Reg. ord. n. 202 del 2024 pubbl. su G.U. del 06/11/2024 n. 45

Ordinanza del Corte suprema di cassazione  del 05/09/2024

Tra: G. A. C/ R. spa



Oggetto:

Lavoro – Licenziamento individuale – Impugnazione del licenziamento – Termine di decadenza – Decorrenza - Casi di incolpevole incapacità naturale del lavoratore licenziato, processualmente accertata e conseguente alle sue condizioni di salute – Decorrenza del termine di decadenza dalla ricezione dell’atto anziché dalla data di cessazione dello stato di incapacità – Compressione del diritto di azione del lavoratore - Lesione del diritto al lavoro - Contrasto con il canone di ragionevolezza e con il principio di eguaglianza – Ingiustificata equiparazione del soggetto incapace al soggetto capace di intendere e di volere – Contrasto con la tutela della salute – Violazione dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali con riguardo alla discriminazione in danno della persona disabile.



Norme impugnate:

legge  del 15/07/1966  Num. 604  Art.



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art.

Costituzione  Art.  Co.

Costituzione  Art. 11 

Costituzione  Art. 24   Co.

Costituzione  Art. 32 

Costituzione  Art. 35   Co.

Costituzione  Art. 117   Co.

direttiva CE  del 27/11/2000  Num. 78

Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità  del 13/12/2006  Art. 27 paragrafo 1, lett, c)  ratificata e resa esecutiva

legge  del 03/03/2009  Num. 18



Camera di Consiglio del 19 maggio 2025 rel. SAN GIORGIO


Testo dell'ordinanza

N. 202 ORDINANZA (Atto di promovimento) 05 settembre 2024

Ordinanza  del  5  settembre  2024  della  Corte  di  cassazione  nel
procedimento civile promosso da G. A. contro R. spa . 
 
Lavoro - Licenziamento individuale - Impugnazione del licenziamento -
  Termine di decadenza - Decorrenza - Casi di incolpevole incapacita'
  naturale del lavoratore  licenziato,  processualmente  accertata  e
  conseguente alle sue condizioni di salute - Decorrenza del  termine
  di decadenza dalla  ricezione  dell'atto  anziche'  dalla  data  di
  cessazione dello stato di incapacita'. 
- Legge 15 luglio 1966, n. 604 (Norme sui licenziamenti individuali),
  art. 6. 


(GU n. 45 del 06-11-2024)

 
                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
                        Sezioni unite civili 
 
    Composta dagli ill.mi sigg.ri magistrati: 
        Margherita Cassano, prima Presidente; 
        Giacomo Travaglino, Presidente di Sezione; 
        Lucia Tria, Presidente di Sezione; 
        Alberto Giusti, Presidente di Sezione; 
        Umberto Luigi Scotti, consigliere; 
        Annalisa di Paolantonio, rel. consigliere; 
        Giuseppe Grasso, consigliere; 
        Emilio Iannello, consigliere; 
        Marco Rossetti, consigliere. 
    Ordinanza  interlocutoria  sul  ricorso  iscritto  al   n.   r.g.
17140/2019  proposto  da:   A...   G...,   rappresentata   e   difesa
dall'avvocato Antonio Liberto; ricorrente; 
    Contro ... (gia' ...), in persona del legale  rappresentante  pro
tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Golametto  4,  presso
lo studio dell'avvocato Domenico De Stefano Donzelli, rappresentata e
difesa dall'avvocato Alfredo Frezza; controricorrente; 
    Avverso  la  sentenza  n.  1187/2018  della  Corte  d'appello  di
Palermo, depositata il 10 dicembre 2018. 
    Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza  del
9 luglio 2024 dal consigliere Annalisa Di Paolantonio; 
    Udito il pubblico ministero, in persona del sostituto Procuratore
generale Alessandro Pepe, che ha concluso per il rigetto del ricorso; 
    Udito l'avvocato Antonio Liberto. 
 
                            Rilevato che 
 
    1. La Corte d'appello di Palermo, con sentenza 10 dicembre  2018,
n. 1187, ha rigettato il reclamo proposto ex art. 1, comma 58,  della
legge n. 92/2012 da G... A... avverso la sentenza del tribunale della
stessa  sede  che,  all'esito  del  giudizio  di  opposizione,  aveva
accertato   la   tardivita'   dell'impugnazione   del   licenziamento
disciplinare intimato all'A... con lettera del  ...  dalla  ...  (ora
...), per assenza ingiustificata protrattasi dal .... 
    2.  La  Corte  territoriale  ha  premesso  che  la  A...,   senza
giustificare in alcun modo la sua assenza, non si era  presentata  al
lavoro nel periodo  sopra  indicato  e,  pertanto,  con  raccomandata
ricevuta dalla lavoratrice il ..., la societa'  le  aveva  contestato
l'illecito disciplinare, invitandola a fornire giustificazioni. 
    Non avendo ricevuto alcuna  risposta  nel  termine  concesso,  la
societa' aveva irrogato, ai sensi degli articoli 46 e 48 del C.C.N.L.
di  settore,  la  sanzione  disciplinare  del   licenziamento   senza
preavviso e  la  missiva  era  stata  regolarmente  ricevuta  il  ...
dall'A...,  la  quale  aveva  sottoscritto  l'avviso  di  ricevimento
dell'atto. 
    Il licenziamento non era stato impugnato nel termine di  sessanta
giorni previsto dall'art. 6  della  legge  n.  604/1966  e  solo  con
lettera del ... la lavoratrice aveva contattato il datore  di  lavoro
al fine di giustificare la protratta  assenza  dal  servizio;  aveva,
poi, impugnato il licenziamento, con ricorso notificato alla societa'
il ..., sostenendo di essersi trovata in  condizioni  di  incapacita'
naturale che le avevano impedito di avere  effettiva  conoscenza  del
contenuto dell'atto. 
    3. Il giudice del reclamo, condividendo le conclusioni alle quali
era gia' pervenuto il tribunale all'esito di  entrambe  le  fasi  del
giudizio  di  primo  grado,  ha  ritenuto  maturato  il  termine   di
decadenza, non suscettibile ne' di interruzione ne' di sospensione, e
ha richiamato  la  motivazione  di  Cass.  9  marzo  2007,  n.  5545,
prestando adesione all'orientamento espresso dalla giurisprudenza  di
legittimita' secondo  cui  la  validita'  o  l'efficacia  degli  atti
recettizi prescinde dall'eventuale stato di incapacita' naturale  del
soggetto al quale sono rivolti, atteso che la disciplina di tali atti
e' informata al principio dell'affidamento ed il legislatore, che  ha
previsto l'annullabilita', ex art. 428 del codice  civile,  dei  soli
atti unilaterali posti in essere dall'incapace naturale,  ha  dettato
all'art. 1335 del codice civile una regola finalizzata a stabilire la
certezza giuridica  della  conoscenza  dell'atto  da  parte  del  suo
destinatario,  prescindendo  dalla  capacita'  di   quest'ultimo   di
apprezzarne il valore e di determinarsi di conseguenza. 
    4. Per la Cassazione della sentenza G... A... ha proposto ricorso
sulla  base  di  due  motivi,  ai  quali  ha   opposto   difese   con
controricorso la ..., gia' .... 
    5. Con ordinanza interlocutoria del 27 settembre 2023,  n.  27483
la Sezione lavoro di questa Corte,  all'esito  dell'udienza  pubblica
celebrata dopo il rinvio a nuovo  ruolo  disposto  con  ordinanza  n.
20857 del 30 giugno 2022, ha rimesso gli atti al primo Presidente per
l'eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni unite, al  fine  di
risolvere la questione di massima di particolare importanza  inerente
alla incidenza dello stato di incapacita'  naturale,  processualmente
dimostrato e non contestato, sulla presunzione di conoscenza ex  art.
1335 del codice civile. 
    6. L'Ufficio della procura generale  ha  depositato  requisitoria
scritta e ha concluso per il rigetto del ricorso. 
    7. La ricorrente aveva depositato memoria il 1° settembre 2023 in
vista dell'udienza pubblica celebrata dinanzi alla Sezione lavoro. 
 
