N. 222 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 settembre 2024
Ordinanza del 24 settembre 2024 del Tribunale di Firenze nel
procedimento penale a carico di A.D. e altri.
Reati e pene - Abrogazione dell'art. 323 del codice penale (Abuso
d'ufficio).
- Legge 9 agosto 2024, n. 114 (Modifiche al codice penale, al codice
di procedura penale, all'ordinamento giudiziario e al codice
dell'ordinamento militare), art. 1, comma 1, lettera b).
(GU n. 49 del 04-12-2024)
TRIBUNALE DI FIRENZE
Sezione III Penale
Il Tribunale di Firenze, III Sezione Penale, in composizione
collegiale, composta dai magistrati:
dott.ssa Paola Belsito, Presidente;
dott. Alessio Innocenti, Giudice rel.-est.;
dott.ssa Anna Aga Rossi, Giudice onorario;
Nel procedimento nei confronti di:
1) D.A. nata a ... il ... elettivamente domiciliata presso lo
studio dei difensori; ... libera, presente;
assistita e difesa di fiducia dagli avv.ti Nicola Di Mario F.
Michele Nannarone del Foro di Perugia;
2) L.C. nato a ... il ... con domicilio dichiarato in ...,
... libero, presente;
assistito e difeso di fiducia dall'avv. Donatella Donati del
Foro di Perugia;
3) G.O. nato a ... il ... elettivamente domiciliato presso lo
studio del difensore; ... libero, presente;
assistito e difeso di fiducia dall'avv. Nicola Di Mario del
Foro di Perugia;
4) C.C. nato a ... il ... con domicilio dichiarato in ... ;
... libero, assente ex art. 420-bis c.p.p.;
assistito e difeso di fiducia dagli avv.ti Franco Coppi del
Foro di Roma ed Ubaldo Minelli del Foro di Perugia;
5) R.V. nato a ... il ... elettivamente domiciliato presso lo
studio dell'avv. Incardona; ... libero, presente;
assistito e difeso di fiducia dall'avv. Mario Incardona del
Foro di Torino;
6) G.P. nato a... il ... con domicilio dichiarato presso il
suo studio in ... ; ... libero, presente;
assistito e difeso di fiducia dagli avv.ti Francesco Maria
Falcinelli del Foro di Perugia e Giovanni Flora del Foro di Firenze;
Procedimento nel quale risulta persona offesa non costituita
parte civile:
Ministero della giustizia in persona del Ministro pro
tempore;
Procedimento nel quale risultano danneggiati costituiti parte
civile:
..., nata a ... il ..., quale erede di ... (deceduto a ... il
...) costituita tramite difensore munito di procura speciale a mezzo
e col ministero dell'avv. Antonio D'Avirro del Foro di Firenze, nei
confronti degli imputati D.A., G.O., L.C. e C.C., in ordine ai fatti
loro rispettivamente ascritti ai capi 3), 4) e 5) della rubrica
(nell'atto di costituzione di parte civile si fa riferimento anche a
... , gia' imputato in ordine al reato a lui ascritto al capo 7),
soggetto prosciolto e dunque oggi non imputato);
..., nato a ... il ..., costituito tramite difensore munito
di procura speciale a mezzo e col ministero dell'avv. Manlio Morcella
Foro di Roma nei confronti degli imputati D.A., G.O., L.C. e C.C., in
ordine ai fatti loro rispettivamente ascritti ai capi 3), 4) e 5)
della rubrica (nell'atto di costituzione di parte civile si fa
riferimento anche a ..., gia' imputato in ordine al reato a lui
ascritto al capo 7), soggetto prosciolto e dunque oggi non imputato);
..., (P. IVA ...), con sede in ..., in persona del
liquidatore ... costituita tramite difensore munito di procura
speciale a mezzo e col ministero dell'avv. David Brunelli Foro di
Perugia nei confronti degli imputati D.A., G.O., L.C. e C.C., in
ordine ai fatti loro rispettivamente ascritti ai capi 3), 4) e 5)
della rubrica (nell'atto di costituzione di parte civile si fa
riferimento anche a ..., gia' imputato in ordine al reato a lui
ascritto al capo 7), soggetto prosciolto e dunque oggi non imputato);
..., (P. IVA ...), con sede in ..., in persona del l.r.p.t.
..., costituita tramite difensore munito di procura speciale a mezzo
e col ministero dell'avv. Fabiola Susanna Caroli del Foro di Roma nei
confronti degli imputati D.A., G.O., L.C. e C.C., in ordine ai fatti
loro rispettivamente ascritti ai capi 3), 4) e 5) della rubrica;
..., (P. IVA ...), con sede in ..., in persona del l.r.p.t.
..., costituita tramite difensore munito di procura speciale a mezzo
e col ministero dell'avv. Fabiola Susanna Caroli del Foro di Roma nei
confronti degli imputati D.A., G.O., L.C. e C.C., in ordine ai fatti
loro rispettivamente ascritti ai capi 3), 4) e 5) della rubrica;
..., (P. IVA ...), con sede in ..., in persona del l.r.p.t.
..., costituita tramite difensore munito di procura speciale a mezzo
e col ministero dell'avv. Fabiola Susanna Caroli del Foro di Roma nei
confronti degli imputati D.A., G.O., L.C. e C.C., in ordine ai fatti
loro rispettivamente ascritti ai capi 3), 4) e 5) della rubrica;
..., nato a ..., in proprio e quale l.r.p.t. di ..., (P. IVA
...), con sede in ..., costituiti tramite difensore munito di procura
speciale a mezzo e col ministero dell'avv. Paolo Casucci del Foro di
Roma nei confronti degli imputati D.A., G.O., L.C. e C.C., in ordine
ai fatti loro rispettivamente ascritti ai capi 3), 4) e 5) della
rubrica;
..., nato a ..., costituito tramite difensore munito di
procura speciale a mezzo e col ministero dell'avv. Luca Maori del
Foro di Perugia nei confronti degli imputati D.A., G.O., R.V. e G.P.,
in ordine ai fatti loro rispettivamente ascritti al capo 6) della
rubrica;
..., nata a ..., quale erede di ... (deceduto a ...)
costituita tramite difensore munito di procura speciale a mezzo e col
ministero dell'avv. Antonio D'Avirro del Foro di Firenze, nei
confronti degli imputati D.A., G.O., L.C. e C.C., in ordine ai fatti
loro rispettivamente ascritti ai capi 3), 4) e 5) della rubrica;
Procedimento nel quale risulta costituito come responsabile
civile:
Presidenza del Consiglio dei ministri costituita con atto
depositato il 21 settembre 2021 per il tramite dell'Avvocatura dello
Stato in persona dell'avv. Gianni Cortigiani (Avv. distrettuale dello
Stato) e dell'avv. Donatella Briganti (Procuratore dello Stato);
Premesso che:
con decreto che dispone il giudizio emesso dal G.U.P. del
Tribunale di Firenze all'esito dell'udienza preliminare conclusa il 2
marzo 2021 gli odierni imputati venivano tratti a giudizio per
rispondere dei reati loro rispettivamente ascritti;
il processo si apriva avanti al collegio all'udienza del 4
maggio 2021;
il complesso e delicato dibattimento - svoltosi presso questa
sede giudiziaria fiorentina in ragione della competenza funzionale e
territoriale ex art. 11 c.p.p., essendo imputato, tra gli altri, un
magistrato gia' in servizio presso la Procura della Repubblica di
Perugia (dapprima avente funzioni di sostituto procuratore e
successivamente di procuratore aggiunto) - veniva celebrato nel corso
degli ultimi tre anni in circa quaranta udienze appositamente
dedicate (di cui ben quattro riservate al solo esame della principale
imputata) e con l'escussione di oltre ottanta persone tra testimoni,
periti e consulenti;
in fase di discussione finale ex art. 523 c.p.p., iniziata
con la requisitoria del pubblico ministero all'udienza del 3 maggio
2024 e proseguita all'udienza del 9 settembre 2024, alla ripresa
dell'ordinaria attivita' giudiziaria dopo la sospensione del periodo
feriale e di un impedimento di lunga durata della Presidente del
collegio, si e' preso atto della intervenuta abrogazione dell'art.
323 c.p. a mezzo dell'art. 1, comma 1, lettera b) della legge 9
agosto 2024, n. 114, delitto contestato al capo 5) di rubrica;
l'avv. Manlio Morcella, patrono della parte civile ..., con
apposita articolata memoria depositata ed illustrata all'udienza del
9 settembre 2024, ha sottoposto al collegio una questione di
legittimita' costituzionale per violazione degli artt. 11 e 117,
comma 1 della Costituzione in relazione all'art. 19 della Convenzione
delle Nazioni Unite del 2003 contro la corruzione (cd. Convenzione di
Merida, adottata dalla Assemblea generale dell'ONU il 31 ottobre 2003
con risoluzione a. 58/4, firmata dallo Stato italiano il 9 dicembre
2003, oggetto di ratifica ed esecuzione in Italia con legge 3 agosto
2009, n. 116) e all'art. 31 della Convenzione di Vienna sul diritto
dei trattati;
il Tribunale, sentite le altre parti processuali, invitava le
parti a concludere anche nel merito delle accuse elevate nel
processo, riservandosi di vagliare la questione di legittimita'
sottoposta al collegio nella Camera di consiglio fissata per la
decisione del processo nel merito, cosi' da poter delibare in vista
della imminente (ma non ancora maturata, per quanto si dira' oltre)
prescrizione proprio del reato contestato al capo 5) di rubrica;
con ordinanza emessa in data odierna venivano stralciate
dall'originario procedimento n. 1720/2021 r.g. dib., le posizioni
degli imputati in epigrafe indicati con riferimento ai reati loro
contestati ai capi 3), 4), 5) e 6), del decreto che dispone il
giudizio;
Osserva e Rileva
I. Rilevanza della questione di legittimita' costituzionale
Deve, anzitutto, valutarsi la rilevanza della questione di
legittimita' nel presente giudizio penale: valgano a tal fine le
seguenti considerazioni in fatto ed in diritto che - e' doveroso
precisarlo - lasciano impregiudicata ogni valutazione nel merito
delle accuse elevate dal pubblico ministero, che il Tribunale riserva
di svolgere alla ripresa del giudizio, nell'ambito della sentenza che
definira' il processo; sara' quella la sede deputata a vagliare le
argomentate conclusioni delle difese degli imputati che sulla base di
complesse questioni giuridiche ed una approfondita disamina delle
risultanze istruttorie, hanno invocato in tesi una assoluzione nel
merito.
Per una piu' efficace e completa esposizione della rilevanza
delle questioni di legittimita' sollevate - che verranno approfondite
oltre - giova premettere alcuni cenni sui diversi reati contestati
nell'ambito del presente procedimento che, come sopra detto, e'
iscritto a seguito di stralcio dal proc. n. 1720/2021 dib.
(nell'ambito delle quali si sono definite le posizioni di altri due
soggetti e di quelle degli odierni imputati con riferimento ai reati
contestati ai capi 1) e 2) di rubrica).
Originariamente, infatti, tre erano i «filoni processuali»
sottoposti alla cognizione di questo Tribunale; filoni che, a ben
vedere, avevano ad oggetto vicende tra loro sostanzialmente autonome,
peraltro collocate in momenti temporali piuttosto distanti l'uno
dall'altro, sebbene accomunate da una parziale coincidenza
soggettiva, in ragione del coinvolgimento degli imputati D.A.
(chiamata a rispondere dei diversi reati ascritti nella sua qualita'
di magistrato del pubblico ministero in servizio presso la Procura
della Repubblica di Perugia) e G.O. (accusato dei diversi delitti in
contestazione nella sua qualita' di appartenente all'Arma dei
Carabinieri, prima in servizio presso il reparto Ros ..., poi presso
il Nucleo Tutela Patrimonio Culturale), quest'ultimo qualificato come
«stabile collaboratore nelle attivita' di ufficio (avendo con la
predetta D.A. anche una stabile relazione personale)» (capi 1 e 2) e
«stabile collaboratore, nelle attivita' di ufficio, del magistrato
D.A. (avendo con la stessa anche una duratura relazione personale)»
(capo 6).
§§§
Il primo «filone processuale» era quello riguardante la nomina e
liquidazione dei consulenti nominati in diversi procedimenti penali
iscritti presso la Procura della Repubblica di Perugia, riferibili al
magistrato dott.ssa D.A., odierna imputata, nell'ambito del quale
erano contestati i reati di peculato continuato mediante induzione in
errore ex artt. 314, 48, 110, 81 c.p., (ascritto agli imputati D.A.,
G.O., S.F., P.I.) (capo 1) e di concussione continuata ex art. 317 e
81 c.p. (contestato al solo imputato G.O.) (capo 2).
Si e' gia' detto che tali capi di imputazioni sono stati definiti
nell'ambito del procedimento principale n. 1720/2021 dib., di cui il
presente e' stralcio.
§§§
Il secondo «filone processuale» - quello senz'altro piu'
complesso ed articolato del dibattimento e certamente «toccato» dalla
recente abrogazione dell'art. 323 c.p. - e' costituito dalle vicende
legate ai procedimenti penali instaurati presso la Procura della
Repubblica di Perugia e condotti dalla dott.ssa D. su alcuni
esponenti della famiglia ..., ovvero ... ed il di lui figlio ...,
rappresentanti di uno dei quattro rami della nota famiglia eugubina
operante nel settore del cemento [gli altri rami fanno capo ai tre
fratelli di ..., ovvero ..., e C. (quest'ultimo odierno imputato),
ciascuno dei quali e' detentore del 25% delle quote della Holding «
... » - per il valore di centinaia di milioni di euro - a sua volta
controllante o partecipante di numerose societa', la piu' importante
delle quali e' « ... »].
Nell'ambito di tale secondo «filone» sono contestati i seguenti
reati:
rivelazione di segreto d'ufficio continuata ex artt. 81
c.p.v. e 326 c.p., contestato alla sola D.A., per avere - nella
qualita' di magistrato in servizio presso la Procura della Repubblica
in Perugia incaricato delle indagini preliminari inerenti il
procedimento penale r.g. 7440/2016 nei confronti di ... e ... in
ordine ai reati di cui agli artt. 640, comma secondo c.p., 2621 c.c.,
216 L.F. - rivelato a G.O., e, per il tramite del predetto, a ...,
notizie segrete e non divulgabili relative a tale procedimento
penale; reato che si assume commesso « ... » (capo 3);
rivelazione di segreto d'ufficio continuata ex artt. 81
c.p.v. e 326 c.p., contestato a D.A., G.O., L.C. e C.C., per avere
gli imputati - in concorso tra loro e nelle rispettive qualita' -
rivelato notizie segrete e non divulgabili relative al procedimento
penale; r.g. 7440/2016 nei confronti di ... in ordine ai reati di cui
agli artt. 640, comma secondo c.p., 2621 c.c., 216 L.F. In
particolare, gli imputati D.A., G.O., L.C. sono accusati, di avere,
su istigazione di C.C.:
«fatto visionare a ... (dipendente della spa " ... "
amministrata da C.C.) le consulenze tecniche redatte dal rag. ...,
[...] le trascrizioni di conversazioni telefoniche intercettate, e la
nota redatta dalla Guardia di Finanza di Perugia»;
comunicato «a C.C. che sarebbe stato adottato provvedimento
di sequestro preventivo di urgenza della quota della srl " ... " di
proprieta' della srl " ... "» (capo 4);
abuso d'ufficio continuato in concorso ex artt. 81, 323, 110
c.p. contestato a D.A., G.O., L.C. e C.C., (capo 5).
Analizzando la complessa ed articolata imputazione sub 5) emerge
che la condotta contestata e' quella di avere gli imputati - in
concorso tra loro e nelle rispettive qualita' - concordato «contenuti
e tempistica dell'emissione di un decreto di sequestro preventivo
d'urgenza, materialmente predisposto ed adottato dalla predetta D.,
della quota della srl " ... ", di proprieta' della srl " ... "»; cio'
in violazione di legge ed in particolare - quanto al magistrato D.A.
- «degli artt. 7 e 238 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, che
prevedono l'avvio delle indagini preliminari per i reati fallimentari
solo ove sia presentata richiesta di fallimento, dell'art. 326 c.p.
come descritto nelle imputazioni sub 3 e 4, dell'art. 1 del decreto
legislativo n. 109/2006 (dovere di imparzialita')» - quanto agli
Ufficiali di PG G.O. e L.C. - «dell'art. 3, decreto del Presidente
della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62 (dovere di imparzialita'),
dell'art. 326 c.p. come descritto nell'imputazione sub 4».
I ruoli e le specifiche condotte concorsuali ascritti ai singoli
imputati concorrenti nel reato di abuso d'ufficio sono cosi'
dettagliate nella articolata imputazione: «D.A., magistrato in
servizio presso la Procura della Repubblica in Perugia incaricato
delle indagini preliminari inerenti il procedimento penale r.g.
7440/2016 nei confronti di ... in ordine ai reati di cui agli artt.
