N. 97 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 aprile 2025
Ordinanza del 30 aprile 2025 del Tribunale di Firenze nel
procedimento civile promosso da M. S. contro Presidenza del Consiglio
dei ministri, Regione Toscana e Azienda USL Toscana nord ovest.
Reati e pene - Omicidio del consenziente - Omessa previsione
dell'esclusione della punibilita' di chi, con le modalita' previste
dagli artt. 1 e 2 della legge n. 219 del 2017, attui materialmente
la volonta' suicidaria, autonomamente e liberamente formatasi, di
una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e
affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche
o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace
di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali
condizioni e le modalita' di esecuzione siano state verificate da
una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo
parere del comitato etico territorialmente competente, quando la
stessa persona, per impossibilita' fisica e per l'assenza di
strumentazione idonea, non possa materialmente procedervi in
autonomia o quando comunque le modalita' alternative di
autosomministrazione disponibili non siano accettate dalla persona
sulla base di una scelta motivata che non possa ritenersi
irragionevole.
- Codice penale, art. 579.
(GU n. 20 del 14-05-2025)
TRIBUNALE DI FIRENZE
Quarta Sezione civile
Nel procedimento cautelare d'urgenza ex art. 700 del codice di
procedura civile iscritto al n. r.g. 4329/2025 promosso da: M. S.
(C.F. ...), con il patrocinio dell'avv. Gallo Filomena, dell'avv.
Calandrini Angioletto e dell'avv. Re Francesca, ricorrente contro:
Ministero della salute (C.F. 80242250589), difesa ex lege
dall'avvocatura distrettuale dello Stato di Firenze;
Presidenza del Consiglio dei ministri (C.F. 00399810589),
difesa ex lege dall'avvocatura distrettuale dello Stato di Firenze;
e con l'intervento della Azienda USL Toscana Nord Ovest con il
patrocinio dell'avv. Cei Luca e dell'avv. Orlandini Matteo,
intervenuto.
Il Giudice dott. Umberto Castagnini, a scioglimento della riserva
assunta all'udienza del 23 aprile 2025, ha pronunciato la seguente
ordinanza.
1. L'oggetto della controversia
M. S. ha proposto ricorso d'urgenza ex art. 700 del codice di
procedura civile dinanzi all'intestato Tribunale nei confronti della
Presidenza del Consiglio dei ministri e del Ministero della salute al
fine di sentire accertare, previa eventuale rimessione della
questione di legittimita' costituzionale in riferimento all'art. 579
del codice penale, la sussistenza in capo alla stessa del «diritto
fondamentale ad autodeterminarsi nelle scelte terapeutiche in materia
di fine vita, nella sua declinazione del diritto di scegliere, in
modo libero, consapevole e informato, di procedere alla
somministrazione del farmaco letale in modalita' eteronoma e dunque
da parte del personale sanitario».
A fondamento del ricorso ha dedotto che:
ella e' affetta da sclerosi multipla a decorso progressivo
primario il cui esordio risale al ..., con episodi di difficolta'
deambulatorie e progressiva perdita della capacita' motoria;
il decorso della malattia e' stato piuttosto rapido fino
all'attuale situazione di completa tetraparesi spastica che determina
la compromissione in via definitiva di tutti e quattro gli altri;
la stessa e' completamente immobile, impossibilitata a
deambulare nonche' a compiere qualsiasi attivita' quotidiana senza
l'ausilio di terze persone;
a causa del progredire della sua patologia, soffre di
disfagia per liquidi e solidi per la quale le e' stata prospettata
l'indicazione clinica di inserimento della PEG e quindi l'attivazione
della nutrizione artificiale che ella ha rifiutato in piena
attuazione del suo diritto ad autodeterminarsi nell'ambito delle
scelte terapeutiche, anche salvavita;
la stessa in data ... ha attivato presso la ASL
territorialmente competente, alla luce della sentenza di
incostituzionalita' parziale dell'art. 580 del codice penale n.
242/2019 della Corte costituzionale, la richiesta di verifica delle
condizioni per accedere alla morte volontaria medicalmente assistita;
in un primo momento, con decisione del ..., la commissione
multidisciplinare aveva espresso un parere negativo perche' la
paziente non risultava essere tenuta in vita da trattamenti di
sostegno vitale;
a seguito della pronuncia della Corte costituzionale n.
135/2024, l'azienda sanitaria in data ... ha rivisto la propria
posizione ed espresso parere positivo accertando la sussistenza delle
condizioni individuate dalla sentenza della Corte costituzionale n.
242/2019 per l'accesso al suicidio medicalmente assistito;
in data ... la ricorrente trasmetteva la relazione del medico
di fiducia, dott. ... con l'indicazione del farmaco letale e delle
metodiche di autosomministrazione maggiormente aderenti alle
condizioni fisiche e motorie della stessa;
in data ... l'azienda sanitaria trasmetteva la relazione
finale della commissione medica multidisciplinare comprensiva del
parere del comitato etico che confermava l'adeguatezza della
procedura indicata, opponendo tuttavia il proprio rifiuto
all'espletamento della cd. fase esecutiva sostenendo che tutti i
relativi adempimenti (acquisto del farmaco, reperimento della
strumentazione, individuazione del medico) fossero a carico della
ricorrente;
la difesa contestava tale tesi e nell'ambito della successiva
interlocuzione con l'azienda sanitaria emergeva, in ogni caso,
l'assenza sul mercato di strumentazione medica, pompa infusionale da
attivarsi con comando vocale oppure azionabile tramite la bocca,
uniche due modalita' aderenti alle condizioni della ricorrente, e
quindi l'impossibilita' anche sotto tale profilo all'accesso al
suicidio assistito.
A fronte della impossibilita' di autosomministrazione del farmaco
letale per via endovenosa stante l'assenza di presidi medici idonei e
della impossibilita' o comunque dei gravi rischi connessi
all'assunzione del farmaco per via orale, la ricorrente ha chiesto
accertarsi in via d'urgenza il proprio diritto alla
autodeterminazione terapeutica mediante la somministrazione del
farmaco per via endovenosa da parte di un soggetto terzo, gia'
individuato nel medico di fiducia della ricorrente.
Ha evidenziato la disparita' di trattamento e la discriminazione
attualmente presente nel nostro ordinamento tra malati che
conservano - anche se limitate - facolta' motorie che permettono loro
di autosomministrarsi il farmaco letale nel rispetto delle condizioni
indicate dalla sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019 e
malati che si trovano, addirittura, in condizioni fisiche peggiori,
stante la completa impossibilita' di movimento alcuno ma la piena
conservazione delle proprie facolta' intellettive, costretti a subire
una compressione totale della propria facolta' di autodeterminarsi,
non potendo autosomministrarsi il farmaco letale, e avendo quale
unica opzione quello di essere sottoposti a sedazione profonda e
continua, scelta che non puo' essere obbligata dalle situazioni di
fatto, soprattutto quando la persona, come nel caso di specie,
rifiuta tale possibilita' perche' non aderente alle proprie opinioni
personali.