                           Considerato che 
 
    1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia ex art. 360,  comma
1,  n.  3  del  codice  di  procedura  civile  «violazione  e   falsa
applicazione  degli  articoli  1334  e  1335  del  codice  civile  in
relazione alla decorrenza del termine di decadenza previsto dall'art.
6 della legge n. 604/66 successive modificazioni ed integrazioni». 
    Premette,  in  punto  di  fatto,  che  a  causa  di  delicate   e
personalissime problematiche di natura familiare, era stata  affetta,
nel periodo estate ..., da grave crisi depressiva  con  dissociazione
dalla realta'  ed  aveva  riacquistato  la  pienezza  delle  facolta'
cognitive  e  volitive  solo  all'esito  del  trattamento   sanitario
obbligatorio, disposto su sollecitazione del centro di salute mentale
dell'Ospedale  ...  di  ....  Aggiunge  che  lo  stato  di   assoluta
incapacita' di intendere e di volere era stato provato attraverso  la
produzione degli atti inerenti al giudizio promosso dall'ex  compagno
per l'affidamento esclusivo del figlio minore  della  coppia,  ed  in
particolare della consulenza tecnica redatta in quella sede  e  della
documentazione alla stessa allegata. Le conclusioni alle quali il CTU
era  pervenuto  in  quel  giudizio  erano  state   confermate   anche
dall'ausiliare nominato dal tribunale nella prima fase  del  giudizio
di impugnazione del licenziamento, che aveva accertato la  condizione
di incapacita' di intendere e di volere per  l'intero  periodo  sopra
indicato ed aveva evidenziato che il  disturbo  psicotico  breve  con
stato  paranoide  aveva  impedito  «la  formazione  di  una  volonta'
cosciente, in particolare nel comprendere e contrastare adeguatamente
il grave pregiudizio  che  le  derivava  dai  comportamenti  omissivi
attuati nei confronti del lavoro». 
    Deduce la ricorrente che l'art. 1335 del  codice  civile  prevede
una presunzione di tipo relativo,  superabile  dal  destinatario  che
provi di non avere avuto notizia dell'atto senza sua colpa, e  rileva
che, poiche' il «prendere notizia» equivale a  conoscenza,  non  puo'
essere  ritenuta  irrilevante,  ai   fini   del   superamento   della
presunzione, l'incapacita' naturale determinata da problemi psichici,
e  piu'  in  generale  da  condizioni  di  salute,  del  destinatario
dell'atto. 
    Rappresenta che il principio dell'affidamento, posto a tutela  di
interessi  di  natura  economica   rilevanti   ex   art.   41   della
Costituzione, non puo' spingersi  fino  ad  annullare  altri  diritti
fondamentali, quali sono il diritto alla  salute  ed  il  diritto  di
difesa nonche', nella materia lavoristica, il diritto al lavoro. 
    Deduce, anche richiamando il percorso  argomentativo  seguito  da
Cass. 23 maggio 2018, n. 12658, che occorre distinguere l'ipotesi  in
cui dalla consegna dell'atto recettizio non decorra alcun termine per
il destinatario, da quella in cui la ricezione costituisce il dies  a
quo per il calcolo di un termine di decadenza, il cui inutile spirare
arrecherebbe un pregiudizio all'incapace naturale. In detta  ipotesi,
infatti, il principio dell'affidamento e della certezza dei  rapporti
giuridici deve essere bilanciato con la tutela  degli  altri  diritti
fondamentali sopra richiamati. 
    2. La seconda critica, ricondotta al vizio di cui  all'art.  360,
comma 1, n. 5 del codice di procedura  civile,  addebita  alla  Corte
distrettuale l'omesso esame circa un fatto decisivo per il  giudizio,
ravvisato  nel  mancato  apprezzamento  della  espletata   consulenza
tecnica d'ufficio medico legale. 
    Sostiene la ricorrente che  le  erronee  considerazioni  espresse
nella sentenza qui impugnata derivano dall'omessa  valutazione  delle
conclusioni rassegnate dall'ausiliare, alla luce delle  quali  andava
esclusa l'applicabilita' alla fattispecie del  principio  di  diritto
enunciato da Cass. Sez. Lav. 9 marzo 2007, n. 5545, perche'  in  quel
caso il giudice di legittimita' aveva evidenziato che la  lavoratrice
non aveva assolto all'onere della prova sulla stessa gravante e aveva
omesso di  allegare  e  provare  di  essere  stata  senza  sua  colpa
impossibilitata  a  conoscere   il   contenuto   della   lettera   di
licenziamento. 
    Rileva, infine, che i giudici del merito, ritenendo  maturata  la
decadenza   dalla   impugnazione,   non   hanno   pronunciato   sulla
legittimita' della sanzione espulsiva, che andava esclusa perche'  il
C.C.N.L. di  categoria,  nel  prevedere  che  l'assenza  deve  essere
giustificata dal lavoratore entro i due giorni successivi, fa  «salvi
i casi di comprovato impedimento», da ravvisare nella fattispecie, in
quanto  anche  l'assenza  e  l'omessa   giustificazione   dipendevano
dall'incapacita' naturale della lavoratrice la quale, come  accertato
dalla consulenza medico-legale,  non  era,  all'epoca,  in  grado  di
comprendere  il  disvalore  del  comportamento  tenuto,  di  astratto
rilievo disciplinare. 
    3. L'ordinanza  interlocutoria  sottopone  al  vaglio  di  queste
Sezioni unite la questione, rilevante ai  fini  della  decisione  del
primo motivo di ricorso, cosi'  testualmente  sintetizzata:  «se  uno
stato di  incapacita'  naturale,  processualmente  dimostrato  e  non
contestato,  sussistente  nel  momento  in  cui  l'atto  sia   giunto
all'indirizzo,  rilevi  ai  fini  del  superamento,  da   parte   del
destinatario, della presunzione di conoscenza ex art. 1335 del codice
civile in quanto incidente  sulla  possibilita'  di  averne  notizia,
senza sua colpa». 
    Premette  che  non  e'  contestato  nella  fattispecie   che   la
comunicazione  del  licenziamento  fosse  a   suo   tempo   pervenuta
all'indirizzo della destinataria, la quale non aveva  mai  negato  di
avere ricevuto l'atto. 
    Richiama, poi, l'orientamento consolidato espresso dalla  Sezione
lavoro la quale, da tempo risalente, dopo avere  ribadito  la  natura
decadenziale del termine fissato dall'art. 6 della  legge  15  luglio
1966, n. 604 nonche'  la  conseguente  inapplicabilita'  allo  stesso
della disciplina dettata in tema di interruzione e sospensione  della
prescrizione, ha escluso che il maturare della decadenza possa essere
impedito valorizzando lo stato di incapacita' naturale del lavoratore
licenziato, atteso che l'art. 1335 del  codice  civile,  dettato  dal
legislatore per garantire la certezza  dei  rapporti  giuridici,  non
assegna alcun rilievo alle condizioni  soggettive  del  destinatario,
con la conseguenza che la presunzione opera  indipendentemente  dalla
capacita' dello stesso  di  apprezzare  il  contenuto  ed  il  valore
dell'atto ricevuto e di determinarsi di conseguenza (Cass. Sez.  Lav.
9 marzo 2007, n. 5545; Cass. Sez. Lav. 1°  dicembre  1989,  n.  5279;
Cass. Sez. Lav. 2 marzo 1987, n. 2197;  Cass.  Sez.  Lav.  15  giugno
1985, n. 3612; Cass. Sez. Lav. 25 ottobre 1982, n. 5563). 
