N. 232 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 ottobre 2024
Ordinanza del 21 ottobre 2024 del Tribunale di Busto Arsizio nel
procedimento penale a carico di M. D.M. e altri.
Reati e pene - Abrogazione dell'art. 323 del codice penale (Abuso
d'ufficio).
- Legge 9 agosto 2024, n. 114 (Modifiche al codice penale, al codice
di procedura penale, all'ordinamento giudiziario e al codice
dell'ordinamento militare), art. 1, comma 1, lettera b).
(GU n. 52 del 27-12-2024)
TRIBUNALE DI BUSTO ARSIZIO
(Sezione Penale)
Il Tribunale, in composizione collegiale, nelle persone dei
signori Magistrati:
Giuseppe Fazio - Presidente;
Rossella Ferrazzi - Giudice;
Marco Montanari - Giudice;
all'udienza del 21 ottobre 2024 ha pronunciato la seguente
ordinanza di sospensione del processo e trasmissione degli atti alla
Corte costituzionale (articoli 134 della Costituzione e 23 ss., legge
11 marzo 1953, n. 87).
Nel corso del dibattimento celebrato dal Tribunale di Busto
Arsizio composizione monocratica nei confronti di M. D.M., E... M...
P... ed E... B... per il delitto previsto dagli articoli 61, n. 9,
110, 353 c.p., di P. P. e C. O... in ordine al delitto di cui agli
articoli 61, n. 9, 110, 353-bis c.p., di L. G. per il reato di cui
all'art. 86, primo e secondo comma, del decreto del Presidente della
Repubblica n. 570/60 e di F. A. per il delitto previsto dagli
articoli 61, n. 9, 110, 353 c.p., gli atti, a seguito della
contestazione suppletiva del delitto punito dagli articoli 56, 110 e
323 c.p. operata all'udienza dibattimentale del 4 aprile 2024 ex art.
516 del codice di procedura penale dal Pubblico Ministero, in via
alternativa, nei confronti dei soli imputati D.M., P., B., P. ed O.,
sono stati rimessi per competenza a questo Collegio, per il
prosieguo.
All'udienza del 15 luglio 2024 il Tribunale ha rigettato
l'eccezione di nullita' dell'ordinanza ex art. 33-septies del codice
di procedura penale adottata dal Giudice monocratico, frattanto
avanzata con memoria dal difensore dell'imputata O...; al contempo,
ha rigettato l'eccezione di indeterminatezza del capo d'imputazione a
seguito della contestazione alternativa formulata dal difensore
dell'imputato P... e la sua richiesta di immediata pronuncia
assolutoria «perche' il fatto non e' piu' previsto dalla legge come
reato», avanzata sulla base della solo preannunciata - in quel
momento - abrogazione dell'art. 323 cit.
Alla successiva udienza del 27 settembre 2024, dopo l'entrata in
vigore della legge 9 agosto 2024, no 114 - il cui art. 1, al comma 1,
lettera b), ha abrogato l'art. 323 del codice penale e, al comma 1,
lettera a), ha eliminato dal catalogo dell'art. 322-bis c.p. il
riferimento al predetto art. 323 - il Pubblico Ministero, facendo
esplicito rimando ad analoghe questioni sollevate dalla Procura della
Repubblica di Reggio Emilia e da una parte civile davanti al
Tribunale di Firenze, ha sottoposto con memoria al Collegio e
illustrato oralmente la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 1 cit., sostenendone la incompatibilita' con gli articoli
3, 97 e, soprattutto, 11 e 117 - in relazione agli articoli 7, comma
4, 19 e 65, comma 1, della Convenzione delle Nazioni Unite del 2003
contro la corruzione (cd. Convenzione di Merida) ed all'art. 31 della
Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati - della Costituzione
della Repubblica (secondo quanto piu' in dettaglio sara' preso in
esame infra).
La rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione,
sostenute dal rappresentante della Pubblica Accusa, sono state
contestate e negate dalle difese, che hanno insistito per la
declaratoria di inammissibilita' della questione di costituzionalita'
e per la pronuncia immediata di sentenza assolutoria ai sensi
dell'art. 129 del codice di rito penale.
Il Tribunale si e' riservato di decidere ed oggi, lette le
ulteriori argomentazioni esposte dalle difese nella memoria
depositata l'11 ottobre scorso, di tenore analogo a quelle utilizzate
il 7 ottobre 2024 dal Tribunale di Reggio Emilia per rigettare la
questione di costituzionalita' posta dalla Procura della Repubblica
reggiana, sciogliendo la riserva assunta, osserva quanto segue.
1. La rilevanza della questione di legittimita' costituzionale.
Deve anzitutto essere valutata la rilevanza della questione di
costituzionalita'.
A tal fine, merita di essere ricordato che essa. riguarda solo la
posizione degli imputati D.M., P.., B., P. e O giacche':
M. D.M. e' accusato sub 1-bis del delitto previsto dagli
articoli 56, 110 e 323 c.p. per la ritenuta violazione dell'obbligo
di astensione normativamente impostogli quale RUP della procedura
selettiva finalizzata al conferimento di incarico professionale di
consulenza per la municipalizzata... s.r.l. e, in via alternativa, di
quello previsto dagli articoli 61, n. 9, 110 e 353 c.p., gia'
contestatogli al capo 1 in concorso con M. C. (giudicato
separatamente e assolto in secondo grado «perche' il fatto non
sussiste» con sentenza della Corte d'Appello di Milano n. 440/24 del
19 gennaio 2024);
E. M. P. ed E. B. sono accusati sub 2-bis del delitto di cui
agli articoli 110 e 323 c.p. per via della ritenuta violazione da
parte del primo dell'obbligo di astensione normativamente impostogli
quale componente del Nucleo valutativo della procedura selettiva per
il conferimento dell'incarico di Dirigente per lo sviluppo
organizzativo del Comune di..., conclusasi in favore del secondo, e,
in via alternativa, di quello previsto dagli articoli 61, n. 9, 110 e
353 c.p., gia' contestato loro al capo 2 in concorso con G. F. e M.
C. (giudicati separatamente e assolti in secondo grado «perche' il
fatto non sussiste» con sentenza della Corte d'Appello di Milano n.
440/24 del 19 gennaio 2024);
P. P. e C. O. sono accusati sub 4-bis del delitto di cui agli
articoli 56, 110 e 323 c.p. per via della violazione da parte della
donna dell'obbligo di astensione normativamente impostole quale
componente della commissione preposta alla procedura selettiva per
l'affidamento dell'incarico di Direttore Generale della
municipalizzata... s.p.a. e, in via alternativa, di quello previsto
dagli articoli 61, n. 9, 110 e 353-bis c.p., gia' contestato loro al
capo 4 in concorso con G. F., C. L. e M. C. (giudicati separatamente
e assolti in secondo grado «perche' il fatto non sussiste» con
sentenza della Corte d'Appello di Milano n. 40/24 del 19 gennaio 2024
(1) ), mentre:
L. G. e' accusato del reato di cui all'art. 86, primo e
secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n 570/60
e;
F. A. e' accusato del delitto previsto dagli articoli 61, n.
9, 110, 353 c.p.
Fa presente poi il Collegio che secondo l'insegnamento della
giurisprudenza costituzionale «il giudizio di rilevanza esige
soltanto la dimostrazione della necessita', da parte del remittente,
di fare applicazione della norma censurata nel processo a quo e non
richiede invece la dimostrazione che l'accoglimento della questione
sia effettivamente suscettibile di incidere sull'esito del processo
medesimo. Cio' che e' essenziale e', piuttosto, la dimostrazione che
un eventuale accoglimento inciderebbe quanto meno sull'iter
motivazionale della decisione (n. 25/2024 della Costituzione); i
Giudici delle leggi hanno poi insegnato che «basta a fondare la
rilevanza della questione il fatto che la pronuncia della Corte sulla
disposizione censurata possa incidere sia percorso argomentativo che
sosterra' la decisione del giudizio a quo»: Corte della Costituzione
n. 80/2024.
I Giudici della Consulta, peraltro, con riguardo al giudizio di
rilevanza della questione di costituzionalita' nel processo di merito
ed all'impatto della eventuale pronuncia di incostituzionalita' sulla
formula di proscioglimento in concreto adattabile, avevano gia' avuto
modo di affermare (sentenza n. 28 del 2010) che «l'eventuale
accoglimento delle questioni relative a norme piu' favorevoli
verrebbe ad incidere sulle formule di proscioglimento o, quanto meno,
sui dispositivi delle sentenze penali; peraltro, la pronuncia della
Corte non potrebbe non riflettersi sullo schema argomentativo della
sentenza penale assolutoria, modificandone la ratio decidendi:
poiche' in tal caso ne risulterebbe alterato...il fondamento
normativa della decisione, pur fermi restando i pratici effetti di
essa...»: in sintesi, la sola possibilita' che l'accoglimento della
questione di costituzionalita' comporti un diverso iter motivazionale
o l'adozione di formula assolutoria di tenore diverso implica la
rilevanza della questione.
