N. 202 ORDINANZA (Atto di promovimento) 05 settembre 2024
Ordinanza del 5 settembre 2024 della Corte di cassazione nel
procedimento civile promosso da G. A. contro R. spa .
Lavoro - Licenziamento individuale - Impugnazione del licenziamento -
Termine di decadenza - Decorrenza - Casi di incolpevole incapacita'
naturale del lavoratore licenziato, processualmente accertata e
conseguente alle sue condizioni di salute - Decorrenza del termine
di decadenza dalla ricezione dell'atto anziche' dalla data di
cessazione dello stato di incapacita'.
- Legge 15 luglio 1966, n. 604 (Norme sui licenziamenti individuali),
art. 6.
(GU n. 45 del 06-11-2024)
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezioni unite civili
Composta dagli ill.mi sigg.ri magistrati:
Margherita Cassano, prima Presidente;
Giacomo Travaglino, Presidente di Sezione;
Lucia Tria, Presidente di Sezione;
Alberto Giusti, Presidente di Sezione;
Umberto Luigi Scotti, consigliere;
Annalisa di Paolantonio, rel. consigliere;
Giuseppe Grasso, consigliere;
Emilio Iannello, consigliere;
Marco Rossetti, consigliere.
Ordinanza interlocutoria sul ricorso iscritto al n. r.g.
17140/2019 proposto da: A... G..., rappresentata e difesa
dall'avvocato Antonio Liberto; ricorrente;
Contro ... (gia' ...), in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Golametto 4, presso
lo studio dell'avvocato Domenico De Stefano Donzelli, rappresentata e
difesa dall'avvocato Alfredo Frezza; controricorrente;
Avverso la sentenza n. 1187/2018 della Corte d'appello di
Palermo, depositata il 10 dicembre 2018.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
9 luglio 2024 dal consigliere Annalisa Di Paolantonio;
Udito il pubblico ministero, in persona del sostituto Procuratore
generale Alessandro Pepe, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito l'avvocato Antonio Liberto.
Rilevato che
1. La Corte d'appello di Palermo, con sentenza 10 dicembre 2018,
n. 1187, ha rigettato il reclamo proposto ex art. 1, comma 58, della
legge n. 92/2012 da G... A... avverso la sentenza del tribunale della
stessa sede che, all'esito del giudizio di opposizione, aveva
accertato la tardivita' dell'impugnazione del licenziamento
disciplinare intimato all'A... con lettera del ... dalla ... (ora
...), per assenza ingiustificata protrattasi dal ....
2. La Corte territoriale ha premesso che la A..., senza
giustificare in alcun modo la sua assenza, non si era presentata al
lavoro nel periodo sopra indicato e, pertanto, con raccomandata
ricevuta dalla lavoratrice il ..., la societa' le aveva contestato
l'illecito disciplinare, invitandola a fornire giustificazioni.
Non avendo ricevuto alcuna risposta nel termine concesso, la
societa' aveva irrogato, ai sensi degli articoli 46 e 48 del C.C.N.L.
di settore, la sanzione disciplinare del licenziamento senza
preavviso e la missiva era stata regolarmente ricevuta il ...
dall'A..., la quale aveva sottoscritto l'avviso di ricevimento
dell'atto.
Il licenziamento non era stato impugnato nel termine di sessanta
giorni previsto dall'art. 6 della legge n. 604/1966 e solo con
lettera del ... la lavoratrice aveva contattato il datore di lavoro
al fine di giustificare la protratta assenza dal servizio; aveva,
poi, impugnato il licenziamento, con ricorso notificato alla societa'
il ..., sostenendo di essersi trovata in condizioni di incapacita'
naturale che le avevano impedito di avere effettiva conoscenza del
contenuto dell'atto.
3. Il giudice del reclamo, condividendo le conclusioni alle quali
era gia' pervenuto il tribunale all'esito di entrambe le fasi del
giudizio di primo grado, ha ritenuto maturato il termine di
decadenza, non suscettibile ne' di interruzione ne' di sospensione, e
ha richiamato la motivazione di Cass. 9 marzo 2007, n. 5545,
prestando adesione all'orientamento espresso dalla giurisprudenza di
legittimita' secondo cui la validita' o l'efficacia degli atti
recettizi prescinde dall'eventuale stato di incapacita' naturale del
soggetto al quale sono rivolti, atteso che la disciplina di tali atti
e' informata al principio dell'affidamento ed il legislatore, che ha
previsto l'annullabilita', ex art. 428 del codice civile, dei soli
atti unilaterali posti in essere dall'incapace naturale, ha dettato
all'art. 1335 del codice civile una regola finalizzata a stabilire la
certezza giuridica della conoscenza dell'atto da parte del suo
destinatario, prescindendo dalla capacita' di quest'ultimo di
apprezzarne il valore e di determinarsi di conseguenza.
4. Per la Cassazione della sentenza G... A... ha proposto ricorso
sulla base di due motivi, ai quali ha opposto difese con
controricorso la ..., gia' ....
5. Con ordinanza interlocutoria del 27 settembre 2023, n. 27483
la Sezione lavoro di questa Corte, all'esito dell'udienza pubblica
celebrata dopo il rinvio a nuovo ruolo disposto con ordinanza n.
20857 del 30 giugno 2022, ha rimesso gli atti al primo Presidente per
l'eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni unite, al fine di
risolvere la questione di massima di particolare importanza inerente
alla incidenza dello stato di incapacita' naturale, processualmente
dimostrato e non contestato, sulla presunzione di conoscenza ex art.
1335 del codice civile.
6. L'Ufficio della procura generale ha depositato requisitoria
scritta e ha concluso per il rigetto del ricorso.