    Aggiunge che altre  pronunce,  egualmente  risalenti  nel  tempo,
hanno affermato che il termine perentorio decorre dal momento in  cui
la dichiarazione perviene all'indirizzo del lavoratore,  fatta  salva
la  dimostrazione,  da  parte  di  quest'ultimo,  di   essere   stato
impossibilitato, senza sua colpa, ad avere conoscenza  della  lettera
di licenziamento (Cass. Sez. Lav. 23 aprile 1992, n. 4878; Cass. Sez.
Lav. 2 luglio 1988, n. 4394; Cass. Sez.  Lav.  10  gennaio  1984,  n.
197). 
    Quanto all'interpretazione dell'art. 428 del codice  civile,  che
secondo la giurisprudenza sopra  richiamata  sarebbe  applicabile  ai
soli atti unilaterali posti in essere dall'incapace  e  ai  contratti
dallo stesso  conclusi,  l'ordinanza  rileva  che  una  piu'  recente
pronuncia della Corte (Cass. Sez.  6-3  26  maggio  2018,  n.  12658)
sembra paventare la possibilita' che, qualora dalla comunicazione  di
un atto inizi a decorrere un termine il cui inutile spirare  potrebbe
arrecare   un   pregiudizio   al   destinatario,   l'incapacita'   di
quest'ultimo dovrebbe trovare tutela nella disposizione sopra citata,
in un'ottica di equiparazione dell'atto  commissivo  dell'incapace  a
quello omissivo pregiudizievole per lo stesso. 
    Aggiunge ancora l'ordinanza che in relazione all'efficacia  degli
atti recettizi, a fronte della contrapposizione fra la  teoria  della
cognizione, secondo la quale occorre che sia  dimostrata  l'effettiva
conoscenza da parte  del  destinatario  del  contenuto  dell'atto,  e
quella della spedizione, che  ritiene  sufficiente  la  comunicazione
dell'atto medesimo, il legislatore  ha  adottato  il  criterio  della
ricezione, valorizzando la sola consegna dell'atto al  domicilio  del
destinatario,  ma  temperando  la  regola  con  il   consentire   che
quest'ultimo possa provare di essersi trovato, senza sua colpa, nella
impossibilita' di prendere conoscenza dell'atto medesimo. 
    Al riguardo il Collegio rimettente evidenzia che, se e' vero  che
la  presunzione  non  puo'  essere  superata  valorizzando  lo  stato
soggettivo di ignoranza del destinatario qualora questo  non  dipenda
da fattori esterni oggettivamente idonei ad impedire  la  conoscenza,
tuttavia nei casi di incolpevole incapacita' naturale non puo' essere
esclusa a priori una  diversa  lettura  delle  norme,  che  operi  un
bilanciamento tra  il  legittimo  affidamento  dei  contraenti  nello
svolgimento dei rapporti negoziali e il diritto alla  salute,  specie
se l'applicazione rigida della presunzione di conoscenza finisca  per
mortificare  i  diritti  garantiti  dagli  articoli  24  e  25  della
Costituzione. 
    L'ordinanza interlocutoria, quindi, sollecita  una  rimeditazione
da parte delle Sezioni unite dell'orientamento espresso, da  condurre
in un'ottica di salvaguardia dei diritti del destinatario  dell'atto,
ove vengano in rilievo, da un lato, il principio della  certezza  dei
rapporti giuridici, dall'altro il diritto alla salute, il diritto  di
difesa e, nella materia lavoristica, il diritto al lavoro. 
    4. L'Ufficio della procura generale, nell'illustrare  le  ragioni
delle conclusioni rassegnate  nel  senso  del  rigetto  del  ricorso,
osserva in premessa che la  questione  posta  e'  di  ampio  respiro,
perche' il principio di diritto da affermare,  che  nella  specie  si
pone in relazione al termine di decadenza di  cui  all'art.  6  della
legge n. 604 del 1966, e' destinato ad operare in tutti i casi in cui
al lavoratore e' imposto l'onere di impugnare entro un  dato  termine
l'atto datoriale (e' citato al riguardo l'art. 32 della legge n.  183
del 2010) nonche' in ogni ipotesi in cui viene  in  rilievo  un  atto
ricettizio. 
    Ricorda le  ragioni  sistematiche  che  stanno  alla  base  della
disciplina dettata dal legislatore con riferimento agli  istituti  in
discussione (incapacita' naturale - art. 428  del  codice  civile  -;
presunzione  di  conoscenza  -  art.  1335  del  codice   civile   -;
inapplicabilita'  alla  decadenza  delle  cause  di  interruzione   e
sospensione della prescrizione -  art.  2964  del  codice  civile)  e
sottolinea che il legislatore ha inteso assicurare  la  certezza  dei
rapporti giuridici, da  un  lato  equiparando  la  «conoscenza»  alla
«astratta conoscibilita'», dall'altro rendendo  quest'ultima  oggetto
di presunzione iuris tantum con l'effetto di esonerare il dichiarante
dalla  prova,  difficile  se  non   impossibile,   della   conoscenza
soggettiva dell'atto da parte del destinatario. La conoscenza di  cui
all'art. 1335 del codice civile e'  dunque  una  conoscenza  di  tipo
legale e non naturalistico, con la conseguenza  che  la  stessa  puo'
essere esclusa solo in presenza di un «impedimento oggettivo» che non
consenta la «conoscibilita'». 
    Analogamente  alla  tutela  dell'affidamento   e'   ispirata   la
disciplina degli atti posti in essere dall'incapace naturale e  della
decadenza, che non assegna alcun rilievo allo  stato  di  incapacita'
naturale del soggetto che deve esercitare il diritto. 
    Evidenzia  che  la  diversa  lettura  suggerita  dalla  ordinanza
interlocutoria finirebbe per contrastare l'operativita' dell'istituto
della decadenza e con essa la sua ratio, che e' quella  di  garantire
la sicurezza e la certezza dei traffici giuridici, oltre  che  creare
significativi problemi di ordine pratico, legati alla  necessita'  di
acquisire  processualmente  la  prova,  non  solo  dello   stato   di
incapacita' naturale, ma anche, con assoluta esattezza,  del  momento
in cui lo stesso e' insorto, posto che nessun rilievo potrebbe essere
riconosciuto  all'incapacita'  sopravvenuta  alla   ricezione   della
dichiarazione. 
    Rileva, in via conclusiva, che  una  interpretazione  diversa  da
quella  tradizionalmente  data  all'art.  1335  del  codice   civile,
determinerebbe, non  un  bilanciamento  tra  interessi  contrapposti,
bensi'  il  sacrificio  integrale  dell'autonomia  negoziale  e   del
legittimo affidamento del dichiarante, anch'essi  tutelati  dall'art.
41 della Costituzione. 
    5.  Ritengono  le  Sezioni  unite  che  sia   rilevante   e   non
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 6 della legge 15 luglio  1966,  n.  604,  come  riformulato
dall'art. 32, comma 1, della legge 4 novembre  2010,  n.  183,  nella
parte in  cui,  nel  prevedere  che  «Il  licenziamento  deve  essere
impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni  dalla  ricezione
della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione,
anch'essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale,...»,  fa
decorrere, anche nei casi di  incolpevole  incapacita'  naturale  del
lavoratore licenziato, processualmente accertata e  conseguente  alle
sue condizioni di salute, il termine  di  decadenza  dalla  ricezione
dell'atto  anziche'  dalla  data  di  cessazione   dello   stato   di
incapacita'. 
 
