Reg. ord. n. 222 del 2024 pubbl. su G.U. del 04/12/2024 n. 49

Ordinanza del Tribunale di Firenze  del 24/09/2024

Tra: A. D. e altri



Oggetto:

Reati e pene – Abrogazione dell’art. 323 del codice penale (Abuso d'ufficio) – Inosservanza degli obblighi internazionali, in relazione agli artt. 7, paragrafo 4, 19 e 65, paragrafo 1, della Convenzione ONU contro la corruzione del 2003 (cosiddetta Convenzione di Merida) – Violazione dei principi di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione.



Norme impugnate:

legge  del 09/08/2024  Num. 114  Art.  Co. 1 lett. b)



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art. 11 

Costituzione  Art. 97 

Costituzione  Art. 117   Co.

Convenzione ONU contro la corruzione del 2003  Art.  Co.

Convenzione ONU contro la corruzione del 2003  Art. 19 

Convenzione ONU contro la corruzione del 2003  Art. 65   Co.



Udienza Pubblica del 7 maggio 2025 rel. VIGANÒ


Testo dell'ordinanza

N. 222 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 settembre 2024

Ordinanza  del  24  settembre  2024  del  Tribunale  di  Firenze  nel
procedimento penale a carico di A.D. e altri. 
 
Reati e pene - Abrogazione dell'art. 323  del  codice  penale  (Abuso
  d'ufficio). 
- Legge 9 agosto 2024, n. 114 (Modifiche al codice penale, al  codice
  di  procedura  penale,  all'ordinamento  giudiziario  e  al  codice
  dell'ordinamento militare), art. 1, comma 1, lettera b). 


(GU n. 49 del 04-12-2024)

 
                        TRIBUNALE DI FIRENZE 
                         Sezione III Penale 
 
    Il Tribunale di Firenze,  III  Sezione  Penale,  in  composizione
collegiale, composta dai magistrati: 
        dott.ssa Paola Belsito, Presidente; 
        dott. Alessio Innocenti, Giudice rel.-est.; 
        dott.ssa Anna Aga Rossi, Giudice onorario; 
    Nel procedimento nei confronti di: 
        1) D.A. nata a ... il ... elettivamente domiciliata presso lo
studio dei difensori; ... libera, presente; 
        assistita e difesa di fiducia dagli avv.ti Nicola Di Mario F.
Michele Nannarone del Foro di Perugia; 
        2) L.C. nato a ... il ... con domicilio  dichiarato  in  ...,
... libero, presente; 
        assistito e difeso di fiducia dall'avv. Donatella Donati  del
Foro di Perugia; 
        3) G.O. nato a ... il ... elettivamente domiciliato presso lo
studio del difensore; ... libero, presente; 
        assistito e difeso di fiducia dall'avv. Nicola Di  Mario  del
Foro di Perugia; 
        4) C.C. nato a ... il ... con domicilio dichiarato in  ...  ;
... libero, assente ex art. 420-bis c.p.p.; 
        assistito e difeso di fiducia dagli avv.ti Franco  Coppi  del
Foro di Roma ed Ubaldo Minelli del Foro di Perugia; 
        5) R.V. nato a ... il ... elettivamente domiciliato presso lo
studio dell'avv. Incardona; ... libero, presente; 
        assistito e difeso di fiducia dall'avv. Mario  Incardona  del
Foro di Torino; 
        6) G.P. nato a... il ... con domicilio dichiarato  presso  il
suo studio in ... ; ... libero, presente; 
        assistito e difeso di fiducia dagli  avv.ti  Francesco  Maria
Falcinelli del Foro di Perugia e Giovanni Flora del Foro di Firenze; 
    Procedimento nel quale  risulta  persona  offesa  non  costituita
parte civile: 
        Ministero  della  giustizia  in  persona  del  Ministro   pro
tempore; 
    Procedimento nel quale  risultano  danneggiati  costituiti  parte
civile: 
        ..., nata a ... il ..., quale erede di ... (deceduto a ... il
...) costituita tramite difensore munito di procura speciale a  mezzo
e col ministero dell'avv. Antonio D'Avirro del Foro di  Firenze,  nei
confronti degli imputati D.A., G.O., L.C. e C.C., in ordine ai  fatti
loro rispettivamente ascritti ai capi  3),  4)  e  5)  della  rubrica
(nell'atto di costituzione di parte civile si fa riferimento anche  a
... , gia' imputato in ordine al reato a lui  ascritto  al  capo  7),
soggetto prosciolto e dunque oggi non imputato); 
        ..., nato a ... il ..., costituito tramite  difensore  munito
di procura speciale a mezzo e col ministero dell'avv. Manlio Morcella
Foro di Roma nei confronti degli imputati D.A., G.O., L.C. e C.C., in
ordine ai fatti loro rispettivamente ascritti ai capi  3),  4)  e  5)
della rubrica (nell'atto  di  costituzione  di  parte  civile  si  fa
riferimento anche a ..., gia' imputato  in  ordine  al  reato  a  lui
ascritto al capo 7), soggetto prosciolto e dunque oggi non imputato); 
        ...,  (P.  IVA  ...),  con  sede  in  ...,  in  persona   del
liquidatore  ...  costituita  tramite  difensore  munito  di  procura
speciale a mezzo e col ministero dell'avv.  David  Brunelli  Foro  di
Perugia nei confronti degli imputati D.A.,  G.O.,  L.C.  e  C.C.,  in
ordine ai fatti loro rispettivamente ascritti ai capi  3),  4)  e  5)
della rubrica (nell'atto  di  costituzione  di  parte  civile  si  fa
riferimento anche a ..., gia' imputato  in  ordine  al  reato  a  lui
ascritto al capo 7), soggetto prosciolto e dunque oggi non imputato); 
        ..., (P. IVA ...), con sede in ..., in persona  del  l.r.p.t.
..., costituita tramite difensore munito di procura speciale a  mezzo
e col ministero dell'avv. Fabiola Susanna Caroli del Foro di Roma nei
confronti degli imputati D.A., G.O., L.C. e C.C., in ordine ai  fatti
loro rispettivamente ascritti ai capi 3), 4) e 5) della rubrica; 
        ..., (P. IVA ...), con sede in ..., in persona  del  l.r.p.t.
..., costituita tramite difensore munito di procura speciale a  mezzo
e col ministero dell'avv. Fabiola Susanna Caroli del Foro di Roma nei
confronti degli imputati D.A., G.O., L.C. e C.C., in ordine ai  fatti
loro rispettivamente ascritti ai capi 3), 4) e 5) della rubrica; 
        ..., (P. IVA ...), con sede in ..., in persona  del  l.r.p.t.
..., costituita tramite difensore munito di procura speciale a  mezzo
e col ministero dell'avv. Fabiola Susanna Caroli del Foro di Roma nei
confronti degli imputati D.A., G.O., L.C. e C.C., in ordine ai  fatti
loro rispettivamente ascritti ai capi 3), 4) e 5) della rubrica; 
        ..., nato a ..., in proprio e quale l.r.p.t. di ..., (P.  IVA
...), con sede in ..., costituiti tramite difensore munito di procura
speciale a mezzo e col ministero dell'avv. Paolo Casucci del Foro  di
Roma nei confronti degli imputati D.A., G.O., L.C. e C.C., in  ordine
ai fatti loro rispettivamente ascritti ai capi  3),  4)  e  5)  della
rubrica; 
        ..., nato a  ...,  costituito  tramite  difensore  munito  di
procura speciale a mezzo e col ministero  dell'avv.  Luca  Maori  del
Foro di Perugia nei confronti degli imputati D.A., G.O., R.V. e G.P.,
in ordine ai fatti loro rispettivamente ascritti  al  capo  6)  della
rubrica; 
        ..., nata  a  ...,  quale  erede  di  ...  (deceduto  a  ...)
costituita tramite difensore munito di procura speciale a mezzo e col
ministero  dell'avv.  Antonio  D'Avirro  del  Foro  di  Firenze,  nei
confronti degli imputati D.A., G.O., L.C. e C.C., in ordine ai  fatti
loro rispettivamente ascritti ai capi 3), 4) e 5) della rubrica; 
    Procedimento  nel  quale  risulta  costituito  come  responsabile
civile: 
        Presidenza del Consiglio dei  ministri  costituita  con  atto
depositato il 21 settembre 2021 per il tramite dell'Avvocatura  dello
Stato in persona dell'avv. Gianni Cortigiani (Avv. distrettuale dello
Stato) e dell'avv. Donatella Briganti (Procuratore dello Stato); 
    Premesso che: 
        con decreto che dispone il giudizio  emesso  dal  G.U.P.  del
Tribunale di Firenze all'esito dell'udienza preliminare conclusa il 2
marzo 2021 gli  odierni  imputati  venivano  tratti  a  giudizio  per
rispondere dei reati loro rispettivamente ascritti; 
        il processo si apriva avanti al collegio  all'udienza  del  4
maggio 2021; 
        il complesso e delicato dibattimento - svoltosi presso questa
sede giudiziaria fiorentina in ragione della competenza funzionale  e
territoriale ex art. 11 c.p.p., essendo imputato, tra gli  altri,  un
magistrato gia' in servizio presso la  Procura  della  Repubblica  di
Perugia  (dapprima  avente  funzioni  di  sostituto   procuratore   e
successivamente di procuratore aggiunto) - veniva celebrato nel corso
degli  ultimi  tre  anni  in  circa  quaranta  udienze  appositamente
dedicate (di cui ben quattro riservate al solo esame della principale
imputata) e con l'escussione di oltre ottanta persone tra  testimoni,
periti e consulenti; 
        in fase di discussione finale ex art.  523  c.p.p.,  iniziata
con la requisitoria del pubblico ministero all'udienza del  3  maggio
2024 e proseguita all'udienza del  9  settembre  2024,  alla  ripresa
dell'ordinaria attivita' giudiziaria dopo la sospensione del  periodo
feriale e di un impedimento di  lunga  durata  della  Presidente  del
collegio, si e' preso atto della  intervenuta  abrogazione  dell'art.
323 c.p. a mezzo dell'art. 1, comma  1,  lettera  b)  della  legge  9
agosto 2024, n. 114, delitto contestato al capo 5) di rubrica; 
        l'avv. Manlio Morcella, patrono della parte civile  ...,  con
apposita articolata memoria depositata ed illustrata all'udienza  del
9  settembre  2024,  ha  sottoposto  al  collegio  una  questione  di
legittimita' costituzionale per violazione  degli  artt.  11  e  117,
comma 1 della Costituzione in relazione all'art. 19 della Convenzione
delle Nazioni Unite del 2003 contro la corruzione (cd. Convenzione di
Merida, adottata dalla Assemblea generale dell'ONU il 31 ottobre 2003
con risoluzione a. 58/4, firmata dallo Stato italiano il  9  dicembre
2003, oggetto di ratifica ed esecuzione in Italia con legge 3  agosto
2009, n. 116) e all'art. 31 della Convenzione di Vienna  sul  diritto
dei trattati; 
        il Tribunale, sentite le altre parti processuali, invitava le
parti  a  concludere  anche  nel  merito  delle  accuse  elevate  nel
processo, riservandosi  di  vagliare  la  questione  di  legittimita'
sottoposta al collegio nella  Camera  di  consiglio  fissata  per  la
decisione del processo nel merito, cosi' da poter delibare  in  vista
della imminente (ma non ancora maturata, per quanto si  dira'  oltre)
prescrizione proprio del reato contestato al capo 5) di rubrica; 
        con ordinanza emessa  in  data  odierna  venivano  stralciate
dall'originario procedimento n. 1720/2021  r.g.  dib.,  le  posizioni
degli imputati in epigrafe indicati con  riferimento  ai  reati  loro
contestati ai capi 3), 4), 5)  e  6),  del  decreto  che  dispone  il
giudizio; 
 
                          Osserva e Rileva 
 
I. Rilevanza della questione di legittimita' costituzionale 
    Deve,  anzitutto,  valutarsi  la  rilevanza  della  questione  di
legittimita' nel presente giudizio penale:  valgano  a  tal  fine  le
seguenti considerazioni in fatto ed in  diritto  che  -  e'  doveroso
precisarlo - lasciano  impregiudicata  ogni  valutazione  nel  merito
delle accuse elevate dal pubblico ministero, che il Tribunale riserva
di svolgere alla ripresa del giudizio, nell'ambito della sentenza che
definira' il processo; sara' quella la sede deputata  a  vagliare  le
argomentate conclusioni delle difese degli imputati che sulla base di
complesse questioni giuridiche ed  una  approfondita  disamina  delle
risultanze istruttorie, hanno invocato in tesi  una  assoluzione  nel
merito. 
    Per una piu' efficace  e  completa  esposizione  della  rilevanza
delle questioni di legittimita' sollevate - che verranno approfondite
oltre - giova premettere alcuni cenni sui  diversi  reati  contestati
nell'ambito del presente  procedimento  che,  come  sopra  detto,  e'
iscritto  a  seguito  di  stralcio  dal  proc.  n.   1720/2021   dib.
(nell'ambito delle quali si sono definite le posizioni di  altri  due
soggetti e di quelle degli odierni imputati con riferimento ai  reati
contestati ai capi 1) e 2) di rubrica). 
    Originariamente,  infatti,  tre  erano  i  «filoni   processuali»
sottoposti alla cognizione di questo Tribunale;  filoni  che,  a  ben
vedere, avevano ad oggetto vicende tra loro sostanzialmente autonome,
peraltro collocate in  momenti  temporali  piuttosto  distanti  l'uno
dall'altro,  sebbene   accomunate   da   una   parziale   coincidenza
soggettiva,  in  ragione  del  coinvolgimento  degli  imputati   D.A.
(chiamata a rispondere dei diversi reati ascritti nella sua  qualita'
di magistrato del pubblico ministero in servizio  presso  la  Procura
della Repubblica di Perugia) e G.O. (accusato dei diversi delitti  in
contestazione  nella  sua  qualita'  di  appartenente  all'Arma   dei
Carabinieri, prima in servizio presso il reparto Ros ..., poi  presso
il Nucleo Tutela Patrimonio Culturale), quest'ultimo qualificato come
«stabile collaboratore nelle attivita'  di  ufficio  (avendo  con  la
predetta D.A. anche una stabile relazione personale)» (capi 1 e 2)  e
«stabile collaboratore, nelle attivita' di  ufficio,  del  magistrato
D.A. (avendo con la stessa anche una duratura  relazione  personale)»
(capo 6). 
 
                                 §§§ 
 
    Il primo «filone processuale» era quello riguardante la nomina  e
liquidazione dei consulenti nominati in diversi  procedimenti  penali
iscritti presso la Procura della Repubblica di Perugia, riferibili al
magistrato dott.ssa D.A., odierna  imputata,  nell'ambito  del  quale
erano contestati i reati di peculato continuato mediante induzione in
errore ex artt. 314, 48, 110, 81 c.p., (ascritto agli imputati  D.A.,
G.O., S.F., P.I.) (capo 1) e di concussione continuata ex art. 317  e
81 c.p. (contestato al solo imputato G.O.) (capo 2). 
    Si e' gia' detto che tali capi di imputazioni sono stati definiti
nell'ambito del procedimento principale n. 1720/2021 dib., di cui  il
presente e' stralcio. 
 