7. La ricorrente aveva depositato memoria il 1° settembre 2023 in
vista dell'udienza pubblica celebrata dinanzi alla Sezione lavoro.
Considerato che
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia ex art. 360, comma
1, n. 3 del codice di procedura civile «violazione e falsa
applicazione degli articoli 1334 e 1335 del codice civile in
relazione alla decorrenza del termine di decadenza previsto dall'art.
6 della legge n. 604/66 successive modificazioni ed integrazioni».
Premette, in punto di fatto, che a causa di delicate e
personalissime problematiche di natura familiare, era stata affetta,
nel periodo estate ..., da grave crisi depressiva con dissociazione
dalla realta' ed aveva riacquistato la pienezza delle facolta'
cognitive e volitive solo all'esito del trattamento sanitario
obbligatorio, disposto su sollecitazione del centro di salute mentale
dell'Ospedale ... di .... Aggiunge che lo stato di assoluta
incapacita' di intendere e di volere era stato provato attraverso la
produzione degli atti inerenti al giudizio promosso dall'ex compagno
per l'affidamento esclusivo del figlio minore della coppia, ed in
particolare della consulenza tecnica redatta in quella sede e della
documentazione alla stessa allegata. Le conclusioni alle quali il CTU
era pervenuto in quel giudizio erano state confermate anche
dall'ausiliare nominato dal tribunale nella prima fase del giudizio
di impugnazione del licenziamento, che aveva accertato la condizione
di incapacita' di intendere e di volere per l'intero periodo sopra
indicato ed aveva evidenziato che il disturbo psicotico breve con
stato paranoide aveva impedito «la formazione di una volonta'
cosciente, in particolare nel comprendere e contrastare adeguatamente
il grave pregiudizio che le derivava dai comportamenti omissivi
attuati nei confronti del lavoro».
Deduce la ricorrente che l'art. 1335 del codice civile prevede
una presunzione di tipo relativo, superabile dal destinatario che
provi di non avere avuto notizia dell'atto senza sua colpa, e rileva
che, poiche' il «prendere notizia» equivale a conoscenza, non puo'
essere ritenuta irrilevante, ai fini del superamento della
presunzione, l'incapacita' naturale determinata da problemi psichici,
e piu' in generale da condizioni di salute, del destinatario
dell'atto.
Rappresenta che il principio dell'affidamento, posto a tutela di
interessi di natura economica rilevanti ex art. 41 della
Costituzione, non puo' spingersi fino ad annullare altri diritti
fondamentali, quali sono il diritto alla salute ed il diritto di
difesa nonche', nella materia lavoristica, il diritto al lavoro.
Deduce, anche richiamando il percorso argomentativo seguito da
Cass. 23 maggio 2018, n. 12658, che occorre distinguere l'ipotesi in
cui dalla consegna dell'atto recettizio non decorra alcun termine per
il destinatario, da quella in cui la ricezione costituisce il dies a
quo per il calcolo di un termine di decadenza, il cui inutile spirare
arrecherebbe un pregiudizio all'incapace naturale. In detta ipotesi,
infatti, il principio dell'affidamento e della certezza dei rapporti
giuridici deve essere bilanciato con la tutela degli altri diritti
fondamentali sopra richiamati.
2. La seconda critica, ricondotta al vizio di cui all'art. 360,
comma 1, n. 5 del codice di procedura civile, addebita alla Corte
distrettuale l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio,
ravvisato nel mancato apprezzamento della espletata consulenza
tecnica d'ufficio medico legale.
Sostiene la ricorrente che le erronee considerazioni espresse
nella sentenza qui impugnata derivano dall'omessa valutazione delle
conclusioni rassegnate dall'ausiliare, alla luce delle quali andava
esclusa l'applicabilita' alla fattispecie del principio di diritto
enunciato da Cass. Sez. Lav. 9 marzo 2007, n. 5545, perche' in quel
caso il giudice di legittimita' aveva evidenziato che la lavoratrice
non aveva assolto all'onere della prova sulla stessa gravante e aveva
omesso di allegare e provare di essere stata senza sua colpa
impossibilitata a conoscere il contenuto della lettera di
licenziamento.
Rileva, infine, che i giudici del merito, ritenendo maturata la
decadenza dalla impugnazione, non hanno pronunciato sulla
legittimita' della sanzione espulsiva, che andava esclusa perche' il
C.C.N.L. di categoria, nel prevedere che l'assenza deve essere
giustificata dal lavoratore entro i due giorni successivi, fa «salvi
i casi di comprovato impedimento», da ravvisare nella fattispecie, in
quanto anche l'assenza e l'omessa giustificazione dipendevano
dall'incapacita' naturale della lavoratrice la quale, come accertato
dalla consulenza medico-legale, non era, all'epoca, in grado di
comprendere il disvalore del comportamento tenuto, di astratto
rilievo disciplinare.
3. L'ordinanza interlocutoria sottopone al vaglio di queste
Sezioni unite la questione, rilevante ai fini della decisione del
primo motivo di ricorso, cosi' testualmente sintetizzata: «se uno
stato di incapacita' naturale, processualmente dimostrato e non
contestato, sussistente nel momento in cui l'atto sia giunto
all'indirizzo, rilevi ai fini del superamento, da parte del
destinatario, della presunzione di conoscenza ex art. 1335 del codice
civile in quanto incidente sulla possibilita' di averne notizia,
senza sua colpa».
Premette che non e' contestato nella fattispecie che la
comunicazione del licenziamento fosse a suo tempo pervenuta
all'indirizzo della destinataria, la quale non aveva mai negato di
avere ricevuto l'atto.