                           Sulla rilevanza 
 
    6. Nello storico di lite si e' evidenziato che la Corte d'appello
di Palermo, condividendo le conclusioni alle quali il  tribunale  era
gia' pervenuto, ha rigettato il reclamo  valorizzando  unicamente  la
mancata impugnazione della sanzione nel termine di decadenza previsto
dalla citata legge n. 604/1966, giacche' nella fattispecie non poteva
essere messa in  dubbio  la  «ricezione»  dell'atto,  documentalmente
provata dalla sottoscrizione dell'avviso di ricevimento della lettera
raccomandata con  la  quale  il  licenziamento  era  stato  intimato,
lettera pervenuta al domicilio dell'A... il ... 
    La Corte  distrettuale,  richiamando  l'orientamento  consolidato
formatosi nella giurisprudenza della Sezione lavoro di questa Corte a
partire da Cass. Sez. Lav. 25 ottobre 1982, n. 5563,  ha  escluso  in
radice che potesse assumere rilievo, ai fini del decorso del  termine
di  decadenza,  l'incapacita'  naturale  del  ricevente   l'atto   e,
pertanto, non ha esaminato ne'  la  documentazione  depositata  dalla
ricorrente per dimostrare la momentanea incapacita' di intendere e di
volere ne' la consulenza tecnica disposta  nella  fase  sommaria  del
rito ex art. 1 della legge n. 92/2012, dalla quale era emerso che,  a
partire dall'estate del ...  e  sino  al  ...,  l'A...  «non  era  in
condizioni di intendere e di volere a causa di un episodio  psicotico
breve... che... non permise la formazione di una volonta'  cosciente,
in particolare nel comprendere e contrastare adeguatamente  il  grave
pregiudizio che ne derivava dai comportamenti  omissivi  attuati  nei
confronti del lavoro». 
    6.1. Poiche', dunque, la sentenza impugnata  e'  fondata  in  via
esclusiva sulla ritenuta applicabilita' dell'art. 6  della  legge  n.
604/1966 e sulla maturazione del termine di decadenza, che il giudice
del merito ha fatto decorrere dalla data di ricezione  della  lettera
di licenziamento, cosi' come previsto  dalla  disposizione  normativa
citata, e poiche' il ricorso per cassazione censura l'esito al  quale
e' pervenuta la Corte territoriale, sussiste il  requisito  richiesto
dall'art. 23, comma 2, della  legge  11  marzo  1953,  n.  87,  ossia
l'effettivo e concreto rapporto di strumentalita' fra la  risoluzione
della questione  di  legittimita'  costituzionale  prospettata  e  la
definizione del giudizio pendente dinanzi a  questa  Corte.  Difatti,
nel rispetto dell'ordine logico e giuridico delle  questioni  imposto
dall'art.  276  del  codice  di  procedura   civile,   la   decisione
sull'idoneita'  della  documentazione  prodotta  e  della  consulenza
tecnica  a  dimostrare  l'effettiva  sussistenza   dello   stato   di
incapacita' naturale nonche' l'apprezzamento di detto stato  ai  fini
della valutazione  della  responsabilita'  disciplinare  (secondo  la
prospettazione della ricorrente anche l'illecito disciplinare sarebbe
stato commesso in assenza di imputabilita') saranno possibili solo se
ed in quanto la disposizione oggetto del giudizio  incidentale  venga
dichiarata   incostituzionale   nella   parte   in   cui,   ai   fini
dell'individuazione  del  dies  a  quo  e  della  maturazione   della
decadenza, non assegna rilievo allo stato di incapacita' naturale del
ricevente l'atto. 
 