                                 §§§ 
 
    Il  secondo  «filone  processuale»  -  quello   senz'altro   piu'
complesso ed articolato del dibattimento e certamente «toccato» dalla
recente abrogazione dell'art. 323 c.p. - e' costituito dalle  vicende
legate ai procedimenti penali  instaurati  presso  la  Procura  della
Repubblica  di  Perugia  e  condotti  dalla  dott.ssa  D.  su  alcuni
esponenti della famiglia ..., ovvero ... ed il  di  lui  figlio  ...,
rappresentanti di uno dei quattro rami della nota  famiglia  eugubina
operante nel settore del cemento [gli altri rami fanno  capo  ai  tre
fratelli di ..., ovvero ..., e C.  (quest'ultimo  odierno  imputato),
ciascuno dei quali e' detentore del 25% delle quote della  Holding  «
... » - per il valore di centinaia di milioni di euro - a  sua  volta
controllante o partecipante di numerose societa', la piu'  importante
delle quali e' « ... »]. 
    Nell'ambito di tale secondo «filone» sono contestati  i  seguenti
reati: 
        rivelazione di  segreto  d'ufficio  continuata  ex  artt.  81
c.p.v. e 326 c.p., contestato alla  sola  D.A.,  per  avere  -  nella
qualita' di magistrato in servizio presso la Procura della Repubblica
in  Perugia  incaricato  delle  indagini  preliminari   inerenti   il
procedimento penale r.g. 7440/2016 nei confronti  di  ...  e  ...  in
ordine ai reati di cui agli artt. 640, comma secondo c.p., 2621 c.c.,
216 L.F. - rivelato a G.O., e, per il tramite del  predetto,  a  ...,
notizie segrete  e  non  divulgabili  relative  a  tale  procedimento
penale; reato che si assume commesso « ... » (capo 3); 
        rivelazione di  segreto  d'ufficio  continuata  ex  artt.  81
c.p.v. e 326 c.p., contestato a D.A., G.O., L.C. e  C.C.,  per  avere
gli imputati - in concorso tra loro e  nelle  rispettive  qualita'  -
rivelato notizie segrete e non divulgabili relative  al  procedimento
penale; r.g. 7440/2016 nei confronti di ... in ordine ai reati di cui
agli  artt.  640,  comma  secondo  c.p.,  2621  c.c.,  216  L.F.   In
particolare, gli imputati D.A., G.O., L.C. sono accusati,  di  avere,
su istigazione di C.C.: 
          «fatto visionare a  ...  (dipendente  della  spa  "  ...  "
amministrata da C.C.) le consulenze tecniche redatte  dal  rag.  ...,
[...] le trascrizioni di conversazioni telefoniche intercettate, e la
nota redatta dalla Guardia di Finanza di Perugia»; 
          comunicato «a C.C. che sarebbe stato adottato provvedimento
di sequestro preventivo di urgenza della quota della srl " ...  "  di
proprieta' della srl " ... "» (capo 4); 
        abuso d'ufficio continuato in concorso ex artt. 81, 323,  110
c.p. contestato a D.A., G.O., L.C. e C.C., (capo 5). 
    Analizzando la complessa ed articolata imputazione sub 5)  emerge
che la condotta contestata e' quella  di  avere  gli  imputati  -  in
concorso tra loro e nelle rispettive qualita' - concordato «contenuti
e tempistica dell'emissione di un  decreto  di  sequestro  preventivo
d'urgenza, materialmente predisposto ed adottato dalla  predetta  D.,
della quota della srl " ... ", di proprieta' della srl " ... "»; cio'
in violazione di legge ed in particolare - quanto al magistrato  D.A.
- «degli artt. 7 e 238 del regio decreto 16 marzo 1942, n.  267,  che
prevedono l'avvio delle indagini preliminari per i reati fallimentari
solo ove sia presentata richiesta di fallimento, dell'art.  326  c.p.
come descritto nelle imputazioni sub 3 e 4, dell'art. 1  del  decreto
legislativo n. 109/2006 (dovere  di  imparzialita')»  -  quanto  agli
Ufficiali di PG G.O. e L.C. - «dell'art. 3,  decreto  del  Presidente
della Repubblica 16 aprile 2013, n.  62  (dovere  di  imparzialita'),
dell'art. 326 c.p. come descritto nell'imputazione sub 4». 
    I ruoli e le specifiche condotte concorsuali ascritti ai  singoli
imputati  concorrenti  nel  reato  di  abuso  d'ufficio  sono   cosi'
dettagliate  nella  articolata  imputazione:  «D.A.,  magistrato   in
servizio presso la Procura della  Repubblica  in  Perugia  incaricato
delle indagini  preliminari  inerenti  il  procedimento  penale  r.g.
7440/2016 nei confronti di ... in ordine ai reati di cui  agli  artt.
640, comma secondo c.p., 2621 c.c., 216 L.F.; [ ... ]  G.O.  e  L.C.,
appartenenti all'Arma dei Carabinieri, quando entrambi  avevano  gia'
cessato di fare parte del reparto  Ros  Perugia,  organo  di  polizia
giudiziaria   delegato   alle   indagini   nell'ambito   del   citato
procedimento (essendo stato G. trasferito al Nucleo Tutela Patrimonio
Culturale dal ..., e essendo transitato L. ai servizi di informazione
dal ...) [ ... ] avendo C.C. istigato i concorrenti». 
    L'evento del reato, intenzionalmente perseguito  dagli  imputati,
e'  identificato  nell'imputazione  in  «un   ingiusto   danno   agli
imprenditori ..., essendo stato emesso tale provvedimento (il ...) al
solo scopo di impedire l'erogazione di finanziamenti  in  favore  dei
predetti imprenditori» e  nel  contestuale  e  correlativo  «ingiusto
vantaggio  patrimoniale  a  C.C.,   favorendolo   nel   progetto   di
acquisizione di dette quote; avendo C.C. istigato i concorrenti». 
    Il terzo  «filone  processuale»  e'  quello  rappresentato  dalle
vicende riguardanti l'imprenditore  R.V.  e  legate  ai  procedimenti
penali che lo  vedevano  coinvolto  (come  indagato  o  come  persona
offesa/denunciante) instaurati presso la Procura della Repubblica  di
Perugia (e condotti dalla dott.ssa D.A.), o comunque pendenti  avanti
ad altre Autorita' giudiziarie. 
    Nell'ambito di tale terzo ed ultimo «filone» processuale  e',  in
particolare, contestato il reato di corruzione in atti giudiziari  in
concorso  ex  artt.  110  e   319-ter   c.p.   agli   imputati   D.A.
(magistrato/pubblico ufficiale  che  avrebbe  posto  in  essere  atti
contrari  ai  doveri  d'ufficio),  G.O.  (operante   ROS,   ricevente
utilita'),  G.P.  (avvocato  del  Foro  di  Perugia,  concorrente   e
facilitatore) e R.V. (imprenditore/corruttore/beneficiario degli atti
contrari in ipotesi ai doveri d'ufficio posti  in  essere  dalla  D.)
(capo 6). 
    Analizzando piu' approfonditamente  l'imputazione  (e  procedendo
anche ad una ricostruzione della stessa, stante  la  sua  particolare
complessita', lunghezza ed articolazione) si  puo'  cogliere  che  il
pubblico ministero contesta agli odierni imputati  di  aver  concorso
tra  loro  nella  perpetrazione  del  reato  di  corruzione  in  atti
giudiziari commesso «in ... » (ma con inizio delle condotte  al  ...)
cosi' caratterizzato: 
        il primo soggetto  intraneus  e'  da  individuarsi  in  G.O.,
[pubblico  ufficiale,  «appartenente  all'Arma  dei  Carabinieri   in
servizio al Ros di Perugia, stabile collaboratore, nelle attivita' di
ufficio, del magistrato D.A. (avendo con la stessa anche una duratura
relazione personale), in servizio presso la Procura della  Repubblica
in  Perugia,  incaricata  delle  indagini  preliminari  inerenti   il
procedimento penale r.g. 13076/2008 (successivamente r.g. 1376/2010)»
ricevente le utilita' illecite fornite dal privato corruttore R.  «in
piu' occasioni, somme di denaro per un totale di euro  108.000,00  ed
altre utilita' consistenti nel pagamento di viaggi all'estero»; 
        altro soggetto intraneus e' rappresentato dalla imputata D.A.
[quale munus publicum che avrebbe commesso atti  contrari  ai  doveri
d'ufficio o, comunque, favorevoli  per  il  R.,  alla  quale  non  e'
contestata la ricezione di alcuna utilita' «in proprio»]; 
        l'extraneus/corruttore  e'  l'imprenditore   R.V.   [soggetto
datore, in favore del G., di «somme di denaro per un totale  di  euro
108.000,00 ed altre utilita'  consistenti  nel  pagamento  di  viaggi
all'estero» quale  sottoposto  ad  indagini  dalla  A.G.  di  Perugia
nell'ambito  del  proc.  «r.g.   13076/2008   (successivamente   r.g.
1376/2010) nei confronti dell'imprenditore R.V. ed altri, relativo ai
reati di cui agli artt. 416 e 640-bis c.p.», e  dalla  A.G.  di  Roma
nell'ambito  «del  procedimento  r.g.  23266/2011   (poi   8017/2013)
pendente presso la Procura della Repubblica in Roma per il  reato  di
bancarotta fraudolenta (fallimento Procogen); soggetto,  il  R.,  che
sarebbe stato favorito dall'attivita' illecita posta  in  essere  dal
magistrato in violazione dei doveri d'ufficio, tenuto conto che: 
          a)  il  procedimento  penale   perugino   r.g.   13076/2008
(successivamente r.g. 1376/2010) sopra indicato  veniva  definito  in
senso a lui favorevole  direttamente  dalla  D.  tramite  «(richiesta
archiviazione in data 6  febbraio  2010),  dopo  avere  personalmente
effettuato, in data ..., un atto a sorpresa (ispezione locale  presso
l'abitazione dell'indagato R.) in realta' concordato con il  predetto
R., che era stato preavvisato»; 
          b) lo stesso pubblico ministero di  Perugia  «con  nota  10
ottobre 2012 trasmetteva tale memoria al pubblico ministero di  Roma,
titolare del procedimento r.g. 23266/2011 (poi 8017/2013), unitamente
alla richiesta di archiviazione di cui al procedimento r.g. 1376/2010
sopra  indicato;  tanto   che   il   pubblico   ministero   di   Roma
successivamente   procedeva   a   richiedere   l'archiviazione    del
procedimento limitatamente alla posizione del R.»; 
          c) il procedimento per danno erariale pendente avanti «alla
Procura regionale presso la Sezione giurisdizionale  per  la  Regione
Umbria della Corte dei conti  che,  -  nell'ambito  del  procedimento
2011/0860  avviato  nei  confronti  di  R.,  difeso  da  G.P.,  aveva
richiesto, nel novembre 2012, al  Nucleo  di  Polizia  Tributaria  la
trasmissione  di  copia  della  documentazione  delle  attivita'   di
indagine nei confronti di R.» si concludeva favorevolmente per il  R.
in data ... con  «provvedimento  di  archiviazione  motivato  proprio
sulla mancata trasmissione della documentazione predetta»]; 
        l'avvocato G.P.  avrebbe  assunto  il  ruolo  di  concorrente
eventuale extraneus nel reato ex  art.  110  c.p.;  egli,  nella  sua
qualita' di difensore del  R.,  avrebbe  d'intesa  con  la  D.  e  in
concorso con R., redatto una memoria formalmente  riferibile  a  ...,
«memoria  favorevole  al  R.,  redatta  dallo  stesso  R.  e  da  G.,
depositata  dal  ...  all'esito  di   interrogatorio   (appositamente
concordato con G. e R.) tenuto  in  data  [  ...  ]  nell'ambito  del
procedimento r.g. 12590/2010 di cui  era  assegnataria  iscritto  nei
confronti di ... su querela di R. avente ad oggetto  condotte  niente
affatto concernenti la societa' fallita ... »; cio' «con l'intento di
facilitare la favorevole definizione, per  il  R.,  del  procedimento
r.g. 23266/2011 (poi 8017/2013)  pendente  presso  la  Procura  della
Repubblica in Roma per il reato di bancarotta fraudolenta (fallimento
...)», procedimento in cui erano co-indagati sia ..., che R.]; va poi
evidenziato che nell'articolata  imputazione  il  pubblico  ministero
segnala in modo evocativo un ulteriore dato (che non pare assurgere a
vera e propria contestazione  di  una  condotta  concorsuale,  quanto
piuttosto la messa in evidenza di un elemento  rilevante  a  fini  di
giudizio), ovvero  che  avanti  «alla  Procura  regionale  presso  la
Sezione giurisdizionale per la Regione Umbria della Corte dei conti [
... ] nell'ambito del procedimento 2011/0860 avviato nei confronti di
R.» quest'ultimo era «difeso da G.P.»; 
        l'accordo corruttivo (c.d. pactum sceleris) e' descritto solo
in via implicita nel capo 6)  di  rubrica,  dal  quale  non  emergeva
all'inizio del processo in modo inequivoco e diretto se questo avesse
coinvolto, oltre evidentemente  al  privato  imprenditore  R.  (quale
ipotizzato corruttore), uno solo  o  piuttosto  entrambi  i  pubblici
ufficiali G. e D.; non era,  cioe',  inequivocabilmente  espresso  se
fosse o meno contestata una corruzione in atti giudiziari intervenuta
tra il magistrato e l'imprenditore, con un ruolo del G. (in ogni caso
titolare della qualifica soggettiva di  pubblico  ufficiale  che  gli
avrebbe consentito, in astratto, di essere  individuato  quale  parte
necessaria  dell'accordo  bilaterale   corruttivo)   di   concorrente
eventuale,  in  ragione  dell'attivita'  di   intermediazione   nella
conclusione del patto e del conseguimento delle utilita' (ipotesi  in
astratto certamente  configurabile,  tenuto  conto  che  i  reati  di
corruzione prevedono la possibilita' che l'utilita' sia  accettata  o
ricevuta dal pubblico ufficiale corrotto «per se' o per  un  terzo»);
tale aspetto, come si dira' oltre,  e'  stato  pero'  chiarito  dalle
emergenze dibattimentali e dalle interlocuzioni delle parti nel corso
dell'istruttoria e della discussione finale; 
        gli atti costituenti violazione dei doveri d'ufficio  o  che,
comunque, anche laddove conformi ai predetti doveri,  costituirebbero
attuazione  dell'ipotizzato  accordo  corruttivo   sono   dettagliati
nell'articolata imputazione laddove si ascrive alla imputata D.A., le
seguenti condotte: 
          «... definiva favorevolmente per R. il procedimento  penale
sopra indicato (richiesta archiviazione in  data  6  febbraio  2010),
dopo avere personalmente effettuato, in data ..., un atto a  sorpresa
(ispezione locale presso l'abitazione dell'indagato  R.)  in  realta'
concordato con il predetto R., che era stato preavvisato; 
          ...  ometteva  di  provvedere  in  ordine  alla  richiesta,
avanzata in data ... dal Nucleo Polizia Tributaria della  Guardia  di
Finanza di Perugia, di autorizzazione  a  fini  fiscali  degli  esiti
dell'attivita' di indagine  acquisita  nell'ambito  del  procedimento
sopra indicato, non rispondendo in alcun modo alla richiesta, neppure
dopo l'archiviazione di tale procedimento; 
          ... avviava, in data ..., nei  confronti  del  luogotenente
... appartenente  al  Nucleo  Polizia  Tributaria  della  Guardia  di
Finanza  di  Perugia,  che  aveva  svolto  le  indagini  su  R.,   il
procedimento penale 12011/2012, nell'ambito del quale, in  data  ...,
procedeva all'acquisizione della documentazione di tutte le attivita'
di indagine  svolte  nei  confronti  di  R.  dal  Nucleo  di  Polizia
Tributaria predetto; 
          ...  con  la  conseguenza  che  tale  organo   di   polizia
giudiziaria non era in grado, anche per l'assenza  di  autorizzazione
da parte della stessa D., di rispondere  positivamente  alla  Procura
regionale presso la Sezione giurisdizionale  per  la  Regione  Umbria
della Corte dei conti che, - nell'ambito del  procedimento  2011/0860
avviato nei confronti di R., difeso da G.P. -, aveva  richiesto,  nel
..., al Nucleo di Polizia Tributaria la trasmissione di  copia  della
documentazione delle attivita' di indagine nei confronti di R.; 
          ...  con  la  ulteriore  conseguenza  che  il   Procuratore
regionale presso la Sezione giurisdizionale  per  la  Regione  Umbria
della  Corte  dei  conti  adottava  in  data  ...,  provvedimento  di
archiviazione  motivato  proprio  sulla  mancata  trasmissione  della
documentazione predetta; il procedimento  penale  nei  confronti  del
luogotenente ...  veniva  definito  con  richiesta  di  archiviazione
soltanto in data 13 aprile 2015; 
          ... con l'intento di facilitare la favorevole  definizione,
per il R., del procedimento r.g. 23266/2011 (poi 8017/2013)  pendente
presso la Procura della Repubblica in Roma per il reato di bancarotta
fraudolenta  (fallimento  ...),  nell'ambito  del  procedimento  r.g.
12590/2010 di cui era assegnataria iscritto nei confronti di  ...  su
querela di R. avente ad oggetto condotte niente  affatto  concernenti
la societa' fallita ..., concordava con il predetto R. e con  il  suo
difensore avv. G.P. la predisposizione di una memoria  da  parte  del
coindagato ...; memoria favorevole al R., redatta dallo stesso  R.  e
da G., depositata dal ... all'esito di interrogatorio  (appositamente
concordato con G. e R.) tenuto in data ...; essendosi  presentato  P.
all'interrogatorio  assistito  dall'avv.   ...   incaricato   da   G.
(difensore del querelante R.); con nota 10 ottobre  2012  trasmetteva
tale memoria al pubblico ministero di Roma, titolare del procedimento
r.g.  23266/2011  (poi  8017/2013),  unitamente  alla  richiesta   di
archiviazione di cui al procedimento r.g. 1376/2010  sopra  indicato;
tanto che il pubblico ministero di Roma successivamente  procedeva  a
richiedere  l'archiviazione  del  procedimento   limitatamente   alla
posizione del R. ...». 
 
                                 §§§ 
 
    Il Parlamento, a mezzo dell'art. 1, comma  1,  lettera  b)  della
legge 9 agosto 2024, n. 114 (pubblicata in GU n. 187  del  10  agosto
2024 ed entrata  in  vigore  il  25  agosto  2024),  ha  abrogato  la
disposizione di cui all'art.  323  c.p.  e,  nel  contempo,  a  mezzo
dell'art. 1, lettera e) legge cit., ha sostituito l'art. 346-bis c.p.
(traffico di influenze illecite), restringendone fortemente  l'ambito
applicativo. 
    L'abrogazione della disposizione di cui all'art. 323 c.p. produce
un evidente effetto di abolitio criminis, di carattere  quasi  totale
della  fattispecie  penale  dell'abuso  d'ufficio;  si   ritiene   il
carattere  «quasi  totale»  della   abolitio   tenuto   conto   della
introduzione dell'art. 314-bis c.p. (Indebita destinazione di  denaro
o cose mobili) ad opera del  decreto-legge  n.  92/2024,  entrato  in
vigore prima dell'abrogazione dell'art. 323  c.p.,  e  del  possibile
mantenimento  di  rilevanza  penale  di   alcune   condotte   tuttora
riconducibili sub art. 328 c.p. 
    Quanto agli effetti  dell'abrogazione  nel  caso  in  esame,  non
possono aversi dubbi circa la effettiva rilevanza della questione  di
legittimita' costituzionale di cui  si  intende  investire  la  norma
abrogatrice del reato di abuso d'ufficio. 
 