640, comma secondo c.p., 2621 c.c., 216 L.F.; [ ... ] G.O. e L.C.,
appartenenti all'Arma dei Carabinieri, quando entrambi avevano gia'
cessato di fare parte del reparto Ros Perugia, organo di polizia
giudiziaria delegato alle indagini nell'ambito del citato
procedimento (essendo stato G. trasferito al Nucleo Tutela Patrimonio
Culturale dal ..., e essendo transitato L. ai servizi di informazione
dal ...) [ ... ] avendo C.C. istigato i concorrenti».
L'evento del reato, intenzionalmente perseguito dagli imputati,
e' identificato nell'imputazione in «un ingiusto danno agli
imprenditori ..., essendo stato emesso tale provvedimento (il ...) al
solo scopo di impedire l'erogazione di finanziamenti in favore dei
predetti imprenditori» e nel contestuale e correlativo «ingiusto
vantaggio patrimoniale a C.C., favorendolo nel progetto di
acquisizione di dette quote; avendo C.C. istigato i concorrenti».
Il terzo «filone processuale» e' quello rappresentato dalle
vicende riguardanti l'imprenditore R.V. e legate ai procedimenti
penali che lo vedevano coinvolto (come indagato o come persona
offesa/denunciante) instaurati presso la Procura della Repubblica di
Perugia (e condotti dalla dott.ssa D.A.), o comunque pendenti avanti
ad altre Autorita' giudiziarie.
Nell'ambito di tale terzo ed ultimo «filone» processuale e', in
particolare, contestato il reato di corruzione in atti giudiziari in
concorso ex artt. 110 e 319-ter c.p. agli imputati D.A.
(magistrato/pubblico ufficiale che avrebbe posto in essere atti
contrari ai doveri d'ufficio), G.O. (operante ROS, ricevente
utilita'), G.P. (avvocato del Foro di Perugia, concorrente e
facilitatore) e R.V. (imprenditore/corruttore/beneficiario degli atti
contrari in ipotesi ai doveri d'ufficio posti in essere dalla D.)
(capo 6).
Analizzando piu' approfonditamente l'imputazione (e procedendo
anche ad una ricostruzione della stessa, stante la sua particolare
complessita', lunghezza ed articolazione) si puo' cogliere che il
pubblico ministero contesta agli odierni imputati di aver concorso
tra loro nella perpetrazione del reato di corruzione in atti
giudiziari commesso «in ... » (ma con inizio delle condotte al ...)
cosi' caratterizzato:
il primo soggetto intraneus e' da individuarsi in G.O.,
[pubblico ufficiale, «appartenente all'Arma dei Carabinieri in
servizio al Ros di Perugia, stabile collaboratore, nelle attivita' di
ufficio, del magistrato D.A. (avendo con la stessa anche una duratura
relazione personale), in servizio presso la Procura della Repubblica
in Perugia, incaricata delle indagini preliminari inerenti il
procedimento penale r.g. 13076/2008 (successivamente r.g. 1376/2010)»
ricevente le utilita' illecite fornite dal privato corruttore R. «in
piu' occasioni, somme di denaro per un totale di euro 108.000,00 ed
altre utilita' consistenti nel pagamento di viaggi all'estero»;
altro soggetto intraneus e' rappresentato dalla imputata D.A.
[quale munus publicum che avrebbe commesso atti contrari ai doveri
d'ufficio o, comunque, favorevoli per il R., alla quale non e'
contestata la ricezione di alcuna utilita' «in proprio»];
l'extraneus/corruttore e' l'imprenditore R.V. [soggetto
datore, in favore del G., di «somme di denaro per un totale di euro
108.000,00 ed altre utilita' consistenti nel pagamento di viaggi
all'estero» quale sottoposto ad indagini dalla A.G. di Perugia
nell'ambito del proc. «r.g. 13076/2008 (successivamente r.g.
1376/2010) nei confronti dell'imprenditore R.V. ed altri, relativo ai
reati di cui agli artt. 416 e 640-bis c.p.», e dalla A.G. di Roma
nell'ambito «del procedimento r.g. 23266/2011 (poi 8017/2013)
pendente presso la Procura della Repubblica in Roma per il reato di
bancarotta fraudolenta (fallimento Procogen); soggetto, il R., che
sarebbe stato favorito dall'attivita' illecita posta in essere dal
magistrato in violazione dei doveri d'ufficio, tenuto conto che:
a) il procedimento penale perugino r.g. 13076/2008
(successivamente r.g. 1376/2010) sopra indicato veniva definito in
senso a lui favorevole direttamente dalla D. tramite «(richiesta
archiviazione in data 6 febbraio 2010), dopo avere personalmente
effettuato, in data ..., un atto a sorpresa (ispezione locale presso
l'abitazione dell'indagato R.) in realta' concordato con il predetto
R., che era stato preavvisato»;
b) lo stesso pubblico ministero di Perugia «con nota 10
ottobre 2012 trasmetteva tale memoria al pubblico ministero di Roma,
titolare del procedimento r.g. 23266/2011 (poi 8017/2013), unitamente
alla richiesta di archiviazione di cui al procedimento r.g. 1376/2010
sopra indicato; tanto che il pubblico ministero di Roma
successivamente procedeva a richiedere l'archiviazione del
procedimento limitatamente alla posizione del R.»;
c) il procedimento per danno erariale pendente avanti «alla
Procura regionale presso la Sezione giurisdizionale per la Regione
Umbria della Corte dei conti che, - nell'ambito del procedimento
2011/0860 avviato nei confronti di R., difeso da G.P., aveva
richiesto, nel novembre 2012, al Nucleo di Polizia Tributaria la
trasmissione di copia della documentazione delle attivita' di
indagine nei confronti di R.» si concludeva favorevolmente per il R.
in data ... con «provvedimento di archiviazione motivato proprio
sulla mancata trasmissione della documentazione predetta»];
l'avvocato G.P. avrebbe assunto il ruolo di concorrente
eventuale extraneus nel reato ex art. 110 c.p.; egli, nella sua
qualita' di difensore del R., avrebbe d'intesa con la D. e in
concorso con R., redatto una memoria formalmente riferibile a ...,
«memoria favorevole al R., redatta dallo stesso R. e da G.,
depositata dal ... all'esito di interrogatorio (appositamente
concordato con G. e R.) tenuto in data [ ... ] nell'ambito del
procedimento r.g. 12590/2010 di cui era assegnataria iscritto nei
confronti di ... su querela di R. avente ad oggetto condotte niente
affatto concernenti la societa' fallita ... »; cio' «con l'intento di
facilitare la favorevole definizione, per il R., del procedimento
r.g. 23266/2011 (poi 8017/2013) pendente presso la Procura della
Repubblica in Roma per il reato di bancarotta fraudolenta (fallimento
...)», procedimento in cui erano co-indagati sia ..., che R.]; va poi
evidenziato che nell'articolata imputazione il pubblico ministero
segnala in modo evocativo un ulteriore dato (che non pare assurgere a
vera e propria contestazione di una condotta concorsuale, quanto
piuttosto la messa in evidenza di un elemento rilevante a fini di
giudizio), ovvero che avanti «alla Procura regionale presso la
Sezione giurisdizionale per la Regione Umbria della Corte dei conti [
... ] nell'ambito del procedimento 2011/0860 avviato nei confronti di
R.» quest'ultimo era «difeso da G.P.»;
l'accordo corruttivo (c.d. pactum sceleris) e' descritto solo
in via implicita nel capo 6) di rubrica, dal quale non emergeva
all'inizio del processo in modo inequivoco e diretto se questo avesse
coinvolto, oltre evidentemente al privato imprenditore R. (quale
ipotizzato corruttore), uno solo o piuttosto entrambi i pubblici
ufficiali G. e D.; non era, cioe', inequivocabilmente espresso se
fosse o meno contestata una corruzione in atti giudiziari intervenuta
tra il magistrato e l'imprenditore, con un ruolo del G. (in ogni caso
titolare della qualifica soggettiva di pubblico ufficiale che gli
avrebbe consentito, in astratto, di essere individuato quale parte
necessaria dell'accordo bilaterale corruttivo) di concorrente
eventuale, in ragione dell'attivita' di intermediazione nella
conclusione del patto e del conseguimento delle utilita' (ipotesi in
astratto certamente configurabile, tenuto conto che i reati di
corruzione prevedono la possibilita' che l'utilita' sia accettata o
ricevuta dal pubblico ufficiale corrotto «per se' o per un terzo»);
tale aspetto, come si dira' oltre, e' stato pero' chiarito dalle
emergenze dibattimentali e dalle interlocuzioni delle parti nel corso
dell'istruttoria e della discussione finale;
gli atti costituenti violazione dei doveri d'ufficio o che,
comunque, anche laddove conformi ai predetti doveri, costituirebbero
attuazione dell'ipotizzato accordo corruttivo sono dettagliati
nell'articolata imputazione laddove si ascrive alla imputata D.A., le
seguenti condotte:
«... definiva favorevolmente per R. il procedimento penale
sopra indicato (richiesta archiviazione in data 6 febbraio 2010),
dopo avere personalmente effettuato, in data ..., un atto a sorpresa
(ispezione locale presso l'abitazione dell'indagato R.) in realta'
concordato con il predetto R., che era stato preavvisato;
... ometteva di provvedere in ordine alla richiesta,
avanzata in data ... dal Nucleo Polizia Tributaria della Guardia di
Finanza di Perugia, di autorizzazione a fini fiscali degli esiti
dell'attivita' di indagine acquisita nell'ambito del procedimento
sopra indicato, non rispondendo in alcun modo alla richiesta, neppure
dopo l'archiviazione di tale procedimento;
... avviava, in data ..., nei confronti del luogotenente
... appartenente al Nucleo Polizia Tributaria della Guardia di
Finanza di Perugia, che aveva svolto le indagini su R., il
procedimento penale 12011/2012, nell'ambito del quale, in data ...,
procedeva all'acquisizione della documentazione di tutte le attivita'
di indagine svolte nei confronti di R. dal Nucleo di Polizia
Tributaria predetto;
... con la conseguenza che tale organo di polizia
giudiziaria non era in grado, anche per l'assenza di autorizzazione
da parte della stessa D., di rispondere positivamente alla Procura
regionale presso la Sezione giurisdizionale per la Regione Umbria
della Corte dei conti che, - nell'ambito del procedimento 2011/0860
avviato nei confronti di R., difeso da G.P. -, aveva richiesto, nel
..., al Nucleo di Polizia Tributaria la trasmissione di copia della
documentazione delle attivita' di indagine nei confronti di R.;
... con la ulteriore conseguenza che il Procuratore
regionale presso la Sezione giurisdizionale per la Regione Umbria
della Corte dei conti adottava in data ..., provvedimento di
archiviazione motivato proprio sulla mancata trasmissione della
documentazione predetta; il procedimento penale nei confronti del
luogotenente ... veniva definito con richiesta di archiviazione
soltanto in data 13 aprile 2015;
... con l'intento di facilitare la favorevole definizione,
per il R., del procedimento r.g. 23266/2011 (poi 8017/2013) pendente
presso la Procura della Repubblica in Roma per il reato di bancarotta
fraudolenta (fallimento ...), nell'ambito del procedimento r.g.
12590/2010 di cui era assegnataria iscritto nei confronti di ... su
querela di R. avente ad oggetto condotte niente affatto concernenti
la societa' fallita ..., concordava con il predetto R. e con il suo
difensore avv. G.P. la predisposizione di una memoria da parte del
coindagato ...; memoria favorevole al R., redatta dallo stesso R. e
da G., depositata dal ... all'esito di interrogatorio (appositamente
concordato con G. e R.) tenuto in data ...; essendosi presentato P.
all'interrogatorio assistito dall'avv. ... incaricato da G.
(difensore del querelante R.); con nota 10 ottobre 2012 trasmetteva
tale memoria al pubblico ministero di Roma, titolare del procedimento
r.g. 23266/2011 (poi 8017/2013), unitamente alla richiesta di
archiviazione di cui al procedimento r.g. 1376/2010 sopra indicato;
tanto che il pubblico ministero di Roma successivamente procedeva a
richiedere l'archiviazione del procedimento limitatamente alla
posizione del R. ...».
§§§
Il Parlamento, a mezzo dell'art. 1, comma 1, lettera b) della
legge 9 agosto 2024, n. 114 (pubblicata in GU n. 187 del 10 agosto
2024 ed entrata in vigore il 25 agosto 2024), ha abrogato la
disposizione di cui all'art. 323 c.p. e, nel contempo, a mezzo
dell'art. 1, lettera e) legge cit., ha sostituito l'art. 346-bis c.p.
(traffico di influenze illecite), restringendone fortemente l'ambito
applicativo.
L'abrogazione della disposizione di cui all'art. 323 c.p. produce
un evidente effetto di abolitio criminis, di carattere quasi totale
della fattispecie penale dell'abuso d'ufficio; si ritiene il
carattere «quasi totale» della abolitio tenuto conto della
introduzione dell'art. 314-bis c.p. (Indebita destinazione di denaro
o cose mobili) ad opera del decreto-legge n. 92/2024, entrato in
vigore prima dell'abrogazione dell'art. 323 c.p., e del possibile
mantenimento di rilevanza penale di alcune condotte tuttora
riconducibili sub art. 328 c.p.
Quanto agli effetti dell'abrogazione nel caso in esame, non
possono aversi dubbi circa la effettiva rilevanza della questione di
legittimita' costituzionale di cui si intende investire la norma
abrogatrice del reato di abuso d'ufficio.
§§§
Quanto al reato contestato al capo 5) e alla specifica rilevanza
della questione di costituzionalita' con riguardo a tale delitto si
osserva sinteticamente quanto segue.
Come visto, e' contestato dal pubblico ministero il reato di
abuso d'ufficio «per violazione di legge» sia nella forma «di
vantaggio» che «di danno», in concorso tra piu' soggetti ex art. 110
c.p.
Si precisa subito, per sgombrare il campo da possibili dubbi, che
il reato di abuso qui contestato - seppur commesso (stando
all'imputazione), tramite l'emissione del decreto di sequestro
preventivo d'urgenza adottato il ..., e dunque in data antecedente
alla entrata in vigore del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76,
convertito, con modificazioni, nella legge 11 settembre 2020, n. 120
- non e' interessato dalla precedente parziale abolitio criminis,
intervenuta nel 2020; all'uopo si evidenzia che, come gia' sopra
osservato, sono qui contestate (anche) violazioni di atti aventi
forza di legge che non prevedono discrezionalita', essendo in
particolare ascritta - quanto al magistrato D.A. - la violazione
«degli articoli 7 e 238 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, che
prevedono l'avvio delle indagini preliminari per i reati fallimentari
solo ove sia presentata richiesta di fallimento, dell'art. 326 del
codice penale come descritto nelle imputazioni sub 3 e 4» e - quanto
agli ufficiali di PG G.O. e L.C. - la violazione «dell'art. 326 del
codice penale come descritto nell'imputazione sub 4».
In ragione di specifici argomenti spesi da talune parti
processuali (in particolare, tenuto conto di quanto osservato, in
punto di rilevanza della questione di legittimita', dalla difesa
dell'imputato L.C. nella memoria depositata all'udienza del 13
settembre 2024 e dalla difesa degli imputati D. e G. nel corso della
discussione finale all'udienza del 23 settembre 2024) a sostegno
della presunta irrilevanza della questione di legittimita'
costituzionale sollevata dalla parte civile, deve osservarsi che ad
oggi il reato di cui al capo 5) non e' estinto per prescrizione.
Va in questo senso osservato che:
la disciplina di riferimento per il vaglio di (eventuale)
intervenuta prescrizione dei reati in contestazione, e' costituita
dalla normativa previgente rispetto a quella risultante dalle riforme
approvate con legge n. 103/2017 e con legge n. 3/2019; cio', non solo
e non tanto per le espresse disposizioni di diritto intertemporale
contenute nei citati atti normativi, quanto piuttosto per il
principio costituzionale di irretroattivita' della legge penale
sfavorevole (art. 25 della Costituzione), certamente applicabile alla
normativa in tema di prescrizione del reato, stante la sua natura
penale sostanziale [sul punto, la giurisprudenza costituzionale (a
cui si e' sempre ispirata anche quella di merito e di legittimita')
ha, infatti, chiarito che la disciplina della prescrizione «incide
sulla punibilita' della persona, riconnettendo al decorso del tempo
l'effetto di impedire l'applicazione della pena», sicche' «rientra
nell'alveo costituzionale del principio di legalita' penale
sostanziale enunciato dall'art. 25, secondo comma, della Costituzione
con formula di particolare ampiezza» (cfr. Corte costituzionale,
sent. n. 115/2018 e, negli stessi termini, sent. n. 324/2008, n.
