta'  della  disposizione  censurata  a  obblighi
sovranazionali rilevanti ai sensi dell'art. 11 o dell'art. 117, primo
comma, Cost. (sentenza n. 28 del 2010; nonche'  sentenza  n.  32  del
2014, ove l'effetto di ripristino della  vigenza  delle  disposizioni
penali illegittimamente sostituite  in  sede  di  conversione  di  un
decreto-legge,  con  effetti  in  parte  peggiorativi  rispetto  alla
disciplina dichiarata illegittima, fu motivato anche con  riferimento
alla  necessita'  di  non  lasciare  impunite  «alcune  tipologie  di
condotte  per  le  quali  sussiste  un  obbligo   sovranazionale   di
penalizzazione. Il che  determinerebbe  una  violazione  del  diritto
dell'Unione europea, che l'Italia e' tenuta a  rispettare  in  virtu'
degli articoli 11 e 117, primo comma, Cost.»). 
    Quelli  appena  richiamati  sono  principi  evocati  anche  dalla
successiva sentenza costituzionale n. 40/19: «... non trova riscontro
nella giurisprudenza costituzionale l'assunto da cui muove il giudice
rimettente per cui la riserva di  legge  di  cui  all'art.  25  Cost.
precluderebbe in radice a questa Corte la possibilita' di intervenire
in  materia  penale  con  effetti   meno   favorevoli.   Invero,   la
giurisprudenza di questa Corte, ribadita anche recentemente (sentenze
n. 236 del 2018 e n. 143 del 2018), ammette in particolari situazioni
interventi con possibili effetti in malam partem  in  materia  penale
(sentenze n. 32 e n. 5 del 2014, n. 28 dl 2010,  n.  394  del  2006»,
restando   semmai   da   verificare    l'ampiezza    e    i    limiti
dell'ammissibilita' di tali interventi nei singoli  casi.  Certamente
il principio della riserva di legge di cui all'art. 25 Cost.  rimette
al Legislatore "la scelta dei fatti da  sottoporre  a  pena  e  delle
sanzioni da applicare" (sentenza n. 5 del 2014), ma non  esclude  che
questa Corte possa assumere decisioni il cui effetto in malam  partem
non discende dall'introduzione di nuove norme o  dalla  manipolazione
di norme esistenti,  ma  dalla  semplice  rimozione  di  disposizioni
costituzionalmente illegittime. In tal  caso,  l  'effetto  in  malam
partem  e'  ammissibile  in  quanto  esso  e'  una  mera  conseguenza
indiretta   della   reductio   ad   legitimitatem   di   una    norma
costituzionalmente  illegittima,   la   cui   caducazione   determina
l'automatica  riespansione  di  altra  norma  dettata  dallo   stesso
Legislatore (sentenza n. 236 del 2018)»; di estremo interesse e'  poi
il passaggio della  pronuncia  in  esame  che  richiama  la  sentenza
costituzionale n. 32/14 per evidenziare che anche le dichiarazioni di
illegittimita' costituzionale con effetti penali di sfavore rientrano
nel  compito  assegnato  alla  Corte  dall'art.  134  Cost.,  con  la
conseguenza la disciplina applicabile e'  «il  frutto  di  precedenti
scelte del Legislatore che sono tornate ad avere applicazione dopo la
declaratoria di illegittimita' costituzionale». 
    Le  considerazioni  svolte  finora  sull'ammissibilita'  di   una
questione di legittimita' costituzionale finalizzata  a  ottenere  un
effetto penale in malam partem portano ad intuire che la contrarieta'
della recente legge abrogativa del delitto di  abuso  d'ufficio  agli
articoli 11 e 117, comma 1 Cost. prospettata dall'Ufficio di  Procura
risulta a questo Giudice tutt'altro che manifestamente infondata,  ad
eccezione del riferimento alla direttiva UE n. 2017/1371 per tutte le
ragioni ampiamente chiarite in precedenza. 