                                 §§§ 
 
    Quanto al reato contestato al capo 5) e alla specifica  rilevanza
della questione di costituzionalita' con riguardo a tale  delitto  si
osserva sinteticamente quanto segue. 
    Come visto, e' contestato dal  pubblico  ministero  il  reato  di
abuso d'ufficio  «per  violazione  di  legge»  sia  nella  forma  «di
vantaggio» che «di danno», in concorso tra piu' soggetti ex art.  110
c.p. 
    Si precisa subito, per sgombrare il campo da possibili dubbi, che
il  reato  di  abuso  qui  contestato  -  seppur   commesso   (stando
all'imputazione),  tramite  l'emissione  del  decreto  di   sequestro
preventivo d'urgenza adottato il ..., e dunque  in  data  antecedente
alla entrata in vigore del  decreto-legge  16  luglio  2020,  n.  76,
convertito, con modificazioni, nella legge 11 settembre 2020, n.  120
- non e' interessato dalla  precedente  parziale  abolitio  criminis,
intervenuta nel 2020; all'uopo si  evidenzia  che,  come  gia'  sopra
osservato, sono qui contestate  (anche)  violazioni  di  atti  aventi
forza  di  legge  che  non  prevedono  discrezionalita',  essendo  in
particolare ascritta - quanto al  magistrato  D.A.  -  la  violazione
«degli articoli 7 e 238 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267,  che
prevedono l'avvio delle indagini preliminari per i reati fallimentari
solo ove sia presentata richiesta di fallimento,  dell'art.  326  del
codice penale come descritto nelle imputazioni sub 3 e 4» e -  quanto
agli ufficiali di PG G.O. e L.C. - la violazione «dell'art.  326  del
codice penale come descritto nell'imputazione sub 4». 
    In  ragione  di  specifici  argomenti  spesi  da   talune   parti
processuali (in particolare, tenuto conto  di  quanto  osservato,  in
punto di rilevanza della  questione  di  legittimita',  dalla  difesa
dell'imputato  L.C.  nella  memoria  depositata  all'udienza  del  13
settembre 2024 e dalla difesa degli imputati D. e G. nel corso  della
discussione finale all'udienza del  23  settembre  2024)  a  sostegno
della  presunta   irrilevanza   della   questione   di   legittimita'
costituzionale sollevata dalla parte civile, deve osservarsi  che  ad
oggi il reato di cui al capo 5) non e' estinto per prescrizione. 
    Va in questo senso osservato che: 
        la disciplina di riferimento per  il  vaglio  di  (eventuale)
intervenuta prescrizione dei reati in  contestazione,  e'  costituita
dalla normativa previgente rispetto a quella risultante dalle riforme
approvate con legge n. 103/2017 e con legge n. 3/2019; cio', non solo
e non tanto per le espresse disposizioni  di  diritto  intertemporale
contenute  nei  citati  atti  normativi,  quanto  piuttosto  per   il
principio  costituzionale  di  irretroattivita'  della  legge  penale
sfavorevole (art. 25 della Costituzione), certamente applicabile alla
normativa in tema di prescrizione del reato,  stante  la  sua  natura
penale sostanziale [sul punto, la  giurisprudenza  costituzionale  (a
cui si e' sempre ispirata anche quella di merito e  di  legittimita')
ha, infatti, chiarito che la disciplina  della  prescrizione  «incide
sulla punibilita' della persona, riconnettendo al decorso  del  tempo
l'effetto di impedire l'applicazione della  pena»,  sicche'  «rientra
nell'alveo  costituzionale  del   principio   di   legalita'   penale
sostanziale enunciato dall'art. 25, secondo comma, della Costituzione
con formula di  particolare  ampiezza»  (cfr.  Corte  costituzionale,
sent. n. 115/2018 e, negli stessi  termini,  sent.  n.  324/2008,  n.
393/2006 e ordinanza n. 24/2017; da ultimo sent. n. 278/2020)]; 
        ne  consegue  che,  tenuto  conto  della   natura   e   della
qualificazione giuridica (data  dal  pubblico  ministero  o  comunque
riconosciuta dal Tribunale) e della data di  consumazione  dei  fatti
contestati (cosi' come indicata nelle diverse imputazioni o  comunque
per  come  ricostruita  questa  sede  dibattimentale),  non   trovano
applicazione nel caso di  specie  l'art.  158,  comma  1  del  codice
penale, cosi' come sostituito dalla legge n.  3/2019  (applicabile  a
decorrere dal 1° gennaio 2020), nella parte in cui conferisce rilievo
ai fini della determinazione del dies a quo della  prescrizione  alla
cessazione della continuazione; ne' l'art. 161, comma  2  del  codice
penale, cosi' come interpolato dalla legge n. 103/2017 (applicabile a
decorrere dal trentunesimo giorno successivo dalla  pubblicazione  in
GU avvenuta in data 4 luglio 2017) nella parte in cui  prevede  quale
aumento massimo del termine di prescrizione per  effetto  degli  atti
interruttivi la meta' del tempo necessario a prescrivere «per i reati
di cui  agli  articoli  318,  319,  319-ter,  319-quater,  320,  321,
322-bis, limitatamente ai delitti richiamati dal  presente  comma,  e
640-bis»; 
        nonostante quanto appena detto, i reati in oggetto  (compreso
quello di cui al capo 5 di rubrica) non  sono  ad  oggi  estinti  per
prescrizione, dovendosi tenere di conto  delle  seguenti  sospensioni
per un totale di centocinquantatre' giorni: 
          a)  dal   9   marzo   2020   al   30   giugno   2020   (gg.
centoquattordici) per sospensione del  corso  della  prescrizione  ai
sensi dell'art. 83, comma 4, decreto-legge  n.  18/2020,  in  ragione
della  sospensione  totale  dell'attivita'  giudiziaria  per  effetto
dell'art. 83, comma 2, decreto-legge n. 18/2020, e ai sensi dell'art.
83, comma 9, decreto-legge cit., per rinvio dell'udienza  preliminare
originariamente fissata nel c.d. «secondo periodo covid». 
    Sul punto devono ricostruirsi, a seguito  dell'esame  degli  atti
relativi all'udienza preliminare ed in particolare dei decreti emessi
dal GUP  -  sede  (da  ultimo  allegati  alla  memoria  della  difesa
dell'imputato L. depositata all'udienza del 13  settembre  2024),  lo
svolgimento del presente procedimento ed i fatti rilevanti: 
        con decreto emesso in data 4 febbraio  2020  il  GUP  fissava
originariamente l'udienza preliminare in data 4 giugno 2020; 
        con decreto Presidente Tribunale n.  60/2020  del  30  aprile
2020 (che si allega al fascicolo), il capo dell'ufficio disponeva, ai
sensi del  comma  7,  lettera  g),  dell'art.  83,  decreto-legge  n.
18/2020,  con  specifico  riferimento  alle  attivita'   dell'ufficio
GIP/GUP (p. 14) che «tutti gli  altri  processi  [diversi  da  quelli
urgenti in materia cautelare e  convalida  degli  arresti,  presi  in
considerazione immediatamente  prima  nel  decreto,  n.d.r.]  saranno
rinviati d'ufficio a data successiva al 30 giugno 2020»; 
        in ossequio a tale decreto presidenziale, il GUP assegnatario
del procedimento, con provvedimento in data 1° giugno 2020, differiva
d'ufficio l'udienza preliminare (originariamente fissata, come detto,
in data 4 giugno 2020, dunque ricadente  nel  c.d.  «secondo  periodo
covid»), alla data del 5 novembre 2020. 
    Tutto cio' premesso, appare fuori  di  dubbio  che  nel  caso  di
specie vada riconosciuta la sospensione della prescrizione (anche) in
data compresa tra l'11 maggio 2020 ed il 30 giugno 2020,  proprio  in
ragione del rinvio d'ufficio dell'udienza preliminare fissata in c.d.
«secondo periodo covid» [termine cosi' definitivamente indicato dalla
legge n. 70/2020, pubblicata in GU il 29 giugno 2020  ed  entrata  in
vigore in data 30 giugno 2020, che  ha  per  l'appunto  riportato  il
termine  di  efficacia  delle   disposizioni   emergenziali   e   dei
provvedimenti presidenziali, fissandolo al 30 giugno 2020 anziche' al
31 luglio 2020, eliminando una volta per tutte la previsione  di  cui
all'art. 3, comma 1,  lettera  b-bis),  decreto-legge  n.  28/2020)];
sospensione prevista dall'art. 83, comma 9, decreto-legge n. 18/2020,
che testualmente dispone che «Nei procedimenti penali il corso  della
prescrizione e i termini di cui agli articoli 303, 308, 309, comma 9,
311, commi 5 e 5-bis, e 324, comma 7, del codice di procedura  penale
e agli articoli 24, comma 2, e 27, comma 6, del decreto legislativo 6
settembre 2011, n. 159 rimangono sospesi  per  il  tempo  in  cui  il
procedimento e' rinviato ai sensi del comma 7, lettera g), e, in ogni
caso, non oltre il 30 giugno 2020» [l'art. 83, comma 7,  lettera  g),
decreto-legge n. 18/2020, richiamato dall'art. 83, comma 9 succitato,
recita: «Per assicurare le finalita' di cui al comma 6, i capi  degli
uffici giudiziari possono adottare le seguenti misure:  [...]  g)  la
previsione del rinvio delle udienze a data successiva  al  30  giugno
2020 nei procedimenti civili e penali, con le eccezioni  indicate  al
comma 3»]. 
    Non appare poi revocabile in dubbio (verrebbe da dire a fortiori)
l'applicabilita' della sospensione della  prescrizione  per  il  c.d.
«primo periodo covid» (ricompreso tra il 9 marzo 2020 e  1'11  maggio
2020), ai sensi dell'art. 83, comma 4, decreto-legge n.  18/2020  che
prevede espressamente che: «Nei procedimenti penali in cui  opera  la
sospensione dei termini ai sensi del  comma  2  [ovvero  fino  all'11
maggio 2020] sono altresi' sospesi, per lo stesso periodo,  il  corso
della prescrizione e i termini di cui agli articoli  303  e  308  del
codice  di  procedura  penale»  (norma  ritenuta   costituzionalmente
legittima; cfr. Corte costituzionale sent. n. 278/2020). 
    Sul punto vale precisare che nel caso di  specie  il  processo  -
gia' pendente alla data del 9 marzo 2020,  essendo  stato  instaurato
con la richiesta di rinvio  a  giudizio  datata  15  gennaio  2020  e
depositata presso l'ufficio GUP in data 17 gennaio 2020  -  beneficia
senz'altro  del  periodo  di  sospensione   della   prescrizione   di
sessantaquattro giorni del c.d. «primo periodo covid», a  prescindere
dalla  fissazione  dell'udienza  preliminare  o  dibattimentale   nel
periodo   di   sospensione   dell'attivita'   giudiziaria,    essendo
sufficiente  (ai  fini  dell'applicazione  del   detto   periodo   di
sospensione  ex  art.  83,  comma  4,   decreto-legge   n.   18/2020,
diversamente da quanto previsto dai commi 3-bis e 9 del medesimo art.
83, decreto-legge cit.) la pendenza del processo, con la  conseguente
inevitabile sospensione di ogni attivita' giudiziaria espletabile  in
quella fase. 
    Ebbene, se e' certo  che  l'udienza  preliminare  originariamente
fissata per la data del 1° giugno 2020 e'  stata  rinviata  ai  sensi
dell'art. 83, commi 7 e 9, decreto-legge n. 18/2020,  e'  altrettanto
evidente che nel periodo precedente a tale data,  ed  in  particolare
quello  ricadente  nel  c.d.  «primo  periodo   covid»,   l'attivita'
giudiziaria era stata  sospesa,  ad  esclusione  delle  urgenze,  con
conseguente impossibilita' per le  parti  del  presente  processo  di
depositare atti, nonche'  di  esercitare  i  diritti  e  le  facolta'
previste  dall'ordinamento  ed   in   particolare   quelle   connesse
all'avvenuta  fissazione  dell'udienza  preliminare:  d'altronde   la
fissazione dell'udienza  preliminare  per  il  4  giugno  2020,  gia'
avvenuta il 4 febbraio 2020, implicava e  permetteva  l'esercizio  di
diritti quali l'accesso e la visione del fascicolo, la verifica della
regolarita' delle notifiche,  anche  e  soprattutto  in  vista  della
costituzione di parte civile  -  oltre  che,  evidentemente,  per  le
scelte processuali degli  imputati  -  che  avrebbero  potuto  essere
esercitati anche nel «primo periodo covid», ma impediti dalle  misure
emergenziali adottate. 
    Cio'  detto,  come  risulta  inequivocabilmente  chiarito   nella
relazione  illustrativa  al  decreto-legge   n.   18/2020   e   nelle
motivazioni della sentenza a Sezioni Unite della Corte di  cassazione
n. 5292/2021 (Cass., Sez. U., sentenza n. 5292 del 26  novembre  2020
Ud. (dep. 10 febbraio 2021) Rv. 280432  -  02),  la  sospensione  del
processo e della prescrizione di cui all'art. 83,  comma  4,  per  il
c.d. «primo periodo covid» si distingueva  da  quella  (peraltro  qui
pure ricorrente) ex art. 83, comma 9, decreto-legge n. 18/2020 per il
c.d.  «secondo  periodo  covid»,  proprio  in  ragione  della  totale
paralisi  degli  uffici  giudiziari,  ed  era  quindi  slegata  dalla
fissazione di un'udienza e dalla scadenza di  uno  specifico  termine
processuale: 
      «... 4.2 E', dunque, evidente come i decreti-legge n. 9, n.  11
e n. 18 del 2020 si  siano  ispirati  allo  schema  gia'  piu'  volte
sperimentato dal  legislatore,  riproponendone  nei  fondamentali  la
versione elaborata nell'esperienza legislativa  piu'  recente,  anche
la' dove ha dovuto  disporre  l'inedito  congelamento  dell'attivita'
giudiziaria sull'intero territorio nazionale e non, come avvenuto  in
passato, solo su porzioni limitate del medesimo. Gia' nella  versione
elaborata nel decreto-legge n. 11 (e poi  ripresa  dall'art.  83  del
decreto-legge n. 18), tale schema ha peraltro  subito  una  ulteriore
evoluzione per meglio adattarsi  alle  peculiarita'  della  nuova  ed
inedita  emergenza.  Evoluzione  consistita,  come   si   e'   visto,
nell'articolare due distinte ed autonome fasi temporali,  all'interno
delle  quali  la  sospensione  dell'attivita'  giudiziaria  e'  stata
modulata in maniera differenziata per  intensita'  e  modalita'.  Non
solo, rispetto al preliminare intervento del 2 marzo 2020  (ossia  il
decreto-legge n. 9) - nel quale al comma 13  dell'art.  1  era  stata
prevista la sospensione della prescrizione per tutto il tempo in cui,
ai sensi del precedente comma 7,  veniva  disposto  il  rinvio  delle
udienze - con i decreti successivi, anche per  la  sospensione  della
prescrizione  (e  non   esclusivamente   per   quella   dei   termini
processuali) e' stato in ogni fase assegnato un termine  predefinito,
destinato  ad  operare  anche  nell'eventualita'  in  cui  il  rinvio
dell'udienza abbia maggiore durata. Mentre, pero',  il  decreto-legge
n.  11  aveva  individuato  tale  termine  nel  31  maggio  2020,   a
prescindere dal fatto che l'udienza rinviata fosse stata fissata  nel
primo o nel secondo dei  periodi  configurati,  l'art  83,  comma  9,
decreto-legge n. 18 ha, invece, definitivamente  ancorato  la  durata
della sospensione al termine finale del periodo nel  quale  l'udienza
era stata originariamente fissata, creando  dunque  una  inscindibile
connessione tra sospensione della prescrizione,  data  di  fissazione
dell'udienza   rinviata   e   durata   degli   intervalli   temporali
normativamente determinati. Il  comma  4  dell'art.  83  ha,  invece,
collegato la sospensione della  prescrizione  non  specificamente  al
rinvio dell'udienza,  ma  piu'  in  generale  a  quella  dei  termini
disposta dal precedente comma 2 per il  periodo  compreso  tra  il  9
marzo e il 15 aprile 2020 (termine poi prorogato, come si  e'  detto,
all'11 maggio 2020) e cio' per l'ovvia  ragione  che,  contrariamente
all'ipotesi considerata  nel  comma  9,  il  primo  dei  due  periodi
configurati dal legislatore ha inteso  imporre,  tendenzialmente,  la
totale paralisi di ogni  attivita'  processuale,  a  prescindere  dal
fatto che la stessa comporti o meno la celebrazione di  una  udienza,
come   peraltro   precisato   nella   Relazione    illustrativa    al
decreto-legge» [cosi', parte  motiva  della  sentenza  delle  Sezioni
Unite, punto 4.2., p. 9, in merito illuminante]. 
    Le conclusioni appena tratte - e' il caso  di  precisarlo  -  non
sono in alcun modo contraddette dalla  successiva  giurisprudenza  di
legittimita'  che  in  effetti  ha  negato   l'applicabilita'   della
sospensione della prescrizione  in  c.d.  «primo  periodo  covid»  ex
articoli 83, commi 2 e 4, decreto-legge n. 18/2020,  ma  in  un  caso
isolato, completamente diverso da quello in esame, per cui, non  solo
non operava la sospensione per il c.d. «secondo  periodo  covid»,  ma
non era neanche in astratto  ipotizzabile  l'espletamento  di  alcuna
attivita' giudiziaria (cfr. Cass., sez. 5, sentenza n.  2647  del  29
settembre 2021 dep. il 24 gennaio 2022 che ha preso in esame il  caso
di giudizio di appello con deposito della sentenza di primo  grado  e
dell'atto di impugnazione, entrambi avvenuti  due  anni  prima  della
emergenza pandemica, e con fissazione dell'udienza avanti alla  Corte
territoriale con decreto emesso in data successiva  alla  conclusione
del c.d. «primo periodo covid»); 
        b) dall'udienza del 27 gennaio 2022 alla  successiva  udienza
del 24 febbraio 2022 (gg. ventotto)  per  impedimento  ex  art.  159,
comma 1, n. 3 del codice penale dell'imputata D.  e  dell'avv.  Mario
Incardona, difensore di R.V.; 
        c) dall'udienza del 24 novembre 2023 alla successiva  udienza
del 5 dicembre 2023 (gg. undici) per impedimento ex art.  159,  comma
1, n. 3 del codice penale dell'avv. Donati,  difensore  dell'imputato
L., per concomitante impegno professionale. 
    Ebbene, il Tribunale, all'esito della lunga  istruttoria  svolta,
e' chiamato  ad  applicare  l'art.  323  del  codice  penale  per  la
decisione di merito sulla responsabilita' degli imputati. 
    La depenalizzazione ex art. 1, comma l, lettera b) della legge  9
agosto 2024, n. 114, incide nel  presente  giudizio  e  la  sollevata
questione  di  legittimita'  costituzionale  e',  quindi,  certamente
rilevante atteso che: 
        a) la depenalizzazione preclude in radice la pronuncia di una
eventuale sentenza di condanna e quindi l'applicazione delle sanzioni
penali ex articoli 533 e 535 del codice di  procedura  penale  ed  il
vaglio delle richieste risarcitorie avanzate dalle  parti  civili  ex
art. 538 del codice di procedura  penale,  quanto  dipendenti  da  un
accertamento di colpevolezza in ordine ad  un  fatto  previsto  dalla
legge come reato; 
        b) correlativamente rispetto a quanto osservato al precedente
punto  a),  la  eventuale  pronuncia  di  incostituzionalita'   della
disposizione abrogatrice della fattispecie consentirebbe, in  ipotesi
di ritenuta sussistenza di responsabilita'  penale,  di  pervenire  a
condanna o, nel caso opposto, di giungere ad  assoluzione  per  cause
diverse dalla abolitio criminis e, dunque,  con  formula  diversa  da
«perche' il fatto non e' previsto dalla legge come reato»; 
        c) la depenalizzazione ex art. 1, comma 1, lettera  b)  della
legge 9 agosto 2024, n. 114, inciderebbe (e' il caso  di  precisarlo,
tenuto conto di quanto  osservato  dalla  difesa  dell'imputato  L.C.
nella memoria depositata all'udienza del 13 settembre  2024  e  dalla
difesa degli imputati D. e G. nel  corso  della  discussione  finale)
anche laddove il reato contestato al capo 5) fosse gia'  estinto  per
intervenuta prescrizione; cio',  tenuto  conto  che  questo  collegio
sarebbe  oggi  tenuto  a  pronunciare  necessariamente  sentenza   di
assoluzione «perche' il fatto non e' previsto dalla legge come reato»
ex articoli 129, comma 2, e 530, comma 1  del  codice   di  procedura
penale,   prevalendo   la   suddetta    causa    assolutoria    sulla
improcedibilita'   per   estinzione   del   reato   per   intervenuta
prescrizione, stante il carattere di assoluta evidenza della abolitio
criminis; 
        d) correlativamente rispetto a quanto osservato al precedente
punto c),  in  caso  di  gia'  maturata  prescrizione,  la  eventuale
pronuncia di incostituzionalita' della disposizione abrogatrice della
fattispecie schiuderebbe, invece, diverse alternative, atteso che, in
ipotesi di difetto evidente della sussistenza del fatto o  della  sua
commissione da parte dell'imputato o che il fatto costituisca  reato,
il Tribunale potrebbe pervenire ad assoluzione ex artt. 129, comma  2
e 530, comma 1 del codice di procedura penale con formule  ampiamente
liberatorie (che  pero'  presuppongono  la  incriminazione  da  parte
dell'ordinamento del fatto come illecito penale); mentre, in caso  di
ritenuta sussistenza di prova di responsabilita' penale o,  comunque,
di dubbio ex art. 530, comma 2 del  codice  di  procedura  penale  il
Tribunale  sarebbe  tenuto,  anche   ad   istruttoria   conclusa,   a
pronunciare sentenza di non doversi procedere ex articoli 129,  comma
1, e 531 del codice  di  procedura  penale  [sul  punto  si  veda  la
consolidata   giurisprudenza,   secondo   cui    la    sentenza    di
proscioglimento per prescrizione prevale rispetto  alla  sentenza  di
assoluzione anche nel  caso  in  cui  la  prova  del  fatto  e  della
responsabilita' dell'imputato sia  contraddittoria  o  insufficiente,
dovendo il giudice, di contro, assolvere nel merito solo  qualora  le
ragioni militanti in favore di una  sentenza  ampiamente  liberatoria
emergano ex actis ed ictu oculi (cfr., ex multis, Sez. 2, sentenza n.
38049 del 18 luglio 2014 - Rv. 260586; Cass.,  Sez.  U,  sentenza  n.
35490  del  28  maggio  2009  -  Rv.  244274),   con   il   carattere
dell'evidenza, ovvero per usare le parole della Cassazione  «soltanto
nel caso in cui sia rilevabile, con una mera  attivita'  ricognitiva,
l'assoluta assenza della prova di colpevolezza a carico dell'imputato
ovvero la  prova  positiva  della  sua  innocenza»  (Cass.,  Sez.  6,
sentenza n. 10284 del 22 gennaio 2014 - Rv. 259445 -  01);  principio
ribadito  dalla  Suprema  Corte  anche  quando   il   rilievo   della
intervenuta   prescrizione    avvenga    all'esito    del    giudizio
dibattimentale con sentenza n. 53354  del  21  novembre  2018  -  Rv.
274497 - 01  che  nella  parte  motiva  punti  1.2-1.4.  richiama  la
giurisprudenza costituzionale (Corte costituzionale ordd. n. 300  del
17 giugno 1991 e n. 362 dell'11 luglio 1991) e di legittimita'  anche
a Sezioni Unite (Cass., Sez. U, n. 17179 del 27 febbraio 2002,  Conti
D, Rv. 22140301; Cass., Sez. U, n. 35490 del 28 maggio 2009, (dep. 15
settembre 2009) ..., Rv. 244275 - 01) escludendo che  tale  soluzione
pregiudichi in alcun modo i diritti  dell'imputato  o  contrasti  con
valori di rango costituzionale o con il principio del favor rei]; 
        e) tenuto conto di quanto sin qui osservato, va  ricordato  -
in ordine al giudizio di rilevanza della  questione  di  legittimita'
nel processo pendente avanti al giudice comune per l'impatto spiegato
dalla pronuncia  di  incostituzionalita'  sulla  diversa  formula  di
proscioglimento in concreto adottabile - che la Corte costituzionale,
con sentenza n.  28/2010,  ha  ribadito  il  principio,  invero  gia'
precedentemente  enunciato,  secondo  cui  «l'eventuale  accoglimento
delle  questioni  relative  a  norme  piu'  favorevoli  "verrebbe  ad
incidere  sulle  formule  di  proscioglimento  o,  quanto  meno,  sui
dispositivi delle sentenze penali";  peraltro,  "la  pronuncia  della
Corte non potrebbe non riflettersi sullo schema  argomentativo  della
sentenza  penale  assolutoria,  modificandone  la  ratio   decidendi:
poiche' in tal caso ne  risulterebbe  alterato  [...]  il  fondamento
normativo della decisione, pur fermi restando i  pratici  effetti  di
essa" (sentenza n. 148 del 1983)». 
 