Richiama, poi, l'orientamento consolidato espresso dalla Sezione
lavoro la quale, da tempo risalente, dopo avere ribadito la natura
decadenziale del termine fissato dall'art. 6 della legge 15 luglio
1966, n. 604 nonche' la conseguente inapplicabilita' allo stesso
della disciplina dettata in tema di interruzione e sospensione della
prescrizione, ha escluso che il maturare della decadenza possa essere
impedito valorizzando lo stato di incapacita' naturale del lavoratore
licenziato, atteso che l'art. 1335 del codice civile, dettato dal
legislatore per garantire la certezza dei rapporti giuridici, non
assegna alcun rilievo alle condizioni soggettive del destinatario,
con la conseguenza che la presunzione opera indipendentemente dalla
capacita' dello stesso di apprezzare il contenuto ed il valore
dell'atto ricevuto e di determinarsi di conseguenza (Cass. Sez. Lav.
9 marzo 2007, n. 5545; Cass. Sez. Lav. 1° dicembre 1989, n. 5279;
Cass. Sez. Lav. 2 marzo 1987, n. 2197; Cass. Sez. Lav. 15 giugno
1985, n. 3612; Cass. Sez. Lav. 25 ottobre 1982, n. 5563).
Aggiunge che altre pronunce, egualmente risalenti nel tempo,
hanno affermato che il termine perentorio decorre dal momento in cui
la dichiarazione perviene all'indirizzo del lavoratore, fatta salva
la dimostrazione, da parte di quest'ultimo, di essere stato
impossibilitato, senza sua colpa, ad avere conoscenza della lettera
di licenziamento (Cass. Sez. Lav. 23 aprile 1992, n. 4878; Cass. Sez.
Lav. 2 luglio 1988, n. 4394; Cass. Sez. Lav. 10 gennaio 1984, n.
197).
Quanto all'interpretazione dell'art. 428 del codice civile, che
secondo la giurisprudenza sopra richiamata sarebbe applicabile ai
soli atti unilaterali posti in essere dall'incapace e ai contratti
dallo stesso conclusi, l'ordinanza rileva che una piu' recente
pronuncia della Corte (Cass. Sez. 6-3 26 maggio 2018, n. 12658)
sembra paventare la possibilita' che, qualora dalla comunicazione di
un atto inizi a decorrere un termine il cui inutile spirare potrebbe
arrecare un pregiudizio al destinatario, l'incapacita' di
quest'ultimo dovrebbe trovare tutela nella disposizione sopra citata,
in un'ottica di equiparazione dell'atto commissivo dell'incapace a
quello omissivo pregiudizievole per lo stesso.
Aggiunge ancora l'ordinanza che in relazione all'efficacia degli
atti recettizi, a fronte della contrapposizione fra la teoria della
cognizione, secondo la quale occorre che sia dimostrata l'effettiva
conoscenza da parte del destinatario del contenuto dell'atto, e
quella della spedizione, che ritiene sufficiente la comunicazione
dell'atto medesimo, il legislatore ha adottato il criterio della
ricezione, valorizzando la sola consegna dell'atto al domicilio del
destinatario, ma temperando la regola con il consentire che
quest'ultimo possa provare di essersi trovato, senza sua colpa, nella
impossibilita' di prendere conoscenza dell'atto medesimo.
Al riguardo il Collegio rimettente evidenzia che, se e' vero che
la presunzione non puo' essere superata valorizzando lo stato
soggettivo di ignoranza del destinatario qualora questo non dipenda
da fattori esterni oggettivamente idonei ad impedire la conoscenza,
tuttavia nei casi di incolpevole incapacita' naturale non puo' essere
esclusa a priori una diversa lettura delle norme, che operi un
bilanciamento tra il legittimo affidamento dei contraenti nello
svolgimento dei rapporti negoziali e il diritto alla salute, specie
se l'applicazione rigida della presunzione di conoscenza finisca per
mortificare i diritti garantiti dagli articoli 24 e 25 della
Costituzione.
L'ordinanza interlocutoria, quindi, sollecita una rimeditazione
da parte delle Sezioni unite dell'orientamento espresso, da condurre
in un'ottica di salvaguardia dei diritti del destinatario dell'atto,
ove vengano in rilievo, da un lato, il principio della certezza dei
rapporti giuridici, dall'altro il diritto alla salute, il diritto di
difesa e, nella materia lavoristica, il diritto al lavoro.
4. L'Ufficio della procura generale, nell'illustrare le ragioni
delle conclusioni rassegnate nel senso del rigetto del ricorso,
osserva in premessa che la questione posta e' di ampio respiro,
perche' il principio di diritto da affermare, che nella specie si
pone in relazione al termine di decadenza di cui all'art. 6 della
legge n. 604 del 1966, e' destinato ad operare in tutti i casi in cui
al lavoratore e' imposto l'onere di impugnare entro un dato termine
l'atto datoriale (e' citato al riguardo l'art. 32 della legge n. 183
del 2010) nonche' in ogni ipotesi in cui viene in rilievo un atto
ricettizio.
Ricorda le ragioni sistematiche che stanno alla base della
disciplina dettata dal legislatore con riferimento agli istituti in
discussione (incapacita' naturale - art. 428 del codice civile -;
presunzione di conoscenza - art. 1335 del codice civile -;
inapplicabilita' alla decadenza delle cause di interruzione e
sospensione della prescrizione - art. 2964 del codice civile) e
sottolinea che il legislatore ha inteso assicurare la certezza dei
rapporti giuridici, da un lato equiparando la «conoscenza» alla
«astratta conoscibilita'», dall'altro rendendo quest'ultima oggetto
di presunzione iuris tantum con l'effetto di esonerare il dichiarante
dalla prova, difficile se non impossibile, della conoscenza
soggettiva dell'atto da parte del destinatario. La conoscenza di cui
all'art. 1335 del codice civile e' dunque una conoscenza di tipo
legale e non naturalistico, con la conseguenza che la stessa puo'
essere esclusa solo in presenza di un «impedimento oggettivo» che non
consenta la «conoscibilita'».