Considerando che, allo stato attuale della legislazione,
l'attuazione e il riconoscimento di tale diritto di
autodeterminazione in ambito sanitario discendente dagli articoli 2,
3, 13 e 32 della Costituzione, sarebbe ingiustificatamente compresso
dalla punibilita' della condotta di colui che somministri il farmaco
letale ex art. 579 del codice penale, la ricorrente ha rilevato che
l'unica possibilita' per vedere rispettato tale diritto,
indipendentemente dalle condizioni fisiche della persona e quindi
dalla capacita' o modalita' di autosomministrazione del farmaco
letale, che sia stata sottoposta a verifica dal SSN ai sensi della
sentenza n. 242/2019, risieda in un intervento del Giudice delle
leggi che dichiari l'illegittimita' dell'art. 579 del codice penale,
per contrasto con gli articoli 2, 3, 13 e 32 della Costituzione
nonche' con l'art. 117 della Costituzione in riferimento agli
articoli 8 e 14 CEDU, nei termini anzidetti.
Con istanza del 7 aprile 2025 la difesa della ricorrente ha
rappresentato che le condizioni di M. S. hanno visto un serio e
repentino aggravamento, che ha portato, il ..., a un ricovero
d'urgenza al Presidio ospedaliero «...» di ... a causa di una
infezione delle vie respiratorie complicata da insufficienza
respiratoria. E' stato necessario intervenire con ventilazione non
invasiva, aspirazione naso-faringea di secrezioni data la incapacita'
ad espettorare validamente e successivamente di ossigenoterapia in
continuo. Una volta stabilizzate le sue condizioni e' stata dimessa
in data .... Ha prodotto una relazione del medico di fiducia dott.
... nella quale si rappresenta che ella non e' piu' in grado di
tossire efficacemente per una evidente progressione clinica di
malattia con conseguente seria probabilita' di soffocamento a causa
dell'ostruzione delle vie aeree; che pur necessitando ed effettuando
ossigenoterapia in continuo circa 3/4 l/m, vista la compromissione
della sua capacita' respiratoria, perdura comunque il rischio di
dispnea.
Alla luce dell'aggravamento del quadro clinico la ricorrente ha
quindi chiesto che sia autorizzato, anche con decreto inaudita altera
parte, il medico di fiducia dott. ..., a procedere all'attuazione
materiale del proposito suicidario tramite somministrazione diretta
del farmaco letale su richiesta e conferma della sig.ra S. che non ha
la possibilita' di autosomministrarsi il predetto farmaco in
autonomia. In via subordinata, ha chiesto comunque una anticipazione
dell'udienza di discussione.
Con decreto dell'8 aprile 2025, ritenuto di non poter accogliere
la richiesta formulata in via principale, e' stata anticipata
l'udienza di discussione al 23 aprile 2025 e disposta la chiamata in
causa ex art. 107 del codice di procedura civile della Azienda USL
Nord Ovest.
Si sono costituti in giudizio il Ministero della salute e la
Presidenza del Consiglio dei Ministri con il patrocinio
dell'Avvocatura distrettuale dello Stato eccependo il difetto di
giurisdizione del giudice ordinario in favore del giudice
amministrativo; il difetto di legittimazione passiva delle
amministrazioni convenute; l'inammissibilita' dell'azione proposta
per carenza di interesse ad agire essendo la stessa finalizzata
esclusivamente a proporre una questione di legittimita'
costituzionale senza che sussista il requisito della incidentalita' e
pregiudizialita' che postula una diversita' di petita delle due
controversie.
La ASL Toscana Nord Ovest, intervenuta in giudizio su ordine del
giudice, ha dato atto che in data 14 marzo 2025 e' stata approvata
dal Consiglio regionale della Toscana la legge regionale n. 16/2025
con la quale e' stata dettata la procedura per attuare in modo
uniforme da parte di tutti gli enti del Servizio sanitario regionale
i principi di cui alle sentenze della Corte costituzionale n.
242/2019 e n. 135/2024 gia' disciplinate in autonomia dalla ASL
Toscana Nord Ovest con la delibera n. 780/2021.
Ha rilevato che a seguito dell'approvazione di tale legge,
l'Azienda USL Toscana Nord Ovest, anche in relazione alla posizione
della ricorrente, con nota prot. n. .../... del ... ha trasmesso una
specifica richiesta all'Ente per il supporto tecnico amministrativo
regionale (ESTAR), che funge da centrale di committenza per l'intero
servizio sanitario regionale, chiedendo l'immediato avvio di una
procedura urgente di acquisto di due pompe infusionali con
caratteristiche tali da renderle idonee all'utilizzo nei casi che
presentino condizioni analoghe a quello che ci occupa.
L'ESTAR ha comunicato in data ... (doc. n. 4) di aver preso in
carico la richiesta precisando che, «Trattandosi di dispositivi non
presenti sul mercato», di aver «pubblicato un avviso di consultazione
di mercato, finalizzata a individuare potenziali fornitori, in modo
da poter individuare un percorso di acquisto il piu' possibile
confacente alle necessita' espresse».
Cio' premesso, l'azienda sanitaria ha eccepito l'inammissibilita'
della domanda stante l'assenza di strumentalita' della tutela
cautelare rispetto al procedimento di merito e la irreversibilita'
degli effetti che determinerebbe l'esecuzione del provvedimento; la
carenza di interesse ad agire considerando che la questione di
legittimita' costituzionale che si intenderebbe sollevare riguarda
una norma (art. 579 del codice penale) non applicabile alla
ricorrente. Nel merito, l'inconfigurabilita' del diritto invocato
considerato altresi' che l'atto di provocare la morte non potrebbe
comunque mai qualificarsi come atto medico anche alla luce di quanto
previsto dal Codice Deontologico. Ha ritenuto non integrato il
presupposto del periculum in mora considerata la tempestiva
attivazione della ASL per la ricerca di dispositivi idonei e la
circostanza che l'impossibilita' di accedere al suicidio assistito
deriverebbe dalla sola scelta personale di non avvalersi al momento
di una delle due possibile vie esecutive utilizzabili
(somministrazione orale) ancora praticabile.
All'udienza del 23 aprile 2025, dopo ampia discussione, le parti
hanno insistito nelle rispettive conclusioni. In particolare, la
ricorrente ha precisato di insistere nella domanda rassegnata nel
ricorso introduttivo cosi' come integrata nell'istanza del 7 aprile
2025.
2. Sulle eccezioni preliminari
Le eccezioni preliminari sollevate dalle amministrazioni
resistenti appaiono, ad un primo e sommario vaglio, infondate e
quindi non idonee a precludere la rilevanza della questione di
costituzionalita'.