    Piu'  precisamente,  la  paventata  lesione  dei  due   parametri
costituzionali anzidetti vale se  riferita  ad  altre  due  norme  di
diritto internazionale pattizio: l'art. 7, comma 4 e l'art. 19  della
Convenzione delle Nazioni Unite del 2003 contro la  corruzione  (c.d.
convenzione di Merida), ratificata dall'Italia con legge n. 116/09. 
    La Convenzione di Merida, nel titolo  terzo,  vincola  gli  Stati
contraenti ad integrare la propria legislazione penale prevedendo una
molteplicita' d'illeciti a carattere corruttivo ove  gli  stessi  non
siano gia' disciplinati come reati dal diritto interno. 
    Cio' che  piu'  rileva  e'  il  precipuo  obiettivo  del  vincolo
internazionale, ossia impegnare i contraenti a uno sforzo di  diritto
positivo che non si riduca alle ipotesi tradizionali o piu' gravi  di
corruzione,  ma  che  si  apra  anche  alla  punizione  di   condotte
intermedie, il piu' delle volte  propedeutiche  alla  conclusione  di
accordi corruttivi strettamente intesi. Tanto si coglie, soprattutto,
dalla Legislative guide for the implementation of the Vnited  Nations
Convention against corruption,  documento  elaborato  dal  Drugs  and
Crime Office delle Nazioni Unite con il dichiarato intento di fornire
agli  Stati  aderenti  alla  Convenzione   di   Merida   un   ausilio
interpretativo per procedere in maniera  quanto  piu'  uniforme  alla
ratifica del trattato e all'adattamento  del  diritto  interno  (cfr.
pag. III: «... to assist States seeking to ratify and  implement  the
Convention ...»). Tale documento, al punto 6, prevede  espressamente:
The Convention goes on to require  the  State  parties  to  introduce
criminal and other  offences  to  cover  a  wide  range  of  acts  of
corruption, to the extent these are not already defined as such under
domestic law. The criminalization of some acts is mandatory under the
Convention, which also  requires  that  State  parties  consider  the
establishment of additional offences. An innovation of the Convention
against Corruption is that it  addresses  not  only  basic  forms  of
corruption, such as bribery and the embezzlement of public funds, but
also acts carried  out  in  support  of  corruption,  obstruction  of
justice, trading in influence and the concealment  or  laundering  of
the proceeds of corruption» («La Convenzione richiede poi agli  Stati
contraenti di introdurre reati e altri illeciti punitivi di  un'ampia
gamma  di  atti  di  corruzione,  laddove  questi  non   siano   gia'
disciplinati come tali dal  diritto  interno.  La  penalizzazione  di
alcune condotte e'  obbligatoria  per  la  Convenzione,  che  infatti
richiede a gli Stati  contraenti  di  considerare  l'introduzione  di
ulteriori fattispecie di reato. Una novita' della Convenzione  contro
la corruzione e' che essa affronta non  solo  le  forme  basilari  di
corruzione, come le concussioni e l'appropriazione indebita di  fondi
pubblici,  ma  anche  le  condotte   prodromiche   alla   corruzione,
all'intralcio   alla   giustizia,   al   traffico    d'influenze    e
all'occultamento o al riciclaggio dei proventi della corruzione»). 