                  Sulla non manifesta infondatezza 
 
    7. Si e' gia' anticipato nei punti che precedono e nello  storico
di lite che la motivazione della sentenza in questa sede impugnata e'
fondata sulla ritenuta condivisione da parte della Corte territoriale
dell'orientamento consolidato espresso dalla Sezione lavoro di questa
Corte secondo cui «il termine  di  sessanta  giorni  dalla  ricezione
della comunicazione  dell'atto  di  licenziamento,  che  la legge  15
luglio  1966,  n.  604,  art.  6,  fissa   per   l'impugnazione   del
licenziamento stesso da parte del lavoratore, e'  dichiaratamente  ed
inequivocabilmente   un   termine   di   decadenza   e   come   tale,
insuscettibile, a norma dell'art. 2964  del  codice  civile,  sia  di
interruzione  sia,  in  mancanza  di   disposizione   contraria,   di
sospensione, senza che a termini dell'art. 1335  del  codice  civile,
possano rilevare le condizioni soggettive  del  destinatario,  ed  in
specie la sua capacita' di intendere e di volere, salva la tutela nei
limiti dell'art. 428 del  codice  civile.  Peraltro  la  validita'  o
l'efficacia  degli  atti  recettizi   (fra   i   quali   rientra   il
licenziamento) prescinde dall'eventuale stato di incapacita' naturale
del soggetto cui sono rivolti, atteso che la disciplina di tali  atti
- in ordine ai quali il legislatore si e' dato cura di dettare regole
(art. 1335 cit.) che consentono di stabilire  la  certezza  giuridica
della loro conoscenza  da  parte  dei  destinatari  indipendentemente
dalla  capacita'  degli  stessi  di  apprezzarne  il  valora   e   di
determinarsi   in   conseguenza   -   e'   informata   al   principio
dell'affidamento  e  che  l'art.  428  del  codice   civile   prevede
l'annullabilita' soltanto degli  atti  unilaterali  posti  in  essere
dallo stesso incapace naturale (v. Cass. 18  gennaio  1979,  n.  352;
Cass. 25 ottobre 1982, n. 5563; Cass. 15 giugno 1985, n. 3612;  Cass.
2 marzo 1987, n. 2197; Cass. 1° dicembre 1989, n. 5279).» (Cass. Sez.
Lav. 9 marzo 2007, n. 5545). 
    Si tratta, dunque, di un orientamento che, da un lato,  valorizza
il  chiaro  tenore  letterale  dell'art.  6  della  citata  legge  n.
604/1966, sia in relazione alla qualificazione del  termine  sia  con
riferimento alla individuazione del dies a quo, fatto coincidere  con
la ricezione dell'atto e non con il momento in cui  dell'atto  stesso
il lavoratore abbia avuto effettiva conoscenza;  dall'altro  richiama
la disciplina generale dell'incapacita' naturale nonche' il principio
della  conoscenza  legale,  fissato  per  tutti  gli  atti  recettizi
dall'art. 1335 del codice civile, principio con  il  quale  la  norma
lavoristica, nell'assegnare  rilievo  alla  ricezione  dell'atto,  si
armonizza. 
    8.  L'art.  1335  del  codice  civile  e'   stato   costantemente
interpretato dalla giurisprudenza  di  questa  Corte  in  sostanziale
adesione alla teoria cosiddetta della ricezione, secondo  cui  rileva
non la conoscenza in senso proprio, ma la  conoscibilita'  dell'atto,
ravvisata  in   conseguenza   di   una   circostanza   oggettivamente
verificabile,  qual  e'  la  consegna  dell'atto  al  domicilio   del
destinatario,  consegna  dalla  quale  viene   desunta   quella   che
altrimenti, per i suoi connotati soggettivi ed  individuali,  sarebbe
impossibile   dimostrare,   ossia   l'avvenuta    conoscenza    della
dichiarazione altrui. 
    E', dunque, la conoscibilita' quella che rileva, che va  misurata
sempre su un  piano  oggettivo,  e  cio'  costituisce  il  fondamento
dell'orientamento, egualmente risalente nel  tempo  e  mai  smentito,
secondo cui la prova contraria alla presunzione, che il  destinatario
deve offrire per vincere la stessa, si deve muovere anch'essa  su  un
piano oggettivo e riguardare  circostanze  che  attengano,  non  alle
condizioni soggettive del ricevente,  bensi'  a  fattori  esterni  ed
oggettivi che, in quanto attinenti al collegamento del  soggetto  con
il luogo di consegna, siano idonei ad  escludere  la  conoscenza  nei
termini  intesi   dal   legislatore,   ossia,   sostanzialmente,   la
conoscibilita' dell'atto. 
    La conoscenza legale di cui all'art. 1335 del codice  civile  e',
pertanto, la risultante di un'equivalenza giuridica  (che  in  quanto
tale non ammette prova contraria), perche'  il  legislatore  equipara
alla conoscenza la conoscibilita', e di una presunzione iuris tantum,
che fa derivare quest'ultima dalla consegna  dell'atto  al  domicilio
del destinatario, presunzione che puo' essere vinta dimostrando  che,
per  fatti  oggettivi  ed  incolpevoli,  nonostante  che  l'atto  sia
pervenuto nel luogo di destinazione, lo stesso non sia entrato  nella
sfera di conoscibilita' del destinatario. Ed e' significativo in  tal
senso lo stesso tenore letterale dell'art.  1335  del  codice  civile
che, appunto, nell'indicare quale debba essere la prova contraria che
il destinatario della dichiarazione e' tenuto a dare, fa  riferimento
alla  «impossibilita'  di  averne  notizia»  e  non  alla  conoscenza
effettiva  del  contenuto  dell'atto  ne',  tanto  meno,   alla   sua
comprensione. 
    8.1. L'orientamento espresso  dalla  Sezione  lavoro,  del  quale
l'ordinanza di  rimessione  sollecita  una  rimeditazione,  non  puo'
essere superato sulla base di una diversa lettura dell'art. 1335  del
codice civile che, facendo leva sugli articoli  24,  32  e  35  della
Costituzione, attribuisca rilievo allo stato di incapacita'  naturale
del richiedente per inferirne il  superamento  della  presunzione  di
conoscenza,  ai  fini  del  decorso  del  termine  di  decadenza  per
l'impugnazione del licenziamento. 
    La  disposizione  del  codice,  applicabile  a  tutti  gli   atti
ricettizi, e' posta a presidio della certezza dei rapporti  giuridici
ed  esprime  un  preciso  bilanciamento  di  interessi  operato   dal
legislatore,   inerente   all'intero   complesso   delle    relazioni
obbligatorie  e  contrattuali,  sicche'  non   e'   predicabile   una
interpretazione costituzionalmente orientata che, varcando i  confini
letterali  del  testo,  muova  dalla  considerazione  solo   di   una
determinata tipologia di atti (quelli recettizi dalla cui  conoscenza
decorre il termine per il compimento di un'attivita') e di  interessi
che, seppure costituzionalmente rilevanti,  vengono  in  rilievo  nel
rapporto  di  lavoro  ma  non  in  altre   relazioni   giuridiche   e
contrattuali, che da quella norma sono disciplinate. 
    Inoltre, il ritenere che lo stato  di  incapacita'  naturale  sia
idoneo ad impedire la conoscenza dell'atto, ai fini e per gli effetti
previsti dall'art. 1335 del codice civile, finirebbe  per  aprire  la
strada alla rilevanza di  situazioni  meramente  soggettive,  minando
alla radice il principio di affidamento e di  certezza  dei  rapporti
giuridici che e' posto alla base della  previsione  normativa,  e  si
risolverebbe,  altresi',  nella  introduzione   di   una   causa   di
sospensione della decadenza, in violazione della  disciplina  dettata
dall'art. 2964 del codice civile nonche' dagli articoli 2941  e  2942
del codice civile che, sia pure con  riferimento  alla  prescrizione,
non attribuiscono alcun rilievo all'incapacita' naturale del soggetto
tenuto al compimento dell'atto. 
    8.2.  Escluso,  quindi,  che,  in  tema   di   impugnazione   del