Analogamente alla tutela dell'affidamento e' ispirata la
disciplina degli atti posti in essere dall'incapace naturale e della
decadenza, che non assegna alcun rilievo allo stato di incapacita'
naturale del soggetto che deve esercitare il diritto.
Evidenzia che la diversa lettura suggerita dalla ordinanza
interlocutoria finirebbe per contrastare l'operativita' dell'istituto
della decadenza e con essa la sua ratio, che e' quella di garantire
la sicurezza e la certezza dei traffici giuridici, oltre che creare
significativi problemi di ordine pratico, legati alla necessita' di
acquisire processualmente la prova, non solo dello stato di
incapacita' naturale, ma anche, con assoluta esattezza, del momento
in cui lo stesso e' insorto, posto che nessun rilievo potrebbe essere
riconosciuto all'incapacita' sopravvenuta alla ricezione della
dichiarazione.
Rileva, in via conclusiva, che una interpretazione diversa da
quella tradizionalmente data all'art. 1335 del codice civile,
determinerebbe, non un bilanciamento tra interessi contrapposti,
bensi' il sacrificio integrale dell'autonomia negoziale e del
legittimo affidamento del dichiarante, anch'essi tutelati dall'art.
41 della Costituzione.
5. Ritengono le Sezioni unite che sia rilevante e non
manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come riformulato
dall'art. 32, comma 1, della legge 4 novembre 2010, n. 183, nella
parte in cui, nel prevedere che «Il licenziamento deve essere
impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione
della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione,
anch'essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale,...», fa
decorrere, anche nei casi di incolpevole incapacita' naturale del
lavoratore licenziato, processualmente accertata e conseguente alle
sue condizioni di salute, il termine di decadenza dalla ricezione
dell'atto anziche' dalla data di cessazione dello stato di
incapacita'.
Sulla rilevanza
6. Nello storico di lite si e' evidenziato che la Corte d'appello
di Palermo, condividendo le conclusioni alle quali il tribunale era
gia' pervenuto, ha rigettato il reclamo valorizzando unicamente la
mancata impugnazione della sanzione nel termine di decadenza previsto
dalla citata legge n. 604/1966, giacche' nella fattispecie non poteva
essere messa in dubbio la «ricezione» dell'atto, documentalmente
provata dalla sottoscrizione dell'avviso di ricevimento della lettera
raccomandata con la quale il licenziamento era stato intimato,
lettera pervenuta al domicilio dell'A... il ...
La Corte distrettuale, richiamando l'orientamento consolidato
formatosi nella giurisprudenza della Sezione lavoro di questa Corte a
partire da Cass. Sez. Lav. 25 ottobre 1982, n. 5563, ha escluso in
radice che potesse assumere rilievo, ai fini del decorso del termine
di decadenza, l'incapacita' naturale del ricevente l'atto e,
pertanto, non ha esaminato ne' la documentazione depositata dalla
ricorrente per dimostrare la momentanea incapacita' di intendere e di
volere ne' la consulenza tecnica disposta nella fase sommaria del
rito ex art. 1 della legge n. 92/2012, dalla quale era emerso che, a
partire dall'estate del ... e sino al ..., l'A... «non era in
condizioni di intendere e di volere a causa di un episodio psicotico
breve... che... non permise la formazione di una volonta' cosciente,
in particolare nel comprendere e contrastare adeguatamente il grave
pregiudizio che ne derivava dai comportamenti omissivi attuati nei
confronti del lavoro».
6.1. Poiche', dunque, la sentenza impugnata e' fondata in via
esclusiva sulla ritenuta applicabilita' dell'art. 6 della legge n.
604/1966 e sulla maturazione del termine di decadenza, che il giudice
del merito ha fatto decorrere dalla data di ricezione della lettera
di licenziamento, cosi' come previsto dalla disposizione normativa
citata, e poiche' il ricorso per cassazione censura l'esito al quale
e' pervenuta la Corte territoriale, sussiste il requisito richiesto
dall'art. 23, comma 2, della legge 11 marzo 1953, n. 87, ossia
l'effettivo e concreto rapporto di strumentalita' fra la risoluzione
della questione di legittimita' costituzionale prospettata e la
definizione del giudizio pendente dinanzi a questa Corte. Difatti,
nel rispetto dell'ordine logico e giuridico delle questioni imposto
dall'art. 276 del codice di procedura civile, la decisione
sull'idoneita' della documentazione prodotta e della consulenza
tecnica a dimostrare l'effettiva sussistenza dello stato di
incapacita' naturale nonche' l'apprezzamento di detto stato ai fini
della valutazione della responsabilita' disciplinare (secondo la
prospettazione della ricorrente anche l'illecito disciplinare sarebbe
stato commesso in assenza di imputabilita') saranno possibili solo se
ed in quanto la disposizione oggetto del giudizio incidentale venga
dichiarata incostituzionale nella parte in cui, ai fini
dell'individuazione del dies a quo e della maturazione della
decadenza, non assegna rilievo allo stato di incapacita' naturale del
ricevente l'atto.