Appare sussistente la giurisdizione del giudice ordinario in
quanto la controversia verte in materia di diritti soggettivi, di
rango costituzionale, quali sono quello alla salute e
all'autodeterminazione del malato (artt. 2, 3, 13, 32 della
Costituzione). Non vengono in rilievo profili di discrezionalita'
della pubblica amministrazione tenuto conto peraltro che,
contrariamente a quanto sostenuto dall'avvocatura, il petitum
sostanziale non e' rappresentato dalla condanna dell'azienda USL a
disporre la somministrazione del farmaco letale, per il tramite del
personale sanitario, avendo la parte dichiarato di aver gia'
individuato il medico di fiducia dichiaratosi disponibile.
Nessuna contestazione e' stata sollevata in ordine alla
competenza territoriale del Tribunale di Firenze che appare
sussistente quale giudice del luogo dove ha sede l'ufficio
dell'avvocatura dello Stato, nel cui distretto si trova il giudice
che sarebbe competente secondo le norme ordinarie ex art. 25 del
codice di procedura civile. Infatti, la struttura pubblica del
servizio sanitario che, previo parere del comitato etico
territorialmente competente, ha accertato le condizioni per l'accesso
al suicidio assistito anche con riferimento alle modalita' esecutive,
ricade nel distretto di Corte di appello di Firenze. Inoltre, la
violazione dell'invocato diritto di autodeterminazione derivante dai
divieti previsti dalla legislazione ordinaria in ordine alla
somministrazione eteronoma del farmaco letale si concretizza nel
luogo dove vive l'attrice.
Non appare fondata neppure l'eccezione di difetto di
legittimazione passiva del Ministero della salute e della Presidenza
del Consiglio dei ministri, quali articolazioni del Governo della
Repubblica, venendo in rilievo principi fondamentali in materia di
diritto alla salute e autodeterminazione terapeutica, nonche' la
materia dell'ordinamento civile e penale dello Stato tanto che si
chiede di sollevare incidentalmente una questione di legittimita'
costituzionale di una norma legislativa nazionale (art. 579 del
codice penale). Ad ogni modo, e' intervenuta in giudizio anche
l'azienda sanitaria territorialmente competente.
In ordine alla compatibilita' tra tutela d'urgenza ed azione di
accertamento, dal tenore letterale dell'art. 700 del codice di
procedura civile non sono rinvenibili limiti in tal senso, cosicche'
appare possibile assicurare via interinale l'accertamento rimuovendo
lo stato di incertezza pregiudizievole, anche anticipando gli effetti
del giudizio di merito. Sotto tale profilo si osserva che lo stato e
la progressione della malattia, fonte di sofferenze intollerabili per
la paziente, appaiono incompatibili con i tempi propri di un giudizio
ordinario di cognizione e lo stato di incertezza circa la
possibilita' di accedere o meno alla morte medicalmente assistita
limita e condiziona le scelte del malato in materia di fine-vita.
Quanto alla possibilita' di sollevare una questione di
legittimita' costituzionale nell'ambito di un giudizio introdotto con
un'azione di mero accertamento, la ricorrente ha richiamato la
giurisprudenza della Corte costituzionale che, a partire delle
sentenze n. 1/2014 e n. 35/2017, sia pur in materia elettorale, ha
ritenuto ammissibile tale strumento quando sussiste l'interesse ad
agire del ricorrente, il diritto fatto valere ha rilievo
costituzionale e sussiste l'esigenza di eliminare «zone franche» dal
controllo di costituzionalita'.
Nel caso di specie, la necessita' di esperire un'azione di
accertamento nel giudizio principale si fonda sulla necessita' per la
ricorrente di conoscere la effettiva possibilita' di ottenere
lecitamente la somministrazione eteronoma del farmaco per via
endovenosa, circostanza rilevante al fine di potersi orientare e
compiere consapevolmente le proprie scelte in materia di fine-vita.
In attesa di un intervento del legislatore nazionale, allo stato
attuale della normativa, l'azione di accertamento di fronte al
giudice ordinario risulta l'unico rimedio possibile per consentire la
verifica della effettiva ampiezza del diritto di autodeterminazione
invocato.
Nel caso di specie, infatti, l'eventuale riconoscimento del
diritto dell'istante passa necessariamente attraverso la
dichiarazione di incostituzionalita' parziale dell'art. 579 del
codice penale, questione che potrebbe diversamente venire
incidentalmente in rilievo solo in sede penale, ovvero in caso di
violazione del precetto, soluzione certamente non prospettabile quale
alternativa possibile.
Per tale ragione l'azione di accertamento, promossa nell'ambito
di un procedimento cautelare ex art. 700 del codice di procedura
civile, in considerazione dell'urgenza, appare l'unica modalita' per
consentire la verifica di un diritto di liberta' nel pieno rispetto
della legalita', senza la violazione del precetto penale.
In relazione alle doglianze sollevate dalle resistenti, si
osserva che non sussiste, identita' tra l'oggetto del giudizio
principale e quello del giudizio incidentale in quanto la questione
di legittimita' costituzionale riguarda una norma penale che
incrimina la condotta di un soggetto terzo mentre nel giudizio
principale si chiede l'accertamento del diritto della ricorrente alla
autodeterminazione. Il giudice comune e' tenuto quindi a determinare
il contenuto del diritto della ricorrente ed a verificare la
sussistenza in concreto dei presupposti per l'esercizio, anche alla
luce di quelle che saranno le indicazioni della Corte costituzionale
in caso di accoglimento della questione di legittimita' sollevata.
3. Sulla richiesta di tutela cautelare interinale
La tutela cautelare e' un necessario ed essenziale corollario del
piu' generale principio di effettivita' della tutela giurisdizionale
di cui all'art. 24 della Costituzione.
Tale valore deve pero' coordinarsi con il principio di sindacato
accentrato di costituzionalita' sancito dal combinato disposto degli
art. 134 della Costituzione, art. 1, legge costituzionale n. 1/1948 e
art. 23, legge n. 87/1953.
Laddove infatti la situazione soggettiva sub iudice sia
pregiudicata o negata da una norma ordinaria di dubbia legittimita',
si profila un'antinomia tra norma ordinaria e Costituzione, la cui
risoluzione spetta in via esclusiva alla Corte costituzionale.
Se in talune occasioni la dottrina e la giurisprudenza, al fine
di contemperare i due principi, hanno ritenuto ammissibile una tutela
cautelare anticipata ad tempus, che il giudice potrebbe concedere
dopo aver rimesso la questione al giudice costituzionale, tale
soluzione non appare concretamente prospettabile quando la misura
cautelare non solo avrebbe effetti totalmente anticipatori ma anche
irreversibili e cio' sulla base di un mero giudizio di non manifesta
infondatezza, senza che il giudice delle leggi abbia avuto modo di
pronunciarsi.
Non si intende sostenere che prima della pronuncia di
incostituzionalita' della norma ordinaria censurata non vi sia mai
alcuna situazione giuridica soggettiva tutelabile, «inesistente» o
«futura». Cosi' facendo, la norma costituzionale verrebbe infatti
radicalmente espunta dall'attivita' interpretativa del giudice,
privandola cosi' di quella valenza direttamente precettiva.