licenziamento,   si   possa   pervenire   ad   attribuire   rilevanza
all'incapacita' naturale  del  lavoratore  attraverso  una  rilettura
dell'art. 1335 del codice civile, parimenti e' da  escludere  che  la
tutela dell'incapace possa essere in tal  caso  assicurata  dall'art.
428 del codice civile, che l'ordinanza  interlocutoria  ed  il  primo
motivo di ricorso evocano attraverso il richiamo alla motivazione  di
Cass. Sez. 6-3 23 maggio 2018, n. 12658. 
    Quest'ultima   disposizione,   nel   disciplinare   l'azione   di
annullamento degli atti compiuti da persona incapace di  intendere  e
di volere e  nel  distinguere,  quanto  alle  condizioni  che  devono
ricorrere, l'atto unilaterale dal contratto (richiedendo  per  l'atto
unilaterale solo il grave pregiudizio per l'autore, per il  contratto
anche la malafede dell'altro contraente), non  si  presta  ad  essere
estesa ai comportamenti  omissivi,  ossia  all'inerzia  dell'incapace
che, in ragione dell'incapacita', non  agisca  a  tutela  dei  propri
diritti. 
    Anche   in   tal   caso,   quindi,   ostano   all'interpretazione
costituzionalmente orientata, che l'ordinanza di  rimessione  invoca,
il chiaro tenore letterale della norma e  le  medesime  ragioni  gia'
evidenziate nel punto che precede. 
    9.  La  riflessione  deve,  allora,  rimanere  circoscritta  alla
disposizione che il termine di decadenza qui rilevante prevede, ossia
all'art. 6 della legge n. 604/1966  che,  come  gia'  anticipato,  al
primo comma impone al lavoratore di rendere nota al datore, con  atto
scritto  ed  entro  il  termine  di  decadenza  di  sessanta   giorni
decorrenti  dalla  ricezione  della  comunicazione  del  recesso,  la
volonta'  di  impugnare  il   licenziamento.   Inoltre,   nel   testo
riformulato dall'art. 32, comma 1, della legge 4  novembre  2010,  n.
183 e successivamente modificato dall'art. 1, comma 38,  della  legge
28 giugno 2012, n. 92, attualmente vigente, la disposizione prescrive
che l'impugnazione stragiudiziale diviene inefficace se non  seguita,
entro il successivo termine di centottanta giorni, dal  deposito  del
ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione  di  giudice  del
lavoro o dalla comunicazione  alla  controparte  della  richiesta  di
tentativo di conciliazione o arbitrato. 
    Si tratta, dunque, di una  disciplina  che,  derogando  a  quella
generale delle azioni  di  nullita'  e  di  annullamento  degli  atti
negoziali, persegue l'obiettivo, ritenuto dal legislatore  meritevole
di tutela, di far emergere in tempi brevi  il  contenzioso  sull'atto
datoriale (Corte costituzionale n. 14 ottobre 2020, n. 212). 
    9.1. Va detto subito che il tenore letterale  della  disposizione
in commento, assolutamente chiaro nel far decorrere  il  termine  per
l'impugnazione   dalla   «ricezione»    della    comunicazione    del
licenziamento e, quindi, dalla conoscenza legale di cui all'art. 1335
del codice civile, non consente di percorrere  utilmente  la  strada,
invocata dalla ricorrente e suggerita dall'ordinanza  interlocutoria,
della interpretazione adeguatrice,  innanzitutto  perche'  «l'univoco
tenore della  norma  segna  il  confine  in  presenza  del  quale  il
tentativo  interpretativo  deve  cedere  il  passo  al  sindacato  di
legittimita' costituzionale» (Corte costituzionale 26 novembre  2020,
n. 253), ed inoltre valgono al riguardo le considerazioni gia' svolte
al punto 8.1. quanto alle conseguenze, sul piano dei principi, di una
lettura che, per superare la  presunzione  di  conoscenza,  valorizzi
situazioni meramente soggettive. 
    9.2. Nell'interpretare, ad altri fini, la disposizione in parola,
queste Sezioni Unite hanno evidenziato che l'esigenza  di  assicurare
la certezza delle situazioni giuridiche non e' estranea  al  rapporto
di lavoro subordinato ed infatti  «l'imposizione  al  lavoratore  del
breve termine di decadenza entro cui l'impugnazione del licenziamento
deve essere formulata esprime l'esigenza di contemperare  il  diritto
del prestatore all'eliminazione  delle  conseguenze  dell'illegittimo
recesso  datoriale  con  l'interesse  del  datore  di   lavoro   alla
continuita' e stabilita' della gestione dell'impresa ma e' da  notare
che siffatta esigenza  e'  soddisfatta  subordinando  la  tutela  del
lavoratore alla circostanza che questi tempestivamente si attivi, si'
che in mancanza di pronta iniziativa del  prestatore  il  diritto  di
questo alla legittimita' degli atti datoriali di  gestione  recede  a
fronte della stabilizzazione delle conseguenze del licenziamento.». 
    Hanno, pero', significativamente  aggiunto  che  «tale  eventuale
conseguenza non discende tuttavia dal consolidarsi degli effetti  del
licenziamento illegittimo in ragione  della  tutela  dell'affidamento
del datore di lavoro sul protrarsi dello  stato  di  fatto  che  trae
origine dal licenziamento,  bensi'  deriva  dall'esito  negativo  del
vaglio di concreta meritevolezza dell'interesse del  lavoratore,  che
non  abbia  tempestivamente   dato   impulso   agli   strumenti   che
l'ordinamento gli appresta al fine di impugnare e caducare un atto di
gestione dell'impresa, quale il licenziamento, che sia stato posto in
essere in carenza dei relativi presupposti di  legittimita'.»  (Cass.
S.U. 14 aprile 2010, n. 8830). 
    Sulla base di detto presupposto, nonche' del  rilievo  dato  alla
necessita' di assicurare in relazione al  licenziamento  «un  equo  e
ragionevole equilibrio degli interessi coinvolti» fra  la  previsione
del termine breve di decadenza (teso a  garantire  il  consolidamento
delle  situazioni  giuridiche)  ed  il  diritto  del  prestatore   «a
conservare il posto di lavoro e a  mantenere  un'esistenza  libera  e
dignitosa (articoli 4 e 36 della  Costituzione)»,  le  Sezioni  unite
sono pervenute ad estendere all'atto di  impugnazione  stragiudiziale
del  licenziamento  il  principio  della  scissione   degli   effetti
processuali, che, invece, piu' in generale ed in relazione ai termini
di prescrizione nonche' ad altri termini di decadenza, si e' ritenuto
operante solo in materia processuale (Cass. S.U. 9 dicembre 2015,  n.
24822). 
    9.3. La motivazione della pronuncia citata, seppure  relativa  ad
altra questione controversa che in quel caso veniva  in  rilievo,  e'
utile  per  sottolineare  la  particolare  natura   degli   interessi
contrapposti che vengono in  rilievo  rispetto  all'impugnazione  del
licenziamento, che trascendono quelli dei quali sono portatori  nella
normalita' del diritto dei contratti i contraenti, perche' il recesso
nel contratto di lavoro incide su diritti fondamentali della persona,
piu' volte evidenziati dalla  giurisprudenza  costituzionale  secondo
cui «L'affermazione sempre piu' netta del "diritto al  lavoro"  (art.
4, primo comma, della Costituzione),  affiancata  alla  "tutela"  del
lavoro "in tutte le sue forme ed applicazioni" (art. 35, primo comma,
della Costituzione), si sostanzia nel riconoscere, tra l'altro, che i
limiti posti al potere di recesso del datore di lavoro correggono  un
disequilibrio di fatto esistente nel contratto di  lavoro.  Il  forte
coinvolgimento della persona umana - a differenza di quanto accade in
altri rapporti di  durata -  qualifica  il  diritto  al  lavoro  come
diritto fondamentale, cui il legislatore deve guardare per apprestare
specifiche tutele.» (Corte costituzionale 8 novembre 2018, n.  194)».