Applicando tali condivise regole di giudizio, questo Tribunale
non dubita della rilevanza della questione sottoposta al suo vaglio.
Impregiudicata, ovviamente, ogni valutazione del merito delle
accuse alternativamente mosse dal Pubblico Ministero, che sara'
operata all'esito della discussione, infatti, evidenzia il Collegio
come nel processo che ci occupa sia contestato anche, seppure in via
alternativa, il delitto previsto dall'art. 323 c.p. ancora vigente
all'epoca della contestazione suppletiva; tale reato, nella forma
consumata o meramente tentata, in caso di accoglimento della
questione di costituzionalita' proposta e della conseguente
reviviscenza della fattispecie di reato abrogata, potrebbe, ad esito
della prosecuzione del dibattimento, essere ritenuto sussistente (ad
esempio, secondo quanto «suggerito» dalla Corte d'Appello di Milano
nella sua sentenza n. 440/2024, ritualmente sottoposta al Collegio e
la cui acquisizione ai sensi dell'art. 238-bis e' gia' stata
richiesta, in vista del suo prossimo passaggio in giudicato).
Ove anche, tuttavia, si dovesse, al contrario, pervenire
all'assoluzione, l'accoglimento della questione implicherebbe
l'adozione della formula assolutoria «perche' il fatto non e' (piu')
previsto dalla legge come reato» - come, peraltro, gia' espressamente
richiesto ai fini di cui all'art. 129 del codice di procedura penale
della difesa - e non di quella fondata sull'insussistenza del fatto.
La depenalizzazione operata dall'art. 1 cit., quindi, incide con
tutta evidenza nel presente giudizio e la questione della sua
compatibilita' costituzionale e' pertanto certamente rilevante.
Ne' potrebbe fondatamente ritenersi che tale questione non sia
rilevante in questa fase «iniziale» del dibattimento.
Le parti hanno richiesto sentenza di assoluzione perche' il fatto
non e' piu' previsto dalla legge come reato ex art. 129 del codice di
procedura penale a seguito di abrogazione del delitto di cui all'art.
323 c.p.
A tal proposito, deve innanzitutto evidenziarsi che secondo la
giurisprudenza piu'. recente in caso di contestazione alternativa (2)
ben potrebbe il Giudice pronunciarsi - evidentemente nell'ambito
dello stesso processo - sulla insussistenza di una delle imputazioni
e poi, nel prosieguo, in merito all'altra. (3)
Secondo questo orientamento, la questione di legittimita'
costituzionale diventerebbe, all'evidenza, assolutamente rilevante,
in quanto sarebbe necessario sapere se il reato seppur
alternativamente contestato sia stato legittimamente abrogato.
Qualora invece si ritenesse che la contestazione alternativa,
riguardando il medesimo fatto storico, impedisse una decisione
autonoma su ognuna delle due imputazioni, la questione sarebbe
ugualmente rilevante.
Infatti, nel caso in cui permanesse nel nostro ordinamento il
delitto di cui all'art. 323 c.p. l'istanza ex art. 129 del codice di
procedura penale andrebbe rigettata in quanto, nonostante la
produzione da parte delle difese della menzionata sentenza della
Corte d'Appello di Milano n. 40/24 del 19 gennaio 2024, non essendo
ancora iniziata l'attivita' istruttoria, questo Collegio non potrebbe
addivenire ad una pronuncia che attesti l'evidenza della
insussistenza del fatto o della sua irrilevanza penale.
Al contrario, nel caso in cui venisse riconosciuta la
legittimita' costituzionale dell'abrogazione, la richiesta non
potrebbe trovare accoglimento immediato, poiche', a fronte della
contestazione alternativa, la sussistenza di uno dei reati
escluderebbe la sussistenza dell'altro: non sarebbe possibile
giudicare immediatamente soltanto la parte dell'imputazione
riguardante l'art. 323 c.p. senza valutare in contemporanea la
sussistenza alternativa dell'altro reato contestato.
Senza dire che la decisione sulla compatibilita' costituzionale
dell'art. 1 cit. e dunque della avvenuta abrogazione dell'art. 323
c.p. avrebbe un impatto immediato e diretto sul dibattimento, del
quale orienterebbe con tutta evidenza lo svolgimento, sin dalla fase
dell'ammissione delle prove (la rilevanza delle quali sarebbe
condizionata dal perimetro, piu' o meno ampio, dell'imputazione).
Per tali ragioni, quindi, la questione di legittimita'
costituzionale della norma che ha abrogato il delitto di abuso
d'ufficio, sottoposta all'esame di questo Collegio, e' assolutamente
rilevante nel processo.
2. La possibilita' di sollevare una questione di legittimita'
costituzionale che possa produrre potenziali effetti in malam partem
nei confronti degli imputati.
L'art. l della legge 9 agosto 2024 n. 114, con la lettera h), ha
abrogato - come detto - l'art. 323 c.p., con conseguente abrogatio
sine integrale abolitione del reato di abuso d'ufficio, tenuto conto
dell'antecedente introduzione, con l'art. 9, decreto-legge n.
92/2024, convertito con legge n. 112/2024, dell'art. 314-bis c.p. che
sanziona le condotte di peculato per distrazione aventi ad oggetto
denaro o cose mobili, prima riconducibili alla fattispecie di cui
all'art. 323 c.p.
A fronte delle modifiche richiamate, peraltro, i fatti di abuso
(di vantaggio, di danno e le omesse astensioni in presenza di
conflitti di interessi) - come le condotte contestate in via
alternativa nel presente processo - e di peculato per distrazione
relativo a beni immobili hanno perso rilevanza penale, con
conseguente abolitio criminis.
Deve, anzitutto, in via preliminare, essere affrontata e risolta
la problematica della ammissibilita' della questione di legittimita'
costituzionale, tenuto conto che si dubita di una norma che ha
abrogato una fattispecie penale incriminatrice nei termini sopra
ricordati.
In linea di principio, la Corte costituzionale ha ritenuto
inammissibili le questioni di legittimita' costituzionale che
riguardino disposizioni abrogative di una previgente incriminazione e
che mirino al ripristino nell'ordinamento della norma incriminatrice
abrogata, con conseguenti effetti in malam partem (cfr. sentenza n.
330/1996; ordinanza n. 413/2008), contrastando a tale ripristino, di
regola, il principio di cui all'art. 25, secondo comma, della
Costituzione, che riserva al solo legislatore (riserva assoluta di
legge), la definizione dell'area di cio' che e' da ritenersi
penalmente rilevante.
Secondo la Corte, le norme penali piu' favorevoli (come nel caso
che qui ci riguarda) sono sottratte al giudizio di legittimita'
costituzionale perche', secondo la stessa giurisprudenza
costituzionale, in forza dell'art. 25, secondo comma della
Costituzione, l'eventuale sentenza di accoglimento non potrebbe
produrre alcun effetto sul giudizio principale, stante il divieto di
retroattivita' delle norme penali sfavorevoli.
Con il tempo, tuttavia, la Corte costituzionale ha elaborato una
serie, via via sempre piu' consistente, di deroghe ed eccezioni a
tale principio, sino a giungere all'affermazione che le anzidette
preclusioni non hanno e non possono avere carattere assoluto e
generalizzato.
Ad opera del Giudice delle leggi, piu' in particolare, e' stata
negata l'esistenza di zone franche dell'ordinamento, sottratte al
controllo di costituzionalita' delle leggi (cfr. Corte costituzionale
n. 37/2019) e, con un percorso di difficile bilanciamento tra la
discrezionalita' del legislatore (sovrano nelle scelte di politica
criminale) e il rispetto dei principi cardine della Costituzione, la
Corte ha esteso il proprio sindacato anche alle ci nonne penali di
favore, circoscrivendo un confine ben preciso all'interno del quale
la stessa Corte puo' operare il suo giudizio.
Con la sentenza n. 394/2006, la Corte ha chiarito che il
principio di legalita' non preclude lo scrutinio di
costituzionalita', anche in malam partem, delle c.d. norme penali di
favore, definite quali norme che stabiliscano, per determinati
soggetti o ipotesi, un trattamento penalistico piu' favorevole di
quello che risulterebbe dall'applicazione di norme generali o comuni;
secondo la Corte, e' ammissibile il vaglio di legittimita'
costituzionale, laddove il legislatore introduca, in violazione del
principio di eguaglianza, norme penali di favore, che sottraggano,
irragionevolmente, un determinato sottoinsieme di condotte alla
regola della generale rilevanza penale di una piu' ampia classe di
comportamenti, stabilita da una disposizione incriminatrice vigente,
ovvero prevedano per detto sottoinsieme - altrettanto
irragionevolmente - un trattamento sanzionatorio piu' favorevole
(cfr. sentenza n. 394 del 2006).