Sulla non manifesta infondatezza
7. Si e' gia' anticipato nei punti che precedono e nello storico
di lite che la motivazione della sentenza in questa sede impugnata e'
fondata sulla ritenuta condivisione da parte della Corte territoriale
dell'orientamento consolidato espresso dalla Sezione lavoro di questa
Corte secondo cui «il termine di sessanta giorni dalla ricezione
della comunicazione dell'atto di licenziamento, che la legge 15
luglio 1966, n. 604, art. 6, fissa per l'impugnazione del
licenziamento stesso da parte del lavoratore, e' dichiaratamente ed
inequivocabilmente un termine di decadenza e come tale,
insuscettibile, a norma dell'art. 2964 del codice civile, sia di
interruzione sia, in mancanza di disposizione contraria, di
sospensione, senza che a termini dell'art. 1335 del codice civile,
possano rilevare le condizioni soggettive del destinatario, ed in
specie la sua capacita' di intendere e di volere, salva la tutela nei
limiti dell'art. 428 del codice civile. Peraltro la validita' o
l'efficacia degli atti recettizi (fra i quali rientra il
licenziamento) prescinde dall'eventuale stato di incapacita' naturale
del soggetto cui sono rivolti, atteso che la disciplina di tali atti
- in ordine ai quali il legislatore si e' dato cura di dettare regole
(art. 1335 cit.) che consentono di stabilire la certezza giuridica
della loro conoscenza da parte dei destinatari indipendentemente
dalla capacita' degli stessi di apprezzarne il valora e di
determinarsi in conseguenza - e' informata al principio
dell'affidamento e che l'art. 428 del codice civile prevede
l'annullabilita' soltanto degli atti unilaterali posti in essere
dallo stesso incapace naturale (v. Cass. 18 gennaio 1979, n. 352;
Cass. 25 ottobre 1982, n. 5563; Cass. 15 giugno 1985, n. 3612; Cass.
2 marzo 1987, n. 2197; Cass. 1° dicembre 1989, n. 5279).» (Cass. Sez.
Lav. 9 marzo 2007, n. 5545).
Si tratta, dunque, di un orientamento che, da un lato, valorizza
il chiaro tenore letterale dell'art. 6 della citata legge n.
604/1966, sia in relazione alla qualificazione del termine sia con
riferimento alla individuazione del dies a quo, fatto coincidere con
la ricezione dell'atto e non con il momento in cui dell'atto stesso
il lavoratore abbia avuto effettiva conoscenza; dall'altro richiama
la disciplina generale dell'incapacita' naturale nonche' il principio
della conoscenza legale, fissato per tutti gli atti recettizi
dall'art. 1335 del codice civile, principio con il quale la norma
lavoristica, nell'assegnare rilievo alla ricezione dell'atto, si
armonizza.
8. L'art. 1335 del codice civile e' stato costantemente
interpretato dalla giurisprudenza di questa Corte in sostanziale
adesione alla teoria cosiddetta della ricezione, secondo cui rileva
non la conoscenza in senso proprio, ma la conoscibilita' dell'atto,
ravvisata in conseguenza di una circostanza oggettivamente
verificabile, qual e' la consegna dell'atto al domicilio del
destinatario, consegna dalla quale viene desunta quella che
altrimenti, per i suoi connotati soggettivi ed individuali, sarebbe
impossibile dimostrare, ossia l'avvenuta conoscenza della
dichiarazione altrui.
E', dunque, la conoscibilita' quella che rileva, che va misurata
sempre su un piano oggettivo, e cio' costituisce il fondamento
dell'orientamento, egualmente risalente nel tempo e mai smentito,
secondo cui la prova contraria alla presunzione, che il destinatario
deve offrire per vincere la stessa, si deve muovere anch'essa su un
piano oggettivo e riguardare circostanze che attengano, non alle
condizioni soggettive del ricevente, bensi' a fattori esterni ed
oggettivi che, in quanto attinenti al collegamento del soggetto con
il luogo di consegna, siano idonei ad escludere la conoscenza nei
termini intesi dal legislatore, ossia, sostanzialmente, la
conoscibilita' dell'atto.
La conoscenza legale di cui all'art. 1335 del codice civile e',
pertanto, la risultante di un'equivalenza giuridica (che in quanto
tale non ammette prova contraria), perche' il legislatore equipara
alla conoscenza la conoscibilita', e di una presunzione iuris tantum,
che fa derivare quest'ultima dalla consegna dell'atto al domicilio
del destinatario, presunzione che puo' essere vinta dimostrando che,
per fatti oggettivi ed incolpevoli, nonostante che l'atto sia
pervenuto nel luogo di destinazione, lo stesso non sia entrato nella
sfera di conoscibilita' del destinatario. Ed e' significativo in tal
senso lo stesso tenore letterale dell'art. 1335 del codice civile
che, appunto, nell'indicare quale debba essere la prova contraria che
il destinatario della dichiarazione e' tenuto a dare, fa riferimento
alla «impossibilita' di averne notizia» e non alla conoscenza
effettiva del contenuto dell'atto ne', tanto meno, alla sua
comprensione.
8.1. L'orientamento espresso dalla Sezione lavoro, del quale
l'ordinanza di rimessione sollecita una rimeditazione, non puo'
essere superato sulla base di una diversa lettura dell'art. 1335 del
codice civile che, facendo leva sugli articoli 24, 32 e 35 della
Costituzione, attribuisca rilievo allo stato di incapacita' naturale
del richiedente per inferirne il superamento della presunzione di
conoscenza, ai fini del decorso del termine di decadenza per
l'impugnazione del licenziamento.