Tuttavia, nel caso di specie, a fronte della gravita' e
irreversibilita' degli effetti discendenti dall'accoglimento della
domanda, tenuto conto della natura penale della norma sulla quale si
nutrono dubbi di legittimita' costituzionale, coinvolgente soggetti
terzi, bilanciando i contrapposti interessi in gioco, il Tribunale
ritiene che la tutela cautelare non possa che tradursi in una
sollecita rimessione della questione di legittimita' costituzionale
con sospensione del giudizio.
4. Sul quadro normativo
Per una piu' completa ed efficace esposizione della rilevanza
delle questioni di legittimita' costituzionale prospettate occorre
ricostruire preliminarmente il quadro normativo di riferimento alla
luce degli interventi piu' recenti della Corte costituzionale in
materia di fine-vita.
La consulta, investita di due questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 580 del codice penale, nella parte in cui
incrimina le condotte di mera agevolazione al suicidio anche quando
esse non abbiano contribuito a determinare o a rafforzare il
proposito della vittima, si e' pronunciata dapprima con ordinanza
monitoria di rinvio della trattazione, riconoscendo l'esistenza di
profili coinvolgenti scelte rimesse alla discrezionalita'
politico-legislativa, e, successivamente, stante l'inerzia del
legislatore, con sentenza di merito, assumendo la legge n. 219/2017
sulle «Disposizioni anticipate di trattamento» (DAT), come parametro
e strumento di disciplina.
In particolare, con la sentenza n. 242 del 22 novembre 2019 il
giudice delle leggi ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 580 del codice penale nella parte in cui non esclude la
punibilita' di chi agevola l'esecuzione del proposito suicida,
autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita
da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia
irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella
reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni
libere e consapevoli.
La Corte ha riconosciuto che, nell'ambito della
costituzionalmente necessaria tutela del diritto alla vita, l'art.
580 del codice penale - laddove punisce le condotte di mera
agevolazione al suicidio - svolge la funzione di creare uno scudo
protettivo intorno alle persone, specie quelle particolarmente deboli
e vulnerabili, al fine di porle al riparo da scelte auto-lesive
irreparabili, inibendo ai terzi di cooperare in qualsiasi modo con
esse per l'esecuzione del proposito suicida.
La Corte, tuttavia, ha analizzato la specifica vicenda che aveva
originato il giudizio a quo e, in particolare, la posizione di coloro
che, affetti da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze
fisiche o psicologiche che reputano assolutamente intollerabili, pur
capaci di prendere decisioni libere e consapevoli, sono tenuti in
vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale.
Ha osservato quindi che, pur essendo per natura soggetti
particolarmente vulnerabili, costoro avrebbero gia' diritto, ai sensi
della legge n. 219/2017, a rifiutare od interrompere il mantenimento
artificiale in vita con contestuale sedazione palliativa profonda,
cio' che a livello naturalistico prevedrebbe comunque l'intervento
materiale di un terzo (tramite il distacco o lo spegnimento della
macchina e la somministrazione della sedazione terminale).
Pertanto, l'ordinamento giuridico gia' conosce e definisce
situazioni in cui lo scudo eretto a protezione della vita di persone
pur vulnerabili puo' legittimamente venire meno, sicche' impedire al
paziente che versi nelle medesime descritte condizioni di ottenere un
aiuto al suicidio, quando questa opzione - per il fatto di provocare
una morte piu' rapida - gli appare un'alternativa piu' dignitosa per
porre fine alla propria esistenza, integra un ostacolo irragionevole
al pieno esercizio della liberta' di autodeterminazione terapeutica.
Considerato il rischio che una declaratoria di illegittimita'
costituzionale pura e semplice della norma incriminatrice avrebbe
potuto compromettere, nell'attesa di una nuova legge in materia, la
tutela delle persone particolarmente vulnerabili, con la sentenza n.
242/2019 la Corte costituzionale ha altresi' individuato, ricavandoli
dal sistema, i presidi di legalita' idonei a prevenire potenziali
abusi: da un lato, poiche' la pronuncia «attiene (...) in modo
specifico ed esclusivo all'aiuto al suicidio prestato a favore di
soggetti che gia' potrebbero alternativamente lasciarsi morire
mediante la rinuncia a trattamenti sanitari necessari alla loro
sopravvivenza», la procedura dovra' seguire le modalita' previste
dagli articoli 1 e 2 della legge n. 219/2017; dall'altro lato, la
sussistenza delle circostanze che rendono non punibile il suicidio
assistito dovranno essere verificate da una struttura pubblica del
servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico
territorialmente competente.
Come successivamente chiarito con la recente sentenza n.
135/2024, i duplici interventi della Corte costituzionale del 2022
(in materia referendaria, in relazione all'abrogazione parziale
dell'art. 579 del codice penale) e del 2019, di cui si e' riferito,
hanno individuato rispettivamente «una soglia minima di tutela della
vita umana, che si impone al legislatore, cosi' come al potere
referendario, e che si risolve nella insostenibilita' costituzionale
di una ipotetica disciplina che dovesse far dipendere dalla mera
volonta' dell'interessato la liceita' di condotte che ne cagionino la
morte, a prescindere dalle condizioni in cui il proposito e'
maturato, dalla qualita' del soggetto attivo e dalle ragioni da cui
questo e' mosso, cosi' come dalle forme di manifestazione del
consenso e dai mezzi usati per provocare la morte» e, all'opposto, il
limite entro cui non puo' essere compressa la liberta' di
autodeterminazione del paziente «nella peculiare situazione descritta
da tali pronunce, in cui questi avrebbe - comunque sia - la
possibilita' di porre termine alla propria vita rifiutando i
trattamenti che ne assicurano la sopravvivenza, ovvero chiedendone
l'interruzione». La Corte ha chiarito che «nell'ambito della cornice
fissata dalle pronunce menzionate, dovra' riconoscersi un
significativo spazio alla discrezionalita' del legislatore, al quale
spetta primariamente il compito di offrire una tutela equilibrata a
tutti i diritti di pazienti che versino in situazioni di intensa
sofferenza».
5. La sussistenza delle condizioni di cui alla sentenza Corte
costituzionale n. 242/2019
A fronte di tale quadro normativo, si puo' passare ad esaminare
la situazione personale della ricorrente.
Il primo dato rilevante e incontroverso e' che la commissione
medica, in data ... (doc. 8), ha definitivamente accertato che
sussistono «tutte le condizioni prescritte - patologia irreversibile,
sofferenze fisiche o psicologiche che la persona reputa
intollerabili, trattamenti di sostegno vitale, consenso libero e
consapevole - per considerare percorribile l'intenzione di ricorrere
al suicidio assistito».