                                 §§§ 
 
    Quanto al reato contestato al capo 6) e alla specifica  rilevanza
della questione di costituzionalita' con riguardo a tale  delitto  si
osserva sinteticamente quanto segue. 
    Per comprendere la rilevanza dell'abrogazione dell'art.  323  del
codice penale con riferimento  al  reato  di  cui  al  capo  6)  deve
riprendersi e svilupparsi quanto gia'  sopra  evidenziato  in  ordine
alla  specifica  formulazione  della  contestazione   e   poi   darsi
brevemente conto degli esiti dell'istruttoria. 
    Ebbene, come hanno messo in evidenza le difese  nel  corso  della
discussione, il contestato accordo corruttivo (c.d. pactum  sceleris)
era descritto solo in via implicita nella  imputazione  sub  6),  dal
quale non emergeva all'inizio  del  processo  in  modo  inequivoco  e
diretto se questo avesse in ipotesi coinvolto, oltre  (evidentemente)
il privato imprenditore R. (quale ipotizzato corruttore), uno solo  o
piuttosto entrambi i pubblici ufficiali G. e D.; non  era  del  tutto
chiaro  cioe':  a)  se  fosse  contestata  una  corruzione  in   atti
giudiziari   con   accordo   intervenuto   tra   il   magistrato    e
l'imprenditore, con un ruolo del  G.  di  concorrente  eventuale,  in
ragione dell'attivita' di intermediazione nella conclusione del patto
e del conseguimento delle utilita' (ipotesi  in  astratto  certamente
configurabile, tenuto conto che i reati di  corruzione  prevedono  la
possibilita' che l'utilita' sia accettata  o  ricevuta  dal  pubblico
ufficiale  corrotto  anche  «per  un  terzo»;  b)  ovvero,  se  fosse
contestato un accordo tra l'imprenditore ed il solo G. (si badi bene,
titolare,  quale  appartenente  all'Arma   dei   carabinieri,   della
qualifica  soggettiva  di  pubblico  ufficiale,   che   gli   avrebbe
consentito in astratto di essere individuato quale  parte  necessaria
dell'accordo bilaterale corruttivo, dovendosi all'uopo ricordare  che
la fattispecie in contestazione ex art. 319-ter del codice penale non
e' un reato proprio  dei  magistrati),  a  cui  era  poi  seguito  il
compimento degli atti costituenti  violazione  dei  doveri  d'ufficio
contestati alla imputata D.A. 
    Le difese degli imputati coinvolti hanno  poi  sostenuto,  sempre
nell'ambito della discussione finale, l'assenza di  una  correlazione
funzionale tra lo svolgimento delle funzioni pubbliche e le utilita',
riconducendo la  dazione  delle  stesse  ad  un  solido  e  risalente
rapporto di amicizia e di frequentazione (anche familiare) tra  R.  e
G.; in questo senso, le stesse difese  hanno  contestato  l'ammontare
delle utilita' ricevute dal pubblico  ufficiale,  che  sarebbe  stato
erroneamente quantificato nell'imputazione in oltre 100 mila euro, ma
che all'esito dell'istruttoria andrebbe individuato in un valore  tra
i 10 e i 20 mila euro, dunque assolutamente compatibile  rispetto  ad
un aiuto amicale  del  tutto  scollegato  rispetto  all'esercizio  di
funzioni pubbliche; inoltre, le stesse difese hanno messo in evidenza
la netta cesura  temporale  (di  alcuni  anni)  tra  la  stipula  del
presunto accordo  ed  il  compimento  dei  primi  atti  asseritamente
contrari  ai  doveri   d'ufficio   (anni   ...)   e   il   successivo
riconoscimento delle utilita' ( ... ), circostanza che deporrebbe per
l'assenza di una corrispettivita'. 
    Ritiene il Tribunale che all'esito della lunga istruttoria svolta
- se e' da escludersi in radice il conseguimento di  alcuna  utilita'
da parte del magistrato (circostanza  d'altronde  nemmeno  contestata
dal pubblico ministero) -  non  possono  dirsi  emersi  con  certezza
elementi a sostegno di un accordo tra D.  e  R.  che  prevedesse  una
remunerazione del G., ne' comunque in ordine alla conoscenza da parte
dell'imputata D. delle utilita' riconosciute dal R. al G. 
    E'   altresi'   da   escludersi   pacificamente,    sulla    base
dell'istruttoria svolta, il compimento da parte del G. di atti propri
della funzione svolta (di agente di polizia giudiziaria)  nell'ambito
dei procedimenti penali coinvolgenti a vario titolo il R. e  condotti
dalla dott.ssa D., specificati nell'imputazione. 
    Ponendosi in questa ottica, e',  dunque,  assolutamente  concreta
l'ipotesi di riqualificazione giuridica favorevole ex  art.  521  del
codice di procedura penale del fatto di  cui  al  capo  6)  in  abuso
d'ufficio,   essendo   contestato,   in   fatto,   nella   articolata
imputazione, e  sostenibile,  sulla  base  del  compendio  probatorio
disponibile, il compimento da parte del pubblico ufficiale (ovvero il
magistrato) di atti d'ufficio in ipotizzata violazione di  legge,  in
relazione a profili non connotati da  discrezionalita'  (quanto  meno
laddove si contesta la violazione del segreto d'ufficio per avere  la
D. «personalmente  effettuato,  in  data  ...,  un  atto  a  sorpresa
(ispezione locale presso l'abitazione dell'indagato  R.)  in  realta'
concordato  con  il  predetto  R.,  che  era   stato   preavvisato»),
favorevoli al privato imprenditore, ma non connessi  e  correlati  al
mercimonio della pubblica funzione quanto  piuttosto,  eventualmente,
al rapporto di amicizia esistente tra R. e G. (da  un  lato)  e  alla
«duratura relazione personale» che avrebbe  legato  il  G.  e  la  D.
(dall'altro) [evidentemente, la verifica della tenuta di  una  simile
ipotesi ricostruttiva in prospettiva di condanna  e'  riservata  alla
celebrazione della Camera di consiglio, una volta che si  sia  svolto
l'incidente di costituzionalita']. 
    Cio' detto, possono richiamarsi tutte le osservazioni gia'  sopra
svolte con riferimento alla rilevanza della questione di legittimita'
in relazione al capo 5) della rubrica, in punto  di  incidenza  della
eventuale sentenza di accoglimento della  questione  di  legittimita'
costituzionale, anche in  caso  di  gia'  maturata  prescrizione  del
reato. 
II. Ammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale 
    Occorre ora affrontare un tema, ben noto al Tribunale ed  oggetto
di   specifiche    argomentazioni    delle    parti,    che    incide
sull'ammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale. 
    Si tratta, come e' intuibile, della  possibilita'  per  la  Corte
costituzionale, in ipotesi di  ritenuta  fondatezza  delle  questioni
sollevate per violazione dei parametri di  costituzionalita'  che  si
andranno oltre ad individuare, di pronunciare una sentenza in materia
penale      sostanziale      (in       particolare       dichiarativa
dell'incostituzionalita' di una norma che ha  prodotto  una  abolitio
criminis)  con  effetti  in  malam  partem  ed  in   particolare   di
riviviscenza di una fattispecie espunta dall'ordinamento per espressa
scelta del legislatore. 
    Il tema, certamente complesso e delicato, involge sia la  riserva
assoluta di legge (art. 25 della Costituzione) - che affida  all'atto
normativo di rango primario e, quindi, al legislatore,  la  decisione
del se incriminare come illecito penale o meno un determinato fatto o
condotta - sia il rapporto tra le fonti,  che  impone  il  necessario
rispetto della Costituzione (le sue disposizioni ed i suoi  principi)
da parte del legislatore ordinario e, quindi, in definitiva il  ruolo
del giudice delle leggi. 
    La questione, come noto, e' stata affrontata in diverse  sentenze
della Corte  costituzionale,  anche  con  riferimento  alla  abolitio
criminis della fattispecie di abuso d'ufficio (allora solo  parziale)
conseguente alle riforme  approvate  con  legge  n.  234/1997  e  con
decreto-legge n. 76/2020 (convertito in legge n.  120/2020)  -  nella
sentenza n. 447/1998 e nella  recente  pronuncia  n.  8/2022  del  25
novembre 2021-18 gennaio 2022. 
    In particolare, nella sentenza da ultimo citata n. 8/2022 (§ 7.),
la Corte riprende la distinzione tra norme penali di favore  e  norme
penali favorevoli, gia' affrontata e chiarita dalla sentenza  n.  394
del 2006 (in senso conforme, tra le altre, sentenza n. 155 del  2019,
n. 57 del 2009 e n. 324 del  2008;  ordinanza  n.  413  del  2008)  e
chiarisce che «per norme penali di favore debbono  intendersi  quelle
che stabiliscano, per determinati soggetti o ipotesi, un  trattamento
penalistico   piu'   favorevole   di    quello    che    risulterebbe
dall'applicazione   di   norme   generali   o   comuni    compresenti
nell'ordinamento. [...] La qualificazione come norma penale di favore
non puo' essere fatta,  di  contro,  discendere,  come  nel  caso  di
specie, dal raffronto tra una norma vigente e  una  norma  anteriore,
sostituita dalla prima con effetti  di  restringimento  dell'area  di
rilevanza penale». 
    La  distinzione  conduce  a  diverse  conclusioni  in  punto   di
ammissibilita'  ex  art.  25  della  Costituzione  di  una   sentenza
dichiarativa di illegittimita' costituzionale atteso che l'effetto in
malam  partem,  conseguente  alla  dichiarazione  di   illegittimita'
costituzionale delle norme penali di favore, «non vulnera la  riserva
al legislatore sulle scelte di criminalizzazione, rappresentando  una
conseguenza  dell'automatica  riespansione  della  norma  generale  o
comune, dettata dallo stesso legislatore, al  caso  gia'  oggetto  di
ingiustificata disciplina derogatoria»; mentre laddove sia  censurata
sul  piano  della  legittimita'  costituzionale  una   norma   penale
favorevole (categoria in cui di regola si  iscrive  una  disposizione
abolitiva -  in  misura  totale  o  parziale  -  di  una  fattispecie
incriminatrice) «la richiesta di sindacato in malam partem non mira a
far riespandere una norma tuttora  presente  nell'ordinamento,  ma  a
ripristinare  la  norma  abrogata,  espressiva  di  una   scelta   di
criminalizzazione non piu' attuale: operazione  preclusa  alla  Corte
(sulla  inammissibilita'  delle  questioni  volte  a  conseguire   il
ripristino di norme incriminatrici abrogate o  di  discipline  penali
sfavorevoli, ex plurimis, sentenze n. 37 del 2019, n. 57 del  2009  e
n. 324 del 2008; ordinanze n. 282 del 2019, n. 413 del 2008 e n.  175
del 2001)». 
    Va precisato, pero', - e si tratta di un aspetto di  rilievo  nel
caso di specie, venendo sollevata, come si dira' oltre, questione  di
legittimita' per possibile violazione degli articoli 11 e 117,  comma
1 della Costituzione che la preclusione ex art. 25 della Costituzione
di sentenza costituzionale con effetti penali in  malam  partem,  per
costante giurisprudenza costituzionale (come  chiarito  dalla  stessa
sentenza Corte costituzionale n. 8/2022  e  piu'  diffusamente  Corte
costituzionale, n. 236 del 2018, n. 143/2018 e n.  37/2019),  ammette
delle deroghe/eccezioni; deroghe che non si esauriscono nelle ipotesi
di  violazione  delle  norme  sulla  produzione  o  sulla  competenza
legislativa e al caso delle norme penali di favore, ma tra  le  quali
va annoverata anche la «contrarieta' della disposizione  censurata  a
obblighi sovranazionali rilevanti ai sensi dell'art. 11  o  dell'art.
117, comma 1 della Costituzione». 
    In particolare, nella sentenza n.  37/2019,  la  Corte  passa  in
rassegna le diverse ipotesi nelle  quali  sarebbe  possibile  un  suo
intervento in materia penale sostanziale in malam partem: 
        «Anzitutto, puo' venire in considerazione  la  necessita'  di
evitare la creazione  di  "zone  franche"  immuni  dal  controllo  di
legittimita' costituzionale, laddove  il  legislatore  introduca,  in
violazione del principio di eguaglianza, norme penali di favore,  che
sottraggano irragionevolmente un determinato sottoinsieme di condotte
alla regola della generale rilevanza penale di una piu' ampia  classe
di condotte, stabilita da una  disposizione  incriminatrice  vigente,
ovvero   prevedano   per    detto    sottoinsieme    -    altrettanto
irragionevolmente -  un  trattamento  sanzionatorio  piu'  favorevole
(sentenza n. 394 del 2006). 
        Un controllo di legittimita' con potenziali effetti  in malam
partem deve altresi' ritenersi ammissibile quando a essere  censurato
e' lo scorretto  esercizio  del  potere  legislativo:  da  parte  dei
consigli regionali, ai quali non spetta neutralizzare  le  scelte  di
criminalizzazione compiute dal legislatore nazionale (sentenza n.  46
del 2014, e ulteriori precedenti ivi citati); da parte  del  Governo,
che abbia abrogato  mediante  decreto  legislativo  una  disposizione
penale, senza a cio' essere autorizzato dalla legge delega  (sentenza
n. 5 del 2014); ovvero anche da parte dello  stesso  Parlamento,  che
non abbia rispettato  i  principi  stabiliti  dalla  Costituzione  in
materia di conversione dei decreti-legge (sentenza n. 32  del  2014).
In tali ipotesi, qualora la disposizione dichiarata  incostituzionale
sia  una  disposizione   che   semplicemente   abrogava   una   norma
incriminatrice preesistente (come nel caso deciso dalla sentenza n. 5
del 2014), la dichiarazione di  illegittimita'  costituzionale  della
prima non potra' che  comportare  il  ripristino  della  seconda,  in
effetti mai (validamente) abrogata. 
        Un effetto peggiorativo  della  disciplina  sanzionatoria  in
materia  penale  conseguente   alla   pronuncia   di   illegittimita'
costituzionale e' stato,  altresi',  ritenuto  ammissibile  allorche'
esso si configuri come "mera conseguenza indiretta della reductio  ad
legitimitatem di una norma processuale", derivante "dall'eliminazione
di una previsione a carattere derogatorio di una disciplina generale"
(sentenza n. 236 del 2018). 
        Un controllo di legittimita'  costituzionale  con  potenziali
effetti in malam partem puo', infine, risultare  ammissibile  ove  si
assuma  la  contrarieta'  della  disposizione  censurata  a  obblighi
sovranazionali rilevanti ai sensi dell'art. 11 o dell'art. 117, primo
comma, della Costituzione (sentenza n. 28 del 2010; nonche'  sentenza
n. 32 del 2014, ove  l'effetto  di  ripristino  della  vigenza  delle
disposizioni  penali   illegittimamente   sostituite   in   sede   di
conversione di un decreto-legge, con effetti  in  parte  peggiorativi
rispetto alla disciplina dichiarata illegittima,  fu  motivato  anche
con riferimento alla necessita'  di  non  lasciare  impunite  «alcune
tipologie di condotte per le quali sussiste un obbligo sovranazionale
di penalizzazione. Il che determinerebbe una violazione  del  diritto
dell'Unione europea, che l'Italia e' tenuta a  rispettare  in  virtu'
degli articoli 11 e 117, primo comma, della Costituzione»)...». 
    Nella  precedente  sentenza  n.  28/2010  la  Corte  aveva   gia'
affermato che «la retroattivita'  della  legge  piu'  favorevole  non
esclude l'assoggettamento di  tutte  le  norme  giuridiche  di  rango
primario allo scrutinio di legittimita' costituzionale: "Altro  [...]
e' la garanzia  che  i  principi  del  diritto  penale-costituzionale
possono offrire agli imputati, circoscrivendo  l'efficacia  spettante
alle dichiarazioni d'illegittimita' delle  norme  penali  di  favore;
altro  e'  il  sindacato  cui  le  norme  stesse  devono  pur  sempre
sottostare, a pena di istituire zone  franche  del  tutto  impreviste
dalla Costituzione, all'interno delle quali la legislazione ordinaria
diverrebbe incontrollabile" (sentenza n. 148 del 1983  e  sul  punto,
sostanzialmente nello stesso senso, sentenza n. 394 del 2006). 
    Nel caso di specie, se si stabilisse che il possibile effetto  in
malam partem della sentenza di questa Corte inibisce la  verifica  di
conformita' delle  norme  legislative  interne  rispetto  alle  norme
comunitarie - che sono cogenti e sovraordinate alle  leggi  ordinarie
nell'ordinamento italiano per il tramite degli  articoli  11  e  117,
primo comma, della Costituzione - non si  arriverebbe  soltanto  alla
conclusione  del  carattere  non  autoapplicativo   delle   direttive
comunitarie sui rifiuti, ma  si  toglierebbe  a  queste  ultime  ogni
efficacia vincolante per il legislatore italiano,  come  effetto  del
semplice susseguirsi  di  norme  interne  diverse,  che  diverrebbero
insindacabili a seguito  della  previsione,  da  parte  del  medesimo
legislatore italiano, di sanzioni penali. 
    La responsabilita' penale, che  la  legge  italiana  prevede  per
l'inosservanza  delle  fattispecie  penali  connesse  alle  direttive
comunitarie,  per  dare  alle  stesse   maggior   forza,   diverrebbe
paradossalmente una barriera insuperabile  per  l'accertamento  della
loro violazione. 
    Per  superare  il  paradosso  sopra  segnalato,  occorre   quindi
distinguere tra controllo di  legittimita'  costituzionale,  che  non
puo' soffrire limitazioni, se ritualmente attivato secondo  le  norme
vigenti, ed effetti  delle  sentenze  di  accoglimento  nel  processo
principale, che devono essere valutati dal giudice rimettente secondo
i principi generali che reggono la successione nel tempo delle  leggi
penali. 
    Questa Corte ha gia' chiarito che l'eventuale accoglimento  delle
questioni relative a norme  piu'  favorevoli  «verrebbe  ad  incidere
sulle formule di proscioglimento  o,  quanto  meno,  sui  dispositivi
delle sentenze penali»;  peraltro,  «la  pronuncia  della  Corte  non
potrebbe non riflettersi sullo schema  argomentativo  della  sentenza
penale assolutoria, modificandone la ratio decidendi: poiche' in  tal
caso ne risulterebbe alterato [...]  il  fondamento  normativo  della
decisione, pur fermi restando i pratici effetti di essa» (sentenza n.
148 del 1983). 
    Occorre precisare inoltre che, nel caso  di  specie,  il  giudice
rimettente  ha  posto  un  problema  di  conformita'  di  una   norma
legislativa  italiana  ad  una  direttiva  comunitaria,  evocando   i
parametri di cui agli articoli 11 e  117  della  Costituzione,  senza
denunciare, ne'  nel  dispositivo  ne'  nella  motivazione  dell'atto
introduttivo del presente giudizio, la violazione dell'art.  3  della
Costituzione e  del  principio  di  ragionevolezza  intrinseca  delle
leggi. Cio' esclude che la questione oggi all'esame di  questa  Corte
comprenda  la  problematica  delle  norme  penali  di  favore,  quale
affrontata dalla sentenza n. 394 del 2006. 
    Infine va ricordato che, posti i  principi  di  cui  all'art.  49
della Carta dei diritti fondamentali  dell'Unione  europea,  all'art.
25, secondo comma, della Costituzione ed all'art.  2,  quarto  comma,
del codice  penale,  la  valutazione  del  modo  in  cui  il  sistema
normativo reagisce ad una sentenza costituzionale di accoglimento non
e' compito di questa Corte, in quanto la stessa spetta al giudice del
processo principale, unico competente a definire il giudizio  da  cui
prende le mosse l'incidente di costituzionalita'». 
    Principi che sono ribaditi anche  nella  successiva  sentenza  n.
40/2019, laddove la Corte osserva  che  «non  trova  riscontro  nella
giurisprudenza costituzionale  l'assunto  da  cui  muove  il  giudice
rimettente per cui la riserva di  legge  di  cui  all'art.  25  della
Costituzione precluderebbe in radice a questa Corte  la  possibilita'
di intervenire in materia penale con effetti meno favorevoli. Invero,
la  giurisprudenza  di  questa  Corte,  ribadita  anche  recentemente
(sentenze n. 236 del 2018 e n. 143 del 2018), ammette in  particolari
situazioni interventi  con  possibili  effetti  in  malam  partem  in
materia penale (sentenze n. 32 e n. 5 del 2014, n. 28  del  2010,  n.
394 del 2006), restando semmai da verificare l'ampiezza  e  i  limiti
dell'ammissibilita' di tali interventi nei singoli  casi.  Certamente
il principio  della  riserva  di  legge  di  cui  all'art.  25  della
Costituzione  rimette  al  legislatore  «la  scelta  dei   fatti   da
sottoporre a pena e delle sanzioni da applicare» (sentenza n.  5  del
2014), ma non esclude che questa Corte possa  assumere  decisioni  il
cui effetto in malam partem non discende dall'introduzione  di  nuove
norme o dalla manipolazione di norme  esistenti,  ma  dalla  semplice
rimozione di  disposizioni  costituzionalmente  illegittime.  In  tal
caso, l'effetto in malam partem e' ammissibile in quanto esso e'  una
mera conseguenza indiretta della reductio  ad  legitimitatem  di  una
norma costituzionalmente illegittima, la  cui  caducazione  determina
l'automatica  riespansione  di  altra  norma  dettata  dallo   stesso
legislatore (sentenza n. 236 del  2018)»;  sentenza,  quella  ora  in
esame n. 40/2019, nella quale la Corte - richiamando la pronuncia  n.
32  del  2014  -  chiarisce  la  possibilita'  di   declaratoria   di
incostituzionalita' con effetti in malam partem laddove la  pronuncia
della  Consulta  si   limiti   «a   rimuovere   dall'ordinamento   le
disposizioni costituzionalmente illegittime sottoposte al suo  esame,
nello  svolgimento  del  compito  assegnatole  dall'art.  134   della
Costituzione»  e  la  disciplina  applicabile  sia  «il   frutto   di
precedenti  scelte  del  legislatore  che  sono  tornate   ad   avere
applicazione dopo la declaratoria di illegittimita' costituzionale». 
    Non parrebbe revocabile in dubbio, quindi, la possibilita' per la
Corte costituzionale di intervenire  con  sentenza  in  malam  partem
(rectius,  l'ammissibilita'  della  relativa  questione)  laddove  la
disposizione   penale   favorevole   sospettata   di   illegittimita'
costituzionale si ponga in contrasto - come nel caso di specie -  con
il parametro costituzionale di cui  agli  articoli  11  e  117  della
Costituzione. 
    Si rimette alla Corte  costituzionale  la  valutazione  circa  la
possibilita' o meno di individuare una ulteriore eccezionale  ipotesi
di suo intervento in materia penale sostanziale in malam  partem,  in
caso di violazione di ulteriori e diversi  parametri  costituzionali,
laddove le violazioni della Carta  fondamentale  abbiano  un  effetto
grave  e  sistemico,  come  quelli  che  il  Tribunale  sommessamente
evidenzia  nella  parte  della  presente  ordinanza   dedicata   allo
scrutinio  di  non  manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita' per violazione dell'art. 97 della Costituzione. 
III. Non  manifesta  infondatezza  della  questione  di  legittimita'
costituzionale 
    Onde   comprendere   appieno    le    ragioni    processuali    e
giuridico-costituzionali che hanno portato il Tribunale  all'adozione
della presente ordinanza - in parte gia'  sopra  accennate  -  e  nel
contempo  perimetrare  il  vaglio  affidato  a  questo  collegio,  va
doverosamente premesso che sul giudice comune grava un vero e proprio
obbligo   di   sollevazione   delle   questioni    di    legittimita'
costituzionale  in  caso  di  serio  dubbio  di   conformita'   delle
disposizioni di legge o degli atti aventi  forza  di  legge  rispetto
alle disposizioni e ai principi contenuti nella Carta fondamentale. 
    Spetta, infatti, alla Corte costituzionale, quale  Giudice  delle
leggi, valutare la fondatezza o meno delle questioni di legittimita',
dovendosi limitare il giudice a quo a prendere atto (oltre che  della
rilevanza nel giudizio, di cui si e' gia' detto) della non  manifesta
infondatezza delle questioni di costituzionalita' poste dalle parti o
rilevabili d'ufficio. 
    Il  deciso  favor  dell'ordinamento  giuridico-costituzionale  in
ordine alla sollevazione della questione di costituzionalita' in caso
di possibile (ovvero dubbio, purche' serio) contrasto della normativa
di rango primario con la Carta fondamentale emerge chiaramente -  non
solo dall'art. 1,  comma  1,  legge  costituzionale  n.  1/1948,  che
prevede l'obbligo di rimessione della questione («e' rimessa») quando
questa «non sia ritenuta  dal  giudice  manifestamente  infondata»  e
dall'art. 23, legge n. 87/1953  che,  dal  canto  suo,  contempla  il
potere/dovere di sollevare  questione  di  legittimita'  «qualora  il
giudizio  non   possa   essere   definito   indipendentemente   dalla
risoluzione della questione  di  legittimita'  costituzionale  e  non
ritenga che la questione sollevata sia manifestamente infondata» - ma
e' indirettamente affermato anche  dall'art.  24,  legge  n.  87/1953
laddove  prevede  che  «l'ordinanza  che  respinga   l'eccezione   di
illegittimita'   costituzionale   per   manifesta    irrilevanza    o
infondatezza, deve essere adeguatamente motivata». 
    A ben vedere, inoltre, il favor dell'ordinamento in  merito  alla
rimessione delle questioni  di  legittimita'  da  parte  del  giudice
comune e' dovuto all'assetto del controllo di  costituzionalita',  di
tipo accentrato, e rimesso ad un organo, la Corte costituzionale, che
notoriamente non puo' svolgere d'ufficio lo scrutinio di legittimita'
costituzionale, ma di regola e' investito di tale compito  a  seguito
di rimessione da parte del giudice comune che rilevi  incidentalmente
una questione nel corso di un giudizio pendente avanti a se'. 
    Tale  potere-dovere  gravante  sul  giudice  comune  e'   sentito
massimamente dal Tribunale, considerata  la  particolare  gravita'  e
delicatezza della vicenda sottoposta al vaglio  di  questa  autorita'
giudiziaria e  vieppiu'  tenuto  conto  che  il  principale  soggetto
danneggiato e costituito parte civile ha espressamente sollecitato il
collegio, attraverso istanza/memoria scritta  depositata  all'udienza
di discussione del 9 settembre 2024,  a  rimettere  la  questione  di
legittimita' costituzionale alla Consulta. 
    Cio'  premesso,  come  si  avra'  modo  di  vedere,  i  dubbi  di
legittimita' costituzionale, per  possibile  contrasto  dell'art.  1,
lettera  b),  legge  9  agosto  2024,  n.  114  con  la  Costituzione
repubblicana (non solo in relazione agli  articoli  11  e  117  della
Costituzione),  connessi  all'effetto  di  abolitio  criminis  (quasi
totale), conseguenti all'abrogazione tout court della fattispecie «di
chiusura»  del  sistema  repressivo  dei  reati  contro  la  pubblica
amministrazione, rappresentata per l'appunto dall'abuso d'ufficio  ex
art. 323  del  codice  penale,  sono  tutt'altro  che  manifestamente
infondati; soprattutto  se  si  considera  la  contestuale  e  decisa
contrazione dell'ambito applicativo della fattispecie del traffico di
influenze illecite, ex art. 346-bis del  codice  penale,  di  cui  si
fatica ad individuare oggi un concreto spazio applicativo. 
    Nella   individuazione   dei   parametri   di   costituzionalita'
possibilmente violati e nella  valutazione  del  requisito/condizione
della non manifesta infondatezza si procedera' muovendo dal possibile
contrasto con gli articoli 11 e 117, comma 1 della  Costituzione,  in
quanto oggetto di apposita istanza/eccezione  del  difensore  di  una
delle parti civili, per poi passare ad illustrare alcune  valutazioni
officiose  di  questo  collegio  giudicante  riguardanti  un  diverso
parametro costituzionale. 
1. La violazione degli articoli 11 e 117, comma 1, della Costituzione 
    Il patrono della parte  civile  ha  sottoposto  al  collegio  una
questione di legittimita' costituzionale in ordine  alla  intervenuta
abrogazione dell'art. 323 del codice  penale  a  mezzo  dell'art.  1,
comma 1, lettera b), della legge 9 agosto 2024, n. 114 per violazione
degli articoli 11 e 117, comma  1  della  Costituzione  in  relazione
all'art. 19 della Convenzione delle Nazioni Unite del 2003 contro  la
corruzione  (cd.  Convenzione  di  Merida)  e   all'art.   31   della
Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati. 
    Nella propria memoria/istanza la parte civile - all'esito di  una
ampia disamina delle  disposizioni  contenute  nella  Convenzione  di
Merida, lette alla luce delle indicazioni  della  «Guida  Legislativa
per la Implementazione della Convenzione delle Nazioni  Unite  contro
la corruzione», che costituisce ad avviso dell'istante uno  strumento
ermeneutico essenziale, ai fini di una corretta esegesi del  Trattato
del 2003 - nonche' del principio di buona fede e di tutti  i  criteri
ermeneutici fissati dall'art  31  della  Convenzione  di  Vienna  per
l'interpretazione dei trattati - argomenta come di seguito esposto: 
        «[...] le previsioni convenzionali,  costruite  intorno  alla
formula  «Each  State  Party  shall  consider  adopting»,  lungi  dal
delineare una mera raccomandazione internazionale,  per  la  verita',
gravano il singolo Stato  aderente  di  un  vero  e  proprio  obbligo
internazionale,   imponendogli   di   valutare    concretamente    la
possibilita' di implementare una  determinata  figura  di  reato  nel
proprio sistema penale. Se e' in altre parole corretto sostenere  che
le previsioni in commento hanno un  grado  di  vincolativita'  minore
rispetto alle prescrizioni, compendiate intorno alla diversa  formula
«Each State Party shall adopt» - le sole suscettive di dar  luogo  ad
un vero e proprio obbligo di criminalizzazione,  e'  pero'  sbagliato
sostenere che queste stesse disposizioni non siano impegnative per  i
Paesi contraenti.  Le  sole  previsioni  convenzionali,  inidonee  ad
originare alcun tipo di obbligo per le Parti aderenti,  sono  infatti
quelle che si fondano sul diverso  sintagma  «Each  State  Party  may
adopt» (v., a titolo esemplificativo, l'art. 27, par.  2  e  3  della
Convenzione di Merida)». 
    La stessa difesa di parte civile mette in evidenza, inoltre, che: 
        «[...] il cuore del problema, che  non  sembra  essere  stato
minimamente sfiorato dagli uffici tecnici del Ministero, si sostanzia
nella pre-esistenza del modello penale di riferimento, alla  ratifica
della  Convenzione  di  Merida.  Aspetto  quest'ultimo   gravido   di
rilevanti, anzi dirimenti, conseguenze giuridiche. L'art. 31, par.  I
della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati e' chiaro, nello
stabilire che «Un trattato deve essere interpretato in buona fede, in
base al senso comune da attribuire ai termini del trattato  nel  loro
contesto ed alla luce del suo oggetto e del suo scopo - rectius,  dei
suo spirito». L'obiettivo dichiarato della Convenzione di Merida, per
quanto  emerge  dal  suo  stesso  tenore  letterale,  e'  quello   di
combattere la corruzione in tutte le sue possibili  declinazioni  (in
proposito,   v.   il   punto   6   delle   Guida   legislativa    per
l'implementazione della Convenzione delle  Nazioni  Unite  contro  la
corruzione), e quindi pure nella forma dell'abuso  d'ufficio  (a fini
meramente interpretativi, valga segnalare che, anche la  proposta  di
direttiva UE contro la corruzione qualifica esplicitamente l'abuso in
atti  d'ufficio  come   una   declinazione   dell'unitario   fenomeno
correttivo - al riguardo v. il punto 2 della proposta di direttiva in
oggetto,    rubricato    «Base    giuridica,     sussidiarieta'     e
proporzionalita'», fg. 6; oltreche' l'art. 11 di cui alla proposta di
direttiva in commento, fg. 36). 
        All'esito   di    un    opportuno    processo    ermeneutico,
teleologicamente  orientato   alla   stregua   dell'art.   31   della
Convenzione di Vienna sul  diritto  dei  trattati,  l'art.  19  della
Convenzione di Merida deve allora essere interpretato nel senso che: 
          gli Stati aderenti, che non conoscevano  il  reato  d'abuso
d'ufficio  alla  data  di  ratifica  del  Trattato,  sono  tenuti   a
considerare concretamente la possibilita' di adottarlo; 
          gli altri  Stati  aderenti,  che  a  quella  data  gia'  lo
annoveravano nel proprio sistema  penale,  sono  invece  obbligati  a
mantenerlo in vita. 
        In altri termini, l'art.  19,  per  la  tipologia  di  attori
statuali, fonda una posizione di  obbligo,  ricostruibile  in  questi
termini «se il tuo  sistema  legale  non  conosce  il  reato  d'abuso
d'ufficio, sei tenuto a  considerare  di  introdurlo,  o  meglio  sei
tenuto, nei limiti del possibile, ad attivarti per adottarlo, pur non
essendo obbligato ad implementarlo»; per il secondo gruppo di  Paesi,
come l'Italia, a ben  vedere,  origina  un  vero  e  proprio  obbligo
internazionale di stand still -  cioe'  l'obbligo  internazionale  di
mantenere le cose, cosi' come sono - la cui struttura va riassunta in
questi termini: «se il tuo  sistema  legale  gia'  conosce  il  reato
d'abuso d'ufficio, devi mantenere in vigore tale figura delittuosa». 
        D'altra  parte,   diversamente   opinando,   si   giungerebbe
all'assurdo per il quale il dovere internazionale di  considerare  di
introdurre  una  figura  di  reato,  per  combattere  ogni  forma  di
corruzione,  verrebbe   a   essere   interpretato   come   una   mera
raccomandazione   a    tenere    un    comportamento    assolutamente
discrezionale, a fronte della quale il legislatore nazionale  sarebbe
libero di prendersi la licenza - come accaduto - di poter smantellare
il proprio arsenale contro il  multiforme  fenomeno  corruttivo,  che
proprio la Convenzione di Merida e' preordinata a fronteggiare». 
    Sulla base di tali premesse la parte civile istante conclude come
di seguito: 
        «Lede dunque il buon senso e la logica, ed insieme il diritto
internazionale, l'avere asserito, come e' stato  sinora  asserito  da
fonti governative e parlamentari, che  l'obbligo  di  considerare  la
necessita' di avvalersi del reato d'abuso d'ufficio per combattere la
corruzione   sarebbe   ottemperato,   con   la   sua    cancellazione
dall'ordinamento. La Convenzione di Merida, insomma,  obbligando  gli
Stati aderenti che non lo prevedevano a  valutare  la  necessita'  di
implementare il reato d'abuso d'ufficio, ha pure obbligato gli  Stati
aderenti  che  gia'  lo  annoveravano  a  non  riconsiderare  la  sua
esistenza nei rispettivi ordinamenti nazionali. 
        In definitiva, alla luce dei plurimi rilievi critici sino  ad
ora mossi, la norma abrogativa dell'abuso d'ufficio, e  cioe'  l'art.
1, comma 1, lettera  b),  della  legge  agosto  2024,  n.  114,  deve
ritenersi incostituzionale, perche' lesiva degli articoli  11  e  117
della Costituzione, in relazione agli articoli 19  della  Convenzione
di Merida e 31 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati». 
 