La disposizione del codice, applicabile a tutti gli atti
ricettizi, e' posta a presidio della certezza dei rapporti giuridici
ed esprime un preciso bilanciamento di interessi operato dal
legislatore, inerente all'intero complesso delle relazioni
obbligatorie e contrattuali, sicche' non e' predicabile una
interpretazione costituzionalmente orientata che, varcando i confini
letterali del testo, muova dalla considerazione solo di una
determinata tipologia di atti (quelli recettizi dalla cui conoscenza
decorre il termine per il compimento di un'attivita') e di interessi
che, seppure costituzionalmente rilevanti, vengono in rilievo nel
rapporto di lavoro ma non in altre relazioni giuridiche e
contrattuali, che da quella norma sono disciplinate.
Inoltre, il ritenere che lo stato di incapacita' naturale sia
idoneo ad impedire la conoscenza dell'atto, ai fini e per gli effetti
previsti dall'art. 1335 del codice civile, finirebbe per aprire la
strada alla rilevanza di situazioni meramente soggettive, minando
alla radice il principio di affidamento e di certezza dei rapporti
giuridici che e' posto alla base della previsione normativa, e si
risolverebbe, altresi', nella introduzione di una causa di
sospensione della decadenza, in violazione della disciplina dettata
dall'art. 2964 del codice civile nonche' dagli articoli 2941 e 2942
del codice civile che, sia pure con riferimento alla prescrizione,
non attribuiscono alcun rilievo all'incapacita' naturale del soggetto
tenuto al compimento dell'atto.
8.2. Escluso, quindi, che, in tema di impugnazione del
licenziamento, si possa pervenire ad attribuire rilevanza
all'incapacita' naturale del lavoratore attraverso una rilettura
dell'art. 1335 del codice civile, parimenti e' da escludere che la
tutela dell'incapace possa essere in tal caso assicurata dall'art.
428 del codice civile, che l'ordinanza interlocutoria ed il primo
motivo di ricorso evocano attraverso il richiamo alla motivazione di
Cass. Sez. 6-3 23 maggio 2018, n. 12658.
Quest'ultima disposizione, nel disciplinare l'azione di
annullamento degli atti compiuti da persona incapace di intendere e
di volere e nel distinguere, quanto alle condizioni che devono
ricorrere, l'atto unilaterale dal contratto (richiedendo per l'atto
unilaterale solo il grave pregiudizio per l'autore, per il contratto
anche la malafede dell'altro contraente), non si presta ad essere
estesa ai comportamenti omissivi, ossia all'inerzia dell'incapace
che, in ragione dell'incapacita', non agisca a tutela dei propri
diritti.
Anche in tal caso, quindi, ostano all'interpretazione
costituzionalmente orientata, che l'ordinanza di rimessione invoca,
il chiaro tenore letterale della norma e le medesime ragioni gia'
evidenziate nel punto che precede.
9. La riflessione deve, allora, rimanere circoscritta alla
disposizione che il termine di decadenza qui rilevante prevede, ossia
all'art. 6 della legge n. 604/1966 che, come gia' anticipato, al
primo comma impone al lavoratore di rendere nota al datore, con atto
scritto ed entro il termine di decadenza di sessanta giorni
decorrenti dalla ricezione della comunicazione del recesso, la
volonta' di impugnare il licenziamento. Inoltre, nel testo
riformulato dall'art. 32, comma 1, della legge 4 novembre 2010, n.
183 e successivamente modificato dall'art. 1, comma 38, della legge
28 giugno 2012, n. 92, attualmente vigente, la disposizione prescrive
che l'impugnazione stragiudiziale diviene inefficace se non seguita,
entro il successivo termine di centottanta giorni, dal deposito del
ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del
lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di
tentativo di conciliazione o arbitrato.
Si tratta, dunque, di una disciplina che, derogando a quella
generale delle azioni di nullita' e di annullamento degli atti
negoziali, persegue l'obiettivo, ritenuto dal legislatore meritevole
di tutela, di far emergere in tempi brevi il contenzioso sull'atto
datoriale (Corte costituzionale n. 14 ottobre 2020, n. 212).
9.1. Va detto subito che il tenore letterale della disposizione
in commento, assolutamente chiaro nel far decorrere il termine per
l'impugnazione dalla «ricezione» della comunicazione del
licenziamento e, quindi, dalla conoscenza legale di cui all'art. 1335
del codice civile, non consente di percorrere utilmente la strada,
invocata dalla ricorrente e suggerita dall'ordinanza interlocutoria,
della interpretazione adeguatrice, innanzitutto perche' «l'univoco
tenore della norma segna il confine in presenza del quale il
tentativo interpretativo deve cedere il passo al sindacato di
legittimita' costituzionale» (Corte costituzionale 26 novembre 2020,
n. 253), ed inoltre valgono al riguardo le considerazioni gia' svolte
al punto 8.1. quanto alle conseguenze, sul piano dei principi, di una
lettura che, per superare la presunzione di conoscenza, valorizzi
situazioni meramente soggettive.
9.2. Nell'interpretare, ad altri fini, la disposizione in parola,
queste Sezioni Unite hanno evidenziato che l'esigenza di assicurare
la certezza delle situazioni giuridiche non e' estranea al rapporto
di lavoro subordinato ed infatti «l'imposizione al lavoratore del
breve termine di decadenza entro cui l'impugnazione del licenziamento
deve essere formulata esprime l'esigenza di contemperare il diritto
del prestatore all'eliminazione delle conseguenze dell'illegittimo
recesso datoriale con l'interesse del datore di lavoro alla
continuita' e stabilita' della gestione dell'impresa ma e' da notare
che siffatta esigenza e' soddisfatta subordinando la tutela del
lavoratore alla circostanza che questi tempestivamente si attivi, si'
che in mancanza di pronta iniziativa del prestatore il diritto di
questo alla legittimita' degli atti datoriali di gestione recede a
fronte della stabilizzazione delle conseguenze del licenziamento.».