Si ricade pertanto in una ipotesi in cui, alla luce della
sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019, e' tutelato il
diritto di autodeterminazione del malato, comprendente anche il
suicidio medicalmente assistito.
Quanto alle modalita' di esecuzione, nella relazione del dott.
..., si precisa che «in linea teorica, il SMA puo' essere messo in
atto grazie alla auto-introduzione nell'organismo di farmaci per via
endovenosa e/o per via orale (e gastrica in caso di presenza di
gastrostomia)».
Per quanto concerne la somministrazione per via orale si precisa
che si tratta di una autosomministrazione per bocca di un cocktail di
farmaci letali sciolti in una bevanda potabile «una volta deglutiti e
ingeriti, i farmaci vengono adsorbiti a livello gastrico e/o
intestinale penetrando nel circolo venoso e giungendo in modo
progressivo al sistema nervoso centrale: questo meccanismo determina
una latenza/ritardo rispetto alla via endovenosa: la perdita di
coscienza non e' rapida e completa ma progressiva, e inizia come
assopimento dopo circa 15-20 muniti dalla ingestione; diviene
completa e permanente dopo circa 30 muniti; l'attivita' respiratoria
si riduce progressivamente a partire da 20-40 minuti, e la cessazione
del battito cardiaco avviene entro 1 ora in oltre il 50% delle
persone. Possibili complicazioni sono nausea, vomito, difficolta'
nella deglutizione, rigurgito, inalazione con tosse, momenti di
ripresa di coscienza, crisi epilettiche. E' quindi necessario anche
nel caso della via orale avere a disposizione una via venosa sicura
posizionata nei giorni precedenti per via eco-guidata per poter
adeguatamente e prontamente trattare queste possibili, anche se rare,
complicazioni».
Considerate le complicazioni sopra descritte relative alla
somministrazione orale e, in particolare, le difficolta' di
deglutizione della paziente, che soffre di «disfagia per liquidi e
solidi che prova frequentemente aspirazione in trachea di materiale
ingerito o di secrezioni orali con conseguenti crisi respiratorie»
(v. parere del Comitato Etico del ... doc. 2 ricorrente), tanto che
era stato prescritto il posizionamento di PEG (rifiutato in base a
quanto previsto dalla legge n. 219/2017), la ricorrente ha scelto,
d'accordo con il medico di fiducia, di accedere alla morte
medicalmente assistita solo mediante la via endovenosa.
Nonostante la commissione medica abbia espresso parere favorevole
per entrambe le modalita' indicate (orale e endovenosa) non pare che
possa sindacarsi la scelta manifestata dalla paziente, non
espressione di una mera preferenza immotivata, ma una scelta
concordata con il medico di fiducia, sulla base delle possibili
complicazioni della somministrazione orale, valutate anche le
condizioni fisiche del malato.
Lo stesso Comitato Etico nel parere del ... «ritiene coerente con
i principi etici e giuridici gia' menzionati favorire quanto piu'
possibile il rispetto delle preferenze espresse dalla paziente...»
(doc. 12 ricorrente).
6. L'impossibilita' della auto-somministrazione del farmaco letale
A questo punto occorre considerare che e' incontroverso che la
paziente, totalmente paralizzata dal collo in giu', come accertato
nelle relazioni mediche in atti, potrebbe autosomministrarsi il
farmaco letale per via endovenosa solamente con l'utilizzo di uno
strumento meccanico azionato dal movimento dei muscoli della bocca,
con il movimento dei bulbi oculari o con un comando vocale.
Tuttavia, la Azienda USL Toscana Nord-Ovest, chiamata in
giudizio, ha confermato, di aver attivato urgentemente una procedura
contrattuale per l'acquisto di tale strumentazione (anche alla luce
della sopravvenuta legge regionale n. 16/2015) ma che tali
dispositivi non sono presenti sul mercato e quindi non e' in nessun
modo possibile dar seguito alla richiesta (doc. 3 ASL).
All'udienza di discussione, su richiesta di chiarimenti,
l'azienda sanitaria non ha saputo fornire alcuna previsione concreta
sulla possibilita' e comunque sui tempi per reperire tale
strumentazione confermando che, al momento, tali apparecchi non
esistono sul mercato.
In sostanza, allo stato, non si puo' prevedere se e quando
eventuali imprese fornitrici potranno creare o adattare le pompe
infusionali attualmente in produzione, considerati altresi' i tempi e
le procedure per le valutazioni di conformita' necessarie per
l'immissione sul mercato.
Il Ministero della salute non ha fornito ulteriori informazioni
in proposito per cui si deve ritenere che la ricorrente, ne'
privatamente ne' con l'ausilio della struttura pubblica, potrebbe
utilizzare tale strumentazione, in tempi compatibili rispetto
all'evoluzione della malattia.
Ad ogni modo, come evidenziato in ricorso, per il normale decorso
e le caratteristiche della malattia, non si puo' neppure prevedere se
ella medio tempore perdera' anche il movimento dei muscoli del volto
cosi' che la via endovenosa rimarrebbe non solo la scelta ritenuta
piu' idonea e con minori complicazioni, ma anche la sola tecnicamente
possibile.
Da qui l'interesse a vedere accertato in via preventiva e urgente
il diritto a procedere con tale modalita' anche via eteronoma.
7. Sull'interesse ad agire
Occorre, in proposito, evidenziare che il controllo preventivo
che la sentenza n. 242/2019 affida all'autorita' pubblica, come
affermato da questo Tribunale con ordinanza collegiale del 13
febbraio 2025 in altra vicenda in materia di fine-vita, non riguarda
il consenso informato alla procedura, che e' revocabile e
modificabile sino all'ultimo momento come per ogni altro trattamento
sanitario e che viene espresso in modo definitivo solo al momento in
cui si da' inizio alla auto somministrazione dei farmaci, ma e'
funzionale ad una verifica della capacita' del soggetto di
autodeterminarsi consapevolmente in ordine ad un atto foriero di
conseguenze non reversibili. «In altre parole, e' compito dello Stato
porre la persona in condizioni di scegliere - consapevolmente - il
modo per lei piu' dignitoso di congedarsi dalla vita, essendo
informata su tutte le alternative possibili le quali possono giocare
un ruolo decisivo nel processo di formazione della sua volonta'. Ma
il processo di formazione della volonta' - e' fondamentale
evidenziare - rimane nell'ambito del dominio del soggetto fino alla
fine». Il malato puo' «legittimamente mutare il proprio convincimento
sia in ordine al an della procedura sia in ordine al quomodo, e
siccome anche questi mutamenti di convincimento sono espressione del
diritto all'autodeterminazione terapeutica, e' necessario che la
reclamata rimuova ogni ostacolo a che la paziente compia cio' in
assoluta liberta' e consapevolezza».
Nel caso di specie, la ricorrente si trova a dover decidere se
accedere immediatamente al suicidio medicalmente assistito con
somministrazione orale, pur esponendosi ad una procedura piu' gravosa
e con possibili complicazioni, al fine di scongiurare il rischio che,
perdendo definitivamente anche la capacita' di deglutire, ella non
abbia piu' nessuna possibilita' di esercitare il proprio diritto di
autodeterminazione in materia di fine-vita.