    Con particolare riferimento al delitto  di  abuso  d'ufficio,  la
Convenzione di Merida, all'art. 19, prevede: «Each State Party  shall
consider adopting such legislative  and  other  measures  as  may  be
necessary  to  establish  as  a  criminal  offence,  when   committed
intentionally, the abuse  of  functions  or  position,  that  is  the
performance of or failure to perform an act, in violation of laws, by
a public official in the discharge of his or her functions,  for  the
purpose of obtaining an undue advantage for himself or herself or for
another person or entity» (nella traduzione allegata  alla  legge  di
ratifica, la disposizione viene cosi' riprodotta: «Articolo 19  Abuso
d'ufficio - Ciascuno Stato  parte  esamina  l'adozione  delle  misure
legislative  e  delle  altre  misure  necessarie  per  conferire   il
carattere  di  illecito  penale,  quando  l'atto  e'  stato  commesso
intenzionalmente, al fatto per un pubblico ufficiale di abusare delle
proprie funzioni o della  sua  posizione,  ossia  di  compiere  o  di
astenersi dal compiere, nell'esercizio  delle  proprie  funzioni,  un
atto in violazione delle  leggi  al  fine  di  ottenere  un  indebito
vantaggio per se o per un'altra persona o entita'»). In altre parole,
la  disposizione  convenzionale  in  esame   prescrive   agli   Stati
contraenti di operare una ricognizione del diritto penale interno  al
fine di verificare se vi sia o meno una fattispecie di reato  in  cui
sussumere i  descritti  abusi  del  pubblico  ufficiale  e,  in  caso
negativo, adoperarsi per  colmare  la  lacuna.  Se  pero'  la  lacuna
normativa non sussiste, lo Stato contraente e' obbligato a  mantenere
la norma interna preesistente, cosi' come previsto dall'art. 7  della
Convenzione che, al comma 4, statuisce: «Each State Party  shall,  in
accordance with the  fundamental  principles  of  its  domestic  law,
endeavour to adopt, maintain  and  strengthen  systems  that  promote
transparency and prevent conflicts of interest.» («... Ciascuno Stato
si  adopera,  conformemente  ai  principi  fondamentali  del  proprio
diritto interno, al  fine  di  adottare,  mantenere  e  rafforzare  i
sistemi che favoriscono  la  trasparenza  e  prevengono  i  conflitti
d'interesse»). 
    Circa il grado di cogenza da attribuire alle prescrizioni  appena
richiamate a fronte della molteplicita' di locuzioni equipollenti che
il corpo della Convenzione presenta, anche  in  questo  caso  occorre
attingere alla Legislative guide for the implementation of the United
Nations Convention against corruption, in particolare ai punti  11  e
12 laddove chiariscono la diversa intensita'  di  vincolo  a  seconda
dell'espressione utilizzata: «11. In establishing  their  priorities,
national legislative drafters and other policymakers should  bear  in
mind that the provisions of the Convention do not all have  the  same
level of obligation. In general, provisions can be grouped  into  the
following three categories: (a) Mandatory provisions,  which  consist
of obligations to legislate (either  absolutely  or  where  specified
conditions have been met); (b)  Measures  that  States  parties  must
consider applying or  endeavour  to  adopt;  (c)  Measures  that  are
optional. 12. Whenever the phrase "each State Party shall  adopt"  is
used, the reference is  to  a  mandatory  provision.  Otherwise,  the
language used in the guide is "shall  consider  adopting"  or  "shall
endeavour to", which means that States are urged to consider adopting
a certain measure and to make a genuine  effort  to  see  whether  it
would be compatible with their legal system.  Far  entirely  optional
provisions, the guide employs  the  term  "may  adopt"»  («11.  Nello
stabilire le loro priorita',  i  legislatori  nazionali  e  i  membri
dell'esecutivo  dovrebbero  considerare  che  le  disposizioni  della
Convenzione non  hanno  tutte  lo  stesso  livello  di  obblighi.  In
generale, le disposizioni possono essere raggruppate  nelle  seguenti
tre categorie:  (a)  disposizioni  obbligatorie,  che  consistono  in
obblighi  di  legiferare  (in  modo  assoluto  o  al   ricorrere   di
determinate condizioni; (b) Misure che gli  Stati  contraenti  devono
considerare  di  applicare  o  tentare  di   adottare;   (c)   Misure
facoltative.  12.  Ogni  volta  che  viene  utilizzata  l'espressione
"ciascuno Stato Parte adotta", si fa riferimento a  una  disposizione
imperativa. Altrimenti,  il  linguaggio  utilizzato  nella  guida  e'
"considerera' l'adozione" o "si adopera per", il  che  significa  che
gli  Stati  sono  sollecitati  a  considerare  l  'adozione  di   una
determinata misura,  nonche'  a  compiere  uno  sforzo  concreto  nel
verificarne La compatibilita' con il loro ordinamento giuridico.  Per
le disposizioni del tutto facoltative la guida  utilizza  il  termine
"puo' adottare"»). 