                                 §§§ 
 
    Il  Tribunale  ritiene  la   questione   posta   tutt'altro   che
manifestamente infondata. 
    Valgano, a tal fine, le considerazioni giuridiche che seguono. 
    La Convenzione delle Nazioni Unite del 2003 contro la  corruzione
(cd.  Convenzione  di  Merida)  adottata  dalla  Assemblea   generale
dell'ONU il 31 ottobre 2003 con risoluzione n.  58/4,  firmata  dallo
Stato italiano il 9 dicembre 2003, come noto,  e'  stata  oggetto  di
ratifica ed esecuzione in Italia con legge 3 agosto 2009, n. 116. 
    E' un dato pacifico che la Convenzione di Merida  costituisca  un
vero  e  proprio  trattato  internazionale  di  natura  multilaterale
(d'altronde nel linguaggio internazionalistico, come noto, i  termini
trattato,   accordo,   patto   e   convenzione,    sono    utilizzati
indistintamente) e in quanto tale fonte  del  diritto  internazionale
particolare,  di  natura  volontaria,  vincolante   per   gli   Stati
contraenti e che trova il fondamento della sua obbligatorieta'  nella
ben nota norma consuetudinaria cogente pacta sunt servanda (principio
peraltro espresso nella Convenzione di Vienna del 23 maggio 1969  sul
diritto dei trattati, all'art. 26). 
    Nell'ambito  del  titolo  terzo  e  delle   misure   penali,   la
Convenzione ha posto  in  capo  agli  Stati  firmatati  l'obbligo  di
conferire carattere penale a una varieta' di infrazioni correlate  ad
atti di corruzione, qualora esse non siano gia' nel  diritto  interno
definite come infrazioni penali. 
    Una specifica  caratteristica  della  Convenzione  di  Merida  e'
l'ampliamento del relativo campo di applicazione: essa non prende  in
considerazione  solamente  forme  per  cosi'  dire  «tradizionali»  o
«classiche» di corruzione, ma anche violazioni «spia», sintomatiche o
agevolatrici della corruzione stessa.  Cio',  del  resto,  si  evince
dalla Legislative guide for the implementation of the United  Nations
Convention against corruption considerato, a buon ragione,  documento
di  «interpretazione  autentica»   della   Convenzione   stessa,   in
considerazione del suo contenuto, della finalita'  e  del  fatto  che
promana dalle stesse Nazioni Unite (Drugs  and  Crime  Office).  Tale
documento, ovvero la Legislative guide for the implementation of  the
United  Nations  Convention  against   corruption,   nella   versione
consolidata al 2012, al punto 6 (p. 2) prevede espressamente che «The
Convention goes on to require the State parties to introduce criminal
and other offences to cover a wide range of acts  of  corruption,  to
the extent these are not already defined as such under domestic  law.
The criminalization of some acts is mandatory under  the  Convention,
which also requires that State parties consider the establishment  of
additional  offences.  An  innovation  of  the   Convention   against
Corruption is that it addresses not only basic forms  of  corruption,
such as bribery and the embezzlement of public funds, but  also  acts
carried out in support of corruption, obstruction of justice, trading
in influence and the concealment or laundering  of  the  proceeds  of
corruption. Finally, this part of  the  Convention  also  deals  with
corruption in the private sector» (previsione che puo'  essere  cosi'
traslata: la Convenzione richiede poi agli Stati parti di  introdurre
reati penali e altri reati per coprire  un'ampia  gamma  di  atti  di
corruzione, nella misura in cui questi non siano gia'  definiti  come
tali dal diritto interno. La  criminalizzazione  di  alcuni  atti  e'
obbligatoria ai sensi della Convenzione, che richiede anche  che  gli
Stati parti considerino l'istituzione di ulteriori reati. Una novita'
della Convenzione contro la corruzione e' che essa affronta non  solo
le  forme   basilari   di   corruzione,   come   le   concussioni   e
l'appropriazione indebita  di  fondi  pubblici,  ma  anche  gli  atti
compiuti a sostegno della corruzione, l'ostruzione alla giustizia, il
traffico di influenza e l'occultamento o il riciclaggio dei  proventi
della corruzione. Infine, questa parte della  Convenzione  si  occupa
anche della corruzione nel settore privato); lo stesso documento a p.
59, di fatto riprendendo quanto previsto dall'art. 65, comma 2, della
Convenzione prevede inoltre che «The  Convention  introduces  minimum
standards, but States parties are  free  to  go beyond  them.  It  is
indeed  recognized  that  States  may  criminalize  or  have  already
criminalized conduct other than the offences listed in  this  chapter
as corrupt conduct» (previsione che puo' essere  cosi'  traslata:  la
Convenzione introduce standard minimi, ma gli Stati parti sono liberi
di andare oltre.  E'  infatti  riconosciuto  che  gli  Stati  possono
criminalizzare o hanno gia' criminalizzato comportamenti diversi  dai
reati elencati in questo capitolo come condotta di corruzione). 
    Cio' premesso in via generale, va considerato che all'art. 19  la
Convenzione  prende  in  espressa   considerazione   la   fattispecie
dell'abuso d'ufficio prevedendo:  Each  State  Party  shall  consider
adopting such legislative and other measures as may be  necessary  to
establish as a criminal offence, when  committed  intentionally,  the
abuse of functions or  position,  that  is,  the  performance  of  or
failure to perform an act, in violation of laws, by a public official
in the discharge  of  his  or  her  functions,  for  the  purpose  of
obtaining an undue advantage for himself or herself  or  for  another
person or entity» (nella traduzione italiana, rinvenibile in allegato
alla legge di autorizzazione alla  ratifica  ed  esecuzione  legge  3
agosto 2009, n. 116, la disposizione viene cosi' traslata:  «Art.  19
Abuso d'ufficio Ciascuno Stato Parte esamina l'adozione delle  misure
legislative e delle altre misure neassarie per conferire il carattere
di illecito penale, quando l'atto e' stato commesso intenzionalmente,
al fatto per un pubblico ufficiale di abusare delle proprie  funzioni
o della sua posizione, ossia di compiere o di astenersi dal compiere,
nell'esercizio delle proprie funzioni, un atto  in  violazione  delle
leggi al fine di ottenere un indebito vantaggio per se o per un'altra
persona o entita'). 
    A seguito dell'abrogazione  dell'art.  323 del  codice  penale  i
giuristi e i primi commentatori (ma del resto seri dubbi  erano  gia'
stati sollevati da Autori e  operatori  del  diritto  nella  fase  di
discussione ed approvazione della legge abrogativa) si sono posti  il
quesito se la abolitio criminis contrasti: a) con un vero  e  proprio
obbligo  di  criminalizzazione/penalizzazione  dell'abuso   d'ufficio
eventualmente imposto dall'art. 19 della Convenzione  di  Merida;  b)
se, in ogni caso, la sopravvenuta abrogazione  dell'abuso  d'ufficio,
reato preesistente in Italia rispetto alla Convenzione  di  Merida  e
che attuava l'art. 19 di tale Convenzione, possa  integrare  comunque
una violazione del diritto internazionale (ovvero, altrimenti  detto,
per usare una efficace espressione di un illustre Autore  se  «esista
un vincolo convenzionale che impedisca al nostro  Paese  di  fare  un
passo indietro») e, quindi, vi sia un contrasto con l'art. 117, comma
1 della Costituzione. 
    Va  in  questo  senso  premesso  che  il  diritto  internazionale
pubblico prevede un procedimento di adattamento del  diritto  interno
al diritto internazionale, soprattutto laddove - come nel caso  della
Convenzione di Merida  -  taluni  obblighi  convenzionali  consistano
proprio nella doverosa conformazione del diritto interno dello  Stato
contraente a determinati standard minimi di tutela (anche penale)  di
beni giuridici presi in considerazione nel  trattato  internazionale;
si tratta, com'e' noto, di un procedimento  attraverso  il  quale  le
norme internazionali trovano  applicazione  nell'ordinamento  di  uno
Stato contraente o, comunque, mediante il quale quest'ultimo  adempie
all'obbligo  assunto  in  sede  internazionale  con  la  stipula  del
trattato. 
    In questo senso l'art. 65, comma 1, della Convenzione «Attuazione
della Convenzione» prevede che «Ciascuno Stato Parte adotta le misure
necessarie,  comprese  misure  legislative  ed   amministrative,   in
conformita' con i principi findamentali del suo diritto interno,  per
assicurare l'esecuzione dei suoi obblighi  ai  sensi  della  presente
Convenzione». 
    Ebbene, in  simili  casi  l'esecuzione  del  trattato  attraverso
l'adattamento puo' comportare una serie di modifiche  all'ordinamento
interno dello Stato contraente al fine di renderlo conforme a  quello
internazionale; adattamento  che,  secondo  la  consolidata  dottrina
internazionalistica, puo' avvenire con diverse modalita', ovvero  per
il tramite di: 
        produzione   di   norme   interne   non   ancora    esistenti
nell'ordinamento interno, che  assicurino  il  rispetto  dell'obbligo
internazionale assunto dallo Stato  contraente  con  la  stipula  del
trattato internazionale; 
        emendamento di norme interne gia' esistenti  nell'ordinamento
interno,  laddove  confliggenti  con  quelle  dettate   dal   diritto
internazionale; 
        abrogazione di  norme  interne  esistenti  incompatibili  con
quelle dettate dal diritto internazionale da  recepire  o  a  cui  lo
Stato deve conformarsi. 
    Ma  le  procedure  di  adattamento  del  diritto  interno   sopra
brevemente richiamate, non rappresentano (questo, come si vedra',  e'
un aspetto decisivo nel caso di specie) l'unica modalita'  attraverso
cui lo Stato adempie all'obbligo assunto in sede internazionale. 
    Infatti, secondo la condivisibile  dottrina  internazionalistica,
nella diversa ipotesi cui  l'ordinamento  interno  preveda  gia',  al
momento  dell'assunzione  dell'obbligo  internazionale,   una   norma
interna pienamente conforme  a  quella  internazionale,  sullo  Stato
contraente grava un vero e proprio obbligo, sul piano internazionale,
consistente nel non abrogare tale norma, atteso che la  efficacia  di
tale  norma  interna  risulterebbe   rafforzata   e   vincolata   dal
collegamento esistente con la norma internazionale a cui lo Stato  e'
tenuto ad adeguarsi. 
    Nel   caso   della   Convenzione   di   Merida,   l'obbligo   del
mantenimento/non abrogazione  delle  norme  interne  preesistenti  e'
peraltro espressamente previsto dall'art. 7, «Settore  pubblico»  che
al  comma  4  dispone  che  [...]  «4.  Ciascuno  stato  si  adopera,
conformemente ai principi fondamentali del proprio  diritto  interno,
al fine di adottare, mantenere e rafforzare i sistemi che favoriscono
la trasparenza e prevengono i conflitti di interesse». 
    Orbene, come condivisibilmente sostiene la parte  civile  istante
nel  presente  giudizio,  la  corretta  portata  dell'art.  19  della
Convenzione   di   Merida   puo'   essere   colta   solo   attraverso
un'interpretazione  rispettosa  dell'art.  31  della  Convenzione  di
Vienna del 23 maggio 1969 sul diritto dei  trattati  e  di  carattere
sistematico, ovvero mediante una lettura congiunta e comparata con le
altre disposizioni della  Convenzione,  nella  quale  si  fa  uso  di
espressioni diverse («each State Party shall adopt»; «shall  consider
adopting» or «shall endeavour to»; «may adopt». 
    Per la corretta  comprensione  del  significato  dell'espressione
impiegata dall'art. 19 della Convenzione di Merida («Each State Party
shall  consider  adopting»)  e,  quindi,   del   suo   contenuto   e,
soprattutto, per cogliere la sua portata  obbligatoria  e  vincolante
per lo Stato contraente/aderente,  deve  ricorrersi  nuovamente  alla
Legislative guide  for  the  implementation  of  the  United  Nations
Convention  against  corruption,  quale  atto   di   «interpretazione
autentica» della Convenzione stessa, laddove ai punti 11 e 12 (p.  4)
si  chiarisce  che  l'espressione   indicata   nell'art.   19   della
Convenzione di Merida, con riferimento all'abuso  d'ufficio,  colloca
tale previsione non nell'ambito delle semplici raccomandazioni  («may
adopt»): 
        «11. In establishing their priorities,  national  legislative
drafters  and  other  policymakers  should  bear  in  mind  that  the
provisions of the Convention do  not  all  have  the  same  level  of
obligation. In general, provisions can be grouped into the  following
three categories: 
          (a) Mandatory provisions, which consist of  obligations  to
legislate (either absolutely or where specified conditions have  been
met); 
          (b) Measures that States parties must consider applying  or
endeavour to adopt; 
          (c) Measures that are optional. 
        12. Whenever the phrase "each State  Party  shall  adopt"  is
used, the reference is  to  a  mandatory  provision.  Otherwise,  the
language used in the guide is "shall  consider  adopting"  or  "shall
endeavour to", which means that States are urged to consider adopting
a certain measure and to make a genuine  effort  to  see  whether  it
would be compatible with their legal sistem.  For  entirely  optional
provisions, the guide employs the term "may adopt". 
        [previsione  che  puo'  essere  cosi'  traslata:  "11.  Nello
stabilire le loro priorita', i redattori legislativi nazionali e  gli
altri  decisori  politici   dovrebbero   tenere   presente   che   le
disposizioni della Convenzione non hanno tutte lo stesso  livello  di
obblighi. In generale, le  disposizioni  possono  essere  raggruppate
nelle seguenti tre categorie: 
          (a) disposizioni obbligatorie, che consistono  in  obblighi
di legiferare (in modo assoluto o quando sono soddisfatte determinate
condizioni); 
          (b) misure  che  gli  Stati  parti  devono  considerare  di
applicare o tentare di adottare; 
          (c) misure facoltative. 
        12. Ogni volta che viene utilizzata  l'espressione  "ciascuno
Stato Parte adotta", si fa riferimento a una disposizione imperativa.
Altrimenti, il linguaggio utilizzato  nella  guida  e'  "considerera'
l'adozione" o "si adopera per", il che significa che gli  Stati  sono
invitati a prendere in considerazione l'adozione di  una  determinata
misura  e  a  compiere  uno  sforzo  reale  per  vedere  se   sarebbe
compatibile con il loro ordinamento giuridico.  Per  le  disposizioni
del tutto facoltative la guida utilizza il termine "puo' adottare"»]. 
    Orbene, come si coglie  da  una  lettura  attenta  e  ragionevole
dell'art. 19 della Convenzione di Merida, alla  luce  delle  preziose
indicazioni interpretative contenute nella Legislative guide for  the
implementation of the United Nations Convention  against  corruption,
la portata dell'art. 19 - diretto, anzitutto, (ma non solo,  come  si
dira') agli Stati  contraenti  che  non  avevano  gia',  diversamente
dall'Italia,  nel  proprio  ordinamento,  la  fattispecie  di   abuso
d'ufficio all'atto dell'adesione alla Convenzione stessa -  non  puo'
considerarsi una mera raccomandazione priva  di  effetti  obbligatori
sul  piano  internazionale  e   convenzionale:   in   ragione   della
espressione impiegata «shall  consider  adopting»,  l'art.  19  della
Convenzione  non  e'  collocabile  tra  le  disposizioni  del   tutto
facoltative [lettera c)  del  punto  11  della  Legislative  guide)],
bensi' va annoverata  tra  le  «Measures  that  States  parties  must
consider applying or endeavour to adopt» [lettera  b)  del  punto  11
della Legislative guide]. Categoria quest'ultima che comporta un vero
e proprio obbligo in capo allo Stato contraente  come  emerge  -  non
solo dalla prima parte del punto  11,  laddove  si  afferma  in  modo
inequivoco che le disposizioni della Convenzione prevedono un diverso
livello di obblighi («... the provisions of the Convention do not all
have the same level  of  obligation»)  e  che,  dunque,  di  obbligo,
ancorche' di diverso  contenuto,  si  tratta  anche  in  ipotesi  non
riconducibile a quello contemplato dalla lettera a) - ma anche  dalla
seconda parte del punto 11, laddove, proprio nella lettera b), si  fa
impiego del verbo «must» («Measures that States parties must consider
applying or endeavour to adopt», ovvero: misure che gli  Stati  parti
devono considerare di applicare o tentare di adottare). 
    Ebbene,   il   contenuto   dell'obbligo   giuridico   sul   piano
internazionale discendente dall'art. 19 della Convenzione di Merida -
letto ed interpretato in relazione al punto 11, lettera b) e punto 12
della Legislative guide for the implementation of the United  Nations
Convention against  corruption  (p.  4)  -  deve  essere  individuato
tenendo conto di un'altra disposizione della Convenzione  di  Merida,
ovvero il gia' citato art. 7,  «Settore  pubblico»  che  al  comma  4
prevede che [...] «4. Ciascuno stato  si  adopera,  conformemente  ai
principi  fondamentali  del  proprio  diritto  interno,  al  fine  di
adottare,  mantenere  e  rafforzare  i  sistemi  che  favoriscono  la
trasparenza e prevengono i conflitti di interesse». 
    Ad avviso del Tribunale, dunque, gli obblighi  discendenti  dalla
Convenzione di Merida (ci si concentra ora su quelli di cui  all'art.
19) vanno declinati diversamente, tenuto  conto  anche  dell'art.  7,
comma 4 della Convenzione medesima, a seconda del fatto che lo  Stato
aderente abbia o  meno  gia'  adottato  nel  proprio  ordinamento  la
fattispecie di abuso d'ufficio, sicche': 
        a) lo Stato parte che non  abbia  introdotto  la  fattispecie
prima dell'adesione  alla  Convenzione  di  Merida,  sara'  tenuto  a
valutare  concretamente  e  seriamente   la   sua   introduzione   in
conformita' al proprio diritto interno, dovendo compiere  uno  sforzo
reale per vedere se essa sia compatibile con il  proprio  ordinamento