Secondo la Corte, «l'effetto in malam partem non discende
dall'introduzione di nuore norme o dalla manipolazione di norme
esistenti da parte della Corte, la quale si limita a rimuovere la
disposizione giudicata lesiva dei parametri costituzionali; esso
rappresenta, invece, Unti conseguenza dell'automatica riespansione
della norma generale o comune, dettata dallo stesso legislatore, al
caso gia' oggetto di una incostituzionale disciplina derogatoria.
Tale riespansione costituisce una reazione naturale dell'ordinamento
- conseguente alla sua unitarieta' - alla scomparsa della norma
incostituzionale: reazione che si verificherebbe in ugual modo anche
qualora la fattispecie derogatoria rimossa fosse piu' grave; nel qual
caso a riespandersi sarebbe la norma penale generale meno grave,
senza che in siffatto fenomeno possa ravvisarsi alcun intervento
creativo o additivo della Corte in materia punitiva». in questo caso,
l'effetto in malam partem e' solo la conseguenza della rimozione di
una situazione antigiuridica creata da una norma lesiva dei parametri
costituzionali.
Un controllar di legittimita' con potenziali effetti in inalarti
portela deve, altresi', ritenersi ammissibile quando ad essere
censurato sia lo scorretto esercizio del potere legislativo: da parte
dei Consigli regionali, ai quali non spetta neutralizzare le scelte
di criminalizzazione compiute dal legislatore nazionale (sentenza n.
46 del 2014, e ulteriori precedenti ivi citati); da parte del
Governo, che abbia abrogato mediante decreto legislativo una
disposizione penale, senza a cio' essere autorizzato dalla legge
delega (sentenza n. 5 del 2014); anche da parte dello stesso
Parlamento, che non abbia rispettato i principi stabiliti dalla
Costituzione in materia di conversione dei decreti-legge (sentenza n.
32 del 2014). In tali ipotesi, qualora la disposizione dichiarata
incostituzionale sia una disposizione che semplicemente abrogasse una
norma incriminatrice preesistente, la dichiarazione di illegittimita'
costituzionale della prima non potra' che comportare il ripristino
della seconda, in effetti mai (validamente) abrogata.
Un effetto peggiorativo della disciplina sanzionatoria in materia
penale conseguente alla pronuncia di illegittimita' costituzionale e'
stato, ancora, ritenuto ammissibile allorche' esso si configuri come
«mera conseguenza indiretta della reductio ad legitimitatem di una
norma processuale», derivante «dall'eliminazione di una previsione a
carattere derogatorio di una disciplina generale» (cfr. sentenza n.
236 del 2018); ed infine, ove si assuma la contrarieta' della
disposizione censurata a obblighi sovranazionali rilevanti ai sensi
dell'art. 11 o dell'art. 117, primo comma, della Costituzione (cfr.
sentenza n. 28 del 2010 e n. 32 del 2014, ove l'effetto di ripristino
della vigenza delle disposizioni penali illegittimamente sostituite
in sede di conversione di un decreto-legge, con effetti in parte
peggiorativi rispetto alla disciplina dichiarata illegittima, fu
motivato anche con riferimento alla necessita' di non lasciare
impunite "«alcune tipologie di condotte per le quali sussiste un
obbligo sovranazionale di penalizzazione, con la conseguente
violazione del diritto dell'Unione europea, che l'Italia e' tenuta a
rispettare in virtu' degli articoli 11 e 117, primo comma, della
Costituzione)».
Deriva da quanto costantemente affermato dalla Corte
Costituzionale che il potere legislativo non sia affatto illimitato,
dovendo rispettare anch'esso dei principi superiori che trovino nella
Costituzione e nel diritto sovranazionale il loro fondamento e la
loro salvaguardia.
Tali principi trovano piena espressione nella sentenza n. 37 del
2019, in cui la Corte Costituzionale ha ricostruito, in maniera
esaustiva e nel dettaglio, l'intera materia, partendo dal principio
generale di esclusione di intervento con effetti in malam partem e
indicando, di contro ed in deroga, i precisi ambiti in cui il
sindacato costituzionale risulta invece pienamente ammissibile, a
fronte della necessita' di evitare la sussistenza di zone franche
rispetto alla vigenza dei principi costituzionali (cfr. anche
sentenza n. 40/2019).
Nella sentenza n. 8/2022 - con la quale sono state dichiarate
infondate ed inammissibili le questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 323 c.p. sollevate in ordine all'art. 77 ed
agli articoli 3 e 97 della Costituzione rispetto alla novella del
2020 che, in tema di abuso d'ufficio, ne aveva limitato la portata
applicativa - la Corte costituzionale, analizzate la genesi dell'art.
323 c.p. e le modifiche apportate nel tempo alla fattispecie dal
legislatore, ha ribadito la preclusione di un intervento in malam
partem, tenuto conto del principio di riserva di legge di cui
all'art. 25 della Costituzione, ed ha escluso la natura di norma
penale di favore dell'art. 323 c.p.
Come chiarito dalla Corte, la qualificazione come norma penale di
favore non puo' discendere dal raffronto tra una norma vigente e una
norma anteriore, sostituita dalla prima con effetti di restringimento
dell'area di rilevanza penale: si tratta di una richiesta di
sindacato in malam partem che non mira a far riespandere una norma
tuttora presente nell'ordinamento, ma a ripristinare la norma
abrogata, espressiva di una scelta di criminalizzazione non piu'
attuale, operazione preclusa alla Corte.
Nella sentenza in esame, sono poi dichiarate condivisibilmente
inammissibili le questioni sollevate in riferimento agli articoli 3 e
97 della Costituzione, evidenziando come una censura di
illegittimita' costituzionale non possa basarsi sul pregiudizio che
la formulazione, in assunto troppo restrittiva, di una norma
incriminatrice, recherebbe a valori di rilievo costituzionale, quali,
nella specie, l'imparzialita' e il buon andamento della pubblica
amministrazione. Le esigenze costituzionali di tutela non si
esauriscono, infatti, nella tutela penale, ben potendo essere
soddisfatte con altri precetti e sanzioni: come chiarito dalla Corte,
l'incriminazione costituisce anzi un'extrema ratio cui il legislatore
ricorre quando, nel suo discrezionale apprezzamento, lo ritenga
necessario per l'assenza o l'inadeguatezza di altri mezzi di tutela.
Come osservato dalla Corte nella medesima pronuncia, neppure puo'
tradursi in una questione di legittimita' costituzionale della norma
incriminatrice il rilievo che altre condotte, diverse da quelle
individuate come fatti di reato dal legislatore, avrebbero dovuto
essere a loro volta incriminate per ragioni di parita' di trattamento
o in nome di esigenze di ragionevolezza. «La mancanza della base
legale - costituzionalmente necessaria dell'incriminazione, cioe'
della scelta legislativa di considerare certe condotte come
penalmente perseguibili, preclude radicalmente la possibilita' di
prospettare una estensione ad esse delle fattispecie incriminatrici
attraverso una pronuncia di illegittimita' costituzionale» (cfr.
sentenza n. 447 del 1998).
Anche qualora la norma incriminatrice (non qualificabile come
norma penale di favore) determinasse intollerabili disparita' di
trattamento o esiti irragionevoli, il riequilibrio potrebbe essere
operato dalla Corte solo «verso il basso» (ossia in bonam partem),
non gia' in malam partem, e in particolare con interventi tali da
ampliare il perimetro di rilevanza penale. (4)
Nel caso in esame, come si argomentera', ritenuto che l'art. 323
c.p. non sia una norma penale di favore e condivisi i' principi
richiamati, si rientra proprio in uno dei casi di esercizio
irragionevole del potere legislativo e di violazione del diritto
sovranazionale, quindi di scorretto esercizio di tale potere da parte
del Parlamento, ipotesi che, quindi, consente il sindacato di
legittimita' costituzionale della Corte.
Costituisce, infatti, principio cardine dell'ordinamento
giuridico italiano il rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi
internazionali previsti da trattati e dalla generalita' del diritto
internazionale pattizio, che ai sensi e nei limiti di cui all'art.
117, primo comma, della Costituzione vincola lo stesso potere
legislativo, statale e regionale. Piu' in particolare, conte emerge
dalle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, la Corte Costituzionale ha
fissato il principio per cui l'esercizio della potesta' legislativa
dello Stato deve intendersi condizionato al rispetto degli obblighi
internazionali.
Ancora, nella sentenza n. 37/2019, la Corte, analizzando le
diverse ipotesi nelle quali sarebbe possibile un suo intervento in
materia penale sostanziale in malam partem, ricorda che «un controllo
di legittimita' costituzionale con potenziali effetti in malam partem
puo', infine, risultare ammissibile ove si assuma la contrarieta'
della disposizione censurata a obblighi sovranazionali rilevanti ai
sensi dell'art. 11 o dell'art. 117, primo comma, della Costituzione
(sentenza n. 28 del 2010; nonche' sentenza n. 32 del 2014, ove
l'effetto di ripristino della vigenza delle disposizioni penali
illegittimamente sostituite in sede di conversione di un
decreto-legge, con effetti in parte peggiorativi rispetto alla
disciplina dichiarata illegittima., fu motivato anche con riferimento
alla necessita' di non lasciare impunite «alcune tipologie di
condotte per le quali sussiste un obbligo sovranazionale di
penalizzazione. Il che determinerebbe una violazione del diritto
dell'Unione europea, che l'Italia e' tenuta a rispettare in virtu'
degli articoli 11 e 117, primo comma, della Costituzione»...