In   altri   termini   «l'esercizio   arbitrario   del   potere    di
licenziamento... lede l'interesse del lavoratore alla continuita' del
vincolo negoziale e si risolve in una vicenda  traumatica,  che  vede
direttamente   implicata   la   persona   del   lavoratore»    (Corte
costituzionale 24 febbraio 2021, n. 59). 
    9.4.   E'   costante   l'orientamento   espresso   dalla    Corte
costituzionale secondo cui «sebbene in materia di conformazione degli
istituti processuali il legislatore goda di ampia discrezionalita', e
il controllo di costituzionalita' debba limitarsi  a  riscontrare  se
sia stato o meno superato il limite della manifesta  irragionevolezza
o arbitrarieta' delle scelte compiute, nel  relativo  sindacato  deve
essere   verificato   che   il    bilanciamento    degli    interessi
costituzionalmente rilevanti non sia stato realizzato  con  modalita'
tali da determinare il sacrificio o la compressione di uno di essi in
misura  eccessiva   e   pertanto   incompatibile   con   il   dettato
costituzionale.  Tale  giudizio  deve  svolgersi  proprio  attraverso
ponderazioni relative alla proporzionalita' dei mezzi  prescelti  dal
legislatore nella sua insindacabile  discrezionalita'  rispetto  alle
esigenze  obiettive  da  soddisfare  o  alle  finalita'  che  intende
perseguire,  tenuto  conto  delle  circostanze  e  delle  limitazioni
concretamente sussistenti (ex plurimis, sentenze n. 71 del  2015,  n.
17 del 2011, n. 229 e n. 50 del 2010, n. 221 del 2008 e n.  1130  del
1988; ordinanza n. 141 del 2001).» (Corte  costituzionale  4  ottobre
2020, n. 212). 
    9.5. E' alla luce dei  richiamati  principi  che  queste  Sezioni
unite dubitano della legittimita' costituzionale  dell'art.  6  della
legge n. 604/1966 nella parte in cui, facendo decorrere in ogni  caso
il termine di decadenza dalla data di ricezione  della  comunicazione
del licenziamento, preclude l'azione al lavoratore licenziato che, in
ragione dell'incolpevole stato  di  incapacita'  di  intendere  e  di
volere derivato da patologia fisica o psichica, non si  sia  attivato
nel termine di legge e l'abbia fatto, una volta recuperata  la  piena
capacita',  tempestivamente  rispetto  a  detto  successivo   momento
temporale. 
    In siffatta ipotesi, che e' quella prospettata nella  fattispecie
(nella quale lo stato di incapacita' naturale derivante da  patologia
psichica era stato documentato dalla ricorrente ed  avvalorato  dalla
consulenza  tecnica  d'ufficio  disposta  nella  fase  sommaria   del
giudizio di primo grado), l'operativita'  del  termine  di  decadenza
finisce per valorizzare unicamente l'interesse della parte  datoriale
al consolidamento degli effetti dell'atto adottato e  per  comprimere
oltre misura il diritto di azione del lavoratore, riferito al diritto
al lavoro, che la  Carta  costituzionale  espressamente  tutela  agli
articoli 24, comma 1, 4, comma 1, e 35, comma 1. 
    La scelta espressa dal legislatore di non riconoscere  meritevole
di tutela il lavoratore licenziato che non si attivi tempestivamente,
pur a fronte di un atto che coinvolge fortemente  la  qualita'  della
vita  propria  e  familiare,  si  appalesa  irragionevole  quando  e'
riferita anche all'incapace che non abbia impugnato  il  recesso  per
l'assoluta   incolpevole   incapacita'   di    comprendere    e    di
autodeterminarsi. Non operando in tal caso  alcun  bilanciamento,  la
previsione  normativa  si  pone  in  contrasto  con  l'art.  3  della
Costituzione, sia sotto il  profilo  della  ragionevolezza,  sia  con
riferimento al principio di eguaglianza, non  potendo  la  situazione
dell'incapace essere equiparata a quella del soggetto  che  tale  non
e'. 
    9.6. L'omessa considerazione dello stato di incapacita'  naturale
derivante da malattia ai fini della individuazione del dies a quo del
termine di decadenza, si pone, inoltre, in contrasto  con  la  tutela
della salute garantita dall'art.  32,  comma  1,  della  Costituzione
nonche', nei casi in cui la menomazione, seppure non permanente,  sia
duratura (nei termini precisati da Corte  di  giustizia  1°  dicembre
2016, Mohamed Daouidi, in causa c- 395/15) con gli articoli 117 e  11
della Costituzione, perche' si  risolve  in  una  discriminazione  in
danno della persona disabile, in violazione  degli  obblighi  imposti
dalla Convenzione O.N.U del 13 dicembre 2006, ratificata con legge  3
marzo 2009, n. 18, e dalla direttiva 2000/78/CE, che  impongono,  fra
l'altro, di assicurare al disabile  l'esercizio  dei  propri  diritti
(art. 27, lettera c, della Convenzione) e di adottare misure adeguate
per ovviare  agli  svantaggi  provocati  dalla  applicazione  di  una
disposizione  che,  seppure  apparentemente  neutra,  determina   una
disparita' con gli altri lavoratori. 
    10. L'intervento additivo che si sollecita non  appare  a  queste
Sezioni unite in se' incoerente con la disciplina generale dettata in
tema di decadenza dall'art. 2964 del codice civile perche' la  norma,
pur escludendo che possano operare  le  cause  di  sospensione  della
prescrizione, fa salve disposizioni  speciali,  disposizioni  che  il
legislatore, in effetti, ha dettato con riferimento a singole  azioni
(articoli 245,  489  del  codice  civile),  in  considerazione  della
particolare natura del diritto al quale il termine  di  decadenza  si
riferisce  e,  quindi,  per  ragioni  che,  tenuto  conto  di  quanto
osservato al punto 9.2., possono essere ritenute ricorrenti anche  in
relazione all'impugnazione del licenziamento, ossia ad  un  atto  che
coinvolge  direttamente  la  persona  del  lavoratore   e   pone   in
discussione interessi  che  trascendono  quelli  meramente  economici
rilevanti nei rapporti contrattuali di durata. 
    Nei casi  sopra  citati  il  legislatore  ha  ritenuto  di  dover
attribuire rilievo allo stato di incapacita' legale del titolare  del
diritto ed e' significativo che, chiamata a pronunciare sull'art. 245
del codice civile, nel testo antecedente alla riformulazione  operata
dal  decreto  legislativo  28  dicembre  2013,  n.  154,   la   Corte
costituzionale  abbia  equiparato   all'incapacita'   legale   quella
naturale derivante da grave infermita' di mente,  finche'  la  stessa
perduri  (Corte  costituzionale   25   novembre   2011,   n.   3229),
sottolineando, peraltro, la necessita' di  offrire  nel  processo  la
prova rigorosa di detto stato e della sua durata. 
    Analoga precisazione puo' valere nella fattispecie, per escludere
il rischio paventato dal pubblico ministero  nelle  sue  conclusioni,
sicche', ad avviso di queste Sezioni unite, la questione, nei termini
prospettati, non  mina  il  principio  della  certezza  dei  rapporti
giuridici, perche' la diversa decorrenza del termine di  impugnazione
richiedera' che nel processo la parte, oltre a dimostrare lo stato di
assoluta incapacita' di intendere e di volere sussistente al  momento
della ricezione della comunicazione del licenziamento, fornisca anche
la prova della data in cui lo stesso e' cessato. 
    11. In via conclusiva, il  Collegio  ritiene  non  manifestamente
infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 6  della  legge
n. 604/1966 nei termini sopra prospettati  e,  pertanto,  dispone  la
sospensione del giudizio e la  trasmissione  degli  atti  alla  Corte
costituzionale. 