393/2006 e ordinanza n. 24/2017; da ultimo sent. n. 278/2020)];
ne consegue che, tenuto conto della natura e della
qualificazione giuridica (data dal pubblico ministero o comunque
riconosciuta dal Tribunale) e della data di consumazione dei fatti
contestati (cosi' come indicata nelle diverse imputazioni o comunque
per come ricostruita questa sede dibattimentale), non trovano
applicazione nel caso di specie l'art. 158, comma 1 del codice
penale, cosi' come sostituito dalla legge n. 3/2019 (applicabile a
decorrere dal 1° gennaio 2020), nella parte in cui conferisce rilievo
ai fini della determinazione del dies a quo della prescrizione alla
cessazione della continuazione; ne' l'art. 161, comma 2 del codice
penale, cosi' come interpolato dalla legge n. 103/2017 (applicabile a
decorrere dal trentunesimo giorno successivo dalla pubblicazione in
GU avvenuta in data 4 luglio 2017) nella parte in cui prevede quale
aumento massimo del termine di prescrizione per effetto degli atti
interruttivi la meta' del tempo necessario a prescrivere «per i reati
di cui agli articoli 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 321,
322-bis, limitatamente ai delitti richiamati dal presente comma, e
640-bis»;
nonostante quanto appena detto, i reati in oggetto (compreso
quello di cui al capo 5 di rubrica) non sono ad oggi estinti per
prescrizione, dovendosi tenere di conto delle seguenti sospensioni
per un totale di centocinquantatre' giorni:
a) dal 9 marzo 2020 al 30 giugno 2020 (gg.
centoquattordici) per sospensione del corso della prescrizione ai
sensi dell'art. 83, comma 4, decreto-legge n. 18/2020, in ragione
della sospensione totale dell'attivita' giudiziaria per effetto
dell'art. 83, comma 2, decreto-legge n. 18/2020, e ai sensi dell'art.
83, comma 9, decreto-legge cit., per rinvio dell'udienza preliminare
originariamente fissata nel c.d. «secondo periodo covid».
Sul punto devono ricostruirsi, a seguito dell'esame degli atti
relativi all'udienza preliminare ed in particolare dei decreti emessi
dal GUP - sede (da ultimo allegati alla memoria della difesa
dell'imputato L. depositata all'udienza del 13 settembre 2024), lo
svolgimento del presente procedimento ed i fatti rilevanti:
con decreto emesso in data 4 febbraio 2020 il GUP fissava
originariamente l'udienza preliminare in data 4 giugno 2020;
con decreto Presidente Tribunale n. 60/2020 del 30 aprile
2020 (che si allega al fascicolo), il capo dell'ufficio disponeva, ai
sensi del comma 7, lettera g), dell'art. 83, decreto-legge n.
18/2020, con specifico riferimento alle attivita' dell'ufficio
GIP/GUP (p. 14) che «tutti gli altri processi [diversi da quelli
urgenti in materia cautelare e convalida degli arresti, presi in
considerazione immediatamente prima nel decreto, n.d.r.] saranno
rinviati d'ufficio a data successiva al 30 giugno 2020»;
in ossequio a tale decreto presidenziale, il GUP assegnatario
del procedimento, con provvedimento in data 1° giugno 2020, differiva
d'ufficio l'udienza preliminare (originariamente fissata, come detto,
in data 4 giugno 2020, dunque ricadente nel c.d. «secondo periodo
covid»), alla data del 5 novembre 2020.
Tutto cio' premesso, appare fuori di dubbio che nel caso di
specie vada riconosciuta la sospensione della prescrizione (anche) in
data compresa tra l'11 maggio 2020 ed il 30 giugno 2020, proprio in
ragione del rinvio d'ufficio dell'udienza preliminare fissata in c.d.
«secondo periodo covid» [termine cosi' definitivamente indicato dalla
legge n. 70/2020, pubblicata in GU il 29 giugno 2020 ed entrata in
vigore in data 30 giugno 2020, che ha per l'appunto riportato il
termine di efficacia delle disposizioni emergenziali e dei
provvedimenti presidenziali, fissandolo al 30 giugno 2020 anziche' al
31 luglio 2020, eliminando una volta per tutte la previsione di cui
all'art. 3, comma 1, lettera b-bis), decreto-legge n. 28/2020)];
sospensione prevista dall'art. 83, comma 9, decreto-legge n. 18/2020,
che testualmente dispone che «Nei procedimenti penali il corso della
prescrizione e i termini di cui agli articoli 303, 308, 309, comma 9,
311, commi 5 e 5-bis, e 324, comma 7, del codice di procedura penale
e agli articoli 24, comma 2, e 27, comma 6, del decreto legislativo 6
settembre 2011, n. 159 rimangono sospesi per il tempo in cui il
procedimento e' rinviato ai sensi del comma 7, lettera g), e, in ogni
caso, non oltre il 30 giugno 2020» [l'art. 83, comma 7, lettera g),
decreto-legge n. 18/2020, richiamato dall'art. 83, comma 9 succitato,
recita: «Per assicurare le finalita' di cui al comma 6, i capi degli
uffici giudiziari possono adottare le seguenti misure: [...] g) la
previsione del rinvio delle udienze a data successiva al 30 giugno
2020 nei procedimenti civili e penali, con le eccezioni indicate al
comma 3»].
Non appare poi revocabile in dubbio (verrebbe da dire a fortiori)
l'applicabilita' della sospensione della prescrizione per il c.d.
«primo periodo covid» (ricompreso tra il 9 marzo 2020 e 1'11 maggio
2020), ai sensi dell'art. 83, comma 4, decreto-legge n. 18/2020 che
prevede espressamente che: «Nei procedimenti penali in cui opera la
sospensione dei termini ai sensi del comma 2 [ovvero fino all'11
maggio 2020] sono altresi' sospesi, per lo stesso periodo, il corso
della prescrizione e i termini di cui agli articoli 303 e 308 del
codice di procedura penale» (norma ritenuta costituzionalmente
legittima; cfr. Corte costituzionale sent. n. 278/2020).
Sul punto vale precisare che nel caso di specie il processo -
gia' pendente alla data del 9 marzo 2020, essendo stato instaurato
con la richiesta di rinvio a giudizio datata 15 gennaio 2020 e
depositata presso l'ufficio GUP in data 17 gennaio 2020 - beneficia
senz'altro del periodo di sospensione della prescrizione di
sessantaquattro giorni del c.d. «primo periodo covid», a prescindere
dalla fissazione dell'udienza preliminare o dibattimentale nel
periodo di sospensione dell'attivita' giudiziaria, essendo
sufficiente (ai fini dell'applicazione del detto periodo di
sospensione ex art. 83, comma 4, decreto-legge n. 18/2020,
diversamente da quanto previsto dai commi 3-bis e 9 del medesimo art.
83, decreto-legge cit.) la pendenza del processo, con la conseguente
inevitabile sospensione di ogni attivita' giudiziaria espletabile in
quella fase.
Ebbene, se e' certo che l'udienza preliminare originariamente
fissata per la data del 1° giugno 2020 e' stata rinviata ai sensi
dell'art. 83, commi 7 e 9, decreto-legge n. 18/2020, e' altrettanto
evidente che nel periodo precedente a tale data, ed in particolare
quello ricadente nel c.d. «primo periodo covid», l'attivita'
giudiziaria era stata sospesa, ad esclusione delle urgenze, con
conseguente impossibilita' per le parti del presente processo di
depositare atti, nonche' di esercitare i diritti e le facolta'
previste dall'ordinamento ed in particolare quelle connesse
all'avvenuta fissazione dell'udienza preliminare: d'altronde la
fissazione dell'udienza preliminare per il 4 giugno 2020, gia'
avvenuta il 4 febbraio 2020, implicava e permetteva l'esercizio di
diritti quali l'accesso e la visione del fascicolo, la verifica della
regolarita' delle notifiche, anche e soprattutto in vista della
costituzione di parte civile - oltre che, evidentemente, per le
scelte processuali degli imputati - che avrebbero potuto essere
esercitati anche nel «primo periodo covid», ma impediti dalle misure
emergenziali adottate.
Cio' detto, come risulta inequivocabilmente chiarito nella
relazione illustrativa al decreto-legge n. 18/2020 e nelle
motivazioni della sentenza a Sezioni Unite della Corte di cassazione
n. 5292/2021 (Cass., Sez. U., sentenza n. 5292 del 26 novembre 2020
Ud. (dep. 10 febbraio 2021) Rv. 280432 - 02), la sospensione del
processo e della prescrizione di cui all'art. 83, comma 4, per il
c.d. «primo periodo covid» si distingueva da quella (peraltro qui
pure ricorrente) ex art. 83, comma 9, decreto-legge n. 18/2020 per il
c.d. «secondo periodo covid», proprio in ragione della totale
paralisi degli uffici giudiziari, ed era quindi slegata dalla
fissazione di un'udienza e dalla scadenza di uno specifico termine
processuale:
«... 4.2 E', dunque, evidente come i decreti-legge n. 9, n. 11
e n. 18 del 2020 si siano ispirati allo schema gia' piu' volte
sperimentato dal legislatore, riproponendone nei fondamentali la
versione elaborata nell'esperienza legislativa piu' recente, anche
la' dove ha dovuto disporre l'inedito congelamento dell'attivita'
giudiziaria sull'intero territorio nazionale e non, come avvenuto in
passato, solo su porzioni limitate del medesimo. Gia' nella versione
elaborata nel decreto-legge n. 11 (e poi ripresa dall'art. 83 del
decreto-legge n. 18), tale schema ha peraltro subito una ulteriore
evoluzione per meglio adattarsi alle peculiarita' della nuova ed
inedita emergenza. Evoluzione consistita, come si e' visto,
nell'articolare due distinte ed autonome fasi temporali, all'interno
delle quali la sospensione dell'attivita' giudiziaria e' stata
modulata in maniera differenziata per intensita' e modalita'. Non
solo, rispetto al preliminare intervento del 2 marzo 2020 (ossia il
decreto-legge n. 9) - nel quale al comma 13 dell'art. 1 era stata
prevista la sospensione della prescrizione per tutto il tempo in cui,
ai sensi del precedente comma 7, veniva disposto il rinvio delle
udienze - con i decreti successivi, anche per la sospensione della
prescrizione (e non esclusivamente per quella dei termini
processuali) e' stato in ogni fase assegnato un termine predefinito,
destinato ad operare anche nell'eventualita' in cui il rinvio
dell'udienza abbia maggiore durata. Mentre, pero', il decreto-legge
n. 11 aveva individuato tale termine nel 31 maggio 2020, a
prescindere dal fatto che l'udienza rinviata fosse stata fissata nel
primo o nel secondo dei periodi configurati, l'art 83, comma 9,
decreto-legge n. 18 ha, invece, definitivamente ancorato la durata
della sospensione al termine finale del periodo nel quale l'udienza
era stata originariamente fissata, creando dunque una inscindibile
connessione tra sospensione della prescrizione, data di fissazione
dell'udienza rinviata e durata degli intervalli temporali
normativamente determinati. Il comma 4 dell'art. 83 ha, invece,
collegato la sospensione della prescrizione non specificamente al
rinvio dell'udienza, ma piu' in generale a quella dei termini
disposta dal precedente comma 2 per il periodo compreso tra il 9
marzo e il 15 aprile 2020 (termine poi prorogato, come si e' detto,
all'11 maggio 2020) e cio' per l'ovvia ragione che, contrariamente
all'ipotesi considerata nel comma 9, il primo dei due periodi
configurati dal legislatore ha inteso imporre, tendenzialmente, la
totale paralisi di ogni attivita' processuale, a prescindere dal
fatto che la stessa comporti o meno la celebrazione di una udienza,
come peraltro precisato nella Relazione illustrativa al
decreto-legge» [cosi', parte motiva della sentenza delle Sezioni
Unite, punto 4.2., p. 9, in merito illuminante].
Le conclusioni appena tratte - e' il caso di precisarlo - non
sono in alcun modo contraddette dalla successiva giurisprudenza di
legittimita' che in effetti ha negato l'applicabilita' della
sospensione della prescrizione in c.d. «primo periodo covid» ex
articoli 83, commi 2 e 4, decreto-legge n. 18/2020, ma in un caso
isolato, completamente diverso da quello in esame, per cui, non solo
non operava la sospensione per il c.d. «secondo periodo covid», ma
non era neanche in astratto ipotizzabile l'espletamento di alcuna
attivita' giudiziaria (cfr. Cass., sez. 5, sentenza n. 2647 del 29
settembre 2021 dep. il 24 gennaio 2022 che ha preso in esame il caso
di giudizio di appello con deposito della sentenza di primo grado e
dell'atto di impugnazione, entrambi avvenuti due anni prima della
emergenza pandemica, e con fissazione dell'udienza avanti alla Corte
territoriale con decreto emesso in data successiva alla conclusione
del c.d. «primo periodo covid»);
b) dall'udienza del 27 gennaio 2022 alla successiva udienza
del 24 febbraio 2022 (gg. ventotto) per impedimento ex art. 159,
comma 1, n. 3 del codice penale dell'imputata D. e dell'avv. Mario
Incardona, difensore di R.V.;
c) dall'udienza del 24 novembre 2023 alla successiva udienza
del 5 dicembre 2023 (gg. undici) per impedimento ex art. 159, comma
1, n. 3 del codice penale dell'avv. Donati, difensore dell'imputato
L., per concomitante impegno professionale.
Ebbene, il Tribunale, all'esito della lunga istruttoria svolta,
e' chiamato ad applicare l'art. 323 del codice penale per la
decisione di merito sulla responsabilita' degli imputati.
La depenalizzazione ex art. 1, comma l, lettera b) della legge 9
agosto 2024, n. 114, incide nel presente giudizio e la sollevata
questione di legittimita' costituzionale e', quindi, certamente
rilevante atteso che:
a) la depenalizzazione preclude in radice la pronuncia di una
eventuale sentenza di condanna e quindi l'applicazione delle sanzioni
penali ex articoli 533 e 535 del codice di procedura penale ed il
vaglio delle richieste risarcitorie avanzate dalle parti civili ex
art. 538 del codice di procedura penale, quanto dipendenti da un
accertamento di colpevolezza in ordine ad un fatto previsto dalla
legge come reato;
b) correlativamente rispetto a quanto osservato al precedente
punto a), la eventuale pronuncia di incostituzionalita' della
disposizione abrogatrice della fattispecie consentirebbe, in ipotesi
di ritenuta sussistenza di responsabilita' penale, di pervenire a
condanna o, nel caso opposto, di giungere ad assoluzione per cause
diverse dalla abolitio criminis e, dunque, con formula diversa da
«perche' il fatto non e' previsto dalla legge come reato»;
c) la depenalizzazione ex art. 1, comma 1, lettera b) della
legge 9 agosto 2024, n. 114, inciderebbe (e' il caso di precisarlo,
tenuto conto di quanto osservato dalla difesa dell'imputato L.C.
nella memoria depositata all'udienza del 13 settembre 2024 e dalla
difesa degli imputati D. e G. nel corso della discussione finale)
anche laddove il reato contestato al capo 5) fosse gia' estinto per
intervenuta prescrizione; cio', tenuto conto che questo collegio
sarebbe oggi tenuto a pronunciare necessariamente sentenza di
assoluzione «perche' il fatto non e' previsto dalla legge come reato»
ex articoli 129, comma 2, e 530, comma 1 del codice di procedura
penale, prevalendo la suddetta causa assolutoria sulla
improcedibilita' per estinzione del reato per intervenuta
prescrizione, stante il carattere di assoluta evidenza della abolitio
criminis;
d) correlativamente rispetto a quanto osservato al precedente
punto c), in caso di gia' maturata prescrizione, la eventuale
pronuncia di incostituzionalita' della disposizione abrogatrice della
fattispecie schiuderebbe, invece, diverse alternative, atteso che, in
ipotesi di difetto evidente della sussistenza del fatto o della sua
commissione da parte dell'imputato o che il fatto costituisca reato,
il Tribunale potrebbe pervenire ad assoluzione ex artt. 129, comma 2
e 530, comma 1 del codice di procedura penale con formule ampiamente
liberatorie (che pero' presuppongono la incriminazione da parte
dell'ordinamento del fatto come illecito penale); mentre, in caso di
ritenuta sussistenza di prova di responsabilita' penale o, comunque,
di dubbio ex art. 530, comma 2 del codice di procedura penale il
Tribunale sarebbe tenuto, anche ad istruttoria conclusa, a
pronunciare sentenza di non doversi procedere ex articoli 129, comma
1, e 531 del codice di procedura penale [sul punto si veda la
consolidata giurisprudenza, secondo cui la sentenza di
proscioglimento per prescrizione prevale rispetto alla sentenza di
assoluzione anche nel caso in cui la prova del fatto e della
responsabilita' dell'imputato sia contraddittoria o insufficiente,
dovendo il giudice, di contro, assolvere nel merito solo qualora le
ragioni militanti in favore di una sentenza ampiamente liberatoria
emergano ex actis ed ictu oculi (cfr., ex multis, Sez. 2, sentenza n.
38049 del 18 luglio 2014 - Rv. 260586; Cass., Sez. U, sentenza n.