Tali principi sono ribaditi anche nella sentenza n. 40/2019 in
cui la Corte osserva che «la giurisprudenza di questa Corte, ribadita
anche recentemente (sentenze n. 236 del 2018 e n. 143 del 2018),
ammette in particolari situazioni interventi con possibili effetti in
malam partem in materia penale (sentenze n. 32 e n. 5 del 2014, n. 28
del 2010, n. 394 del 2006), restando semmai verificare l'ampiezza e i
limiti dell'ammissibilita' di tali interventi nei singoli casi.
Certamente il principio della riserva di legge di cui all'art. 25
della Costituzione rimette al legislatore «la scelta dei fatti da
sottoporre a pena e delle sanzioni da applicare» (sentenza n. 5 del
2014), ma non esclude che questa Corte possa assumere decisioni il
cui effetto in malam partem non discende dall'introduzione di nuove
nonne o dalla manipolazione di norme esistenti, ma dalla semplice
rimozione di disposizioni costituzionalmente illegittime. in tal
caso, l'effetto in malam partem e' ammissibile in quanto esso e' una
mera conseguenza indiretta della reductio ad legitimitatem di una
norma costituzionalmente illegittima, la cui caducazione determina
l'automatica riespansione di altra norma dettata dallo stesso
legislatore (sentenza n. 236 del 2018)».
Alla luce dei principi invocati, pertanto, non vi e' dubbio sulla
possibilita' per la Corte Costituzionale di intervenire con sentenza
in malam partem nell'ipotesi in cui la disposizione penale favorevole
sospettata di illegittimita' costituzionale si ponga in contrasto -
come nel caso di specie - con il parametro costituzionale di cui agli
articoli 11 e 117 della Costituzione
Al contrario, non si ritiene ammissibile la questione di
legittimita' costituzionale in relazione agli articoli 3 e 97 della
Costituzione, facendo rimando senza ipocrite parafrasi alle
argomentazioni espresse dalla sentenza n. 8/22 della Corte
costituzionale.
3. La non manifesta infondatezza della questione di legittimita'
costituzionale con riferimento agli articoli 11 e 117 della
Costituzione.
Nel momento in cui si deposita la presente ordinanza risulta che
diversi altri giudici si siano occupati della questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera b), legge
n. 114/2024 nella parte in cui abroga l'art. 323 c.p. per violazione
degli articoli 11 e 117, comma 1 della Costituzione
In particolare, la predetta questione e' stata sollevata con
ordinanza del 24 settembre 2024 dal Tribunale di Firenze in
composizione collegiale, con ordinanza del 30 settembre 2024 dal
G.U.P. di Locri e con ordinanza del 3 ottobre 2024 dal G.u.p. di
Firenze; al contrario, risulta che la questione sia stata dichiarata
ammissibile, ma manifestamente infondata dal Tribunale di Reggio
Emilia in composizione collegiale con ordinanza del 7 ottobre 2024;
in un procedimento pendente presso il Tribunale di Catania, il P.M.
ha poi chiesto di sollevare la medesima questione in data 30
settembre 2024, con decisione del Giudice non ancora nota.
Questo Collegio e' quindi inevitabilmente chiamato a confrontarsi
con le argomentazioni gia' sviluppate dai Giudici che si sono
occupati della questione, le quali si sommano ai contributi che la
dottrina ha offerto sia prima che dopo l'abrogazione del delitto di
abuso d'ufficio, posto che il tema della legittimita' costituzionale
della novella legislativa e' stato, fin dai lavori parlamentari,
oggetto di vivace dibattito.
Ovviamente si dovranno poi considerare le argomentazioni
sostenute dalle parti sia all'udienza del 27 settembre 2024, sia
nelle memorie depositate dal P.M. nella medesima udienza e dalle
difese congiuntamente in data 11 ottobre 2024.
In questo quadro, e' ormai noto che l'attenzione degli interpreti
si debba concentrare sull'art. 19 della Convenzione ONU di Merida del
2003 (rubricato «Abuse of functions» - «Abuso d'ufficio»), unica
fonte normativa di rango internazionale, cogente per l'Italia, che
contempli in termini espressi il reato di abuso d'ufficio.
E' poi pacifico che il vero problema giuridico da affrontare non
consista nel valutare se tale fonte internazionale preveda un obbligo
positivo di introdurreex novo negli ordinamenti nazionali il reato di
abuso d'ufficio (interrogativo al quale giurisprudenza e dottrina
forniscono in modo concorde una risposta negativa), bensi' di
comprendere se a livello internazionale sussista un obbligo c.d. «di
stand still» o un «divieto di regresso» che precluda a uno Stato come
l'Italia - che abbia sottoscritto la Convenzione di Merida e che gia'
prevedesse nel suo ordinamento il reato di abuso d'ufficio prima
della ratifica della predetta Convenzione - di abrogare il menzionato
delitto.
La tematica deve essere affrontata con ordine.
In primo luogo, non vi e' dubbio che l'art. 19 della Convenzione
di Merida - alla quale e' stata data esecuzione in Italia con la
legge n. 116/09 - faccia riferimento proprio alla fattispecie di
abuso d'ufficio.
La norma, infatti, nella sua versione italiana allegata alla
legge n. 116/09 e rubricata proprio «abuso d'ufficio», dispone che
«ciascuno Stato Parte esamina l'adozione delle misure legislative e
delle altre misure necessarie per conferire il carattere di illecito
penale, quando l'atto e' stato commesso intenzionalmente, al fatto
per un pubblico ufficiale di abusare delle proprie funzioni o della
sua posizione, ossia di compiere o di astenersi dal compiere,
nell'esercizio delle proprie funzioni, un atto in violazione delle
leggi al fine di ottenere un indebito vantaggio per se o per un'altra
persona o entita'» (5)
Evidente e' quindi la sovrapponibilita' con la fattispecie che
era prevista dall'art. 323 c.p. Il fatto che la Convenzione di Merida
contempli proprio il reato di abuso d'ufficio e' questione sulla
quale tutti gli interpreti paiono concordare e che non vi e' motivo
di porre in dubbio, attesi il tenore letterale della norma
convenzionale e di quella nazionale.
Come noto, il principale problema ermeneutico che rileva nel caso
di specie e' costituito dal grado di cogenza che l'art. 19 della
Convenzione di Merida ha per gli Stati firmatari del trattato
internazionale.
Il quesito si pone a causa dell'utilizzo nella norma
dell'espressione «esamina l'adozione delle misure legislative e delle
altre misure necessarie per con ferire il carattere di illecito
penale» (nel testo inglese: «shall consider adopting such legislative
and other measures as may be necessary to establish as a criminal
offence»), espressione indubbiamente di non facile interpretazione.
Il primo strumento ermeneutico cui fare riferimento e'
sicuramente quello offerto dai paragrafi 11 e 12 delle Legislative
Guide for the implementation of the United Nations Convention against
Corruption, che si riportano di seguito:
«11. Nello stabilire le loro priorita', i redattori legislativi
nazionali e gli altri decisori politici dovrebbero tenere presente
che le disposizioni della Convenzione non hanno tutte lo stesso
livello di obblighi. In generale, le disposizioni possono essere
raggruppate nelle seguenti tre categorie:
(a) disposizioni obbligatorie, che consistono in obblighi di
legiferare (in modo assoluto o quando sono soddisfate determinate
condizioni);
(b) Misure che gli Stati parti devono considerare di
applicare o tentare di adottare;
(c) Misure facoltative.
12. Ogni volta che viene utilizzata l'espressione «ciascuno
Stato Parte adotta», si fa riferimento a una disposizione imperativa.
Altrimenti, il linguaggio utilizzato nella guida e' «considerera'
l'adozione» o «si adopera per», il che significa che gli Stati sono
invitati a prendere in considerazione l'adozione di una determinata
misura e a compiere uno sforzo reale per vedere se sarebbe
compatibile con il loro ordinamento giuridico. Per le disposizioni
del tutto facoltative la guida utilizza il termine «puo' adottare»
(6)
Dunque, tali paragrafi delle Legislative Guide - che si collocano
nella parte introduttiva delle stesse e pertanto devono essere
considerati fondamentali strumenti interpretativi di tutte le norme
della Convenzione - prevedono tre diversi gradi di cogenza delle
disposizioni del trattato internazionale.