Hanno, pero', significativamente aggiunto che «tale eventuale
conseguenza non discende tuttavia dal consolidarsi degli effetti del
licenziamento illegittimo in ragione della tutela dell'affidamento
del datore di lavoro sul protrarsi dello stato di fatto che trae
origine dal licenziamento, bensi' deriva dall'esito negativo del
vaglio di concreta meritevolezza dell'interesse del lavoratore, che
non abbia tempestivamente dato impulso agli strumenti che
l'ordinamento gli appresta al fine di impugnare e caducare un atto di
gestione dell'impresa, quale il licenziamento, che sia stato posto in
essere in carenza dei relativi presupposti di legittimita'.» (Cass.
S.U. 14 aprile 2010, n. 8830).
Sulla base di detto presupposto, nonche' del rilievo dato alla
necessita' di assicurare in relazione al licenziamento «un equo e
ragionevole equilibrio degli interessi coinvolti» fra la previsione
del termine breve di decadenza (teso a garantire il consolidamento
delle situazioni giuridiche) ed il diritto del prestatore «a
conservare il posto di lavoro e a mantenere un'esistenza libera e
dignitosa (articoli 4 e 36 della Costituzione)», le Sezioni unite
sono pervenute ad estendere all'atto di impugnazione stragiudiziale
del licenziamento il principio della scissione degli effetti
processuali, che, invece, piu' in generale ed in relazione ai termini
di prescrizione nonche' ad altri termini di decadenza, si e' ritenuto
operante solo in materia processuale (Cass. S.U. 9 dicembre 2015, n.
24822).
9.3. La motivazione della pronuncia citata, seppure relativa ad
altra questione controversa che in quel caso veniva in rilievo, e'
utile per sottolineare la particolare natura degli interessi
contrapposti che vengono in rilievo rispetto all'impugnazione del
licenziamento, che trascendono quelli dei quali sono portatori nella
normalita' del diritto dei contratti i contraenti, perche' il recesso
nel contratto di lavoro incide su diritti fondamentali della persona,
piu' volte evidenziati dalla giurisprudenza costituzionale secondo
cui «L'affermazione sempre piu' netta del "diritto al lavoro" (art.
4, primo comma, della Costituzione), affiancata alla "tutela" del
lavoro "in tutte le sue forme ed applicazioni" (art. 35, primo comma,
della Costituzione), si sostanzia nel riconoscere, tra l'altro, che i
limiti posti al potere di recesso del datore di lavoro correggono un
disequilibrio di fatto esistente nel contratto di lavoro. Il forte
coinvolgimento della persona umana - a differenza di quanto accade in
altri rapporti di durata - qualifica il diritto al lavoro come
diritto fondamentale, cui il legislatore deve guardare per apprestare
specifiche tutele.» (Corte costituzionale 8 novembre 2018, n. 194)».
In altri termini «l'esercizio arbitrario del potere di
licenziamento... lede l'interesse del lavoratore alla continuita' del
vincolo negoziale e si risolve in una vicenda traumatica, che vede
direttamente implicata la persona del lavoratore» (Corte
costituzionale 24 febbraio 2021, n. 59).
9.4. E' costante l'orientamento espresso dalla Corte
costituzionale secondo cui «sebbene in materia di conformazione degli
istituti processuali il legislatore goda di ampia discrezionalita', e
il controllo di costituzionalita' debba limitarsi a riscontrare se
sia stato o meno superato il limite della manifesta irragionevolezza
o arbitrarieta' delle scelte compiute, nel relativo sindacato deve
essere verificato che il bilanciamento degli interessi
costituzionalmente rilevanti non sia stato realizzato con modalita'
tali da determinare il sacrificio o la compressione di uno di essi in
misura eccessiva e pertanto incompatibile con il dettato
costituzionale. Tale giudizio deve svolgersi proprio attraverso
ponderazioni relative alla proporzionalita' dei mezzi prescelti dal
legislatore nella sua insindacabile discrezionalita' rispetto alle
esigenze obiettive da soddisfare o alle finalita' che intende
perseguire, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni
concretamente sussistenti (ex plurimis, sentenze n. 71 del 2015, n.
17 del 2011, n. 229 e n. 50 del 2010, n. 221 del 2008 e n. 1130 del
1988; ordinanza n. 141 del 2001).» (Corte costituzionale 4 ottobre
2020, n. 212).
9.5. E' alla luce dei richiamati principi che queste Sezioni
unite dubitano della legittimita' costituzionale dell'art. 6 della
legge n. 604/1966 nella parte in cui, facendo decorrere in ogni caso
il termine di decadenza dalla data di ricezione della comunicazione
del licenziamento, preclude l'azione al lavoratore licenziato che, in
ragione dell'incolpevole stato di incapacita' di intendere e di
volere derivato da patologia fisica o psichica, non si sia attivato
nel termine di legge e l'abbia fatto, una volta recuperata la piena
capacita', tempestivamente rispetto a detto successivo momento
temporale.
In siffatta ipotesi, che e' quella prospettata nella fattispecie
(nella quale lo stato di incapacita' naturale derivante da patologia
psichica era stato documentato dalla ricorrente ed avvalorato dalla
consulenza tecnica d'ufficio disposta nella fase sommaria del
giudizio di primo grado), l'operativita' del termine di decadenza
finisce per valorizzare unicamente l'interesse della parte datoriale
al consolidamento degli effetti dell'atto adottato e per comprimere
oltre misura il diritto di azione del lavoratore, riferito al diritto
al lavoro, che la Carta costituzionale espressamente tutela agli
articoli 24, comma 1, 4, comma 1, e 35, comma 1.