giuridico; di talche', laddove tale compatibilita' sussista, lo Stato
contraente, onde intenda adeguarsi all'obbligo internazionale,  sara'
ragionevolmente tenuto ad introdurlo; 
        b) lo Stato parte  che  invece,  come  l'Italia,  abbia  gia'
introdotto la fattispecie prima  dell'adesione  alla  Convenzione  di
Merida e che ha, dunque, gia' positivamente valutato  la  conformita'
della fattispecie rispetto  al  proprio  diritto  interno  -  dovendo
mantenere e rafforzare i sistemi che  favoriscono  la  trasparenza  e
prevengono i conflitti di interesse (art. 7, comma 4, Convenzione  di
Merida) - per adeguarsi all'obbligo internazionale  di  cui  all'art.
19, sara' tenuto a non abrogare la fattispecie gia' vigente, vieppiu'
senza  la  contestuale  adozione  di  alcuna  misura  preventiva  e/o
repressiva-sanzionatoria  caratterizzata  da  concreta  ed  effettiva
dissuasivita'. 
    Ad abundantiam, si rileva che le conclusioni tratte dal Tribunale
in ordine alla sussistenza di un  obbligo  internazionale  e  di  una
possibile  violazione   della   Convenzione,   proprio   in   ragione
dell'abrogazione dell'art. 323  del  codice  penale,  convergono  col
contenuto della Relazione annuale della Commissione U.E. sullo  Stato
di diritto per il 2024, adottata a Bruxelles il 24  luglio  2024.  Si
legge a tal proposito nel capitolo sulla situazione  dello  Stato  di
diritto  in  Italia  -  parte  II.  laddove  si  esamina  il  «Quadro
anticorruzione» (si riporta lo stralcio della parte di interesse  con
le relative note): 
        «... Il Parlamento ha  approvato  un  disegno  di  legge  che
abroga la fattispecie  dell'abuso  d'ufficio  e  limita  l'ambito  di
applicazione del reato di  traffico  di  influenze  illecite.  Il  10
luglio 2024 il Parlamento ha approvato un disegno di legge (125)  che
abroga la fattispecie  dell'abuso  d'ufficio  e  limita  l'ambito  di
applicazione del reato di traffico influenze illetite.  Le  modifiche
dell'ambito di  applicazione  del  reato  di  traffico  di  influenze
illecite mirano a escludere non solo i casi in cui  il  mediatore  si
limita ad asserire di essere in  grado  di  influenzare  il  pubblico
ufficiale, ma anche quelli in cui l'utilita' data o promessa  non  e'
economica (126). Il Governo  osserva  che  soltanto  una  percentuale
limitata di tutti i procedimenti penali  condotti  per  il  reato  di
abuso d'ufficio si concluderebbe  con  una  condanna  (127),  il  che
dimostrerebbe che penalizzare tale  comportamento  e'  inefficace  in
rapporto alle risorse amministrative e  finanziarie  investite  nelle
relative attivita' procedurali (128). Il Governo sostiene inoltre che
la fattispecie  esercita  un  effetto  paralizzante  sulle  pubbliche
amministrazioni e che altri reati di corruzione forniscono un  quadro
legislativo abbastanza forte  per  combattere  gli  atti  che  minano
l'imparzialita'  e   il   corretto   funzionamento   della   pubblica
amministrazione  (129).  Tuttavia  la  criminalizzazione   dell'abuso
d'ufficio e del traffico di  influenze  illecite  e'  prevista  dalle
convenzioni  internazionali  sulla  corruzione  ed  e'   quindi   uno
strumento essenziale per le autorita' di contrasto e  le  procure  ai
fini della lotta contro la corruzione (130). I portatori di interessi
hanno osservato  che  l'abrogazione  del  reato  di  abuso  d'ufficio
potrebbe comportare una diminuzione  dei  livelli  di  rilevamento  e
investigazione della frode e della corruzione (131). Inoltre (132) la
riduzione dell'ambito  di  applicazione  del  reato  di  traffico  di
influenze illecite dovrebbe essere  controbilanciata  da  norme  piu'
rigorose in materia di lobbying (133). Il 3 luglio 2024 il Governo ha
approvato un decreto-legge che  introduce  la  nuova  fattispecie  di
reato   di   peculato   per   distrazione,   riguardante   l'indebita
destinazione di denaro o cose mobili da parte di  pubblico  ufficiale
(134). 
        125 Disegno di legge A.C. 1718, Modifiche al  codice  penale,
al codice di  procedura  penale,  all'ordinamento  giudiziario  e  al
codice dell'ordinamento militare. 
        126 Cfr. Relazione sullo Stato  di  diritto  2023 -  Capitolo
sulla situazione dello Stato di diritto in Italia, pag. 12, nota 87. 
        127 Sui  5292  procedimenti  conclusi  per  questo  reato  le
condanne sono state soltanto nove e sui  4481  procedimenti  conclusi
nel 2022 le condanne sono state soltanto  diciotto.  Cfr.  contributo
scritto del Ministero della giustizia in occasione  della  visita  in
Italia, pag. 23; Relazione sullo Stato  di  diritto  2023 -  Capitolo
sulla situazione dello Stato di diritto in Italia, pag. 12, nota 86. 
        128 Contributo  scritto  del  Ministero  della  giustizia  in
occasione della visita in Italia, pagg. 21 e 22. Le disposizioni  del
codice penale sul reato di  abuso  d'ufficio  sona  state  modificate
almeno cinque volte tra il 1930 e il 2020. Si vedano le audizioni del
presidente dell'ANAC del 5 settembre 2023  dinanzi  al  Senato  della
Repubblica (pagg. 5 e 6) e del 28 marzo 2024 dinanzi alla Camera  dei
deputati (pagg. da 5 a 7). 
        129 Contributo  scritto  del  Ministero  della  giustizia  in
occasione della visita in Italia, pagg. 3 e 4. 
        130 L'abuso di pubblico ufficio e il  traffico  di  influenze
illecite figurano nella Convenzione delle  Nazioni  Unite  contro  la
corruzione  e  il  traffico  di  influenze  illecite   figura   nella
convenzione  penale  del  Consiglio  d'Europa  sulla  corruzione.  La
Commissione ha  proposto  di  criminalizzare  tali  reati  a  livello
dell'Unione nel maggio 2023, in seguito all'impegno preso  dalla  sua
presidente  nel   discorso   sullo   stato   dell'Unione   del   2022
(COM(2023)234 final del 3 maggio 2023). In  occasione  dell'audizione
di fronte alla Commissione giustizia del Senato della Repubblica  del
5 settembre 2023, il presidente dell'ANAC ha affermato che il disegno
di legge sarebbe contrario alla proposta  della  Commissione  e  alle
convenzioni internazionali anticorruzione. A questo proposito si veda
il contributo  di  Magistrats  Europeens  pour la Democratie  et  les
Libertes alla Relazione sullo Stato di diritto 2024, pag. 18. L'abuso
d'ufficio configura reato in almeno venticinque  Stati  membri:  cfr.
COM(2023)234 final del 3 maggio 2023, pag. 12. 
        131 Si vedano le audizioni del  presidente  dell'ANAC  del  5
settembre 2023 dinanzi al Senato della Repubblica (pagg. 12 e  13)  e
del 28 marzo 2024 dinanzi alla Camera dei deputati (pagg. da 12 a  14
e 17) e il contributo scritto dell'ANAC in occasione della visita  in
Italia, pag. 9. Si vedano inoltre i contributi dell'EPPO (pag. 34)  e
di Magistrats Europeens pour la Democratie et les Libertes (pag.  18)
alla Relazione sullo Stato di diritto 2024 e il contributo scritto di
The Good  Lobby  in  occasione  della  visita  in  Italia  (pag.  4).
Informazione ricevuta anche in occasione della visita in Italia dalla
Direzione  nazionale  antimafia  e  antiterrorismo,   dalla   Procura
generale presso la  Corte  suprema  di  cassazione,  da  Transparency
International Italy e da Openpolis.  In  occasione  della  visita  in
Italia, la Procura generale presso la Corte suprema di cassazione  ha
osservato che la differenza tra il numero di procedimenti e il numero
di condanne potrebbe anche  essere  interpretata  positivamente  come
prova dell'accuratezza delle autorita'  investigative  nell'esaminare
gli  elementi  di  prova.  Il  presidente  dell'ANAC   ha   formulalo
un'osservazione  analoga  nell'audizione  dinanzi  alla  Camera   dei
deputati del 28 marzo 2024 (pag. 4). 
        132 Informazioni ricevute in occasione della visita in Italia
da The Good Lobby, da Libera,  dall'ANAC  e  dalla  Procura  generale
presso  la  Corte  suprema  di  cassazione.  Si  vedano  inoltre   il
contributo scritto di The Good Lobby in  occasione  della  visita  in
Italia e i contributi di The Good Lobby «Regulate lobbying to improve
democracy» e «Anticorruption Decalogue»; l'audizione  del  presidente
dell'ANAC dinanzi alla Camera dei deputati del 28 marzo  2024  (pagg.
18 e 21 ). ....» 
    Si aggiunga, infine, sempre ad abundantiam,  che  il  legislatore
italiano nella scelta di abolire la fattispecie di  abuso  d'ufficio,
si colloca in decisa  controtendenza,  non  solo  rispetto  a  quanto
avviene sul piano internazionale, ma anche rispetto alle scelte  gia'
effettuate  dallo  stesso  legislatore  in  attuazione  di  direttive
dell'UE: 
    de jure condito, deve evidenziarsi che con decreto legislativo n.
156/2022 il legislatore  italiano,  in  dichiarata  attuazione  della
direttiva  UE  2017/1371,  aveva  novellato   l'art.   322-bis   c.p.
inserendovi proprio la fattispecie di abuso d'ufficio; 
    de jure condendo, si osserva che la recente proposta di direttiva
europea sulla lotta  alla  corruzione,  sostitutiva  della  decisione
quadro 2003/568/GAI e di modifica della direttiva  UE  2017/1371,  in
attuazione proprio della Convenzione ONU di Merida del 2003, all'art.
11, impegna gli Stati membri a  prevedere  espressamente  come  reato
l'abuso d'ufficio. 
    Ritiene, in definitiva, il Tribunale che  le  ragioni  giuridiche
sopra  esposte  portino  a  dubitare  seriamente  della   conformita'
costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera b) della legge 9  agosto
2024, n. 114 nella parte in cui abroga il reato di cui  all'art.  323
c.p. per violazione degli artt. 11 e 117, comma 1 della Costituzione,
in relazione agli  artt.  7,  comma  4,  19  e  65,  comma  1,  della
Convenzione delle Nazioni Unite del 2003 contro  la  corruzione  (cd.
Convenzione di Merida). 
2. La violazione dell'art. 97 della Costituzione 
    Il Tribunale sospetta anche  l'incostituzionalita'  dell'art.  1,
comma 1, lettera b) della legge 9 agosto 2024, n. 114, per violazione
dell'art. 97 della Costituzione. 
    Come noto l'art. 323 c.p. negli ultimi decenni e'  stato  oggetto
di diversi interventi legislativi:  si  ricordano  le  riformulazioni
della fattispecie operate  con  legge  n.  86/1990  e  con  legge  n.
234/1997; l'inasprimento della  pena  detentiva  massima  applicabile
fino a quattro anni di reclusione con legge n. 190/2012; la  parziale
abolitio  criminis  con  decreto-legge  16  luglio   2020,   n.   76,
convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120;
la fattispecie e'  stata,  infine,  abrogata  a  mezzo  dell'art.  1,
lettera b) della legge 9 agosto 2024,  n.  114,  atto  normativo  che
(art. 1, lettera e), nel contempo, ha sostituito l'art. 346-bis c.p.,
restringendone fortemente l'ambito applicativo. 
    Concentrandosi  sugli  interventi  normativi  piu'   recenti   si
evidenzia  che  il  punto  nodale  della  riforma  del  2020  passava
attraverso la sostituzione della locuzione «di norme di  legge  o  di
regolamento»  con  quella   «di   specifiche   regole   di   condotta
espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge  e
dalle quali non residuino margini di discrezionalita'». 
    In  questo  modo  la  novella  legislativa  aveva  ristretto   la
fattispecie, operando - quantomeno  formalmente  -  su  tre  distinti
fronti: rispetto all'oggetto, atteso che la violazione  commessa  dal
soggetto pubblico doveva riguardare una regola di condotta (e non, ad
esempio, una regola organizzativa); rispetto alla fonte, in quanto la
regola violata doveva essere specifica ed espressamente  prevista  da
una legge o da un atto avente forza di legge,  con  esclusione  delle
norme regolamentari; rispetto al  contenuto,  atteso  che  la  regola
violata non doveva lasciare spazi di discrezionalita'. 
    E'  conscio  il  Tribunale  di  quanto  affermato   dalla   Corte
costituzionale nella gia' citata sentenza  n.  8/2022  proprio  nello
scrutinio di ammissibilita' e fondatezza  della  questione  sollevata
con riferimento (anche) all'art. 97 della Costituzione in riferimento
alla parziale abolitio  criminis  intervenuta  con  decreto-legge  16
luglio 2020, n. 76, convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  11
settembre 2020, n. 120; in tale pronuncia la Corte ha chiarito  «come
una censura di illegittimita' costituzionale non  possa  basarsi  sul
pregiudizio che la formulazione, in assunto  troppo  restrittiva,  di
una  norma   incriminatrice,   recherebbe   a   valori   di   rilievo
costituzionale,  quali,  nella  specie,  l'imparzialita'  e  il  buon
andamento della pubblica amministrazione. Le esigenze  costituzionali
di tutela non si  esauriscono,  infatti,  nella  tutela  penale,  ben
potendo  essere  soddisfatte   con   altri   precetti   e   sanzioni:
l'incriminazione  costituisce   anzi   un'extrema   ratio,   cui   il
legislatore ricorre quando, nel suo discrezionale  apprezzamento,  lo
ritenga necessario per l'assenza o l'inadeguatezza di altri mezzi  di
tutela (sentenza n. 447 del 1998; in senso analogo,  con  riferimento
all'abrogazione del reato di ingiuria, sentenza n. 37  del  2019;  si
vedano pure la sentenza n. 273 del 2010  e  l'ordinanza  n.  317  del
1996)». 
    Il quadro normativo di fronte al quale si trova oggi il Tribunale
e', pero', mutato rispetto a  quello  scrutinato  dalla  Corte  nella
sentenza n. 8/2022. 
    Valgano a tal fine le  brevi  considerazioni  giuridiche  di  cui
appresso, ad avviso del Tribunale decisive in ordine  alla  possibile
violazione dell'art. 97  della  Costituzione,  per  frustrazione  dei
principi  di  buon   andamento   e   imparzialita'   della   pubblica
amministrazione: 
        1) la riforma odierna abolisce la fattispecie di cui all'art.
323 c.p., sia nella forma dell'abuso «per violazione  di  legge»  che
«per  omessa  astensione»,  sia  dell'abuso  «di   danno»   che   «di
vantaggio»; a ben vedere le uniche condotte  finora  incriminate  sub
art. 323 c.p. a rimanere sanzionate penalmente  sono  costituite  dal
c.d. peculato per distrazione (limitata alla distrazione di denaro  o
cose mobili), in  forza  della  quasi  contestuale  (ma  antecedente)
introduzione dell'art. 314-bis c.p. (Indebita destinazione di  denaro
o cose mobili) ad opera del  decreto-legge  n.  92/2024,  entrato  in
vigore prima dell'abrogazione dell'art. 323 c.p.  e  dalle  forme  di
abuso d'ufficio per omissione, tuttora incriminato sub art. 328 c.p.; 
        2) e' dunque inibita la repressione e  la  tutela  sul  piano
penale - non solo nelle ipotesi di violazione di  legge  (ultimamente
ormai limitate alle piu' gravi, obiettive e  conclamate,  in  ragione
della riformulazione introdotta nel 2020) intenzionalmente  poste  in
essere dal pubblico ufficiale (o incaricato di pubblico servizio) per
danneggiare o favorire taluno - ma addirittura nei  casi  di  mancata
astensione, in caso di conflitto di  interessi  o  di  situazioni  di
incompatibilita'; 
        3)  l'abrogazione  dell'art.  323   c.p.   pare   addirittura
depotenziare,  sebbene  in  via  indiretta,  lo  stesso  obbligo   di
astensione del pubblico ufficiale in caso di conflitto di  interessi,
tenuto  conto   che   -   come   riconosciuto   dalla   condivisibile
giurisprudenza di legittimita' - la disposizione abrogata fungeva, in
un tempo,  da  norma  repressiva  della  violazione  dell'obbligo  di
astensione (ove ricorressero gli  altri  elementi  costitutivi  della
fattispecie, s'intende) e da  norma  fondativa  dell'obbligo  stesso,
specialmente in settori nei quali l'obbligo non era  oggetto  di  una
specifica  disciplina  («L'art.   323   cod.   pen.   ha   introdotto
nell'ordinamento, in via diretta e generale, un dovere di  astensione
per i pubblici agenti che si trovino in una situazione  di  conflitto
di interessi, con la conseguenza che  l'inosservanza  del  dovere  di
astenersi in presenza di  un  interesse  proprio  o  di  un  prossimo
congiunto integra il reato anche se manchi, per il  procedimento  ove
l'agente  e'  chiamato   ad   operare,   una   specifica   disciplina
dell'astensione, o ve ne sia una che riguardi un numero piu'  ridotto
di ipotesi o che sia priva  di  carattere  cogente»  Cass.,  Sez.  6,
sentenza n. 14457 del 15 marzo 2013 - Rv. 255324 - 01); 
        4) nel contempo la legge 9  agosto  2024,  n.  114  (art.  1,
lettera  e),  ha  sostituito  l'art.  346-bis  c.p.,   restringendone
fortemente l'ambito applicativo (o, per usare l'efficace  espressione
di un autorevole commentatore,  il  «soffocamento  applicativo  della
fattispecie») atteso che: 
          a) la nuova fattispecie si riferisce  solo  alle  relazioni
esistenti e, pertanto, non da' piu'  rilievo  ai  fatti  commessi  da
faccendieri (o trafficanti di influenze) millantatori; 
          b) la nuova formulazione dell'art.  346-bis  c.p.,  precisa
che l'utilizzazione delle relazioni deve  avvenire  «intenzionalmente
allo  scopo»  di  porre  in  essere  le  condotte  che  integrano  la
fattispecie delittuosa; espressione con  cui  legislatore  pare  aver
voluto  restringere  l'ambito  di  applicazione   della   fattispecie
aggiungendo  il  requisito  del   dolo   intenzionale   in   rapporto
all'utilizzazione delle relazioni con il pubblico funzionario; 
          c) con la legge n. 114/2024, l'utilita' data o promessa  al
mediatore, in  alternativa  al  denaro,  deve  essere  economica,  di
talche' non sara' piu' punibile il mediatore che fa dare o promettere
a se' o ad altri un'utilita' non  economica  (si  pensi  agli  esempi
enucleati dai primi commentatori: un rapporto  sessuale,  o  vantaggi
sociali o di natura meramente politica); 
          d) il nuovo art.  346-bis  c.p.  lascia  fuori  dall'ambito
applicativo  della  fattispecie,  il  fatto  commesso   in   rapporto
all'esercizio dei soli poteri del pubblico funzionario, e  non  anche