Ritiene il giudicante che proprio tale situazione di incertezza
sia foriera di un grave pregiudizio in quanto pone la ricorrente di
fronte ad una scelta drammatica, con il rischio che ella, per le
proprie convinzioni, possa essere indotta ad anticipare una scelta in
materia di fine-vita, non potendo prevedere l'evoluzione della
malattia, per gli ostacoli esistenti rispetto alla procedura di morte
medicalmente assistita per via endovenosa.
In sintesi, sussiste quindi un interesse concreto ed attuale alla
presente azione di accertamento sotto tre profili.
In primo luogo, perche' la somministrazione per via orale e'
ritenuta piu' gravosa, per le maggiori complicazioni che puo'
determinare, meno confacente allo stato fisico della paziente e
quindi motivatamente rifiutata dalla stessa.
In secondo luogo, in quanto sussiste un timore fondato che nelle
more del giudizio venga comunque meno a causa dell'evoluzione della
malattia la possibilita' di accedere al suicidio medicalmente
assistito con tale modalita'.
In terzo luogo, in quanto l'incertezza circa la percorribilita'
della somministrazione per via endovenosa, ovvero la piu'
corrispondente alla volonta' della persona e quella che - in via
eteronoma - potrebbe essere attuata fino alla fine, rischia di
condizionare il processo di libera determinazione del malato alle
scelte in materia di fine-vita.
8. Sulla rilevanza della questione di legittimita' costituzionale
Se dunque la somministrazione endovenosa del farmaco risulta la
sola soluzione scelta in maniera informata dalla paziente e quella
che potrebbe comunque nel corso del giudizio divenire anche l'unica
tecnicamente possibile, la ricorrente evidenzia che l'unica
possibilita' astrattamente percorribile sarebbe la somministrazione
del farmaco letale tramite una pompa infusionale azionata da un
soggetto terzo che eseguirebbe materialmente la volonta' della
persona.
Anche a seguito dell'instaurazione del contraddittorio non e'
emersa infatti la possibilita' di reperire strumentazione tecnica
compatibile con le condizioni della paziente.
La ricorrente allega di aver gia' individuato un soggetto, nel
caso particolare il medico di fiducia dott. ..., disponibile ad
attuare tale proposito, ma che cio' risulta precluso
dall'incriminazione della condotta del terzo ai sensi dell'art. 579
del codice penale della cui incostituzionalita' parziale si sospetta.
La questione di legittimita' costituzionale prospettata appare
sotto tale profilo rilevante non essendo condivisibile la difesa
dell'azienda sanitaria nella parte in cui sostiene il difetto di tale
requisito per il fatto che la ricorrente non potrebbe comunque mai
essere punita per tale reato, neppure nella fattispecie tentata.
Si osserva in proposito che se e' vero che, fino ad oggi, gli
interventi della Corte costituzionale in materia di fine-vita sono
scaturiti principalmente da questioni di legittimita' costituzionale
sollevate nell'ambito di procedimenti penali, nei quali evidentemente
la fattispecie incriminatrice veniva immediatamente in rilievo per
l'imputato, cio' non toglie che la questione possa risultare
rilevante anche dinanzi al giudice civile che, quale giudice naturale
dei diritti soggettivi, nel dialogo con la Corte costituzionale, e'
tenuto a garantire la tutela e effettivita' dei diritti fondamentali.
E' evidente che la previsione di una fattispecie di reato (art.
579 del codice penale) che prevede una pena da sei a quindici anni di
reclusione, impedisce alla ricorrente di ottenere la cooperazione di
un soggetto terzo nell'attuazione materiale del proprio proposito,
rispondendo cio' alla funzione dissuasiva propria della norma penale.
La Corte costituzionale con la sentenza n. 242/2019 non sembra
pero' aver collocato l'aiuto al suicidio nell'ambito della mera
«irrilevanza penale» della condotta, ragionando solo in termini di
non offensivita', introducendo ovvero una mera scriminante a favore
di chi, a determinate condizioni, agevola il proposito suicidario.
Per tale ragione non pare potersi sostenere che dinanzi al
giudice civile la sfera di liberta' del malato non possa mai trovare
tutela.
Nonostante la controversa estensibilita' del concetto di cura
(terapia) fino ad includere la somministrazione di sostanze che
determinano la morte, la consulta ha affermato che «il divieto
assoluto di aiuto al suicidio finisce per limitare
ingiustificatamente nonche' irragionevolmente la liberta' di
autodeterminazione del malato nella scelta delle terapie, comprese
quelle finalizzate a liberarlo dalle sofferenze, scaturente dagli
articoli 2, 13 e 32, secondo comma, della Costituzione, imponendogli
in ultima analisi un'unica modalita' per congedarsi dalla vita».
E' quindi la stessa Corte a evocare la «salute», la «relazione
medico-paziente», le «terapie» in relazione all'aiuto al suicidio
richiamando il parametro dell'art. 32 della Costituzione e, allo
stesso modo, anche le condizioni di verifica sono strettamente
ancorate alla legge n. 219/2017, che rappresenta un preciso punto di
riferimento nell'iter argomentativo della sentenza.
La condotta di agevolazione al suicidio e' contigua alla
fattispecie di omicidio del consenziente, soprattutto nei casi di
«aiuto a morire» praticati in situazioni terminali di vita.
Tuttavia, in via interpretativa, non appare possibile inquadrare
la condotta di colui che provoca materialmente la morte sostituendosi
in pratica all'aspirante suicida, nella fattispecie di cui all'art.
580 del codice penale e quindi - alle condizioni di cui alla sentenza
n. 242/2019 - nell'area di non punibilita'. L'aiuto al suicidio
presuppone infatti che l'atto sia comunque compiuto di mano propria
dal malato, nonostante la presenza di una condotta estranea di
agevolazione, e che lo stesso mantenga il dominio finalistico
sull'azione (Cass. 26015/2023).
Ne' e' possibile estendere in via interpretativa da parte del
giudice ordinario le condizioni dettate dalla sentenza della Corte
costituzionale n. 242/2019 alla diversa fattispecie incriminatrice di
cui all'art. 579 del codice penale.
Da qui la rilevanza della questione di legittimita'
costituzionale prospettata.
9. Sulla non manifesta infondatezza
Ritiene il tribunale che l'art. 579 del codice penale presenti
profili di possibile contrasto con i parametri costituzionali nella
parte in cui non esclude la punibilita' di chi attui materialmente il
proposito suicidario del malato - autonomamente e liberamente
formatosi - quando lo stesso abbia ottenuto il riconoscimento delle
condizioni di cui alla sentenza della Corte costituzionale n.
242/2019, ma si trovi nella impossibilita' materiale, per le proprie
condizioni fisiche e per l'assenza di strumentazione idonea, di
autosomministrarsi il farmaco letale.