La scelta espressa dal legislatore di non riconoscere meritevole
di tutela il lavoratore licenziato che non si attivi tempestivamente,
pur a fronte di un atto che coinvolge fortemente la qualita' della
vita propria e familiare, si appalesa irragionevole quando e'
riferita anche all'incapace che non abbia impugnato il recesso per
l'assoluta incolpevole incapacita' di comprendere e di
autodeterminarsi. Non operando in tal caso alcun bilanciamento, la
previsione normativa si pone in contrasto con l'art. 3 della
Costituzione, sia sotto il profilo della ragionevolezza, sia con
riferimento al principio di eguaglianza, non potendo la situazione
dell'incapace essere equiparata a quella del soggetto che tale non
e'.
9.6. L'omessa considerazione dello stato di incapacita' naturale
derivante da malattia ai fini della individuazione del dies a quo del
termine di decadenza, si pone, inoltre, in contrasto con la tutela
della salute garantita dall'art. 32, comma 1, della Costituzione
nonche', nei casi in cui la menomazione, seppure non permanente, sia
duratura (nei termini precisati da Corte di giustizia 1° dicembre
2016, Mohamed Daouidi, in causa c- 395/15) con gli articoli 117 e 11
della Costituzione, perche' si risolve in una discriminazione in
danno della persona disabile, in violazione degli obblighi imposti
dalla Convenzione O.N.U del 13 dicembre 2006, ratificata con legge 3
marzo 2009, n. 18, e dalla direttiva 2000/78/CE, che impongono, fra
l'altro, di assicurare al disabile l'esercizio dei propri diritti
(art. 27, lettera c, della Convenzione) e di adottare misure adeguate
per ovviare agli svantaggi provocati dalla applicazione di una
disposizione che, seppure apparentemente neutra, determina una
disparita' con gli altri lavoratori.
10. L'intervento additivo che si sollecita non appare a queste
Sezioni unite in se' incoerente con la disciplina generale dettata in
tema di decadenza dall'art. 2964 del codice civile perche' la norma,
pur escludendo che possano operare le cause di sospensione della
prescrizione, fa salve disposizioni speciali, disposizioni che il
legislatore, in effetti, ha dettato con riferimento a singole azioni
(articoli 245, 489 del codice civile), in considerazione della
particolare natura del diritto al quale il termine di decadenza si
riferisce e, quindi, per ragioni che, tenuto conto di quanto
osservato al punto 9.2., possono essere ritenute ricorrenti anche in
relazione all'impugnazione del licenziamento, ossia ad un atto che
coinvolge direttamente la persona del lavoratore e pone in
discussione interessi che trascendono quelli meramente economici
rilevanti nei rapporti contrattuali di durata.
Nei casi sopra citati il legislatore ha ritenuto di dover
attribuire rilievo allo stato di incapacita' legale del titolare del
diritto ed e' significativo che, chiamata a pronunciare sull'art. 245
del codice civile, nel testo antecedente alla riformulazione operata
dal decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154, la Corte
costituzionale abbia equiparato all'incapacita' legale quella
naturale derivante da grave infermita' di mente, finche' la stessa
perduri (Corte costituzionale 25 novembre 2011, n. 3229),
sottolineando, peraltro, la necessita' di offrire nel processo la
prova rigorosa di detto stato e della sua durata.
Analoga precisazione puo' valere nella fattispecie, per escludere
il rischio paventato dal pubblico ministero nelle sue conclusioni,
sicche', ad avviso di queste Sezioni unite, la questione, nei termini
prospettati, non mina il principio della certezza dei rapporti
giuridici, perche' la diversa decorrenza del termine di impugnazione
richiedera' che nel processo la parte, oltre a dimostrare lo stato di
assoluta incapacita' di intendere e di volere sussistente al momento
della ricezione della comunicazione del licenziamento, fornisca anche
la prova della data in cui lo stesso e' cessato.
11. In via conclusiva, il Collegio ritiene non manifestamente
infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 6 della legge
n. 604/1966 nei termini sopra prospettati e, pertanto, dispone la
sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte
costituzionale.
P. Q. M.
La Corte, a Sezioni unite, visti gli articoli 134 della
Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 dichiara rilevante
e non manifestamente infondata, in riferimento agli articoli 3, 4,
32, 35, 11, 117 della Costituzione, la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604 nella
parte in cui, nel prevedere che «Il licenziamento deve essere
impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione
della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione,
anch'essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, ...», fa
decorrere, anche nei casi di incolpevole incapacita' naturale del
lavoratore licenziato, processualmente accertata e conseguente alle
sue condizioni di salute, il termine di decadenza dalla ricezione
dell'atto anziche' dalla data di cessazione dello stato di
incapacita';
Dispone la sospensione del presente giudizio;
Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia
notificata alle parti del giudizio di cassazione, al pubblico
ministero presso questa Corte ed al Presidente del Consiglio dei
ministri;
Ordina, altresi', che l'ordinanza venga comunicata dal
Cancelliere ai Presidenti delle due Camere del Parlamento;
Dispone l'immediata trasmissione degli atti, comprensivi della
documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte
notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale.
Ai sensi dell'art. 52 del decreto legislativo n. 196 del 2003
andranno omesse, in caso di diffusione, le generalita' e gli altri
dati identificativi della ricorrente.
Cosi' deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 luglio
2024
La Presidente: Cassano