Come evidente, l'art. 19 della Convenzione di Merida, utilizzando
l'espressione «esamina l'adozione/shall consider adopting», propone
un grado di cogenza definibile come «intermedio»: non pone dunque ne'
un obbligo assoluto di legiferare (caratteristico dell'espressione
«ciascuno Stato Parte adotta/each State Party shall adopt»), ne' una
mera facolta' di legiferare (caratteristica dell'espressione «puo'
adottare/may adopt»). Sono le stesse Legislative Guide a provare a
spiegare in cosa consista questo obbligo di livello intermedio: «Gli
Stati sono invitati a prendere in considerazione l'adozione di una
determinata misura e a compiere uno sforzo reale per vedere se
sarebbe compatibile con il loro ordinamento giuridico».
Il mero tenore letterale di questa norma di interpretazione
autentica porta a una immediata conclusione, che e' incontestabile:
prima della legge n. 114/2024, abrogativa del reato di abuso
d'ufficio, lo Stato italiano era perfettamente adempiente all'obbligo
«intermedio» posto dall'art. 19 della Convenzione di Merida, avendo -
prima ancora della stessa sottoscrizione del Trattato internazionale
- introdotto il reato di abuso d'ufficio (fattispecie presente nel
nostro ordinamento fin dall'adozione del vigente codice penale,
seppure piu' volte modificata nel corso degli anni con il fine di
restringere la sua portata applicativa).
Si puo' quindi sostenere che lo Stato Italiano - prima ancora
della ratifica della Convenzione di Merida e, quindi, a prescindere
dalla stessa - aveva «preso in considerazione» la criminalizzazione
della fattispecie di abuso d'ufficio, la quale era indubbiamente
compatibile con il suo ordinamento giuridico (conclusione anche
quest'ultima inconfutabile, posto che l'abrogazione del delitto e'
stata motivata da una scelta di politica criminale e non da un
possibile contrasto del reato con la Costituzione).
Si tratta allora di comprendere se l'abrogazione della norma
incriminatrice di cui all'art. 323 c.p. possa. modificare questo
(certo) giudizio di compatibilita' del nostro ordinamento con la
Convenzione di Merida.
La risposta a tale interrogativo non puo' fondarsi esclusivamente
sul dato letterale dei menzionati paragrafi. 11 e 12 delle
Legislative Guide (utilizzati come canoni ermeneutici delle singole
norme relative alla criminalizzazione poste nella Convenzione di
Merida), considerato che gli stessi - seppure forniscano utili chiavi
interpretative in prospettiva sistematica e teleologica - nel loro
tenore lessicale sembrano riferirsi essenzialmente alla fase
dell'adozione, ex novo, delle norme incriminatrici.
A. tal proposito si consideri innanzitutto che l'utilizzo del
verbo «adottare/adopt», unitamente alle espressioni «deve, deve
considerare di, puo'/shall, shall consider, may» profila un obbligo
futuro per gli Stati, nel senso che gli stessi «dovranno» (con verbo
che deve essere declinato a seconda dei casi nei vari significati
prima ricordati) introdurre le differenti fattispecie penali (o le
altre misure) enucleate dalla Convenzione dopo la sua ratifica.
Questa lettura e' confermata dal par. 6 delle Legislative Guide,
il quale costituisce la vera e propria norma di interpretazione
autentica di tutto il sistema di criminalizzazione della Convenzione
di Merida: esso e' infatti l'unico paragrafo della sezione
introduttiva delle Legislative Guide inserito nella parte relativa
alla «Criminalization».
Ebbene, tale norma chiarisce nella sua prima parte quale sia lo
scopo, sotto il profilo strettamente penalistico, della Convenzione
di Merida: «La Convenzione richiede poi agli Stati parti di
introdurre reati penali e altri reati per coprire un'ampia gamma di
atti di corruzione, nella misura in cui questi non siano gia'
definiti come tali dal diritto interno». (7)
La norma continua poi, da un lato, anticipando la gia' vista
differenziazione, meglio dettagliata nei paragrafi 11 e 12 delle
Legislative Guide, tra reati da introdurre obbligatoriamente e reati
la cui introduzione deve essere obbligatoriamente considerata, e,
dall'altro lato, elencando una serie di condotte penalmente rilevanti
prese in considerazione dalla Convenzione.
Il tenore letterale del par. 6 delle Legislative Guide - che,
come evidenziato, costituisce norma di interpretazione autentica
della Convenzione di Merida - e' chiaro nel voler evidenziare che gli
obblighi di criminalizzazione posti dalla Convenzione e interpretati
alla luce dei paragrafi 11 e 12 delle Legislative Guide facciano
riferimento a nuove introduzioni (ex novo) di reati: infatti, nella
norma in esame si parla espressamente, per l'appunto, di
«introdurre/introduce» reati (verbo che, da suo significato testuale,
fa proprio riferimento all'inserimento di qualcosa che non c'e') e si
evidenzia che il sistema di «introduzione di reati» predisposto dalla
Convenzione rileva «nella misura in cui questi non siano gia'
definiti come tali dal diritto interno/to the extent these are not
already defined as such under domestic law».
Anche il par. 170 delle Legislative Guide, norma inserita nella
terza parte delle) strumento di interpretazione autentica dedicato
proprio alla «Criminalization», esprime lo stesso concetto: «Gli
Stati contraenti devono stabilire un certo numero di reati come
crimini nel loro diritto interno, se non esistono gia'. Gli Stati che
hanno gia' una legislazione in materia in vigore devono assicurarsi
che le disposizioni esistenti siano conformi ai requisiti della
Convenzione e modificare le loro leggi, se necessario». (8)
Anche in questo caso emerge una chiara distinzione tra «Stati
contraenti che devono stabilire un certo numero di reati/States
parties must establish a number of offences» e «Stati che hanno gia'
una legislazione in materia/States with relevant legislation already
in place»: i primi devono introdurre i reati, i secondi devono
«assicurarsi che le disposizioni esistenti siano conformi ai
requisiti della Convenzione/ensure that the existing provisions
conform to the Convention requirements».
Del resto, che il rispetto della Convenzione possa attuarsi a
prescindere dalla introduzione di nuovi reati si comprende anche dal
par. 19 delle Legislative Guide, il quale stabilisce che
«l'attuazione puo' avvenire attraverso nuove leggi o modifiche di
quelle esistenti. Le parti di altre convenzioni correlate possono
essere gia' parzialmente conformi almeno per quanto riguarda alcune
disposizioni della Convenzione contro la corruzione. (9)
Dunque, sono nuovamente le stesse Legislative Guide ad
evidenziare che uno Stato contraente poteva essere adempiente alla
Convenzione di Merida a prescindere dalla introduzione di' (nuovi)
reati, nel caso in cui il suo ordinamento nazionale gia' li
contemplasse.
In questa prospettiva, perde allora rilevanza uno degli argomenti
principali sostenuti dal Tribunale di Reggio Emilia a sostegno della
propria tesi negativa.
Il Giudice emiliano ha correttamente evidenziato che il par. 292
delle Legislative Guide - in coerenza con l'impianto di
criminalizzazione dell'art. 19 della Convenzione di Merida, come
dettagliato dai paragrafi 11, 12, 177, 178 e 179 delle Legislative
Guide -dispone che «Questa norma (art. 19 della Convenzione di
Merida) incoraggia la criminalizzazione/This provision (art. 19 della
Convenzione di Merida) encourages the criminalization of» dell'abuso
d'ufficio. «Incoraggia», dunque, la criminalizzazione (non la rende
obbligatoria).
Tuttavia, la norma di interpretazione autentica, in realta', non
fa altro che ribadire quanto gia' evidenziato: la Convenzione di
Merida non obbliga gli Stati membri a introdurre ex novo il reato di
abuso d'ufficio, ma rende. obbligatorio per gli stessi di prendere in
considerazione la. sua adozione. Ma attenzione. Il par. 292 delle
Legislative Guide non si limita a ribadire (implicitamente) la non
obbligatorieta' dell'introduzione ex novo del reato: lo fa
evidenziando (espressamente) che l'introduzione del reato e',
nell'ottica del trattato internazionale, il migliore strumento
possibile per contrastare il fenomeno criminale (inequivoco a tal
proposito e' l'utilizzo dell'espressione «incoraggia/encourages»).
Il tema sara' ripreso successivamente.
Cio' detto - se il tenore letterale dei menzionati paragrafi 11 e
12 delle Legislative Guide (utilizzati come canoni ermeneutici delle
singole norme relative alla criminalizzazione previste nella
Convenzione di Merida e, in particolare, dell'art. 19) non consente
di comprendere se l'abrogazione della norma incriminatrice di cui
all'art. 323 c.p. possa causare un contrasto dell'ordinamento
nazionale con il diritto internazionale - reputa il Collegio che
debba essere verificato attraverso ulteriore attivita' ermeneutica Se
una diversa conclusione sia autorizzata dall'utilizzo di diversi e
ulteriori strumenti interpretativi.
Strumenti interpretativi che in materia di trattati
internazionali sono enucleati dagli articoli 31 e 32 della
Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969, di cui si
riporta di seguito il testo:
«Art. 31 (Regola generale di interpretazione).