35490 del 28 maggio 2009 - Rv. 244274), con il carattere
dell'evidenza, ovvero per usare le parole della Cassazione «soltanto
nel caso in cui sia rilevabile, con una mera attivita' ricognitiva,
l'assoluta assenza della prova di colpevolezza a carico dell'imputato
ovvero la prova positiva della sua innocenza» (Cass., Sez. 6,
sentenza n. 10284 del 22 gennaio 2014 - Rv. 259445 - 01); principio
ribadito dalla Suprema Corte anche quando il rilievo della
intervenuta prescrizione avvenga all'esito del giudizio
dibattimentale con sentenza n. 53354 del 21 novembre 2018 - Rv.
274497 - 01 che nella parte motiva punti 1.2-1.4. richiama la
giurisprudenza costituzionale (Corte costituzionale ordd. n. 300 del
17 giugno 1991 e n. 362 dell'11 luglio 1991) e di legittimita' anche
a Sezioni Unite (Cass., Sez. U, n. 17179 del 27 febbraio 2002, Conti
D, Rv. 22140301; Cass., Sez. U, n. 35490 del 28 maggio 2009, (dep. 15
settembre 2009) ..., Rv. 244275 - 01) escludendo che tale soluzione
pregiudichi in alcun modo i diritti dell'imputato o contrasti con
valori di rango costituzionale o con il principio del favor rei];
e) tenuto conto di quanto sin qui osservato, va ricordato -
in ordine al giudizio di rilevanza della questione di legittimita'
nel processo pendente avanti al giudice comune per l'impatto spiegato
dalla pronuncia di incostituzionalita' sulla diversa formula di
proscioglimento in concreto adottabile - che la Corte costituzionale,
con sentenza n. 28/2010, ha ribadito il principio, invero gia'
precedentemente enunciato, secondo cui «l'eventuale accoglimento
delle questioni relative a norme piu' favorevoli "verrebbe ad
incidere sulle formule di proscioglimento o, quanto meno, sui
dispositivi delle sentenze penali"; peraltro, "la pronuncia della
Corte non potrebbe non riflettersi sullo schema argomentativo della
sentenza penale assolutoria, modificandone la ratio decidendi:
poiche' in tal caso ne risulterebbe alterato [...] il fondamento
normativo della decisione, pur fermi restando i pratici effetti di
essa" (sentenza n. 148 del 1983)».
§§§
Quanto al reato contestato al capo 6) e alla specifica rilevanza
della questione di costituzionalita' con riguardo a tale delitto si
osserva sinteticamente quanto segue.
Per comprendere la rilevanza dell'abrogazione dell'art. 323 del
codice penale con riferimento al reato di cui al capo 6) deve
riprendersi e svilupparsi quanto gia' sopra evidenziato in ordine
alla specifica formulazione della contestazione e poi darsi
brevemente conto degli esiti dell'istruttoria.
Ebbene, come hanno messo in evidenza le difese nel corso della
discussione, il contestato accordo corruttivo (c.d. pactum sceleris)
era descritto solo in via implicita nella imputazione sub 6), dal
quale non emergeva all'inizio del processo in modo inequivoco e
diretto se questo avesse in ipotesi coinvolto, oltre (evidentemente)
il privato imprenditore R. (quale ipotizzato corruttore), uno solo o
piuttosto entrambi i pubblici ufficiali G. e D.; non era del tutto
chiaro cioe': a) se fosse contestata una corruzione in atti
giudiziari con accordo intervenuto tra il magistrato e
l'imprenditore, con un ruolo del G. di concorrente eventuale, in
ragione dell'attivita' di intermediazione nella conclusione del patto
e del conseguimento delle utilita' (ipotesi in astratto certamente
configurabile, tenuto conto che i reati di corruzione prevedono la
possibilita' che l'utilita' sia accettata o ricevuta dal pubblico
ufficiale corrotto anche «per un terzo»; b) ovvero, se fosse
contestato un accordo tra l'imprenditore ed il solo G. (si badi bene,
titolare, quale appartenente all'Arma dei carabinieri, della
qualifica soggettiva di pubblico ufficiale, che gli avrebbe
consentito in astratto di essere individuato quale parte necessaria
dell'accordo bilaterale corruttivo, dovendosi all'uopo ricordare che
la fattispecie in contestazione ex art. 319-ter del codice penale non
e' un reato proprio dei magistrati), a cui era poi seguito il
compimento degli atti costituenti violazione dei doveri d'ufficio
contestati alla imputata D.A.
Le difese degli imputati coinvolti hanno poi sostenuto, sempre
nell'ambito della discussione finale, l'assenza di una correlazione
funzionale tra lo svolgimento delle funzioni pubbliche e le utilita',
riconducendo la dazione delle stesse ad un solido e risalente
rapporto di amicizia e di frequentazione (anche familiare) tra R. e
G.; in questo senso, le stesse difese hanno contestato l'ammontare
delle utilita' ricevute dal pubblico ufficiale, che sarebbe stato
erroneamente quantificato nell'imputazione in oltre 100 mila euro, ma
che all'esito dell'istruttoria andrebbe individuato in un valore tra
i 10 e i 20 mila euro, dunque assolutamente compatibile rispetto ad
un aiuto amicale del tutto scollegato rispetto all'esercizio di
funzioni pubbliche; inoltre, le stesse difese hanno messo in evidenza
la netta cesura temporale (di alcuni anni) tra la stipula del
presunto accordo ed il compimento dei primi atti asseritamente
contrari ai doveri d'ufficio (anni ...) e il successivo
riconoscimento delle utilita' ( ... ), circostanza che deporrebbe per
l'assenza di una corrispettivita'.
Ritiene il Tribunale che all'esito della lunga istruttoria svolta
- se e' da escludersi in radice il conseguimento di alcuna utilita'
da parte del magistrato (circostanza d'altronde nemmeno contestata
dal pubblico ministero) - non possono dirsi emersi con certezza
elementi a sostegno di un accordo tra D. e R. che prevedesse una
remunerazione del G., ne' comunque in ordine alla conoscenza da parte
dell'imputata D. delle utilita' riconosciute dal R. al G.
E' altresi' da escludersi pacificamente, sulla base
dell'istruttoria svolta, il compimento da parte del G. di atti propri
della funzione svolta (di agente di polizia giudiziaria) nell'ambito
dei procedimenti penali coinvolgenti a vario titolo il R. e condotti
dalla dott.ssa D., specificati nell'imputazione.
Ponendosi in questa ottica, e', dunque, assolutamente concreta
l'ipotesi di riqualificazione giuridica favorevole ex art. 521 del
codice di procedura penale del fatto di cui al capo 6) in abuso
d'ufficio, essendo contestato, in fatto, nella articolata
imputazione, e sostenibile, sulla base del compendio probatorio
disponibile, il compimento da parte del pubblico ufficiale (ovvero il
magistrato) di atti d'ufficio in ipotizzata violazione di legge, in
relazione a profili non connotati da discrezionalita' (quanto meno
laddove si contesta la violazione del segreto d'ufficio per avere la
D. «personalmente effettuato, in data ..., un atto a sorpresa
(ispezione locale presso l'abitazione dell'indagato R.) in realta'
concordato con il predetto R., che era stato preavvisato»),
favorevoli al privato imprenditore, ma non connessi e correlati al
mercimonio della pubblica funzione quanto piuttosto, eventualmente,
al rapporto di amicizia esistente tra R. e G. (da un lato) e alla
«duratura relazione personale» che avrebbe legato il G. e la D.
(dall'altro) [evidentemente, la verifica della tenuta di una simile
ipotesi ricostruttiva in prospettiva di condanna e' riservata alla
celebrazione della Camera di consiglio, una volta che si sia svolto
l'incidente di costituzionalita'].
Cio' detto, possono richiamarsi tutte le osservazioni gia' sopra
svolte con riferimento alla rilevanza della questione di legittimita'
in relazione al capo 5) della rubrica, in punto di incidenza della
eventuale sentenza di accoglimento della questione di legittimita'
costituzionale, anche in caso di gia' maturata prescrizione del
reato.
II. Ammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale
Occorre ora affrontare un tema, ben noto al Tribunale ed oggetto
di specifiche argomentazioni delle parti, che incide
sull'ammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale.
Si tratta, come e' intuibile, della possibilita' per la Corte
costituzionale, in ipotesi di ritenuta fondatezza delle questioni
sollevate per violazione dei parametri di costituzionalita' che si
andranno oltre ad individuare, di pronunciare una sentenza in materia
penale sostanziale (in particolare dichiarativa
dell'incostituzionalita' di una norma che ha prodotto una abolitio
criminis) con effetti in malam partem ed in particolare di
riviviscenza di una fattispecie espunta dall'ordinamento per espressa
scelta del legislatore.
Il tema, certamente complesso e delicato, involge sia la riserva
assoluta di legge (art. 25 della Costituzione) - che affida all'atto
normativo di rango primario e, quindi, al legislatore, la decisione
del se incriminare come illecito penale o meno un determinato fatto o
condotta - sia il rapporto tra le fonti, che impone il necessario
rispetto della Costituzione (le sue disposizioni ed i suoi principi)
da parte del legislatore ordinario e, quindi, in definitiva il ruolo
del giudice delle leggi.
La questione, come noto, e' stata affrontata in diverse sentenze
della Corte costituzionale, anche con riferimento alla abolitio
criminis della fattispecie di abuso d'ufficio (allora solo parziale)
conseguente alle riforme approvate con legge n. 234/1997 e con
decreto-legge n. 76/2020 (convertito in legge n. 120/2020) - nella
sentenza n. 447/1998 e nella recente pronuncia n. 8/2022 del 25
novembre 2021-18 gennaio 2022.
In particolare, nella sentenza da ultimo citata n. 8/2022 (§ 7.),
la Corte riprende la distinzione tra norme penali di favore e norme
penali favorevoli, gia' affrontata e chiarita dalla sentenza n. 394
del 2006 (in senso conforme, tra le altre, sentenza n. 155 del 2019,
n. 57 del 2009 e n. 324 del 2008; ordinanza n. 413 del 2008) e
chiarisce che «per norme penali di favore debbono intendersi quelle
che stabiliscano, per determinati soggetti o ipotesi, un trattamento
penalistico piu' favorevole di quello che risulterebbe
dall'applicazione di norme generali o comuni compresenti
nell'ordinamento. [...] La qualificazione come norma penale di favore
non puo' essere fatta, di contro, discendere, come nel caso di
specie, dal raffronto tra una norma vigente e una norma anteriore,
sostituita dalla prima con effetti di restringimento dell'area di
rilevanza penale».
La distinzione conduce a diverse conclusioni in punto di
ammissibilita' ex art. 25 della Costituzione di una sentenza
dichiarativa di illegittimita' costituzionale atteso che l'effetto in
malam partem, conseguente alla dichiarazione di illegittimita'
costituzionale delle norme penali di favore, «non vulnera la riserva
al legislatore sulle scelte di criminalizzazione, rappresentando una
conseguenza dell'automatica riespansione della norma generale o
comune, dettata dallo stesso legislatore, al caso gia' oggetto di
ingiustificata disciplina derogatoria»; mentre laddove sia censurata
sul piano della legittimita' costituzionale una norma penale
favorevole (categoria in cui di regola si iscrive una disposizione
abolitiva - in misura totale o parziale - di una fattispecie
incriminatrice) «la richiesta di sindacato in malam partem non mira a
far riespandere una norma tuttora presente nell'ordinamento, ma a
ripristinare la norma abrogata, espressiva di una scelta di
criminalizzazione non piu' attuale: operazione preclusa alla Corte
(sulla inammissibilita' delle questioni volte a conseguire il
ripristino di norme incriminatrici abrogate o di discipline penali
sfavorevoli, ex plurimis, sentenze n. 37 del 2019, n. 57 del 2009 e
n. 324 del 2008; ordinanze n. 282 del 2019, n. 413 del 2008 e n. 175
del 2001)».
Va precisato, pero', - e si tratta di un aspetto di rilievo nel
caso di specie, venendo sollevata, come si dira' oltre, questione di
legittimita' per possibile violazione degli articoli 11 e 117, comma
1 della Costituzione che la preclusione ex art. 25 della Costituzione
di sentenza costituzionale con effetti penali in malam partem, per
costante giurisprudenza costituzionale (come chiarito dalla stessa
sentenza Corte costituzionale n. 8/2022 e piu' diffusamente Corte
costituzionale, n. 236 del 2018, n. 143/2018 e n. 37/2019), ammette
delle deroghe/eccezioni; deroghe che non si esauriscono nelle ipotesi
di violazione delle norme sulla produzione o sulla competenza
legislativa e al caso delle norme penali di favore, ma tra le quali
va annoverata anche la «contrarieta' della disposizione censurata a
obblighi sovranazionali rilevanti ai sensi dell'art. 11 o dell'art.
117, comma 1 della Costituzione».
In particolare, nella sentenza n. 37/2019, la Corte passa in
rassegna le diverse ipotesi nelle quali sarebbe possibile un suo
intervento in materia penale sostanziale in malam partem:
«Anzitutto, puo' venire in considerazione la necessita' di
evitare la creazione di "zone franche" immuni dal controllo di
legittimita' costituzionale, laddove il legislatore introduca, in
violazione del principio di eguaglianza, norme penali di favore, che
sottraggano irragionevolmente un determinato sottoinsieme di condotte
alla regola della generale rilevanza penale di una piu' ampia classe
di condotte, stabilita da una disposizione incriminatrice vigente,
ovvero prevedano per detto sottoinsieme - altrettanto
irragionevolmente - un trattamento sanzionatorio piu' favorevole
(sentenza n. 394 del 2006).
Un controllo di legittimita' con potenziali effetti in malam
partem deve altresi' ritenersi ammissibile quando a essere censurato
e' lo scorretto esercizio del potere legislativo: da parte dei
consigli regionali, ai quali non spetta neutralizzare le scelte di
criminalizzazione compiute dal legislatore nazionale (sentenza n. 46
del 2014, e ulteriori precedenti ivi citati); da parte del Governo,
che abbia abrogato mediante decreto legislativo una disposizione
penale, senza a cio' essere autorizzato dalla legge delega (sentenza
n. 5 del 2014); ovvero anche da parte dello stesso Parlamento, che
non abbia rispettato i principi stabiliti dalla Costituzione in
materia di conversione dei decreti-legge (sentenza n. 32 del 2014).
In tali ipotesi, qualora la disposizione dichiarata incostituzionale
sia una disposizione che semplicemente abrogava una norma
incriminatrice preesistente (come nel caso deciso dalla sentenza n. 5
del 2014), la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della
prima non potra' che comportare il ripristino della seconda, in
effetti mai (validamente) abrogata.
Un effetto peggiorativo della disciplina sanzionatoria in
materia penale conseguente alla pronuncia di illegittimita'
costituzionale e' stato, altresi', ritenuto ammissibile allorche'
esso si configuri come "mera conseguenza indiretta della reductio ad
legitimitatem di una norma processuale", derivante "dall'eliminazione
di una previsione a carattere derogatorio di una disciplina generale"
(sentenza n. 236 del 2018).
Un controllo di legittimita' costituzionale con potenziali
effetti in malam partem puo', infine, risultare ammissibile ove si
assuma la contrarieta' della disposizione censurata a obblighi
sovranazionali rilevanti ai sensi dell'art. 11 o dell'art. 117, primo
comma, della Costituzione (sentenza n. 28 del 2010; nonche' sentenza
n. 32 del 2014, ove l'effetto di ripristino della vigenza delle
disposizioni penali illegittimamente sostituite in sede di
conversione di un decreto-legge, con effetti in parte peggiorativi
rispetto alla disciplina dichiarata illegittima, fu motivato anche
con riferimento alla necessita' di non lasciare impunite «alcune
tipologie di condotte per le quali sussiste un obbligo sovranazionale
di penalizzazione. Il che determinerebbe una violazione del diritto
dell'Unione europea, che l'Italia e' tenuta a rispettare in virtu'
degli articoli 11 e 117, primo comma, della Costituzione»)...».
Nella precedente sentenza n. 28/2010 la Corte aveva gia'
affermato che «la retroattivita' della legge piu' favorevole non
esclude l'assoggettamento di tutte le norme giuridiche di rango
primario allo scrutinio di legittimita' costituzionale: "Altro [...]
e' la garanzia che i principi del diritto penale-costituzionale
possono offrire agli imputati, circoscrivendo l'efficacia spettante
alle dichiarazioni d'illegittimita' delle norme penali di favore;
altro e' il sindacato cui le norme stesse devono pur sempre
sottostare, a pena di istituire zone franche del tutto impreviste
dalla Costituzione, all'interno delle quali la legislazione ordinaria
diverrebbe incontrollabile" (sentenza n. 148 del 1983 e sul punto,
sostanzialmente nello stesso senso, sentenza n. 394 del 2006).
Nel caso di specie, se si stabilisse che il possibile effetto in
malam partem della sentenza di questa Corte inibisce la verifica di
conformita' delle norme legislative interne rispetto alle norme
comunitarie - che sono cogenti e sovraordinate alle leggi ordinarie
nell'ordinamento italiano per il tramite degli articoli 11 e 117,
primo comma, della Costituzione - non si arriverebbe soltanto alla
conclusione del carattere non autoapplicativo delle direttive
comunitarie sui rifiuti, ma si toglierebbe a queste ultime ogni
efficacia vincolante per il legislatore italiano, come effetto del
semplice susseguirsi di norme interne diverse, che diverrebbero
insindacabili a seguito della previsione, da parte del medesimo
legislatore italiano, di sanzioni penali.