Sussistono inoltre dubbi di costituzionalita' anche nell'ipotesi
in cui, seppure vi possano essere in astratto modalita' esecutive di
auto-somministrazione del farmaco (nella specie, per via orale), le
stesse non siano accettate dal paziente, in forza del principio di
autodeterminazione, per le complicazioni possibili e la scelta
manifestata sia motivata e non possa ritenersi irragionevole.
Entrambi i profili sono, anche distintamente, rilevanti nel caso
di specie considerata la finalita' dell'azione di accertamento di
consentire l'esercizio libero delle scelte del malato in materia di
fine-vita ed in considerazione della imprevedibile evoluzione della
malattia, anche nel corso del giudizio.
In primo luogo, la disposizione appare in contrasto con l'art. 3
della Costituzione per la irragionevole disparita' di trattamento che
determina tra situazioni sostanzialmente identiche.
A parita' di condizioni (persona tenuta in vita da trattamenti di
sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di
sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili) il
diritto all'autodeterminazione del paziente viene a essere
condizionato da un fatto (possibilita' di autosomministrazione del
farmaco letale) del tutto accidentale, dipendente dalla condizione
clinica della persona, dalle modalita' di manifestarsi della malattia
e dalla sua progressione.
Paradossalmente il diritto all'autodeterminazione viene
pregiudicato proprio negli stati piu' gravi della malattia quando, ad
esempio, e' totalmente compromesso l'uso degli arti e/o la capacita'
di deglutire, e quindi in quelle ipotesi dove ragionevolmente sono
maggiori le sofferenze fisiche e psicologiche del malato.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 135/2019, ha escluso
la possibilita' di estendere ulteriormente l'area della liceita'
delle condotte di aiuto al suicidio incriminate in via generale
dall'art. 580 del codice penale, con riferimento ai pazienti rispetto
ai quali non sussistano tutti i requisiti di cui alla legge n.
219/2017 e che pure si trovino in una situazione di intensa
sofferenza e prostrazione per lo stato avanzato della malattia.
Ha precisato che «il requisito della dipendenza del paziente da
trattamenti di sostegno vitale - che pure rappresenta un unicum
nell'orizzonte comparato, come esattamente sottolineato da taluni
amici curiae - svolge, in assenza di un intervento legislativo, un
ruolo cardine nella logica della soluzione adottata con l'ordinanza
n. 207 del 2018, poi ripresa nella sentenza n. 242 del 2019.
Come poc'anzi rammentato (supra, punto 6.2.), infatti, questa
Corte non ha riconosciuto un generale diritto di terminare la propria
vita in ogni situazione di sofferenza intollerabile, fisica o
psicologica, determinata da una patologia irreversibile, ma ha
soltanto ritenuto irragionevole precludere l'accesso al suicidio
assistito di pazienti che - versando in quelle condizioni, e
mantenendo intatte le proprie capacita' decisionali - gia' abbiano il
diritto, loro riconosciuto dalla legge n. 219 del 2017 in conformita'
all'art. 32, secondo comma, della Costituzione, di decidere di porre
fine alla propria vita, rifiutando il trattamento necessario ad
assicurarne la sopravvivenza.
Una simile ratio, all'evidenza, non si estende a pazienti che non
dipendano da trattamenti di sostegno vitale, i quali non hanno (o non
hanno ancora) la possibilita' di lasciarsi morire semplicemente
rifiutando le cure. Le due situazioni sono, dunque, differenti dal
punto di vista della ratio adottata nelle due decisioni menzionate;
sicche' viene meno il presupposto stesso della censura di
irragionevole disparita' di trattamento di situazioni analoghe,
formulata con riferimento all'art. 3 della Costituzione».
Nel caso di specie, tuttavia, non si tratta di estendere le
condizioni in cui il malato ha diritto ad accedere alla morte
medicalmente assistita, che rimangono le stesse indicate dalla Corte
costituzionale con riferimento alla legge n. 219/2019 (trattandosi
quindi di una persona che gia' ha diritto di decidere di porre fine
alla propria vita rifiutando il trattamento necessario ad assicurarne
la sopravvivenza) ma viene richiesta una applicazione dei medesimi
principi alla fattispecie di cui all'art. 579 del codice penale, con
i necessari adattamenti, nei casi di impossibilita' di
autosomministrazione.
E' vero che la condotta materiale di aiuto al suicidio e quella
di causare materialmente la morte sono diverse, tuttavia, la
distinzione - gia' sotto il profilo naturalistico - puo' risultare
piuttosto tenue, ne' assume un rilievo pregnante in relazione al
diritto di autodeterminazione esercitato dal malato.
Con riferimento al caso di specie, ad esempio, se fosse
disponibile sul mercato una pompa infusionale programmata per
rispondere ai comandi vocali del malato o azionabile con i bulbi
oculari, la condotta del soggetto che metta a disposizione tale
macchinario e assista la persona in tale fase risulterebbe penalmente
lecita mentre, pur in assenza di tali dispositivi e
nell'impossibilita' di una autosomministrazione, il soggetto che
materialmente, su richiesta del malato, attivi il pulsante della
pompa infusionale sarebbe punito per omicidio del consenziente ex
art. 579 del codice penale con una pena da sei a quindici anni di
reclusione. Ed ancora, ad esempio, il terzo che materialmente
avvicini alla bocca del paziente immobilizzato un bicchiere e versi
il farmaco letale, solo perche' la soluzione viene materialmente
deglutita dal malato (se ancora in possesso di tale facolta') non
sembrerebbe invece punibile.
La condotta materiale non appare un elemento distintivo cosi'
significativo tale da giustificare, ferme le condizioni di cui alla
sentenza n. 242/2019, una tale sproporzione di trattamento: in un
caso la piena liceita' della condotta e nell'altro l'applicazione di
una sanzione penale con pena minima di sei anni di reclusione e
quindi, per quanto viene in rilievo in questa sede, la compressione
totale della liberta' di autodeterminazione del malato in caso di
impossibilita' di autosomministrazione del farmaco letale.
«Se, infatti, il fondamentale rilievo del valore della vita non
esclude l'obbligo di rispettare la decisione del malato di porre fine
alla propria esistenza tramite l'interruzione dei trattamenti
sanitari - anche quando cio' richieda una condotta attiva, almeno sul
piano naturalistico, da parte di terzi (quale il distacco o lo
spegnimento di un macchinario, accompagnato dalla somministrazione di
una sedazione profonda continua e di una terapia del dolore)», come
previsto dalla legge n. 219/2019, e se, non e' neppure precluso, alla
luce dell'intervento della Corte costituzionale con la sentenza n.