 
                              P. Q. M. 
 
    La  Corte,  a  Sezioni  unite,  visti  gli  articoli  134   della
Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 dichiara rilevante
e non manifestamente infondata, in riferimento agli  articoli  3,  4,
32, 35, 11, 117 della  Costituzione,  la  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 6 della legge 15 luglio 1966, n.  604  nella
parte in  cui,  nel  prevedere  che  «Il  licenziamento  deve  essere
impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni  dalla  ricezione
della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione,
anch'essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, ...», fa
decorrere, anche nei casi di  incolpevole  incapacita'  naturale  del
lavoratore licenziato, processualmente accertata e  conseguente  alle
sue condizioni di salute, il termine  di  decadenza  dalla  ricezione
dell'atto  anziche'  dalla  data  di  cessazione   dello   stato   di
incapacita'; 
    Dispone la sospensione del presente giudizio; 
    Ordina che, a cura della cancelleria, la presente  ordinanza  sia
notificata  alle  parti  del  giudizio  di  cassazione,  al  pubblico
ministero presso questa Corte ed  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Ordina,  altresi',   che   l'ordinanza   venga   comunicata   dal
Cancelliere ai Presidenti delle due Camere del Parlamento; 
    Dispone l'immediata trasmissione degli  atti,  comprensivi  della
documentazione  attestante  il   perfezionamento   delle   prescritte
notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale. 
    Ai sensi dell'art. 52 del decreto legislativo  n.  196  del  2003
andranno omesse, in caso di diffusione, le generalita'  e  gli  altri
dati identificativi della ricorrente. 
        Cosi' deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9  luglio
2024 
 
                       La Presidente: Cassano