La responsabilita' penale, che la legge italiana prevede per
l'inosservanza delle fattispecie penali connesse alle direttive
comunitarie, per dare alle stesse maggior forza, diverrebbe
paradossalmente una barriera insuperabile per l'accertamento della
loro violazione.
Per superare il paradosso sopra segnalato, occorre quindi
distinguere tra controllo di legittimita' costituzionale, che non
puo' soffrire limitazioni, se ritualmente attivato secondo le norme
vigenti, ed effetti delle sentenze di accoglimento nel processo
principale, che devono essere valutati dal giudice rimettente secondo
i principi generali che reggono la successione nel tempo delle leggi
penali.
Questa Corte ha gia' chiarito che l'eventuale accoglimento delle
questioni relative a norme piu' favorevoli «verrebbe ad incidere
sulle formule di proscioglimento o, quanto meno, sui dispositivi
delle sentenze penali»; peraltro, «la pronuncia della Corte non
potrebbe non riflettersi sullo schema argomentativo della sentenza
penale assolutoria, modificandone la ratio decidendi: poiche' in tal
caso ne risulterebbe alterato [...] il fondamento normativo della
decisione, pur fermi restando i pratici effetti di essa» (sentenza n.
148 del 1983).
Occorre precisare inoltre che, nel caso di specie, il giudice
rimettente ha posto un problema di conformita' di una norma
legislativa italiana ad una direttiva comunitaria, evocando i
parametri di cui agli articoli 11 e 117 della Costituzione, senza
denunciare, ne' nel dispositivo ne' nella motivazione dell'atto
introduttivo del presente giudizio, la violazione dell'art. 3 della
Costituzione e del principio di ragionevolezza intrinseca delle
leggi. Cio' esclude che la questione oggi all'esame di questa Corte
comprenda la problematica delle norme penali di favore, quale
affrontata dalla sentenza n. 394 del 2006.
Infine va ricordato che, posti i principi di cui all'art. 49
della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, all'art.
25, secondo comma, della Costituzione ed all'art. 2, quarto comma,
del codice penale, la valutazione del modo in cui il sistema
normativo reagisce ad una sentenza costituzionale di accoglimento non
e' compito di questa Corte, in quanto la stessa spetta al giudice del
processo principale, unico competente a definire il giudizio da cui
prende le mosse l'incidente di costituzionalita'».
Principi che sono ribaditi anche nella successiva sentenza n.
40/2019, laddove la Corte osserva che «non trova riscontro nella
giurisprudenza costituzionale l'assunto da cui muove il giudice
rimettente per cui la riserva di legge di cui all'art. 25 della
Costituzione precluderebbe in radice a questa Corte la possibilita'
di intervenire in materia penale con effetti meno favorevoli. Invero,
la giurisprudenza di questa Corte, ribadita anche recentemente
(sentenze n. 236 del 2018 e n. 143 del 2018), ammette in particolari
situazioni interventi con possibili effetti in malam partem in
materia penale (sentenze n. 32 e n. 5 del 2014, n. 28 del 2010, n.
394 del 2006), restando semmai da verificare l'ampiezza e i limiti
dell'ammissibilita' di tali interventi nei singoli casi. Certamente
il principio della riserva di legge di cui all'art. 25 della
Costituzione rimette al legislatore «la scelta dei fatti da
sottoporre a pena e delle sanzioni da applicare» (sentenza n. 5 del
2014), ma non esclude che questa Corte possa assumere decisioni il
cui effetto in malam partem non discende dall'introduzione di nuove
norme o dalla manipolazione di norme esistenti, ma dalla semplice
rimozione di disposizioni costituzionalmente illegittime. In tal
caso, l'effetto in malam partem e' ammissibile in quanto esso e' una
mera conseguenza indiretta della reductio ad legitimitatem di una
norma costituzionalmente illegittima, la cui caducazione determina
l'automatica riespansione di altra norma dettata dallo stesso
legislatore (sentenza n. 236 del 2018)»; sentenza, quella ora in
esame n. 40/2019, nella quale la Corte - richiamando la pronuncia n.
32 del 2014 - chiarisce la possibilita' di declaratoria di
incostituzionalita' con effetti in malam partem laddove la pronuncia
della Consulta si limiti «a rimuovere dall'ordinamento le
disposizioni costituzionalmente illegittime sottoposte al suo esame,
nello svolgimento del compito assegnatole dall'art. 134 della
Costituzione» e la disciplina applicabile sia «il frutto di
precedenti scelte del legislatore che sono tornate ad avere
applicazione dopo la declaratoria di illegittimita' costituzionale».
Non parrebbe revocabile in dubbio, quindi, la possibilita' per la
Corte costituzionale di intervenire con sentenza in malam partem
(rectius, l'ammissibilita' della relativa questione) laddove la
disposizione penale favorevole sospettata di illegittimita'
costituzionale si ponga in contrasto - come nel caso di specie - con
il parametro costituzionale di cui agli articoli 11 e 117 della
Costituzione.
Si rimette alla Corte costituzionale la valutazione circa la
possibilita' o meno di individuare una ulteriore eccezionale ipotesi
di suo intervento in materia penale sostanziale in malam partem, in
caso di violazione di ulteriori e diversi parametri costituzionali,
laddove le violazioni della Carta fondamentale abbiano un effetto
grave e sistemico, come quelli che il Tribunale sommessamente
evidenzia nella parte della presente ordinanza dedicata allo
scrutinio di non manifesta infondatezza della questione di
legittimita' per violazione dell'art. 97 della Costituzione.
III. Non manifesta infondatezza della questione di legittimita'
costituzionale
Onde comprendere appieno le ragioni processuali e
giuridico-costituzionali che hanno portato il Tribunale all'adozione
della presente ordinanza - in parte gia' sopra accennate - e nel
contempo perimetrare il vaglio affidato a questo collegio, va
doverosamente premesso che sul giudice comune grava un vero e proprio
obbligo di sollevazione delle questioni di legittimita'
costituzionale in caso di serio dubbio di conformita' delle
disposizioni di legge o degli atti aventi forza di legge rispetto
alle disposizioni e ai principi contenuti nella Carta fondamentale.
Spetta, infatti, alla Corte costituzionale, quale Giudice delle
leggi, valutare la fondatezza o meno delle questioni di legittimita',
dovendosi limitare il giudice a quo a prendere atto (oltre che della
rilevanza nel giudizio, di cui si e' gia' detto) della non manifesta
infondatezza delle questioni di costituzionalita' poste dalle parti o
rilevabili d'ufficio.
Il deciso favor dell'ordinamento giuridico-costituzionale in
ordine alla sollevazione della questione di costituzionalita' in caso
di possibile (ovvero dubbio, purche' serio) contrasto della normativa
di rango primario con la Carta fondamentale emerge chiaramente - non
solo dall'art. 1, comma 1, legge costituzionale n. 1/1948, che
prevede l'obbligo di rimessione della questione («e' rimessa») quando
questa «non sia ritenuta dal giudice manifestamente infondata» e
dall'art. 23, legge n. 87/1953 che, dal canto suo, contempla il
potere/dovere di sollevare questione di legittimita' «qualora il
giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla
risoluzione della questione di legittimita' costituzionale e non
ritenga che la questione sollevata sia manifestamente infondata» - ma
e' indirettamente affermato anche dall'art. 24, legge n. 87/1953
laddove prevede che «l'ordinanza che respinga l'eccezione di
illegittimita' costituzionale per manifesta irrilevanza o
infondatezza, deve essere adeguatamente motivata».
A ben vedere, inoltre, il favor dell'ordinamento in merito alla
rimessione delle questioni di legittimita' da parte del giudice
comune e' dovuto all'assetto del controllo di costituzionalita', di
tipo accentrato, e rimesso ad un organo, la Corte costituzionale, che
notoriamente non puo' svolgere d'ufficio lo scrutinio di legittimita'
costituzionale, ma di regola e' investito di tale compito a seguito
di rimessione da parte del giudice comune che rilevi incidentalmente
una questione nel corso di un giudizio pendente avanti a se'.
Tale potere-dovere gravante sul giudice comune e' sentito
massimamente dal Tribunale, considerata la particolare gravita' e
delicatezza della vicenda sottoposta al vaglio di questa autorita'
giudiziaria e vieppiu' tenuto conto che il principale soggetto
danneggiato e costituito parte civile ha espressamente sollecitato il
collegio, attraverso istanza/memoria scritta depositata all'udienza
di discussione del 9 settembre 2024, a rimettere la questione di
legittimita' costituzionale alla Consulta.
Cio' premesso, come si avra' modo di vedere, i dubbi di
legittimita' costituzionale, per possibile contrasto dell'art. 1,
lettera b), legge 9 agosto 2024, n. 114 con la Costituzione
repubblicana (non solo in relazione agli articoli 11 e 117 della
Costituzione), connessi all'effetto di abolitio criminis (quasi
totale), conseguenti all'abrogazione tout court della fattispecie «di
chiusura» del sistema repressivo dei reati contro la pubblica
amministrazione, rappresentata per l'appunto dall'abuso d'ufficio ex
art. 323 del codice penale, sono tutt'altro che manifestamente
infondati; soprattutto se si considera la contestuale e decisa
contrazione dell'ambito applicativo della fattispecie del traffico di
influenze illecite, ex art. 346-bis del codice penale, di cui si
fatica ad individuare oggi un concreto spazio applicativo.
Nella individuazione dei parametri di costituzionalita'
possibilmente violati e nella valutazione del requisito/condizione
della non manifesta infondatezza si procedera' muovendo dal possibile
contrasto con gli articoli 11 e 117, comma 1 della Costituzione, in
quanto oggetto di apposita istanza/eccezione del difensore di una
delle parti civili, per poi passare ad illustrare alcune valutazioni
officiose di questo collegio giudicante riguardanti un diverso
parametro costituzionale.
1. La violazione degli articoli 11 e 117, comma 1, della Costituzione
Il patrono della parte civile ha sottoposto al collegio una
questione di legittimita' costituzionale in ordine alla intervenuta
abrogazione dell'art. 323 del codice penale a mezzo dell'art. 1,
comma 1, lettera b), della legge 9 agosto 2024, n. 114 per violazione
degli articoli 11 e 117, comma 1 della Costituzione in relazione
all'art. 19 della Convenzione delle Nazioni Unite del 2003 contro la
corruzione (cd. Convenzione di Merida) e all'art. 31 della
Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati.
Nella propria memoria/istanza la parte civile - all'esito di una
ampia disamina delle disposizioni contenute nella Convenzione di
Merida, lette alla luce delle indicazioni della «Guida Legislativa
per la Implementazione della Convenzione delle Nazioni Unite contro
la corruzione», che costituisce ad avviso dell'istante uno strumento
ermeneutico essenziale, ai fini di una corretta esegesi del Trattato
del 2003 - nonche' del principio di buona fede e di tutti i criteri
ermeneutici fissati dall'art 31 della Convenzione di Vienna per
l'interpretazione dei trattati - argomenta come di seguito esposto:
«[...] le previsioni convenzionali, costruite intorno alla
formula «Each State Party shall consider adopting», lungi dal
delineare una mera raccomandazione internazionale, per la verita',
gravano il singolo Stato aderente di un vero e proprio obbligo
internazionale, imponendogli di valutare concretamente la
possibilita' di implementare una determinata figura di reato nel
proprio sistema penale. Se e' in altre parole corretto sostenere che
le previsioni in commento hanno un grado di vincolativita' minore
rispetto alle prescrizioni, compendiate intorno alla diversa formula
«Each State Party shall adopt» - le sole suscettive di dar luogo ad
un vero e proprio obbligo di criminalizzazione, e' pero' sbagliato
sostenere che queste stesse disposizioni non siano impegnative per i
Paesi contraenti. Le sole previsioni convenzionali, inidonee ad
originare alcun tipo di obbligo per le Parti aderenti, sono infatti
quelle che si fondano sul diverso sintagma «Each State Party may
adopt» (v., a titolo esemplificativo, l'art. 27, par. 2 e 3 della
Convenzione di Merida)».
La stessa difesa di parte civile mette in evidenza, inoltre, che:
«[...] il cuore del problema, che non sembra essere stato
minimamente sfiorato dagli uffici tecnici del Ministero, si sostanzia
nella pre-esistenza del modello penale di riferimento, alla ratifica
della Convenzione di Merida. Aspetto quest'ultimo gravido di
rilevanti, anzi dirimenti, conseguenze giuridiche. L'art. 31, par. I
della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati e' chiaro, nello
stabilire che «Un trattato deve essere interpretato in buona fede, in
base al senso comune da attribuire ai termini del trattato nel loro
contesto ed alla luce del suo oggetto e del suo scopo - rectius, dei
suo spirito». L'obiettivo dichiarato della Convenzione di Merida, per
quanto emerge dal suo stesso tenore letterale, e' quello di
combattere la corruzione in tutte le sue possibili declinazioni (in
proposito, v. il punto 6 delle Guida legislativa per
l'implementazione della Convenzione delle Nazioni Unite contro la
corruzione), e quindi pure nella forma dell'abuso d'ufficio (a fini
meramente interpretativi, valga segnalare che, anche la proposta di
direttiva UE contro la corruzione qualifica esplicitamente l'abuso in
atti d'ufficio come una declinazione dell'unitario fenomeno
correttivo - al riguardo v. il punto 2 della proposta di direttiva in
oggetto, rubricato «Base giuridica, sussidiarieta' e
proporzionalita'», fg. 6; oltreche' l'art. 11 di cui alla proposta di
direttiva in commento, fg. 36).
All'esito di un opportuno processo ermeneutico,
teleologicamente orientato alla stregua dell'art. 31 della
Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, l'art. 19 della
Convenzione di Merida deve allora essere interpretato nel senso che:
gli Stati aderenti, che non conoscevano il reato d'abuso
d'ufficio alla data di ratifica del Trattato, sono tenuti a
considerare concretamente la possibilita' di adottarlo;
gli altri Stati aderenti, che a quella data gia' lo
annoveravano nel proprio sistema penale, sono invece obbligati a
mantenerlo in vita.
In altri termini, l'art. 19, per la tipologia di attori
statuali, fonda una posizione di obbligo, ricostruibile in questi
termini «se il tuo sistema legale non conosce il reato d'abuso
d'ufficio, sei tenuto a considerare di introdurlo, o meglio sei
tenuto, nei limiti del possibile, ad attivarti per adottarlo, pur non
essendo obbligato ad implementarlo»; per il secondo gruppo di Paesi,
come l'Italia, a ben vedere, origina un vero e proprio obbligo
internazionale di stand still - cioe' l'obbligo internazionale di
mantenere le cose, cosi' come sono - la cui struttura va riassunta in
questi termini: «se il tuo sistema legale gia' conosce il reato
d'abuso d'ufficio, devi mantenere in vigore tale figura delittuosa».
D'altra parte, diversamente opinando, si giungerebbe
all'assurdo per il quale il dovere internazionale di considerare di
introdurre una figura di reato, per combattere ogni forma di
corruzione, verrebbe a essere interpretato come una mera
raccomandazione a tenere un comportamento assolutamente
discrezionale, a fronte della quale il legislatore nazionale sarebbe
libero di prendersi la licenza - come accaduto - di poter smantellare
il proprio arsenale contro il multiforme fenomeno corruttivo, che
proprio la Convenzione di Merida e' preordinata a fronteggiare».
Sulla base di tali premesse la parte civile istante conclude come
di seguito:
«Lede dunque il buon senso e la logica, ed insieme il diritto
internazionale, l'avere asserito, come e' stato sinora asserito da
fonti governative e parlamentari, che l'obbligo di considerare la
necessita' di avvalersi del reato d'abuso d'ufficio per combattere la
corruzione sarebbe ottemperato, con la sua cancellazione
dall'ordinamento. La Convenzione di Merida, insomma, obbligando gli
Stati aderenti che non lo prevedevano a valutare la necessita' di
implementare il reato d'abuso d'ufficio, ha pure obbligato gli Stati
aderenti che gia' lo annoveravano a non riconsiderare la sua
esistenza nei rispettivi ordinamenti nazionali.
In definitiva, alla luce dei plurimi rilievi critici sino ad
ora mossi, la norma abrogativa dell'abuso d'ufficio, e cioe' l'art.
1, comma 1, lettera b), della legge agosto 2024, n. 114, deve
ritenersi incostituzionale, perche' lesiva degli articoli 11 e 117
della Costituzione, in relazione agli articoli 19 della Convenzione
di Merida e 31 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati».
§§§
Il Tribunale ritiene la questione posta tutt'altro che
manifestamente infondata.
Valgano, a tal fine, le considerazioni giuridiche che seguono.
La Convenzione delle Nazioni Unite del 2003 contro la corruzione
(cd. Convenzione di Merida) adottata dalla Assemblea generale
dell'ONU il 31 ottobre 2003 con risoluzione n. 58/4, firmata dallo
Stato italiano il 9 dicembre 2003, come noto, e' stata oggetto di
ratifica ed esecuzione in Italia con legge 3 agosto 2009, n. 116.