    I criteri interpretativi appena richiamati portano a  comprendere
che la Convenzione pone agli Stati aderenti tre livelli d'impegno  in
ordine decrescente, dei quali il livello intermedio  -  ossia  quello
individuato dai verbi «shall consider adopting»  o  «shall  endeavour
to» - non puo' che intendersi come fonte di  prescrizioni  flessibili
quanto  alla  tempistica  e  alle  modalita'  di  realizzazione,   ma
certamente non facoltative, poiche',  se  cosi'  fosse,  la  divisata
gradualita' dell'impegno verrebbe  del  tutto  svuotata  di  senso  o
comunque  esporrebbe  il  trattato  ad  interpretazioni   arbitrarie,
sostanzialmente elusive dei precetti concordati. E'  cosi'  possibile
cogliere appieno il significato da attribuire ai  verbi  prescrittivi
scelti dagli articoli 7, comma  4  e  19  della  Convenzione  e,  per
l'effetto, il tenore del  vincolo  imposto  all'Italia  tenuto  conto
della legislazione penale vigente alla data di adesione al  trattato.
Se, cioe', a tale data lo Stato italiano aveva gia' dotato il proprio
ordinamento giuridico del reato di abuso d'ufficio, tanto  bastava  a
precluderne   l'abrogazione   poiche'   un   simile   intervento   di
soppressione normativa confligge con quell'obbligo di sforzo concreto
finalizzato a  mantenere  una  legge  preesistente  che  assicuri  la
realizzazione degli obiettivi del trattato oppure, in caso contrario,
a seriamente pianificare degli interventi normativi  che  colmino  il
rilevato deficit di tutela. A tale ultimo riguardo, poi, non e'  pure
possibile sostenere che il vuoto di tutela lasciato  dall'abrogazione
dell'abuso  di   ufficio   sia   stato   colmato   dalla   pressoche'
contemporanea introduzione  del  delitto  di  cui  all'art.  314-bis,
codice penale, trattandosi di reato che  si  limita  a  punire  l'uso
illegittimo di denaro o cose mobili da pane del pubblico ufficiale  o
incaricato  di  pubblico  servizio,  ossia  una   condotta   illecita
circoscritta ad una categoria molto ristretta di  beni  pubblici  che
come  tale  e'   oggettivamente   impossibilitata   a   ricomprendere
l'indefinita  molteplicita'  di  abusi  ai   danni   della   pubblica
amministrazione  che  prima  era   efficacemente   perseguita   dalla
fattispecie penale oggi abrogata. 
    Del resto, una  simile  soluzione  ermeneutica  e'  anche  quella
additata   dall'art.   31   della   Convenzione   di   Vienna,   che,
nell'enucleare le regole  generali  d'interpretazione  dei  trattati,
statuisce: 
        «1. Un trattato deve essere interpretato  in  buona  fede  in
base al senso comune da attribuire ai termini del trattato  nel  loro
contesto ed alla luce del suo oggetto e del suo scopo. 
        2. Ai fini dell'interpretazione di un trattato,  il  contesto
comprende, oltre al testo, preambolo e allegati inclusi: 
          a) ogni accordo relativo al trattato e che sia  intervenuto
tra tutte le parti in occasione della sua conclusione; 
          b) ogni strumento disposto da una o piu' parti in occasione
della conclusione del trattato ed  accettato  dalle  altre  parti  in
quanto strumento relativo al trattato. 
        3. Verra' tenuto conto, oltre che del contesto: 
          a) di ogni accordo ulteriore intervenuto tra le parti circa
l'interpretazione del trattato o l'attuazione delle  disposizioni  in
esso contenute; 
          b) di ogni ulteriore pratica seguita nell'applicazione  del
trattato  con  la  quale  venga  accertato  l'accordo   delle   parti
relativamente all'interpretazione del trattato; 
          c) di ogni  norma  pertinente  di  diritto  internazionale,
applicabile alle relazioni fra le parti.». 