delle sue funzioni; come  acutamente  osservato  dalla  dottrina  nei
primi commenti, la rilevanza di questa modifica, forse piu'  limitata
rispetto alle altre  gia'  viste,  si  fonda  sulla  distinzione  tra
funzioni e poteri dei soggetti rivestiti di qualifiche pubblicistiche
e garantisce l'impunita' al trafficante di  influenze  che  abbia  di
mira  la  remunerazione  del  funzionario   pubblico   in   relazione
all'esercizio dei suoi soli poteri e non anche delle sue funzioni; 
          e) il  legislatore  ha  introdotto,  poi,  una  definizione
legale di «mediazione illecita»  rappresentata  da  quella  posta  in
essere «per indurre  il  pubblico  ufficiale  o  l'incaricato  di  un
pubblico servizio a compiere un atto contrario  ai  doveri  d'ufficio
costituente reato dal quale possa derivare  un  vantaggio  indebito»;
definizione evidentemente restrittiva che subisce, per di  piu',  una
grave limitazione indiretta, data dal fatto che l'«atto contrario  ai
doveri d'ufficio  costituente  reato  dal  quale  possa  derivare  un
vantaggio indebito» era finora di regola rappresentato  da  un  fatto
qualificabile come abuso  d'ufficio  (delitto  oggi  depenalizzato  e
dunque insuscettibile di rilevare ai fini della integrazione  di  una
mediazione illecita), e non potendo essere configurata una mediazione
illecita  ex  art.  346-bis  c.p.  finalizzata  alla  induzione  alla
corruzione, atteso che si configurerebbe per l'appunto una ipotesi di
concorso nella corruzione stessa; 
        5) in definitiva, per  il  tramite  del  medesimo  intervento
legislativo, il Parlamento ha  de  facto  abrogato  espressamente  il
delitto di abuso d'ufficio (art. 323  c.p.)  -  di  cui  sopravvivono
ormai solo marginali ed invero infrequenti ipotesi, quale il peculato
per distrazione (art. 314-bis  c.p.)  -  e  indirettamente  anche  il
traffico di influenze illecite (art. 346-bis c.p.); 
        6) il legislatore e' intervenuto in modo  cosi'  pesante  sul
sistema dei reati  contro  la  pubblica  amministrazione,  eliminando
importanti  presidi  penali  a   tutela   del   buon   andamento   ed
imparzialita'  della  pubblica  amministrazione,   nella   dichiarata
intenzione  di  perseguire  una  piu'  efficace   e   libera   azione
amministrativa, senza adeguatamente considerare, pero',  gli  effetti
della parziale abolitio approvata nel  2020  e  delle  altre  riforme
medio tempore entrate in vigore; 
    non sembra in particolare essersi tenuto conto: 
        a) dell'esiguo numero di  procedimenti  incardinati  dopo  la
riforma  del  2020  e  delle  introdotte  tutele,  anche  sul   piano
economico,  in   favore   di   funzionari   prosciolti   (nel   corso
dell'audizione avanti alla  competente  commissione  parlamentare  il
Procuratore generale della Suprema Corte di cassazione  ha  osservato
che «Conforta tale conclusione la considerazione dell'alto  tasso  di
archiviazione e la riduzione delle iscrizioni del 39,3% dal  2016  al
2021. Nel 2022 abbiamo  avuto  il  79%  di  archiviazioni;  nel  2021
diciotto   condanne   (nel   2016   erano   state    ottantadue)    e
duecentocinquantasei  assoluzioni  o  proscioglimenti.  Nel  caso  di
archiviazione e di assoluzione, all'amministratore  pubblico  e'  poi
garantito il rimborso delle spese legali, garanzia certo  di  rilievo
con riguardo alle preoccupazioni in esame»); 
        b)  della  profonda   revisione   della   giurisprudenza   di
legittimita'  che,  soprattutto  a  seguito  della   sentenza   Corte
costituzionale  n.  8/2022,  si  era  doverosamente  attestata  sulla
irrilevanza delle violazioni di principi generali  di  imparzialita',
buon andamento e trasparenza o di generici  obblighi  comportamentali
sanciti nei confronti dei pubblici impiegati  dall'art.  13,  decreto
del Presidente della Repubblica 10 gennaio  1957,  n.  3  [in  questo
senso si vedano: Cass., Sez. 6, sentenza n. 28402 del 10 giugno  2022
Ud. (dep. 19 luglio 2022) Rv. 283359 - 01; Cass., Sez. 6, sentenza n.
23794 del 7 aprile 2022 (dep. 20 giugno 2022) Rv. 283285 - 01; Cass.,
Sez. 6, sentenza n. 13136 del 17 febbraio 2022  Ud.  (dep.  6  aprile
2022) Rv. 282945 - 01]; 
        c) delle maggiori tutele introdotte dal  decreto  legislativo
n. 150/2022 a garanzia: di iscrizioni tempestive e nel  contempo  non
avventate nel registro delle notizie di reato da parte  degli  uffici
di procura (artt. 335, 335-ter e 335-quater c.p.p.); dell'assenza  di
effetti pregiudizievoli discendenti  dalla  semplice  iscrizione  nel
registro  delle  notizie  di  reato  (art.  335-bis  c.p.),  peraltro
enfatizzata nella recente  sentenza  n.  41/2024  con  cui  la  Corte
costituzionale ha chiarito che «la mera iscrizione nel registro delle
notizie  di  reato  che  consegue  all'acquisizione  di  una  notitia
criminis  non  implica  ancora  che  il  pubblico   ministero   abbia
effettuato  alcun  vaglio,  per   quanto   provvisorio,   sulla   sua
fondatezza: tant'e' vero che l'art. 335-bis cod. proc.  pen.  esclude
oggi espressamente qualsiasi effetto pregiudizievole di natura civile
o amministrativa per l'interessato in ragione di tale iscrizione,  la
quale e' un atto dovuto una volta che  il  pubblico  ministero  abbia
ricevuto una notizia di reato attribuita  a  una  persona  specifica.
Piu' in generale, l'iscrizione  nel  registro  e'  -  e  deve  essere
considerata - atto «neutro», dal quale sarebbe affatto  indebito  far
discendere effetti lesivi della reputazione dell'interessato,  e  che
comunque non puo' in alcun modo essere equiparato ad una «accusa» nei
suoi confronti. Parallelamente, il  provvedimento  di  archiviazione,
con cui il GIP si  limita  a  disporre  la  chiusura  delle  indagini
preliminari conformemente  alla  richiesta  del  pubblico  ministero,
costituisce  nella  sostanza  null'altro  che  un  contrarius   actus
rispetto a quello - l'iscrizione nel registro delle notizie di  reato
- che determina l'apertura delle indagini preliminari. Se «neutro» e'
il provvedimento iniziale, altrettanto «neutro» non puo'  che  essere
il provvedimento conclusivo. Ad ogni effetto giuridico» (punto  3.7);
e laddove la stessa Corte ha precisato che «un  elementare  principio
di civilta' giuridica impone che  tutti  gli  elementi  raccolti  dal
pubblico ministero in un'indagine sfociata  in  un  provvedimento  di
archiviazione debbano sempre essere oggetto di attenta  rivalutazione
nell'ambito  di  eventuali  diversi  procedimenti  (civili,   penali,
amministrativi,  disciplinari,  contabili,  di  prevenzione)  in  cui
dovessero essere in  seguito  utilizzati,  dovendosi  in  particolare
assicurare   all'interessato   le   piu'   ampie   possibilita'    di
contraddittorio, secondo regole procedimentali o processuali  vigenti
nel settore ordinamentale coinvolto. E cio' tenendo sempre conto  che
durante le indagini preliminari la persona sottoposta  alle  indagini
ha   possibilita'   assai   limitate   per   esercitare   un    reale
contraddittorio rispetto all'attivita' di  ricerca  della  prova  del
pubblico ministero e ai suoi risultati (riassunti o meno che siano in
un provvedimento di archiviazione), i quali dunque non  potranno  sic
et simpliciter essere utilizzati in diversi  procedimenti  senza  che
l'interessato possa  efficacemente  contestarli,  anche  mediante  la
presentazione di prove contrarie» (punto 3.8); infine, del  ben  piu'
rilevante «filtro» effettuato, sia in fase di indagini preliminari ex
art. 408, comma 1 c.p.p., sia in udienza preliminare,  ex  art.  425,
comma 3 c.p.p., con archiviazione  e  declaratoria  di  non  luogo  a
procedere, in difetto di ragionevole previsione di condanna; 
        7) la decisa contrazione dell'area  penalmente  rilevante  ad
opera della legge n. 114/2024 non e' stata in alcun modo «compensata»
dalla  introduzione  di  appositi  illeciti  amministrativi   o   dal
potenziamento delle misure  di  prevenzione  di  condotte  gravemente
lesive del  buon  andamento  e  della  imparzialita'  della  pubblica
amministrazione o di una disciplina delle attivita' di lobbying, come
del testo rilevato anche nella gia' citata  Relazione  annuale  della
Commissione U.E. sullo Stato  di  diritto  per  il  2024  adottata  a
Bruxelles il 24 luglio 2024; 
        8)  sono  piuttosto  gravi  gli  effetti  sistemici  connessi
all'abrogazione  dell'art.  323   c.p.,   potendosi   qui   osservare
sinteticamente che: 
          a) la disciplina di  cui  all'art.  323  c.p.  non  trovava
applicazione solo ai funzionari pubblici addetti all'amministrazione,
ma a tutti i pubblici ufficiali, compresi quelli (si pensi appunto al
caso che ci occupa, ovvero agli ufficiali di polizia giudiziaria e ai
magistrati) ai quali la legge attribuisce  poteri  rilevantissimi  in
grado   di   incidere   pesantemente    su    diritti    inviolabili,
costituzionalmente garantiti, in primis la liberta'  personale  (art.
13 della Costituzione) ed il patrimonio (art. 41 della Costituzione); 
          b) e' innegabile la  profonda  differenza  della  tutela  e
dell'effetto deterrente offerte dal presidio penale  sinora  previsto
dalla legge, non solo per le sanzioni ben piu' dissuasive  di  quelle
che oggi l'ordinamento contempla, ma soprattutto per  cio'  che  esso
indirettamente  comportava,  ovvero:  l'accertamento  affidato   alla
magistratura, ovvero ad un ordine autonomo ed  indipendente  da  ogni
altro potere, che dispone direttamente della  polizia  giudiziaria  e
che deve necessariamente perseguire gli illeciti (artt.  104,  107  e
112 della Costituzione ); la  procedibilita'  d'ufficio  ex  art.  50
c.p.p.; la disponibilita' di penetranti  strumenti  di  indagine  (in
primis perquisizioni e  sequestri);  il  potere-dovere,  in  caso  di
persistenza  nell'attivita'  criminosa  e/o  di   sussistenza   delle
esigenze cautelari, di intervento da parte della polizia  giudiziaria
(mediante impedimento dell'aggravamento delle conseguenze  del  reato
ex  art.  55  c.p.p.  con  possibilita'  di  arresto  facoltativo  in
flagranza ex art. 381, comma 1, c.p.p.) e dell'Autorita'  giudiziaria
(mediante ad es. adozione delle  misure  cautelari  ex  artt.  273  e
successivi  c.p.p.  dalla  sospensione  dall'esercizio  del  pubblico
ufficio ex art. 289 c.p.p.  fino  alla  piu'  grave  applicabile,  in
ragione dell'aumento di pena massima edittale fino a quattro anni  di
reclusione, giusta legge n. 190/2012, degli  arresti  domiciliari  ex
artt. 280, comma 1, e 284 c.p.p.,  con  eccezionale  possibilita'  di
ricorrere  alla  custodia  in  carcere  in  deroga  alle   condizioni
ordinarie ex artt. 276, 280, comma 3, 275, comma 2-bis  c.p.p.  nella
patologica ipotesi di violazione delle prescrizioni cautelari); 
          c) in  ogni  caso  il  rimedio  giurisdizionale  (civile  o
amministrativo) concesso al privato giammai, in termini di tutela del
bene giuridico  di  cui  all'art.  97  della  Costituzione,  potrebbe
supplire all'assenza della  tutela  penale  fino  ad  oggi  garantita
dall'art. 323 c.p., anche in considerazione  dell'assenza  di  quegli
incisivi poteri  investigativi,  gia'  sopra  richiamati,  di  regola
assolutamente necessari per l'accertamento delle  dinamiche  illecite
sottese all'esercizio illegittimo  del  potere  amministrativo;  tali
rimedi e forme alternative di tutela,  infatti,  di  regola  prendono
spunto e avvio proprio dalle indagini penali (come del resto accaduto
nel caso di specie, in cui, a seguito di accertamenti in ordine  alla
responsabilita' penale, sono  venuti  in  rilievo  anche  profili  di
possibile  responsabilita'  civile,  disciplinare  ed  erariale   del
magistrato); 
          d) anche tenendo in considerazione la esistenza di rimedi e
forme alternative di tutela, il legislatore ha di fatto lasciato alla
sola iniziativa privata (del  terzo  danneggiato,  tra  l'altro  solo
eventuale) la tutela di  un  bene  giuridico  pubblico  e  collettivo
sottratto alla disponibilita' del privato medesimo, ponendo a  carico
dei  cittadini  i  costi,  anche  sul   piano   economico,   connessi
all'adozione di iniziative volte al ripristino  della  legalita',  in
ipotesi violata da condotte poste in essere da  pubblici  dipendenti,
funzionari e pubblici ufficiali, che dovrebbero esercitare i  compiti
assegnati nel rispetto della legge e con onore e disciplina (art.  54
della Costituzione) e che invece avrebbero  agito  in  dispregio  del
buon andamento e della imparzialita' della  pubblica  amministrazione
(art. 97 della Costituzione); 
          e) infine, per questa via, l'ordinamento di fatto  rinuncia
a perseguire in concreto tutte quelle gravissime violazioni di  legge
o del dovere di astensione che comportino un vantaggio per  il  terzo
privato,  in   assenza   o   all'insaputa   di   eventuali   soggetti
contro-interessati che possano intraprendere un'azione  volta  a  far
accertare l'illegittimita' di quella condotta. 
    Valutato attentamente il quadro normativo oggi vigente, col quale
il  Tribunale  deve  necessariamente  confrontarsi  -   come   visto,
profondamente mutato rispetto a quello che  aveva  a  riferimento  la
Corte costituzionale nella citata sentenza n.  8/2022  -  ritiene  il
collegio  che  l'affermazione  per  cui  in  astratto   le   esigenze
costituzionali di tutela non si esauriscono nella tutela penale,  ben
potendo essere soddisfatte con altri precetti e sanzioni, non basti a
suturare lo strappo oggi consumato rispetto ai valori  costituzionali
ed in particolare  all'art.  97  della  Costituzione:  tale  assunto,
certamente corretto e condivisibile in astratto, non puo' in concreto
«colmare» il vuoto di tutela  lasciato  dall'abrogazione  tout  court
dell'art. 323 c.p. e dalla sostanziale inapplicabilita' del novellato
art. 346-bis c.p. 
    In definitiva, la scelta legislativa di abrogazione  del  delitto
di cui all'art. 323 c.p.  non  pare  riconducibile  ad  un  legittimo
esercizio della discrezionalita' del  legislatore,  ma  si  prospetta
come arbitraria, atteso che: 
        da un lato, non si e' tenuto di conto che le ragioni poste  a
sostegno della spinta riformatrice (la c.d.  «paura  della  firma»  o
«burocrazia difensiva») erano di fatto  venute  meno  (sopravvivendo,
forse,  solo  sul  piano,  del  tutto   irrilevante,   soggettivo   e
psicologico di singoli funzionari) in ragione delle recenti riforme e
del successivo (ed ormai consolidato) orientamento  giurisprudenziale
di legittimita' e dei principi enunciati dalla Corte costituzionale; 
        dall'altro lato, non appare adeguatamente  ponderato  (e  men
che meno contenuto o neutralizzato)  l'effetto  dirompente  che  puo'
avere la riforma, per il venir meno  dell'effetto  general-preventivo
spiegato dalla presenza nell'ordinamento di una norma di chiusura che
- seppur ormai relegata ad operare in casi eccezionali di particolare
ed obiettiva gravita' -  evitava  dilagare  di  condotte  dolosamente
arbitrarie e lasciava  ai  cittadini  uno  strumento  attraverso  cui
ricorrere alla magistratura. 
IV. Impossibilita' di un'interpretazione conforme 
    Non  risultano  percorribili  interpretazioni  della  norma   qui
censurata  in  senso  conforme   alle   citate   disposizioni   della
Costituzione e alle norme ad essa interposte,  trattandosi  di  norma
chiaramente abolitiva (in misura quasi  totale)  di  una  fattispecie
penale, dunque favorevole per gli odierni imputati ex art. 2, comma 2
c.p., che il giudice penale non potrebbe interpretare diversamente da
quanto emerge dalla lettera, ne' tantomeno disapplicare. 
V. Sospensione  del  giudizio  e  della  prescrizione  -  Statuizioni
connesse 
    In  via  conclusiva,  ritenuta  la  questione  rilevante  e   non
manifestamente infondata, in  virtu'  del  combinato  disposto  dagli
artt. 23 legge n. 87/1953 e 159 c.p., deve ordinarsi  la  sospensione
del giudizio in corso nei confronti degli imputati e  la  conseguente
sospensione della  prescrizione  con  riferimento  a  tutti  i  reati
contestati nel presente procedimento, dunque non solo con riguardo ai
delitti contestati ai capi 5) e 6) di rubrica - per i  quali  rileva,
per motivi diversi, la questione di legittimita' sollevata - ma anche
in relazione a quelli contestati  ai  capi  3)  e  4),  essendo  essi
strettamente connessi  al  reato  contestato  sub  5)  e  quindi  non
definibili separatamente. 
    In punto di sospensione della  prescrizione  si  precisa  che  il
Tribunale  aderisce  ed  intende   dare   attuazione   al   principio
giurisprudenziale, condivisibile ed ormai  consolidato,  secondo  cui
«In tema di prescrizione, nel caso di sospensione del procedimento  a
seguito di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale  per  la
risoluzione di una questione di legittimita' costituzionale, la  data
di cessazione dell'effetto sospensivo e, pertanto, la data finale del
periodo di sospensione del termine prescrizionale coincide con quella
in cui gli atti sono restituiti al giudice remittente»  (Cass.,  Sez.
5, sentenza n. 7553 del 14 novembre 2012 Ud. (dep. 15 febbraio  2013)
Rv. 255017 - 01; conf.  Cass.,  Sez.  4,  sentenza  n.  3086  del  14
novembre 1979 Ud. (dep. 4 marzo 1980) Rv. 144559 - 01). 
    Deve, infine, disporsi ai sensi dell'art. 23, comma 4,  legge  n.
87/1953 l'immediata trasmissione degli  atti  del  procedimento  alla
Corte costituzionale, mandandosi la cancelleria per la  notificazione
della presente ordinanza al Presidente del  Consiglio  dei  ministri,
nonche' per la comunicazione ai Presidenti della Camera dei  deputati
e del Senato della Repubblica e per la  successiva  trasmissione  del
fascicolo processuale alla Corte costituzionale. 