1. Un trattato deve essere interpretato in buona fede in base al
senso comune da attribuire ai termini del trattato nel loro contesto
ed alla luce del suo oggetto e del suo scopo.
2. Ai fini dell'interpretazione di un trattato, il contesto
comprende, oltre al testo, preambolo e allegati inclusi:
a) ogni accordo relativo al trattato e che sia intervenuto tra
tutte le parti in occasione della sua conclusione;
b) ogni strumento disposto da una o piu' parti in occasione della
conclusione del trattato ed accettato dalle altre parti' in quanto
strumento relativo al trattato.
3. Verra' tenuto conto, oltre che del contesto:
a) di ogni accordo ulteriore intervenuto tra le parti circa
l'interpretazione del trattatato l'attuazione delle disposizioni in
esso contenute;
b) di ogni ulteriore pratica seguita nell'applicazione del
trattato con la quale venga accertato l'accordo delle parti
relativamente all'interpretazione del trattato;
c) di ogni norma di diritto internazionale pertinente,
applicabile alle relazioni fra le parti.
4. Si ritiene che un termine o una espressione abbiano un
significato particolare se verra' accertato che tale era l'intenzione
delle parti.
Art. 32 (Mezzi complementari di interpretazione).
Si potra' ricorrere a mezzi complementari d'interpretazione, ed
in particolare ai lavori preparatori ed alle circostanze nelle quali
il trattato e' stato concluso, allo scopo, sia di confermare il
significato risultante dalla applicazione dell'art. 31, che di'
definire un significato quando l'interpretazione data in base
all'art. 31:
a) lasci il significato ambiguo od oscuro; o
b) porti ad un risultato chiaramente assurdo od illogico».
Dunque, in sintesi, la Convenzione di Vienna prevede le seguenti
regole interpretative: a) la buona fede; b) il criterio letterale; c)
il criterio sistematico (che non puo' limitarsi solo alla
valorizzazione delle norme del singolo trattato, bensi' di «ogni
norma di diritto internazionale pertinente»); d) il criterio
teleologico.
Come visto, il criterio meramente letterale non e' sufficiente
per comprendere quali siano gli obblighi imposti agli Stati membri
nel caso gli stessi contemplassero gia' nel loro ordinamento, prima
della ratifica della Convenzione di Merida, uno dei reati di cui la
predetta Convenzione rendeva obbligatorio prendere in considerazione
l'introduzione.
A tal proposito, soccorrono i criteri sistematico e teleologico.
La prima norma da considerare e' l'art. 65, comma 2 della
Convenzione, che dispone che «ciascuno Stato Parte puo' adottare
misure piu' strette o severe di quelle previste dalla presente
Convenzione al fine di prevenire e combattere la corruzione». (10)
Negli stessi termini - e ancora piu' esplicito - e' il tenore del
par. 179 delle Legislative Guide, il quale dispone che «la
Convenzione introduce degli standard minimi, ma gli Stati parte sono
liberi di andare oltre. E' infatti riconosciuto che gli Stati possono
criminalizzare o hanno gia' criminalizzato condotte diverse dai reati
elencati in questo capitolo come condotte di corruzione». (11)
Anche il par. 21 delle Legislative Guide ribadisce il medesimo
principio: «Si sottolinea che le disposizioni obbligatorie della
Convenzione servono come soglia che gli Stati devono rispettare ai
fini della conformita'. Purche' gli standard minimi siano rispettati,
gli Stati parti sono liberi di superarli e, in diverse disposizioni,
sono espressamente incoraggiali a farlo. In alcuni tirsi specifici,
requisiti piu' onerosi possono essere trovati in altre convenzioni
di' cui gli Stati sono o desiderano diventare parti. (12)
In sostanza queste norme chiariscono che la Convenzione di Merida
stabilisce degli standard minimi di tutela del cittadino contro le
condotte corruttive lato sensu intese, che non possono essere violati
da alcuno Stato contraente.
Si tratta di un principio ulteriormente affermato anche dal piu'
volte menzionato in dottrina e giurisprudenza art. 7, comma 4 della
Convenzione di Merida che, seppur dedicato alle misure preventive,
stabilisce un principio che per la sua ampiezza e trasversalita' puo'
essere considerato di portata generale: «Ciascuno stato si adopera,
conformemente ai principi fondamentali dei proprio diritto interno,
al fine di adottare, mantenere e rafforzare i sistemi che favoriscono
la trasparenza e prevengono i conflitti di interesse. (13)
Peraltro, non si condivide l'osservazione sostenuta da alcuni
secondo la quale tale norma, proprio perche' inserita nella parte
della Convenzione dedicata alle misure preventive, non possa avere
alcun rilievo anche in materia stricto sensu penalistica. Infatti,
deve considerarsi-che la sanzione penale ovviamente ha, oltre alla
fondamentale funzione rieducativa, anche quella special-preventiva e
general-preventiva: dunque, tra i sistemi che devono essere
«mantenuti e rafforzati per favorire la trasparenza e prevenire i
conflitti di interesse» (formulazione estremamente ampia, come detto,
che non puo' non avere per la sua essenza una portata sistematica e,
addirittura, una capacita' di assurgere a vero e proprio principio
generale della Convenzione) non si vede perche' non possa essere
ricompresa anche la criminalizzazione di un fatto (come l'abuso
d'ufficio) che tipicamente fonda il suo disvalore proprio sulla
lesione della trasparenza e sulla sussistenza di conflitti di
interesse.
Questa conclusione e' del resto confermata definitivamente
addirittura dall'art. 1 della Convenzione di Merida, il quale dispone
che «la presente Convenzione ha per oggetto: a) La promozione ed il
rafforzamento delle misure volte a prevenire e combattere la
corruzione in modo piu' efficace» (14) (formulazione, tra l'altro,
similare a quella del gia' richiamato art. 65, comma 2 della
Convenzione). In questa norma, che, vista la sua collocazione
sistematica, ha la portata applicativa piu' ampia possibilem, si fa
espresso riferimento al fatto che tutto il tessuto normativo della
Convenzione di Merida ha lo scopo di «rafforzare le misure volte a
combattere la corruzione», misure tra le quali non possono non
annoverarsi anche quelle di carattere penalistico, le quali - quasi
per essenza, sono volte a «combattere/combat» un fenomeno criminale.
In questa sede merita poi di essere effettuata una precisazione
con riferimento al tenore testuale del gia' menzionato par. 21 delle
Legislative Guide.
Lo stesso infatti dispone che le «disposizioni obbligatorie della
Convenzione / mandatory provisions of the Convention» costituiscano
uno standard minimo di tutela per il cittadino, che non possono
essere derogate dagli Stati contraenti.
A tal proposito, si e' sostenuto che gli standard minimi di
tutela posti dalla Convenzione siano solamente quelli derivanti dalle
sue «disposizioni obbligatorie», con la conseguenza che la
criminalizzazione dell'abuso d'ufficio di cui all'art. 19 della
Convenzione di Merida, che come piu' volte detto non prevede un
espresso obbligo di incriminazione, ma solamente un obbligo di
considerare l'incriminazione, non costituirebbe un vincolo per gli
Stati membri derivante dalla necessita' di garantire gli standard
minimi di tutela del cittadino previsti dalla Convenzione.
L'argomentazione non convince.
Infatti, non si comprende per quale motivo le «disposizioni
obbligatorie della Convenzione/ mandatory provisions of the
Convention» debbano essere considerate, nella sostanza, perche' e'
questa l'interpretazione che e' stata data - esclusivamente quelle
creanti un obbligo di criminalizzazione ai sensi del par. 11, lettera
a) delle Legislative Guide (cioe' le disposizioni caratterizzate
dall'espressione «ciascuno Stato Parte adotta/each State Party shall
adopt»).
Invero, innanzitutto il par. 21 delle Legislative Guide si
colloca sistematicamente nella prima parte dello strumento di
interpretazione autentica, parte dedicata all'implementazione della
Convenzione, che non ha alcuna correlazione espressa e' immediata o
esclusiva con gli obblighi di criminalizzazione.
In secondo luogo, nella stessa norma non vi e' alcun riferimento
alla criminalizzazione.
Dunque, non si comprende per quale ragione le «disposizioni
obbligatorie della Convenzione/ mandatory provisions of the
Convention» dovrebbero essere soltanto quelle che prevedono un
obbligo di criminalizzazione; al contrario, tra le disposizioni
obbligatorie della Convenzione deve potersi annoverare anche quella -
enucleabile dai menzionati articoli 65 commi 2, 7, comma 4 e 1 della
Convenzione, nonche' dal par. 179 (e dallo stesso par. 21) delle
Legislative Guide - secondo la quale la Convenzione di Merida
stabilisce degli standard minimi di tutela del cittadino contro le
condotte corruttive lato sensu intese, che non possono essere violati
da alcuno Stato contraente.