    Da  ultimo,  il  carattere  conclamato  della  violazione   degli
obblighi internazionali cui l'Italia si e' esposta con  la  legge  di
abrogazione  del  delitto  di  abuso  d'ufficio  e',  a  ben   vedere
desumibile,  anche  dalla  preoccupazione   manifestata   sul   punto
dall'Unione europea, in  particolare  dalla  Commissione  che,  nella
relazione annuale sullo Stato di diritto  per  il  2024,  adottata  a
Bruxelles il 24 luglio 2024, a pag.  22  osserva:  «In  alcuni  Stati
membri, tuttavia, determinate riforme del diritto penale rischiano di
compromettere la  lotta  contro  la  corruzione.  In  Slovacchia  una
riforma recente del diritto penale solleva gravi preoccupazioni ed e'
stata oggetto di  ulteriori  modifiche  poco  tempo  fa.  Ridurre  le
sanzioni per i  reati  di  corruzione  e  per  quelli  connessi  alla
corruzione, abbreviare i termini di prescrizione applicabili ai reati
di corruzione e abolire la procura speciale sono misure che rischiano
di indebolire la lotta contro la  corruzione.  In  Italia  una  nuova
legge che abroga il reato di abuso d'ufficio  e  limita  l'ambito  di
applicazione del  reato  di  traffico  di  influenza  potrebbe  avere
implicazioni per l'individuazione e l'indagine di  casi  di  frode  e
corruzione ...». 
    In  definitiva,  tutte  le  questioni   affrontate   inducono   a
sospettare dell'incostituzionalita' dell'art. 1, comma 1, lettera b),
legge n. 114/24 nella parte in  cui  abroga  il  delitto  previsto  e
punito dall'art. 323, codice penale per violazione degli articoli  11
e 117, comma 1 Cost., in relazione agli articoli  7,  comma  4  e  19
della Convenzione delle Nazioni Unite del 2003 contro la corruzione. 
5. Sospensione del giudizio e della prescrizione. 
    Alla luce della rilevanza  e  della  non  manifesta  infondatezza
della questione, visti gli articoli 23, legge n. 87/53 e 159,  codice
penale, va ordinata la sospensione  del  giudizio  in  corso  e,  per
l'effetto, la  sospensione  della  prescrizione  di  tutti  i  reati,
compreso quello di cui al capo 2) della  rubrica  contestato  al  M.,
sussistendo tra questo e l'abrogato delitto di abuso d'ufficio di cui
al capo 1) contestato al C. un apparente rapporto di  connessione  ex
art. 12, lettera c), codice procedura penale  che,  allo  stato,  non
consente una trattazione separata delle posizioni. 

 
                              P. Q. M. 
 
    Visti gli articoli 134 Cost., 1 legge costituzionale n. 1/48 e 23
e seguenti, legge n. 87/53; 
    Solleva questione di  legittimita'  costituzionale  in  relazione
all'art. l, comma 1, lettera b), della legge 9 agosto  2024,  n.  114
(pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 187
del 10 agosto 2024, entrata in vigore il 25 agosto 2024), nella parte
in cui abroga l'art. 323 del  codice  penale,  per  violazione  degli
articoli 11  e  117,  comma  1  Cost.  (in  relazione  agli  obblighi
discendenti dagli art. 7, comma  4,  e  19  della  Convenzione  delle
Nazioni Unite del 2003 contro la corruzione, adottata dalla Assemblea
generale dell'ONU il  31  ottobre  2003,  con  risoluzione  n.  58/4,
firmata dallo Stato italiano il 9 dicembre 2003, ratificata con legge
3 agosto 2009, n. 116); 
    Sospende il giudizio in corso nei confronti degli imputati  ed  i
relativi termini di prescrizione fino alla definizione  del  giudizio
incidentale di legittimita'  costituzionale  con  restituzione  degli
atti al giudice procedente; 
    Dispone l'immediata trasmissione degli atti del procedimento alla
Corte costituzionale; 
    Manda  la  cancelleria  per  la  notificazione   della   presente
ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri,  nonche'  per  la
comunicazione ai Presidenti della Camera dei deputati  e  del  Senato
della Repubblica e  per  la  successiva  trasmissione  del  fascicolo
processuale alla Corte Costituzionale. 
        Locri, 30 settembre 2024 
 
                          Il G.I.P.: Bonato