 
                               P.Q.M. 
 
    Visti gli artt. 134 della Costituzione, 1 legge costituzionale n.
1/1948 e 23 ss. legge n. 87/1953; 
    Ritenuta la questione rilevante e non manifestamente infondata; 
    Solleva questione di  legittimita'  costituzionale  in  relazione
all'art. 1, comma 1, lettera b) della legge 9  agosto  2024,  n.  114
(pubblicata in Gazzetta Ufficiale  n.  187  del  10  agosto  2024  ed
entrata in vigore il 25 agosto  2024),  nella  parte  in  cui  abroga
l'art. 323 c.p., per violazione degli artt. 97, 11  e  117,  comma  1
della Costituzione (in  relazione  agli  obblighi  discendenti  dagli
artt. 7, comma 4, 19 e 65, comma 1, della Convenzione  delle  Nazioni
Unite del 2003 contro la corruzione - cd.  Convenzione  di  Merida  -
adottata dalla Assemblea generale dell'ONU il  31  ottobre  2003  con
risoluzione n. 58/4, firmata dallo Stato italiano il 9 dicembre 2003,
oggetto di ratifica ed esecuzione in Italia con legge 3 agosto  2009,
n. 116); 
    Sospende il giudizio in corso nei confronti degli imputati  ed  i
relativi termini di prescrizione fino alla definizione  del  giudizio
incidentale di legittimita'  costituzionale  con  restituzione  degli
atti al giudice procedente; 
    Dispone l'immediata trasmissione degli atti del procedimento alla
Corte costituzionale; 
    Manda  alla  cancelleria  per  la  notificazione  della  presente
ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri,  nonche'  per  la
comunicazione ai Presidenti della Camera dei deputati  e  del  Senato
della Repubblica e  per  la  successiva  trasmissione  del  fascicolo
processuale alla Corte costituzionale. 
        Cosi' deciso in Firenze, il 24 settembre 2024 
 
                       Il Presidente: Belsito 
 
 
                                     I Giudici: Innocenti - Aga Rossi