Del resto, che il rispetto di tali standard minimi sia cogente
per gli Stati membri si evince dall'interpretazione a contrario delle
norme richiamate: se il legislatore convenzionale ha esplicitato che
gli standard minimi di tutela «possono» essere migliorati, cio'
significa che gli stessi non possono essere peggiorati.
Si tratta peraltro di una interpretazione assolutamente logica,
ispirata al buon senso o, volendo utilizzare un criterio ermeneutico
proposto dalla Convenzione di Vienna - alla «buona fede» degli Stati
che hanno scelto di sottoscrivere e ratificare ima Convenzione contro
il fenomeno lato sensu corruttivo.
Tale conclusione non puo' che essere confermata anche da una
interpretazione teleologica delle norme richiamate.
Come gia' visto, l'obiettivo della Convenzione di Merida e'
quello di «promuovere e rafforzare le misure volte a prevenire e
combattere la corruzione in modo piu' efficace» (art. 1 della
Convenzione), principio che risulta ampiamente, oltre che dalle
singole norme del trattato internazionale, anche dal suo preambolo
(cosi' come anche da tutto l'impianto delle Legislative Guide).
Dunque, qualunque norma della Convenzione deve essere
interpretata nel senso che la sua attuazione deve aver come
conseguenza quella di migliorare - e non certo di peggiorare
(rectius, indebolire), i sistemi nazionali di contrasto ai fenomeni
corruttivi.
Rimane a questo punto da chiedersi, e si tratta di interrogativo
doveroso, in quanto espressione del tentativo di interpretazione
costituzionalmente conforme della norma abrogativa del delitto di
abuso d'ufficio, volto a provare a riconoscere la legittimita'
costituzionale della novella legislativa - se in concreto la
depenalizzazione del reato di cui all'art. 323 c.p. comporti un
indebolimento della tutela del cittadino rispetto agli abusi di
potere dei funzionari pubblici e, piu' nello specifico, se cio' violi
il rispetto degli standard minimi di tutela posti proprio dalla
Convenzione di Merida.
A tal proposito, e' necessario confrontarsi con la giurisprudenza
della Corte costituzionale, la quale, nella gia' richiamata sentenza
n. 8/2022, ha evidenziato che «una censura di illegittimita'
costituzionale non possa basarsi sul pregiudizio che la formulazione,
in assunto troppo restrittiva, di una norma incriminatrice,
recherebbe a valori di rilievo costituzionale, quali, nella specie,
l'imparzialita' e il buon andamento della pubblica amministrazione.
Le esigenze costituzionali di tutela non si esauriscono, infatti,
nella tutela penale, ben potendo essere soddisfatte con altri
precetti e sanzioni: l'incriminazione costituisce anzi un'extrema
ratio, cui il legislatore ricorre quando, nel suo discrezionale
apprezzamento, lo ritenga necessario per l'assenza o l'inadeguatezza
di altri mezzi di tutela (sentenza n. 447 del 1998; in senso analogo,
con riferimento all'abrogazione del reato di ingiuria, sentenza n. 37
del 2019; si vedano pure la sentenza n. 273 del 2010 e l'ordinanza n.
317 del 1996)».
Cio' premesso, deve immediatamente evidenziarsi, come noto, che
altre Autorita' Giudiziarie hanno ampiamente sostenuto che la novella
legislativa violi anche gli articoli 3 e - soprattutto per quanto
interessa i nostri fini - 97 della Costituzione, argomentando
diffusamente il loro pensiero.
Come gia' detto, questo Tribunale non ritiene vi siano margini di
ammissibilita' per sollevare la questione di legittimita' anche con
riferimento a tali parametri costituzionali, in quando si
produrrebbero effetti in malam partem, senza che possa operare alcuna
delle deroghe previste dalla giurisprudenza costituzionale per poter
sollevare una simile questione di legittimita'.
Tuttavia, le argomentazioni spese dalle varie Autorita'
giudiziarie, condivisibili nel merito, dimostrano come effettivamente
la novella legislativa abrogativa del delitto di cui all'art. 323
c.p. arrechi un concreto indebolimento degli standard di tutela del
cittadino contro i fenomeni corruttivi (e, piu' in generale, una
lesione dei principi di buon andamento e imparzialita' della Pubblica
amministrazione). Sul punto, non puo' che rinviarsi alle varie
ordinanze di rimessione alla Corte costituzionale gia' richiamate.
(15)
In questa sede, nella quale si analizza il possibile contrasto
della riforma nazionale con gli obblighi internazionali - rimane da
valutare se, nell'impostazione complessiva della Convenzione di
Merida, la criminalizzazione dell'abuso d'ufficio costituisca lo
strumento ritenuto piu' efficace per contrastare il fenomeno
criminale,
La risposta a tale interrogativo non puo' che essere affermativa,
per le seguenti ragioni.
In primo luogo, e' lo stesso art. 19 della Convenzione a indicare
che l'obbligo (e quindi l'obiettivo) degli Stati membri sia quello di
(considerare di) introdurre norme nazionali che conferiscano il
carattere di «illecito penale/criminal offence» ai fatti di abuso
d'ufficio.
In secondo luogo, la norma di interpretazione autentica dello
stesso art. 19 della Convenzione, e cioe' il par. 292 delle
Legislative Guide, «incoraggia la criminalizzazione / encourages the
criminalization».
Pertanto, non avrebbe senso obbligare gli Stati a considerare di
introdurre un reato o incoraggiarli a farlo se non si ritenesse che
lo strumento penale sia il piu' adatto per contrastare il fenomeno
criminale.
Deve quindi ritenersi che la criminalizzazione dell'abuso
d'ufficio rappresenti uno degli standard minimi di tutela posti dalla
Convenzione di Merida a tutela dei cittadini, uno degli standard che
non puo' essere derogato, uno degli standard la cui violazione
comporta un vulnus in relazione allo spirito della stessa Convenzione
di Merida.
A conclusione di tale ragionamento pare utile tornare, ancora una
volta, ma si tratta di scrupolo che non pare vano, essendo il vero
cuore del problema giuridico che si sottopone alla Corte
costituzionale, sul fatto che l'art. 19 della Convenzione di Merida
preveda esclusivamente un obbligo per gli Stati contraenti di
considerare l'introduzione del reato di abuso d'ufficio (e non li
obblighi direttamente a introdurre tale reato).
Innanzitutto, riassumendo, si e' gia' ampiamente visto che tale
obbligo di natura «intermedia» ha come destinatari gli Stati che, al
momento della stipula della Convenzione, non avessero gia' introdotto
negli ordinamenti nazionali il reato di abuso d'ufficio.
Gli Stati (come l'Italia) che gia' avevano nel loro ordinamento
un simile illecito penale erano perfettamente adempienti all'obbligo
convenzionale.
Per gli stessi, tuttavia, permane l'obbligo di rispettare gli
standard minimi di tutela - non derogabili - previsti dal combinato
disposto di cui agli articoli 65 comma 2, 7, commi 4 e 1 della
Convenzione di Merida, nonche' dai paragrafi 21 e 179 delle
Legislative Guide, standard minimi di tutela tra i quali e' compreso
quello di mantenere la criminalizzazione del reato di abuso
d'ufficio.
La violazione di tale obbligo convenzionale comporta la
violazione di quello che correttamente e' stato chiamato «divieto di
regresso», da intendersi come violazione di uno specifico obbligo
convenzionale posto da specifiche norme di un trattato
internazionale.
Pare il caso poi di sviluppare una ulteriore riflessione, che
coinvolge l'intero sistema della Convenzione di Merida.
Il fatto che nella Convenzione si siano previste tre tipologie di
modalita' di criminalizzazione (obblighi di introdurre il
reato/obbligo di considerare di introdurre il reato/ facolta' di
introdurre il reato) e' facilmente spiegabile se si considera che il
predetto trattato internazionale e' stato sottoscritto dalla grande
maggioranza degli Stati del pianeta (ad oggi risultano sottoscrittori
140 Stati).
La necessita' di diversificare le modalita' di criminalizzazione
si spiega sulla base del fatto che e' obiettivo dichiarato della
stessa Convenzione di Merida quello di armonizzare le normative di un
cosa vasto numero di Stati, che tra loro presentano sistemi giuridici
completamenti diversi e che hanno indici di' sviluppo differenti,
anche considerato che tra gli stessi sono presenti moltissimi Paesi
che costantemente, ancora oggi, si trovano negli ultimi posti dei
rapporti dei sistemi di monitoraggio del WGB, del GRECO, di
Transparency International e per i quali - come dichiarato
espressamente nella Convenzione di Merida nel prevedere maggiori
strumenti a loro vantaggio (cfr., ad esempio, art. 60 della
Convenzione) - risulta piu' difficile attuare la Convenzione.
Detto in altri termini, la diversificazione delle modalita' di
criminalizzazione - con la previsione di reati la cui introduzione
deve essere considerata o e' addirittura facoltativa - ha come
obiettivo quello di' facilitare l'armonizzazione delle normative
nazionali di un vasto e variegato numero di Stati.