E' un dato pacifico che la Convenzione di Merida costituisca un
vero e proprio trattato internazionale di natura multilaterale
(d'altronde nel linguaggio internazionalistico, come noto, i termini
trattato, accordo, patto e convenzione, sono utilizzati
indistintamente) e in quanto tale fonte del diritto internazionale
particolare, di natura volontaria, vincolante per gli Stati
contraenti e che trova il fondamento della sua obbligatorieta' nella
ben nota norma consuetudinaria cogente pacta sunt servanda (principio
peraltro espresso nella Convenzione di Vienna del 23 maggio 1969 sul
diritto dei trattati, all'art. 26).
Nell'ambito del titolo terzo e delle misure penali, la
Convenzione ha posto in capo agli Stati firmatati l'obbligo di
conferire carattere penale a una varieta' di infrazioni correlate ad
atti di corruzione, qualora esse non siano gia' nel diritto interno
definite come infrazioni penali.
Una specifica caratteristica della Convenzione di Merida e'
l'ampliamento del relativo campo di applicazione: essa non prende in
considerazione solamente forme per cosi' dire «tradizionali» o
«classiche» di corruzione, ma anche violazioni «spia», sintomatiche o
agevolatrici della corruzione stessa. Cio', del resto, si evince
dalla Legislative guide for the implementation of the United Nations
Convention against corruption considerato, a buon ragione, documento
di «interpretazione autentica» della Convenzione stessa, in
considerazione del suo contenuto, della finalita' e del fatto che
promana dalle stesse Nazioni Unite (Drugs and Crime Office). Tale
documento, ovvero la Legislative guide for the implementation of the
United Nations Convention against corruption, nella versione
consolidata al 2012, al punto 6 (p. 2) prevede espressamente che «The
Convention goes on to require the State parties to introduce criminal
and other offences to cover a wide range of acts of corruption, to
the extent these are not already defined as such under domestic law.
The criminalization of some acts is mandatory under the Convention,
which also requires that State parties consider the establishment of
additional offences. An innovation of the Convention against
Corruption is that it addresses not only basic forms of corruption,
such as bribery and the embezzlement of public funds, but also acts
carried out in support of corruption, obstruction of justice, trading
in influence and the concealment or laundering of the proceeds of
corruption. Finally, this part of the Convention also deals with
corruption in the private sector» (previsione che puo' essere cosi'
traslata: la Convenzione richiede poi agli Stati parti di introdurre
reati penali e altri reati per coprire un'ampia gamma di atti di
corruzione, nella misura in cui questi non siano gia' definiti come
tali dal diritto interno. La criminalizzazione di alcuni atti e'
obbligatoria ai sensi della Convenzione, che richiede anche che gli
Stati parti considerino l'istituzione di ulteriori reati. Una novita'
della Convenzione contro la corruzione e' che essa affronta non solo
le forme basilari di corruzione, come le concussioni e
l'appropriazione indebita di fondi pubblici, ma anche gli atti
compiuti a sostegno della corruzione, l'ostruzione alla giustizia, il
traffico di influenza e l'occultamento o il riciclaggio dei proventi
della corruzione. Infine, questa parte della Convenzione si occupa
anche della corruzione nel settore privato); lo stesso documento a p.
59, di fatto riprendendo quanto previsto dall'art. 65, comma 2, della
Convenzione prevede inoltre che «The Convention introduces minimum
standards, but States parties are free to go beyond them. It is
indeed recognized that States may criminalize or have already
criminalized conduct other than the offences listed in this chapter
as corrupt conduct» (previsione che puo' essere cosi' traslata: la
Convenzione introduce standard minimi, ma gli Stati parti sono liberi
di andare oltre. E' infatti riconosciuto che gli Stati possono
criminalizzare o hanno gia' criminalizzato comportamenti diversi dai
reati elencati in questo capitolo come condotta di corruzione).
Cio' premesso in via generale, va considerato che all'art. 19 la
Convenzione prende in espressa considerazione la fattispecie
dell'abuso d'ufficio prevedendo: Each State Party shall consider
adopting such legislative and other measures as may be necessary to
establish as a criminal offence, when committed intentionally, the
abuse of functions or position, that is, the performance of or
failure to perform an act, in violation of laws, by a public official
in the discharge of his or her functions, for the purpose of
obtaining an undue advantage for himself or herself or for another
person or entity» (nella traduzione italiana, rinvenibile in allegato
alla legge di autorizzazione alla ratifica ed esecuzione legge 3
agosto 2009, n. 116, la disposizione viene cosi' traslata: «Art. 19
Abuso d'ufficio Ciascuno Stato Parte esamina l'adozione delle misure
legislative e delle altre misure neassarie per conferire il carattere
di illecito penale, quando l'atto e' stato commesso intenzionalmente,
al fatto per un pubblico ufficiale di abusare delle proprie funzioni
o della sua posizione, ossia di compiere o di astenersi dal compiere,
nell'esercizio delle proprie funzioni, un atto in violazione delle
leggi al fine di ottenere un indebito vantaggio per se o per un'altra
persona o entita').
A seguito dell'abrogazione dell'art. 323 del codice penale i
giuristi e i primi commentatori (ma del resto seri dubbi erano gia'
stati sollevati da Autori e operatori del diritto nella fase di
discussione ed approvazione della legge abrogativa) si sono posti il
quesito se la abolitio criminis contrasti: a) con un vero e proprio
obbligo di criminalizzazione/penalizzazione dell'abuso d'ufficio
eventualmente imposto dall'art. 19 della Convenzione di Merida; b)
se, in ogni caso, la sopravvenuta abrogazione dell'abuso d'ufficio,
reato preesistente in Italia rispetto alla Convenzione di Merida e
che attuava l'art. 19 di tale Convenzione, possa integrare comunque
una violazione del diritto internazionale (ovvero, altrimenti detto,
per usare una efficace espressione di un illustre Autore se «esista
un vincolo convenzionale che impedisca al nostro Paese di fare un
passo indietro») e, quindi, vi sia un contrasto con l'art. 117, comma
1 della Costituzione.
Va in questo senso premesso che il diritto internazionale
pubblico prevede un procedimento di adattamento del diritto interno
al diritto internazionale, soprattutto laddove - come nel caso della
Convenzione di Merida - taluni obblighi convenzionali consistano
proprio nella doverosa conformazione del diritto interno dello Stato
contraente a determinati standard minimi di tutela (anche penale) di
beni giuridici presi in considerazione nel trattato internazionale;
si tratta, com'e' noto, di un procedimento attraverso il quale le
norme internazionali trovano applicazione nell'ordinamento di uno
Stato contraente o, comunque, mediante il quale quest'ultimo adempie
all'obbligo assunto in sede internazionale con la stipula del
trattato.
In questo senso l'art. 65, comma 1, della Convenzione «Attuazione
della Convenzione» prevede che «Ciascuno Stato Parte adotta le misure
necessarie, comprese misure legislative ed amministrative, in
conformita' con i principi findamentali del suo diritto interno, per
assicurare l'esecuzione dei suoi obblighi ai sensi della presente
Convenzione».
Ebbene, in simili casi l'esecuzione del trattato attraverso
l'adattamento puo' comportare una serie di modifiche all'ordinamento
interno dello Stato contraente al fine di renderlo conforme a quello
internazionale; adattamento che, secondo la consolidata dottrina
internazionalistica, puo' avvenire con diverse modalita', ovvero per
il tramite di:
produzione di norme interne non ancora esistenti
nell'ordinamento interno, che assicurino il rispetto dell'obbligo
internazionale assunto dallo Stato contraente con la stipula del
trattato internazionale;
emendamento di norme interne gia' esistenti nell'ordinamento
interno, laddove confliggenti con quelle dettate dal diritto
internazionale;
abrogazione di norme interne esistenti incompatibili con
quelle dettate dal diritto internazionale da recepire o a cui lo
Stato deve conformarsi.
Ma le procedure di adattamento del diritto interno sopra
brevemente richiamate, non rappresentano (questo, come si vedra', e'
un aspetto decisivo nel caso di specie) l'unica modalita' attraverso
cui lo Stato adempie all'obbligo assunto in sede internazionale.
Infatti, secondo la condivisibile dottrina internazionalistica,
nella diversa ipotesi cui l'ordinamento interno preveda gia', al
momento dell'assunzione dell'obbligo internazionale, una norma
interna pienamente conforme a quella internazionale, sullo Stato
contraente grava un vero e proprio obbligo, sul piano internazionale,
consistente nel non abrogare tale norma, atteso che la efficacia di
tale norma interna risulterebbe rafforzata e vincolata dal
collegamento esistente con la norma internazionale a cui lo Stato e'
tenuto ad adeguarsi.
Nel caso della Convenzione di Merida, l'obbligo del
mantenimento/non abrogazione delle norme interne preesistenti e'
peraltro espressamente previsto dall'art. 7, «Settore pubblico» che
al comma 4 dispone che [...] «4. Ciascuno stato si adopera,
conformemente ai principi fondamentali del proprio diritto interno,
al fine di adottare, mantenere e rafforzare i sistemi che favoriscono
la trasparenza e prevengono i conflitti di interesse».
Orbene, come condivisibilmente sostiene la parte civile istante
nel presente giudizio, la corretta portata dell'art. 19 della
Convenzione di Merida puo' essere colta solo attraverso
un'interpretazione rispettosa dell'art. 31 della Convenzione di
Vienna del 23 maggio 1969 sul diritto dei trattati e di carattere
sistematico, ovvero mediante una lettura congiunta e comparata con le
altre disposizioni della Convenzione, nella quale si fa uso di
espressioni diverse («each State Party shall adopt»; «shall consider
adopting» or «shall endeavour to»; «may adopt».
Per la corretta comprensione del significato dell'espressione
impiegata dall'art. 19 della Convenzione di Merida («Each State Party
shall consider adopting») e, quindi, del suo contenuto e,
soprattutto, per cogliere la sua portata obbligatoria e vincolante
per lo Stato contraente/aderente, deve ricorrersi nuovamente alla
Legislative guide for the implementation of the United Nations
Convention against corruption, quale atto di «interpretazione
autentica» della Convenzione stessa, laddove ai punti 11 e 12 (p. 4)
si chiarisce che l'espressione indicata nell'art. 19 della
Convenzione di Merida, con riferimento all'abuso d'ufficio, colloca
tale previsione non nell'ambito delle semplici raccomandazioni («may
adopt»):
«11. In establishing their priorities, national legislative
drafters and other policymakers should bear in mind that the
provisions of the Convention do not all have the same level of
obligation. In general, provisions can be grouped into the following
three categories:
(a) Mandatory provisions, which consist of obligations to
legislate (either absolutely or where specified conditions have been
met);
(b) Measures that States parties must consider applying or
endeavour to adopt;
(c) Measures that are optional.
12. Whenever the phrase "each State Party shall adopt" is
used, the reference is to a mandatory provision. Otherwise, the
language used in the guide is "shall consider adopting" or "shall
endeavour to", which means that States are urged to consider adopting
a certain measure and to make a genuine effort to see whether it
would be compatible with their legal sistem. For entirely optional
provisions, the guide employs the term "may adopt".
[previsione che puo' essere cosi' traslata: "11. Nello
stabilire le loro priorita', i redattori legislativi nazionali e gli
altri decisori politici dovrebbero tenere presente che le
disposizioni della Convenzione non hanno tutte lo stesso livello di
obblighi. In generale, le disposizioni possono essere raggruppate
nelle seguenti tre categorie:
(a) disposizioni obbligatorie, che consistono in obblighi
di legiferare (in modo assoluto o quando sono soddisfatte determinate
condizioni);
(b) misure che gli Stati parti devono considerare di
applicare o tentare di adottare;
(c) misure facoltative.
12. Ogni volta che viene utilizzata l'espressione "ciascuno
Stato Parte adotta", si fa riferimento a una disposizione imperativa.
Altrimenti, il linguaggio utilizzato nella guida e' "considerera'
l'adozione" o "si adopera per", il che significa che gli Stati sono
invitati a prendere in considerazione l'adozione di una determinata
misura e a compiere uno sforzo reale per vedere se sarebbe
compatibile con il loro ordinamento giuridico. Per le disposizioni
del tutto facoltative la guida utilizza il termine "puo' adottare"»].
Orbene, come si coglie da una lettura attenta e ragionevole
dell'art. 19 della Convenzione di Merida, alla luce delle preziose
indicazioni interpretative contenute nella Legislative guide for the
implementation of the United Nations Convention against corruption,
la portata dell'art. 19 - diretto, anzitutto, (ma non solo, come si
dira') agli Stati contraenti che non avevano gia', diversamente
dall'Italia, nel proprio ordinamento, la fattispecie di abuso
d'ufficio all'atto dell'adesione alla Convenzione stessa - non puo'
considerarsi una mera raccomandazione priva di effetti obbligatori
sul piano internazionale e convenzionale: in ragione della
espressione impiegata «shall consider adopting», l'art. 19 della
Convenzione non e' collocabile tra le disposizioni del tutto
facoltative [lettera c) del punto 11 della Legislative guide)],
bensi' va annoverata tra le «Measures that States parties must
consider applying or endeavour to adopt» [lettera b) del punto 11
della Legislative guide]. Categoria quest'ultima che comporta un vero
e proprio obbligo in capo allo Stato contraente come emerge - non
solo dalla prima parte del punto 11, laddove si afferma in modo
inequivoco che le disposizioni della Convenzione prevedono un diverso
livello di obblighi («... the provisions of the Convention do not all
have the same level of obligation») e che, dunque, di obbligo,
ancorche' di diverso contenuto, si tratta anche in ipotesi non
riconducibile a quello contemplato dalla lettera a) - ma anche dalla
seconda parte del punto 11, laddove, proprio nella lettera b), si fa
impiego del verbo «must» («Measures that States parties must consider
applying or endeavour to adopt», ovvero: misure che gli Stati parti
devono considerare di applicare o tentare di adottare).
Ebbene, il contenuto dell'obbligo giuridico sul piano
internazionale discendente dall'art. 19 della Convenzione di Merida -
letto ed interpretato in relazione al punto 11, lettera b) e punto 12
della Legislative guide for the implementation of the United Nations
Convention against corruption (p. 4) - deve essere individuato
tenendo conto di un'altra disposizione della Convenzione di Merida,
ovvero il gia' citato art. 7, «Settore pubblico» che al comma 4
prevede che [...] «4. Ciascuno stato si adopera, conformemente ai
principi fondamentali del proprio diritto interno, al fine di
adottare, mantenere e rafforzare i sistemi che favoriscono la
trasparenza e prevengono i conflitti di interesse».
Ad avviso del Tribunale, dunque, gli obblighi discendenti dalla
Convenzione di Merida (ci si concentra ora su quelli di cui all'art.
19) vanno declinati diversamente, tenuto conto anche dell'art. 7,
comma 4 della Convenzione medesima, a seconda del fatto che lo Stato
aderente abbia o meno gia' adottato nel proprio ordinamento la
fattispecie di abuso d'ufficio, sicche':
a) lo Stato parte che non abbia introdotto la fattispecie
prima dell'adesione alla Convenzione di Merida, sara' tenuto a
valutare concretamente e seriamente la sua introduzione in
conformita' al proprio diritto interno, dovendo compiere uno sforzo
reale per vedere se essa sia compatibile con il proprio ordinamento
giuridico; di talche', laddove tale compatibilita' sussista, lo Stato
contraente, onde intenda adeguarsi all'obbligo internazionale, sara'
ragionevolmente tenuto ad introdurlo;
b) lo Stato parte che invece, come l'Italia, abbia gia'
introdotto la fattispecie prima dell'adesione alla Convenzione di
Merida e che ha, dunque, gia' positivamente valutato la conformita'
della fattispecie rispetto al proprio diritto interno - dovendo
mantenere e rafforzare i sistemi che favoriscono la trasparenza e
prevengono i conflitti di interesse (art. 7, comma 4, Convenzione di
Merida) - per adeguarsi all'obbligo internazionale di cui all'art.
19, sara' tenuto a non abrogare la fattispecie gia' vigente, vieppiu'
senza la contestuale adozione di alcuna misura preventiva e/o
repressiva-sanzionatoria caratterizzata da concreta ed effettiva
dissuasivita'.