242/2019, «l'accoglimento della richiesta del malato di un aiuto che
valga a sottrarlo al decorso piu' lento conseguente all'anzidetta
interruzione dei presidi di sostegno vitale», allo stesso modo, si
dubita che il medesimo valore possa tradursi in un ostacolo assoluto,
penalmente presidiato, alla liberta' di autodeterminazione del malato
nella scelta delle terapie, comprese quelle finalizzate a liberarlo
dalle sofferenze, scaturente dagli articoli 2, 13 e 32, secondo
comma, della Costituzione, quando queste non possono essere
auto-somministrate ma richiedono il mero intervento materiale di un
terzo.
La Corte costituzionale nell'ordinanza n. 207/2018 ha chiarito
che il bene giuridico che l'art. 579 del codice penale mira a
presidiare e' profondamente cambiato, alla luce dell'entrata in
vigore della Costituzione ed il principio personalista impone di
rivedere l'oggettivita' giuridica conservando la sanzione penale una
propria ragion d'essere nella tutela delle persone fragili e
vulnerabili, «le quali potrebbero essere facilmente indotte a
congedarsi prematuramente dalla vita, qualora l'ordinamento
consentisse a chiunque di cooperare anche soltanto all'esecuzione di
una loro scelta suicida».
Questa rilettura dell'oggettivita' giuridica dell'art. 580 del
codice penale appare giustificare anche una reinterpretazione della
norma di cui all'art. 579 del codice penale che qui viene in rilievo.
E' vero che la consulta ha avuto modo di pronunciarsi sull'art.
579 del codice penale con la sentenza n. 50/2022, ritenendo
inammissibile il quesito referendario perche' «l'effetto di
liceizzazione dell'omicidio del consenziente oggettivamente
conseguente alla vittoria del si' non risulterebbe affatto
circoscritto alla causazione, con il suo consenso, della morte di una
persona affetta da malattie gravi e irreversibili. Alla luce della
normativa di risulta, la "liberalizzazione" del fatto prescinderebbe
dalle motivazioni che possono indurre a chiedere la propria morte, le
quali non dovrebbero risultare necessariamente legate a un corpo
prigioniero di uno stato di malattia con particolari caratteristiche,
potendo connettersi anche a situazioni di disagio di natura del tutto
diversa». L'impossibilita' di interpretare la normativa di risulta
alla luce dei limiti fissati dalla Corte con la sentenza n. 242/2019,
ritenendo che l'esenzione da responsabilita' resti subordinata al
rispetto della «procedura medicalizzata» prefigurata dalla legge n.
219 del 2017 per l'espressione (o la revoca) del consenso a un
trattamento terapeutico (o del rifiuto di esso), determinerebbe una
abrogazione pura e semplice di una norma posta a tutela della vita,
«facendo cosi' venir meno le istanze di protezione di quest'ultima a
tutto vantaggio della liberta' di autodeterminazione individuale»,
che «non puo' mai prevalere incondizionatamente sulle ragioni di
tutela del medesimo bene, risultando, al contrario, sempre
costituzionalmente necessario un bilanciamento che assicuri una sua
tutela minima».
Nel caso di specie, tuttavia, la ricorrente chiede una pronuncia
additiva che, in assenza di un organico e complessivo riordino della
materia del fine vita da parte del legislatore, fissi le condizioni e
le garanzie che rendano lecito l'intervento del terzo nell'attuazione
del proposito suicidario senza far venir meno la cintura di
protezione al bene della vita che la norma penale assicura.
Invero, la compressione di tale diritto sotto il profilo delle
modalita' esecutive rischia di condizionare il processo stesso di
formazione della volonta' del malato che, in presenza di un rischio
di progressione repentina e non prevedibile della malattia, avendo
ottenuto l'accertamento delle condizioni di cui alla sentenza n.
242/2019 per l'accesso al suicidio assistito, qualora rifiuti la
sedazione profonda, potrebbe essere indotto ad attuare
anticipatamente il proprio proposito suicidario proprio per il timore
di non poter poi accedere alla morte medicalmente assistita a causa
del progredire della malattia e per l'impossibilita' fisica della
auto-somministrazione del farmaco letale.
La fattispecie incriminatrice nel tutelare in maniera assoluta il
diritto alla vita, in un quadro normativo profondamente mutato a
seguito dell'intervento della Corte costituzionale, appare quindi in
grado non solo di determinare una irragionevole disparita' di
trattamento tra malati ma di condizionare potenzialmente, anche a
detrimento del bene della vita stesso, il processo di formazione
della volonta' della persona.
In sintesi, in relazione alla fattispecie di cui all'art. 579 del
codice penale appare riproporsi la situazione gia' rilevata dalla
Corte costituzionale in relazione all'originario divieto assoluto di
aiuto al suicidio in quanto l'incriminazione, nella sua attuale
portata, sembra comprimere in modo sproporzionato il diritto di
autodeterminazione del paziente e la sua effettiva e concreta
attuazione (art. 2, 13, 32 della Costituzione), creando altresi' una
disparita' di trattamento tra malati che non sembra ragionevole (art.
3 della Costituzione).
Quanto ai rilievi sollevati dalla azienda sanitaria in ordine
alla non riconducibilita' dell'atto materiale di provocare la morte
al concetto di «atto medico» e quindi all'impossibilita' o comunque
non opportunita' di prevedere una riserva esclusiva della «fase
esecutiva» per il personale sanitario, essendo ipotizzabile anche la
figura di un «fiduciario» individuato dal paziente, si ritiene che la
questione debba essere approfondita e valutata nell'ambito del
giudizio dinanzi alla Corte costituzionale limitandosi in questa sede
a rilevare il sospetto di incostituzionalita' (parziale) della
fattispecie incriminatrice nella sua assolutezza alla luce del quadro
costituzionale e normativo venutosi a creare all'esito dalle pronunce
di costituzionalita' sull'art. 580 del codice penale.
P.Q.M.
Visti gli articoli 134 della Costituzione e 23 ss. legge n.
87/1953 dichiara rilevante e non manifestamente infondata la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 579 del codice
penale nella parte in cui non esclude la punibilita' di chi, con le
modalita' previste dagli articoli 1 e 2 della legge 22 dicembre 2017,
n. 219, attui materialmente la volonta' suicidaria, autonomamente e
liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti
di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di
sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma
pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre
che tali condizioni e le modalita' di esecuzione siano state
verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario
nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente
competente, quando la stessa persona per impossibilita' fisica e per
l'assenza di strumentazione idonea, non possa materialmente
procedervi in autonomia o quando comunque le modalita' alternative di
autosomministrazione disponibili non siano accettate dalla persona
sulla base di una scelta motivata che non possa ritenersi
irragionevole, per contrasto con gli articoli 2, 3, 13, 32 della
Costituzione;
Dispone la sospensione del presente giudizio;
Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
Ordina alla cancelleria di notificare la presente ordinanza alle
parti in causa, al Pubblico Ministero e al Presidente del Consiglio
dei ministri e di comunicarla ai Presidenti del Senato della
Repubblica e della Camera dei deputati.
Firenze, 30 aprile 2025
Il Giudice: Castagnini