Non ha invece certamente lo scopo di consentire agli Stati che
gia' presentavano un sistema anticorruzione piu' avanzato e completo
di «fare un passo indietro». (16)
Tale «passo indietro» costituirebbe un'evidente violazione dello
stesso scopo della Convenzione di Merida, le cui disposizioni devono
essere interpretate (e attuate) secondo «buona fede» e guardando,
appunto, alla funzione stessa del trattato internazionale, come
previsto dall'art. 31 della Convenzione di Vienna.
In definitiva e riassumendo quanto sopra esposto:
- l'art. 19 della Convenzione di Merida prevede un obbligo, per
gli Stati contraenti che non lo avessero gia' previsto nel loro
ordinamento interno al momento della sottoscrizione della
Convenzione, di considerare di introdurre il reato di abuso
d'ufficio;
- il combinato disposto di cui agli articoli 65 comma 2, 7
comma 4 e 1 della Convenzione di Merida, nonche' dai paragrafi 21 e
179 delle Legislative Guide, stabilisce degli standard minimi di
tutela, non derogabili in senso riduttivo, tra i quali e' compreso
quello di mantenere la criminalizzazione del reato di abuso d'ufficio
di cui all'art. 19 della Convenzione, con obbligo che vale (anche)
per gli Stati che contemplassero tale reato nel loro ordinamento al
momento della sottoscrizione della Convenzione di Merida.
Alla luce di quanto sopra riportato si ritiene rilevante e non
manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 1, comma 1, lettera b), legge 9 agosto 2024, n. 114 nella
parte in cui abroga il reato di cui all'art. 323 c.p. per violazione
degli articoli 11 e 117, comma 1 della Costituzione, in relazione
agli articoli 1, 7 comma 4, 19 e 65 della Convenzione ONU di Merida
del 2003.
Come evidenziato, non e' possibile effettuare una interpretazione
costituzionalmente conforme della norma di cui si sospetta
l'illegittimita'.
(1) Nella sua memoria depositata il 27 settembre 2024 il Pubblico
Ministero ha reso esplicito che la contestazione alternativa del
delitto previsto dall'abrogato art. 323 c.p. «derivasse» dalla
motivazione dei Giudici milanesi di secondo grado, che,
assolvendo gli imputati di quel processo «perche' il fatto non
sussiste» dai contestati delitti di cui agli articoli, 353 e
353-bis c.p. hanno affermato che le condotte contestate potessero
essere ritenute di rilievo penale ai sensi dell'art. 323 c.p. e
quindi configurare un abuso d'ufficio, secondo l'insegnamento
della giurisprudenza di legittimita'.
(2) Il Tribunale ha gia' avuto modo di ricordare la legittimita'
della contestazione di imputazioni alternative. La Corte di
Cassazione, infatti, ha avuto modo di insegnare - con convincente
ragionamento ermeneutico, che, ad avviso del Collegio, vale anche
per le contestazioni «suppletive» - che «in presenza di una
condotta dell'imputato tale da richiedere un approfondimento
dell'attivita' dibattimentale per la definitiva qualificazione
dei fatti contestati, e' legittima la contestazione, nel decreto
che dispone il giudizio, di imputazioni alternatine, costituite
dall'indicazione di piu' reati o di fatti alternativi, in quanto
tale metodo, ponendo l'imputato nella condizione di conoscere
esattamente le linee direttrici sulle quali si sviluppera' il
dibattito processuale, risponde ad un'esigenza della difesa»:
Cass. III. 11 luglio 2023, n. 46880, rv. n. 285378 - 01; conf. n.
10109 del 2007, rv. 236107 - 01; n. 2112 del 2008, rv. n. 238636
- 01; n. 38245 del 2004, rv. 230373 - 01; n. 51252 del 2014, rv.
n. 262121 - 01.
(3) Cfr. ex plurimis, Cassazione penale sez. V, 08/09/2023, n. 40990.
(4) Sulla inammissibilita' di questioni in malam partem basate sulla
denuncia di violazione dell'art. 3 della Costituzione, ex
plurimis, sentenza n. 413 del 1995; ordinanze n. 437 del 2006 e
n. 580 del 2000.
(5) Si riporta la norma nella sua versione inglese: «Each State Party
shall consider adopting such legislative and other measures as
may be necessary to establish as a criminal offence, when
committed intentionally, the abuse of functions or position, that
is, the performance of or failure to perform an act, in violation
of laws, by a public official in the discharge of his or her
functions, for the purpose of obtaining an undue advantage for
himself or herself or for another person or entity».
(6) Si riporta la versione inglese: «11. In establishing their
priorities, national legislative drafters and other policymakers
should bear in mind that the provisions of the Convention do not
all have the same level of obligation. In general, provisions can
be grouped into the following three categories: (a) Mandatory
provisions, which consist of obligations to legislate (either
absolutely or where specified conditions have been met); (b)
Measures that States parties must consider applying or endeavour
to adopt: (c) Measures that are optional. 12. Whenever the phrase
«each State Party shall adopt» is used, the reference is to a
mandatory provision. Otherwise, the language used in the guide is
«shall consider adopting» or «shall endeavor endeavour to», which
means that States are urged to consider adopting a certain
measure and to make a genuine effort to see whether it would be
compatible with their legal system. For entirely optional
provisions, the guide employs the term «may adopt».
(7) Si riporta la versione inglese: «The Convention goes on to
require the State parties to introduce criminal and other
offences to cover a wide range of acts of corruption, to the
extent these are not already defined as such under domestic law».
(8) Si riporta la versione inglese: «States parties must establish a
number of offences as crimes in their domestic law, if these do
not already exist. States with relevant legislation already in
place must ensure that the existing provisions conform to the
Convention requirements and amend their laws, if necessary.
(9) Si riporta la versione inglese: «Implementation may be carried
out through new laws or amendments of existing ones. Parties to
other related conventions may be already in partial compliance et
least with respect to certain provisions of the Convention
against Corruption».
(10) Si riporta la versione inglese: «Each State Party may adopt more
strict or severe measures than those provided for by this
Convention for preventing and combating corruption».
(11) Si riporta la versione inglese: «The Convention introduces
minimum standards, but States parties are free to go beyond
them. It is indeed recognized that States may criminalize or
have already criminalized conduct other than the offences listed
in this chapter as corrupt conduct».
(12) Si riporta la versione inglese: «It is emphasized that the
mandatory provisions of the Convention serve as a threshold that
States must meet for the sake of conformity. Provided that the
minimum standards are met, States parties are free to exceed
those standards and, in several provisions, are expressly
encouraged to do so. In some specific instances, more onerous
requirements can be found in other conventions to which States
are or wish to become parties».
(13) Si riporta la versione inglese: «Each State Party shall, in
accordance with the fundamental principles of its domestic law,
endeavour to adopt, maintain and strengthen systems that promote
transparency and prevent conflicts of interest».
(14) Si riporta la versione inglese: «The purposes of this Convention
are: (a) To promote and strengthen measures to prevent and
combat corruption more efficiently and effectively».
(15) Cfr., in particolare. per l'ampiezza e il pregio delle
argomentazioni, Tribunale Firenze in composizione collegiale,
ordinanza del 24 settembre 2024, pp. 16 ss.
(16) Si utilizza l'efficace espressione di uno dei principali Autori
italiani che ha ritenuto «tutt'altro che peregrina» la questione
di legittimita' costituzionale che si solleva.
P. Q. M.
Visti gli articoli 134 della Costituzione, 1 della legge
costituzionale n. 1/1948 e 23 e ss. della legge n. 87 del 1953,
solleva la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1.,
comma 1, lettera b), della legge 9 agosto 2024, n. 114 (pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale n. 187 del 10 agosto 2024), nella parte in
cui abroga l'art. 323 del codice penale in violazione degli arti. 11
e 117, comma 1, della Costituzione (in relazione agli obblighi
derivanti dagli articoli 7, comma 4, 19 e 65, della Convenzione delle
Nazioni Unite contro la corruzione (cosiddetta Convenzione di
Merida), adottata dall'Assemblea Generale dell'O.N.U. il 31 ottobre
2003 con risoluzione n. 58/4, firmata dallo Stato Italiano il 9
dicembre 2003 e da esso ratificata e resa esecutiva in Italia con la
legge 3 agosto 2009, n. 116);
sospende il giudizio in corso nei confronti degli imputati M.
D.M., E. M. P., E. B., P. P. e C. O. ed i relativi termini di
prescrizione fino alla decisione del giudizio incidentale di
legittimita' costituzionale ed alla conseguente restituzione degli
atti a questo Tribunale procedente;
dispone l'immediata trasmissione degli atti del procedimento alla
Corte costituzionale;
manda alla cancelleria per la notificazione della presente
ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri, per la
comunicazione ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato
della Repubblica e per la successiva trasmissione del fascicolo
processuale alla Corte costituzionale.
Busto Arsizio, 21 ottobre 2024
Il Presidente: Fazio
I Giudici: Ferrazzi - Montanari