Ad abundantiam, si rileva che le conclusioni tratte dal Tribunale
in ordine alla sussistenza di un obbligo internazionale e di una
possibile violazione della Convenzione, proprio in ragione
dell'abrogazione dell'art. 323 del codice penale, convergono col
contenuto della Relazione annuale della Commissione U.E. sullo Stato
di diritto per il 2024, adottata a Bruxelles il 24 luglio 2024. Si
legge a tal proposito nel capitolo sulla situazione dello Stato di
diritto in Italia - parte II. laddove si esamina il «Quadro
anticorruzione» (si riporta lo stralcio della parte di interesse con
le relative note):
«... Il Parlamento ha approvato un disegno di legge che
abroga la fattispecie dell'abuso d'ufficio e limita l'ambito di
applicazione del reato di traffico di influenze illecite. Il 10
luglio 2024 il Parlamento ha approvato un disegno di legge (125) che
abroga la fattispecie dell'abuso d'ufficio e limita l'ambito di
applicazione del reato di traffico influenze illetite. Le modifiche
dell'ambito di applicazione del reato di traffico di influenze
illecite mirano a escludere non solo i casi in cui il mediatore si
limita ad asserire di essere in grado di influenzare il pubblico
ufficiale, ma anche quelli in cui l'utilita' data o promessa non e'
economica (126). Il Governo osserva che soltanto una percentuale
limitata di tutti i procedimenti penali condotti per il reato di
abuso d'ufficio si concluderebbe con una condanna (127), il che
dimostrerebbe che penalizzare tale comportamento e' inefficace in
rapporto alle risorse amministrative e finanziarie investite nelle
relative attivita' procedurali (128). Il Governo sostiene inoltre che
la fattispecie esercita un effetto paralizzante sulle pubbliche
amministrazioni e che altri reati di corruzione forniscono un quadro
legislativo abbastanza forte per combattere gli atti che minano
l'imparzialita' e il corretto funzionamento della pubblica
amministrazione (129). Tuttavia la criminalizzazione dell'abuso
d'ufficio e del traffico di influenze illecite e' prevista dalle
convenzioni internazionali sulla corruzione ed e' quindi uno
strumento essenziale per le autorita' di contrasto e le procure ai
fini della lotta contro la corruzione (130). I portatori di interessi
hanno osservato che l'abrogazione del reato di abuso d'ufficio
potrebbe comportare una diminuzione dei livelli di rilevamento e
investigazione della frode e della corruzione (131). Inoltre (132) la
riduzione dell'ambito di applicazione del reato di traffico di
influenze illecite dovrebbe essere controbilanciata da norme piu'
rigorose in materia di lobbying (133). Il 3 luglio 2024 il Governo ha
approvato un decreto-legge che introduce la nuova fattispecie di
reato di peculato per distrazione, riguardante l'indebita
destinazione di denaro o cose mobili da parte di pubblico ufficiale
(134).
125 Disegno di legge A.C. 1718, Modifiche al codice penale,
al codice di procedura penale, all'ordinamento giudiziario e al
codice dell'ordinamento militare.
126 Cfr. Relazione sullo Stato di diritto 2023 - Capitolo
sulla situazione dello Stato di diritto in Italia, pag. 12, nota 87.
127 Sui 5292 procedimenti conclusi per questo reato le
condanne sono state soltanto nove e sui 4481 procedimenti conclusi
nel 2022 le condanne sono state soltanto diciotto. Cfr. contributo
scritto del Ministero della giustizia in occasione della visita in
Italia, pag. 23; Relazione sullo Stato di diritto 2023 - Capitolo
sulla situazione dello Stato di diritto in Italia, pag. 12, nota 86.
128 Contributo scritto del Ministero della giustizia in
occasione della visita in Italia, pagg. 21 e 22. Le disposizioni del
codice penale sul reato di abuso d'ufficio sona state modificate
almeno cinque volte tra il 1930 e il 2020. Si vedano le audizioni del
presidente dell'ANAC del 5 settembre 2023 dinanzi al Senato della
Repubblica (pagg. 5 e 6) e del 28 marzo 2024 dinanzi alla Camera dei
deputati (pagg. da 5 a 7).
129 Contributo scritto del Ministero della giustizia in
occasione della visita in Italia, pagg. 3 e 4.
130 L'abuso di pubblico ufficio e il traffico di influenze
illecite figurano nella Convenzione delle Nazioni Unite contro la
corruzione e il traffico di influenze illecite figura nella
convenzione penale del Consiglio d'Europa sulla corruzione. La
Commissione ha proposto di criminalizzare tali reati a livello
dell'Unione nel maggio 2023, in seguito all'impegno preso dalla sua
presidente nel discorso sullo stato dell'Unione del 2022
(COM(2023)234 final del 3 maggio 2023). In occasione dell'audizione
di fronte alla Commissione giustizia del Senato della Repubblica del
5 settembre 2023, il presidente dell'ANAC ha affermato che il disegno
di legge sarebbe contrario alla proposta della Commissione e alle
convenzioni internazionali anticorruzione. A questo proposito si veda
il contributo di Magistrats Europeens pour la Democratie et les
Libertes alla Relazione sullo Stato di diritto 2024, pag. 18. L'abuso
d'ufficio configura reato in almeno venticinque Stati membri: cfr.
COM(2023)234 final del 3 maggio 2023, pag. 12.
131 Si vedano le audizioni del presidente dell'ANAC del 5
settembre 2023 dinanzi al Senato della Repubblica (pagg. 12 e 13) e
del 28 marzo 2024 dinanzi alla Camera dei deputati (pagg. da 12 a 14
e 17) e il contributo scritto dell'ANAC in occasione della visita in
Italia, pag. 9. Si vedano inoltre i contributi dell'EPPO (pag. 34) e
di Magistrats Europeens pour la Democratie et les Libertes (pag. 18)
alla Relazione sullo Stato di diritto 2024 e il contributo scritto di
The Good Lobby in occasione della visita in Italia (pag. 4).
Informazione ricevuta anche in occasione della visita in Italia dalla
Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, dalla Procura
generale presso la Corte suprema di cassazione, da Transparency
International Italy e da Openpolis. In occasione della visita in
Italia, la Procura generale presso la Corte suprema di cassazione ha
osservato che la differenza tra il numero di procedimenti e il numero
di condanne potrebbe anche essere interpretata positivamente come
prova dell'accuratezza delle autorita' investigative nell'esaminare
gli elementi di prova. Il presidente dell'ANAC ha formulalo
un'osservazione analoga nell'audizione dinanzi alla Camera dei
deputati del 28 marzo 2024 (pag. 4).
132 Informazioni ricevute in occasione della visita in Italia
da The Good Lobby, da Libera, dall'ANAC e dalla Procura generale
presso la Corte suprema di cassazione. Si vedano inoltre il
contributo scritto di The Good Lobby in occasione della visita in
Italia e i contributi di The Good Lobby «Regulate lobbying to improve
democracy» e «Anticorruption Decalogue»; l'audizione del presidente
dell'ANAC dinanzi alla Camera dei deputati del 28 marzo 2024 (pagg.
18 e 21 ). ....»
Si aggiunga, infine, sempre ad abundantiam, che il legislatore
italiano nella scelta di abolire la fattispecie di abuso d'ufficio,
si colloca in decisa controtendenza, non solo rispetto a quanto
avviene sul piano internazionale, ma anche rispetto alle scelte gia'
effettuate dallo stesso legislatore in attuazione di direttive
dell'UE:
de jure condito, deve evidenziarsi che con decreto legislativo n.
156/2022 il legislatore italiano, in dichiarata attuazione della
direttiva UE 2017/1371, aveva novellato l'art. 322-bis c.p.
inserendovi proprio la fattispecie di abuso d'ufficio;
de jure condendo, si osserva che la recente proposta di direttiva
europea sulla lotta alla corruzione, sostitutiva della decisione
quadro 2003/568/GAI e di modifica della direttiva UE 2017/1371, in
attuazione proprio della Convenzione ONU di Merida del 2003, all'art.
11, impegna gli Stati membri a prevedere espressamente come reato
l'abuso d'ufficio.
Ritiene, in definitiva, il Tribunale che le ragioni giuridiche
sopra esposte portino a dubitare seriamente della conformita'
costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera b) della legge 9 agosto
2024, n. 114 nella parte in cui abroga il reato di cui all'art. 323
c.p. per violazione degli artt. 11 e 117, comma 1 della Costituzione,
in relazione agli artt. 7, comma 4, 19 e 65, comma 1, della
Convenzione delle Nazioni Unite del 2003 contro la corruzione (cd.
Convenzione di Merida).
2. La violazione dell'art. 97 della Costituzione
Il Tribunale sospetta anche l'incostituzionalita' dell'art. 1,
comma 1, lettera b) della legge 9 agosto 2024, n. 114, per violazione
dell'art. 97 della Costituzione.
Come noto l'art. 323 c.p. negli ultimi decenni e' stato oggetto
di diversi interventi legislativi: si ricordano le riformulazioni
della fattispecie operate con legge n. 86/1990 e con legge n.
234/1997; l'inasprimento della pena detentiva massima applicabile
fino a quattro anni di reclusione con legge n. 190/2012; la parziale
abolitio criminis con decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76,
convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120;
la fattispecie e' stata, infine, abrogata a mezzo dell'art. 1,
lettera b) della legge 9 agosto 2024, n. 114, atto normativo che
(art. 1, lettera e), nel contempo, ha sostituito l'art. 346-bis c.p.,
restringendone fortemente l'ambito applicativo.
Concentrandosi sugli interventi normativi piu' recenti si
evidenzia che il punto nodale della riforma del 2020 passava
attraverso la sostituzione della locuzione «di norme di legge o di
regolamento» con quella «di specifiche regole di condotta
espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e
dalle quali non residuino margini di discrezionalita'».
In questo modo la novella legislativa aveva ristretto la
fattispecie, operando - quantomeno formalmente - su tre distinti
fronti: rispetto all'oggetto, atteso che la violazione commessa dal
soggetto pubblico doveva riguardare una regola di condotta (e non, ad
esempio, una regola organizzativa); rispetto alla fonte, in quanto la
regola violata doveva essere specifica ed espressamente prevista da
una legge o da un atto avente forza di legge, con esclusione delle
norme regolamentari; rispetto al contenuto, atteso che la regola
violata non doveva lasciare spazi di discrezionalita'.
E' conscio il Tribunale di quanto affermato dalla Corte
costituzionale nella gia' citata sentenza n. 8/2022 proprio nello
scrutinio di ammissibilita' e fondatezza della questione sollevata
con riferimento (anche) all'art. 97 della Costituzione in riferimento
alla parziale abolitio criminis intervenuta con decreto-legge 16
luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11
settembre 2020, n. 120; in tale pronuncia la Corte ha chiarito «come
una censura di illegittimita' costituzionale non possa basarsi sul
pregiudizio che la formulazione, in assunto troppo restrittiva, di
una norma incriminatrice, recherebbe a valori di rilievo
costituzionale, quali, nella specie, l'imparzialita' e il buon
andamento della pubblica amministrazione. Le esigenze costituzionali
di tutela non si esauriscono, infatti, nella tutela penale, ben
potendo essere soddisfatte con altri precetti e sanzioni:
l'incriminazione costituisce anzi un'extrema ratio, cui il
legislatore ricorre quando, nel suo discrezionale apprezzamento, lo
ritenga necessario per l'assenza o l'inadeguatezza di altri mezzi di
tutela (sentenza n. 447 del 1998; in senso analogo, con riferimento
all'abrogazione del reato di ingiuria, sentenza n. 37 del 2019; si
vedano pure la sentenza n. 273 del 2010 e l'ordinanza n. 317 del
1996)».
Il quadro normativo di fronte al quale si trova oggi il Tribunale
e', pero', mutato rispetto a quello scrutinato dalla Corte nella
sentenza n. 8/2022.
Valgano a tal fine le brevi considerazioni giuridiche di cui
appresso, ad avviso del Tribunale decisive in ordine alla possibile
violazione dell'art. 97 della Costituzione, per frustrazione dei
principi di buon andamento e imparzialita' della pubblica
amministrazione:
1) la riforma odierna abolisce la fattispecie di cui all'art.
323 c.p., sia nella forma dell'abuso «per violazione di legge» che
«per omessa astensione», sia dell'abuso «di danno» che «di
vantaggio»; a ben vedere le uniche condotte finora incriminate sub
art. 323 c.p. a rimanere sanzionate penalmente sono costituite dal
c.d. peculato per distrazione (limitata alla distrazione di denaro o
cose mobili), in forza della quasi contestuale (ma antecedente)
introduzione dell'art. 314-bis c.p. (Indebita destinazione di denaro
o cose mobili) ad opera del decreto-legge n. 92/2024, entrato in
vigore prima dell'abrogazione dell'art. 323 c.p. e dalle forme di
abuso d'ufficio per omissione, tuttora incriminato sub art. 328 c.p.;
2) e' dunque inibita la repressione e la tutela sul piano
penale - non solo nelle ipotesi di violazione di legge (ultimamente
ormai limitate alle piu' gravi, obiettive e conclamate, in ragione
della riformulazione introdotta nel 2020) intenzionalmente poste in
essere dal pubblico ufficiale (o incaricato di pubblico servizio) per
danneggiare o favorire taluno - ma addirittura nei casi di mancata
astensione, in caso di conflitto di interessi o di situazioni di
incompatibilita';
3) l'abrogazione dell'art. 323 c.p. pare addirittura
depotenziare, sebbene in via indiretta, lo stesso obbligo di
astensione del pubblico ufficiale in caso di conflitto di interessi,
tenuto conto che - come riconosciuto dalla condivisibile
giurisprudenza di legittimita' - la disposizione abrogata fungeva, in
un tempo, da norma repressiva della violazione dell'obbligo di
astensione (ove ricorressero gli altri elementi costitutivi della
fattispecie, s'intende) e da norma fondativa dell'obbligo stesso,
specialmente in settori nei quali l'obbligo non era oggetto di una
specifica disciplina («L'art. 323 cod. pen. ha introdotto
nell'ordinamento, in via diretta e generale, un dovere di astensione
per i pubblici agenti che si trovino in una situazione di conflitto
di interessi, con la conseguenza che l'inosservanza del dovere di
astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo
congiunto integra il reato anche se manchi, per il procedimento ove
l'agente e' chiamato ad operare, una specifica disciplina
dell'astensione, o ve ne sia una che riguardi un numero piu' ridotto
di ipotesi o che sia priva di carattere cogente» Cass., Sez. 6,
sentenza n. 14457 del 15 marzo 2013 - Rv. 255324 - 01);
4) nel contempo la legge 9 agosto 2024, n. 114 (art. 1,
lettera e), ha sostituito l'art. 346-bis c.p., restringendone
fortemente l'ambito applicativo (o, per usare l'efficace espressione
di un autorevole commentatore, il «soffocamento applicativo della
fattispecie») atteso che:
a) la nuova fattispecie si riferisce solo alle relazioni
esistenti e, pertanto, non da' piu' rilievo ai fatti commessi da
faccendieri (o trafficanti di influenze) millantatori;
b) la nuova formulazione dell'art. 346-bis c.p., precisa
che l'utilizzazione delle relazioni deve avvenire «intenzionalmente
allo scopo» di porre in essere le condotte che integrano la
fattispecie delittuosa; espressione con cui legislatore pare aver
voluto restringere l'ambito di applicazione della fattispecie
aggiungendo il requisito del dolo intenzionale in rapporto
all'utilizzazione delle relazioni con il pubblico funzionario;
c) con la legge n. 114/2024, l'utilita' data o promessa al
mediatore, in alternativa al denaro, deve essere economica, di
talche' non sara' piu' punibile il mediatore che fa dare o promettere
a se' o ad altri un'utilita' non economica (si pensi agli esempi
enucleati dai primi commentatori: un rapporto sessuale, o vantaggi
sociali o di natura meramente politica);
d) il nuovo art. 346-bis c.p. lascia fuori dall'ambito
applicativo della fattispecie, il fatto commesso in rapporto
all'esercizio dei soli poteri del pubblico funzionario, e non anche
delle sue funzioni; come acutamente osservato dalla dottrina nei
primi commenti, la rilevanza di questa modifica, forse piu' limitata
rispetto alle altre gia' viste, si fonda sulla distinzione tra
funzioni e poteri dei soggetti rivestiti di qualifiche pubblicistiche
e garantisce l'impunita' al trafficante di influenze che abbia di
mira la remunerazione del funzionario pubblico in relazione
all'esercizio dei suoi soli poteri e non anche delle sue funzioni;
e) il legislatore ha introdotto, poi, una definizione
legale di «mediazione illecita» rappresentata da quella posta in
essere «per indurre il pubblico ufficiale o l'incaricato di un
pubblico servizio a compiere un atto contrario ai doveri d'ufficio
costituente reato dal quale possa derivare un vantaggio indebito»;
definizione evidentemente restrittiva che subisce, per di piu', una
grave limitazione indiretta, data dal fatto che l'«atto contrario ai
doveri d'ufficio costituente reato dal quale possa derivare un
vantaggio indebito» era finora di regola rappresentato da un fatto
qualificabile come abuso d'ufficio (delitto oggi depenalizzato e
dunque insuscettibile di rilevare ai fini della integrazione di una
mediazione illecita), e non potendo essere configurata una mediazione
illecita ex art. 346-bis c.p. finalizzata alla induzione alla
corruzione, atteso che si configurerebbe per l'appunto una ipotesi di
concorso nella corruzione stessa;
5) in definitiva, per il tramite del medesimo intervento
legislativo, il Parlamento ha de facto abrogato espressamente il
delitto di abuso d'ufficio (art. 323 c.p.) - di cui sopravvivono
ormai solo marginali ed invero infrequenti ipotesi, quale il peculato
per distrazione (art. 314-bis c.p.) - e indirettamente anche il
traffico di influenze illecite (art. 346-bis c.p.);
6) il legislatore e' intervenuto in modo cosi' pesante sul
sistema dei reati contro la pubblica amministrazione, eliminando
importanti presidi penali a tutela del buon andamento ed
imparzialita' della pubblica amministrazione, nella dichiarata
intenzione di perseguire una piu' efficace e libera azione
amministrativa, senza adeguatamente considerare, pero', gli effetti
della parziale abolitio approvata nel 2020 e delle altre riforme
medio tempore entrate in vigore;
non sembra in particolare essersi tenuto conto:
a) dell'esiguo numero di procedimenti incardinati dopo la
riforma del 2020 e delle introdotte tutele, anche sul piano
economico, in favore di funzionari prosciolti (nel corso
dell'audizione avanti alla competente commissione parlamentare il
Procuratore generale della Suprema Corte di cassazione ha osservato
che «Conforta tale conclusione la considerazione dell'alto tasso di
archiviazione e la riduzione delle iscrizioni del 39,3% dal 2016 al
2021. Nel 2022 abbiamo avuto il 79% di archiviazioni; nel 2021
diciotto condanne (nel 2016 erano state ottantadue) e
duecentocinquantasei assoluzioni o proscioglimenti. Nel caso di
archiviazione e di assoluzione, all'amministratore pubblico e' poi
garantito il rimborso delle spese legali, garanzia certo di rilievo
con riguardo alle preoccupazioni in esame»);
b) della profonda revisione della giurisprudenza di
legittimita' che, soprattutto a seguito della sentenza Corte
costituzionale n. 8/2022, si era doverosamente attestata sulla
irrilevanza delle violazioni di principi generali di imparzialita',
buon andamento e trasparenza o di generici obblighi comportamentali
sanciti nei confronti dei pubblici impiegati dall'art. 13, decreto
del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 [in questo
senso si vedano: Cass., Sez. 6, sentenza n. 28402 del 10 giugno 2022
Ud. (dep. 19 luglio 2022) Rv. 283359 - 01; Cass., Sez. 6, sentenza n.
23794 del 7 aprile 2022 (dep. 20 giugno 2022) Rv. 283285 - 01; Cass.,
Sez. 6, sentenza n. 13136 del 17 febbraio 2022 Ud. (dep. 6 aprile
2022) Rv. 282945 - 01];
c) delle maggiori tutele introdotte dal decreto legislativo
n. 150/2022 a garanzia: di iscrizioni tempestive e nel contempo non
avventate nel registro delle notizie di reato da parte degli uffici
di procura (artt. 335, 335-ter e 335-quater c.p.p.); dell'assenza di
effetti pregiudizievoli discendenti dalla semplice iscrizione nel
registro delle notizie di reato (art. 335-bis c.p.), peraltro
enfatizzata nella recente sentenza n. 41/2024 con cui la Corte
costituzionale ha chiarito che «la mera iscrizione nel registro delle
notizie di reato che consegue all'acquisizione di una notitia
criminis non implica ancora che il pubblico ministero abbia
effettuato alcun vaglio, per quanto provvisorio, sulla sua
fondatezza: tant'e' vero che l'art. 335-bis cod. proc. pen. esclude
oggi espressamente qualsiasi effetto pregiudizievole di natura civile
o amministrativa per l'interessato in ragione di tale iscrizione, la
quale e' un atto dovuto una volta che il pubblico ministero abbia
ricevuto una notizia di reato attribuita a una persona specifica.
Piu' in generale, l'iscrizione nel registro e' - e deve essere
considerata - atto «neutro», dal quale sarebbe affatto indebito far
discendere effetti lesivi della reputazione dell'interessato, e che
comunque non puo' in alcun modo essere equiparato ad una «accusa» nei
suoi confronti. Parallelamente, il provvedimento di archiviazione,
con cui il GIP si limita a disporre la chiusura delle indagini
preliminari conformemente alla richiesta del pubblico ministero,
costituisce nella sostanza null'altro che un contrarius actus
rispetto a quello - l'iscrizione nel registro delle notizie di reato
- che determina l'apertura delle indagini preliminari. Se «neutro» e'
il provvedimento iniziale, altrettanto «neutro» non puo' che essere
il provvedimento conclusivo. Ad ogni effetto giuridico» (punto 3.7);
e laddove la stessa Corte ha precisato che «un elementare principio
di civilta' giuridica impone che tutti gli elementi raccolti dal
pubblico ministero in un'indagine sfociata in un provvedimento di
archiviazione debbano sempre essere oggetto di attenta rivalutazione
nell'ambito di eventuali diversi procedimenti (civili, penali,
amministrativi, disciplinari, contabili, di prevenzione) in cui
dovessero essere in seguito utilizzati, dovendosi in particolare
assicurare all'interessato le piu' ampie possibilita' di
contraddittorio, secondo regole procedimentali o processuali vigenti
nel settore ordinamentale coinvolto. E cio' tenendo sempre conto che
durante le indagini preliminari la persona sottoposta alle indagini
ha possibilita' assai limitate per esercitare un reale
contraddittorio rispetto all'attivita' di ricerca della prova del
pubblico ministero e ai suoi risultati (riassunti o meno che siano in
un provvedimento di archiviazione), i quali dunque non potranno sic
et simpliciter essere utilizzati in diversi procedimenti senza che
l'interessato possa efficacemente contestarli, anche mediante la
presentazione di prove contrarie» (punto 3.8); infine, del ben piu'
rilevante «filtro» effettuato, sia in fase di indagini preliminari ex
art. 408, comma 1 c.p.p., sia in udienza preliminare, ex art. 425,
comma 3 c.p.p., con archiviazione e declaratoria di non luogo a
procedere, in difetto di ragionevole previsione di condanna;
7) la decisa contrazione dell'area penalmente rilevante ad
opera della legge n. 114/2024 non e' stata in alcun modo «compensata»
dalla introduzione di appositi illeciti amministrativi o dal
potenziamento delle misure di prevenzione di condotte gravemente
lesive del buon andamento e della imparzialita' della pubblica
amministrazione o di una disciplina delle attivita' di lobbying, come
del testo rilevato anche nella gia' citata Relazione annuale della
Commissione U.E. sullo Stato di diritto per il 2024 adottata a
Bruxelles il 24 luglio 2024;
8) sono piuttosto gravi gli effetti sistemici connessi
all'abrogazione dell'art. 323 c.p., potendosi qui osservare
sinteticamente che:
a) la disciplina di cui all'art. 323 c.p. non trovava
applicazione solo ai funzionari pubblici addetti all'amministrazione,
ma a tutti i pubblici ufficiali, compresi quelli (si pensi appunto al
caso che ci occupa, ovvero agli ufficiali di polizia giudiziaria e ai
magistrati) ai quali la legge attribuisce poteri rilevantissimi in
grado di incidere pesantemente su diritti inviolabili,
costituzionalmente garantiti, in primis la liberta' personale (art.
13 della Costituzione) ed il patrimonio (art. 41 della Costituzione);
b) e' innegabile la profonda differenza della tutela e
dell'effetto deterrente offerte dal presidio penale sinora previsto
dalla legge, non solo per le sanzioni ben piu' dissuasive di quelle
che oggi l'ordinamento contempla, ma soprattutto per cio' che esso
indirettamente comportava, ovvero: l'accertamento affidato alla
magistratura, ovvero ad un ordine autonomo ed indipendente da ogni
altro potere, che dispone direttamente della polizia giudiziaria e
che deve necessariamente perseguire gli illeciti (artt. 104, 107 e
112 della Costituzione ); la procedibilita' d'ufficio ex art. 50
c.p.p.; la disponibilita' di penetranti strumenti di indagine (in
primis perquisizioni e sequestri); il potere-dovere, in caso di
persistenza nell'attivita' criminosa e/o di sussistenza delle
esigenze cautelari, di intervento da parte della polizia giudiziaria
(mediante impedimento dell'aggravamento delle conseguenze del reato
ex art. 55 c.p.p. con possibilita' di arresto facoltativo in
flagranza ex art. 381, comma 1, c.p.p.) e dell'Autorita' giudiziaria
(mediante ad es. adozione delle misure cautelari ex artt. 273 e
successivi c.p.p. dalla sospensione dall'esercizio del pubblico
ufficio ex art. 289 c.p.p. fino alla piu' grave applicabile, in
ragione dell'aumento di pena massima edittale fino a quattro anni di
reclusione, giusta legge n. 190/2012, degli arresti domiciliari ex
artt. 280, comma 1, e 284 c.p.p., con eccezionale possibilita' di
ricorrere alla custodia in carcere in deroga alle condizioni
ordinarie ex artt. 276, 280, comma 3, 275, comma 2-bis c.p.p. nella
patologica ipotesi di violazione delle prescrizioni cautelari);
c) in ogni caso il rimedio giurisdizionale (civile o
amministrativo) concesso al privato giammai, in termini di tutela del
bene giuridico di cui all'art. 97 della Costituzione, potrebbe
supplire all'assenza della tutela penale fino ad oggi garantita
dall'art. 323 c.p., anche in considerazione dell'assenza di quegli
incisivi poteri investigativi, gia' sopra richiamati, di regola
assolutamente necessari per l'accertamento delle dinamiche illecite
sottese all'esercizio illegittimo del potere amministrativo; tali
rimedi e forme alternative di tutela, infatti, di regola prendono
spunto e avvio proprio dalle indagini penali (come del resto accaduto
nel caso di specie, in cui, a seguito di accertamenti in ordine alla
responsabilita' penale, sono venuti in rilievo anche profili di
possibile responsabilita' civile, disciplinare ed erariale del
magistrato);
d) anche tenendo in considerazione la esistenza di rimedi e
forme alternative di tutela, il legislatore ha di fatto lasciato alla
sola iniziativa privata (del terzo danneggiato, tra l'altro solo
eventuale) la tutela di un bene giuridico pubblico e collettivo
sottratto alla disponibilita' del privato medesimo, ponendo a carico
dei cittadini i costi, anche sul piano economico, connessi
all'adozione di iniziative volte al ripristino della legalita', in
ipotesi violata da condotte poste in essere da pubblici dipendenti,
funzionari e pubblici ufficiali, che dovrebbero esercitare i compiti
assegnati nel rispetto della legge e con onore e disciplina (art. 54
della Costituzione) e che invece avrebbero agito in dispregio del
buon andamento e della imparzialita' della pubblica amministrazione
(art. 97 della Costituzione);
e) infine, per questa via, l'ordinamento di fatto rinuncia
a perseguire in concreto tutte quelle gravissime violazioni di legge
o del dovere di astensione che comportino un vantaggio per il terzo
privato, in assenza o all'insaputa di eventuali soggetti
contro-interessati che possano intraprendere un'azione volta a far
accertare l'illegittimita' di quella condotta.
Valutato attentamente il quadro normativo oggi vigente, col quale
il Tribunale deve necessariamente confrontarsi - come visto,
profondamente mutato rispetto a quello che aveva a riferimento la
Corte costituzionale nella citata sentenza n. 8/2022 - ritiene il
collegio che l'affermazione per cui in astratto le esigenze
costituzionali di tutela non si esauriscono nella tutela penale, ben
potendo essere soddisfatte con altri precetti e sanzioni, non basti a
suturare lo strappo oggi consumato rispetto ai valori costituzionali
ed in particolare all'art. 97 della Costituzione: tale assunto,
certamente corretto e condivisibile in astratto, non puo' in concreto
«colmare» il vuoto di tutela lasciato dall'abrogazione tout court
dell'art. 323 c.p. e dalla sostanziale inapplicabilita' del novellato
art. 346-bis c.p.
In definitiva, la scelta legislativa di abrogazione del delitto
di cui all'art. 323 c.p. non pare riconducibile ad un legittimo
esercizio della discrezionalita' del legislatore, ma si prospetta
come arbitraria, atteso che:
da un lato, non si e' tenuto di conto che le ragioni poste a
sostegno della spinta riformatrice (la c.d. «paura della firma» o
«burocrazia difensiva») erano di fatto venute meno (sopravvivendo,
forse, solo sul piano, del tutto irrilevante, soggettivo e
psicologico di singoli funzionari) in ragione delle recenti riforme e
del successivo (ed ormai consolidato) orientamento giurisprudenziale
di legittimita' e dei principi enunciati dalla Corte costituzionale;
dall'altro lato, non appare adeguatamente ponderato (e men
che meno contenuto o neutralizzato) l'effetto dirompente che puo'
avere la riforma, per il venir meno dell'effetto general-preventivo
spiegato dalla presenza nell'ordinamento di una norma di chiusura che
- seppur ormai relegata ad operare in casi eccezionali di particolare
ed obiettiva gravita' - evitava dilagare di condotte dolosamente
arbitrarie e lasciava ai cittadini uno strumento attraverso cui
ricorrere alla magistratura.
IV. Impossibilita' di un'interpretazione conforme
Non risultano percorribili interpretazioni della norma qui
censurata in senso conforme alle citate disposizioni della
Costituzione e alle norme ad essa interposte, trattandosi di norma
chiaramente abolitiva (in misura quasi totale) di una fattispecie
penale, dunque favorevole per gli odierni imputati ex art. 2, comma 2
c.p., che il giudice penale non potrebbe interpretare diversamente da
quanto emerge dalla lettera, ne' tantomeno disapplicare.
V. Sospensione del giudizio e della prescrizione - Statuizioni
connesse
In via conclusiva, ritenuta la questione rilevante e non
manifestamente infondata, in virtu' del combinato disposto dagli
artt. 23 legge n. 87/1953 e 159 c.p., deve ordinarsi la sospensione
del giudizio in corso nei confronti degli imputati e la conseguente
sospensione della prescrizione con riferimento a tutti i reati
contestati nel presente procedimento, dunque non solo con riguardo ai
delitti contestati ai capi 5) e 6) di rubrica - per i quali rileva,
per motivi diversi, la questione di legittimita' sollevata - ma anche
in relazione a quelli contestati ai capi 3) e 4), essendo essi
strettamente connessi al reato contestato sub 5) e quindi non
definibili separatamente.
In punto di sospensione della prescrizione si precisa che il
Tribunale aderisce ed intende dare attuazione al principio
giurisprudenziale, condivisibile ed ormai consolidato, secondo cui
«In tema di prescrizione, nel caso di sospensione del procedimento a
seguito di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la
risoluzione di una questione di legittimita' costituzionale, la data
di cessazione dell'effetto sospensivo e, pertanto, la data finale del
periodo di sospensione del termine prescrizionale coincide con quella
in cui gli atti sono restituiti al giudice remittente» (Cass., Sez.
5, sentenza n. 7553 del 14 novembre 2012 Ud. (dep. 15 febbraio 2013)
Rv. 255017 - 01; conf. Cass., Sez. 4, sentenza n. 3086 del 14
novembre 1979 Ud. (dep. 4 marzo 1980) Rv. 144559 - 01).
Deve, infine, disporsi ai sensi dell'art. 23, comma 4, legge n.
87/1953 l'immediata trasmissione degli atti del procedimento alla
Corte costituzionale, mandandosi la cancelleria per la notificazione
della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri,
nonche' per la comunicazione ai Presidenti della Camera dei deputati
e del Senato della Repubblica e per la successiva trasmissione del
fascicolo processuale alla Corte costituzionale.
P.Q.M.
Visti gli artt. 134 della Costituzione, 1 legge costituzionale n.
1/1948 e 23 ss. legge n. 87/1953;
Ritenuta la questione rilevante e non manifestamente infondata;
Solleva questione di legittimita' costituzionale in relazione
all'art. 1, comma 1, lettera b) della legge 9 agosto 2024, n. 114
(pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 187 del 10 agosto 2024 ed
entrata in vigore il 25 agosto 2024), nella parte in cui abroga
l'art. 323 c.p., per violazione degli artt. 97, 11 e 117, comma 1
della Costituzione (in relazione agli obblighi discendenti dagli
artt. 7, comma 4, 19 e 65, comma 1, della Convenzione delle Nazioni
Unite del 2003 contro la corruzione - cd. Convenzione di Merida -
adottata dalla Assemblea generale dell'ONU il 31 ottobre 2003 con
risoluzione n. 58/4, firmata dallo Stato italiano il 9 dicembre 2003,
oggetto di ratifica ed esecuzione in Italia con legge 3 agosto 2009,
n. 116);
Sospende il giudizio in corso nei confronti degli imputati ed i
relativi termini di prescrizione fino alla definizione del giudizio
incidentale di legittimita' costituzionale con restituzione degli
atti al giudice procedente;
Dispone l'immediata trasmissione degli atti del procedimento alla
Corte costituzionale;
Manda alla cancelleria per la notificazione della presente
ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' per la
comunicazione ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato
della Repubblica e per la successiva trasmissione del fascicolo
processuale alla Corte costituzionale.
Cosi' deciso in Firenze, il 24 settembre 2024
Il Presidente: Belsito
I Giudici: Innocenti - Aga Rossi